Altrestorie_30

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anno undicesimo

numero trenta

dicembre 2009

IN QUESTO NUMERO Epidemie e pandemie

PosteItalianeS.p.A.-Spedizioneinabbonamentopostale-D.L.353/2003(conv.inL.27/02/2004n.46) -art.1,comma1,D.C.B.Trento-Periodicoquadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perรงue - ISSN 1720 - 6812


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ALTRESTORIE - Periodico quadrimestrale di informazione Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Hanno collaborato a questo numero: Alessandro de Bertolini, Carlo Carlucci, Beatrice Carmellini, Giorgio Cosmacini, Alberto Folgheraiter, Emanuela Renzetti, Francesca Rocchetti, Caterina Tomasi, Elena Tonezzer Periodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN) Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta alla Fondazione Museo storico del Trentino.


anno undicesimo

numero trenta

dicembre 2009

IN QUESTO NUMERO Epidemie e pandemie: divagazioni sul virus H1N1 e dintorni

Editoriale

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Epidemie e pandemie: un affresco storico Giorgio Cosmacini

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Torna (senza ragione) la paura della pandemia: novant’anni fa la “spagnola” che provocò milioni di morti Alberto Folgheraiter

Ai primordi della vaccinazione: l’innesto vaccino in Trentino nella prima metà dell’Ottocento Rodolfo Taiani 26 “Guarda guarda il mal mattone”: le influenze del passato Emanuela Renzetti 30 “Figure bianche, astratte“: l’epidemia di poliomielite nel secondo dopoguerra Lucia M.

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La sottile paura: Arco, la tubercolosi, il contagio Beatrice Carmellini 12

“La malattia ti dà la libertà”: la malattia in letteratura Francesca Rocchetti

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Cattive influenze: opinioni sul virus H1N1 e altro ancora: interviste con Gios Bernardi e Bruno Bizzaro a cura di Paola Bertoldi 14

Per una storia della sanità in Trentino: un progetto di ricerca da proseguire e consolidare Rodolfo Taiani

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Rischio pandemico e azione pubblica a cura dell’Ufficio stampa dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari del Trentino

Per una storia della sanità in Trentino: alcune fonti negli archivi della Fondazione Museo storico del Trentino a cura di Caterina Tomasi 38

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“Intorno al metodo di trattamento degl’infermi di colera”: empiria e scienza in un documento del 1831 22

Infomuseo

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“Boom! Istruzioni per l’uso: Trento 1955-1965“ Elena Tonezzer

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L’altra faccia del virus: curiosità e stranezze in margine alla pandemia di influenza A a cura di Paola Bertoldi 25

La storia del Trentino in bianco/nero: la riapertura delle Gallerie di Piedicastello Alessandro de Bertolini 47

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ltrestorie ha ottenuto un altro significativo riconoscimento: l’attribuzione del primo premio nella sezione 2 (stampa privata) dell’XI edizione del Premio Cento della stampa locale. Gli altri due premi sono andati a Sosta vietata di Piacenza (secondo classificato) e a Borgo Rotondo (terzo classificato) di San Giovanni in Persiceto (BO). La cerimonia di premiazione ha avuto luogo a Cento in provincia di Ferrara il 24 ottobre 2009. Non è la prima volta che l’iniziativa centese segnala la nostra rivista. Accadde già nel 2003 con il primo premio nella sezione pubblica, e ancora nel 2006 con il terzo posto nella sezione privata. Sono risultati che confortano e soprattutto confermano, insieme al costante favore tributato da parte di chi riceve regolarmente la nostra rivista, la validità dell’intero progetto editoriale. Ed è proprio coerentemente all’impostazione fin qui adottata che il presente numero di Altrestorie ha scelto

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di occuparsi di un tema di particolare attualità – quanto mai “scottante” –, la pandemia d’influenza A. Su quest’argomento si confrontano nelle pagine che seguono storici della medicina, antropologi e professionisti del settore medico-farmaceutico. Costoro, attraverso contributi originali o interviste, cercano di orientare i lettori attraverso una materia tutt’altro che semplice, dove le manifestazioni di una malattia si accompagnano alle tante misure sanitarie poste in atto per contrastarle. Prende così vita un inestricabile groviglio di motivazioni pubbliche e private, che continua ad alimentare non solo le prime pagine dei giornali ma anche un vivace e diffuso dibattito. Un confronto che fotografa comportamenti a atteggiamenti talvolta riflesso più di paure e rappresentazioni ataviche che non di un’oggettiva e piena fiducia nei confronti della scienza e della ricerca medica… insomma la pandemia di influenza A come una sorta di ritorno al passato.

Editoriale


Epidemie e pandemie

Prima di iniziare a descriche un medico svizzero, vere le principali epidemie Alexandre Yersin, scoche hanno segnato la stoprì il bacillo di quella che un affresco storico ria delle civiltà, è imporoggi chiamiamo “peste”, tante chiarire alcuni termie questo nome smise di di Giorgio Cosmacini ni che ascoltiamo spesso essere generico. Un’altra in questi giorni, ma che malattia che si originò nel possono essere fraintesi. Medioevo fu il tifo esanQuando si parla di “pantematico, detto anche tidemia”, si intende una fo petecchiale. Si diffuse malattia globale. Questa specialmente in seguito a si verifica nel momento in guerre o carestie che colcui esistono contemporapivano le popolazioni. Fu neamente tre condizioni: una malattia trasmessa •l’agente infettivo deve da un pidocchio che proessere nuovo, sconosciuliferava laddove c’erano to al sistema immunitario pessime condizioni igiedell’essere umano con cui niche e situazioni di proviene in contatto; miscuità. Veniva chiamato •deve essere in grado di anche “Peste castrense” riprodursi nell’organismo perché colpiva soprattutdeterminando una malatto le truppe degli eserciti. tia ad elevata diffusione; L’inizio delle grandi esplo•si trasmette da uomo a razioni e dei viaggi intorno uomo con grande facilità. al mondo coincise con la Spesso i nuovi agenti indiffusione di nuovi agenfettivi si diffondono perti batterici. È il caso delché alcuni animali sono la sifilide, importata dai in grado di incubarli facompagni di Cristoforo vorendone le mutazioni. Colombo. Era una malatL’animale diventa cioè una tia considerata peccamispecie di crogiolo in cui il nosa, come l’Aids, pervirus può modificarsi. In ché interessava la sfera tal modo si verifica il cosessuale; ce l’avevano siddetto “salto interspecigli indigeni americani, fico”, con la trasmissione del virus dalla specie anima- ma era pericolosa solo per gli europei, indifesi nel le alla specie umana. È il caso dell’influenza aviaria o loro sistema immunitario. Questa epidemia esplose suina ed è uno degli aspetti che determinano la peri- in maniera acuta e diffusa; poi, in parte per le mucolosità dell’epidemia. tazioni genetiche del virus, in parte grazie ai presidi In passato la parola “epidemia” non aveva il significato medici, cambiò e divenne sub-acuta e poi cronica. che le attribuiamo oggi, anche perché non si conosce- A fine Ottocento invece scoppiò la tubercolosi, che vano le cause del fenomeno e non era ancora nato il era sempre esistita in forma discreta, ma che in queconcetto di contagio. In greco il termine deriva da epi sto periodo assunse le proporzioni della pandemia e demos, cioè “sopra il popolo”, nel senso di qualcosa che flagellò l’Europa per decenni. che incombe sulla popolazione, che assilla, che met- La storia della Tbc è un caso emblematico di un’epidete paura. Naturalmente sono molteplici e differenti le mia che si diffonde non a causa delle mutazioni di un epidemie che si sono susseguite nel tempo. Ne pos- bacillo, ma per via dei cambiamenti sociali. Negli ultisiamo elencare alcune. mi anni dell’Ottocento infatti, dopo la rivoluzione induUna delle prime di cui è rimasta una testimonianza è striale, avvenne che grandi masse di persone fossero la peste di Atene, descritta da Tucidide nel 430 a.C., quotidianamente riunite nelle fabbriche e nelle scuole. poi ripresa da Lucrezio. È importante fare attenzione Questo affollamento favorì la trasmissione della Tbc perché la peste che colpì l’antica Grecia non corri- che fino al 1950 fu la malattia del secolo. In seguito sponde alla famosa peste del Trecento che decimò gli passò il testimone al cancro, che però non è una maabitanti dell’Europa medievale. In passato infatti “pe- lattia contagiosa, ma metabolico-genetica. ste” non era un nome specifico, ma designava tutte Nel secolo scorso la pandemia che sicuramente ha le malattie gravi e diffuse. Era in pratica un sinonimo mietuto più vittime è stata la cosiddetta “influenza di “pestilenza”. Non a caso il tifo venne chiamato “Pe- spagnola”. Si calcola che abbia falciato venti milioni ste degli eserciti”, il colera “Peste dell’Ottocento”, la di persone, 600.000 solo in Italia (lo stesso numero di tubercolosi “Peste bianca” e l’Hiv “Peste del 2000”. morti causati nel nostro paese dalla Grande Guerra). Fu solo nel 1896, durante l’epidemia di Hong Kong, Ed è curioso che il ceppo virale responsabile dell’in-

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fluenza spagnola sia proprio l’H1N1, lo stesso della “suina”. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori statunitensi una decina di anni fa: nel corso di una spedizione in Alaska venne trovata una donna morta qualche decennio prima a causa della spagnola. Siccome il suo corpo era ben conservato, perché ibernato, prelevando un campione di DNA fu possibile analizzare il virus che l’aveva uccisa e si scoprì che aveva lo stesso corredo genetico poi riconosciuto analogo a quello dell’influenza suina. Quest’ultima, però, ha per fortuna una virulenza molto minore rispetto all’ondata del 1918. Un’altra terribile calamità che si abbatté nel corso del Sei-Settecento fu il vaiolo, che causava non solo la morte, ma anche la cecità. Infatti, se le pustole colpivano le palpebre e poi la cornea, la vittima poteva anche sopravvivere, ma restava cieca. Era una malattia mostruosa, vinta dalla vaccinazione. Qui va specificato che i primi a scoprire il vaccino non furono gli scienziati, ma le donne del Caucaso e della Cina, grazie all’osservazione empirica. Durante le ondate di vaiolo, infatti, le donne avevano scoperto che mettendo una goccia di pus di un malato a contatto con un piccolo graffio cutaneo di un individuo sano, quest’ultimo contraeva quello che veniva chiamato “il piccolo vaiolo”. Si trattava di una leggera malattia da cui si guariva in fretta e che permetteva di essere immuni dal letale “grande vaiolo”. Il vaiolo fu debellato definitivamente nel 1980 e a questo punto ci fu un momento di entusiasmo e di illusione collettiva perché si pensò di aver ormai sconfitto ogni malattia infettiva. Nel cor-

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so dello stesso anno l’Organizzazione mondiale della sanità emanò l’ambizioso programma “Salute per tutti nell’anno 2000”, con la convinzione di garantire a tutti la salute nel giro di vent’anni. I fatti che seguirono, l’Hiv e la Sars solo per fare due esempi, provarono che l’obiettivo dell’Oms era utopico. La storia delle epidemie ha dimostrato all’uomo che la sua specie non è al centro dell’universo. Anche se continuiamo a mantenere una visione antropocentrica, di fatto vige la logica darwiniana e gli esseri più grandi devono comunque lottare con quelli più piccoli, microrganismi compresi. Perché a un certo punto la peste sparì? Non tanto per i progressi della medicina, quanto per un cambiamento nelle abitudini degli esseri umani, che nel tempo crearono un ambiente domestico e quotidiano meno adatto al proliferare dei topi, nella cui pelliccia si annidavano le pulci vettrici del virus della peste. L’abbandono di una dimensione fatta di granai e di latrine fece sì che i ratti non trovassero più le condizioni ottimali per la loro sopravvivenza e così si crearono i presupposti per la scomparsa della peste. Per comprendere come l’umanità ha vissuto nei secoli la paura delle epidemie, bisogna approfondire il concetto del contagio. Fino al Cinquecento si pensava che la malattia fosse causata dalla cattiva qualità dell’aria che tutti respiravano. Per questo si usavano espressioni quali “mala aria” (da cui il termine “malaria”), “miasmi”, “esalazioni nocive”. Solo in seguito fu sviluppato il concetto di “contagio” come lo intendiamo oggi, cioè dovuto al contatto. Il primo a proporre un’elaborazione teorica del contagio


è stato Girolamo Fracastoro, un medico veronese che nel 1530 pubblicò l’opera magistrale De contagione et contagiosis morbis. E va detto che la difesa dalle malattie contagiose è stata praticata per la prima volta dagli italiani, che in questo si sono dimostrati più avanti degli altri. In Italia hanno iniziato a essere istituiti degli organi deputati ad applicare le misure per evitare il diffondersi delle epidemie: gli uffici di sanità, o tribunali di sanità, o magistrati di sanità. Come si può notare, si trattava di autorità anche giudiziarie, perché in quei tempi la sanità doveva essere imposta dall’alto. Come? In vari modi: si vietavano le occasioni di affollamento, i mercati, le processioni, le città venivano isolate e si istituivano le quarantene, i cordoni, i lazzaretti, le contumacie. Esistevano anche le bollette di sanità, dette “patenti di salute”, che erano rilasciate a individui sani e permettevano loro di circolare liberamente. La prima quarantena della storia fu messa in atto a Ragusa (Dubrovnik) nel 1350, quando imperversava la peste nera, e uno dei primi lazzaretti fu costruito a Milano nel 1488. Erano misure preventive che funzionavano; poi la medicina ha scoperto i farmaci e i vaccini in grado di prevenire e curare il morbo. Naturalmente, nel caso di epidemie, un rimedio valido resta l’isolamento per evitare il contagio: questo non è cambiato. Un aspetto importante che ha sempre accompagnato le ondate pestilenziali è la paura. La paura afferisce alla sfera dell’emozione, non a quella della ragione, e questo implica che non si diffonde un’epidemia senza che si cerchi in qualche modo un colpevole. I più famosi sono gli untori della peste narrata da Manzoni

(1630), ma prima di loro molti hanno trovato la morte perché accusati di diffondere il morbo: gli ebrei, le streghe, i “diversi” in generale. Oppure si pensava che fosse Dio a mandare la peste, per castigare gli esseri umani. La divinità puniva ma era anche benefica: il Dio che permette la morte a don Rodrigo è lo stesso Dio che salva Agnese e Lucia. Altri presunti fattori di epidemia erano gli eventi astrali, come eclissi o comete. Nessuno pensava che i responsabili fossero i topi e le pulci, perché questi facevano parte della quotidianità della vita delle persone. Tutto questo ci porta ai giorni nostri e al dibattito sul virus H1N1 che tanto spaventa e fa discutere. Il clamore per la febbre suina è in gran parte ingiustificato. Questa è un’influenza benigna, che probabilmente passerà presto o tardi senza danni. Non ha un tasso di mortalità elevato e la maggior parte delle morti sono dovute a complicazioni di malattie preesistenti. L’aspetto che la contraddistingue è che colpisce prevalentemente i più giovani, questa è una sua particolarità. C’è una sorta di drammatizzazione collettiva in questa angoscia da contagio, probabilmente anche perché c’è stata un’informazione contraddittoria che ha creato uno sbandamento dell’opinione pubblica e un fraintendimento su molti aspetti. Infine, c’è anche una certa enfasi propiziata dalle case farmaceutiche, le quali hanno il merito di produrre i medicinali che ci curano, ma allo stesso tempo pensano a incrementare il volume dei loro affari. Sappiamo bene che la produzione di salute e la produttività economica non sempre vanno di pari passo.

Giorgio Cosmacini: nota bio-bibliografica Giorgio Cosmacini è medico, laureato in filosofia, libero docente in radiologia. Già primario radiologo nel Policlinico universitario di Milano, è attualmente docente di filosofia della scienza e storia della medicina nella Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Vita-Salute del San Raffaele e docente di storia del pensiero medico nella Facoltà di filosofia della stessa università. È socio onorario delle Società di igiene e di antropologia medica e membro del direttivo scientifico di numerose associazioni e riviste di cultura. Nelle sue numerose pubblicazioni ha affrontato la storia della pratica medica sia dal punto di vista dei progressi scientifici di cui si è avvalsa sia delle sue trasformazioni in rapporto con le condizioni politico-sociali e socio-culturali delle epoche esaminate. La sua produzione, che spazia dall’antichità all’età contemporanea, non tralascia pertanto anche temi di politica sanitaria. Fra i numerosi titoli editi e limitandosi solo a quelli più recenti si ricorda in particolare l’ampio affresco proposto nel volume Storia della medicina e della sanità in Italia: dalla peste nera ai giorni nostri (Roma-Bari, Laterza, 2005). Sempre presso l’editore Laterza sono poi comparsi in ordine cronologico e a partire dal 2000 le seguenti opere (nuove o riedizioni): Medicina e mondo ebraico: dalla Bibbia al secolo dei ghetti (2001), Il

medico ciarlatano: vita inimitabile di un europeo del Seicento (2001), Biografia della Ca’ Granda: uomini e idee dell’Ospedale Maggiore di Milano (2001), Il male del secolo: per una storia del cancro (con Vittorio Sironi, 2002), Il medico giacobino: la vita e i tempi di Giovanni Rasori (2002), I laboratori della sanità pubblica: l’amministrazione sanitaria italiana tra il 1887 e il 1912 (2002), Lettera a un medico sulla cura degli uomini (con Roberto Satolli, 2003), La vita nelle mani: storia della chirurgia (2004), Il medico materialista: vita e pensiero di Jakob Moleschott (2005), “La mia baracca”: storia della Fondazione Don Gnocchi (2005), Le spade di Damocle: paure e malattie nella storia (2006), Introduzione alla medicina (con Claudio Rugarli, 2007), La religiosità della medicina: dall’antichità a oggi (2007), Il medico saltimbanco: vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza (2008), Prima lezione di medicina (2009), Io, Ippocrate di Kos (con Pietro Zullino, 2009), L’arte lunga: storia della medicina dall’antichità a oggi (2009). Presso la casa editrice San Raffaele sono comparsi nel 2008, con Andrea W. D’Agostino, La peste: passato e presente e nel 2009 Il medico e il cardinale. Per altri titoli ancora si rinvia infine ai cataloghi degli editori milanesi Cortina e Viennepierre. [r.t.]

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Torna (senza ragione) la paura della pandemia

Nell’autunno della “suina”, colpite trenta delle 50 magcon i giornali che schiagiori città degli Stati Uniti. mazzano in tutto il pianeta Come i topi della peste del e “sparano” a caratteri di Trecento, annidati nelle stinovant’anni fa la scatola le cifre, minime, dei ve dei velieri, i soldati amerimorti di influenza A H1N1, cani veicolarono l’infezione “spagnola” che provocò tornano prepotenti alla ribaldalla costa orientale degli milioni di morti ta i riferimenti alla “spagnoStati Uniti all’Europa. Il virus la”. superò l’Atlantico e si proAnche un bambino capisce pagò sui campi di battaglia. di Alberto Folgheraiter che non ci sono, per fortuna, La penisola Iberica non né le proporzioni né le conha alcuna primogenitura dizioni generali della pandenell’infezione planetaria che mia che, novant’anni fa, tra il 1918 e il passò alla storia come febbre spagnola. 1920 causò nel mondo lo sterminio di L’unica “colpa”, semmai, è che la Spagna interi popoli. Si parla di una cifra che non partecipava alla guerra. Diversamenfa rabbrividire: tra i 40 e i 100 milioni te dal resto d’Europa, a Madrid non c’era di morti. Pare ormai assodato. Tutto la censura militare. Così, a maggio del cominciò in una fattoria della contea 1918, l’agenzia di notizie “Fabra” aveva di Haskell, in Texas, poco meno di 300 diramato un dispaccio, annunciando che chilometri da Fort Riley, in Kansas, dootto milioni di spagnoli erano a letto con ve la “flu epidemic” divampò l’11 marla febbre e lo stesso re Alfonso XIII stava zo 1918. Un’America contadina, fronpoco bene. Una febbre bislacca: durava tiera della frontiera. Le rare famiglie tre giorni e poi, almeno in quei primi me(oggi la Contea conta appena seimila si, scompariva. Certo, si registrava qua abitanti) vivevano in promiscuità con e là qualche decesso, ma erano soltanpolli e maiali. Situazione non dissimile to le avvisaglie di un fenomeno carsico da quella della Cina rurale nella quale che, scomparso ai primi caldi, sarebbe si sono sviluppati a ripetizione i virus ricomparso nell’autunno del 1918 più delle epidemie e i batteri della peste forte e virulento. Taluni hanno calcolato e del colera che hanno infettato, per che, tra il 1918 e il 1921, i morti siano secoli, il mondo. Incubatrice analoga e stati “soltanto” 21 milioni e 642 mila. Tra speculare a quella Messicana del 2009 i Paesi maggiormente colpiti, in Europa, dalla quale si è sprigionata la pandemia di febbre sui- figurava la Russia con 450 mila morti, seguita a ruona. In quella fattoria di Haskell, nel gennaio del 1918 i ta dall’Italia con almeno 375 mila morti, ma altre fonti medici rilevarono i primi casi di “polmonite fulminan- parlano di 600 mila. Sono dati calcolati a spanne, site”. Il virus restò circoscritto e confinato per alcune curamente per difetto stante la rigida censura militare settimane fino a quando uno dei ragazzi della contea che ben si guardava dal consentire la propagazione di fu arruolato a Fort Riley perché l’America era entrata in notizie che avrebbero potuto abbattere ulteriormente guerra, da poco, contro la Germania. il morale delle truppe e delle popolazioni già stremate La mattina dell’11 marzo 1918, dapprima un sergente, dalla guerra. Nell’inverno del 1918 l’Italia contava 36 poi un caporale e, via via, altri militari cominciarono a milioni di abitanti. Gli italiani colpiti dalla spagnola furiversarsi nell’infermeria del campo dove erano intrup- rono almeno cinque milioni. pati ventiseimila soldati pronti a partire per l’Europa. Nel Trentino “austriaco”, appena diventato “italiano”, Lamentavano febbre alta, vomito, dissenteria e tosse vi furono non meno di diecimila vittime. La cifra, riferiviolenta con bava di sangue. A mezzogiorno i rico- ta con cautela poiché non poggia su alcun documento verati nell’ospedale da campo erano già 107. In una o conteggio ufficiale, è stata formulata tenendo consettimana 522. Il sergente Albert Gitchell morì quattro to che la popolazione trentina, nel 1920, superava di giorni dopo e il suo fu il primo caso ufficiale di morte poco le 350 mila unità e la mortalità, in quel periodo, per spagnola. Una pandemia che in dodici mesi causò risulta più che raddoppiata. Certo, nessun atto di morpiù vittime di tutte le guerre del XX secolo; moltiplicò te nei registri parrocchiali porta la scritta “spagnola” per cinque, se non per dieci il numero dei soldati mor- ma si trovano numerosi casi di “grippe” (influenza: in ti nel corso della prima guerra mondiale (che furono spagnolo, francese e tedesco). poco meno di dieci milioni); tre volte le vittime della Almeno sul piano sanitario c’è un “buco nero” su peste nera del 1348 in Europa. Secondo il Bulletin of ciò che accadde in quei mesi alla popolazione sbanMedical History, fra settembre e dicembre del 1918 fu data. Nei documenti relativi a quel periodo non esiinfettato un miliardo di persone. I morti oscillarono fra ste alcuna relazione riferita alla febbre spagnola. 50 e 100 milioni. Solo qua e là si trova qualche cenno. A due mesi dal primo caso erano già stati coinvolti nel Nella confusione di quel primo dopoguerra, infatti, nucontagio 24 dei 26 campi d’addestramento militare e merose registrazioni di morte furono tralasciate. Il par-

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roco di Segonzano, Antonio Tasin, il 17 ottobre 1918 scrisse all’Ordinariato di Trento: “Con sommo dolore compio il dovere di partecipare a codesto Rev.mo Ufficio la morte di don Giuseppe Rauzi, cooperatore di qui, avvenuta il giorno 16 corrente ad ore 4 pomeridiane in seguito a grippe e miocardite”. A Cles, nel luglio del 1919, si ebbero alcune decine di vittime la cui morte fu attribuita a “tifo addominale”. Probabilmente una “coda” della spagnola. Illuminante, al riguardo, una relazione di Giuseppe Olmi pubblicata su Studi trentini di scienze storiche (1996): “Anche ammettendo che, nel Trentino, la spagnola non abbia colpito con particolare intensità, appare infatti comunque strano che di essa non venga in pratica mai fatto alcun accenno nei vari giornali quotidiani della regione. Sappiamo, è vero, che questa sorta di congiura del silenzio da parte delle autorità (e quindi anche dei giornali) si ebbe in tutti i Paesi belligeranti affinché non vi fossero cedimenti nello spirito pubblico nel momento in cui si stavano decidendo le sorti della guerra e poi per evitare di creare panico fra le popolazioni proprio quando, dopo anni di sofferenze, era stata finalmente raggiunta la pace. Tuttavia l’impressione che si ricava, pur sulla base di pochi dati, è che nel Trentino le autorità (prima militari e poi civili), consapevoli dei notevoli sforzi che dovevano essere compiuti da tutti per avviare una ricostruzione, abbiano prolungato nel tempo ed esteso un po’ su tutte le malattie di tipo endemico che si manifestavano, questa cappa di silenzio o almeno di scarsa informazione”. Vi fu carenza d’informazioni persino nelle cronache dei conventi, di solito puntuali e precise anche su ciò che accadeva all’esterno. Il cronologo dei frati minori della provincia di San Vigilio, Fulgenzio Guardia, scrisse: “Nel mese di luglio 1918 si sviluppò a Trento e in Austria una malattia denominata dalla stampa spagnola, e che il nostro medico dottor Pergher la classificò come gastroenterite. La maggior parte dei cittadini ne furono tocchi compresi i frati (del convento) di San Bernardino. Era una specie di dissenteria. Detta malattia in autunno si sviluppò sotto un altro aspetto, con un malessere generale, febbre alta e qualche volta con polmonite doppia. La chiamavano anche col nome di grippe. Molti furono i morti, specialmente giovani, in conseguenza di questa malattia. I medici la chiamarono peste polmonare, ma non avevano rimedi per scongiurarla. Si diffuse per tutta l’Europa e perfino nell’America. Eccetto qualche Padre vecchio, tutti ne furono colpiti dalla stessa qui in San Bernardino e negli altri conventi”. Non c’è famiglia, in Trentino, che non abbia avuto congiunti ghermiti dalla pandemia divampata negli ultimi mesi di guerra e proseguita sino alla primavera-estate del 1919. I nonni raccontavano di quella febbre che aveva colpito lo zio o la cognata o la vicina di casa, era durata lo spazio di pochi giorni e era finita, inesorabilmente, al cimitero. Morti di spagnola si ebbero anche nei primi mesi del 1920. Sennonché tra le cause di morte l’indicazione più frequente fu bronchite, polmonite, pneumonia. S’ipotizza che la spagnola possa aver fatto “le prove

Notizie dalla “Malographia tridentina” di Giangrisostomo Tovazzi Il padre francescano Giangrisostomo Tovazzi (Volano 1731-Trento 1806) fu un attento osservatore del suo tempo, ma anche un instancabile indagatore del passato. Fra i numerosi manoscirtti da lui compilati si trova anche una Malographia tridentina, edita a cura di Gino Tomasi nel 1986, nella quale si trovano annotati, anno per anno, tutti gli eventi calamitosi individuati sulla base delle fonti documentarie da lui consultate. Il risultato è un lungo e articolato elenco di eventi dal quale si sono selezionate solo le notizie relative alle principali “pestilenze” registrate in Trentino fra il 1348 e il 1630.

1348 – Vi fu una della più grandi pestilenze, tanto che solo la terza parte della popolazione nel mondo rimase indenne. Da allora in poi sono sorti pubblici penitenti, che erano solito battersi con i flagelli (= i battuti o flagellanti). Ci fu una così grande mortalità di persone in tutto il mondo che a mala pena i sopravvissuti riuscirono a seppellire i morti. Come appariva per lo più, si manifestava come ascessi all’inguine o sotto le ascelle. 1372 – A Trento morirono molti, soprattutto bambini, dei quali su dieci appena uno sfuggì alla morte. Gli adulti in molti casi morirono di morte subitanea. 1427 – A Trento furono colpiti i cittadini da una pestilenza gravissima, così che tutta la città si spopolò. 1448, 1449, 1450, 1451 – In questi anni in valle di Non vi fu pestilenza e sopravvisse a questa peste soltanto la terza parte degli uomini.

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1482 – Nello spazio di sette mesi, perirono a Trento circa duemila persone a causa della peste. Vi fu peste anche nella Polonia minore. A Trento vi fu pestilenza anche il giorno 25 settembre 1512 – Vi fu a Riva una grande pestilenza detta appunto peste granda. Ser Leone Spagnoli mise a repentaglio la sua vita in favore dei malati che sempre assistette. Di qui il 10 ottobre 1540 Ferdinando e Girolamo suoi figli, furono accolti come cittadini rivani con il consenso di tutti, con gli onori, le dignità e i privilegi come gli altri antichi cittadini. 1524, 1525, 1526 – Vi fu la peste a Trento, nel Borgo di Santa Croce e in quello opposto di San Martino e forse anche altrove. Nella città medesima, allora c’era un Lazzaretto, ovvero un ospedale specifico per gli appestati al quale quasi ogni giorno mandava pane, carne, vino, l’ospedale della Nuova Confraternita di Santa Maria della Misericordia, secondo quanto ho tratto dal libro dell’amministrazione. Allora ogni giorno veniva mandato pane per 6 o per 8 o per 10 o per 12 o per 14 Grossi o Crucigeri. 1547 – Scoppiò la peste a Trento, della quale si riferisce nella Vita di Girolamo Fracastoro, medico allora del Concilio di Trento. 1575 – La peste infierì a Trento, Verona ed in altri luoghi (…). A Trento morirono circa cinquanta persone ogni giorno e sopravvissero ben pochi. Circa seimila morti furono contati nell’arco di sei o sette mesi. Il flagello di così grande portata cessò per merito della benedizione papale o piuttosto concessa in nome del Papa Gregorio XIII. 1580 – Si manifestò in Italia un morbo detto il “mal del montone”. 1591 – Vagò a Trento una febbre petecchiale descritta in un suo libro da Ottaviano Rovereti, medico e fisico trentino, che era presente e che soffrì per questa febbre (…). L’estate del 1590 a Trento era stata molto secca e calda e gran parte dell’autunno fu tale. Seguì un inverno molto rigido e nevoso con carestia di generi annonari. Perciò a Trento moltissimi popolani ma anche molti tra i primati (borghesi) furono colpiti da brutte febbri, che all’inizio erano quasi impercettibili con lievi disturbi, ma che un po’ alla volta dopo i primi giorni di temperatura non molto molesta, seguivano grandi dolori di testa. A causa di queste febbri morirono molti sia nobili che popolani; erano particolarmente colpiti con perdita di sangue i corpi più robusti. 1630 – A Trento la peste fu tanto crudele da lasciare quasi deserta la città. Iniziò nell’anno 1629 e continuò anche nell’anno 1631. Si propagò anche attraverso le diocesi.

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generali” ben prima del 1918. Infatti, tra il 1916 e il 1917, numerosi militari britannici morirono per un’epidemia di catarro con sintomi che, due anni dopo, parvero simili a quelli della spagnola. “Molti uomini avevano contratto l’influenza e molti ne erano morti – scrive Robert Collier (La malattia che atterrì il mondo, Mursia 1980) – ma poiché la guerra imponeva di mantenere il segreto, il personale militare non aveva fatto parola della malattia e dei decessi”. Anche in Trentino i medici militari evitarono di parlare dell’epidemia. Lasciarono traccia in qualche diario postumo che si può consultare nell’archivio della Fondazione Museo storico del Trentino. Per esempio, il medico Leopoldo Pergher (1868-1960) rievocò l’influenza nel 1923, senza dedicare, peraltro, grande spazio alle vittime. “Nell’ultima settimana di maggio 1918 comparvero i primi casi di influenza che clinicamente non si distingueva dalla solita forma accusata in passato se non per la grande frequenza colla quale si complicava con bronchiti, pneumoniti, nefriti e pleuriti. La malattia incominciava bruscamente con brivido, febbre alta, cefalgia, sudori, dolori alle ossa, abbattimento generale. Oggettivamente, oltre la febbre, una leggera congiuntivite e faringite non si trovava nulla. La febbre il primo giorno oscillava fra i 39 ed i 40, già il giorno successivo si abbassava ed al 3° o 4° giorno raggiungeva la norma. Il polso corrispondeva per frequenza alla temperatura, in qualche caso era rallentato. […] La pneumonite da influenza attaccò i nostri ammalati con un’alta percentuale, circa il 30%. In molti casi si ebbero delle vere pneumoniti, nella maggioranza però si trattava di broncopneumoniti e la diagnosi differenziale fra le due forme fu spesso assai difficile”. In verità, qualche cenno alla pandemia, il medico Pergher lo aveva già lasciato nei suoi “Appunti” del novembre 1918. “Così improvvisamente la sera del 2 novembre mi trovai sulle spalle il Ginnasio vescovile con 80 malati gravissimi, e l’ospedale Pardubitz con un centinaio circa di malati e di feriti gravissimi. Oltre questo, io aveva assunto col primo del mese il servizio di medico comunale per la parrocchia di Santa Maria [a Trento] ed avevo molto lavoro in città per la clientela privata, data l’assenza da città di molti medici e l’imperversare dell’epidemia di febbre spagnola”. Il 4 novembre 1918, il medico Pergher era stato incaricato dal comando italiano (che aveva preso possesso della città di Trento il giorno precedente) di occuparsi della sepoltura dei cadaveri. “Al mattino del 5 novembre, al cimitero, eranvi circa 94 cadaveri insepolti e più di venti erano i cadaveri ancor giacenti nei vari ospedali. Di questi cadaveri, 39 erano sconosciuti, una dozzina doveva la morte a ferite d’arma da fuoco, gli altri (quasi tutti austriaci) erano morti in seguito ad avvelenamento per gas asfissianti o a complicazioni di influenza (febbre spagnola)”. Sono gli unici cenni documentali su un flagello che fu seguito, di lì a qualche anno, da una coda: l’encefalite letargica chiamata in Trentino “mal dela nona”. A causa della letargia in Europa e Stati Uniti si contarono cinque milioni di morti.


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La sottile paura

www.fermailvirus.it è il sito contagio parla di un agente sul quale il Ministero delesterno capace di aggirare Arco, la Salute informa la popole nostre barriere – il nostro lazione circa l’andamento sistema immunitario – e di la tubercolosi, dell’influenza A (H1N1). E’ penetrare nel nostro organiil contagio una campagna interattiva smo, di mutarlo, di ammadove si potranno “trovare larlo. servizi, quiz, test e giochi Raccontano gli abitanti di di Beatrice Carmellini interattivi per adulti, giovani, Arco che, in quel famoso genitori e non, utili a preveperiodo:“C’era un po’ di tutnire il contagio, valutare te to: chi aveva tanta paura, Le testimonianze riportate nell’articolo sostesso ed aiutarci a diffonchi meno, chi solo qualche no riprese dal volume Arco di storie: uno dere la Campagna on line”. timore, e dunque anche le sguardo ravvicinato sul tempo dei sanaC’è pure una grande creaticontromisure erano più o tori ad Arco (1945-1975) (Trento, Museo vità sui rimedi che vanno dal meno drastiche”. storico in Trento, 2005) scritto da Beatrice “divieto assoluto di rendere “Paura e timore del contaCarmellini con la collaborazione di Sara i saluti di cordoglio attravergio, ma anche di possibili Maino. Questo volume ha ottenuto il ricoso la stretta di mano e dello intrusioni nella vita affettiva. noscimento della Giuria alla 35. edizione scambio di baci e abbracci Un rischio dunque anche del premio ITAS del libro della montagna sia nella cappella del cimimorale. È vero che ci soe il primo premio nella sezione “Finestra tero che nei pressi dell’abino state delle famiglie che sulle Venezie” del premio Gambrinus tazione del defunto da dove hanno abbandonato i figli, “Giuseppe Mazzotti” edizione 2006. muove il corteo funebre” che hanno sconsacrato i fialle precauzioni suggerite ai gli, perché se ne andavano calciatori di non sputare, evitare di stringersi la mano con una malata. I nonni, i padri. Insomma ad un certo e abbracciarsi prima e dopo la partita. Tutto questo mi momento ci sono stati casi di qualche famiglia che si ha riportato alla mente il quadro di Arco quando, negli è dissolta, appunto perché i genitori non vedevano di anni cinquanta e sessanta, c’era una concentrazione buon occhio, anzi di cattivissimo occhio, che la figlia altissima di sanatori e quindi di ammalati di tuberco- andasse con quel tizio là, bell’uomo.. ma ci sono state losi (tbc). Rammento lo stato di allarme nella popola- anche famiglie che si sono formate”. zione, il rischio di contagio, la paura e le dinamiche “Aveva voglia di mandare fuori gli editti l’ufficiale sarelazionali che si attivavano di fronte alla possibile nitario! Ci sono stati spessissimo anche articoli sui contaminazione della malattia per gli abitanti. giornali di questi ammalati che andavano al bar a In quegli anni nessun www.fermailbacillo si affaccia- prendere il caffé, poi veniva uno locale (una persona va all’orizzonte, ma le readi Arco) e aveva paura che zioni della gente, come pula tazzina non fosse pulita, re i proclami e le campagne che li contagiasse. La sofinformative delle autorità, ferenza era il motivo per cui davanti alle emergenze saquesta gente era qui e già nitarie, qualche affinità con escluderli… avere paura se il battage interattivo odierno vanno in quei bar... eh, sì, potrebbero averla. mi ricordo di gente pauroIeri come oggi ci sono i disa”. “Gli ammalati e le amversi, gli stranieri, i forestiemalate andavano nei negori, i turisti, i portatori sani zi, ma andavano soprattutto di virus e pure gli ammalati nei bar e allora non c’erano contagiosi: c’è il diverso più le lavastoviglie. Tutto veniva diverso dell’altro, il forestielavato a mano: i bicchieri ro con altre sfumature di vae le tazzine. Ecco, allora ci ria difformità e lo straniero sarà stata qualche barista la cui estraneità diviene più che girava due o tre volte la o meno prossima all’approtazzina sotto l’acqua e fordo o alla sosta nel suo viagse, qualcuno che la girava gio, il turista che passa e va una volta sola, ma stranae l’ammalato con malattie di mente non mi sembra che differente stigma. a quel tempo molti si siano Una molteplicità di sguardi ammalati. Piano: si saranno s’intreccia attraverso i racammalati, ma molto meno conti raccolti con l’aiuto di in proporzione a quello che Sara Maino e il lessico del veniva paventato”.

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“C’erano dei bar che erano esclusi (anche se non espressamente) alle persone degenti, perché la conduttrice del bar aveva paura essa stessa di prendere il male o non voleva una certa clientela”. “Sembra una cosa assurda adesso, razzistica, ma allora era ragione non di razzismo ma di igiene. Nei bar c’erano le tazzine degli ammalati, i bicchieri per gli ammalati… le tazzine poi andavano a finire nel medesimo pentolone dove si lavava e non si lavava, perché l’igiene era quella che era”. “Ricordo che c’era un rappresentante che apriva la porta del negozio con il gomito e non beveva un bicchier d’acqua ad Arco, ma andava a Riva e – mi vien da ridere a pensarci – proprio in un bar frequentato dagli ammalati di Arco, solo che lui non lo sapeva!” “E io ricordo invece che più avanti quando avevo conosciuto il Pretore di Riva, questi quando veniva ad Arco a fare dei sopralluoghi, non andava mai al bar a bere il caffé perché era terrorizzato dalla tbc”. Poi, su tazzine e bicchieri finisce per emergere un certo pragmatismo: “Non c’erano le lavastoviglie come adesso, lavavano i bicchieri e le tazzine in qualche modo. E forse lavavano meglio allora magari: in fondo c’è chi le pulisce bene, e chi no anche adesso. C’erano certe trattorie di Arco che tenevano separati i bicchieri degli ammalati da quelli degli altri, lo ricordo. Però quando andavo dentro io, che ero amico degli ammalati, non si fidavano a darmi il bicchiere diverso, li davano tutti uguali per non fare vedere agli ammalati che si facevano differenze. Comunque ad Arco, certi, quelli che avevano le trattorie per esempio, li vedevano bene i malati. Per loro era una fonte di guadagno volere o volare, insomma. Perché pagavano”. Comunque non solo i locali pubblici facevano paura, se il contagio avviene per via aerea si espande ovunque: “Noi (di Arco) si veniva mandati a studiare a Rovereto o a Trento e i nostri compagni, quando sapevano che eravamo di Arco, la prima reazione era di repulsione. Poi si diventava amici, ma comunque se i loro genitori passavano anche solo in macchina da Arco chiudevano i finestrini e si mettevano il fazzoletto davanti alla bocca. La maggior parte di noi era ormai cauterizzata, ma alcuni hanno pagato”. Ma ci sono altre sfumature, vi è una reciprocità di sguardi. Se la gente di Arco viveva la paura nei confronti dell’altro, dell’ammalato e della sua malattia, che cosa sente, pensa, racconta la voce di chi sa di essere portatore di pericolo? Qui troviamo che, anche se tazzine e bicchieri venivano cambiati per servire caffé o bibite, questo fatto selettivo poteva essere vissu-

to quasi come giustificato, perché in fondo poneva un problema concreto di legittima cautela. “Sì, è vero, cambiavamo i bicchieri e anche le tazzine del caffé. Ma non lo trovavo strano, mi sembrava persino rispettoso, così almeno me lo faceva apparire la mamma”. “Non ricordo di essermi sentita in qualche modo discriminata nemmeno dalla gente di Arco, è che tu, ammalata, diversa e terona, ti senti insicura, è una insicurezza che quarant’anni fa la malattia stessa poteva darti, cioè il timore di poter fare qualcosa agli altri e anche così dai valore alla vita, apprendi delle cautele, non solo per te stessa”. “C’era forse una divisione, non so se fosse esattamente una discriminazione, del resto, sai, in qualche modo gli ammalati erano consapevoli di essere pericolosi. Questa cosa uno la viveva, il timore di poter contagiare qualcun altro. Forse, se c’erano discriminazioni, in qualche modo venivano vissute come giustificate”. Il contagio terrorizza. Perché lascia intravedere la possibilità di una infezione, di un mutamento agito da un qualcuno o da un qualcosa che interrompe l’impenetrabilità del corpo – individuale e/o sociale – su cui si costruisce e si ricostruisce incessantemente la nostra esperienza della realtà. Nel contagio avviene una mutazione, l’esterno che modifica l’interno, il deperimento, la ferita, gli umori che si guastano. Il contagio è portato da un virus, da un bacillo che da fuori entra. Il contagio discrimina: malati e sani, ma anche stranieri, diversi. Da un fuori a un dentro. L’idea di contagio provoca il sospetto, la paura che, a loro volta, attivano le difese e le contromisure sia preventive che di cura. Le testimonianze che raccontano come veniva vissuto uno stato di allarme e di paura del contagio quasi cinquanta anni fa non hanno molto di differente, nella sostanza, a quelle raccolte oggi da persone che hanno vissuto o stanno vivendo l’esperienza di un “vivere altrove”, l’esperienza di sentirsi in qualche modo diversi e discriminati. Anche i racconti dei migranti sono intrisi e pervasi da un vissuto di incomprensione, dallo scoglio pungente o viscoso delle difese altrui. Il virus viene da fuori, ha la figura perturbante dello straniero, a riprova di come un’influenza, un contagio esterno rappresenti sempre la messa in discussione di un’identità presupposta che si sente minacciata. Auspico pertanto un ricco sito www.fermaivirusmentali.com, completo di servizi, quiz, test e giochi interattivi per adulti, giovani, stranieri e non, utili a valutare te stesso ed aiutarci a diffondere la Campagna interattiva on line.

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Cattive influenze

Abbiamo chiesto di parlarci Ma prima di ipotizzare oggi della recente pandemia di un’epidemia come quella opinioni sul virus H1N1 influenza A a Gios Bernardi del primo dopoguerra, va e Bruno Bizzaro, rispettivatenuto presente che allora e altro ancora mente il presidente della non esistevano antiviraFondazione Pezcoller e il li, sulfamidici né antibiointerviste con Gios Bernardi presidente dell’Ordine dei tici. Inoltre, sembra che e Bruno Bizzaro farmacisti della provincia di le vittime della spagnola Trento. Il dottor Gios Bernarfossero causate da coma cura di Paola Bertoldi di è personaggio assai noto plicazioni dovute a pneunon solo per la sua dediziomococco, un batterio oggi ne alla professione medica, curabile nel 90% dei casi. ma anche per l’impegno I governi e le strutture dedicato quotidianamente mediche erano preparati alla ricerca scientifica. Da vent’anni guida, infatti, la all’esplosione della nuova influenza? Fondazione Pezcoller, che ha come fine istituzionale La diffusione della pandemia è iniziata nell’emisfero la promozione della ricerca scientifica per la lotta con- australe, in corrispondenza della locale stagione intro le malattie che affliggono l’umanità e, specificata- vernale. Grazie ai collegamenti consentiti oggi dalla mente, contro il cancro. Si è laureato in medicina nel globalizzazione quando è arrivata da noi, nell’emi1947, è specializzato in radiologia e ha compiuto 87 sfero nord, c’era già l’esperienza di una larga diffuanni nel gennaio di quest’anno. Ha risposto alle nostre sione al sud: si conoscevano le caratteristiche del domande premettendo di non avere una competenza virus, la tipologia di persone più colpite e questo ha specifica sull’influenza A, ma solo “il buon senso di uno consentito di preparare i vaccini. che è medico da sessant’anni”. Per questo, gli abbia- È vero che non si può dire cosa succederà fra qualmo chiesto di fare alcune considerazioni sulla diffusio- che mese ma per ora abbiamo avuto abbastanne del nuovo virus e un approfondimento più ampio za informazioni da trovarci preparati ad affrontare sull’aspetto della ricerca scientifica in campo medico. l’emergenza. Bruno Bizzaro invece è il presidente dell’Ordine dei È comunque interessante osservare che il picco farmacisti della provincia di Trento. Cinquant’anni com- della nuova influenza da noi c’è stato a novembre, piuti da poco, è il titolare della farmacia San Lorenzo, cioè prima dell’influenza stagionale che di solito arin piazza general Cantore. Una farmacia che s’identi- riva a gennaio-febbraio. fica con la zona di Cristo Re, visto che è stata aperta Com’è noto, sono più a rischio i bambini degli ultra nel 1955, negli anni in cui il quartiere prendeva forma sessantacinquenni, contagiati solo nel 3-4% dei cae poco dopo la costruzione della vicina chiesa. Il suo si. Ecco perché il piano di vaccinazione per l’Italia lavoro di farmacista lo pone a contatto quotidiano con non obbligava nessuno a sottoporsi al vaccino ma le persone: nessuno meglio di lui poteva raccontarci è stato proposto ed effettuato sulle categorie a ridell’atteggiamento della gente nei confronti della nuo- schio e sui bambini. va emergenza e delle misure adottate per contrastarla, È importante vaccinarsi contro il nuovo virus? prima fra tutte il vaccino. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il vaccino non ha significativi effetti collaterali ed è La pandemia dovuta stato accertato che contro l’influenza gli antivirali Gios Bernardi al virus H1N1 è stata (oseltamivir) sono efficaci. Adesso sono in corso definita “l’emergen- delle verifiche perché sembra che il virus stia muza virale del terzo tando. Ci sono stati dei casi in Norvegia e un paio I media hanno millennio”. Pensa anche in Italia. lanciato troppi che le paure fossero Fino ad ora si tratta di eventi statisticamente poco allarmi sulla fondate o che siano rilevanti, ma serve attenzione per evitare che i nuostate alimentate dai vi virus non si diffondano. Nel corso di un recente pericolosità convegno, Luc Montagnier, il virologo che insieme media? del vaccino Sono consapevole a Robert Gallo ha scoperto il virus responsabile che i media ci hanno dell’Aids, ha ricordato che è molto importante allarmarciato molto, anche e soprattutto in Italia e in gare la vaccinazione. buona parte la paura è stata gonfiata. Uno dei pec- Questo perché più persone vengono immucati originali della stampa consiste nel sollecitare i nizzate e meno probabili saranno le mutaziotimori della gente su argomenti di interesse collet- ni del virus. Se il virus H1N1 dovesse trasfortivo. Leggendo i giornali uno degli esempi riportati marsi, il vaccino non sarebbe più efficace. più frequentemente era il paragone con la terribile Detto questo, è naturale che alcune categorie di influenza spagnola del 1918-1919, che causò circa persone devono fare attenzione: per le donne in gravidanza il vaccino è sconsigliato perchè potreb50 milioni di morti in tutto il mondo.

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be far male al bambino, ed è pericoloso anche per chi soffre di malattie autoimmuni come la psoriasi, allergie croniche gravi, asme bronchiali, eczemi ecc. Perché la gente non si è voluta vaccinare? Perché è subentrato nella gente un sentimento di paura. È quello che succede quando si tratta di assumere farmaci nuovi e molto discussi dalla stampa e dall’opinione pubblica. L’allarme si diffonde anche perché in situazioni come questa capita sempre che i media denuncino con clamore qualche caso sporadico di effetti collaterali gravi o mortali. È chiaro che su milioni di vaccinati possono verificarsi eventi limite, ma la gente non va disorientata con informazioni diverse e contrastanti. Lo stesso vale per tutti gli articoli che parlavano dello scetticismo dei medici verso il vaccino: sono notizie poco utili e hanno un impatto socialmente negativo. Se io lavorassi ancora in ospedale mi sarei vaccinato di sicuro, anche per rispetto verso i pazienti.

Chi è che produce il vaccino contro il virus H1N1? Sono i laboratori delle industrie farmaceutiche, affiancati dalle strutture governative. Anche su questo aspetto ci sono state delle polemiche perché si è osservato che la produzione del vaccino porterà miliardi nelle casse delle industrie produttrici. Questo è inevitabile, ma è anche vero che ci sono state case farmaceutiche che hanno donato milioni di dosi di vaccino all’Organizzazione mondiale della sanità. Che differenza c’è fra la ricerca scientifica per il vaccino anti-influenzale e la ricerca contro le altre malattie? Non c’è nessuna differenza. Per fare un paragone, è come se mi trovassi davanti a cinque delinquenti colpevoli di reati diversi e dovessi trovare le prove per condannarli. Inizio con cinque inchieste che utilizzano lo stesso metodo, ma seguono strade diverse in base alle differenti tracce che si trovano sul percorso. Lo stesso vale per la ricerca scientifica: in un caso

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Le spade di Damocle: paure e malattie nella storia, di Giorgio Cosmacini (Bari, Laterza, 2006). Le malattie e le epidemie nascono, crescono, si stabilizzano, declinano, scompaiono. Esse appartengono alla fenomenologia del vivere. La loro evoluzione, che ha conosciuto transizioni epocali sconvolgenti in coincidenza di grandi movimenti di popoli o di intensi scambi commerciali o bellici, deve oggi fare i conti con la globalizzazione. Quello che si riteneva fosse il punto di non

ritorno di malattie credute anacronistiche – le epidemie contagiose – è diventato il giro di boa di malattie vecchie sempre più nuove: vecchie perché ancora trasmissibili attraverso i canali della comunicazione e della contaminazione tra viventi, e nuove perché totalmente diverse da prima, trasformate per legge biologica di mutazione e per legge storica di evoluzione. Giorgio Cosmacini firma un ampio affresco storico della patologia nei due millenni dell’era cristiana, dalle antiche pestilenze alle cosiddette “malattie della civiltà” del ventunesimo secolo.

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si parte da campioni di sangue di persone contagiate dal virus H1N1, in un altro da campioni istologici di malati di cancro, solo per fare un esempio. Negli anni le tecniche sono ovviamente cambiate moltissimo. Una volta si osservava e annusava l’urina, adesso siamo a livello di molecole e nanotecnologie. Qualche tempo fa parlavo con un ricercatore italo-americano: mi spiegava che nel suo laboratorio lavorano con particelle così microscopiche che ne servono 8-10 mila per fare il volume di un globulo rosso. Sono cose difficili anche solo da immaginare, soprattutto perché la medicina studiata 65 anni fa era tutta un’altra cosa. L’avvenire della ricerca scientifica mimerà un po’ quelle che sono le esperienze spaziali. L’Apollo era composto da un involucro esterno che ad un certo punto si distruggeva per mandare avanti la navicella interna che arrivava sulla luna. Allo stesso modo, la medicina di oggi dispone di strumenti che con tecnologie sempre più piccole riescono a raggiungere la zona malata in modo più preciso e meno invasivo. Perché è stato così veloce elaborare il vaccino contro l’influenza A e invece non esiste ancora un vaccino per l’Aids? Si tratta di mancanza di fondi per la ricerca? È vero che nel caso dell’Aids ci sono difficoltà obiettive particolari e quello che è stato elaborato come vaccino è molto vago. Va aggiunto che se per l’influenza A ci si avvantaggia dei risultati degli studi portati avanti in passato (sono comparsi una decina di virus influenzali prima di questo), per l’Aids non è così, non ci sono lavori precedenti che danno un impulso alla ricerca.

Se poi allarghiamo il discorso e facciamo il paragone fra l’influenza e il cancro, la differenza è ancora più grande perché nel caso della H1N1 si tratta di individuare un solo virus in tutto il mondo, mentre sappiamo che ci sono migliaia di tipologie diverse di cancro che richiedono cure differenti. La Fondazione Pezcoller è da molti anni impegnata nella lotta contro il cancro. Quali passi avanti si sono fatti nella ricerca di una cura? È una malattia che fa ancora così paura? Del cancro è diminuita molto la mortalità ma non la morbilità, cioè l’intensità dell’impatto della malattia sulla popolazione. Le stime dicono che fra 10-15 anni sarà la prima causa di morte al mondo, non solo al nord, superando le malattie cardiovascolari e le altre cause di morte. C’è una lunga storia di paure legate al cancro perché è sempre stata considerata una malattia misteriosa e fatale. Oggi è molto più conosciuta, ma resta comunque estremamente varia. Ci sono tantissimi tipi diversi di tumore e non si può sicuramente sperare di scoprire un’ipotetica “pillola contro il cancro”. Le tecniche moderne consentono di curare i malati con sistemi sempre meno invasivi e la medicina molecolare sta prendendo il posto della chirurgia mutilante. C’è un altro aspetto di differenza rispetto al passato perché l’orientamento che oggi sembra più efficace prevede una terapia mirata per ogni persona. Un approccio individualizzato ha infatti risultati migliori ma ovviamente implica costi più elevati: la conseguenza purtroppo sarà che i ricchi potranno curarsi mentre i poveri continueranno a morire di cancro.

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Il quarto cavaliere: breve storia di epidemie, pestilenze e virus, di Andrew Nikiforuk (Milano, Mondadori, 2008). Dei quattro cavalieri dell’Apocalisse – la guerra, la morte, la carestia e la pestilenza – il quarto è forse il più temibile. In effetti malattie ed epidemie di ogni tipo nel corso dei secoli si sono dimostrate capaci di minare la solidità di grandi imperi, sconfiggere potenti eserciti, cambiare per sempre il nostro modo di vivere e amare. Spesso indicate come catastrofi naturali, le epidemie di massa non arrivano inaspettate e serve un

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potente sforzo di “civiltà” perché germi e batteri non possano ottenere risultati devastanti come più volte è successo nel corso della storia, dalla peste nera del Medioevo alla sifilide rinascimentale, dal vaiolo del Settecento fino all’Ebola. In questo originale saggio Andrew Nikiforuk, analizzando la millenaria convivenza dell’uomo con le malattie infettive, spiega come e perché alcuni germi hanno raggiunto un potere così devastante per la specie umana. L’autore traccia così una panoramica della storia sociale del Vecchio e del Nuovo Mondo.


È migliorata nel tempo l’attenzione delle persone verso la prevenzione dei tumori? La prevenzione e la diagnosi precoce sono i metodi più importanti per contrastare la malattia e costano relativamente poco. Oggi possiamo assicurare che ci sono buone risposte da parte della gen-

te: rimangono delle differenze di tipo culturale ma le persone dimostrano una sempre maggiore sensibilità. I casi spaventosi di tumore che si potevano vedere cinquant’anni fa non ci sono più per fortuna. Posso ricordare da qualche valle del Trentino la provenienza di donne con manifestazioni necrotizzanti e maleodoranti di cancro al seno. Questo per evidente arretratezza culturale in parte dovuta ad assurde forme di pudore, conseguenti forse anche ad una sorta di terrorismo religioso.

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino La morte nera: storia dell’epidemia che devastò l’Europa nel Trecento, di John Hatcher (Milano, Mondadori, 2009). 1349. La mortifera pestilenza che da oltre due anni sta devastando l’Europa intera approda in Inghilterra. Sbarcata nel 1347 sulle coste del Continente, l’epidemia di origine orientale, passata alla storia come “morte nera”, si era propagata per tutto il Mediterraneo, contaminando le più importanti rotte di comunicazione e commercio, sempre preceduta da un’onda di allarmanti passaparola. Superato il canale della Manica, le spaventose leggende – e la misteriosa, letale malattia – invadono infine anche il Suffolk e la serena e operosa comunità di Walsham. Si tenta ogni strada per contrastare la

terribile piaga: studi medici e astrologici, flagellazioni, pellegrinaggi e processioni, corsa alle sante reliquie e improvvide fughe, preghiere, ma il villaggio di Walsham è falcidiato. Di fronte all’irrompere di simile catastrofe, Master John, sacerdote di umili origini, ma di grande dottrina, accompagna i suoi compaesani (la moglie fedele Agnes, il contadino Robert Helpe, la devota Margery, il blasfemo Simon) attraverso tutti gli stadi del contagio fino alla fine. E, mentre la peste miete le sue vittime, un predicatore con la barba grigia e la voce tonante recita a Walsham i più impressionanti versetti dell’Apocalisse, ricordando che al suono della sesta tromba un terzo dell’umanità è destinata a morire.

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Bruno Bizzaro

In quanto farmacista, il suo è un osservatorio priLa gente aveva vilegiato. Come si bisogno di essere è modificato l’atteggiamento della tranquillizzata, gente da quando si invece è stata è iniziato a parlare spesso spaventata di pandemia? con informazioni Abbiamo senza dubbio assistito a contrastanti maggiori livelli di allarmismo e preoccupazione. Questo in buona parte perchè le informazioni che arrivavano all’utente erano troppe e contraddittorie e si sa che non c’è nulla di peggio che dire cose diverse e in contrasto fra loro su un tema che spaventa. A livello istituzionale le informazioni erano abbastanza univoche. Il problema però è che spesso i giornali pubblicavano notizie diverse e gli operatori sanitari non sempre hanno avuto comportamenti coerenti. È quello che è successo con la campagna di vaccinazione: da un lato il Ministero consigliava a milioni di persone di vaccinarsi, dall’altra i giornali parlavano delle controindicazioni del vaccino e annunciavano che i medici non si volevano sottoporre alla profilassi. In certi momenti si palpava una forte paura nella gente, di solito in corrispondenza degli allarmi lanciati dai media. Se una mattina i quotidiani titolavano “Primo morto per l’influenza A” l’ansia delle persone cresceva. Quando c’è stata la partita Ucraina-Italia la televisione ha trasmesso le riprese dei tifosi allo stadio, tutti con le mascherine. Questo tipo di immagini e di notizie avevano forti ripercussioni sulla paura della gente, lo potevamo osservare quotidianamente nel nostro lavoro. Quali sono stati i prodotti più venduti per contrastare la diffusione del virus? Sicuramente le mascherine e i gel antibatterici. La gente li chiedeva con insistenza anche se magari non ne aveva realmente bisogno. Nel momento di massimo allarme c’è stato un periodo in cui il gel non si trovava più da nessuna parte. Poi invece si è diffuso ovunque, lo si poteva acquistare anche dal benzinaio e dal tabaccaio. In realtà l’utilità di questi sistemi dipende molto dal comportamento della persona. Il virus si trasmette per via aerea: se qualcuno è ammalato, stargli nel raggio di un metro può essere pericoloso. Questo significa che in una metropolitana affollata la mascherina può avere un senso, ma indossarla mentre si cammina per strada è assolutamente inutile. Lo stesso vale per il gel antibatterico: è consigliato a chi ha una vita di relazione intensa, perciò viene in contatto quotidianamente con molta gente e non ha la possibilità di lavarsi le mani spesso. Non è niente di magico, si tratta di un aiuto per abbattere la carica virale e microbica. Avete ricevuto delle direttive precise o del materiale informativo da distribuire da parte del Ministero o della Provincia?

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Più dal Ministero che dalla Provincia. Ci era stato detto di fornire una certa informazione sulla vaccinazione, il nostro compito era quello di sollecitare le categorie a rischio a vaccinarsi e rassicurare gli altri. La maggior parte della gente aveva solo bisogno di essere consigliata e tranquillizzata. Come dicevo, il problema della comunicazione sul vaccino è stato l’affastellarsi di informazioni contrastanti. C’erano molte perplessità: chi diceva che il vaccino è stato elaborato troppo in fretta, chi non aveva fiducia nel farmaco, specie dopo aver letto che la maggior parte dei medici non si voleva vaccinare. Su questi aspetti il Ministero non si è comportato in maniera proprio specchiata. In che senso? L’azienda incaricata di produrre il vaccino era la Novartis e il contratto fra il governo e la casa farmaceutica è stato secretato, nessuno sapeva niente. Questo non è un bel segnale, anche perché si accompagnava a voci poco rassicuranti: dicevano che il contratto escluderebbe la Novartis da possibili imputazioni in caso di conseguenze negative del vaccino. In pratica, se il vaccino avesse degli effetti collaterali, la ditta che lo produce non ne dovrebbe rispondere. È chiaro che sono solo supposizioni che circolano, ma dimostrano una generale mancanza di uniformità nella comunicazione. A noi ad esempio è stato consegnato un foglio da Unifarm, con qualche informazione sulla nuova influenza e l’invito a distribuirlo. Personalmente non ne condividevo interamente i contenuti, specie la parte che dice: “Il vaccino contro il nuovo virus H1N1 è ancora in fase di registrazione e sarà disponibile probabilmente da novembre. Non si sa se, al momento della sua commercializzazione, saranno documentate l’efficacia e la sicurezza”. Una spiegazione di questo tipo non aiuta le persone a capire, è più facile che le metta in allarme. È anche per questo che la percentuale di persone che si sono fatte vaccinare è stata molto inferiore rispetto alle previsioni? L’Azienda sanitaria si aspettava code chilometriche davanti agli ambulatori per farsi vaccinare, invece non è successo. Questo perché la gente si è molto spaventata all’inizio, ma in seguito è stata rassicurata. Ha capito che la pandemia è diffusa e colpisce molte persone ma è meno pericolosa dell’influenza stagionale. C’è chi fa notare che la nuova influenza ha rappresentato un’ottima fonte di guadagno per le case farmaceutiche. In parte è ovvio, basti pensare che solo lo stato italiano ha acquistato 40 milioni di dosi di vaccino, che non sono poche. L’aspetto su cui riflettere però è un altro: di questi 40 milioni, fino a gennaio 2010 ne verranno consegnate circa la metà. Si calcola che 24 milioni di dosi di vaccino verranno distribuite a fine febbraio e a marzo. Questo pone delle domande: si sono ipotizzati due picchi dell’influenza, uno a novembre fino a metà dicembre, l’altro a gennaio-febbraio. In base a queste previsioni, che senso ha distribuire più della metà delle dosi di vaccino dopo la fine del secondo


picco? Lo si è giustificato spiegando che è importante evitare la diffusione dell’epidemia nel 2010, il che può benissimo essere vero. Però è inevitabile che qualcuno veda nella notizia solo un espediente per motivare il ritardo nella consegna dei vaccini acquistati. Tanto più se, come sembra stia già succedendo, il virus dovesse mutare, rendendo inutile la vaccinazione. Che cosa succede esattamente quando un virus muta? Ci sono principalmente due tipi di mutazioni. Una è la cosiddetta “antigenic drift”, cioè la tipica trasformazione del virus dell’influenza stagionale che, come sappiamo, ogni anno è diversa. In questo caso avviene una modifica nella disposizione delle glicoproteine del virus: sono gli stessi amminoacidi che si ricombinano cambiando assetto. Ben diversa è l’”antigenic shift” che cambia proprio il tipo di proteine del virus provocandone una mutazione totale. È quello che è successo per l’influenza A: il virus non è cambiato leggermente da uomo a uomo, ma radicalmente da animale a uomo. È più o meno la situazione dell’aviaria, solo che noi abbiamo elevate affinità chimico-biologiche con il maiale, molto più che con gli uccelli o, anche se sembra strano, con i primati. Per fare un esempio, la prima iniezione di insulina in un organismo umano era insulina suina. E la famosa spagnola che nel 1918 falciò milioni di persone derivava dal maiale. Al di là dell’influenza A, la gente come vive oggi il rapporto con il farmaco? C’è fiducia nella medicina tradizionale o si ricorre anche alla medicina alternativa? Sicuramente c’è un atteggiamento di fiducia nei confronti del farmaco: so che se lo prendo sto bene. Allo stesso tempo è importante che la gente ricordi che la parola “farmaco” deriva dal greco e vuol dire “veleno”. In altre parole, fa bene per certe cose e male per altre. Il problema è che spesso le persone non hanno questa consapevolezza, ma assumono atteggiamenti dicotomici, perciò o dimostrano cieca fiducia nei farmaci e ne fanno un uso a volte eccessivo, oppure si convincono che facciano male e si rivolgono ad altro. Molti sono convinti per esempio che le sostanze naturali non abbiano effetti collaterali, invece alcune erbe (ad esempio quelle utilizzate come lassativo) sul lungo periodo sono più dannose dei farmaci. Ogni giorno ci sono notizie di ritiro dal mercato di prodotti erboristici. Una parte di responsabilità ce l’hanno la classe medica e le istituzioni che si occupano so-

lo della medicina tradizionale e lasciano il mondo del naturale ai cosiddetti “praticoni”. Di conseguenza si crea una spaccatura totale fra i due settori. Io vedo benissimo una integrazione e credo che il mondo naturale e la medicina tradizionale possano essere momenti diversi di un unico percorso terapeutico. Come si è trasformata la figura del farmacista nel tempo? Nell’ultimo secolo la nostra professione è stata rivoluzionata, in modo particolare negli anni cinquanta, con l’avvento della farmacia industriale. Un tempo l’utente si presentava con la prescrizione del medico e il farmacista si ritirava nel suo laboratorio e preparava il farmaco, mentre la gente aspettava nell’apposita sala. Oggi questo è difficile anche solo da immaginare. Ovviamente ogni farmacia è attrezzata per poter preparare i farmaci (chiamati “galenici”), ma succede raramente; qui ne facciamo circa 10 in settimana. A partire dagli anni sessanta invece, è aumentata l’attività consulenziale dei farmacisti, che prima non esisteva, cioè l’erogazione di servizi oltre che di beni. Molte persone arrivano per chiedere un parere veloce, anche perché la farmacia è più accessibile e facilmente consultabile dello studio del medico. Noi diamo una prima risposta che indirizza l’utente in una direzione piuttosto che in un’altra. Un aspetto critico sono le preoccupazioni sorte in quest’ultimo periodo sul futuro della facoltà universitaria di farmacia, perché si sentono voci sul suo possibile accorpamento con la facoltà di medicina. Questo sarebbe grave perché si tratta di due cose molto diverse: il farmacista non si occupa di diagnosi e il medico non distribuisce i farmaci. La divisione fra arte medica e farmacia risale al 1200 quando Federico II di Svevia la impose per evitare un conflitto di interesse, cioè che il medico vendesse i farmaci.

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Rischio pandemico e azione pubblica

Il rischio di una pandemia Affari Esteri e con gli orgainfluenzale è diventato più nismi internazionali preposti concreto e persistente dalgli aspetti di cooperazione la fine del 2003, da quando internazionale e assistenza cioè i focolai di influenza umanitaria. a cura dell’Ufficio stampa aviaria da virus A/H5N1 si L’obiettivo del piano è stato dell’Azienda provinciale sono manifestati endemicaquello di rafforzare la preper i servizi sanitari del Trentino mente nei volatili nell’area parazione alla pandemia a estremo orientale ed il virus livello nazionale e locale, in ha causato infezioni gravi modo da: anche negli uomini. • identificare, confermare e Per questo motivo l’Orgadescrivere rapidamente casi nizzazione mondiale della di influenza causati da nuovi sanità (OMS) ha raccomandato a tutti i Paesi di met- sottotipi virali, in modo da riconoscere tempestivatere a punto un piano pandemico e di aggiornarlo mente l’inizio della pandemia; costantemente seguendo le linee guida concordate. • minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la L’attuale piano adottato in Italia, stilato secondo le in- morbosità e la mortalità dovute alla pandemia; dicazioni dell’OMS del 2005, aggiorna e sostituisce il • ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari precedente “Piano italiano multifase per una pande- e sociali ed assicurare il mantenimento dei servizi esmia influenzale” pubblicato nel 2002. senziali; Esso rappresenta il riferimento nazionale in base al • assicurare un’adeguata formazione del personale quale saranno messi a punto i piani operativi regio- coinvolto nella risposta alla pandemia; nali. Il piano si sviluppa secondo le sei fasi pandemi- • garantire informazioni aggiornate e tempestive per che dichiarate dall’OMS, prevedendo per ogni fase i decisori, gli operatori sanitari, i media ed il pubblico; e livello, obiettivi ed azioni. Molte delle azioni indivi- •monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi. duate sono già state reLe azioni chiave per ragalizzate man mano che giungere gli obiettivi del la situazione epidemiopiano sono state: logica lo ha richiesto. •migliorare la sorveLe linee guida nazionali glianza epidemiologica per la conduzione delle e virologica; ulteriori azioni previste •attuare misure di presono state emanate a venzione e controllo cura del Centro nazionadell’infezione (misure di le per la prevenzione e il sanità pubblica, profilascontrollo delle malattie si con antivirali, vaccina(CCM), come allegati zione); tecnici al piano e perio•garantire il trattamento dicamente aggiornate e l’assistenza dei casi; ed integrate. •mettere a punto piani In coerenza con i princìdi emergenza per manpi del piano, il Ministetenere la funzionalità dei ro della salute si è fatto servizi sanitari ed altri carico di individuare e servizi essenziali; concordare: •mettere a punto un • con le Regioni le atpiano di formazione; tività sanitarie sia di •mettere a punto adetipo preventivo che asguate strategie di comusistenziale da garantire nicazione; su tutto il territorio na•monitorare l’attuazione zionale; delle azioni pianificate • con i Dicasteri coinper fase di rischio, le cavolti le attività extrasanipacità/risorse esistenti tarie e di supporto, finaper la risposta, le risorse lizzate sia a proteggere aggiuntive necessarie, la collettività che a mitil’efficacia degli intervengare l’impatto sull’ecoti intrapresi; il monitonomia nazionale e sul raggio deve avvenire in funzionamento sociale; maniera continuativa e • con il Ministero degli trasversale, integrando

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ed analizzando i dati provenienti dai diversi sistemi informativi. Ed è a questo punto che la Provincia autonoma di Trento ha convocato il Comitato pandemico provinciale, già attivo da alcuni anni, composto da esperti di igiene pubblica, da epidemiologi, da rappresentanti della Protezione civile e dell’Assessorato provinciale alla salute per programmare una serie di interventi sia dal punto di vista comunicativo che formativo sul tema dell’imminente pandemia identificata nell’influenza A, H1N1. Uno degli obiettivi che ci si è posti fin dal principio è stato quello di essere molto chiari e precisi sull’informazione da dare agli utenti, per evitare inutili allarmismi. Fin da subito è stata chiara la non gravità della sindrome influenzale, che si è peraltro presentata con delle caratteristiche ben precise: molto facile la trasmissione soprattutto tra i giovani, poco aggressiva per le persone sane, non letale nella maggioranza dei casi. Da allora, era l’agosto 2009, il gruppo è riuscito, in stretta relazione con il Ministero della salute, a coordinare le campagne mediatiche, con supporti pubbli-

citari televisivi, radiofonici e naturalmente della carta stampata, fino al momento dell’inizio della vaccinazione. La distribuzione dei vaccini – la prima fase finirà in gennaio 2010 – ha seguito una precisa cronologia per immunizzare le così definite categorie a rischio e nello stesso tempo garantire i servizi essenziali. La percentuale di chi è disposto a vaccinarsi (media 28%) è stata significativamente più alta tra i portatori di malattie croniche (34% vs. 27% dei sani), tra chi ha una cattiva percezione della sua salute (35% vs. 25% di chi ha una buona percezione), tra gli obesi (38% vs. 26% dei normopeso), tra chi si rivolgerebbe all’ASL per ulteriori informazioni (39% vs. 22% di chi le cercherebbe su internet). Non c’è differenza nella disponibilità a vaccinarsi per età, istruzione, area geografica né per presenza di bambini. È stato possibile implementare in breve tempo un modulo di emergenza. Sono stati diffusi in maniera tempestiva risultati potenzialmente utili in sanità pubblica.

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Poiché il nostro villaggio per l’irrompervi della Colèra si trovò nella più pericolosa condizione, non so bastantemente ringraziare il grande Iddio all’esser io riuscito di rinvenire di già nella prima mia pruova il modo curativo di questa terribile malattia. Più pericolosa ch’essa è, altrettanto facile riesce d’ottenerne la guarigione: e com’essa accelera la morte, ove la non si abbatta con gli opportuni rimedj, così essa cede sì tosto al solo opporgliene. L’esperienza in fatti mi assicura con quella certezza, che non so dire maggiore, non morirne né men uno, ov’egli usi del semplicissimo rimedio da me suggerito; a condizione però, e non altrimenti, che incessanti sieno la pazienza dell’infermo e la sollecitudine e cura di chi è chiamato ad assisterlo. Da poi che di questo morbo, tre ne perirono, non appena assaliti, e ch’il signor Giudice distrettuale, qui venuto onde chiudere il passaggio pel fiume Teiss, ebbe dichiarato, regnarvi ormai l’infelice contagio, ho sì tosto portato le mie indagini su’ segni, che annunziano agl’individui la presenza del male. Il vidi spiegarsi con un repentino senso d’intenso freddo; e quindi all’infermarne d’altri due, riflettendo che debbono già perire, e ch’il mio far prova di salvarli; quand’anco loro non giovasse, non però nuocerebbe, ho creduto dover tentare come riscaldarli. Li feci quindi coricarsi a letto, coprir bene e involgere nelle coperte, applicar loro de’ fomenti (qui volgarmente Caldei), ber caldo, vietando assolutamente l’acqua fredda. Con l’ajuto del Cielo questo mio tentativo fu coronato del più distinto successo, e fu ventura trovare in questi due chi mi ubbidisse. Dal riescimento di queste prime pruove, e dal tenore d’una lettera d’un medico tedesco e di simili racconti ne’ pubblici foglj intorno a’ metodi curativi, che si sogliono praticare in

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“Intorno al metodo di trattamento degl’infermi di colera” empiria e scienza in un documento del 1831

Nel 1831, contemporaneamente al propagarsi delle prime notizie sul rischio di un’epidemia di colera nel vecchio continente, fu data ampia diffusione anche in Trentino a una Lettera di un parroco di Tisza-Babolna [Giovanni Morvay] nel comitato Borsod in Ungheria intorno al metodo di trattamento degl’infermi di colera, da lui praticato con ottimo successo nella propria parrocchia (Archivio di stato di Trento, Giudizio distrettuale di Civezzano, Sanità, 1831, cart. n.n.). Di seguito se ne propone la fedele trascrizione dalla quale emerge sia l’importante funzione svolta dal parroco in ambito sanitario sia il ricorso ad una conoscenza frutto di un esperienza maturata prevalentemente sul campo.

Riga, da’ quali potei persuadermi, di non essermi ingannato sul modo di trattamento degli affetti da questo morbo, fui vieppiù animato nel desiderio di ajutare gl’infermi miei simili e incoraggiato a proseguire. Laonde sì in Chiesa, che fuori pubblicai le pericolose e gravi conseguenze di questo contagio; ma nel tempo stesso feci noto che sicuramente guarirebbe chi ricorresse all’anzidetto rimedio; e quale esso sia e come in usarlo si debba procedere istrussi il mio piccolo gregge. Chi ubbidisce non muore: ma chi ostinato persiste nella cieca imprudenza di non valersene, o l’infelice a cui, perduto l’uso della ragione, da mal consigliata pietà venisse portata dell’acqua fredda, soccombe sicuramente. Il metodo curativo è il seguente. Già pria che il morbo irrompesse, il popolo fu informato, per quai segui nell’individuo si possa conoscere, che il male sta per assalirlo, e sono: vertigini, prostrazione delle braccia, e degli arti, dolori o ‘l mal essere dello stomaco, diarrea. A questi segni, a chi li prova, dee sul fatto, e senza alcun indugio porsi a letto. Io uso di porre un tale infermo in un letto ben riscaldato, coprirlo con panni o pellicce per modo che non rimangagli scoperto, che solamente il naso, e lo stesso capo io gli copro con un drappo. All’infermo così coricato faccio applicare sì tosto de’ fomenti composti di menta crespa (Herba menthae crispae Menta comune detta volgarmente Susembri); di radice di Santolina (Radix Abrotani detta volgarmente Slambrodoi); di Satureja o Santureggia (Herba Saturea volgarmente Peverella); Salvia (Herba Salviae) e Malva tutte bene peste, ammollite nell’acqua bollente. Ripongo quest’erbe e radici ben triturate fra due pannolini, e fò dall’un lato asperger questo fomento di vino riscaldato, cos’applicarlo subito alla bocca (pozza) del-


lo stomaco dell’infermo, e quindi nuovamente bene ricoprirlo. Faccio parimenti preparargli una bevanda (qui volgarmente Thè) di Menta, o di Sambuco o Camamilla, e lasciatala alcun che sfumare, gliela porgo calda a bere. In mancanza di Menta v’impiego l’erba Puleggio (Herba pulegii), facile a rinvenire ne’ prati. Ove l’infermo avesse sete, il faccio bere un decotto d’orzo, e se ha appetito il fò prendere una zuppa, e di poi ancora la decozione d’orzo. Avvegnachè l’infermo, superato ch’abbia quel calore che discaccia la malattia, si rimanga tuttavia in quel calore sotto le coperte, egli con la pazienza il sosterrà. Ciò posso affermare per esperienza avutane in molti di mia presenza. Durante il sudore io fò all’infermo cangiare la camiscia con altra netta di bucato e asciutta: ma quand’anco egli si trovi meglio, non permetto tuttavia, che gli si tolga di dosso il fomento, che anzi pratico di farglielo rinnuovare; il fò coprire con due lenzuola fino al collo, onde non possa avvenirgli alcun infreddamento. Ove di poi l’infermo prosegua a traspirare anche sotto le lenzuola, quest’è ottimo segno: allora gli permetto di alzarsi da letto, ma vestito d’inverno, e di bere alcun che di vino, dopo però d’aver mangiato la zuppa. Procedendo in questa guisa molti de’ miei infermi, ammalatisi nel mattino, risanarono sulla sera per modo, che poterono passeggiare per casa. Onde persuadere gl’infermi del popolo mi convenne di continuo ammonirli e pregarli; mi sento de’ dolori al petto: sì difficile egli è d’indurre que’ semplici che sono, alla ragione. Per tre settimane ho continuato d’andar dà una casa all’altra, esaminai senza tema le loro mani, e i piedi; cosicchè pel molto correre e parlare mi trovo ora affievolito e spossato: ma mi conforta il riflesso, che l’Onnipotente, nel mentre a ragione ci punisce, ci concede eziandio un rimedio efficace e sicuro onde schermirci dalla morte, la più terribile delle sue punizioni; e la consolazione, d’aver conservato con la protezione di Dio la vita de’ miei simili, mi rincora e aita. Nel tempo stesso, onde non sembrare un temerario, che mentre salva la vita altrui pone al cimento la sua (siccome sono indegno, che Iddio metta mano a manifesti miracoli per campar me da’ periglj di morte) assunsi due donne, a prendere il carico di assisterli e conducendole alla presenza

degl’infermi, sì le ho istruite, in ciò che a quest’ufficio è richiesto, che s’impratichirono: onde promisi loro per ciascun infermo, che per via delle loro sollecitudini ricuperasse la salute, un addatto premio; nulla però per l’opera loro, ove morisse: ed ove pur le vedessi sollecite e diligenti, aggiunsi al premio in danaro il dono d’un moggio di frumento. I fatti risposero all’intenzione; ma era ben necessario, ch’io portassi questo sacrifizio a’ miei parrocchiani: imperocchè per la circostanza, che in sul principio si chiudevano le case dov’erano di tal sorte infermi, questi si tenevano nascosti, e riusciva quindi difficile di rinvenirli; o almeno non si rinveniano che tardi, il che rendea di poi la cura più malagevole e faticosa. Queste donne adescate da’ premj usavano ogni diligenza, onde scoprirli. Onde muovere il popolo a esser più sollecito nel denunziare gli ammalati, supplicai il commissario di non più delegare alcuna guardia a tali infermi, perché di simil misura fu maggiore il danno che l’utile, e d’altronde a tanti infermi più non avrebbero bastate le guardie a ciò deputate. Nel tempo stesso feci cavare due fosse, e pubblicai con apposito avviso al popolo, che quegli infermi che non venissero denunziati in tempo, o che durante la cura non si comportassero ubbidienti, morti che di poi fossero, verrebbero ivi sepolti appena estinti. Solo per tai modi il mio adoperare è riuscito a vantaggio e salvezza di questo semplice popolo. Ma non mancano de’ casi, ne’ quali la malattia si spiega con maggior impeto: io però tratto anche questi infermi nella maniera medesima. Ove però con solo questa non mi riesca di eccitare in essi il sudore, in tale caso impiego presso alcuni i bagni semplici, in altri quelli a vapore. Fo portare nella stanza dell’infermo un tino (o brenta) e introdottovi l’infermo il faccio sedere su d’uno scanno alquanto basso e porre a’ suoi piedi due o tre mattoni, ben riscaldati, e gettare quindi sovr’essi una mistura a parti eguali d’aceto e acquavite, inchiuderlo sì tosto con panni e pellicce fino al capo, di maniera che non si disperdano i vapori; e così custodito ve lo tengo fino a che gliene venga un copioso sudore. Allora il faccio asciugare, vestire d’una camiscia netta e riscaldata, e riporre nuovamente a letto ed applicargli il fomento che s’è detto.

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Quest’operazione può eseguirsi anche nel modo che segue: si prendano de’ ramicelli di acacia e tagliati minutamente si faccian bollire nell’acqua, e questa resa bollente si versi nel tino: pongasi di poi in esso un piccolo sedile, su cui l’infermo s’adagi, e quindi si ricopra di panni, onde egli traspiri. Anche il bagno in acqua d’acacia fu da me sperimentato salutare all’uopo: ora l’uso di frequente, dove che prima io mi valeva del bagno colle erbe aromatiche. Eziandio usando di questa qualità di bagno l’infermo debb’essere coperto, come si è detto parlando di quello a vapore. Ove l’infermo soffra dal granchio (qui volgarmente detto Ganfo) soglio fargli strofinare le mani, e i piedi, e secondo le circostanze anche il corpo, indebolito dalla malattia, con una mistura a parti eguali di aceto canforato ed acquavite. Eziandio a questi gravemente infermi fo bere un Thè caldo di menta crespa o comune sino a che svanisca in essi il prurito al vomito, e la diarrea; nulla badando, se l’infermo rendesse anche il Thè, che ha or ora bevuto: poiché sì tosto che lo stomaco giugne a riscaldarsi, egli riterrà anche la bevanda. Così parimenti, onde estinguere la sete d’un tale infermo, serve ottimamente il decotto caldo d’orzo; e non debb’essere ommessa l’applicazione del fomento. Sì in vero, che con questo metodo curativo sono giunto a salvare ancor quelli, rispetto a’ quali si avea ormai perduta ogni e qualunque speranza. Fu a’ 25 di Luglio, ch’entrò il morbo contagioso in Tisza-Babolna, e 120 ne furono per quanto so gli assaliti. Di questi morirono 21 del paese ed 1 forestiere. I tre primi, che ne morirono, non ebbero alcun’assistenza medica: gli altri erano in parte fanciulli, guastati durante il male da soverchie carezze delle madri imprudenti; e in parte vecchj disubbidienti. La ragione principale del loro soccombere fu il difetto della necessaria

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sorveglianza, per essersì loro permesso di alleggerire le coperte, o di snudarsi; o con disceso, che sia loro portata dell’acqua a bere, e perfino del ghiaccio. Io oso assicurare sull’anima mia, che se avessero badato a’ miei consigli, non ne sarebbero periti né meno tre. I guariti furono quindi 98. V’ebbe anche di quegli, i quali senza lasciar nulla sapere di sé, si posero a letto, riuscirono a traspirare copiosamente, osservarono le altre prescrizioni, e n’andarono salvi. In quanto riguarda me stesso, in sul principio io usava di portar meco del cloro in quattro sacchetti, in appresso il gettai, ed ora mi lavo frequentemente le mani con l’asciugatojo bagnato d’aceto. In addietro, quando eravamo scevri di questo morbo, io non usava prendere alcuna cosa per colezione: ora non me ne sto mai senza. Di frequente di mattina in letto cerco di eccitare su di me il sudore, ma discretamente. Ove poi venissi a sudare durante il giorno, subito vò a cambiarmi di camiscia: uso talvolta il bagno, bevo, e mangio moderatamente, ma principalmente mi guardo dagli infreddamenti dello stomaco, e dal retrocedere della traspirazione. Del resto non uso preservativo di sorta. Visito ed esamino anche al presente gl’infermi, e più volte nel giorno, e tuttavia, ne sieno grazie a Dio, non ne soffre menomamente la mia salute. Supplico umilmente, perché questa mia esposizione non voglia essere intesa sinistramente, quasi che avessi in mira di carpir delle lodi: solo la mia filiale confidenza, e rispettosa considerazione, che nutro per S. E. il reverendissimo Arcivescovo Patriarca qual nostro diletissimo Padre e quell’amore del mio prossimo, con cui adopero in ajuto del mio simile, m’ hanno incoraggiato a questa quanto semplice, altrettanto ingenua e cordiale descrizione del nostro presente stato.


L’altra faccia del virus

L’allarme pandemia ha suil mercato. Con la diffusione scitato reazioni di volta in del virus dell’influenza suicuriosità e stranezze volta divertenti, esasperate na, le vendite delle maniglie ma anche deliranti. Di sesono quadruplicate, passanin margine alla pandemia guito si riportano alcune nodo dalle 1.500 del 2008 alle di influenza A tizie “curiose” apparse nei 6.000 nell’anno in corso. mesi scorsi sulla stampa 5. Nelle varie regioni d’Italia italiana e internazionale che sono state sospese decine a cura di Paola Bertoldi testimoniano questo clima. di partite dei campionati di1. Su Internet c’è Great Flu, lettanti. Mentre i vertici della un videogame anti-virus. squadra di basket Benetton È stato creato da un team Treviso hanno fatto cambiadi scienziati olandesi ed è online su www.thegreatflu. re i lavandini degli spogliatoi. com, facendo registrare migliaia di accessi giornalieri. 6. Su Internet circolano falsi prodotti di diagnosi, preBasta un clic sull’indirizzo e si diventa leader del World venzione e cura. L’allarme viene dall’Agenzia del farPandemic Control, una sorta di Organizzazione mon- maco Usa (Fda). Si tratta di rimedi truffa in vendita sul diale della Sanità virtuale, chiamata a trovare la meto- web. dologia migliore per arginare l’espandersi della pan- Come lo shampoo protettivo contro il virus H1N1, demia contenendo i costi di gestione. integratori dietetici, lo spray agli ioni d’argento anti2. Nel corso dell’estate si è diffusa la moda del cosid- virus, falsi test diagnostici, elettro-stimolatori del sidetto “swine flu party”, il cui scopo è radunare un gran stema immunitario. E anche “farmaci” pericolosi per numero di persone che sperano di contrarre il virus e la salute. immunizzarsi prima della temuta ondata autunnale. 7. Nella strada dei presepi a Napoli, a San Gregorio Si è trattato di un vero movimento partito da Stati Uni- Armeno, anche le statuine hanno la mascherina e ti e Inghilterra. Si balla stretti. Si chiacchiera a distanza campeggia un cartello che recita “Il presepe contro ravvicinata. E si beve dallo stesso bicchiere. Possibil- l’influenza A”. mente con chi è già infetto. 8. A Mondragone, in provincia di Caserta, padre An3. Apple ha creato “Outbreaks near me”, un’applica- tonio Rungi ha inventato la preghiera anti-virus. “Sizione per iPhone che consente a chi la scarica sul pro- gnore Gesù/ guarda noi e l’umanità intera/ afflitta da prio telefonino di visualizzare una mappa che segnala i questa nuova epidemia…/ difendici da questo morbo focolai della malattia e di ricevere un avviso quando ci terribile”. Trentacinque righe filate di invocazioni che il si avvicina ad un’area “rossa”. Influenza suina, ma non sacerdote ha messo anche sul suo blog e su Facebosolo. “Outbreaks near me” individua infatti la presenza ok. E centinaia di parrocchie da tutta Italia gli hanno anche di zone ad alto rischio di contagio di malattie chiesto il testo della sua orazione anticontagio. infettive, quali la sifilide, l’epatite e la tubercolosi. Il 9. Al mercato di Campo de’ Fiori a Roma sono spuntatelefonino si trasforma in una sorta di virus-detective. ti banchetti che vendevano “Arance contro l’influenza 4. La minaccia dell’influenza suina ha fatto esplodere A”. le vendite della Cyclope, una piccola società france- 10. L’influenza A è stata anche strumentalizzata a fise che fabbrica ni razzisti. Nei maniglie ergogiorni in cui nomiche che la pandemia permettono di imperversava aprire le porte sotto al Vesucon il gomito vio, su Facesenza utilizzare book è nato le mani e riduun gruppo cendo in quecontro Napoli: sto modo, il ri“Influenza A, schio di contaammazzali tutgio da virus A/ ti”. Inutile dire H1N1.La maniche i napoleglia, in poliprotani iscritti al pilene, infrannetwork hangibile, e dispono tempestanibile in nove to le pagine colori differendi commenti ti, ha rapidacontro il fonmente sedotto datore.

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La “vaccinazione”, termine entrato oramai nel linguaggio d’uso comune, indica dal punto di vista medico l’inoculazione di materiale infettivo privato del suo potere patogeno al fine di conferire a una persona o a un animale uno stato di immunità attiva nei confronti di determinati microrganismi o virus. Questa pratica, che ha sempre conosciuto posizioni contrastanti fra convinti assertori e altrettanto ostinati oppositori, ha una storia però relativamente recente. Il suo atto di nascita ufficiale si potrebbe collocare nel 1798 quando Edward Jenner pubblicò la sua indagine sulle cause e gli effetti del vaiolo bovino (An inquiry into the causes and effects of the Variolae Vaccinae, a disease known by the name of cow pox). In questo studio Edward Jenner rendeva noti i risultati dei propri esperimenti sull’inoculazione del vaiolo vaccino (da qui il nome del procedimento), anziché di quello umano, come azione preventiva contro il vaiolo. La “scoperta” di Edward Jenner conobbe un’ampia e rapida diffusione. Anche l’area corrispondente oggi al Trentino ne fu investita. Il 23 maggio 1801 il chirurgo Bernardino Tacchi operava la prima vaccinazione a Rovereto. Pochi giorni dopo, il 4 giugno, interveniva per la seconda volta su una propria figlia di appena 15 giorni. Alla data del 28 ottobre 1806 risultavano registrate a nome suo 194 vaccinazioni, ma una stima reale parla di circa 400. Il 10 luglio 1801 fu la volta del medico Benigno Canella che sperimentò l’intervento a Riva del Garda. Più a nord, nella zona di Mezzocorona, inaugurarono la nuova pratica il medico Giovanni

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Ai primordi della vaccinazione l’innesto vaccino in Trentino nella prima metà dell’Ottocento di Rodolfo Taiani

Le notizie raccolte in questo contributo attingono al volume di Rodolfo Taiani, Il governo dell’esistenza: organizzazione sanitaria e tutela della salute pubblica in Trentino nella prima metà del secolo XIX (Bologna, Il mulino, 1995, pp. 194-212) cui si rinvia per ulteriori approfondimenti e per il confronto dei riferimenti archivistici e bibliografici.

Francesco Gottardi e suo figlio Pietro, chirurgo. In pochi anni giunsero ad operarla su circa 600 persone. Nel volgere di breve tempo la vaccinazione passò tuttavia dal ristretto ambito dell’iniziativa privata a quello delle prerogative pubbliche. Le autorità di governo non tardarono a sostenerne la diffusione. Tre specifiche prescrizioni emanate dal sovrano austriaco il 20 marzo 1802, l’1 luglio 1803 e il 13 giugno 1804 riguardarono il modo di “estendere e promuovere l’innesto della vaccina”. Nel frattempo un altro provvedimento dell’11 agosto 1804 restrinse solo a casi eccezionali il ricorso all’innesto del vaiolo umano. Il seguente governo bavaro andò ancora oltre introducendo l’obbligo della vaccinazione. Questa, promossa con l’ordine sovrano di Massimiliano Giuseppe del 27 agosto 1807 a vero e proprio programma sanitario di stato, doveva essere eseguita almeno due volte l’anno e comprendere tutti i bambini che alla data dell’1 luglio avessero compiuto l’età di tre anni. Per un migliore adempimento del dettato legislativo era inoltre previsto che i parroci, in base ai registri parrocchiali, comunicassero di volta in volta alle competenti autorità il nominativo di quanti avevano raggiunto l’età prescritta. L’opposizione da parte dei genitori sarebbe stata punita con una multa variante, a seconda del reddito, fra l’uno e gli otto fiorini per ciascun individuo non vaccinato, ulteriormente elevabile fino ad un massimo di trentadue fiorini nel caso di un fanciullo dell’età di dodici anni. Nella malaugurata ipotesi, infine, che il bambino volontariamente sottratto dai genitori alla vaccinazione contraesse il


vaiolo naturale era contemplato anche l’arresto dai tre ai sei giorni dei responsabili. Il programma di vaccinazione fu rilanciato con rinnovata energia nel periodo di governo francese. Fin dal 4 maggio 1811 una circolare del prefetto Agucchi aveva ordinato a medici e chirurghi, in precedenza già assegnati a tale compito dal governo bavaro, di procedere alla vaccinazione della popolazione entro la metà di giugno. Con la normativa dell’1 giugno 1811 si provvide a regolamentare in modo univoco anche la vaccinazione. Altro passo, siamo in periodo di governo austriaco, fu l’estensione anche al Tirolo, nel 1816, della validità del regolamento per la vaccinazione già pubblicato in tutti i paesi della monarchia austro-ungarica il 28 gennaio 1808. Tale regolamento rimase immutato fino al 1836. Secondo questa normativa la sorveglianza sull’andamento generale della vaccinazione in ogni provincia spettava al Protomedico, coadiuvato per ogni circolo dai medici circolari. L’intervento di vaccinazione poteva competere solo a medici, chirurghi o medici militari regolarmente approvati e in possesso di speciale licenza superiore. Ogni spesa, infine, era coperta direttamente dal pubblico Erario il quale vi doveva provvedere con un apposito fondo cui si pensò di contribuire, tra il 1819 e il 1821, anche con l’imposizione di una tassa sul matrimonio pari a due fiorini. Ma quali furono al di là del dettato legislativo e dei reali risultati ottenuti, gli strumenti cui si ricorse per vincere concretamente quella che in più occasioni appare come una caparbia resistenza da parte della popolazione al programma di vaccinazione? A parte la breve parentesi bavara, in cui la vaccinazione fu introdotta obbligatoriamente e imposta con misure coercitive, anche se non si ha testimonianza della loro effettiva applicazione, i governi francese e austriaco si mossero, almeno apparentemente, sull’onda di diversi principi. A fronte delle tante “renitenze” era convinzione diffusa, infatti, che solo la “persuasione, la necessaria istruzione e la rettificazione dell’idea da intraprendere replicatamente con pazienza, e perseveranza” potevano ottenere ciò che la “forza” e la costrizione non avrebbero mai potuto conseguire, producendo al contrario “odiosità verso una salutare misura”. In altri termini si puntava a conquistare l’appoggio della popolazione senza particolari imposizioni e magari – come osservava acutamente il medico Alimonta di Campo nelle Giudicarie – grazie all’alleanza delle “donne la cui in-

fluenza [era] somma a questo riguardo”. Le varie leggi non trascurano, dunque, d’indicare oltre alle modalità operative anche i mezzi per accrescere la fiducia nei confronti della vaccinazione, puntando innanzitutto sulla collaborazione dei parroci. Già un ordine governativo del 7 novembre 1804, emesso in base all’ordine sovrano del 20 giugno, aveva disposto che all’atto del battesimo fosse letto ai genitori da parte del padrino o del curato un avvertimento circa i vantaggi e l’utilità della vaccinazione. La vaccinazione, era detto in sintesi in questo accorato appello alla sensibilità umana, non comportava i rischi dell’innesto del vaiolo umano e avrebbe senz’altro contribuito a salvare da morte certa tante vittime innocenti. La stessa legge del 26 agosto 1807 prescriveva che parroci e pastori d’anime dovessero “annunziare più volte dal pergamo e negli altri modi soliti il giorno fissato per la vaccinazione, e il luogo a quest’effetto stabilito per far comprendere ai loro Parrocchiani le paterne intenzioni [del sovrano] nell’introdurre universalmente l’Innesto della vaccina”. In tal modo veniva accolta indirettamente anche l’indicazione dal medico circolare di Rovereto Francesco Galvagni, il quale, rispondendo all’inizio del 1807 ad una precisa interrogazione dell’Ufficio circolare di Rovereto, aveva suggerito, come valido mezzo di promozione della vaccinazione, il ricorso ai parroci per “pubblicare a chiara voce ogni prima domenica del mese l’importanza dell’affare e la necessità d’adempiere a propri doveri di natura in tali oggetti”. Analoga incombenza fu introdotta anche nei due regolamenti del 1808 e del 1836. L’importanza dei parroci per il successo dell’intera operazione è confermata, peraltro, da tanti singoli episodi. I rapporti dei singoli vaccinatori o le relazioni dei medici circolari riservano spesso parole di elogio nei confronti di solerti curati, che con grande zelo e appassionata partecipazione, avevano concorso al buon andamento della vaccinazione. Così nel 1807, quando il medico Alimonta di Campo esprimeva grande riconoscenza nei confronti del parroco di Banale Giovanni Antonio Fontana o il dottor Giovanni Battista Vincenzi segnalava l’instancabile azione di quello di Sacco. Non va neppure dimenticato il parroco di Pergine, Francesco Tecini, che nello stesso anno pubblicava di sua iniziativa un’Omelia contro i pregiudizi che ancora s’oppongono alla vaccinazione. Fra gli strumenti utili alla promozio-

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ne della vaccinazione era indicata anche la diffusione di scritti cosiddetti “popolari”. Una circolare del 18 aprile 1816 prevedeva, in tal senso, la distribuzione ai genitori di un Eccitamento che, analogamente all’avvertimento del 1804, istruisse sugli indubbi vantaggi offerti dalla nuova pratica. I regolamenti del 1808 e del 1836 raccomandavano poi la divulgazione sia dell’operetta Che cosa è il vaccino e a che giova egli?, scritta dal conte Ugone di Salm, sia del Prospetto comparativo del vajuolo umano naturale, del vajuolo umano innestato, e del vaccino relativamente ai loro effetti sulle singole persone e sull’intiera società umana, pubblicato a Londra dalla società Jenner e tradotto in tedesco dal conte Harrach. Resta, infine, da segnalare un altro strumento di promozione: la distribuzione di premi in denaro o l’encomio ufficiale a quanti si erano particolarmente distinti nell’opera di vaccinazione. Il merito così riconosciuto costituiva anche titolo di preferenza per la nomina ad incarichi statali. Ma quali erano, più nello specifico, le ragioni di tale resistenza? Francesco Tecini nell’omelia precedentemente citata ne elencava alcune fra quelle, a suo dire, più diffuse. C’era chi manifestava timore e opposizione nei confronti della vaccinazione perché la considerava una pratica semplicemente “troppo nuova”, chi perché era convinto che un “male proprio delle bestie non poteva che nuocere all’uomo”, chi perché si attendeva inevitabilmente delle conseguenze negative anche in un secondo tempo, chi perché riteneva sbagliato e pericoloso contrastare uno “sfogo necessario della natura” e chi, infine, perché stimava contrario ad ogni principio religioso opporsi al disegno della Divina Provvidenza. Si tratta di argomenti che puntualmente ricorrono in quelle testimonianze in cui i vaccinatori nel registrare le consuete difficoltà, davano anche spazio alle giustificazioni portate dalla gente nel rifiutare la vaccinazione. Emerge così fra le righe dei rapporti un variegato mondo di credenze e rappresentazioni in cui i vari momenti dell’esistenza umana appaiono scanditi unicamente dai ritmi stagionali e naturali dell’ambiente in cui l’uomo è inserito. “Chiamato da molti – narra il medico Giovanni Battista Vincenzi nel 1807

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–, l’uno alla mia comparsa mi diceva che tornassi domani, o la settimana ventura, perché faceva troppo caldo, troppo freddo, era troppo umido, il tempo in mutazione..., l’altro mi pronunciava che il ragazzo non avea dormito la notte, che avea de’ vermi, che era troppo giovine, che Iddio gli manderà il male addosso quando vorrà, che attende questa primavera, che sua madre o suo nonno non son contenti, o mille altre tediosissime ripulse”. Nel 1839 fu invece il medico civico di Trento Giuseppe Rungg a spiegare gli infelici esiti della campagna di vaccinazione appena conclusa con il tenace attaccamento della popolazione all’idea che la natura potesse fare comunque meglio dell’uomo e che pertanto l’immunità conseguita dopo lo sviluppo naturale della malattia avesse un effetto maggiore e più durevole di quello garantito dalla vaccinazione. Raccontava, infatti, il medico Rungg di come la popolazione di Oltrecastello, apparentemente disposta in un primo tempo a far vaccinare i propri figli, avesse repentinamente mutato atteggiamento dal momento in cui parve loro chiaro che l’epidemia di vaiolo naturale insorta nei paesi circonvicini fosse d’indole “benignissima, mite e poco confluente, per cui i genitori gelosamente e con tutta cautela celavano agli occhi de’ medici ogni caso di vajuolo e resi animosi e confidenti della mitezza di quello, si collocavano insieme anche agli altri ragazzi non vaccinati nelle speranza e col vivissimo desiderio che tutti lo incontrassero [...]: anzi si intesero – continua il medico Rungg – perfin delle donnicciuole lamentarsi di aver avuta la debolezza di obbedire, benché a malincuore, alle esortazioni de’ curatori d’anime, e di aver fatto vaccinare i propri figli, non potendo così avere la sorte di far loro subire un vaiuolo naturale così mite e benigno come l’attuale”. Non furono, tuttavia, solo ragioni di ordine culturale ad opporsi ad una più facile affermazione della vaccinazione. Spesso vi contribuirono, oltre ai dubbi espressi dagli stessi operatori, anche ragioni più semplicemente di carattere tecnico. Prima fra tutte la scarsa disponibilità di materia vaccina. Già il medico Francesco Alimonta lamentava nella sua lettera del 19 febbraio 1807 la difficoltà di avere prontamente a di-


sposizione materia sufficientemente buona per l’innesto. Constatata la facile deperibilità del “virus vaccino fuori dell’animale vivente”, risultava altrettanto evidente l’inadeguatezza dei mezzi fino ad allora impiegati per conservarlo. Le stesse “boccettine inglesi di Porker Fleet street, tanto encomiate dal famoso dr. Odier di Ginevra” non si prestavano affatto, secondo il medico di Campo, al trasporto della preziosa sostanza. L’unico mezzo sicuro restava, dunque, quello di conservarlo in un’”animale vivente”, ma la resistenza dei proprietari a farlo innestare sulle proprie vacche e la mancanza di ospedali, orfanotrofi od altri stabilimenti di pubblico benessere adatti allo scopo non permetteva di risolvere il problema. La soluzione ideale sarebbe stata evidentemente quella di rinvenire in regione la vera vaccina, ma i vari tentativi effettuati in questa direzione non portarono mai ad alcun risultato. Così ad esempio nel 1808, quando la ricerca promossa all’interno del territorio dei due Capitanati Circolari di Trento e Rovereto, diede esito negativo. Solo il giudice distrettuale di Levico aveva dato notizia di un probabile “avvistamento” da parte del medico condotto di Borgo Giuseppe Trogher. Costui, nel 1804, giunto a conoscenza da alcuni pastori dell’esistenza di un’”efflorescenza pustolosa sulle poppe di alcune vacche”, si era recato nel luogo indicatogli e qui, dopo accurato esame, aveva concluso che si trattava di vere “croste vaccine”, ma già “passate allo stato d’essicazione”. Ciò nonostante, tolta della materia, tentò ugualmente l’innesto su due fanciulli, ma senza risultato alcuno. Una segnalazione giunse anche dal medico Luigi Collizzoli il quale nella sua relazione dell’1 giugno 1808 raccontò che nell’agosto dell’anno prima, in una zona circostante Tione si erano manifestate sulle poppe di alcune vacche numerose pustole. Recatosi sul luogo in compagnia del farmacista Speranzino Speranza, “per esaminare se si trattasse di pustole di vajolo vaccino”, aveva però dovuto constatare che sfortunatamente i custodi della mandria le avevano già fatte disseccare utilizzando un “certo unguento”. Fin dagli esordi la vaccinazione viene eseguita, dunque, affidandosi alla tecnica del braccio in braccio. Ordinata una certa quantità di pus nei centri in cui era possibile rinvenirla, questa veniva innestata in alcuni fanciulli che avrebbero fornito successivamente la materia necessaria a ripetere l’innesto. Non a caso l’opposizione alla vaccinazione da parte della popolazione trovava espressione talvolta in episodi sul tipo di quello verificatosi nel 1826 nel comune di Meano dove alcuni genitori avevano “maliziosamente distrutto” le pustole dei propri figli “onde impedire la propagazione similmente ad altri”. Un mezzo senz’altro efficace dovette apparire l’istituzione di un premio a favore dei portatori sani, i cosiddetti “regoli”. Quando nel 1834 la Cancelleria Aulica decise di eliminarlo dalle spese a carico dell’Erario, il Capitanato Circolare di Trento manifestò immediatamente le sue perplessità sulla bontà del provvedimento poiché riconosceva l’obolo come “indispensabile in questo Circolo pel buon an-

damento della vaccinazione”. Il provvedimento, successivamente corretto, giungeva d’altronde poco dopo l’apertura ufficiale dell’Istituto degli esposti delle Laste che avrebbe dovuto in un certo senso consentire di superare il problema posto dalla disponibilità di “regoli”. Una nuova circolare dell’Imperial regia Reggenza pel Tirolo del 16 maggio 1850 stabiliva quindi un premio di dieci fiorini a favore di chiunque avesse contribuito al rinvenimento della “vera vaccina”. Ai problemi di scarsa disponibilità di materia vaccina fresca si aggiungevano, non ultimi, quelli legati alla scarsa abilità tecnica o all’impreparazione teorica degli esecutori delle vaccinazioni. È quanto rilevato, ad esempio, dal medico civico di Trento Luigi Bevilacqua il quale, in una sua relazione del 1831, puntava l’indice contro coloro che vaccinavano “senza essere forniti delle necessarie cognizioni”. Non si trattava, infatti, secondo il medico, solo di saper eseguire “quattro o cinque punture”, ma anche di saper “riconoscere i caratteri, il decorso e l’esito del vaccino”. In altre parole era senz’altro importante saper eseguire correttamente l’innesto, ma ancor più importante era saper distinguere il “vaccino vero da quello spurio”, ossia stabilire se l’intervento avesse avuto l’esito sperato o fosse da ripetere. A tal proposito il medico Eligio Marchesini, in servizio nel Giudizio distrettuale di Vezzano, osservava in una sua relazione del 1827, come avesse dovuto ripetere l’innesto sullo stesso individuo fino a quattro volte e ciò specialmente a Terlago e Sopramonte. In quasi tutti i paesi del Distretto affidato alla sua cura sembrava che la prima vaccinazione non avesse dato i risultati sperati. Talvolta sono semplici ragioni organizzative ad interrompere il regolare svolgimento delle vaccinazioni. Nel 1826 i medici Baldassarre Pedrini e Giuseppe Albertini del Giudizio distrettuale di Vezzano dichiararono, in risposta alla richiesta di stendere un rapporto sull’andamento delle vaccinazioni, di non avere proceduto ad alcuna vaccinazione in quanto non era pervenuto dall’autorità politico-amministrativa alcun ordine a tal proposito. Il solo medico Antonio Toccoli disse di aver vaccinato senza attendere l’ordine superiore, ma di aver rintracciato “per avventura la vaccina”. Qualora, tuttavia, si fosse manifestato il contagio si sarebbe dovuto seguire una prassi lungamente sperimentata nel caso di altre epidemie: isolamento più totale degli infermi, disinfezione delle case e degli indumenti e immediata sepoltura dei defunti. In questa sequenza di comportamenti, apparentemente immutata rispetto al passato, s’insinuava però un elemento di novità, ossia il ricorso sempre più massiccio ai prodotti chimici per perseguire il fine della “disinfezione”. Una volta di più la lotta contro i tanti invisibili nemici della salute umana individuava nuovi strumenti d’azione politico-sanitari nelle soluzioni indicate dalla più moderna pratica medico-scientifica, ma il rapporto di collaborazione fra le due sfere e il suo progressivo rafforzamento, cui si assisterà nei decenni successivi, non avrà vita facile né lineare.

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“Guarda, guarda il mal Matton”

La parola che distingue la 1506 “in Burgos [a causa] di malattia invernale che ci quella febbre che in Italia si affligge annualmente e che chiama Mazuco”. In un’edispesso diviene epidemia e, zione settecentesca delle le influenze talvolta, pandemia è antica opere di Machiavelli, l’illuma inossidabile. L’influenza stre medico e naturalista del passato continua infatti a chiamarsi toscano Giovanni Targioni così come la chiamavano Tozzetti, fornisce al curatodi Emanuela Renzetti coloro che attribuivano agli re informazioni preziose sulastri la capacità di corromla malattia che consentono pere la salute umana, codi trovare risposte ai quesiti me se le conquiste della appena formulati. In una batteriologia e della virolonota, infatti, si legge: “Del gia non avessero potuto scalfire la convinzione della resto è questa una malattia del genere delle catarrali, causa efficiente originaria. Matteo Villani, autore di quasi sempre accompagnata da febbre acuta, ma incronache come il più celebre fratello Giovanni, già dispensabilmente da dolore grandissimo e gravativo nell’inverno del 1358 ad esempio, aveva attribuito alla di capo, con abalordimento, vertigini ec., da distillacattiva disposizione delle costellazioni il presentarsi zione di testa, che poi passa alle fauci, ed al petto, di “un’influenza che tutti i corpi umani della città e cagionando tosse continua molestissima, difficultà del contado e distretto di Firenze e delle circostanti grande di respiro, nausea, debolezza, lassitudine dovicinanze fece infreddare e durare il freddo avvelena- lorosa di tutta la persona ec. to ne’ corpi assai più lungamente che l’usato modo” Questa malattia è quasi sempre epidemica, ed ha più (Cronica, Lib VIII, Cap XXV). Parrebbe, però, che so- volte infestato l’Europa tutta, invadendone velocelo verso la metà del Settecento il termine assuma il mente ora una provincia, ora un’altra. significato di catarro epidemico, o meglio di febbre In Italia questa febbre fu chiamata secondo i paesi catarrale epidemica, per diventare poi comune con mal del Mazzucco, mal del Mattone, mal del Montol’ennesima comparsa morbosa del 1782. ne, mal del Castrone o Castronaccio, mal Galantino, Come era dunque stata definita la malattia in quel mal Cortesino ed in Francia Coqueluche. Queste ultilungo lasso di tempo in cui sembra essere stata me notizie ci furon comunicate dal celebre sig. Dottopresente in Europa? Come si poteva individuarla se re Giovanni Targioni Tezzetti”. l’influenza entrava nell’interpretazione di ogni tipo di Del mal Mazzucco che forse non sempre va inteso patologia quanto c’entrava come influenza poiché inla peste che aggettivava dicava pure il tifo che era qualsiasi affezione morboaccompagnato da terribile sa, anche quelle che non dolore al capo, parla anche eguagliavano in perniciosiLudovico Antonio Muratori tà tale flagello pur essendo (Annali d’Italia dal principio parimenti contagiose? Era dell’era volgare sino all’anstata la sintomatologia a no 1749) che descrivendolo fornire lo spunto per una come una febbre pestilendesignazione inequivocabiziale racconta come nel 1528 le, ma anche, nello stesso avesse attaccato gli abitanti modo in cui è accaduto per di Padova facendoli divenire altre malattie, il decorso, in furiosi a causa del mal di tequesto caso non necessasta. Dunque, anche quell’anriamente infausto, a sugno è da inserire nel novero gerire altre denominazioni. di quelli segnati dalla maNel corso della seconda lelattia che parrebbe essersi gazione alla corte di Roma presentata in tutta l’Italia nel Niccolò Machiavelli, citta1414, nel 1510, nel 1558 e dino e segretario fiorentinel 1580. Ulisse Aldrovandi, no, indirizza una lettera al insigne scienziato bolognesuo Principe da Cesena, se, riferisce che a Ferrara la dove sta seguendo il conchiamarono male della Zucflitto tra papa Giulio II, conca, sempre per la modalità tra Bononienses et Perusiin cui si manifestava, mentre nos che vorrebbe annettea Bologna e in Romagna mal re allo stato pontificio, per Mattone. informare della morte del Lo stesso nome si desume re di Castiglia avvenuta nel anche dalle due composi-

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zioni poetico musicali (probabilmente cantate sulle piazze con l’accompagnameto della lira) incentrate proprio sulla comparsa dell’epidemia nel 1580 e nel 1587 del poeta e cantastorie Giulio Cesare Croce. Più noto forse come narratore delle astuzie di Bertoldo e delle simplicità di Bertoldino, Croce così descrive il primo sintomo morboso: “E alla prima dà alla testa/ tal che l’uomo ditto et fatto/ entra in letto tutto matto” (Canzone sopra il mal mattone). “Ancor io tengo in la testa/ una doglia sì molesta,/ che par un che mi tempesta/ con un maglio, over piccon” (Dialogo piacevole frà un Brentatore & un Fornaro sopra il mal Mattone). Anche i nomi di male del Montone e del Castrone, pur evocando l’analogia con l’animale, si riferiscono alla sintomatologia influenzale per alcuni del mal di capo, per altri della terribile tosse. Il castrone, infatti, sarebbe stato secondo certi studiosi, e l’Aldrovandi è tra questi, un animale che facilmente impazzisce a causa di un verme che gli nasce nella testa e poiché chi era colpito dall’influenza lamentava lo stesso rischio, l’assimilazione era presto fatta quanto quella di chi aveva sentito tossire animali e uomini nello stesso modo, con colpi tanto forti e molesti da togliere il fiato e squassare il petto. Tuttavia medici e non, sono consapevoli del fatto che i sintomi della malattia siano molti e non tutti concomitanti. Questi appaiono, ad esempio, nei versi del poeta popolare già menzionato e a sua volta affetto dal malanno, dunque testimone privilegiato, ulteriormente descritti e sono raggruppabili secondo il criterio dei dolori e della febbre: “Io son tanto malandato/ tanto pesto, e tempestato,/ che s’io fossi bastonato/ non harei tal passion/ [...] Stò la sera senza cena/ e mi duol tanto la schiena,/ ch’io non ho nervo né vena,/ che non doglia in conclusion,/ ogni notte ho un po’ di febbre,/ cha m’afferra il pellizzon”; secondo quello della tosse e del raffreddore: “Ogni passo, ohimè, ch’io muto,/ o ch’io tosso, o ch’io stranuto,/ e m’abbonda sì lo sputo,/ ch’impirei un carrion,/ [...] Ho serrata sì la gola/ ch’io non posso dir parola, e il naso ogn’hor mi cola,/ come fà proprio un dozzon”; infine, come categoria di conseguenze indesiderabili: “Io non posso havere il fiato,/ et ho perso l’odorato,/ et il cibo nel palato/ mi par proprio sabbion,/ e mi pare haver la testa/ grossa assai più d’un ballon/ Guarda, guarda il mal Matton./ S’io mi levo la mattina/ sto mezz’hora a testa china [...] Io l’ho avuto, e sentomi anco,/ che mi duole il petto e ‘l fianco,/ e tal’hora vengo manco,/ e vo tutto in tramballon” (Giulio Cesare Croce, Dialogo piacevole frà un Brentatore & un Fornaro sopra il mal Mattone nuovamente comparso in campagna, Bologna 1619). Unica consolazione a una serie di guai così consistente, consolazione che per i medici diviene motivo per rassicurare i pazienti e che finisce per rinominare la malattia, è, come si diceva, il suo risolversi. Designarla mal Galantino o Cortesino significa precisamente volgere l’attenzione al decorso della stessa. Un famoso medico veronese, Cristoforo Guarinoni, la

definì nel Seicento morbus salubris e, a prescindere da qualche voce fuori dal coro, quasi tutte le cronache d’epoca, pur attestandone la notevole diffusione non registrano che un lieve incremento della mortalità, fatte salve le epidemie più gravi e virulente poi passate alla storia con altri nomi. A Genova e a Pavia male Galante, dunque scarsamente pericoloso che lasciava vivi o dal quale si guariva facilmente, fu il catarro epidemico del 1580, mentre Cortesino fu quello diffusosi a Napoli nell’autunno del 1597 che si limitò ad affliggere la popolazione ma con sicurezza della vita. I terapeuti dell’epoca non consigliavano cure specifiche e pare che neppure tra i numerosissimi secreti rari che gli empirici erano soliti rivelare nei loro copiosissimi ricettari compaiano rimedi provati contro questa malattia. È ancora Croce, travestito da ciarlatano, a inserirne uno scherzoso nel suo Vero e Pretioso Tesoro di sanità: “Recipe: Una carrozza,/Un bricco quando cozza,/Salcizza comuna,/Il far della luna,/Lardo di ragno,/ Tela e fustagno,/Quattro marmotta,/Un asino che trotta,/Succo di menta,/Un fuso con polenta,/E con tasso barbasso/Poi dalli con un sasso/Di dietro alla gnucca,/E rompesi la zucca,/Che, se in due pezzi li rompi la testa,/Mai più il mazzucco li darà molesta”. L’inesistenza di preparazioni dedicate e capaci di far riguadagnare la salute e la dichiarazione esplicita da parte di alcuni medici che si tratta di malattia non bisognosa di medicine avvalorano l’idea che il rischio corso dai contagiati fosse basso. In genere, gli esperti preferiscono limitarsi alla dieta e al riposo, suggerimenti questi che fanno intendere come la “vecchia” influenza, in un certo senso quanto la “nuova”, doveva indurre i malati a prendersi cura di se stessi cambiando per un po’ stile di vita. In anni tanto lontani da noi e talmente diversi per condizione sociale, economica e medica, sicuramente la dieta e il riposo assumevano una connotazione quasi fiabesca o, se si vuole, mitica, da situazione desiderabile e irraggiungibile! Consigli saggi dunque, ma impraticabili per i più, sostanzialmente disattesi poiché realizzabili solo a patto che le risorse alimentari, il lavoro, la fatica fossero state equamente distribuite e le relazioni tra individui risultassero distese e serene. Esortazioni che avrebbero trovato piena attuazione in una sorta di Repubblica di Bengodi insomma, o in un Paese di Cuccagna ma che oggi potrebbe essere utile rivisitare almeno in parte... Questa è la ricetta che Giulio Cesare Croce mette in bocca al suo medico curante: “Et il mio m’ha comandato,/ ch’io mi getti nel palato/ buon Vitello e buon Castrato,/ buon Pollastri e buon Cappon,/ e ch’io stia ne la Cantina/ fin chè ‘l tempo torna in ton./[...] Poi fuggir il tristo humore,/ nè cridar, nè far rumore,/ ma tener allegro il core,/ stando in pace, e in union/ con gli amici e coi parenti/ per fuggir sì ria staggion./[...] E lassar andar le offese/ e dì trenta per un mese,/ che i pensier non fan le spese,/ e non pagan le piggion,/ venghi il cancaro a la robba, et a le forche gli avaron./ Guarda, guarda il mal Matton”

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Eravamo tre gemelle, tutte e tre sane, camminavamo sempre insieme per manina. Una bella mattina mia madre si è alzata e ha visto che due, io e mia sorella, non ci reggevamo in piedi. Mi padre era contadino e mia madre stava in casa. Si stava in un paesino in provincia di Padova. Eravamo nove fratelli. C’erano campi, animali, le mucche. Siamo state subito portate al Sant’Orsola di Bologna e con degli interventi ci hanno dato la possibilità di camminare. Allora non poteva venire nessuno a trovarci e ci facevamo compagnia l’una con l’altra. Era una camerata con più di trenta fra bambini e bambine. Si piangeva un po’ tutti. Col personale, suore, infermiere non era che si potesse parlare, eravamo tanti, timidi, impauriti. O forse avevamo male, non pensavamo ad altro. Noi pensavamo solo ai genitori, quando non c’erano loro eravamo soli, ci sentivamo soli. Quelle infermiere, quelle suore erano persone che ci pulivano, ci vestivano, ci davano da mangiare e basta. Era un trauma quel senso dell’abbandono. Lo rivivo ancora adesso. Ne parlo qualche volta con mia sorella, che si è sposata poi, ma lei non si ricorda proprio niente. Lei ha dimenticato quasi tutto. Invece per me è stato diverso. Una volta lei non i sofferma sulla storia di quanti negli anni cinquanta nta si trovarono adne affrontare, ancora bambini, una voleva sapere di parlare di arie ondate endemiche della poliomielite, un vero e queste flagello, che ha infuriato nel cose. secondo Adesso dopoguerra.no, le è lisi muscolare chepoi in diversa misura arti giovane, e morto il colpiva marito, ha costretto decine di migliaia di sfortunati ad ine qualche voltachirurgici, ne parliamo. bili ricoveri, a ripetuti, dolorosi interventi anti riabilitazioni. E oggi, a distanza di qualche deQuando ci penso a quell’ospeecco l’insorgere di postumi aggravanti, la cosiddetdale di Bologna vedonella un cameome post-polio, che costringe queste persone veste di disabili e di pazienti bisognosi di cure per rone bianco e mia sorella, e poi arco della vita. nto raccoglie le voci dei protagonisti, che in una secome sullo sfondo figure bianestimonianze ripercorrono la propria esperienza. Ne che, astratte. Erano ricoveri il ritratto umano delle persone vittime della malatanche di coloro chelunghi. si dedicarono loro cura eun as- giorno Miallaricordo a. È la storia, infine, della struttura ospedaliera che che era venuto mio padre, dotre si prestò a questa funzione, quella di Malcesine, problematiche di oggi che essere vedono ancora a distanza veva Natale e mi aveva anni gli stessi protagonisti di allora lottare per un portato un alberello di Natale. tto alla dignità dell’esistenza. Lo aveva addobbato ab casa e ce l’ha portato da Padova a Bologna, con questo alberello in mano. I miei ci potevano

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“Figure bianche, astratte” l’epidemia di poliomielite nel secondo dopoguerra di Lucia M. Una delle emergenze sanitarie esplose nel secondo dopoguerra e particolarmente negli anni cinquanta, tanto in Italia quanto in altri paesi d’Europa, fu una terribile epidemia di poliomielite. Questa malattia, che colpiva in diversa misura arti e tronco, ha costretto migliaia e migliaia di individui a interminabili ricoveri, a ripetuti, dolorosi interventi chirurgici, a torturanti riabilitazioni e a confrontarsi quotidianamente con la disabilità. Solo la vaccinazione, introdotta per l’Italia nel 1958 e resa obbligatoria nel 1966, ha consentito di contrastare efficemente tale infermità. Carlo Carlucci, autore del volume Questi eravamo noi (Malcesine, Associazione interregionale disabili motori, 2008), ha raccolto le testimonianze di quanti vissero, ancora bambini, il dramma della malattia, e che oggi, a distanza di qualche decennio, continuano la loro battaglia contro i postumi aggravanti della malattia, la cosiddetta sindrome post-polio. Di seguito si ripropone uno dei racconti ospitati nel volume stesso, quello di Lucia M.

stare un giorno e poi dovevano ripartire. Quando ripartivano o mia madre o mio padre io e mia sorella ci consolavamo: “Tanto siamo già state operate, fra un po’ torniamo a casa vedrai…”. Poi siamo andate a scuola e mia mamma voleva assolutamente che facessimo la vita di tutti gli altri bambini, ma non era possibile. A casa c’era quel gabinetto di una volta col buco e la mamma ci ha fatto costruire una specie di sgabellino aperto, di legno così ci potevamo sedere. La mamma era il capo di casa. Era bravissima, piena di coraggio, di umore. Per esempio quando le mie sorelle andavano a ballare ci diceva: “Andate anche voi, dovete andare anche voi. E noi si rispondeva che non potevamo ballare, ma lei ce ne faceva un obbligo e ci dovevamo andare. E le mie sorelle erano contente di portarci. I ragazzi si sedevano vicino a noi perché, insomma, non eravamo brutte, però quando ci vedevano come ci alzavamo allora se ne andavano via. E questa è stata una cosa molto pesante da accettare, almeno fino a una certa età, fino ai venticinque anni, quando poi concludi che la vita non è solo quello e allora finisci per trovare qualcuno che accetta e che ti accetta. Quelli

Questi eravamo noi

di Carlo Carlucci

Associazione Interregionale Disabili Motori Onlus


sono stati gli anni più duri. Non piangevo, ma dentro c’era durezza, tanta. Per mia sorella, più espansiva, allegra, era diverso. Lei la metteva in un altro modo. Io invece mi chiudevo verso il mondo esterno. Però mi stimavo. E pensavo di dover cercare di esprimermi al meglio, studiando, andando a scuola. Ho avuto sempre un lavoro che non mi è mai piaciuto. Lavoravo in una ditta di confezioni. Perché in collegio avevo imparato a fare la magliaia e la sarta. E così a trentacinque anni ho fatto le magistrali. Poi quando mi mancava un anno per finire la scuola, ma lavoravo sempre, ho voluto provare a vivere da sola, per uno spirito di indipendenza. E così ho smesso poi di studiare. E mia madre che non si è mai opposta alle mie scelte, mi ha appoggiata. Mio padre non era molto contento, era preoccupato: “Con quelle gambe come farai…”. Io avevo la macchina e mi muovevo indipendente. In casa, tornando indietro nel tempo, eravamo sempre in tanti,

tanti poveri che venivano a mangiare a casa. Mio padre poi coltivava quaranta campi e si faceva aiutare da altri (come fanno gli extracomunitari oggi). E in casa a tavola eravamo sempre tanti, anche quindici, anche venti. Poi mio padre era orfano e a un certo punto mia zia ci ha chiesto di andare a stare da lei. La famiglia allargata come si dice oggi, solo che una volta si allargava perché si univano le famiglie, per affetto, per proteggersi, per dividere le spese, oggi invece perché ci si sposa magari quattro o cinque volte. Quella casa c’è ancora, è vicina al Brenta. Adesso i figli dei padroni ci hanno fatto un agriturismo. In tre famiglie gestivamo centocinquanta campi di questo padrone. In casa decidevano tutto mia mamma e una delle mie zie, sorella di mio padre, quella che poi ci ha fatto da vice-mamma quando eravamo per gli ospedali. Poi la mamma è stata con me finché è morta. Io l’ho sempre stimata mia

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mamma. I miei fratelli tiravano di più verso mio padre, ma io la vedevo una grande, per le iniziative che aveva per noi, le gite che ci faceva fare, lo spirito e gli stimoli che ci dava. Mio padre era molto intelligente, ma non aveva il coraggio di buttarsi nelle iniziative, per cambiare magari la sua condizione. Suonava nella banda però e la sera a casa tante volte si faceva musica e noi cantavamo. In collegio abbiamo preso il diploma di maglieria e sartoria. Il pomeriggio facevamo dattilografia. Solo io e mia sorella ci eravamo andate, per garantirci il futuro. Fu la mamma naturalmente a proporcelo: “Cosa fate adesso a casa, non potete mica andare nei campi, ci sarebbero degli istituti…”. Siamo andate a vederne uno, ma non ci volevano per via delle gambe malate. Ce n’era un altro che ci era piaciuto, dove si imparava a lavorare la ceramica, ma anche lì non ci hanno volute. Allora ne abbiamo trovato un altro dove ci hanno tenuto in prova una settimana, per vedere se sapevamo arrangiarci in tutto. Dopo ci hanno tenuto in considerazione, abbiamo preso anche un premio. Ma mia sorella aveva un problema che di notte, forse le costava troppo stare lontana da casa, se la faceva addosso. E se ne accorgeva solo al mattino. E io per nascon-

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dere le mettevo un asciugamano. Perché se no erano botte. A sangue di naso con quelle suore lì. L’unico bel ricordo di quel posto era l’idea che avresti ottenuto la possibilità di renderti indipendente. Per il resto, umanità, comprensione, zero. Ci facevano scopare i chiostri con la scopa di saggina a me e mia sorella. Il pavimento era di pietre sconnesse con le protesi che avevamo ci piagavamo a sangue la sera. Ognuno doveva fare qualcosa, chi lavava i piatti, chi stirava. A noi ci avevano dato il più complicato, il più difficile e doloroso per le condizioni in cui ci trovavamo. E noi non potevamo ribellarci. Poi mia sorella si è riscattata col suo ragazzo. Si è sposata presto, hanno messo su una casetta, e ci è vissuta dieci anni finché lui è morto di un tumore fulminante. E lei che si appoggiava tutta sul marito non aveva nemmeno preso la patente e così per andare a trovarlo all’ospedale andava fino al distributore di benzina e lì cercava qualcuno che le desse un passaggio. Poi è riuscita ad avere la pensione anticipata del marito e col suo assegno di accompagnamento ha tirato su queste due bambine che ora sono grandi e si sono sposate tutte e due. Poi ha avuto dei bravi amici che l’hanno aiutata. Ma come era felice il giorno che si era sposata.


“La malattia ti dà la libertà”

La malattia, sia in senso tradizione borghese da essi fisico che in senso psicorappresentata; la peste è logico, è stata spesso arsegno di decadenza in La gomento di letteratura: si morte a Venezia; in Doctor la malattia pensi alla malaria o al colera Faustus la malattia del protanelle pagine, ad esempio gonista è correlata alla danin letteratura di Giovanni Verga, o alla nazione dell’arte e al tentatubercolosi (il “mal sottile”) tivo di superare se stesso di Francesca Rocchetti che produsse celebri opere andando oltre le proprie nella letteratura e nella lirica possibilità e sacrificando con personaggi la cui sorte all’arte la propria stessa vita. finale appare decisa dal tragico esito della malattia Anche in Kafka troviamo continue riflessioni sul legastessa. Tra queste le più note rimangono la Traviata me tra la tubercolosi di cui egli soffriva e il suo rapdi Giuseppe Verdi e la Bohème di Puccini. In campo porto difficile con il padre e la fidanzata. In questo strettamente letterario va sicuramente ricordata l’ope- caso, la malattia è espressamente interpretata come ra di Thomas Mann in cui la tubercolosi fa da cornice la conseguenza e il simbolo delle condizioni interiori: all’azione drammatica: ne La montagna incantata la vi- sensazione di fallimento generale e desiderio di sencenda si svolge nel sanatorio di Davos e i protagonisti tirsi integrato in famiglia e accettato dall’autorità pasono tutti sottomessi a un destino che coinvolge non terna. Questi due elementi si ritrovano come costanti solo le loro prospettive fisiche ma anche la loro atti- in tutta la sua produzione letteraria, dal Processo al vità intellettuale; la malattia diventa un elemento che Castello, dalla Metamorfosi alle novelle. separa dal mondo della produttività, del lavoro, della In Marcel Proust questo tema è inteso come isolaguerra e permette una riflessione filosofico-esisten- mento forzato dal resto della comunità; la malattia è ziale sulla condizione umana e la maturazione dell’in- un fattore discriminante, altera la produttività, limita dividuo: “La malattia ti dà la libertà. Essa ti rende… il contesto sociale, isola il protagonista e lo allontana ecco, ora mi sovviene la parola che non ho mai usata. dal centro della scena, come accade alla suggestiva Essa ti rende geniale” (Thomas Mann, La montagna figura della zia Léonie, ne La Recherche. incantata). Per Jean-Paul Sartre la malattia è intesa, in senso D’altra parte, il binomio professione medica-passione modernissimo, come il disgusto del vivere, molto letteraria è più comune di quanto si possa pensare: più che un malessere, è un morbo potente, capace dietro la rappresentazione della malattia in letteratura di distruggere le componenti e le basi della società. vi è spesso un’esperienza diretta oppure una cono- Nausea dunque della vita, incomprensione per i fini scenza di essa acquisita per professione. ultimi dell’esistenza, perdita delle motivazioni. L’uomo Uno dei primi medici scrittori di cui siamo a conoscen- diventa un nulla davanti all’irrazionalità delle comuni za è l’evangelista Luca – colui che Paolo nella Lettera espressioni del vivere sociale. In ambito italiano non ai Colossesi chiama “il caro medico” –, autore della possiamo non citare i due scrittori più rappresentativi celeberrima parabola del Figliuol prodigo, considerata del primo Novecento: Luigi Pirandello e Italo Svevo. da molti una delle pagine più alte di letteratura di tutti Nelle opere di Pirandello, sia narrative che teatrai tempi. Per avvicinarci ai nostri tempi, si pensi al gran- li, la malattia diviene frequentemente il simbolo di de narratore e drammaturgo russo Anton Cechov: una personalità difforme, controcorrente, anticonconvinto che il letterato dovesse condividere le soffe- venzionale, in spiccato contrasto con il perbenismo renze del popolo si prodigò anche come medico con- borghese dell’epoca. Spesso la malattia dei suoi dotto. In ambito nazionale ricordiamo il torinese Carlo personaggi sconfina nella follia, nel disagio psicoloLevi e lo psichiatra viareggino Mario Tobino, primario gico dell’uomo razionale di fronte alle incongruenze dell’Ospedale psichiatrico lucchese di Fregionaia di del contesto sociale. E la follia finisce col diventare Maggiano, cantore nei suoi romanzi dell’affascinante elemento fondamentale della condizione umana per e inquietante atmosfera della follia. fuggire la propria angoscia, estremo rifugio per poterTracciare una casistica completa è impossibile; in si salvare dal dramma dell’esistenza: “Pazzo! Pazzo! questa sede possiamo solo ricordare alcuni fra gli Pazzo! Perché avevo voluto dimostrare che potevo, autori più conosciuti che hanno utilizzato il morbo e anche per gli altri, non essere quello che mi si crela malattia per identificare e analizzare uno stato di deva” (Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila). perdita. Poco importa poi se la malattia sia vera o Ne La coscienza di Zeno di Italo Svevo l’opposizione immaginaria, fisica o psicologica, individuale o col- tra malattia e salute si basa sull’opposizione tra l’inetlettiva, purché colpisca l’immaginario e sviluppi quel- titudine e la sicurezza, dove le persone “in salute” sola situazione di perenne emergenza e di attesa, che no quelle sicure di sé, forti, decise e fiduciose nella genera suspense, il vero cardine della narrazione. vita. Con Zeno la malattia si configura come la sola Il già citato Thomas Mann affronta il tema della ma- autentica possibilità di essere: il personaggio moderlattia non soltanto ne La montagna incantata. Nei no si impone come “malato”, rinunciando a tutte le Buddenbrook le malattie che colpiscono diversi per- pretese eroiche dei personaggi tradizionali. È la nesonaggi sono segno della decadenza e della fine della vrosi, con le sue molteplici manifestazioni, la malattia

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che, in fin dei conti, domina il personaggio sveviano. Avviluppandosi nel suo disagio e continuando comunque a cercare la guarigione, Zeno non ci presenta un caso specifico ma un’immagine più ampia della condizione nevrotica dell’uomo contemporaneo. La nevrosi dell’individuo è anche la nevrosi della civiltà e della cultura: la guarigione non esiste, esistono solo equilibri provvisori che nascono dalla coscienza dell’inevitabilità della malattia. La malattia diventa dunque strumento fondamentale di conoscenza; e in questo essa si intreccia con la scrittura e la letteratura: scrivere è anche cercare le ragioni segrete della malattia, usarla come forza critica che rivela le contraddizioni della realtà. Indubbiamente la regina indiscussa nella cosiddetta “letteratura del morbo” è la peste. Della peste si hanno notizie gia nella Bibbia: note sono le distruzioni da essa operate nell’Esodo, dove sono vittime le città di Sodoma e Gomorra; è una delle sette piaghe d’Egitto e sarà, stando al nono libro dell’Apocalisse, una delle calamità che concorreranno alla fine del mondo. Con uno scenario di peste si apre l’Iliade: nel primo libro la pestilenza è causata da Apollo per vendicare l’oltraggio fatto da Agamennone a Crise, sacerdote del dio. Virgilio riporta nel III libro delle sue Georgiche un altro famoso episodio di peste: quella del Norico. La peste più famosa del Basso Medioevo rimane quella del 1348, che decimò la popolazione di tutta Europa. Francesco Petrarca in quell’occasione perse l’amata Laura, sua musa ispiratrice, colpita fatalmente dal morbo e Giovanni Boccaccio utilizzò l’epidemia come cornice del Decameron. Dopo il 1348, la peste colpì molte altre volte (e infierì anche nel Trentino: ne è testimonianza il volume di Alberto Folgheraiter I dannati della peste. Tre secoli di stragi nel Trentino 1348-1636). Celebre è sicuramente la peste del 1630, magistral-

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mente descritta ne I Promessi sposi di Alessandro Manzoni, che volle anche testimoniare, con la Storia della colonna infame le persecuzioni, i processi e le morti di tanti innocenti, considerati a torto “untori”. Il tema della peste non è stato ignorato nemmeno dagli autori stranieri; valga per tutti la citazione di due celebri romanzi: La peste di Londra di Daniel Defoe, pubblicato nel 1722, ma ambientato a Londra durante la terribile peste del 1665, e La peste di Albert Camus, ambientato in Algeria, a Orano, negli anni quaranta del Novecento. Qui la peste dilaga e l’epidemia (che è il simbolo dell’occupazione nazista in Europa) viene utilizzata per analizzare le reazioni varie e contraddittorie che scatena negli uomini. Quando l’epidemia finalmente cessa, il protagonista, il dottor Rieux, invita significativamente gli abitanti della città a non abbandonarsi al sonno dell’incoscienza, ma a rimanere vigili, perché il pericolo del contagio pestilenziale non scompare mai: “Ascoltando, infatti, i gridi d’allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava che quell’allegria era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice”. Parole profetiche, soprattutto se si pensa all’influenza dei giorni nostri – definita spesso “peste del ventunesimo secolo” – che ci ha investiti seminando il panico da una parte all’altra del mondo e che, probabilmente, accanto alla paura non sempre giustificata, tornerà a generare altre pagine di letteratura.


Per una storia della sanità in Trentino

Sono passati oltre trent’anni dire storico-sanitaria ha troda quando, nel 1978, in coinvato eco anche all’interno del cidenza con la forte spinta Museo storico in Trento e sucriformatrice che investì il cessivamente della Fondazioun progetto da proseguire settore sanitario italiano e ne Museo storico del Trentino primo fra tutti quello dell’asattraverso una serie di azioni e consolidare sistenza psichiatrica, fu sviluppata soprattutto nel setpubblicato a cura del CISO tore della storia sociale della di Rodolfo Taiani (Centro italiano di storia psichiatria e sfociata in iniziaospitaliera) il volume misceltive di vario genere: mostre, laneo Storia della sanità in Italia: metodo e indicazioni incontri pubblici, produzioni video, pubblicazioni e via didi ricerca. Il testo, risultato di un convegno di studi, cendo. L’apertura d’interesse nei confronti di un approsegnava un’importante tappa nell’individuazione e pro- fondimento sui temi di storia della sanità, con attenziomozione di nuove iniziative di studio in quell’area della ne particolare al Trentino dei secoli XVIII-XX e secondo lo storia sociale e culturale della pratica medica che aveva schema d’argomenti ricordato, non costituisce pertanto già registrato significativi risultati in ambito anglosas- una novità per la Fondazione Museo storico del Trentisone e francese fin dai primi anni del secondo dopo- no. Sono numerosi gli affluenti che hanno contribuito guerra. Nell’intervento introduttivo Giovanni Berlinguer in passato ad ingrossare il fiume di un simile progetto. elencava le principali articolazioni del tema storico- L’impegno futuro guarda evidentemente a una prosesanitario, tracciando le tante piste d’indagine futura: cuzione delle ricerche già impostate, ma con un’attena) malattie prevalenti per diffusione e gravità, e loro rap- zione particolare, al momento, nei confronti della storia porti con l’ambiente naturale e sociale (clima, lavoro, re- della farmacia che ha già raccolto l’attiva collaborazione sidenza, famiglia ecc.) e con l’evoluzione storica (guerre, di vari soggetti pubblici e privati, fra i quali l’Ordine dei conflitti sociali, stato); farmacisti della provincia di Trento, l’Associazione titob) demografia, sia come stato della popolazione che lari di farmacia della provincia di Trento, l’Associazione come suo movimento: sociale (migrazioni) e naturale giovani farmacisti-sezione di Trento, l’Ordine dei medi(natalità, mortalità, nuzialità ecc.); ci della provincia di Trento, il Comune di Brentonico, il c) dottrinale medico e delle scienze affini (per esempio Museo civico di Rovereto, il Museo di scienze naturali chimica, biologia), scoperte scientifiche e applicazio- di Trento e non ultima la Provincia autonoma di Trento. ni tecniche sia terapeutiche che preventive, anche in Seminari, congressi, esposizioni temporanee, corsi di rapporto con la produzione dei ‘materiali sanitari’ (per aggiornamento medico, eventi di divulgazione per adulesempio dalla coltivazione delle erbe medicinali all’indu- ti e laboratori didattici per gli studenti della scuola, cistria dei farmaci); cli di proiezioni, spettacoli ed attività escursionistiche d) arti e professioni sanitarie; formazione degli ‘spe- sul territorio, raccolta, descrizione e inventariazione di cialisti’, loro ruolo sociale, intreccio con il potere; materiali documentari (carte, libri e oggetti), attività edie) rapporti fra la salute e l’organizzazione della società: toriale specifica potrebbero costituire solo alcune delle discriminazione ‘quoad vitam’ [ciò che riguarda la vita] e realizzazioni ad opera di una sorta di centro iniziative a ‘quoad valetudinem’ [ciò che riguarda la salute], lotte so- forte vocazione interdisciplinare e di orizzonte extraprociali per il diritto della salute, e loro influenze sui rapporti vinciale ospitato, in prospettiva, presso palazzo Ecchelifra le classi e sul progresso sanitario e politico; Baisi di Brentonico. Fra i tanti argomenti da affrontare f) organizzazione e legislazione sanitaria: istituzioni, leg- nell’immediato potrebbe esserci proprio lo sviluppo delgi, intreccio con il diritto e con lo Stato; la professione farmaceutica in Trentino, concentrando il g) edilizia e urbanistica sanitaria, sia come analisi delle lavoro d’indagine su tutti quegli aspetti socio-culturali tipologie degli ‘edifizi sanitari’, sia come influenza della in grado di far emergere l’importante ruolo che spesmaturazione (o degradazione) igienica sulla costruzione so il farmacista, assieme ai cosiddetti notabili, ricopriva delle città e sul rapporto città-campagna; all’interno della comunità in cui operava e non solo dal h) cultura medica e ideologie; analisi sia della coscienza punto di vista sanitario. In altri termini un attore sociasanitaria popolare (e della medicina empirica), sia delle le dotato di grande autorevolezza e capace per questa implicazioni teoriche della cultura medica ufficiale; stu- ragione di estendere la propria influenza sul contesto dio del rapporto (reciproco) fra medicina e filosofia; di riferimento così come d’imprimervi talvolta forti spini) come sono state viste nell’arte e nella letteratura le te innovative, anche attraverso la diretta assunzione malattie e i medici nelle varie epoche”. d’incarichi istituzionali. Questo primo tema d’indagine Tali indicazioni hanno trovato riscontro nella vivace atti- potrà attingere utili elementi di analisi dal recupero di vità di ricerca sviluppatasi in Italia a partire dalla fine de- documentazione privata. Sono già attivi al riguardo congli anni settanta del secolo scorso e nella produzione di tatti con le competenti Sovrintendenze provinciali per una mole crescente di studi relativi anche al Trentino (cfr. avviare una campagna di rilevazione assistita, ossia di a tale proposito Rodolfo Taiani, Popolazione, malattia e compilazione di specifici questionari sotto la guida almedicina: contributi per una storia della sanità in area meno di un rilevatore istruito, svolta principlamente in trentina, in “Geschichte und Region/Storia e Regione”, quei luoghi e presso quelle famiglie che vantano una 2005, n. 14). L’interesse di ricerca per un’area per così storia di più generazioni nell’ambito della farmacia.

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Gli archivi della Fondazione Museo storico del Trentino custodiscono alcune fonti di sicuro interesse per la storia della sanità in Trentino nel XX secolo. Ci si riferisce in particolare al fondo fotografico Angela Ondracek e a quattro nuclei documentari conservati nell’Archivio E (carte Leopoldo Pergher), nell’Archivio di Beppino Disertori, nell’archivio della Lega di donatori di sangue per malati poveri “Gigino BattistiMario Pasi” e nell’Archivio Battisti. Si segnala inoltre il fondo bibliografico, non ancora catalogato,

Per una storia della sanità in Trentino alcune fonti negli archivi della Fondazione Museo storico del Trentino

a cura di Caterina Tomasi

depositato presso la Fondazione dall’Azienda provinciale dei servizi sanitari: si tratta di 327 volumi appartenuti alla biblioteca del Medico provinciale e di circa 800 volumi, prevalentemente di argomento giuridico, economico, finanziario, medico-legale, medico-sociale e socio-assistenziale, compresi fra gli anni venti e settanta del secolo scorso, appartenuti al fondo bibliografico del Distretto di Trento e Valle dei Laghi. Di seguito si danno alcune notizie relative ai soggetti produttori e alla consistenza del materiale archivistico sopra ricordato.

Fondo Beppino Disertori 1926-1990, con documentazione 1904-1915 (corrispondenza fra i genitori di Disertori). Buste 26. Dono luglio 1988. Beppino Disertori (1907-1992) si laureò a Genova nel 1931 con una tesi di fisiopatologia del sistema nervoso centrale. Successivamente si specializzò in neurologia e psichiatria con Carlo Besta a Milano. Negli anni quaranta partecipò attivamente alla Resistenza entrando in contatto, tra gli altri, con Egidio Reale, Randolfo Pacciardi, Gigino Battisti, Egidio Bacchi, Giannantonio Manci. Finita la guerra diventò primario nel reparto di neurologia dell’ospedale Santa Chiara e docente presso la Facoltà di medicina dell’Università di Padova e presso la Facoltà di sociologia di Trento. Il materiale donato comprende l’archivio personale, numerosi periodici e una biblioteca di 5.000 volumi. L’archivio conserva un ricco carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura, documenti sull’attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche scientifiche. Fondo Lega di donatori di sangue per i malati poveri “Gigino Battisti - Mario Pasi” 1947-1980 ca. Fascicoli 5. Dono fine anni ottanta del XX sec. La Lega “Gigino Battisti - Mario Pasi” fu istituita a Trento il 25 luglio 1947 allo scopo di assicurare le necessarie trasfusioni di sangue ai degenti poveri dell’ospedale civile di Trento. L’atto costitutivo fu sottoscritto da Livia Battisti, Ernesta Bittanti, Mario Agostini, Assunta Gottardi Ottolini, Enrica Baldessari e Ruggero Piffer. Il fondo è costituito dalla documentazione prodotta da Livia Battisti nel corso dell’attività svolta in seno alla Lega, di cui fu promotrice. Comprende atti costitutivi e statuti, verbali, relazioni, carteggi con altri istituti e associazioni di donatori, materiale propagandistico sull’attività e sulle finalità dell’associazione. Fondo Cesare Battisti Cesare Battisti (1875-1916) manifestò sempre grande interesse nei confronti delle questioni sociali. Ne è testimonianza oltre alla sua biblioteca personale anche l’archivio, che conserva documentazione relativa alla situazione sanitaria del territorio. Si segnala in particolare, in seno all’attività politica di Cesare Battisti, un fascicolo sulla diffusione della pellagra: serie Cesare Battisti politico, unità archivistica CB60, “A - Appunti di attività politica e pubblica. Verbali, minute di articoli e di scritti. B - Lettere ed appunti di attività pubblica”, 1888-1911. Il contenuto riguarda statuti di consorzi e società; appunti per un discorso politico; memoriale per il Consiglio sanitario provinciale sulla pellagra; progetto tecnico per la costruzione di un pellagrosario a Rovereto; bozza di atto costitutivo di un circolo scientifico; altro materiale sull’“affare Erardo Ognibeni”; questionario sulle strutture ricettive in Trentino. Fondo Angela Ondracek 1916-1918. 120 fotografie. Dono marzo 2000. Il materiale comprende la documentazione fotografica appartenuta all’infermiera Angela Ondracek. Le immagini testimoniano il suo lavoro presso l’ospedale militare austroungarico di Pergine Valsugana durante la prima guerra mondiale: i degenti, le attrezzature, le ferite, la vita in ospedale.

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INFOM U S E O SETTEMBRE 2009 La “Frabica delle scritture di montagna” Si è tenuto il 6 settembre l’ultimo appuntamento per l’estate 2009 alla “Frabica delle scritture di montagna”, di Prà del Cimerlo in Primiero. L’antropologa Emanuela Renzetti ha condotto l’incontro dal titolo “I santuari per la vita eterna dei bambini. Mortalità infantile e religiosità popolare”. Gli appuntamenti di quest’anno sono stati inseriti all’interno delle “Domeniche della Val Canali” ed erano tutti legati al tema della mostra “Bambini di montagna - Storie d’infanzia 1870-1960”, offrendo interessanti approfondimenti sui temi affrontati nell’esposizione allestita nel fienile di Villa Welsperg, dal 5 luglio al 30 settembre 2009.

I forum di Archivio trentino La Fondazione Museo storico del Trentino e il Museo storico in Trento hanno proposto nelle giornate del 10 e 11 settembre i Forum di Archivio Trentino, la rivista di studi semestrali edita dalla Fondazione

FONDAZIONE

MUSEO STORICO

to - PerIodIco semerÇue - tassa rIscossa

DEL TRENTINO

stessa e curata dall’Associazione Museo storico in Trento. Si è trattato di un’occasione per avvicinarsi ad alcuni temi al centro del dibattito storiografico. Personalità di varia estrazione e formazione sono stati invitati a partecipare a momenti di libero confronto condividendo opinioni e riflessioni personali. Il 10 settembre Marco Boato, Vincenzo Calì, Paolo Ghezzi, Michele Nicoletti e Fabrizio Rasera hanno discusso di “Cattolici, politica, modernità”. Il giorno successivo Claudio Ambrosi, Davide Bagnaresi, Andrea Leonardi, Marco Pluviano e Michael Wedekind hanno presentato le loro comunicazioni relative al tema “Per una storia politica del turismo”. Questi appuntamenti di fine estate si sono conclusi con un momento d’intrattenimento musicale. Il complesso Tarantula rubra, nato da una particolare esperienza condotta all’interno del carcere Rebibbia a Roma, ha proposto in collaborazione con l’Associazione Piazza Mostra un apprezzato repertorio di musiche tradizionali salentine nella cornice di piazza Mostra a Trento.

Da Cannes a Tornopol Dal 24 settembre al 31 ottobre la Casa della Memoria e della Storia di Roma ha ospitato la mostra “Da Cannes a Tarnopol: diario di viaggio e prigionia”, 40 disegni realizzati da Michelangelo Perghem Gelmi durante la tradotta e la prigionia in Ucraina e Germania, accompagnati da annotazioni e commenti di Francesco Piero Baggini. La mostra, curata da Mauro Baggini e Mario Perghem Gelmi e approdata a Roma dopo essere stata ospitata nelle sale di Palazzo Pretorio a Sondrio e negli spazi di Torre Mirana a Trento, è stata realizzata con la collaborazione della Regione Lazio, della Provincia di Sondrio, della Comunità montana Valtellina di Sondrio, della Fondazione Museo storico del Trentino e del MART (Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto).

archivio trentino 2 RIVISTA DI STUDI SULL’ETà MODERNA E CONTEMPORANEA DEL MUSEO STORICO IN TRENTO

2008

La memoria del Colle La chiesetta Ossario sul colle di Santo Stefano a Bezzecca, luogo del famoso “Obbedisco” di Garibaldi, è stata oggetto di una campagna di restauri condotta dalla Soprintendenza per i Beni architettonici della Provincia autonoma di A settant’anni dalla fondazione dell’Ossario di Bezzecca

Comune di Bezzecca

Unione dei Comuni della Valle di Ledro

Trento in collaborazione con il comune, la parrocchia e la consulenza della Fondazione del Museo storico del Trentino. I risultati dell’intervento di restauro sono stati presentati venerdì 25 settembre. Sono intervenuti: Ettore Luraschi, sindaco del Comune di Bezzecca; don Giampiero Baldo, parroco di Santo Stefano; Lorenzo Vittorio Barbato, Gen. C.A. CC commissario generale onoranze caduti in guerra del Ministero della Difesa; Giuseppe Ferrandi, direttore generale Fondazione Museo storico del Trentino; Sandro Flaim, soprintendente per i beni architettonici della Provincia autonoma di Trento; Giuliano Pellegrini, presidente Unione Comuni Valle di Ledro; Franco Panizza, assessore provinciale alla Cultura, Rapporti europei e Cooperazione; Cinzia D’Agostino, soprintendenza per i Beni architettonici; Andrea Rigo. Al termine della giornata è stato presentato il film “Sulle tracce di Garibaldi”, prodotto dalla Fondazione Museo storico del Trentino per la regia di Lorenzo Pevarello.

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OTTOBRE 2009

Autunno in piazza… Mostra

Il 10 e l’11 ottobre, nell’ambito della Il centro di documentazione Mau- festa “Autunno in piazza… Mostra”, organizzata dall’Associazione Piazro Rostagno za Mostra di Trento, la Fondazione Nell’ambito del Convegno “Le fonti Museo storico del Trentino ha prodocumentarie per la storia dell’Uni- posto un’esposizione fotografica versità di Trento (1962-1972)”, svol- dedicata al vicino quartiere di San tosi a Trento l’1 ottobre presso la Martino. Facoltà di Sociologia, Vincenzo Calì ha presentato la relazione dal titolo “Le fonti per la storia dei movimen- I ragazzi di Odenberg ti studenteschi: il Centro di docu- Il romanzo di Pietro Acler “I ragazzi mentazione ‘Mauro Rostagno’ do Odenberg” (Roma, Alberto Gafpresso la Fondazione Museo stori- fi editore, 2009) è stato presentato co del Trentino”. Il testo della co- presso la biblioteca della Fondaziomunicazione è pubblicato sul n. ne Museo storico del Trentino il 12 ottobre. L’autore si è cimentato con 1/2009 di Archivio trentino. un lungo racconto ambientato in una piccola comunità altoatesina, Andreas Hofer tra mito e storia nel paesino di Odenberg, località È stata inaugurata il 9 ottobre pres- immaginaria e simbolica del Sudtiso il Museo della cartolina di Isera rolo. Protagonisti tre ragazzini che la mostra “1809-1810, Andreas Ho- incrociano le loro giovanissime vifer tra mito e storia: le cartoline rac- te con eventi e complessità molto più grandi di loro. Sullo sfondo, la contano”. L’esposizione, aperta fino al 28 feb- storia degli adulti che li circondabraio 2010 e realizzata dal Comune no, più o meno consapevoli, più o di Isera e dal Museo della cartoli- meno ragionevoli, più o meno innona di Isera, in collaborazione con centi. L’iniziativa si inserisce in una la Fondazione Museo storico del serie di appuntamenti “storico-letTrentino, la Provincia autonoma di terari” curata dalla Biblioteca della Fondazione stessa. Trento e la Cassa Rurale di Isera, è stata curata da Carmelo Nuvoli, con il coordinamento di Alessandro de Vite internate. Katzenau 1915-1917 Bertolini e Mario Cossali. La mostra fotografica e l’omonimo

presso l’Auditorium delle scuole medie, il 16 ottobre. L’esposizione, rimasta aperta fino al 25 ottobre, raccoglie le fotografie di Enrico Unterveger, anch’egli internato nel campo di concentramento di Katzenau durante la Grande Guerra. Il percorso fotografico è stato successivamente ospitato presso la sala mostre di Tesero. Gli archivi Calamandrei Il 23 ottobre Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, nell’ambito delle due giornate di studio dal titolo “Un caleidoscopio di carte: gli archivi Calamandrei di Firenze, Montepulciano, Trento e Roma”, ha presieduto la sessione dedicata ai carteggi. Il convegno, tenutosi a Montepulciano, è stato organizzato dalla Biblioteca Archivio Piero Calamandrei della cittadina toscana e vede la Fondazione particolarmente interessata in quanto custode di alcune carte del noto storico toscano. Il Premio Cento ad AltreStorie AltreStorie, il quadrimestrale della Fondazione Museo storico del Trentino, si è aggiudicato il Premio Cento alla stampa locale (sezione privata).

libro di Claudio Ambrosi “Vite internate: Katzenau 1915-1917” sono stati presentati a Segonzano,

Il riconoscimento, assegnato ogni anno, intende promuovere le peculiarità del territorio, contribuendo ad accrescere la conoscenza del fenomeno editoriale locale e il consolidamento di una tradizione radicata e importante. La cerimonia di consegna del premio si è svolta il 24 ottobre a Cento (FE).

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NOVEMBRE 2009 Quali storie per il territorio, quali territori per la storia La Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con il Comune di Baselga di Pinè e il Consorzio dei Comuni BIM Adige-Trento, ha organizzato il seminario di studio “Quali storie per il territorio, quali territori per la storia”. L’iniziativa si è svolta in margine alla presentazione del volume “Storia di Piné: dalle origini alla seconda metà del XX secolo”, a cura di Marco Bettotti (Baselga di Piné, Comune di Baselga, 2009). Durante l’incontro, svoltosi il 14 novembre presso il Centro congressi di Baselga di Pinè, hanno presentato le loro comunicazioni Vittorio Tigrino, Luigi Blanco, Gauro Coppola, Fabrizio Rasera, Livio Cristofolini, Ugo Pistoia, Gian Maria Varanini.

Boom! Istruzioni per l’uso: Trento 1955-1965 Il 14 novembre è stata inaugurata presso gli spazi di Palazzo Firmian in via Galilei a Trento la mostra della Fondazione Museo storico del Trentino “Boom! Istruzioni per l’uso: Trento 1955-1965”, curata da Elena Tonezzer. L’esposizione, aperta fino al 28 febbraio 2010, attraverso le pagine del più diffuso giornale locale dell’epoca, riporta alla luce quello che accadde a Trento tra il 1955 e il 1965, un decennio di profondo mutamento che incise sulla forma urbana della città e sui suoi abitanti. Memorie riflesse: lo schermo tra vero e falso La Fondazione Museo storico del Trentino, con il patrocinio del Dipartimento di filosofia, storia e beni Infomuseo: tel. 0461.230482 fax 0461.1860127 www.museostorico.it - info@museostorico.it

culturali dell’Università degli studi di Trento, ha proposto il II seminario internazionale su memoria e mass media. Quest’anno il titolo dell’incontro è stato “Memorie riflesse: lo schermo tra vero e falso”. L’iniziativa si è svolta il 18 novembre presso la Facoltà di economia a Trento e ha visto la partecipazione di Leonardo Gandini dell’Università di Trento, Laura Schuster dell’Universiteit van Amsterdam – NL, Barbara Grespi dell’Università di Bergamo, Luisella Farinotti dell’Università IULM di Milano, Mariagrazia Fanchi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Alessia Cervini dell’Università della Calabria. Pagine del Garda La Fondazione Museo storico del Trentino ha partecipato come gli anni precedenti alla mostra del libro e rassegna dell’editoria gardesana “Pagine del Garda”, organizzata dall’Associazione culturale Il Sommolago in collaborazione con il Comune di Arco. Fra il 14 e il 22 novembre i visitatori hanno così potuto visionare alcune delle produzioni editoriali della Fondazione stessa.

Museo storico del Trentino sul tema “Reti di storia reti di comunità”. Al centro della riflessione sono stati i soggetti e le istituzioni che, sul territorio, si stanno occupando di progetti culturali di argomento storico e si ispirano alle logiche di rete. La giornata è stata articolata in alcune sessioni di lavoro: una introduttiva di riflessione teorica e di inquadramento generale, seguita da due sessioni caratterizzate da un confronto tra le esperienze e le sperimentazioni attuate nel campo delle attività culturali e nell’ambito del processo di avvio delle Comunità di valle con l’intervento degli Assessori provinciali competenti. A seguire è stato dato spazio agli strumenti che il Museo storico del Trentino mette a disposizione per la costruzione della Rete della storia e alle problematiche legate alla costruzione e al funzionamento delle reti. Le conclusioni sono state affidate alla tavola rotonda finale che ha chiuso l’intensa giornata di lavori. I caduti della Grande Guerra

Il Museo storico italiano della guerra, la Fondazione Museo storico del Trentino, il Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari hanno organizzato il convegno dal Reti di storia reti di comunità titolo “Contare i morti: i caduti della Il 21 novembre la Facoltà di Socio- Grande Guerra”. Il 27 e il 28 novemlogia di Trento ha ospitato l’incon- bre, presso il Museo storico italiano della guerra di Rovereto, hanno pretro organizzato dalla Fondazione sentato le loro relazioni Giuseppe Ferrandi, John Horne, Annette Becker, Vittorio Barbato, Giorgio RoReti di storia chat, Piero Del Negro, Luigi Scolè, Reti di comunità Daniele Ceschin, Lodovico TaverniGiornata promossa dalla Sabato Facoltà di Sociologia Fondazione Museo storico 21 novembre Aula Kessler ni, Béatrix Pau-Heyriès, Fabrizio Radel Trentino 2009 Via Verdi 26 - Trento sera, Petra Svoljsak, Massimo Multari, Oliver Janz, Marco Baldessari, Barbara Bracco, Patrizia Dogliani, Andrea Baravelli, Bruna Bianchi, Guri Schwarz. Mostra fotografifica Vite internate: Katzenau, 1915-1917 Trento, 6-20 febbraio 2009 SOSAT TRENTO

Sede della SOSAT (Sezione Operaia della Società Alpinisti Tridentini) via Malpaga, 17 – Trento 10.00-12.00 13.00-18.30 Chiuso domenica e lunedì Ingresso gratuito

Fondazione Museo storico del Trentino, via Torre d’Augusto, 41 Trento tel. 0461.230482 info@museostorico.it - www.museostorico.it

1939: il grande imbroglio Il 28 novembre l’Istituto cimbro di Luserna ha ospitato la giornata di studio “1939: il grande imbroglio: le Opzioni al di fuori degli accordi”. Obiettivo dell’incontro era quello di mettere a fuoco la vicenda del tra-

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sferimento della popolazione sudtirolese dopo gli accordi italo-tedeschi del 1939. I lavori, presieduti da Lorenzo Baratter e Michael Wedekind, hanno visto gli interventi di Giuseppe Ferrandi, Hans Heiss, Pao­lo Cova, Sandra Roner Ketmaier, Luciana Palla, Christian Prezzi e Lara Magri. Durante il convegno sono stati proiettati i due cortometraggi “Un grande imbroglio: le Opzioni fuori dagli accordi” di Paolo Cova e “Le Opzioni in Valcanale nel 1939”, di Lara Magri.

DICEMBRE 2009 I processi della psichiatria Si è tenuto il 4 e 5 dicembre presso la Facoltà di Sociologia a Trento il convegno “I processi della psichiatria: un percorso tra storia, attualità e futuro”, organizzato dall’Azienda provinciale per i servizi sanitari della Provincia autonoma di Trento, dall’Università degli studi di Trento e dalla Fondazione Museo storico del Trentino. Lo scopo del seminario era quello di individuare i percorsi che hanno caratterizzato le varie fasi della psichiatria relativamente alle conoscenze, alle modalità organizzative e ai cambiamenti culturali intercorsi. L’incontro è stato articolato in tre sessioni: Amnesia etica e cultura della memoria; la psichiatria che cura nell’era della Legge 180; le prospettive dell’assistenza psichiatrica. Durante la prima giornata di convegno è stata inaugurata la mostra fotografica “Il turbamento curato: l’ospedale psichiatrico di Fregionaia in Lucca”: 45 tavole fotografiche in bianco e nero di Franco Bellato, Azienda Provinciale altrettante testimonianze visive del per i Servizi Sanitari complesso storico dell’antico convento dei Canonici Regolari Lateranensi di Santa Maria di Fregionaia divenuto nel 1773 “Spedale de’ pazzi” Provincia Autonoma di Trento

San Donà si racconta È stata inaugurata il 29 novembre la mostra fotografica “San Donà si racconta…”, a cura del Comitato Quartiere di San Donà e con la collaborazione di Rodolfo Taiani e Gianfranco Nardelli. Una serie di pannelli dislocati per le vie del rione restituirà, fino al 28 febbraio, alcuni pezzi della storia del villaggio grazie alla selezione di immagini esposte. L’obiettivo finale dell’iniziativa non è solo quello di preservare una memoria, ma anche quello di contribuire a rafforzare, grazie all’energia dei ricordi, quel senso di coesione e solidarietà che ogni Per informazioni Fondazione Museo storico del Trentino 0461.264660 aggregato umano deve continuainfo@museostorico.it Foto di Sergio Fortuna e Franco Bellato re a coltivare per potersi garantire una crescita e un progresso civile.

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Il turbamento curato l’ospedale psichiatrico di Fregionaia in Lucca

Si può fare La Fondazione Museo storico del Trentino e la Provincia autonoma di Trento, in collaborazione con la Federazione delle cooperative trentine, Euricse e Cavit, hanno organizzato il 4 dicembre l’incontro pubblico dal titolo “Si può fare: il contributo della ricerca storica al progresso cooperativo”. Un primo momento ha offerto motivo di confronto tra alcuni studiosi (Patrizia Battilani, Carlo Borzaga, Andrea Leonardi, Tito Menzani, Vera Zamagni, Alberto Ianes), chiamati a dire la loro sull’evoluzione più recente dell’impresa cooperativa, a partire dai contributi contenuti nel numero monografico della rivista “Imprese e Storia”, dedicato alla storia della cooperazione italiana nella seconda metà del Novecento. Nella seconda parte della serata è stato proiettato il film “Si può Fare” che narra la storia della cooperativa 180, una delle tante cooperative sociali nate a partire dagli anni settanta per rispondere alle nuove, complesse problematiche sociali. L’incontro è stato anche occasione per presentare pubblicamente il Centro sulla storia dell’economia cooperativa (CeSC) attivato presso la Fondazione Museo storico del Trentino.


Trentino ha ospitato la presentazioRiapertura de Le Gallerie di Piedi- ne del primo romanzo di Roberto castello Antolini “Ivan il terrorista” (Roma, Il 5 dicembre hanno riaperto al pub- Robin edizioni, 2009). Hanno diablico le Gallerie di Piedicastello, de- logato con l’autore la giornalista stinate a diventare uno spazio per- Sandra Mattei e lo storico Vincenmanente dove la storia del Trentino zo Calì. e delle sue comunità possa essere raccontata e rappresentata utiliz- Alfabeti e analfabeti nel Tirolo mezando i più diversi linguaggi, pro- ridionale muovendo conoscenza e provando a suscitare curiosità. La Galleria nera ospita la mostra “Storicamente ABC”, un abecedario del Trentino per raccontare, riflettere, emozionare. Nella Galleria bianca, invece, la mo“Per essere illetterati...” Alfabeti e analfabeti stra “L’invenzione di un territorio” nel Tirolo meridionale tra Sette e Ottocento. documenta, seppur sinteticamenUna ricerca in corso te, il lento lavoro di “invenzione” di XI Seminario dell’Archivio della un’entità territoriale trentina, prosescrittura popolare Venerdì, 11 dicembre 2009 guito e consolidato contestualmenPalazzo Geremia, Sala Falconetto te all’evoluzione storica dell’intero Via Belenzani, 20 - Trento quadro politico-istituzionale europeo dei secoli XVI-XXI. Il 13 dicembre si è tenuta la “Festa de Le Gallerie”: l’Associazione tutela dei marroni di Castione, il Comitato feste di Sant’Apollinare, l’associazione oratoriale Koinè, il Comitato per Piedicastello e l’US San Giorgio hanno offerto castagne, vin brulè e polenta. In serata l’attore Andrea Brunello ha proposto l’intervento teatrale “L’abecedario secondo noi”. Si è svolto l’11 dicembre, presso Palazzo Geremia a Trento, l’XI SeIl 10 dicembre la biblioteca della minario dell’Archivio di scrittura Fondazione Museo storico del popolare dal titolo “Per essere illetterati… Alfabeti e analfabeti nel Tirolo meridionale tra Sette e Ottocento: una ricerca in corso”, organizzato da Quinto Antonelli. Nel corso del 2009 il Museo storico del Trentino ha avviato una ricerca pluriennale sul processo di alfabetizzazione che ha investito il Tirolo meridionale tra Sette ed Ottocento. La ricerca, per un verso ricostruirà le modalità (luoghi, tempi, soggetti) con cui è avvenuto, concretamente valle per valle, il processo di scolarizzazione, per l’altro cercherà di rilevare l’effettiva diffusione della capacità di scrivere e di leggere tra la popolazione del Tirolo meridionale. Ivan il terrorista

In questo primo anno è stata messa a fuoco soprattutto la documentazione utile alla ricerca e operato qualche sondaggio relativo alle città di Trento e Rovereto, alle valli Giudicarie, alla Valsugana, alle valli di Fiemme e Fassa, alle valli di Primiero. I risultati di questo primo stralcio d’indagini sono stati discussi proprio nel corso del seminario dell’11 dicembre, con interventi di Quinto Antonelli, Francesca Bolza, Laura Da Rugna, Michela Tamanini, Silvia Vinante, Giuseppina Bernardin, Adriana Paolini, Ugo Pistoia, Serenella Baggio, Andrea Giorgi, Daniele Marchesini, Glauco Sanga. Parole e musiche dei soldati È stata inaugurata il 17 dicembre, presso Torre Mirana a Trento, la mostra “Parole e musiche dei soldati”, visitabile fino al 24 gennaio 2010 e dedicata ai canti di trincea durante la Grande Guerra. La mostra è stata curata da Andrea Munari, Gianni Potrich e ha visto la collaborazione del Coro Bianche Zime di Rovereto, della Fondazione Museo storico del Trentino, del Museo storico italiano della guerra di Rovereto.

CORO BIANCHE ZIME

Fondazione Museo storico del Trentino Comitato organizzatore direttivo Coro Bianche Zime

Mostra

PAROLE E MUSICHE DEI SOLDATI 17 Dicembre 2009 24 Gennaio 2010 Mostra dedicata al canti di trincea durante la Grande Guerra promossa dal Coro Bianche Zime di Rovereto.

II progetto mira ad una rivalutazione della memoria come patrimonio storico condiviso, ricercando nelle fonti Ie tracce della cultura popolare italiana di cui il canto di trincea è un esempio.

Sala Thun di Torre Mirana via Belenzani, 3 - Trento martedì - domenica ore 10.00 - 18.00 - lunedì chiuso - ingresso libero

Per informazioni: Fondazione Museo storico del Trentino 0461.264660 - info@museostorico.it

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EDIZIONI

EDIZIONI

PRESEN TA Z I O N I

NOVITÀ

Le Fondazione Museo storico del Trentino ha presentato alcuni dei suoi prodotti editoriali nelle seguenti occasioni:

Chiara Felicetti, Mauro Nequirito, Rodolfo Taiani (a cura di) Nell’anno di Hofer: La comunità di Fiemme e la sua storia, pp. 123, € 17,00 (Catalogo della mostra allestita a Cavalese, presso Palazzo Riccabona, dal 25 luglio 2009 al 10 gennaio 2010). Un testo che non vuole essere solo una guida per quanti hanno visitato la mostra, ma la testimonianza del ricco patrimonio artistico e archivistico custodito dalla Magnifica Comunità di Fiemme e sul quale si è basato gran parte del percorso espositivo dedicato alla sollevazione hoferiana del 1809, ma soprattutto agli antefatti che la motivarono.

Maggio 1945: «a nemico che fugge ponti d’oro» la memoria popolare e le stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme di Lorenzo Gardumi

10 settembre 2009, Baselga di Pinè. 1 ottobre 2009, Bolzano Il volume di Lorenzo Gardumi, “Maggio 1945: ‘a nemico che fugge ponti d’oro’: la memoria popolare e le stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme”, è stato presentato presso la Biblioteca di Baselga di Pinè e presso la Biblioteca provinciale italiana Claudia Augusta di Bolzano. 13 ottobre 2009, Trento Il volume di Maurizio Gentilini “Fedeli a Dio e all’uomo: il carteggio di Alcide De Gasperi con don Giulio Delugan (1928-1954)” è stato presentato a Palazzo Geremia a Trento. Sono intervenuti con l’autore Alfredo Canavero, docente di storia contemporanea all’Università degli studi di Milano; Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino; Giorgio Grigolli, Unione cattolica stampa italiana; Ivan Maffeis, direttore di Vita trentina.

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vita trentina

Fedeli a Dio e all’uomo il carteggio di Alcide De Gasperi con don Giulio Delugan (1928-1954) di Maurizio Gentilini


Elena Tonezzer (a cura di) Boom! Istruzioni per l’uso: Trento 1955-1965, pp. 67, € 7,50

to Spazio Tren ca UniCredit Ban ian Palazzo Firm 1, Trento via Galilei 9 mbre 200 dal 14 nove raio 2010 al 28 febb orari mostra 10-18 io chiuso il lunedì e 1 genna dicembre il 24, 25, 31 ingresso libero

Comune

di Trento

(Catalogo della mostra allestita a Trento, presso Palazzo Firmian, dal 14 novembre 2009 al 28 febbraio 2010). Il volume indaga il momento nascente di un’epoca diversa rispetto al periodo precedente: finita la guerra e la difficile fase della ricostruzione, i trentini entrano in un periodo contrassegnato dalla crescita economica, dalla fiducia in un progresso che sembra inarrestabile. Le differenze nella distribuzione della ricchezza permangono, ma è innegabile che per moltissime famiglie il livello generale della vita s’innalza. Emerge così dal volume l’immagine di una città in rapida espansione e continuo cambiamento, così come testimoniato peraltro dalla stampa del tempo attenta cronista di questo processo. Daniela Cecchin e Matteo Gentilini (a cura di) Mass media e memoria. La memoria strappata. Contese e (con)testi, pp. 123, € 10,00 (Quaderni di Archivio trentino; 22) I sei autori – quattro italiani e due inglesi – che danno vita a questo volume hanno sondato il campo della rappresentazione della

memoria in ambito letterario, cinematografico, televisivo e fotografico e si sono interrogati sulle modalità attraverso cui i media possono condizionare, nelle forme e nei contenuti, le dinamiche del ricordo. Molteplici sono i percorsi proposti: fra questi anche una significativa esperienza in cui il cinema viene utilizzato come strumento terapeutico. Il volume costituisce nel suo complesso il risultato della prima giornata di studi e riflessione sul rapporto fra memoria e mass media organizzata a Trento, il 2 dicembre 2008, dalla Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con il Dipartimento di storia, filosofia e beni culturali dell’Università degli studi di Trento. Andrea Leonardi (a cura di) La regione Trentino Alto Adige/ Südtirol nel XX secolo: 2: Economia: le traiettorie dello sviluppo, pp. 437, € 23,50 (Grenzen/Confini 4/2) Die Region Trentino-Südtirol im 20. Jahrhundert: 2. Wirtschaft: die Wege der Entwicklung, pp. 457, € 23,50 (Grenzen/Confini 5/2). I 21 saggi raccolti nel volume in versione italiana e tedesca affrontano con una visione unitaria le diverse sfaccettature del tessuto economico regionale. Ven-

gono prese in considerazione le caratteristiche assunte da una trasformazione intervenuta rapidamente dopo un lungo periodo segnato dall’emergere di elementi di debolezza più che dall’imporsi di punti di forza. Una sottolineatura particolare viene attribuita alla capacità della società regionale di combinare le proprie disponibilità di “capitale tangibile” e “capitale intangibile” in funzione di una crescita complessiva. Sono seguite puntualmente le modalità con cui le risorse dell’autonomia, sommate con le capacità operative prodotte dalle aggregazioni di carattere mutualistico, da un’imprenditorialità capace di scelte coraggiose e da una forza-lavoro che ha saputo far convivere agricoltura, industria e terziario hanno reso possibile un cambiamento di enorme rilevanza.

I lettori interessati ad acquistare o a informarsi sull’insieme delle pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino possono collegarsi all’indirizzo internet http://www.museostorico.it o scrivere all’indirizzo di posta elettronica bookshop@museostorico.it

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“Boom! Istruzioni per l’uso: Trento 1955-1965”

La mostra “Boom! Istruziouna mattina di cinquant’anni ni per l’uso: Trento 1955fa. I titoli degli articoli resti1965” ripercorre un periotuiscono il sapore che una do breve ma di profondi notizia, un’inaugurazione o cambiamenti. Terminata la un fatto di cronaca, ha avuto fase più urgente della ricoal momento della pubblicadi Elena Tonezzer struzione, dopo le pesanti zione, permettono di calardistruzioni inflitte dal sesi nel passato per rinvenire mostra a cura di: Elena Tonezzer condo conflitto mondiale, fatti e oggetti ormai ritenuti sede: Spazio Trento – UniCredit Banca. Palazzo la città di Trento conosce scontati o caduti nell’oblio. Firmian, via Galilei 1 i primi segni di miglioraI filmati di famiglia, conserapertura: 14 novembre 2009-31 marzo 2010 mento economico: dove vati presso l’archivio della orario: 10.00-18.00 (chiuso il lunedì) prima si estendeva la camFondazione Museo storico ingresso libero pagna sorgono interi quardel Trentino, permettono di visite guidate: € 1.50 a persona in caso di tieri progettati per ospitare espugnare l’intimità delle prenotazione concordata con la responsabii nuovi arrivati, soprattutto famiglie, mostrano la città le Cristina Pasolli al numero 0461.1862477 dalle valli circonvicine. in cui i novelli “registi” viveLa mostra documenta i muvano, le loro feste, le loro tamenti della mentalità e case. Gli oggetti, proposti in delle abitudini quotidiane degli abitanti di Trento. Nel una selezione rappresentativa, danno matericità alle decennio raccontato dalla mostra, Trento si allontana trasformazioni tecnologiche e di gusto dell’epoca. da una plurisecolare economia contadina, che aveva La mostra è accompagnata da un catalogo che afpermeato anche i valori e le consuetudini, per entra- fronta, con prospettive metodologiche diverse, alre in una fase dominata dal terziario e dall’industria. cuni temi del decennio 1955-1965. Oltre all’introduI cambiamenti coinvolgono tutti i livelli esistenzia- zione dedicata al periodo storico e al clima culturale li delle persone. La costruzione dei condomini im- dell’epoca, non manca una ricostruzione dell’ambito pone un modo di abitare inedito, in appartamenti politico e istituzionale dell’amministrazione di Trento. molto diversi dalle case precedenti e in aggregati La vita delle donne, protagoniste di un mutamento sorti dal nulla. Nelle case entrano (o si desiderano) epocale, è raccontata in un capitolo che investiga i oggetti mai visti prima, loro desideri e soprattutgli elettrodomestici, che to le pressioni cui erano meccanizzano la vita dosottoposte, sospese tra mestica di un numero modernità e tradizione. Il crescente di famiglie. Il saggio dedicato alla vita frigorifero, la lavatrice, il culturale della città approfrullatore, l’aspirapolvere fondisce la conoscenza di sono tutti strumenti che una Trento che cercava richiedono delle compeuna collocazione culturatenze tecnologiche che le in grado di interpretare nessuno – nonni, padri e la sua dimensione alpina figli – può ignorare. in modo diverso rispetto Il mondo della comunial passato. Lo sguardo cazione non rimane fersociologico ripercorre la mo, il telefono unisce le stampa locale di quegli persone e la televisione anni, per ricostruire atporta anche nelle case traverso la comunicaziotrentine il mondo, le none giornalistica le regole tizie e le novità del codel nuovo immaginario stume. del boom economico loL’allestimento della mocale. Tre brevi racconti stra, che risente fortetratteggiano infine altretmente della fonte giortanti ritratti sociali: l’arrinalistica cui ha attinto la vo a Trento di una giovaricerca storica, propone ne famiglia dalla valle di al visitatore non di veNon, l’ingegnere che si dere semplicemente le confronta con le nuove fotografie del passato, mode dell’architettura e ma di “scoprirlo” come la coppia alle prese con il abbiamo fatto noi – o i cambiamento nelle mode nostri genitori e nonni – dell’arredamento.

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La storia del Trentino in bianco/nero

Delle lettere. Delle grandi lettere, Vale per la scienza politica, per in galleria. Storicamente ABC – esempio, e perché no per la storia? guarda caso – titola la mostra. Il fine consiste nel recuperare il Cosa significa? A ogni lemma passato nel presente per una mila riapertura delle corrisponde una parola, a ogni gliore conoscenza storica laddove parola corrisponde un testo e a il conoscere si traduce sempre Gallerie di Piedicastello ogni testo corrisponde un capitonel fare. Per rispondere alla neceslo della storia del Trentino e dei sità di adempiere a un fine – se di Alessandro de Bertolini trentini nel Novecento con supper fine intendiamo l’applicazione porti video e iconografici. della ricerca, cioè la possibilità di Ideazione e cura di Jeffrey T. SchLe lettere, poi, non si possono trasmettere alla pratica gli esisti napp; direzione scientifica di Giusepnon vedere. A ogni lettera, una positivi degli studi – molti saperi pe Ferrandi; mostra ‘Storicamente parola. Per ogni parola, una lettescientifici ragionano in termini di ABC’ a cura di Patrizia Marchesoni; ra. La parola e la definizione. Le “se… allora”. Se le cose stanno mostra ‘L’invenzione di un territorio’ definizioni servono per dichiarare così, allora la previsione è questa, a cura di Marcello Bonazza, Mauro un significato. E inoltre, servono allora dobbiamo comportaci in Nequirito e Rodolfo Taiani; coordiper stabilire dei limiti. Le paroquest’altro modo, allora accadrannamento di Roberta Tait; progetto alle, invece, sono i contenitori dei no queste e queste altre cose. lestitivo di Elisabetta Terragni-Studio dati. Dentro alla Galleria nera ne Ovviamente non funziona sempre, Terragni Architetti; progetto grafico troverete 21. È un primo sguarma il modellino serve per orientadel Gruppe Gut snc-Bolzano; produdo, poiché il progetto espositivo re la maggior parte delle scienze. zione video della Film Work srl-Trento. – la mostra – nasce con l’ambizioE può servire anche per la storia. Presso le Gallerie di Piedicastello ne di diventare un luogo laboratoSe riusciremo a trarre dal passato (Trento) dal 5 dicembre 2009 al 5 diriale in continua trasformazione. qualche buon insegnamento, allocembre 2010 I lemmi sono stati scelti e indivira potremo orientare nel presente Orario di apertura: 9.00-18.00 duati, ma ciascuno di essi potrà qualche altrettanto buona scelta. (lunedì chiuso) cambiare. Nei prossimi mesi nulPer trovare i buoni insegnamenti Ingresso libero la vieta che alla “A” di autonomia della storia si può cominciare così corrisponda qualcos’altro e così anche dai 21 lemmi alla Galleria anche per le altre lettere. Gli stessi visitatori possono nera di Piedicastello. Qui nella Galleria nera, è il territorio lasciare alla mostra dei suggerimenti, nella cornice, be- che si autorappresenta. ninteso, della storia del Trentino nel secolo XX. E sulle Il territorio della provincia di Trento, della città e di tutte le nuove parole che si aggiungeranno si rimetterà in moto altre sue articolazioni spaziali. Ma quando nasce il Trentila “macchina della memoria” dei curatori della mostra, no come “entità” geopolitica ben riconoscibile? Una proche, per ogni lemma, ha realizzato oltre a un breve testo posta di lettura in tale senso la si troverà nella Galleria anche una cronologia essenziale, una microstoria, una bianca. Qui il percorso espositivo è dedicato all’“invenziomacrostoria e una breve clip audiovisiva con fonti icono- ne” del Trentino come spazio politico e amministrativo a grafiche e videointerviste. Perché tutto questo farsi e di- partire dal XVI secolo. Come dire che, se vogliamo occusfarsi di definizioni, lemmi, parole? È per non trovarsi fra parci della definizione degli oggetti della storia del Trenle mani dei contenitori vuoti o dei contenuti in cerca di tino – dalla “A” di autonomia alla “Z” di Zambana – dobuna collocazione. Ma una domanda sorge spontanea: biamo, prima, definire che cosa s’intende per “Trentino”. perché? Perché tutto questo? Tradotto meno a pelle e Una mostra scenografica in un luogo – le Gallerie – scecon termini un tantino nografico. Un luogo di più scientifici il proformazione. Un luogo blema del “perché” di partecipazione. Un ha un nome preciso e luogo di innovazione tutto suo. Science for poiché criteri, metodi what? E cioè, la sciene scelte espositive non za per cosa? O mesono quelle di un muglio, la scienza per che seo tradizionale. Quelcosa? Non è soltanto lo, il museo cosiddetto un problema della tradizionale, avrà sede storia e della ricerca entro la fine del 2010 a storiografica. Anzi, la Trento, in via Torre d’Auquestione ha origine gusto, negli spazi a ciò non tanto nelle sciendedicati, a sostegno ze umane ma in queldi una funzione altretle, diciamo così, esattanto importante per te. Però vale anche leggere e custodire il per le scienze umane. passato di questa terra.

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Riscoprire Rivedere Ritrovare

l’abecedario la storia

del

la memoria

3ntino

Ingresso libero Mar–Dom, ore 09–18, lunedì chiuso Informazioni-prenotazioni 0461 230 482, www.museostorico.it | info@museostorico.it

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GRUPPEGUT.IT

Storicamente


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