AltreStorie n. 37

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anno quattordicesimo numero trentasette gen./apr. 2012

Arte e cultura del giardino

PosteItalianeS.p.A.-Spedizioneinabbonamentopostale-D.L.353/2003(conv.inL.27/02/2004n.46) -art.1,comma1,D.C.B.Trento-Periodicoquadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perรงue - ISSN 1720 - 6812


Parco delle terme di Levico (TN) ALTRESTORIE – Periodico quadrimestrale di informazione Periodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Rodolfo Taiani (segretario) Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Via Torre d’Augusto, 35/41 Hanno collaborato a questo numero: Tommaso Baldo, Alessio Bertolli, Silvia Bertolotti, Luca Caracristi, Stefano Chemelli, Massimo de Vico Fallani, Felice Ficco, Fabrizio Fronza, Filippo Prosser, Bruno Sanguarini, 38122 TRENTO Tel. 0461.1747000 Fax 0461.1860127 Marta Villa, Fabrizio Zara. Progetto grafico: Graficomp – Pergine (TN). Stampa: Publistampa – Pergine (TN) info@museostorico.it In copertina: il parco dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana (TN) (parco dei Tre Castagni) www.museostorico.it Per ricevere la rivista, o gli arretrati, fino a esaurimento, richiedere alla Fondazione Museo storico del Trentino. I lettori interessati ad acquistare o a informarsi sull’insieme della pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino possono collegarsi all’indirizzo internet http://www.museostorico.it o scrivere all’indirizzo di posta elettronica bookshop@museostorico.it

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anno quattordicesimo numero trentasette gen./apr. 2012

Arte e civiltĂ del giardino 4 Storie vegetali: trasformazione dei giardini e cacciatori botanici 5 di Fabrizio Fronza Giardini e postmodernismo: interviste a Massimo de Vico Fallani e Bruno Sanguanini a cura di Paola Bertoldi

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Nel giardino della Letteratura di Silvia Bertolotti

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Là dove fiorisce lo spirito: l’immagine del giardino in Hugo von Hofmannsthal, Marcel Proust, Walter Pater e Adalbert Stifter di Stefano Chemelli

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Healing gardens: giardini terapeutici di Felice Ficco

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Dalle passeggiate emozionali alla guerrilla gardening: relazionarsi col verde negli spazi urbania di Marta Villa

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I giardini botanici del Trentino di Alessio Bertolli, Filippo Prosser, Fabrizio Zara

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I giardini di piazza Dante a Trento: le funzioni pubbliche di uno spazio verde di Luca Caracristi e Tommaso Baldo 33 Alcuni giardini storici in Trentino schede a cura di Fabrizio Fronza e Patrizia Marchesoni

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Monumenti verdi: restaurare e conservare i giardini storici di Fabrizio Fronza

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Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino

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Infomuseo 43 Edizioni FMST

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Arte e civiltà del giardino

Per introdurre questo numero di Altrestorie si è scelto di citare Jorn de Précy e il suo libro The lost garden, tradotto e pubblicato in italiano nel 2012 dalla casa editrice Ponte alle Grazie con il titolo E il giardino creò l’uomo. Si tratta di un testo edito la prima volta nel 1912 in Inghilterra e che a distanza di un secolo rivela se si vuole la visione profetica del suo autore (1837-1916). “Nel nostro tempo – scrive de Précy (pp. 22-24) – troppo pieno di sé e delle sue conquiste, in questa nostra società in cui sembra che il destino di qualsiasi attività sia generare ricchezza, soddisfare desideri perlopiù superflui, abbiamo dimenticato un bisogno tanto essenziale quanto mangiare e bere: abitare un mondo dotato di senso. Parlo naturalmente del nostro bisogno di spiritualità. Oh, me ne rendo conto, questa parola desueta suona sospetta alle orecchie dei devoti della modernità. Evoca immagini tenebrose di cattedrali gotiche, di tribunali dell’Inquisizione, di vecchi bigotti malevoli dai volti coperti di rughe. Si associa immancabilmente all’ideale romantico retrogrado, quello del ritorno a un passato di superstizione, abuso e violenza. In me, invece, essa evoca lo stupore di fronte alla magia del mondo e visioni di giardini ricolmi di una bellezza benefica, alla quale, nella nostra società democratica, ha accesso un numero sempre più esiguo di persone. Nella distanza, ogni giorno più grande, che abbiamo messo tra noi e la natura vediamo gli effetti nefasti di questa perdita di spiritualità. Ci siamo allontanati, forse irrimediabilmente, Parco del castello di Villanddry, Loira (Francia)

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dal mondo naturale, sano e vigoroso in cui il mistero della vita si manifesta in tutta la sua luminosa pienezza, e che per millenni è stata la dimora degli uomini. Presto lo scenario delle nostre vite sarà esclusivamente l’ambiente artificiale della città moderna. In questo labirinto sordido e turbolento […] noi siamo sempre più soli. E non è molto diverso nei villaggi e nelle campagne, sovente sfigurati da un’agricoltura meccanizzata e senz’anima, dalla bruttezza delle officine e dei manifesti pubblicitari da poco in voga. Ormai siamo circondati da uno spazio inerte che non esprime più nulla, che non ha niente da raccontare ai nostri cuori fattisi sordi, ma pur sempre assetati di storie e di mistero. Può essere che la terra stessa – gli animali, le pietre, i fiori – senta la nostra mancanza, percepisca la scomparsa dello sguardo amoroso dell’uomo? Così l’uomo moderno, che già conosce nel proprio intimo la separazione di corpo e mente, ragione e sentimento, ogni giorno si allontana un poco di più dal mondo che lo circonda. Non avendo più accesso alla propria umanità, si limita a funzionare, come la macchina che è divenuta il suo modello, in un universo che gli è completamente estraneo”. In questa prospettiva la semplice domanda cos’è un giardino, diventa pretesto per “dimostrare – sono ancora parole di de Précy – che nel nostro moderno esistono ancora luoghi reconditi in cui possiamo ritrovare, nel dialogo e nella familiarità con la natura, nei nostri cuori, ciò che ci rende umani e degni del bello che la vita offre”(rt)


Storie vegetali

La storia dei giardini d’Ocbrotano, i cetrioli, i meloni, le cidente è storia di scoperte, zucche, il fagiolo, il cumino, il trasformazione dei giardini esplorazioni, scambi, mode e rosmarino, il careium, il cece, passioni. I commerci di pianla scilla, il gladiolo, l’artemie cacciatori botanici te, nati nell’antichità, sono sia, l’anice, […] frutti di vario stati e continuano a essere genere: meli cotogni, nocdi Fabrizio Fronza i motori di lenti spostamenti cioli, […], varietà diverse di per molte specie botaniche. ciliegi. Le più antiche testimonianze La conquista araba di Sicidi giardini provengono dal lia nel IX secolo dà impulvicino Oriente e sono testi so alle tecniche agricole e amministrativi, affreschi, all’arte dei giardini. Gli Arabi, tavolette incise. Fra i reperti più famosi c’è la “came- padroni delle tecniche di governo dell’acqua e conra botanica” del Tempio di Karnak a Luxor, un “cata- sci dell’importanza di mantenere la fertilità dei terlogo” affrescato che illustra le piante utilizzate nei reni, sono giardinieri provetti e contribuiscono alla giardini egiziani. diffusione in Occidente di specie orientali dapprima Con l’avvento di Alessandro Magno e l’espansione in Sicilia, dal IX secolo, e successivamente nel sud del Regno macedone fino ai confini dell’India, nuo- della Spagna. ve piante e nuove idee invadono i giardini occiden- Con la conquista di Bisanzio da parte dei Turchi nel tali. Il cedro “albero dalle mele d’oro” (Citrus medica) 1453 si apre una nuova era di scambi. L’arrivo di un viene portato dallo Yunnan-Birmania al Medio Orien- grande numero di specie da Levante è opera dei te; il limone transita dall’India attraverso l’Oman, sultani turchi, particolarmente dopo la loro avanzal’Irak e la Siria prima di arrivare in Palestina ed Egitto. ta fino alle porte di Vienna nel 1529: i Turchi sono Dal Nord Africa la diffusione degli agrumi sfocia in “amanti degli alberi e dei fiori” e hanno una conceuna vera e propria “citromania”, dilaga fra gli Arabi zione dei giardini aperta sul paesaggio circostante, di Sicilia nel XI e XII secolo d. C. più vicina a quello che sarà l’ideale del giardino paeAltre piante a noi familiari, come il ciliegio (Prunus saggistico europeo. cerasus), il pesco (Prunus persica) e l’albicocco (Pru- I Turchi portano in Occidente specie botaniche che nus armeniaca), ormai considerate spontanee in nei secoli successivi avranno una notevole fortugran parte dell’Europa e in Italia, hanno invece una na, come la Fritillaria imperialis L., probabilmenstoria legata alle conquiste romane nel vicino Orien- te originaria della Persia, introdotta in Europa da te nel I secolo a. C. Portate in Occidente e subito Costantinopoli alla fine del XVI secolo e conosciuta apprezzate dall’aristocrazia romana, si diffondono in dapprima come Corona imperialis, le creste di Gallo tutta Italia dalla metà del I secolo d. C. (Luigi Zanghe- (Celosia cristata L.), provenienti dall’India e introdotri, Storia del giardino e del paesaggio: il verde nella te nel 1570, e l’ibisco (Hibiscus syriacus L.), la viocultura occidentale. Firenze: Olschki, 2003: 53-54). lacciocca (Cheiranthus cheiri L. = Erysimum cheiri Un altro interessante documen(L.) Crantz, 1573), l’Iris clusiana to del legame tra società civile e L. e il Ranunculus asiaticus L., giardino risale a oltre mille anni quest’ultimo tanto amato da fa: nel Capitulare de villis vel Maometto IV che lo introduce curtis imperii, l’imperatore Carin grandi quantità nei giardini di lo Magno (747-814 d. C.) detta le Istanbul (Luigi Zangheri, Storia sue regole ai villici di tutto l’Imdel giardino e del paesaggio: il pero su come coltivare gli orti. verde nella cultura occidentaVi è compreso un minuzioso le. Firenze: Olschki, 2003: 64), elenco di piante che costituisce Amaranthus caudatus e Syrinun’importante testimonianza di ga vulgaris molto apprezzati alla ciò che si coltiva nel Medioevo: fine del XVI secolo. specie indigene d’Europa, del Dalla Turchia arriva anche il lillà bacino del Mediterraneo o al (Syringa vulgaris L.), coltivato massimo importate dal mondo dapprima nell’orto botanico di ellenistico o dai confini dell’ImPadova e subito dopo a Pratolipero romano: gigli, rose (Rosa no, dove viene descritto da Ulisgallica officinalis), trigonella, la se Aldrovandi. balsamita, la salvia, la ruta, l’aAnche la gaggia di CostantinoCarlo Magno, un’effige del XIX secolo

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Taxodium districhum, Giardino di villa Pisani a Stra (VE)

poli (Albizzia julibrissin L.) e il lauroceraso (Prunus laurocerasus L.) giungono in Europa occidentale provenienti dall’Impero turco. Ma la pianta che più segna la storia moderna dei giardini è il tulipano, introdotto a Vienna dalla Turchia, a metà del XVI secolo, dall’ambasciatore di Ferdinando I d’Asburgo presso la Sublime porta di Istanbul Ogier Ghiselin de Busbecq. I bulbi, coltivati dapprima da Carolus Clusius, prefetto dell’Orto botanico di Vienna, divengono in breve ossessionante oggetto di desiderio fra la nobiltà e la borghesia europea, in particolare nei Paesi Bassi. Nel 1635 in una sola vendita di bulbi si cambiano 100.000 fiorini (l’equivalente in valore di 10.000 q di burro o 3.400 maiali grassi). Un prezzo record è pagato per il bulbo più famoso, il Semper Augustus, venduto ad Haarlem per 6.000 fiorini, corrispondenti a 28 anni di lavoro di un contadino. La corsa all’accaparramento dei bulbi porta alla creazione di futures, contratti a termine, che impegnano all’acquisto e alla vendita del desiderato bene. Presto il mercato crolla determinando la prima bolla speculativa della storia. Nei primi periodi del Rinascimento si afferma un rinnovato interesse per la natura. Sono riscoperti antichi testi, manoscritti in latino e greco antico: disegnatori e pittori li arricchiscono con accurati disegni e tavole raffiguranti le piante. Sono pubblicati testi come il Liber ruralium commodorum di Pietro de’ Crescenzi, un trattato sull’agricoltura e la coltura del giardino ed è tradotta in italiano la Naturalis historia di Plinio. Si afferma una nuova scienza, la botanica, con la nascita in Italia dei primi orti botanici universitari del mondo. Con essi

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inizia una storia di scambi, scoperte e collezionismo di specie rare che dapprima è connotata dall’esigenza di approfondimento scientifico e che in seguito si allargherà anche alla necessità di esplorare gli orizzonti del bello, stimolando viaggi e spedizioni finalizzate alla caccia di nuove specie. Alcuni personaggi entrano nella storia della botanica e tramanderanno la loro fama fino ai giorni nostri. È il caso di Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus (1493-1541), cui si devono le descrizioni di numerose piante medicinali. Si ricordano poi il francese Pierre Belon (1517-1564) il quale, inviato in missione diplomatica presso la corte di Solimano il Magnifico, vi osserva specie allora esotiche come il platano (Platanus occidentalis) e la mimosa (Acacia vera). Poco più tardi inizia la storia dei veri e propri cacciatori di piante. Fra i primi troviamo il vecchio e il giovane Tradescant. Tradescant il vecchio (1570-1638), giardiniere di Sir Robert Cecil, Lord di Salisbury, riporterà dai suoi viaggi varie specie di cisto, il lillà, il gelsomino, oltre a cotogni, ciliegi, rose. Suo figlio, John Tradescant (1608-1662), porterà invece in patria il platano (Platanus occidentalis), il liriodendro (Liriodendron tulipifera), la robinia, il cipresso calvo (Taxodium distichum), l’acero rosso, il cedro bianco (Thuya occidentalis). A Charles Plumier (1646-1704), si deve la scoperta, ad Haiti, della prima specie di begonia (Begonia nitida) oltre che della Magnolia (dedicata a Pierre Magnol, 1638-1715, botanico di Montpellier), una specie di fucsia (dedicata a Leonhardt Fuchs, 1501-1566), la lobelia (dedicata a Mathias Lobel, 1538-1616).


All’inizio del XVIII secolo nasce in Scandinavia il padre della moderna classificazione scientifica delle specie viventi: Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778). Linneo, medico e naturalista, trascorre la vita a compilare liste di specie viventi pubblicando nel 1753 Species Plantarum, un lavoro enciclopedico, che realizza coordinando il lavoro di numerosi botanici. L’importanza del lavoro di Linneo sta nell’aver posto le basi per la determinazione delle specie viventi in modo certo e univoco. A cavallo fra il Settecento e l’Ottocento troviamo Sir Joseph Banks (1743-1820), che nei suoi viaggi ha l’opportunità di descrivere numerose specie di piante e animali, tra cui la Bougainvillea (nome dedicato al botanico francese Louis Antoine de Bouganville, 1729-1811) e i canguri. Banks raccoglie nei suoi viaggi 1.300 campioni di nuove specie, portando in patria gli erbari. Grazie a lui arrivano in Occidente l’eucalipto (Eucaliptus gummifera), la mimosa (Acacia dealbata), il Callistemon citrinus, il Phormium tenax, la Banksia, una specie australiana che a lui deve il nome, oltre al Leptospermum scoparius. Fra le specie più comuni e apprezzate che portano il suo nome vi sono la Rosa banksiae, dedicata alla moglie Dorothea. E come non ricordare Alexander von Humboldt (1769-1859)? Costui intraprende lunghi viaggi descritti in 30 volumi, che formano la sua opera enciclopedica Kosmos, somma delle conoscenze sul mondo di allora iniziata a scrivere all’età di 76 anni. A partire dal 1750 con le prime spedizioni botaniche vengono importate in Europa numerose nuove specie che modificano l’estetica dei nostri giardini. Si affermano un nuovo gusto e un’attenzione rivolta al selvaggio e all’irregolarità. Un botanico scozzese, John Claudius Loudon (17831843) diviene famoso per aver codificato in un nuovo concetto, quello di “architettura del paesaggio”, nonché inventato un nuovo stile, il Gardenesque ovvero un giardino di impianto “naturale” ricco di specie esotiche con un limite non ben definito fra le parti naturaliformi e le zone ricche di esotismi. L’interesse di Loudon per le piante si estrinseca in una fertile attività di pubblicista e scrittore, nella convinzione che attraverso la diffusione delle idee dell’orticoltura e giardinaggio sia possibile migliorare la qualità della vita. In quel periodo, in Italia, un eclettico conte, Giorgio Gallesio (1772-1839), s’interessa soprattutto di specie da frutto. Gallesio raccoglie nella sua azienda agricola di Prasco (AL) una delle più importanti collezioni di alberi da frutto, curando un interesse principale in pomologia. Frutto del collezionismo scientifico di Gallesio è la Pomona italiana (1817-1839) un completo trattato di pomologia, ricco anche nella parte

iconografica sia dal punto di vista artistico che scientifico. Con l’avvento del XIX secolo le spedizioni botaniche iniziano a dare veramente buoni frutti. Uno dei più grandi cacciatori di piante di tutti i tempi è David Douglas (1798-1834), che lavora presso il giardino botanico di Glasgow. Nei suoi lunghi viaggi raccoglie un grande numero di semi di arbusti e alberi, in particolare conifere: Pinus ponderosa, Pinus lambertiana, Pinus coulteri, il pino dai coni (pigne) enormi, Mahonia aquifolium, Ribes sanguineum, Pseudotsuga menziesii (la Douglasia, il maestoso albero che raggiunge i 75 m originario della zona costiera del Nord America, dal Canada alla California descritto da Menzies ma importato da Douglas) e Abies grandis. Nella seconda spedizione, svolta dal British Columbia alla California e durata dal 1829 al 1834, Douglas scopre la Garrya elliptica; morì alle Hawaii ucciso da un toro selvatico. Le cose iniziano a muoversi anche in Germania. Philip F. von Siebold (1796-1866) si stabilisce per ben sei anni in Giappone, nell’isola di Deshima, vicino a Nagasaki. Qui i suoi interessi di studio botanici favoriscono il trasferimento in Occidente di nuove specie: ortensie, Hosta sieboldii, Wisteria floribunda, Trachycarpus fortunei, Ligustrum japonicum, Malus sieboldii. La comunità botanica lo onora attribuendo il nome di Siebold a molte altre specie botaniche: Acer sieboldianum, Calanthe sieboldii, Clematis florida, Dryopteri sieboldii, Hosta sieboldii, Primula sieboldii, Prunus sieboldii, Sedum sieboldii, Tsuga sieboldii, Viburnum sieboldii. A Robert Fortune (1812-1880), scozzese, che è già stato in Cina e Giappone fra il 1843 e il 1846 per conto della Royal Horticultural Society, si deve la scoperta e il trasferimento in Occidente dell’Akebia quinata (Cina centrale, Corea, Giappone), della Cryptomeria japonica e di molte altre specie: Skimmia japonica, Spiraea japonica, Jasminum nudiflorum (Cina occidentale), Lonicera fragrantisima (Cina orientale), Viburnum plicatum e Weigela florida. Contemporaneo di Fortune è William Lobb (18091864), botanico e raccoglitore di piante britannico. Per conto dei vivai Veich di Exeter, in Devon, esplora le Americhe portando in patria numerose specie esotiche, tra cui l’araucaria del Cile (Araucaria araucana) e la sequoia gigante (Sequoiadendron giganteum) dal Nord America. Armand David 1826-1900, figlio di un medico e missionario della congregazione di San Vincenzo, viene inviato in Cina dove, grazie alla sua formazione naturalistico-scientifica, ha l’occasione di descrivere numerose specie di piante. Molte di queste portano il nome di Padre David: Acer davidii, Castanea davidii, Prunus davidiana, Viburnum davidii, Buddleja

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davidii oltre a un’intera famiglia di piante, quella delle Davidiaceae. Anche Ernest Wilson (1876-1930) viaggia in Cina. Arrivato a Yichang, sul Fiume giallo, Wilson raggruppa una squadra di collaboratori con i quali raccoglie non solo la Davidia, il cosiddetto albero dei fazzoletti, ma moltissime altre piante, semi e bulbi, oltre a organizzare un erbario di 2.600 piante. In un secondo viaggio si spinge fino al Tibet dove scopre le Meconopsis, i bellissimi papaveri azzurri, oltre alla Clematis tangutica e Cornus kousa var. chinensis e del Rhododendron moupinense. Fra i più famosi cacciatori di piante troviamo anche George Forrest (1873-1932). Costui intraprende all’inizio del XX secolo una serie di viaggi in Cina, il primo dei quali fra il 1904 e il 1907, seguito da sei spedizioni, principalmente nelle regioni del NordOvest Yunnan. In questi viaggi colleziona oltre 30.000 specie da erbario. Forrest spedisce tutto il materiale raccolto, identificato e catalogato al Royal Botanical Garden Edinburgh e garantisce, per necessità di sostegno economico, una distribuzione delle piante anche ai finanziatori privati delle spedizioni. Scopritore delle specie orientali del genere Rhododendron (R. souliei, sulfureum, trichocladum, neriiflorum, taliense, beesianum, irroratum, rubiginosum) e altre, ne introduce 300 nuove specie in Occidente, oltre a camelie, magnolie, papaveri dell’Himalaia, gigli (Lilium thomsonianum, giganteum, delavayi e ochraceum) primule, genziane (Gentiana sinoornata). Molte specie portano il suo nome, come la Primula forrestii, Clematis forrestii, Pieris forrestii piante che all’epoca fanno salire la febbre dei collezionisti e che ormai sono abituali nei giardini moderni soprattutto nel mondo anglosassone. Grazie a lui il giardino botanico reale di Edinburgo ha una collezione incredibile di piante sino-himalaiane. La scena italiana fra Otto e Novecento E in Italia cosa accade? All’inizio del XIX secolo il veneto Alberto Parolini (1788-1867), erede di ricca famiglia, intraprende alcune spedizioni in Europa, dove matura una sensibilità verso i giardini paesaggistici e successivamente in Grecia e Asia minore fra il 1819 e il 1820. Carlo Giuseppe Luigi Bertero (1789-1831) viaggia nelle Antille e in Sud America dove studia e cataloga briofite (muschi, anthoceri ed epatiche). Filippo Parlatore (1816-1877), direttore del Giardino dei semplici di Firenze, è fondatore de Il giornale botanico italiano e dell’Erbario centrale italiano. Viaggiatore ed esploratore, percorre la Scandinavia nel 1851. Odoardo Beccari (1843-1920) si laurea a Bologna alla scuola di Bertoloni, lavora a Kew Gardens dove Sequoiadendron giganteum

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conosce Charles Darwin e Sir William Jackson Hooke. È però l’incontro con un Rajah malese all’età di 22 anni a cambiargli la vita. Nel suo viaggio in Malesia raccoglie piante, particolarmente palme, delle quali descrive 130 specie e 25 generi, ma cataloga anche conchiglie e varie specie d’insetti. Il suo terzo viaggio è rivolto verso India, Malesia, Nuova Zelanda e Tasmania. A Sumatra scopre l’Amorphophallus titanus, il più grande fiore del mondo. Tornato a Firenze nel 1878 a causa della malaria, fonda Il nuovo giornale botanico italiano. Nominato, infine, direttore del Giardino dei semplici di Firenze si ritira ben presto, nel 1879, a vita privata per continuare i suoi studi botanici. Il francescano Giuseppe Giraldi (1848-1901) esplora la Cina settentrionale fra il 1890 e il 1895 in qualità di missionario, scoprendo fra l’altro alcune specie ormai comuni nei nostri giardini come la Kolkwitzia amabilis, la Callicarpa bodinieri var. Giraldii, l’Exochorda giraldii e la Forsythia giraldiana. Mario Calvino (1875-1951), padre del più celebre scrittore Italo, lavora in America latina in qualità di direttore di stazioni agrarie, dapprima in Messico dove riceve incarichi governativi per organizzare spedizioni scientifiche, poi in Venezuela, Brasile, California, Florida e infine a Cuba fra il 1900-1930. Nei suoi anni all’estero studia le piante e sperimenta tecniche agronomiche. Tornato in Italia dedica il suo giardino privato all’acclimatazione di piante esotiche. Giovanni Negri (1877-1960), appassionato raccoglitore di specie botaniche, coltiva interessi nel mondo delle piante medicinali. Esplora Etiopia e Canarie agli inizi del Novecento. Nell’Ottocento il collezionismo botanico è motore di scambi di piante. In Italia si diffonde con Luigi Colla a Rivoli (TO) (1766-1848), con la famiglia Troubetzkoy e Felice Piacenza (1843-1938) in Piemonte, con Clelia Durazzo Grimaldi (1760-1837), gli Hanbury e Clarence Bicknell (18421918) in Liguria. La famiglia di vivaisti Botti dopo la scoperta delle camelie in Cina da parte di Robert Fortune, si dedica alla loro riproduzione coltivandone numerosissime varietà in Liguria. Si ricorda inoltre Ercole Silva (1756-1840) nobile milanese, autore del famoso testo Dell’arte dei giardini inglesi dov’è descritto entusiasticamente il nuovo modo di fare giardini. Nel Veneto si ricordano Alberto Parolini (1788-1867) bassanese di famiglia ricca, amante delle piante che contribuisce a diffondere le idee dello stile “all’inglese” e le famiglie Papafava e Giusti, note per i famosi giardini.

Una storia che continua La storia più recente dei giardini non ha cancellato i cacciatori di piante. Con la caduta degli imperi coloniali e dell’aristocrazia nobiliare vengono a mancare le risorse per intraprendere grandi spedizioni. Nuovi committenti delle spedizioni sono le istituzioni scientifiche, in particolare gli orti botanici. Fra i cercatori moderni si annoverano Frank Kingdon-Ward (1885-1958), che organizza varie spedizioni verso il sud ovest della Cina, Birmania settentrionale il Tibet meridionale, portando in Europa varie specie di Berberis, Cornus (Cornus kousa chinensis), Gaultheria, Acer e Rhododendron. Uno dei più conosciuti cercatori di piante contemporanei è Patrick Blanc (1953), biologo francese conosciuto in tutto il mondo per aver lanciato la nuova tecnica del giardinaggio verticale, una vera e propria moda che dilaga in tutto il mondo a seguito del successo riscontrato nella realizzazione della grande parete verde verticale del Musée du Quai Branli a Parigi. Sebbene, come si è cercato di illustrare sinteticamente, uno dei fondamenti di tutta la storia dell’arte dei giardini risiede proprio nelle scoperte e negli scambi di piante, attualmente si è riaccesa la discussione sui rischi d’inquinamento botanico derivati dallo spostamento continuo di piante da un luogo all’altro del globo. Anche un occhio non particolarmente attento può notare che lungo i torrenti e fiumi

Fiore di Lonicera fragrantissima

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sono comuni aree invase da Buddleja e Impatiens. In altre aree imperversano piante come il Topinambur, Spinee e Prunus lusitanica. Fra le piante più invasive vi sono anche la Lantana camara e il Rhododendron ponticum. Per combattere la diffusione incontrollata di quest’ultimo in Inghilterra sono stati necessari interventi governativi per finanziare il disboscamento di vastissime aree invase da questo e da altri rododendri arborei, forse proprio quelli che Robert Fortune aveva portato con tanta difficoltà dalla Cina. Meno evidente ma non meno importante è l’impoverimento delle specie prative dovuto sia alla distribuzione di fertilizzanti, sia alla diffusione di miscugli di sementi tecnici per prati sportivi, ornamentali ecc. In risposta a questo stato di cose si sta consolidando una nuova coscienza, che vede come centrale il ritorno a un approccio naturale, che senza negare la storia degli scambi e delle scoperte cerca di porre più attenzione sul tema dell’inquinamento botanico con tutto ciò che ne consegue, come la diffusione di parassiti, il risparmio di acqua, risorsa limitata, la conservazione della biodiversità. Sarà forse questa

la nuova via per la rinascita dei giardini? Difficile a dirsi ma forse l’unica vera parola chiave è “consapevolezza”. Spazi abbandonati urbani, rurali, spazi di transizione, lande, torbiere, bordi di strade e fiumi, incolti ecc. assumono valore come ambiti di biodiversità. Portavoce del valore di questa categoria di paesaggi è Gilles Clément (1943), entomologo, giardiniere, paesaggista e filosofo del giardino e paesaggio. I paesaggi abbandonati e di risulta sono da lui definiti “Terzo paesaggio” lo “spazio privilegiato di accoglimento della biodiversità”. Il mondo del giardino e del paesaggio allarga oggi i suoi confini. Artisti e giardinieri utilizzano materiali costruttivi vivi come i salici per realizzare opere, giochi, strutture simboliche. In Trentino troviamo la “Cattedrale vegetale” opera progettata per il Museo open Air Arte Sella da Giuliano Mauri (Arte sella 2001) e la Galleria di Salice progettata e costruita da Sanfte Strukturen (2011). Nel campo botanico le ricerche di nuove specie non sono finite. Istituzioni museali e orti botanici finanziano spedizioni alla ricerca di specie sconosciute. Sebbene lo scopo principale sia quello puramente scientifico, di conoscenza, non mancano casi eclatanti di scoperte che rapidamente si diffondono al mondo dei giardini. È il caso della Wollemia nobilis, una conifera fossile trovata una decina di anni fa in una valle inesplorata dell’Australia e divenuta presto oggetto di desiderio di molti giardini. Un esemplare di questa specie è conservato ai Giardini di Castel Trauttmansdorff a Merano. Recente è la scoperta da parte dei ricercatori del Museo civico di Rovereto Alessio Bertolli e Filippo Prosser, gruppo che coordina la cartografia floristica delle province di Trento e Verona, di specie sconosciute alla scienza come la Festuca austrodolomitica, la Primula recubariensis e la Gentiana brentae. Insomma i cacciatori di prede vegetali sono sempre alla ricerca, ma evidentemente è mutato o dovrà mutare l’orizzonte di riferimento. Fabrizio Fronza lavora al Servizio Conservazione della Natura e Valorizzazione Ambientale della Provincia autonoma di Trento. È curatore dei parchi storici di Levico e Roncegno. Docente al Master in “Curatori Parchi, giardini e Orti Botanici” dell’Università della Tuscia (VT), ha tenuto seminari ed è intervenuto a convegni su tematiche del giardino e del paesaggio in varie università e istituzioni Italiane fra cui IUAV, Università di Padova, Regione Umbria, Flormart, Ministero per i Beni e Attività Culturali. Ha fatto parte del Comitato scientifico e del gruppo di docenti del Corso “Progettare il Giardino Storico”, organizzato dalla Soprintendenza dei beni architettonici del Veneto, IUAV e Provincia autonoma di Trento. Ha collaborato con il Ministero per i Beni e Attività Culturali nella redazione delle schede biografiche dell’Atlante del Giardino Italiano e con ISPRA per la redazione di una monografia sul paesaggio agrario.

Parete di Quai Branly, museo ecosostenibile progettato da Jean Nouvel

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Giardini e postmodernismo interviste a Massimo de Vico Fallani e Bruno Sanguanini a cura di Paola Bertoldi

Massimo de Vico Fallani, architetto, è stato funzionario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali dal 1980 al 2008, dove si è occupato continuativamente dei parchi e giardini storici e di parchi archeologici. In tale ambito è stato direttore del Servizio per la Conservazione dei parchi e giardini della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici per le Province di Firenze, Prato e Pistoia fino al 1986, poi con il medesimo incarico presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma fino al 2008. Ha pubblicato diversi saggi storici sui giardini pubblici e ha curato numerosi restauri di giardini storici romani (tra gli altri Parco di villa Chigi, Parco Nemorense, Giardino di piazza Cairoli, Giardino pubblico del Quirinale) e sistemazioni paesaggistiche di aree archeologiche fra cui il restauro dell’Appia Antica. Fra le sue opere letterarie si segnalano Il vero giardiniere coltiva il terreno. Tecniche colturali della tradizione italiana, Olschki, 2009 e Storia dei giardini pubblici di Roma nell’Ottocento, Newton Compton, 1992. Nel 2003 ha inoltre curato, insieme a Mario Bencivenni, l’edizione italiana (pubblicata da Olschki) dell’opera in due volumi di Marie Luise Gothein Storia dell’Arte dei Giardini.

Massimo de Vico Fallani: “Il concetto di giardino è legato allo sviluppo dell’interiorità dell’essere umano”. Quando nasce e come si sviluppa storicamente il concetto di “giardino”? Stiamo evidentemente parlando di momenti antichi molto lontani nel tempo, quindi difficilmente documentabili: siamo per esempio al corrente dell’esistenza dei giardini pensili di Babilonia ma abbiamo poche informazioni certe sulla loro forma e sulla loro struttura, e non sappiamo se non approssimativamente quali fossero le tecniche utilizzate. Il concetto di giardino è legato allo sviluppo dell’interiorità

Bruno Sanguanini, professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi, è attento particolarmente agli studi sulla comunicazione che intercorre tra i gruppi umani, gli artefatti ambientali, le rappresentazioni sociali ed i valori simbolici. Già docente negli Atenei di Trento, Padova, Trieste e Verona, si è occupato dei fenomeni, processi, correnti e flussi culturali che caratterizzano le civilizzazioni nella modernità, con un occhio rivolto all’Occidente postmodernista e con l’altro occhio attento all’Oriente neo-modernista. Fra le sue monografie si segnalano: Il pubblico all’italiana (1989); Fare Cultura: la modernizzazione culturale in Trentino (1992); Beni culturali & modernità (1994, con Mariselda Tessarolo); Locale & Media (1998); Nanetti & giardini in Italia (2001); Grande Fratello: istruzioni per l’uso (2002); Videofonini e Lifestyle Mobile (2006); Vivere con il Telefonino! Inchieste sociali su consumi e culture (2007). In formato digitale ha reso disponibili sul proprio sito (www.sanguanini.it) tre monografie: Società dell’Evento (2012); Sociologia dei Festival culturali (2012); Festivalizzazione del Belpaese (2012). Inoltre ha curato i volumi Informazione & Multimedia (2000) e Comunicazione & Partecipazione (2010). dell’essere umano e si sviluppa solo quando esistono due premesse: la prima è la sedentarietà (è evidente che nomadi e pastori non potevano coltivare un giardino), la seconda è la conoscenza delle tecniche di coltivazione. Quest’ultima è la pre-condizione per la creazione dell’orto – ovvero l’utilità materiale – e quindi del giardino, che invece afferisce all’utilità della nostra interiorità, cioè il piacere estetico. Il giardino nasce appunto quando l’essere umano capisce che da alcune piante, dal loro profumo e dal colore dei fiori proviene tale specifica sensazione. Non esiste quindi una data se non virtuale per l’origine del giardino, che sarà nato più volte in diversi momenti storici e luoghi geografici, tutte le volte che si sono verificate le premesse menzionate. Non una

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storia, ma tante storie. Ovviamente, affinché questo possa realizzarsi, è anche necessario che lo stadio dell’evoluzione umana abbia superato la fase della mera sopravvivenza e permetta di dedicare tempo alla cura e manutenzione del giardino. A tale proposito, le prime notizie storiche in nostro possesso riguardano due civiltà molto antiche, la Cina, di cui però rispetto al quel periodo, in questa materia, sappiamo poco o nulla, e la Mesopotamia su cui abbiamo alcune testimonianze a partire da diversi millenni prima di Cristo. Si può individuare un’epoca o un luogo dove si è formata prima che in altre parti l’usanza di curare un giardino? E se sì quali potrebbero essere state le motivazioni? Allo stato attuale le informazioni che abbiamo sui giardini più antichi sono legate, come ho accennato sopra, all’Asia orientale e alle civiltà mesopotamiche; qui è stata determinante la presenza dei grandi fiumi, il Tigri e l’Eufrate. Storici come Erodoto e Diodoro ci riportano notizie favolose riferite ai giardini pensili, ma è a partire dallo sviluppo della civiltà Egizia che possiamo disporre di informazioni più articolate e complete. Sulle pareti di parecchie tombe del Medio Regno, infatti, si trovano raffigurazioni ben conservate di giardini. È interessante che tali impianti abbiano molto in comune con i giardini rinascimentali, due elementi in particolare: sono giardini formali e si sviluppano lungo un asse. La loro peculiarità però è che sono costituiti da una serie di segmenti chiusi e richiamano il concetto di labirinto, di luogo dove è facile perdere l’orientamento. Per quanto riguarda l’altra grande civiltà, quella cinese, in questa materia iniziamo ad avere notizie a partire solo dal 290 a.C., mentre del periodo più antico sappiamo poco. Del III secolo a.C. abbiamo alcune testimonianze che riportano come i filosofi taoisti si riunissero nei boschi di bambù: un’usanza che ha punti di affinità con i boschi sacri dei greci o i giardini degli umanisti fiorentini. Le varie civiltà vengono spesso analizzate e raccontate attraverso le tracce più evidenti del loro passaggio, costituite sia da oggetti che da realizzazioni architettoniche. Un giardino quali aspetti di un popolo può permetterci di cogliere? Per capirlo dobbiamo tenere in considerazione due aspetti: il primo è la deperibilità che caratterizza la materia vegetale: un giardino non è come un palazzo, subisce le alterazioni del tempo molto rapidamente e quindi diventa difficile studiare quelli più antichi, perché in pratica, soprattutto per quanto concerne le piante legnose arbustive, un giardino si rinnova approssimativamente ogni duecento anni. Il secondo aspetto è che per quasi tutta la loro storia, i giardini, per il loro tracciato planimetrico, sono stati

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considerati da chi li ha progettati come dipendenti dall’architettura, insieme alle cui opere vengono letti e interpretati Detto questo, è vero che un giardino veicola diversi significati che si possono ricondurre a tre livelli: quello religioso, quello simbolico e quello politico (ovvero il giardino come dimostrazione di potere). Non sono purtroppo molto numerosi i casi di studio che partendo dal giardino cercano di studiarne la relativa civiltà e i suoi vari elementi. Un esempio di tale tipo di speculazione riguarda il caso del giardino di stile inglese o “naturalistico”, anche perché è un fenomeno piuttosto recente. Hans Sedlmayr nel suo libro Perdita del Centro, pubblicato la prima volta nel 1948, dice che il giardino naturalistico, nato sotto l’egida della cultura illuministica, è una forma artistica autonoma che si stacca dall’architettura e che arrivò a sostituire il significato del tempio. Lo studioso elaborò un’interessante teoria secondo cui gli illuministi, che non erano atei ma deisti, individuarono la loro dimensione spirituale nella natura e nella varie sue forme; se la natura è divinizzata, il giardino naturalistico diventa necessariamente il suo tempio. Quando e in che contesto si iniziano a classificare le diverse tipologie di giardino e si stabilisce un metodo? In tempi relativamente recenti, non prima del XVII secolo. Vennero avviate delle riflessioni approfondite in Francia con scritti importanti i quali, in parte per cercare conferme e fondare teorie, diedero uno sguardo sui giardini del passato. Anche in Inghilterra abbiamo una buona letteratura in materia a partire dal XVIII secolo. La storia del giardino in senso filologico è comunque recente e la prima studiosa che rovescia la prospettiva di studio è Marie Luise Gothein, la quale ha il merito di smettere di considerare il giardino solo in senso romantico e pittoresco. Ci può riassumere le caratteristiche del giardino all’italiana e a quale periodo storico è legata la sua diffusione? Il giardino in generale, e quello all’italiana non fa eccezione, è per natura una composizione polimaterica, che è anche componibile e scomponibile: possiamo quindi individuare alcuni elementi caratteristici che poi si mescolano nella realtà dando vita a diverse composizioni. Quando parliamo di giardino va prima di tutto individuato il “contenitore”, o meglio le due pre-condizioni, le due caratteristiche principali che ne connotano la configurazione, cioè, nel caso del giardino di stile italiano, i terrazzamenti e la distribuzione delle piante. Mi spiego meglio: essendo l’Italia un territorio per lo più montuoso e collinare, spesso i giardini – ad eccezione di diversi impianti veneti – sfruttavano tale fortunata circostanza naturale e venivano realiz-


zati a ridosso dei rilievi e lungo i pendii; per questo erano terrazzati. Questa è la prima caratteristica; la seconda è il criterio distributivo delle piante, che nei giardini all’italiana vengono collocate in modo da creare composizioni geometriche nell’insieme e nei dettagli. Entrando invece nello specifico di quello che è il “contenuto”, evidenzierei tre caratteristiche: la statuaria (i giardini, dalla fine del Quattrocento, sono quasi sempre dotati di statue); il significato simbolico (si tratta per lo più di significati apologetici riferiti al proprietario del giardino ed espressi per mezzo di statue) e l’elemento scientifico. Quest’ultimo si riferisce all’idea di scienza dell’epoca, che era a metà fra la concezione che ne abbiamo noi oggi e una rappresentazione più legata alla magia e all’alchimia. Per questo i giardini all’italiana erano ricchi di grotte, automi ed artifici d’acqua. Un aspetto importante della storia dei giardini è la costruzione e la trasmissione di un sapere. A tale proposito quando nascono i primi manuali e quali tecniche tramandano? La letteratura ha trasmesso conoscenze indirette sui giardini in quasi tutti i tempi, sia attraverso opere tecniche (pensiamo agli autori romani, come Columella) sia all’interno di opere letterarie diverse. Tra gli altri Omero, Orazio, Virgilio, nei loro scritti hanno in più occasioni narrato storie con i giardini come sfondo o anche come soggetto principale. Nell’Odissea c’è un passaggio che descrive il giardino del Re dei Feaci nell’Isola di Citera in maniera tanto minuziosa che lo si potrebbe quasi ricostruire. Nel Medioevo romanzi come il Roman de la Rose illustravano le loro storie con le miniature inquadrandole in scene di giardini descritti nei più accurati dettagli. Per quanto riguarda i manuali di tipo tecnico, i primi trattati esclusivamente dedicati ai giardini compaiono solo verso il 1600. Prima di allora, come abbiamo detto, troviamo alcune nozioni sull’argomento all’interno di opere che trattano di orticultura e agricoltura. Un’interessante eccezione è rappresentata dallo scritto di Pietro de’ Crescenzi il quale all’inizio del 1300 fornisce dei modelli per progettare un giardino in base alle dimensioni dell’appezzamento di terreno. È un’analisi concettualmente moderna che mantenne il suo interesse anche con il passare del tempo fino al XVIII secolo. È però solo molto tempo dopo, nel XVII secolo, che avviene la trasformazione nella cultura dei fiori e nel gusto collettivo per i giardini, e che iniziano a diffondersi opere specifiche di giardinaggio. Una delle più note è Flora ovvero Cultura di fiori del senese Giovanni Battista Ferrari. Da quest’epoca in poi, la cultura dei giardini scivola via dall’Italia, e non a caso il trattato più importante di questo tipo di produzioni letterarie, della metà del Settecento: La Théorie et la pratique du jardinage, è

stato scritto dal francese Antoine Dézailler d’Argenville. Da qui in poi si moltiplicano, soprattutto al di fuori d’Italia, i trattati di giardinaggio: possiamo notare che tendenzialmente gli autori francesi esaminano con particolare attenzione piuttosto gli aspetti tecnici, mentre gli inglesi amano soffermarsi sugli elementi più formali. Qual è stata e qual è la relazione fra giardino e paesaggio circostante? In sintesi, come in parte accennato, la bellezza del paesaggio è veicolata dall’utile – in pratica dall’agricoltura – quella del giardino dal piacere estetico. C’è ovviamente una stretta relazione fra i due elementi; in tutti i tempi il giardino di campagna è il luogo che, all’interno di una tenuta agricola, si trova a ridosso della residenza, che a sua volta è generalmente situata al centro geometrico o funzionale della proprietà. Se osserviamo un possedimento che circonda un’abitazione dall’esterno verso la residenza, troveremo un’organizzazione vegetale che passa da un giardino “di utilità” ad un giardino “di delizia”, ma entrambi fanno parte del più ampio sistema del paesaggio. È chiaro che il paesaggio è più diffuso, mentre il giardino è più puntuale, ma sono legati da un rapporto biunivoco, è un errore considerarli separati. Un esempio interessante che esemplifica questo concetto è riportato nel libro di David Coffin Giardini e giardinaggio nella Roma papale (1991). In questo testo l’autore nota che ad un certo punto la palma (nella sua specie Phoenix dactylifera) entra a far parte dell’immaginario e della memoria cittadina come un elemento tipico del paesaggio urbano, pur non essendo una specie molto diffusa e pur contando di fatto solo pochi esemplari. Il motivo è che si tratta di una varietà che i monaci erano soliti piantare nei loro giardini. Dal momento che i conventi si trovano tradizionalmente in punti rialzati, su alture, erano tra gli elementi più visibili entrando in città e di conseguenza le palme hanno assunto un ruolo importante nell’idea di spazio urbano. È un discorso di densità di immagine. Quando e come si origina l’abitudine di creare spazi verdi, gli attuali parchi pubblici, nelle città? La nascita del parco pubblico può essere immaginata in tre fasi: la prima risale al Cinquecento, quando è documentato che diversi giardini di nobili e di borghesi venivano aperti al popolo in determinate fasce orarie. In questi spazi il visitatore, mediante verbose e spesso piacevoli iscrizioni apposte ai cancelli, veniva invitato ad entrare ma anche a comportarsi bene e rispettare la legge del giardiniere, pena la “rottura dell’amicizia”: un concetto quasi sacrale di giardino che ricorda il rapporto con la divinità e con il paradiso terrestre.

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La seconda fase della storia del parco pubblico risale al periodo illuminista, quando i sovrani iniziarono a permettere e promuovere la realizzazione di lunghi viali a disposizione dei cittadini che volessero passeggiare nel verde. Naturalmente dietro a questa azione c’era anche una strategia “politica”: grandi spazi aperti permettevano il rapido raduno di truppe in caso di sommosse popolari. Il parco pubblico concepito specificatamente a servizio della salute pubblica nasce infine nell’Ottocento, a seguito della rivoluzione industriale e dell’urbanesimo: in una città quasi invivibile per via delle fabbriche il parco risponde alla nuova necessità di restituire quel verde di cui le persone sono state private nell’abbandonare le campagne. La nascita di Central Park a New York è una delle più esemplari dimostrazioni di questa nuova realtà sociale e del bisogno di verde. Come interpreta le nuove forme di giardino che stanno diffondendosi, come ad esempio il giardino roccioso, nate da reinterpretazioni del passato o da contaminazioni fra varie tradizioni? Io credo che ci troviamo di fronte ad una realtà duplice. In generale il giardino è rimasto fino ad oggi sostanzialmente fedele a determinati modelli formali o naturalistici, e non ha seguito le evoluzioni che hanno caratterizzato ad esempio lo sviluppo dell’architettura; quest’ultima, infatti, con l’ingresso di materiali come il ferro, il vetro e il cemento armato, ha scoperto forme prima impensabili con uno stacco netto rispetto a tutta la sua storia precedente. Invece fino ad oggi il giardino ha avuto come materia prima e distintiva le piante, per cui la forma si può modificare ma non stravolgere più di tanto. Più di recente le cose sono in parte cambiate: a partire dagli anni sessanta, con l’esperienza della Land Art che ha fatto un po’ da “traghettatore”, si sono diffuse delle nuove tendenze che sono assimilazioni fra il giardino e l’arte concettuale. Si tratta senza dubbio di esperienze artistiche molto interessanti ma le possiamo ancora chiamare “giardini”? Se l’elemento vegetale non è più protagonista della tecnica e della forma, una tale domanda appare motivata. Forse la critica non ha seguito a dovere questa trasformazione, è un aspetto che andrebbe approfondito. Bruno Sanguanini: “La crescita della società urbanizzata va di pari passo con la moltiplicazione e la varietà dei tipi di giardino”. Che cosa è il “giardino” per le scienze sociali? Già da adolescente, la passione per le architetture dei mezzi di comunicazione di massa e le letture sulle teorie urbanistiche mi portarono a sognare il mestiere di designer della città. Studiai intensamente la tradizione occidentale degli utopisti

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(filosofi, letterati, pittori, architetti ecc.) della cittàgiardino e le teorie della città moderna come “tecnologia della società”, come ebbe a scrivere Lewis Mumford. Il suggerimento fu colto negli anni sessanta da Marshall McLuhan che elaborò la sua teoria dei mass-media all’insegna del “Villaggio Globale”, concetto che peraltro troviamo già in Teillard de Chardin, paleontologo di fama mondiale e teologo gesuita. Per i classici delle scienze sociali il “giardino” è una sorta di “abito” di ogni architettura civica (castello, convento, villa, città, ecc.) creata dall’uomo socializzato. La crescita della società urbanizzata va di pari passo con la moltiplicazione e la varietà dei tipi di giardino. Per la cultura occidentale, il senso della persona sta a quello dell’individualità come il gusto per il giardino naturalistico sta alla casa familiare, al palazzo, alla città, al sistema sociale. Lei sta suggerendo che noi possediamo delle “culture del giardino” che vanno anche al di là del senso comune del giardino fatto di piante, fiori, acqua, muretti, sentieri? Certamente. L’appartamento suburbano in cui io abito è immerso nel verde: eppure sia io che i mei vicini abbiamo un balcone arredato di piante verdi (ficus, glicine, bambù, rosmarino, salvia, prezzemolo, fragole ecc.). Ciascuno dei miei vicini di casa possiede un balcone verdeggiante o fiorito: un giardino fai-da-te. Nessuno copia l’altro: anzi. Anche il balcone, come il giardino della villetta mono-familiare, rappresenta la “faccia” sia della casa che dell’animus naturalistico dei suoi abitanti. Chiamo “naturalistico” ciò che è culturale della natura che è messa a dimora o disciplinata dall’uomo, non tutto ciò che non è artificiale. In altre parole, il nostro senso della natura fa del giardino un palcoscenico dei legami con il “non-industriale”. È la messa in scena di una “cultura della natura”. Natura di che cosa? Dell’ibridismo tra il mondo vegetale (piante, fiori ecc.), il mondo minerale (pietra, acqua, aria ecc.), il mondo artificiale (cemento, ferro, legno lavorato, vetro, plastica ecc.) e il mondo artistico-filosofico che parla in nome della natura della Terra. Si tratta di una creatura che è, al tempo stesso, scoperta e inventata dall’uomo. Non dimentichiamo che il senso del naturale non è metafisico: assume diversi significati in diverse società e diverse epoche. Allora, che cosa vuol dire “Giardino” per il sociologo? Per il senso comune il “giardino” è una porzione di terreno coltivato a piante ornamentali e talvolta da fiore. Lo scopo è farne un luogo di ricreazione, gioco agricolo, luogo di passeggio o locus di contemplazione. Ordinariamente è collocato in prossimità di una casa. Il balcone fiorito è un giardino pensile; il padiglione a vetri è un giardino a serra o


giardino d’inverno; il giardino botanico è un laboratorio scientifico; il giardino zoologico è il parco degli animali selvatici in cattività. Il Kindergarden, per esempio, è il giardino della prima infanzia, ovvero la prima forma di scuola per l’infanzia. Il parco cittadino non è forse il giardino della città? È l’altra faccia della medaglia sia del luna park, sia della piazza centrale. Il termine “giardino” deriva dal francese medioevale jardin: significa “luogo chiuso”. Con la modernità, il giardino diventa un “luogo aperto”. A che cosa? Soprattutto agli uomini e alle specie (piante, animali, minerali ecc.) in via di estinzione o di oblio. Se così non fosse come mai ogni settant’anni circa i giardinieri occidentali scoprono il bello del brolo di bambù orientale? In che cosa consistono le “culture del giardino”? Dire che ogni civiltà, nel passato o nel presente, possiede delle proprie culture del giardino, è cosa ovvia. Con ciò non intendo sottovalutare il pensiero generalista. Tuttavia, non c’è paragone tra il mio balcone sempreverde e il parco di Villa Medici a Firenze, tra la villetta residenziale con praticello verde e duetre pini e la casetta con i quaranta nanetti schierati a guardia dell’entrata che anni fa ho fotografato a Miola di Baselga di Piné (Trentino). In un caso come nell’altro, facciamo ricorso al giardino per rappresentare, a noi stessi e agli estranei, il personale senso dell’abbellimento della casa e del decoro sociale. Il giardino, dunque, è un medium di comunicazione. Osservando il giardino si colgono il gusto e le capacità del giardiniere. Il giardino “parla” per sé: ma “dice” molto anche dei suoi giardinieri, cultori, abitanti. Davanti a una casa senza giardino verde la cultura umanistico-occidentale storce inevitabilmente il naso: ritiene che la civilizzazione del luogo sia un po’ deficitaria, mancante di stile. Non dimentichiamo che la rappresentazione ideal-letteraria del giardino, come dimostra la pittura medievale e rinascimentale, viene prima della costruzione materiale del giardino stesso. Gli elementi del mondo vegetale e minerale sono scelti e addomesticati secondo un concetto di natura che è elaborato da letterati, pittori, filosofi, architetti, ancor prima che dai botanici o dai naturalisti. Ciò vale per la civiltà occidentale, che conosce due o tre modelli culturali di giardino (“all’italiana”, “alla francese”, “all’inglese” ecc.), ma vale anche per le altre civiltà, dove il modello “alla araba” e il modello “alla cinese” sono i più popolari. Come le scienze sociali si sono occupate di giardini e culture del giardino? In modi diversi. Tutti gli utopisti, filosofi o architetti, che hanno descritto o disegnato una “Città Ideale” hanno sempre pensato in termini di “città-giardino”. Il mito del giardino come “paradiso delle delizie” è passato dalla tradizione medio-orientale alla tra-

dizione occidentale. Ebbe così origine la visione medievale dell’hortus conclusus (vedi: il “Ciclo dei mesi” di Torre dell’Aquila nel Castello del Buonconsiglio a Trento). La visione umanistico-pittorica porta al giardino sia come “Trionfo delle allegorie” che “Labirinto della mente”; la visione mercantilistica porta al Grand Tour giardinetto fai-da-te di aristocratici e artisti europei; le visioni illuministiche e romantiche introducono (leggi: le passeggiate boschive di Jean-Jacques Rousseau) sia al “paradiso della riflessione” di cui parla Jean Starobinsky, sia al “culto delle rovine” e alla “passione per il selvatico-primitivo” dei tedeschi di Sturm und Drang. L’età industriale offre molti tipi di giardino: alcuni sono all’origine delle mode di massa (vedi: turismo esotico; viaggio a EuroDisney; Safari assistito); altri, invece, palpitano ogni giorno davanti alla coltura delle piantine grasse sul tavolo in ufficio, delle cartoline dei viaggi degli amici che sono appese sui vetri, dell’immagine bucolico-ironica del salvaschermo del computer. Come si vede dagli esempi qui fatti, definire le categorie ed i valori culturali del “giardino” è sempre qualcosa di complesso! Che rapporto c’è tra la casa e il giardino, tra il giardino e i suoi estimatori? Per la cultura occidentale moderna, il giardino sta alla casa come ogni nostro abito sta al corpo vivente, l’automobile privata sta al suo proprietario, la carriera dei figli sta alla famiglia, il consumo di beni voluttuosi esibito in società sta al benessere economico e al potere sociale di ciascuno di noi. In gioco c’è senz’altro lo scambio sociale di status symbol. Chi come me ha un balcone di appartamento dove crea il proprio giardino non può fare a meno ogni anno di cambiare qualche pianta. Non per passatempo, ma per “rinnovare il guardaroba verde” di ciò che si vede sia da dentro che da fuori dell’abitazione. Il giardino, dunque, è un palcoscenico del senso sociale del decoro individuale e familiare. Il “giardino all’italiana” è un territorio o un campo in cui l’architettura (mura, cancelli, vialetti, fontane, statue, chiostri, edicole, lampioni ecc.) domina sul naturalistico e sul selvatico. Come mai il richiamo a un principio d’ordine prevale su tutto? La letteratura sui giardini classici ce lo insegna. Nella Villa romana i giardini sono almeno due: c’è il giardino esterno che separa la residenza dal mondo, ma c’è anche un giardino-piscina e/o un giardino-cortile al centro della casa. L’orto è altrove. Anche la città moderna ha più di un tipo di giardino; il centro storico, per esempio, è conservato come il giardino della Civitas locale. La città che si scioglie nelle sue periferie incontra progressivamente il modo esterno semi-urbanizzato, debolmente civilizzato, sempre più degradante nel selvatico della campagna – scrivono gli urbanisti del primo Novecento. La città, invece,

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è un giardino di luoghi simbolici (Castello, Municipio, Cattedrale, Museo, Biblioteca, Università, Piazza principale, Central Park, Teatro, Stadio sportivo ecc.) della socialità: ma, anche, degli apparati del potere. Con l’espressione “giardino all’italiana” intendo un principio d’ordine, che, vale sia per la “coltura del giardino” decorativo-floreale che per la “cultura della città”. Bello e funzionale è tutto ciò che è intenzionale, disciplinato, costruito, valorizzato, consumato e rinnovato. Alcuni anni fa, lei ha pubblicato il saggio “Nanetti & Giardini in Italia”. Con il sottotitolo “Micro-cultura di un gusto pop europeo”. A che cosa si riferisce? È bene ricordare che quel saggio mi è costato almeno tre anni di lavoro. Un terzo delle trecento pagine sono dedicate alle interviste fatte, dal lago di Garda sino ai confini con la Slovenia, a proprietari di giardinetti popolati da nanetti e statuaria di ogni genere in gesso, cemento, plastica. In Italia, il Nordest (Veneto, Friuli, Trentino) è decisamente “Nanettoland”. In Trentino, per esempio, nell’area del porfido, i nanetti spuntano a primavera nei giardinetti domestici come i funghi nei boschi umidi a fine luglio in Val Cadino. Un altro terzo del libro è dedicato alla cultura occidentale del senso moderno del “decoro” (aristocratico, borghese, di massa, rurale, ecc.). Il gusto per i nanetti espresso da italiani, austriaci, tedeschi, belgi, francesi, inglesi, e svizzeri, non è provocato dall’“effetto Disney”, bensì dalla popular culture che vede l’incontro tra la cultura di massa, la cultura piccolo-borghese urbana, la cultura folcloristica delle classi lavoratrici. L’ultimo terzo del libro è dedicato alle mode postmoderne (Kitsch, Camp, Cultural Jam ecc.) del decoro. In queste pagine, scritte un po’ “all’americana”, considero anche la pelle del corpo umano come un “giardino del narcisismo”. Che cosa spinge al micro-tatuaggio o al piercing? Come ben sa il genitore che è alle prese con la decisione della figlia adolescente di farsi un tatuaggio sulla spalla o di innestare un anello sulla narice del naso, discutere del senso del bello/brutto è difficile. Perché l’artificiale s’impone sul naturalistico? Mi decoro così per vedermi come loro e farmi guardare dai miei pari, dice il figlio metallaro. Il corpo fisico, al pari dello zainetto scolastico o dell’automobile sportiva, diviene anch’esso una superficie da abbellire, decorare, esibire, enfatizzare: rendendolo così sia la vetrina di uno stereotipo di carattere, sia un bene di consumo per l’altrui sguardo.

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La passione per il giardino è sempre legata alla fuga dal tempo del lavoro? Nello studio che ho fatto sulla cultura otto-novecentesca dei “nani da giardino”, in Europa ed in Italia, ho constatato che tale micro-cultura appartiene al boom, in età industriale, della casa mono-familiare di periferia. Si forma, a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, prima nel Regno Unito e poi in Germania e in Francia. L’industrializzazione dei Paesi europei è già un dato di fatto. I “nanetti” entrano nel giardinetto borghese come la statuaria d’artista era nella villa romano-augustea, i nani viventi nelle Corti rinascimentali, la statuaria barocca era da secoli nelle ville venete. Nel Regno Unito, a metà Ottocento, il movimento democratico-progressista dei Fabiani perorò la causa di assegnare ai neo-operai di fabbrica, recentemente urbanizzati, una casetta mono-familiare o bi-familiare con annesso giardinetto. Per fare l’orto, cosicché la famiglia numerosa ed ex-contadina avesse comunque un minimo di risorse alimentari auto-prodotte. La coltivazione dell’orto trattenne parzialmente i maschi lontani dal Pub, quindi favorì il risparmio del salario dell’uomo di casa. Inoltre, mantenne vivo il legame di dipendenza dell’ex-contadino dal senso della terra e del lavoro subordinato continuo. Da qui la popolarizzazione dei giardinetti di periferia. Lì, ora, da decenni e decenni i nanetti di cemento hanno messo su casa. La medesima considerazione vale per i minatori e i loro discendenti in Belgio, Germania, Austria, Galles, e Italia. Che cosa propone oggi per le culture del giardino di domani? Se ci limitiamo ai giardini delle nostre città di piccolemedie dimensioni, auspico almeno quattro cambiamenti: liberare le piazze del centro storico delle città d’arte dagli attrezzi ludici del “giardino d’infanzia”; inibire l’allestimento facile dei mega-tendoni del “mercante in fiera”; assicurare che i parchi-giardino non siano mai incustoditi e che il servizio pubblico di sorveglianza sia permanente; evitare di impiantare sculture postmoderniste, anche se di piccole dimensioni, ogni venti metri quadrati di verde pubblico. Non c’è più bisogno né di “Fiere medievali” a balzello comunale né di un “Effetto Spaventapasseri” che soddisfi l’ansia da arredo urbano! Infine, mi auguro che nei grandi parchi le piccole costruzioni di servizio siano soltanto di pietra e legno. La messa al bando del cemento e dell’acciaio inox dovrebbe essere assoluta!


Nel giardino della Letteratura

Nella Guida pratica tascabile muove l’eterna tensione illustrata per il viaggiatore itadell’uomo verso la perfezione, liano stampata da Sonzogno in la complessità e il mistero occasione dell’Esposizione Unidell’universo naturale. È assai versale di Parigi del 1889, il arduo, se non impossibile, cirdi Silvia Bertolotti compilatore-scrittore informa: coscrivere in modo esaustivo il “Il bosco di Bologna [il Bois de legame tra mondo della natura Boulogne, nda], ultimo vestigio e fare letterario; è semmai posdell’antica foresta di Rouveray sibile analizzarlo e inseguirlo rappresenta qualche cosa come attraverso i secoli estrapolanil giardino di Armida, colla diffedone le suggestioni, gli stilemi e renza che questo qui offriva tutti gli incanti della le immagini più frequenti. L’immagine del giardino, natura, e l’altro offre tutti i lussi, tutte le dolci attrat- ad esempio, rappresenta, un topos di grande fortuna tive, tutte le civetterie, tutte le eleganze […] le fanta- all’interno della letteratura e costituisce una specie di sie e i capricci della mollezza occidentale […]. Il distillato, un perfetto precipitato fantasioso ed emoBosco di Bologna è la passeggiata d’Europa, a cui tivo di tale rapporto, condensando in se stesso le Parigi comunica una parte del suo movimento e della antinomie e gli opposti di bene e male, luce e tenesua vita. […] All’ovest di Parigi, là dove la Senna si bra, salvezza e perdizione. È chiaro che il concetto evade come dalle mura di una prigione, s’incontra il stesso di giardino si evolve, muta e si trasforma bosco di Bologna. All’Est là ove la Marna si getta secondo la concezione del rapporto che l’uomo nella Senna, prima che questo fiume abbia raggiunto intrattiene con il mondo che lo circonda, sia esso la cinta di Parigi, sorge il bosco di Vincennes. Il primo pratico, intellettuale o legato alle circostanze emoraggio del vergine sole è per il torrione di Vincennes, tive. Il giardino imita il paesaggio, lo riproduce in e gli ultimi splendori dell’astro morente apparten- chiave intimista, celebrativa, esoterica, estetica, è la gono all’Arco di Trionfo. Così Parigi è una capitale sua interpretazione in scala ridotta. Il giardino presa in mezzo a due foreste”. Ogni viaggio, come nasconde, rappresenta, seleziona, sussurra, spaogni visita a un giardino, aveva un tempo il fascino venta, emoziona, ma soprattutto il giardino racconta. dell’avventura e il sapore del romanzo. Scrive D’An- Se ci imbattiamo in termini quali: mixed border, nunzio “natura e arte sono un dio bifronte / che con- ragnaia, verziere, ninfeo, quiconce, ha-ha, comprenduce il tuo passo armonioso / per tutti i campi della diamo come grazie al suo bagaglio di conoscenza e Terra pura. Tu non distingui l’un dall’altro volto / ma tradizione millenaria l’universo del giardino sia il fonpulsare odi il cuor che si nasconde / unico nella datore di un lessico speciale, ricchissimo e sfumato, duplice figura”. Nella balspecchio di una ricerca lata Il fanciullo, appartetecnica e di una sensibinente alla raccolta lità allo scenario decorapoetica Alcione, D’Antivo mai esausti. Tuttavia, nunzio sogna un giovane il giardino parla un linauleta, “figlio della cicala guaggio retorico e allee dell’ulivo”, che suona gorico, del quale l’arte ha un flauto costruito con le saputo nutrirsi ampiacanne colte in un giarmente. Il giardino è un dino della Toscana; motivo di lunga durata, suona una melodia che ed è incredibile la sua sa incantare gli artisti e ricorrenza attraverso la ogni creatura in una pertradizione letteraria ed fetta armonia cosmica. È estetica in senso lato. È la musica della poesia, interessante mettere in che costituisce la cifra luce un’osservazione: il trasparente di quella che motivo del giardino in nell’antica Grecia era la letteratura precede continuità tra Natura e quello altrettanto fortuArte. I versi di D’annunzio nato del paesaggio, al sono un manifesto proquale è comunque intigrammatico, un progetto mamente legato e del di poetica, ma in essi si quale parrebbe essere

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un’emanazione concettuale e sentimentale. Il giardino esiste ab origine, è il paradiso, il giardino dell’Eden, primo luogo di delizie da cui l’umanità è stata esiliata per sempre. Partendo da questo dato: il primo giardino fu opera di Dio e l’uomo fa la sua prima apparizione sulla scena del mondo proprio in un giardino, il viaggio attraverso di esso e attraverso la sua Storia diviene infinito. La ricerca da parte dell’uomo del “suo giardino” è perciò eterna. Forse, come afferma Rudolf Borchardt, “l’anima umana stessa è un giardino”. Sumeri, Assiri e Babilonesi sono da considerarsi i precursori, gli abili antecedenti storici e i primi creatori di ogni altro giardino, ma è altrettanto vero che si tratta ancora di uno spazio naturale dedicato alla divinità, fortemente sacralizzato e immaginifico, appannaggio del potere e della ricchezza. Scelte botaniche, architettoniche e stilistiche destinate comunque ad assumere il ruolo d’imprescindibile punto di riferimento. Il giardino come spazio segreto e fantastico trova la sua consacrazione nel Medioevo con l’hortus conclusus e l’hortus deliciarum; l’hortus conclusus è un giardino allegorico-religioso, è il giardino consacrato a Maria, dove la rosa è simbolo stesso della Vergine. Dall’altra l’hortus deliciarum è in senso profano un giardino immaginario di piaceri, cantato nei romanzi cavallereschi (Roman de Tristan e Roman de Erec e Enide di Chretien de Troyes, e Roman de la Rose), viene descritto come carico di frutti e fiori eterni e rappresenta la metafora dell’amore cortese. La visione letteraria e poetica del giardino ha avuto inoltre una forte influenza sulle medesime soluzioni di botanici e giardinieri. È il caso dell’Hypnerotomachia Pholiphili di Francesco Colonna, stampata nel 1499 da Aldo Manuzio a Venezia. Un’opera enigmatica che ha effettivamente influenzato in modo deciso le scelte architettoniche, ma soprattutto simboliche e ideologiche del giardino del Cinquecento. Opera corredata di 196 xilografie dedicate all’idea di giardino Rinascimentale. Il giardino si afferma come metafora del mondo e dell’interiorità umana, è una sorta di topografia interiore, ma è al tempo stesso “un non luogo”, un’utopia, come il viaggio dell’Ulisse di Dante. Il giardino in quanto tema diviene serbatoio di simboli, un deposito semantico, e in questo senso basterebbe risalire all’etimo di “tema” che si ricollega alla radice del verbo greco tithemi che significa “porre”, “posare”, “deporre”. Come tutti i motivi letterari, il giardino è, però, soprattutto qualcosa di vivente, flessibile, mutevole, metamorfico, sfugge a ogni facile classificazione, è un fenomeno intertestuale. Tormento e delizia dei comparatisti il motivo per sua natura si colloca sempre in limine, a un crocevia, è spesso una sorta di ponte che collega, che avvicina e mette in relazione, mondi diversi. I motivi

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costituiscono dei passepartout, delle chiavi speciali e d’accesso a una complessa e articolata rete di relazioni con la storia dell’arte, la storia delle idee, della filosofia e della sensibilità. All’interno dell’enorme terreno cifrato rappresentato dalla categoria concettuale e spaziale del giardino, si scopre l’esistenza di almeno altri due motivi a esso strettamente connaturati: il fiore e l’albero. Dalle pure e affascinanti immagini del fiore e dell’albero scaturiscono molteplici modelli mitici, immagini leggendarie e poetiche, straordinarie metamorfosi, assurte ad archetipi culturali e simboli di virtù morali, rispetto ai quali la tradizione occidentale ritrova le proprie radici. Sin dalla più remota antichità l’albero evoca una valenza spirituale e può divenire oggetto di culto religioso. Erodoto nel VII volume delle sue Storie, narra che il sovrano persiano Serse durante la spedizione militare contro la Grecia facesse sostare il suo temibile esercito presso uno splendido platano e per la sua bellezza lo facesse adornare d’oro come se si trattasse del simulacro di un Dio. Il fiore con la sua fragilità, con la sua bellezza perfetta, armoniosa ed effimera, ricorda all’uomo la caducità di ogni essere vivente, ma con una medesima forza suggestiva il mistero della rinascita, del rinnovarsi della specie. Tra fiori e scrittura, tra universo floreale e linguaggio, il connubio è da sempre felice, basterebbe pensare, anche solo banalmente, al “ditelo con i fiori”. Spiega Rudolf Borchardt in Il Giardiniere appassionato, che “l’uomo sente il fiore come un mediatore divino […]. Il giacinto è un prodigio e non può essere semplicemente un fiore. Il suo mistero reca in sé l’inguaribile dolore di un dio, il ricordo di una morte straziante”. Il giardino che racchiude in sé, come in uno scrigno, molte di tali perle mitiche, leggendarie o esoteriche, a partire dai poemi omerici, si riserva sul set dell’opera letteraria una posizione assolutamente significativa. È possibile enucleare, infatti, una funzione specifica del giardino nell’ambito della costruzione letteraria e della messa in atto delle tecniche di elaborazione di una fabula. L’immagine del giardino all’interno di romanzi e racconti è spesso tutt’altro che accessoria. Sono sempre essenziali le lunghe e dettagliate sezioni descrittive di orti, giardini, winter garden, parterre, square, nelle quali il nostro “scrittore-botanico” indugia nell’individuare specie, colori, qualità e snocciolando magari anche dotte nomenclature scientifiche. Certo possiamo essere in presenza di volute e ben congegnate pause all’interno di un tempo e di un ritmo narrativo predeterminato, ma la carriera letteraria del giardino non finisce qui; i giardini sono in grado di prendere possesso della pagina romanzesca con piglio risoluto, con beffarda soddisfazione, perché (chi lo avrebbe detto) anch’essi possono ritagliarsi un ruolo se non da protagonisti,


Immagine del giardino Jaquard, realizzato a Schio (VI) da Alessandro Rossi

almeno da comprimari. Se abbandoniamo anche per un attimo l’istanza del giardino come semplice cornice e come fondale neutro, comprendiamo come il paesaggio interpreti un certo carattere, un preciso accento, abbia insomma un suo profilo, in virtù del quale assume un ruolo di diverso spessore, diventando protagonista e soggetto. Pensiamo al celebre romanzo Il Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani: non solo il giardino è presente fin dal titolo dell’opera, ma è il fulcro emozionale della vicenda, il suo cuore pulsante è il teatro in cui si relazionano i personaggi, è il luogo in cui si conservano i sentimenti e i ricordi, ma è anche la metafora di un possibile rifugio simbolico in cui trovare riparo dalle insidie e intemperie della vita, uno spazio immaginario di sospensione, di salvezza dalla guerra e dalla tirannide fascista, proprio come nel Decameron i dieci giovani sfuggivano dal flagello della peste. Numerosi autori del Novecento si sono confrontati con l’universo agreste, in una sorta di Grand Tour del verziere, hanno mosso i loro protagonisti entro ambienti di malinconica bellezza vegetale, caricando un paesaggio circoscritto di assonanze psicologiche, morali, talvolta sensuali ed erotiche. Nel 1917, in pieno conflitto mondiale, i fratelli Treves, danno alle stampe Verso la cuna del mondo: lettere dall’India, del poeta e scrittore Guido Gozzano, e in quell’India

d’inizio secolo l’entomologo Gozzano è letteralmente rapito dalla potenza arborea, quasi primordiale, di foreste e giardini, si perde e sprofonda in uno spazio favoloso in cui ogni centimetro di terra, di aria e di acqua è un brulichio di vita, colori, profumi e forme sorprendenti: “il piede s’avanza ora fra muschi, licheni mostruosi simili a polipi o a masse madreporiche, ora passa sul tappeto cinerino della mimosa azzurra cingalese […]: è il tripudio della flora vegetale e della flora vivente, strani insetti (fasmidae, phillum ecc.) imitano i rami e le foglie, farfalle enormi abbagliano, come una brace verde azzurra […] felci arboree agili come zampilli verdi, […] capillarie fluttuanti nell’aria, come in fondo ad un acquario; e tutto è immutato, come ai tempi delle origini, quando non era l’uomo e non era il dolore”. I versi della sua poesia umbratile, snob, ironica e raffinata non abbandonano, però, la dimensione del giardino, ne sono, al contrario, un’elegante e colta celebrazione; così scende la sera, e la sera dei ricordi nel “giardino antico” della Signorina Felicita, e l’orto ha “il profumo tetro di busso”, “le sbarre fiorite di verbene”, e nel “giardino triste ulula il vento” e il poeta abbandona “la pagina ribelle/ per seppellir le rondini insepolte/ per dare un’erba alle zampine delle/ disperate cetonie capovolte”. La folgorazione amorosa e la passione proibita del colto professore europeo Hum-

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Immagine del giardino Jaquard, realizzato a Schio (VI) da Alessandro Rossi

bert Humbert per l’adolescente Lolita, figlia della vedova Haze, nasce in un giardino della Nuova Inghilterra, in un vero tripudio di verzura. Vladimir Nabokov in proposito non ha dubbi, un giardino inondato di luce è la più perfetta metafora della fresca e innocente giovinezza di Dolores-Lolita, ma lo è anche del paradiso ritrovato e tentatore di Humbert. Giardino come tensione erotica perciò, come rilevatore di opposizioni e d’immagini amorose sopite, ma la cornice vegetale muove gli scrittori a ulteriori e sempre rinnovate riflessioni. Mario Rigoni Stern, da sempre sensibile al patrimonio verde della sua terra veneta, coglie una singolare consonanza di vicende e di destini tra gli uomini e gli alberi, entrambi prigionieri in un eterno ciclo di gioia e sofferenza, nascita e morte, destinati a scomparire e a essere sostituiti. Così in Arboreto Salvatico, breve volumetto dedicato a Giulio Einaudi “amatore d’alberi”, Rigoni Stern racconta degli alberi del suo brolo (il termine brolo deriva dal tardo latino ed è un vocabolo arcaico molto diffuso nell’ambito della cultura rurale veneta, che intende indicare il pezzo di terra, recintato da mura o alberi, più esteso di un orto e annesso all’abitazione; il brolo un tempo poteva comprendere anche diversi campi, e assumere il significato di proprietà, per così dire, borghese, distinguendosi dalla proprietà contadina; perciò esisteva il “brolo del conte, il brolo del prete, il brolo del dotòre”). Il brolo di Rigoni Stern, come lui stesso lo presenta, è un arboreto selvatico, una raccolta d’alberi, e salvatico sarebbe il termine usato nel Rinascimento per selvatico, ma lo scrittore lo intende e utilizza con il significato di salvifico; sono gli alberi che conducono alla salvezza; il tiglio è l’albero della giustizia, il larice è “l’albero cosmico lungo il quale discendono il sole e la luna”, il tasso è l’albero della morte e dell’eternità, la betulla è la scala per il cielo ecc. Di ciascuno dei venti alberi l’autore ricostruisce virtù, storia e leggende, con la nostalgia e l’affetto di chi stia parlando di persone care; un testo forse considerato minore, all’interno dell’opera di Rigoni Stern, ma in realtà, di rara delicatezza e d’intensa poesia. Una testimonianza esemplare di una perfetta sintonia tra scrittore e natura. La rassegna dei giardini letterari sarebbe lunghissima, anzi, sterminata: il giardino di Alcinoo, il giardino nel Decameron del Boccaccio, il giardino di Armida, il giardino del romanzo Le affinità elettive di Goethe, il Giardino di Venere nelle Stanze

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del Poliziano, il giardino di Caterina Cornaro ne Gli asolani del Bembo ecc. (per una prima ricognizione, rimando al testo di Fiorangela Oneroso, Nei giardini della letteratura, Firenze, Clinamen, 2009). Un discorso a parte meriterebbero gli scrittori-giardinieri o la specifica categoria delle scrittrici appassionate del mondo botanico, tra le altre Edith Warton, Colette, Gorge Sand, Emily Dickinson, Karen Blixen per queste autrici il giardino rappresenta una fonte d’ispirazione che non è semplice prodotto della fantasia o gioco di allusioni, ma è un dato reale e biografico, testimoniato da carteggi, corrispondenza privata, documentazione d’autore e il leitmotiv è sempre il medesimo, specchiare la propria anima nella natura, nella bellezza oltremondana dei fiori e delle erbe, parlare attraverso il loro codice segreto. Vale la pena citare in particolare Elisabeth Von Arnim, nome de plume di Mary Annette Beauchamp, femminista ante litteram, che cerca in un viaggio o nella cura e ammirazione del proprio giardino la fuga dalle convenzioni, dai salotti e dal matrimonio. Una donna colta, che ragiona sul problema dell’indipendenza femminile, con garbo, ma con la strenua convinzione di voler restare fuori dal coro e di potersi distinguere per autonomia di pensiero (di lei va ricordato in proposito Il giardino di Elisabeth). Scriveva la Von Arnim: “Ognuno deve amare qualcosa e io non conosco oggetti d’amore che immancabilmente ti ricambino come i libri e un giardino”. La caratteristica precipua, quindi, del giardino degli scrittori appare quella di essere un luogo speciale, un luogo magico, utopico, dove tutto avviene o si prepara, la lente attraverso la quale osservare un caleidoscopio di emozioni. Nel giardino, grande palcoscenico del mondo, le passioni, i sogni e gli incubi trovano, almeno in senso letterario, la loro più grande possibilità di libera espressione. Cambiano i tempi, cambiano le mode e i giardini romanzeschi o lirici si adattano, si convertono, si vestono di colori esotici, si disciplinano in ordinate geometrie, incarnano una finalità politica e uno strumento di propaganda (ad esempio le oasi di verde nel cuore di Parigi opera di Haussmann) oppure rifuggono dal rigore, come nel caso dei giardini d’età Vittoriana, in un’aspra lotta tra naturale e formale. I giardini, tuttavia, rimangono sempre discreti complici di contemplativi e amanti, spettatori impassibili di eterne passioni e debolezze umane, ma soprattutto rimangono i migliori confidenti di poeti e romanzieri.


Là dove fiorisce lo spirito

La parola “giardini” sospinge le parole, e conosce la miscela subito il pensiero verso le forme aurea degli accostamenti, delle del sentire espresse da Hugo intersezioni tra l’arbusto e il giarvon Hofmannsthal (1874-1929). dino: “solo ciò che gli sta vicino l’immagine del giardino in Per lui nell’atmosfera magica di lo fa tale, solo il muro presso cui Hugo von Hofmannsthal, Rodaun, nei pressi di una Vienfa ombra, l’aiuola da cui si leva, Marcel Proust, Walter Pater gli danno figura ed espressiona tutta da assaporare, risiede e Adalbert Stifter la fragranza voluttuosa di una ne”. visione gelosa nella quale preOgni giardino possiede la provale l’affettivo accento di un pria armonia, il proprio bisogno di Stefano Chemelli compimento spirituale (Rudolf d’ombra e Hugo von HofmannAlexander Schroeder nell’esthal cura la parola a tal punto legia “Der Landblau” ci dona da disegnarne l’intima geomeuna commossa descrizione del tria, la sua voce interna: “le sue microcosmo di Rodaun, sul quapelargonie alla finestra, le sue le rimangono di grande fascimalve al cancello, le sue palle no le note di Carl Jacob Burckhardt nei “Ricordi di di cavolo in terra, e in mezzo l’acqua, e poiché c’è Hofmannsthal” e le straordinarie “Memorie di un già l’acqua, ciuffi di gaggioli e non-scordar-di me, veneziano” di Benno Geiger). e tutt’al più accanto al basilico un’aiuola di garofani Lo sguardo del poeta, dell’immacolato uomo di lette- piumati, tutto questo s’accorda l’un l’altro e l’un l’alre capace di una conversazione di strepitosa e con- tro s’illumina”. centrata distinzione, volge, tuttavia, l’attenzione oltre La bellezza incastonata in un desiderio grato di rara l’orizzonte del proprio hortus conclusus, accoglie sensibilità si realizza nella forma “dello stelo ancodentro sé la traiettoria che da Baden, nel sud, con- ra nudo dell’emerocallide, per la forma della singola duce al Danubio del nord, sino al Klosterneuburg, tra spiga, del singolo arbusto, del singolo fiore, sentiti migliaia di preziose ondulazioni di terreno che apro- con l’estrema intimità dell’uomo che conosce ogni no il cuore, colmano l’anima (“ciò che è veramente germe del suo giardino, ha sfiorato con l’occhio ogni nell’anima è anche nelle mani” sosteneva), tra “pic- foglia lucente, ha soppesato con dita delicate ogni cole prominenze e avvallamenti infinitamente variati, nuovo germoglio e gli ha chiesto se fosse forte: su di vette e dorsi e terrapieni, di declivi, crepacci, con- questi elementi poggerà l’armonia delicata, discreta che, terrazze, gole, sovrapposizioni”, così come nel- del nuovo giardino, e il colore vi porterà solo un’ultilo scrigno più appartato “di quindici passi quadrati”, ma luce, come l’occhio di un viso”. lì possiamo sentire davvero “l’armonia delle cose”, I giardini viennesi divengono verso del poeta, un’esinella specie temporale di un lebensraum pacificato. genza di misurata pluralità che tende alla necessaria La curva, l’ondulazione, il ripiegamento segnano il trasposizione metaforica, nella direzione di una liberitmo di una natura singolare e molteplice, misterio- ra intonazione capace di assecondare un’autentica sa quanto il tempo incerto fenomenologia simbolica, e vibrante di un Novecento che supera ogni logica ornapoco oltre la soglia accementale della parola. lerata e stupefacente della Marcel Proust (1871-1922), sua origine. voce ed espressione alta Ondulazioni che possiadello spirito, prende cormo ritrovare in una Bath po nella rifrazione inedita romana, tra i Crescent che e minuta: “Dopo colazioannunciano una modernità ne, i miei sguardi ansiosi intrisa di vertigine modunon abbandonavano più il lata e composta, quanto cielo incerto e nuvoloso. il lavoro di un giardiniere Esso restava cupo. Davanti (e qui bisognerebbe prenalla finestra, il balcone era dere in mano le pagine di grigio. D’improvviso, sulla Rudolf Borchardt, il tedesua rozza pietra io vedevo sco-lucchese che meglio ha non un colore meno fosco, vissuto l’Italia), l’uomo più ma sentivo come uno sforprossimo al poeta, colui che zo verso un colore meno maneggia le piante come fosco, il palpito d’un raggio Pergolato di villa Pisani a Stra (VE)

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Romitorio della villa Cetinale a Sovicille (SI)

esitante che volesse liberare la propria luce. Un attimo dopo, il balcone era pallido e riflettente come acqua mattutina, e vi s’eran posati mille riflessi della ferrata della sua balaustra. Un alito di vento li disperdeva, la pietra s’era oscurata di nuovo, ma, come addomesticati essi ritornavano; e impercettibilmente la pietra riprendeva a sbiancare, e, in uno di quei continui crescendo simili a quelli che in musica, al termine d’una ouverture, portano una sola nota fino al fortissimo supremo, facendola passare rapidamente attraverso tutti i gradi intermedi, io la vedevo giungere a quell’oro inalterabile e stabile delle belle giornate, sul quale l’ombra frastagliata del sostegno lavorato della balaustra si stagliava in nero quasi una vegetazione capricciosa, con una tenuità nei contorni dei più piccoli particolari che pareva tradire un impegno di coscienza, una soddisfazione artistica, e con un tal risalto, un tal velluto nel riposo delle sue masse oscure e felici che invero quei riflessi larghi e frondosi che riposavano su quel lago di sole parevan consapevoli d’essere una garanzia di quiete e di gioia”. Siamo calati nell’anima delle cose come avrebbe detto Hofmannsthal, siamo trascinati in una sorta di realtà percepita e amplificata dall’interno e potenziata dall’impiego conoscitivo della metafora, la forza impetuosa della parola letteraria. Si colga la precisione certosina di un processo che, attraverso la nostra esperienza di lettori, diviene patrimonio indimenticabile, acustico e sapienziale, grazie a un’immagine carica di significati, di sensa-

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zioni, d’impressioni, e stiamo solo leggendo con gli occhi della mente: “La stagione dei lillà s’avvicinava alla fine; alcuni effondevano ancora in alti lampadari violetti le bolle delicate dei loro fiori, ma in molte parti del fogliame, là dove solo una settimana prima si frangeva la loro spuma olezzante, appassiva, scemata e annerita, una vana scoria arida, e senza profumo”. Alberi e fiori sono per Proust esseri che convivono con l’essere umano, elementi della stessa vegetazione sociale che assumono i connotati del mito e del divino insieme, un giardino specialissimo senza soluzione di continuità nel quale si è come risucchiati nel gioco delle sinestesie. Le stesse ragazze proustiane si confondono tra i fosfemi di una luce che le tramuta in una siepe di rose: è la spiaggia di Balbec ma anche della nostra immaginazione. Chi anticipa sia Proust che Hofmannsthal è Walter Pater (1839-1894) dei Imaginery Portraits, e senz’altro il diamante della sua opera, “The child in the House”, è lo specchio autobiografico che lo ha consegnato al Pantheon degli immortali, nel giro di pochissime pagine elette che qui appena accenniamo: “Nella casa e nel giardino del suo sogno egli vedeva un fanciullo muoversi, e poteva sceverare almeno le principali correnti dei venti che avevano soffiato su di lui, e così studiare il primo stadio in quel viaggio dello spirito… Risalendo al capo dei fili che costituivano il suo complesso abito spirituale, come soleva fare anni dopo, Florian scopriva di essere debitore a quel luogo di molti toni di sentimento divenuti poi abituali


in lui, di certe luci interiori, sotto le quali le cose gli si presentavano nel modo più naturale… Come insignificanti, sul momento, paion gl’influssi delle cose sensibili che sono sbalzate e cadono e giacciono intorno a noi, in questo modo, o in quest’altro, nell’ambiente della prima fanciullezza! Come indelebilmente – lo scopriamo dipoi – esse ci toccano; con quali capricciose attrazioni e associazioni stampan la loro immagine sulla carta bianca, sulla molle cera, delle nostre anime ingenue, come «col piombo sopra un sasso in sempiterno», dando forma e fisionomia, e come fosse stanza assegnata nella nostra memoria, a prime esperienze del sentimento e del pensiero, che rimangon poi sempre con noi, così, e non altrimenti!... E il senso di sicurezza non avrebbe potuto essere più profondo, la quiete dell’animo del fanciullo essendo una cosa sola con la quiete della sua casa, un luogo ‘concluso e sigillato’…Ho osservato come, nel processo della nostra formazione mentale, mentre si sta mettendo insieme la casa di pensiero nella quale viviamo, al modo di qualche aereo nido di alianti pappi di cardo e casuali fuscelli di paglia, compatto alla fine, piccoli incidenti hanno le loro conseguenze; e così accadde che, mentre egli passeggiava una sera, una porta di giardino, di solito chiusa, era aperta; ed ecco! nel vano, un grande spino rosso in piena fioritura che gravava d’una sfoggiata decorazione il tronco e i rami canuti e contorti, così annosi che vi rimanevano sopra soltanto poche foglie verdi; un piumaggio di fuoco tenero, vermiglio, spuntato su dal cuore del secco legno. Il profumo dell’albero gli era giunto di quando in quando, nelle correnti del vento, al di sopra del muro, ed egli si era domandato che ci poteva essere lì dietro, ed ora gli era lecito di riempir le sue braccia dei fiori – abbastanza fiori per tutti gli antichi vasi di porcellana turchina Delft sul caminetto, da dare un’aria festiva alla camera dei bambini. Era un momento periodico nell’espandersi della sua anima entro di lui, o un mero gioco di calore nell’aria estiva carica di profumo? Ma la bellezza dell’oggetto gli diede un’esaltazione febbrile; e nei sogni tutta la notte egli s’indugiava lungo una

magica strada di fiori cremisini, che parevano aprirsi rosseggiando in fresche fitte masse intorno ai suoi piedi, e riempire della lor morbidezza tutti i piccoli seni nelle prode da ambo i lati. Sempre dipoi, estate dopo estate, quando i fiori sbocciavano, la fiorita dello spino rosso non cessava di sembrargli la cosa più rossa di tutte; e il bel cremisi che ancor vive nelle opere degli antichi maestri veneziani o negli antichi arazzi fiamminghi, richiamava sempre di lontano il ricordo della fiamma in quei piccoli petali effimeri, come a grado a grado pulsava via da essi, conservati a lungo nei cassetti d’un vecchio stipo”. Siamo all’altezza del 1878, le battute che abbiamo riportato ci appaiono di una densità inusitata, siamo condotti per vie screziate attraverso i sentieri remoti di una percezione delle occasioni sensibili: i ritratti immaginari di Pater presentano figure che vivono nella fantasia condensazioni vitali, grazie all’epifania delle sensazioni, allo splendore dell’esperienza pura, verso lo sviluppo consapevole di un estetismo profondo e vibratile, etico. Ricordiamo, infine, Adalbert Stifter (1805-1868) e la sua Der Nachsommer, qui il paesaggio, il giardino della conoscenza, diventa un particolarissimo Bildungsroman, un’opera che Hofmannsthal collocava per importanza al fianco dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, un giardino di sofferenze e inquietudini del tutto diverse, nell’epoca di una frattura palpabile e vigorosa, che annuncia il realismo fragoroso di un Flaubert e della sua Educazione sentimentale. L’estate di San Martino di Stifter vale un’attenta lettura, per scoprire il grande giardino di un mondo che non c’è più, il mondo di ieri nella formula di Stefan Zweig: è lo scorcio che si può cogliere quando passeggiamo a Rodaun, tra Kalksburg e Perchtoldsdorf, salendo sulla Himmelswiese nella valle del Liesing, nell’aria di una Vienna che palpita ancora nel ricordo del grande poeta e drammaturgo austriaco, l’Hofmannsthal precoce dell’aureo pseudonimo di Loris: possiamo ancora perderci con lui in un giardino rivestito di rose, in uno scenario di bellezza che consente la fioritura dello spirito umano.

Catena d’acqua a villa Lante a Bagnaia (VT)

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Healing gardens giardini terapeutici

Il teatro verde del parco delle Terme di Levico (TN)

Molte ricerche hanno oramai gli spazi verdi e le potenzialità dimostrato l’influenza che l’amterapeutiche che questi offrono. biente naturale esercita sullo Solo con il progressivo sposviluppo emotivo e cognitivo stamento dell’attenzione dalla degli individui, nonché sul loro cura della malattia a quella della di Felice Ficco stato di salute. La realizzazione persona si è assistito alla diffudi un luogo nel quale le persone sione, dapprima negli Stati Uniti si sentano a loro agio costituie in Inghilterra e negli ultimi anni sce un fattore importante sia dal anche in Italia, degli healing garpunto di vista curativo che riabilitativo. Questo con- dens. I giardini curativi sottintendono due aspetti che cetto è riassunto nei paesi anglosassoni con il ter- potremmo definire uno “attivo” e l’altro “passivo”: mine di healing gardens, dove healing deriva da to nel primo caso si fa riferimento all’occupational theheal, letteralmente riportare a salute, ridare benes- rapy e consiste nel coltivare le piante e i fiori a fini sere all’individuo in senso olistico. Gli healing gar- riabilitativi, nel secondo alla semplice contempladens sono dunque dei luoghi presso le strutture di zione e fruizione dello spazio verde passeggiandovi cura che possono aiutare a migliorare le condizioni e sostandovi. La funzione terapeutica degli healing di vita dei pazienti, del personale e dei parenti. gardens si esplica attraverso l’attivazione di due difLa più “storica” delle ricerche in tale senso è quella di ferenti meccanismi: uno d’interazione e un altro di Roger Ulrich, della A & M University del Texas. Ulrich reazione. L’atmosfera distensiva creata dalle piante esaminò nel 1984 un reparto che ospitava pazienti accresce nel primo caso la disponibilità dei pazienti operati di calcoli renali e verificò che i malati che a comunicare tra loro e con gli altri e influisce nel potevano scorgere dal loro letto gli alberi registra- secondo assai positivamente sul loro inconscio. vano minori complicazioni, meno dolori e tempi di Se da un lato, dunque, la terapia ortoculturale è guarigione più rapidi di coloro ai quali era preclusa complementare a quella tradizionale, i giardini terala visione sulla “natura”. peutici, per l’influenza naturale esercitata dalla preL’abbinamento tra architettura del verde e strutture senza di piante, fiori, colori e altro contribuiscono, di cura non è nuovo: si pensi ai tradizionali ospedali come dimostrato da molte ricerche, a ridurre i livelli a padiglioni del primo Novecento, immersi in viali di stress, a predisporre positivamente nei confronti alberati. Fin dall’antichità, inoltre, fu riconosciuta della risoluzione dei problemi, del ristabilimento la funzione terapeutica e rigeneratrice dei giardini. fisico e della cooperazione, a rafforzare il desiderio Purtroppo questa risorsa si è persa con il diffondersi, di salute, a potenziare la relazione persone-piante. I nella seconda metà del XX secolo, di ospedali e case gruppi di pazienti che ne possono beneficiare comdi cura a struttura monoblocco e pluripiano. Questa prendono malati di Alzheimer, persone fisicamente tipologia se da un lato ha contribuito ad aumen- e cognitivamente limitate, alcolisti in guarigione, tare l’efficienza funzionale, dall’altro ha sacrificato malati mentali.

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Il giardino dei semplici presso palazzo Eccheli - Baisi a Brentonico (TN)

Clare Cooper Marcus dell’Università di Berkeley, progettista di molti healing gardens afferma: “Ogni giardino va fatto su misura della struttura edilizia, tenendo conto dei diversi utilizzi”. Occorre, dunque, prestare una certa attenzione nella progettazione di tali strutture analizzando correttamente le esigenze dei fruitori e dando risposte congrue in termini di percorsi, arredi ed essenze utilizzate. Ad esempio, per quanto riguarda i malati di Alzheimer, si è rivelata importante la scelta dei colori dell’arredo (il giallo è consigliato per i corrimano e le sedute) mentre sono da evitare brusche variazioni di luminanza lungo i percorsi. Uno dei principali elementi che deve caratterizzare i giardini terapeutici è l’accessibilità. La facilità di accesso non riguarda solo i pazienti, ma anche medici e personale paramedico, nonché i visitatori esterni. L’accesso al giardino dall’interno della struttura ospedaliera e di assistenza deve avvenire in totale sicurezza. Importante è anche la segnaletica che svolge un ruolo strategico per indicare dove si trova il giardino e le modalità per raggiungerlo. L’accesso al giardino deve essere incoraggiato fin dalla struttura interna, che dovrebbe offrire sguardi

verso l’esterno tali da incuriosire e, in qualche modo, anticipare l’esperienza effettiva del contatto con la natura. Il percorso deve essere semplice, preferibilmente curvilineo e in piano perché possa essere fruito anche senza l’aiuto di un accompagnatore. I sentieri devono essere ampi, presentare superfici compatte, prive di ostacoli. Le aree di sosta vanno progettate per favorire la meditazione, l’osservazione della natura, ma anche la socializzazione. Ai fini di una sosta occorre studiare con attenzione il movimento del sole durante la giornata ed eventualmente prevedere, oltre all’alberatura, strutture aggiuntive per creare zone d’ombra. Non solo la scelta degli alberi, ma anche quella di arbusti, cespugli e fiori deve essere effettuata con precisi criteri, con attenzione agli effetti sensoriali da essi generati in termini di profumo, colore, gusto, texture e suono. A tale proposito, anche l’acqua che scorre può produrre suoni piacevoli. Uno degli esempi più significativi di giardino terapeutico rivolto all’assistenza e alla riabilitazione di pazienti con gravi problemi mentali è quello realiz-

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Franco Panzini, Progettare la natura: architettura del paesaggio e dei giardini dalle origini all’epoca contemporanea, Bologna, Zanichelli, 2005. Dalle linee di Nazca al parco di Versailles, dai giardini di Kyoto al Central Park di New York e ai quartieri verdeggianti del Novecento, questo volume propone un percorso che attraversa continenti ed epoche per rintracciare i momenti salienti delle tante modalità espressive dell’architettura del paesaggio. In particolare vengono esaminati il disegno dei territori agricoli, nato per esigenze del tutto funzionali ma che ha forgiato nel mondo un’armonia dell’ordine culturale, le forme compositive dei giardini, creati attraverso l’uso e la manipolazione dei materiali naturali e l’introduzione degli spazi verdi nelle città come contributo alla nascita dell’urbanistica moderna.

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zato in Canada nell’ospedale, inaugurato nel 1996, del Whitby Menthal Health Center. Questa struttura, localizzata nei pressi del lago Ontario, è specializzata nell’assistenza, nel trattamento e nella riabilitazione di pazienti con gravi disturbi mentali. L’ospedale è costituito da otto edifici tra loro connessi da corridoi che formano uno dei lati delle corti all’interno delle quali trovano posto i giardini. Essendo spazi esterni ma in stretta connessione con quelli interni, i giardini del Whitby Center si presentano come luoghi di socializzazione e cura controllati, ma al contempo non separati dall’esterno. Questa continuità tra interno ed esterno è rafforzata anche dalle ampie prospettive visuali offerte da grandi finestre poste a una ridotta altezza dal pavimento. La configurazione planimetrica dell’edificio ha reso possibile

la realizzazione di diversi giardini, ognuno con caratteristiche diverse in funzione della patologia curata. L’accessibilità effettiva al giardino dipende dalla gravità della patologia: in alcuni casi i giardini sono completamente chiusi, mentre sono aperti addirittura al pubblico quando sono destinati a pazienti meno gravi. I degenti con patologie lievi hanno la possibilità di spostarsi autonomamente da un padiglione all’altro, utilizzando i corridoi che in alcuni casi sono concepiti come veri e propri percorsi sensoriali che conducono alla scoperta di ambienti diversi. Gli spazi esterni sono attrezzati per lo svolgimento di diverse attività, tra le quali l’ortoterapia. Non resta che augurarsi che simili esempi trovino seguito anche in Italia per una cura medica sempre più attenta alle esigenze della persona.

Il parco dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana (TN) (parco dei Tre Castagni)

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Pierre Grimal, L’arte dei giardini: una breve storia, Roma, Donzelli, 2005 Il libro pubblicato ancora nel 1974 costituisce ancor oggi una chiave d’accesso essenziale a uno dei temi cruciali della nostra storia culturale. Luogo deputato dell’incontro tra natura e artefatto, il giardino è il filtro simbolico attraverso il quale gli uomini hanno sempre cercato di configurare il loro stesso rapporto con la natura. “L’uomo – è stato scritto – nasce in un giardino. Tutte le leggende collocano il luogo d’origine dell’umanità in un recinto protetto, nel grembo materno che custodisce la vita”. Da quella idea originaria si sviluppa tutta una serie di impianti e modelli che sono il portato diretto delle diverse culture civili che le hanno di volta in volta prodotte.

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Dalle passeggiate emozionali alla guerrilla gardening

L’uomo ha incominciato a costrudi un luogo: abbiamo il semplice irsi il paesaggio circostante, reale camminare, il più specifico oriene irreale, attraverso un’azione che tarsi, l’opposto perdersi, l’errare e apparentemente sembra sempliil vagare, l’immergersi, l’inoltrarce, ma che è stata conquistata con si e l’andare avanti. Tutte queste relazionarsi col verde fatica. Ancora adesso si vedono esperienze sensoriali e concrete, negli spazi urbani i “cuccioli d’uomo” alzarsi sulall’inizio, possono diventare menle due gambe e apprendere con tali e astratte se il viaggio diviene sforzo la stazione eretta e il camun’esperienza letteraria o onirica. di Marta Villa minare stesso. Si deve tuttavia In un giardino, qual è qualsiasi non dimenticare che quest’azione parco pubblico in una città, è posautomatica e naturale ha intensifi- “Non sono forse immuni dai peri- sibile vivere e rivivere ciascuna cato negli esseri umani il bisogno coli questi boschi che una corte di queste modalità di percorso: di attraversare lo spazio per repe- piena di insidie? Qui non sentiamo qualsiasi architetto, che risistema rire informazioni utili alla sopravvi- forse la pena di Adamo, il variar del- questo spazio, creando un cuneo venza e ha innescato la capacità di le stagioni; come il dente di ghiac- di verde e di natura seppur addoriconoscere il paesaggio percorso cio e il rude rimbrotto del vento mesticata, all’interno di asfalti, e a volte di modificarlo. Nel corso invernale; poiché quando questo condomini, uffici o ville provate, degli ultimi due secoli l’estetica morde e soffia sul mio corpo fino a utilizza l’elemento vegetale per ha fatto propria questa possibilità farmi raggomitolare dal freddo, io permettere ai diversi fruitori delle comune solo alla specie umana e sorrido e dico: questa non è adula- esperienze personali anche molto ha voluto interpretarla: il cammi- zione, questi sono i consiglieri che lontane fra loro. In un parco urbanare è divenuto quindi una pratica mi convincono di quel che io sono. no, e ultimamente l’antropologia estetica e artistica e il paesaggio Questa nostra vita, esente dalla contemporanea e la sociologia sia naturale sia urbano è diventa- pubblica frequenza, trova lingue stanno portando la propria attento esso stesso un’opera d’arte in negli alberi, libri nei liberi ruscelli, zione scientifica anche all’intercontinuo mutamento e, proprio prediche nelle pietre, e del ben in no di questo luoghi nel tentativo per questo, significativa. Il cammi- ogni cosa” (William Shakespeare, di comprendere i nuovi bisogni nare viene sperimentato all’inizio As you like it). dell’homo urbanus, il cittadino del Novecento come espressione sperimenta dimensioni diverse di dell’anti-arte: Dada nel 1921 organizza a Parigi delle approccio. Se v’inoltrate in qualsiasi spazio verde escursioni in luoghi banali della città che nel 1924 della vostra città e vi mettete in osservazione, notevengono spostate in luoghi naturali sia all’interno rete tantissimi diversi approcci allo spazio: c’è chi della città (i numerosi parchi urbani di Parigi) sia in gioca, chi legge, chi conversa, chi guarda, chi dorme aperta campagna. Quest’azione così automatica vie- o si riposa, chi mangia, chi si dà appuntamenti galanne re-interpretata e diviene un momento surreale, ti, chi si scambia tenerezze, chi passeggia… Ciascuuna sorta di scrittura automatica nello spazio fisico, no sperimenta nella propria quotidianità molteplici capace di rivelare. Negli anni cinquanta l’Interna- possibili modi di relazionarsi con questo particolare zionale Lettrista si fa promotrice della pratica della tipo di ambiente. Sicuramente è lo stato d’animo che deriva, ma si devono attendere i primi anni sessan- permette a ciascuno di noi di ambientarsi in modo ta quando nasce la Land Wolk: gli artisti utilizzano il proprio in un parco: anche il camminare o il passegcamminare per intervenire nella natura. Careri sug- giare divengono delle azioni molteplici e dalle sfugerisce oggi la “transurbanza”, facendo proprie le mature intense. intuizioni di Stalker, e invita ad andare alla ricerca di L’ambiente, essendo costituito prevalentemente da spazi vuoti e per lo più naturali (una specie di costru- alberi, erbe, fiori, acqua, pietre e inserti in legno zione autonoma di corridoi ecologici all’interno del- o metallo che si armonizzano con il resto, diviene le città, facendo propri parchi, aiuole, pezzi di erba quindi esso stesso un libro aperto dove l’animo pubblici, spazi incolti e prima campagna attorno agli dell’uomo, sapendo cogliere le diverse particolariagglomerati urbani) da percorrere come in un labi- tà nell’attraversarlo, si deve modificare compiendo rinto, individuando dei tratturi urbani dove è anco- un’esperienza fisica e morale durante il percorso ra possibile esperire la differenza tra nomadismo e così da uscirne trasformato. Ogni elemento diviene sedentarietà, categorie basilari per comprendere la quindi un sapiente richiamo da interpretare dove il presenza della nostra specie sulla terra. piacere estetico si deve sposare perfettamente con Diverse sono le parole che si possono utilizzare per l’educazione interiore. descrivere la nostra percezione di attraversamento Vorrei ora enunciare alcune possibilità di azione e

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Passeggiare a Wisley Garden a Londra

meditazione, molto semplici, che chiunque può sperimentare nel proprio spazio verde cittadino preferito: camminare nel parco: posso permettermi una passeggiata semplice, quasi esplorativa, oppure una presenza-assenza dove cammino fisicamente, ma la mia testa è altrove, dove esercito per piacere o dove piedi e gambe mi trasportano da un luogo all’altro senza che il mio esserci sia in qualche modo condizionato. Orientarmi nel parco: la mia azione diviene consapevole, mi permetto all’inizio di provare la piacevole sensazione di uno smarrimento quasi appena accennato, cerco con tutti i sensi delle conferme alla mia memoria, trascorro il tempo a decifrare quello che mi contorna. Perdermi nel parco: l’esperienza si fa più intensa, il senso di perdita della propria stabilità mi permette di addentrarmi con un duplice scopo, il perdermi ulteriormente o il ritrovarmi; l’ambiente diviene il mio nemico, contro il quale lottare per soccombere alla sua immensità o vincere tramite furbizia e scaltrezza. Nell’avventura del perdermi investo tutti i recettori del corpo, la sensazione di piacere mescolata all’ansia adrenalinica non consolidano sapere, il parco

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urbano al termine della divagazione non è completamente esperito, il ricordo è fuggevole, impresso rimane il sapore di un’emozione forte e totale. Errare e vagare nel parco: voglio provare la sensazione unica dello spostarmi senza direzione, anche di sbagliare percorso alla ricerca di un senso, di sviarmi, di perdere la strada, di non averne una certa; sono attento, tuttavia, nell’erranza mi capita di ripercorrere come in un labirinto paesaggi già visti, di riprovare sensazioni già note ma che mi appaiono diverse. Potrei continuare a girare in tondo e non accorgermi di spazio e tempo che ciclicamente ritornano uguali. Vago, mi sposto irregolarmente e senza meta precisa da un luogo a un altro assorto e fantasticante, ricerco una dimensione reale e al contempo sperimento l’assenza consapevole: sogno attorniato da un verde confuso, mi perdo e mi ritrovo, riconosco luoghi, mi attardo a riflettere, prediligo luoghi acquatici e ombrosi, percepisco la mia presenza sospesa. Immergermi nel parco: provo l’esperienza più coinvolgente e la ricerco con intensità. Come suggerisce lo scrittore Robert Walser, divengo parte del giardino, ogni elemento si trasfonde in me, il mio essere, completamente integrato nell’ambiente naturale,


scompare. I miei sensi si dilatano e divengono così profondi da percepire i dettagli dentro e fuori del mio corpo, così da provare l’esperienza unica, che solo nel parco è possibile, di me microcosmo nel macrocosmo. Trovo tutto il mondo in un giardino e godo sensibilmente della sensazione di universalità. Passeggio lentamente per assaporare a ogni passo questa immersione, anche a occhi chiusi. Inoltrarmi nel parco: lo spazio fisico è ben definito, ma per me nuovo ed estraneo, i miei sensi divengono felini, mi avvicino, osservo, riconosco e associo, cerco di realizzare una mappa mentale e geometrica dell’esperienza esplorativa, il luogo confuso a poco a poco si delinea chiaramente, mi muovo lentamente per non sbagliare, ripercorro luoghi già visti con passo sicuro, dietro di me il vissuto è chiaro e distinto, davanti a me percepisco l’indefinitezza momentanea, una nebbiolina sospesa che si dipana col mio procedere. Al termine del percorso, mi sono orientato. Qualsiasi parco urbano (e mi permetto di pensare ai diversi presenti sia nella città di Trento sia nelle diverse cittadine della provincia) permette percorsi dove poter sperimentare ciascuna delle azioni sopra descritte, presenta inizi e mete diversificate e risponde alle domande di ciascun essere umano che si accinga ad attraversarlo; per parafrasare Calvino, nel parco urbano della mia città, “non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà alla tua domanda”. Il consiglio può essere, dunque, quello di riscoprire la propria natura a portata di mano, in modo eclettico, cogliendo particolari ogni volta nuovi, costruendo, come suggerisce Borges, il percorso personale scegliendolo tra le infinite possibilità che solo il giardino può donare. “Il bosco è una metafora del testo narrativo. Un bosco è un giardino dai sentieri che si biforcano. Anche quando in un bosco non ci sono sentieri tracciati, ciascuno può tracciare il proprio percorso decidendo di procedere a destra o a sinistra di un certo albero e così via, facendo una scelta a ogni albero che incontra” (Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi. Milano: Bompiani, 1994: 7). Proprio questa nuova attenzione e questa sempre più crescente necessità di spazio verde che liberi dal soffocante grigiore delle urbanizzazioni ha visto il sorgere in diverse città sia italiane, sia europee e americane di gruppi di persone che praticano la cosiddetta guerrilla gardening. Idea nata qualche anno fa proprio a Milano (2006), ha preso poi piede in diversi luoghi del globo, in particolare in quegli spazi dove si era dimenticato da tempo lo spazio a misura d’uomo. Guerrilla Gardening è un gruppo di appassionati del verde, come viene scritto nella home page del loro sito internet, che ha deciso

di interagire positivamente con lo spazio urbano attraverso piccoli atti dimostrativi, quelli che vengono chiamati “attacchi” verdi. Guerrilla Gardening si oppone attivamente al degrado urbano agendo contro l’incuria delle aree verdi. L’attività principale del gruppo è quella di rimodellare e abbellire, con piante e fiori, le aiuole, le zone dimesse o dimenticate della città, i parchi urbani non curati. Il loro motto è “trasformare il cemento in fiori” al fine di riappropriarsi di spazi e di ridisegnare l’ambiente urbano in modo pacifico ed estetico. Per iniziare a colonizzare di verde una zona degradata i guerrilleri preparano una o più flower-bomb o bombe di semi: terriccio, fertilizzante e semi di fiori vengono avvolte in carta da giornale e poi lanciate in aree degradate per far rispuntare la vegetazione. Vi sono luoghi, invece, dove è l’amministrazione comunale stessa che decide di intraprendere delle azioni concrete per modificare il paesaggio urbano attraverso interventi verdi: il caso più eclatante è sicuramente oltreoceano, a New York, dove è stato inaugurato quello che National Geographic, nel suo reportage di aprile 2011, ha definito “il miracolo sopra Manhattan”. Concludo citando l’esempio della Grande Mela che ha trasformato la High Line, una ferrovia sopraelevata dimessa e profondamente degradata, in un parco urbano pensile. L’idea è stata proposta dallo scrittore freelance David e dall’artista Hammond che, dopo aver camminato sulla superficie abbandonata della ferrovia completamente immersa nel verde spontaneo cresciuto col passare del tempo e che a poco a poco stava inghiottendo tutta la struttura, hanno proposto la nuova destinazione d’uso all’intera città attraverso l’associazione Friends of the High Line. Grazie agli architetti James Corner e Dille Scofidio + Renfro, la struttura è stata trasformata in uno “dei più innovativi ed invitanti spazi pubblici di New York, e forse dell’intero paese. Sui pilastri d’acciaio scuro che una volta reggevano quei binari abbandonati sorge oggi un parco urbano: un po’ passeggiata, un po’ piazza, un po’ giardino botanico. Passeggiare sulla High Line è un’esperienza unica a New York. Si sta sospesi a circa otto metri di altezza, nel pieno della vita di strada e allo stesso tempo distanti da essa. “Ci ho passeggiato decine di volte, e la sua posizione privilegiata, diversa da quella di ogni altra strada, marciapiede o parco, non smette di sorprendermi e di incantarmi” (Paul Goldberger, “Miracolo sopra Manhattan”. National Geographic, 2011, vol. 27, n. 4: 96). Così scrive l’autore del reportage e allo stesso modo vogliamo consigliare ai lettori di farsi stupire ed emozionare ogni qualvolta ci s’inoltra nel parco urbano sotto casa.

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I giardini botanici del Trentino

officinali e ornamentali proveL’origine degli orti botanici è annienti dal giardino del castello cora oggi incerta. Ai giardini istidel Buonconsiglio. Più tardi non tuiti ufficialmente e per i quali si mancano riferimenti a coltivadispongono di dati certi, si andi Alessio Bertolli, zione di piante a scopo di ricerca tepongono i giardini della storia scientifico-sistematica: è questo Filippo Prosser, Fabrizio Zara antica, spesso descritti come il caso del grande botanico trengiardini dei templi (Saveria Datino Francesco Facchini (1788niela Quattrone, L’orto botanico di Catania. Firenze: University Gli autori desiderano ringraziare 1852) che coltivava nel proprio Press, 2007), destinati soprat- per la collaborazione offerta Florio orto a San Giovanni di Fassa tutto a sostenere le attività pro- Badocchi, Alessandro Cavagna, piante raccolte in natura per poduttive. L’idea di un orto botanico Alberto Chiocchetti, Goffredo Filibeck, terle meglio studiare. per lo studio delle piante è attri- Fabrizio Fronza, Tullio Manzinello, Gli orti botanici sono così divenbuita ad Aristotele (384-322 a.C.) Marco Merli, Maurizio Salvadori, tati uno strumento fondamentale e la sua prima realizzazione a Lucio Sottovia, Marco Stefanini, per la nascente scienza botanica e per la sua diffusione, che ha Teofrasto (371-286 a.C.). Anche Paolo Zorer, Manuel Zorzi iniziato ad ampliare le proprie nell’epoca romana si hanno noindagini oltre agli aspetti esclutizie di orti per la coltivazione sivamente medico-farmaceutici. di erbe medicamentose: si sa, Nella loro evoluzione, infatti, quead esempio, che Plinio (23-79 d.C.) visitò l’orto del medico e botanico Antonio Fi- ste strutture botaniche per la collezione di piante loromeo Castore. Lo stretto legame che da sempre vive svolgono oggi, oltre al tradizionale compito di unisce l’uomo ed il regno vegetale ha dato forte im- insegnamento accademico e di ricerca scientifica pulso, anche nella successiva epoca medievale, allo (studi tassonomici, floristici ecc.), un’importante funsviluppo di questi luoghi di coltivazione, concentran- zione di educazione ambientale, di promozione della dosi nella direzione di soddisfare le esigenze d’am- cultura scientifica, di sperimentazione biotecnolobito medico. Proprio a partire dall’Alto Medioevo, gica, come indicato nell’Action Plan for Botanic Garnascono in Europa i primi orti dei semplici all’interno dens in the European Union (BGCI Botanic Gardens Conservation International. Richmond, 2000). Una dei conventi, delle certose e dei monasteri. Nel periodo immediatamente successivo si diffon- funzione che sta caratterizzando molti orti botanici dono i primi veri orti botanici italiani, tra i quali vanno dalla seconda metà del XX secolo, è quella legata senz’altro menzionati Pisa (prima fondazione 1544), alla conservazione ex situ di specie minacciate, sotto Firenze e Padova che risalgono al 1545, Pavia (1558), forma sia di piante vive che di semi, con la nascita Bologna (1568), Ferrara (1577?) (Fabio Garbari e Lucia delle prime banche del germoplasma (seed-bank). Tongiorgi Tomasi, “Le origini del giardino dei sem- Anche se in qualche definizione si distinguono gli plici: dall’orto botanico dell’arsenale all’”orto novo” orti botanici, riconosciuti come istituzioni scientifidi via Santa Maria”. In: Giardino dei semplici. Pisa: che, dai giardini botanici, che nascono più per scopi Pacini, 1991). Queste strutture ospitarono dapprima estetici, turistici e divulgativi, in questo contributo si le specie spontanee locali o quelle maggiormente trattano in sinonimia. È comunque da sottolineare conosciute dai testi medici classici e, in un secondo il fatto che oggi in Trentino nella maggior parte di momento, anche specie esotiche introdotte da aree queste strutture le finalità divulgative predominano lontane in seguito all’azione di colonizzazione svolta su quelle scientifiche e di conservazione. Nell’elenco soprattutto da inglesi, spagnoli, portoghesi, olandesi presentato qui di seguito non sono inoltre considerati che conducevano ricerche sulle nuove piante di in- i percorsi naturalistici in senso lato (come ad esempio quello del Rio teresse antropico. Caino, del BufAnche in Trentino faure, del Ciamsono documentati pac, del Trodo orti per la coltivadei Fiori al Col zione di piante de la Boia nel Tea scopo per lo sino ecc.) e non più medico. Ad sono ricordate le esempio Andrea strutture utilizzate Mattioli (1501come Campo Ca1578) cita nelle talogo dai vari enti sue opere piante La villa arciducale ad Arco (TN)

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di ricerca in campo agronomico (come ad esempio quelle gestite dall’Istituito agrario di San Michele all’Adige per le varietà di melo e vite, o quelle presenti presso l’Istituto sperimentale per l’assestamento forestale e per l’apicoltura per le specie medicinali). L’attenzione è invece puntata sulle principali strutture visitabili dal pubblico, incentrate sugli aspetti botanici dove sono coltivate varie specie di piante spontanee o esotiche. Nella gran parte dei casi trattati sono stati ricreati artificialmente ambienti naturali e ogni singola entità è segnalata con un cartellino in cui sono riportati i principali dati identificativi, quali ad esempio il nome scientifico e l’area geografica di crescita. Queste strutture non sono di semplice gestione: abbisognano, infatti, di una supervisione scientifica periodica e di una manutenzione ordinaria costante, presupposti necessari per conservare nel tempo le finalità scientifico-didattiche-educative di queste aree verdi. In generale il rischio che si avverte per la gran parte degli orti botanici, non solo trentini, è soprattutto legato all’abbandono. È emblematico, ad esempio, il caso di Malga Boiara Bassa (Cles), dove è previsto un orto botanico, ma il progetto è fermo da tempo a causa degli irrisolti problemi gestionali. A livello provinciale la struttura più famosa e storica è senza dubbio il Giardino botanico alpino delle Viote, che rappresenta uno dei giardini botanici più grandi delle Alpi. È stato fondato negli anni trenta del secolo scorso per promuovere la conoscenza e la salvaguardia della flora spontanea alpina. Gestito dal Museo delle Scienze di Trento, oggi ospita, all’interno di circa un ettaro di superficie, un migliaio di specie di piante, provenienti dai principali gruppi montuosi della terra. È sostanzialmente l’unico giardino botanico trentino che redige regolarmente l’index seminum, ovvero la lista dei semi disponibili per scambi con altre analoghe istituzioni. L’unico esempio regionale di orto realizzato in stile rinascimentale è costituito dall’Orto dei semplici di Palazzo Baisi a Brentonico in cui le piante sono suddivise in vari settori su base ecologica e/o di utilizzo antropico. Si possono quindi osservare, ad esempio, specie tipiche delle zone umide o dei prati aridi oppure piante alimentari, officinali e aromatiche. Nei circa 4.000 mq di superficie sono coltivate oltre 500 specie di piante in gran parte autoctone. Inaugurato nel 2005 è gestito attualmente dal Comune di Brentonico, dal Museo civico di Rovereto e dal Servizio conservazione della natura e valorizzazione ambientale della Provincia autonoma di Trento. Altra struttura co-gestita attualmente dal museo roveretano è il Giardino botanico alpino di Passo Coe (Folgaria) che presenta una superficie di circa 3 ettari Fondato una quarantina di anni fa grazie al satino e

micologo Alfredo Gelmi con il fine di promuovere lo studio e divulgare la conoscenza della flora folgaretana, è oggi oggetto di un importante intervento di recupero e valorizzazione. A breve sarà di nuovo possibile osservare le specie spontanee suddivise secondo criteri differenti che vanno dagli aspetti ecologici a quelli tassonomici a quelli di uso dell’uomo. Altra struttura ideata e realizzata con il contributo sostanziale della Società alpinisti tridentini è il Giardino botanico del Rio Sass (Fondo) cui la sezione SAT di Fondo ha collaborato fin dal 1971 al fine di avvicinare i visitatori al mondo della natura e alle tematiche protezionistiche. In una quarantina di aiole sono coltivate alcune centinaia di specie diverse, la gran parte autoctone. Anche se il lavoro di pianificazione dell’area è completato, è prevista la ristrutturazione di alcuni settori a causa di problemi manutentivi e di ambientazione soprattutto nei punti con roccia affiorante in esposizione meridionale, dove manca terreno e le aiuole sono spesso in sofferenza idrica. Basato su una concezione per vari aspetti innovativa, grazie all’elevata variabilità della vegetazione presente in loco è l’Area natura di Stenico nei pressi del Rio Bianco, gestita dal Parco naturale AdamelloBrenta. Si tratta di un territorio di circa 2 ha dove, oltre a vari aspetti di botanica generale, si possono approfondire alcune tematiche floristiche e vegetazionali. Il percorso di visita si snoda tra ambienti molto diversificati tra loro, come ad esempio le rupi calcaree, i pendii assolati, i valloni freschi, i prati pingui, il bosco termofilo e la faggeta. Gestito dal Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino è invece il Giardino di villa Welsperg (Tonadico), che fu edificata nel 1853 come residenza di caccia della nobile famiglia dei conti Welsperg. Il giardino trova quindi la sua genesi proprio in quel periodo e come in ogni esempio ottocentesco sono coltivate piante estranee all’ambiente in cui si trovano. Questa tradizione è stata perseguita anche successivamente in occasione dei lavori di realizzazione del Centro visitatori del Parco. Il giardino, nella forma attuale, è stato realizzato nel 1996 ed è organizzato per ambienti e per temi: si trovano, quindi, ad esempio, lo stagno, il felciario, il giardino officinale e il roseto. Una struttura di recentissima realizzazione si può osservare a monte di Ossana, dove, vicino ad un piccolo orto con essenze officinali e aromatiche, sono coltivate alcune specie legnose. Il prossimo anno sarà invece possibile visitare il Giardino botanico di Plò (Locca, Comune di Ledro), che si estende su una superficie di circa 2.000 mq. Il Servizio foreste e fauna (Ufficio forestale distrettuale di Rovereto e Riva del Garda) sta, infatti, curando un progetto di valorizzazione di quest’area, destinata fino a poco

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tempo fa a vivaio forestale. percorso didattico e da una Un’analoga trasformazione collezione di alberi cartelpotrebbe essere effettuata linati. All’interno dell’arboa Mattarello dove è prereto si possono osservare, sente un vivaio provinciale tra l’altro, il bosco di abete dedicato interamente alle rosso, il bosco igrofilo a piante acquatiche e di paprevalenza di ontano bianco lude (una novantina di spee nero, la palude, il rio Solcie), unico caso in Trentino. cena e il laghetto con piante Di natura diversa, visto acquatiche e di sponda. che sono coltivate sopratSul Dosso di San Rocco tutto specie legnose, e di (Trento) vi è un’area verde più semplice gestione rigestita dal Servizio foreste spetto ai giardini botanici in e fauna. Si tratta del cosidsenso stretto, sono invece detto “Bosco della città”, Orto della tenuta San Leonardo a Borghetto sull’Adige (TN) gli arboreti e i parchi. Il più che era nato inizialmente famoso è senza dubbio l’Arboreto di Arco, gestito come parco botanico per gli alberi. dal Comune di Arco in collaborazione con il Servi- Vi sono alcune decine di specie arboree esotiche e zio conservazione della natura e valorizzazione am- un piccolo angolo di vegetazione mediterranea; il bientale della Provincia autonoma di Trento e con il tutto immerso in un sistema di stradine pedonali, Museo delle Scienze di Trento. Si tratta di un lembo sentieri e prati che si alternano al bosco spontaneo dell’antico parco che l’Arciduca Alberto d’Asburgo della zona. aveva creato attorno alla sua villa a fine Ottocento. Più o meno della stessa natura sono il Parco delle Grazie al clima dell’Alto Garda sono coltivate su un’a- Terme di Comano, esteso per oltre 14 ettari e il Parco rea di circa 1 ha poco meno di 200 specie esotiche delle Terme di Levico, dove annualmente il Servizio di alberi e arbusti provenienti da zone calde, come, conservazione della natura e valorizzazione ambienad esempio, molte conifere nordamericane, essenze tale della Provincia autonoma di Trento organizza del sud est asiatico e piante mediterranee. “Ortinparco”, una manifestazione che ha tra i vari inIn località Campagnola, nei comuni di Pieve e Cinte tenti anche quello di riprodurre la memoria di tradiTesino, è stato realizzato a partire dal 2002 l’Arboreto zioni colturali e culturali. del Tesino, grazie ai comuni interessati, al Servizio Da citare infine il recentissimo e ambizioso Giardino conservazione della natura e valorizzazione ambien- della Rosa a Ronzone, in cui sono coltivate oltre 400 tale della Provincia autonoma di Trento e all’Univer- varietà di rose provenienti da tutto il mondo e l’Arbosità della Tuscia (Viterbo). Si tratta di un’area di 14 reto del Tovalac a Predazzo impreziosito da sculture ettari di superficie caratterizzata dalla presenza di un in legno.

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Jorn de Précy, E il giardino creò l’uomo: un manifesto ribelle e sentimentale, Firenze, Ponte alle Grazie, 2012 Il giardino: ultimo rifugio della spiritualità e della poesia; ultima frontiera al di qua della barbarie e dell’alienazione; ultima utopia – ma un’utopia pratica, tangibile. Questi i temi che Jorn de Précy, giardiniere-filosofo attivo a cavallo fra Otto e Novecento di cui poco si sa, ma che è da sempre oggetto di venerazione da parte degli appassionati, ha riunito nel suo E il giardino creò l’uomo. Questo scritto vibrante è soprattutto il manifesto di un’idea del giardino che l’autore riuscì a realizzare nella sua tenuta di Greystone, nell’Oxfordshire; un’idea straordinariamente attuale e ancora, nella sostanza come nella forma, rivoluzionaria, quella del giardino selvatico. Nel fare il giardino, l’uomo – sostiene de Précy – deve restare in ascolto della natura, del genius loci, non forzare ma assecondare le forze che vi operano, mettendosi al loro servizio e riallacciando così il legame con il mondo naturale; il quale lo ripagherà regalandogli il piacere più compiuto e nello stesso tempo inesauribile, lo spettacolo della vita e delle stagioni. Trattato di storia dei giardini, memoir e nello stesso tempo appassionato pamphlet politico, E il giardino creò l’uomo è anche il ritratto di un uomo originale e, a suo modo, enigmatico.

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I giardini di piazza Dante a Trento

La storia di piazza Dante a Trento cipio a destinare a giardino pube dei suoi giardini ha inizio con blico il grande spazio tra la zona l’arrivo della ferrovia, che sconurbana e la stazione, fornendo volse urbanisticamente la città. Il così un ingresso decoroso a chi le funzioni pubbliche corso del fiume Adige fu, infatti, arrivava a Trento per ferrovia. di uno spazio verde rettificato e canalizzato in podeLa costruzione di un giardino rosi argini proprio per consentire pubblico seguiva peraltro una di Luca Caracristi il passaggio della moderna via tendenza già affermata all’epoe Tommaso Baldo di comunicazione lungo il fonca in altre città europee. L’amdovalle. Anche a Trento, dove il pliamento delle città consentito fiume lambiva l’aanche dall’abbattibitato disegnando mento delle mura una grande ansa, medioevali permise il corso fu deviato. d’inglobare nel loro Questo incisivo camtessuto l’ambienbiamento accostò te naturale esterno direttamente la città trasformandolo in alla località denoverde pubblico: eleminata Centa. Era mento indispensabiin quest’area, nella le per il risanamento quale fu realizzata, e l’abbellimento dei nel 1854, la staziocentri ottocenteschi. ne ferroviaria che la Il giardino cittadino municipalità pensadella seconda metà va di estendere la dell’Ottocento era città: “Il molo – scriuno spazio collettivo ve l’ingegnere cividestinato allo svago, co Paolo Leonardi in alla ricreazione e taluna lettera del 28 novembre 1863 che accompagna- volta alla costruzione ed esposizione della memoria va il suo progetto – fra il vecchio alveo dell’Adige pubblica. Qui, infatti, traendo spunto dai giardini dalla Tor Vanga, e la Tor Verde e fra la stazione delle classici ornati da statue ed erme, trovavano spesso Ferrovie si presenta evidentemente destinato ad un sistemazione elementi decorativi, che richiamavano futuro ampliamento della nostra Città, ed a costituir- la storia e la cultura sia locali che nazionali. ne del tempo avvenire la più bella sua parte”. Il parco pubblico davanti alla stazione ferroviaria di Il progetto approvato dal consiglio comunale nel Trento fu progettato dagli architetti Carlo De Pretis 1870 fu, però, quello dell’ingegner Lodovico Weiss, e Saverio Tamanini, seguendo i dettami del giardino che non si discostava di molto da quello di Leonardi. ottocentesco, caratterizzato dall’uso della linea curva Nell’area di Centa si sarebbero costruiti alcuni viali nella sua sistemazione interna e separato con una per favorire il collegamento del centro urbano con la cancellata dalle strade che lo aggiravano. stazione, davanti alla quale sarebbe dovuta sorgere “Questa proposta – spiegano i due progettisti nella una grande piazza denominata appunto “piazza della relazione accompagnatoria al progetto consegnata stazione”. Tutta la zona circostante sarebbe servita in municipio l’8 febbraio 1878 – […], abbraccia la all’ampliamento della città, mentre lì dove scorreva definitiva sistemazione della strada di accesso alla in precedenza l’Adige si sarebbe aperto un piccolo Stazione, e la riduzione a giardino dell’area esistente canale circondato da aiuole e giardinetti. fra il lato meridionale dell’attuale piazza della StazioContrariamente alle attese municipali, la zona di ne e quel tratto di via Vanga, che sta fra Piazza RomaCenta non suscitò, tuttavia, alcun interesse fra i na e il Vicolo Borzati. […]. Sono indicati nel piano i privati e il progetto di espansione edilizia naufragò contorni che dovrebbe seguire la sbarra o cancellaanche a causa dei problemi di bonifica che presen- ta, che riteniamo indispensabile per separarlo dalle tava. I pochi edifici realizzati furono l’Hotel Trento, strade ordinarie che lo circondano. Siccome poi una nel 1874-1875, e la casa Caneppele nel 1877. Questi certa divisione si otterrà anche col tenere il suolo del edifici si affacciavano sulla piazza della stazione che giardino più basso da quello delle strade, così per fu decorata con un piccolo giardino di forma ellittica la sbarra potrà bastare il tipo più semplice ed ecoprogettato nel dicembre 1875. nomico, e di vera cancellata occorrerà solo qualche La mancanza di acquirenti convinse, dunque, il muni- tratto in vicinanza agli ingressi. Questi poi sono col-

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locati uno sull’angolo presso Piazza Romana, e un altro a metà circa del lato meridionale della Piazza della stazione, dove si propone di destinare un certo spazio compreso nel giardino per la costruzione di un casino da affittare a uso di Caffè e di Birreria. Per una terza apertura il giardino comunicherebbe colla nuova via da aprirsi fra la stazione e il vicolo Borzati. Il canale potrà acconciamente prestarsi alla decorazione del giardino”. L’Archivio storico del Comune di Trento custodisce anche il progetto dell’ingegnere idraulico Annibale Apollonio, considerato erroneamente il progettista del giardino, che introdusse, per quanto di sua competenza, alcune modifiche riguardo al piano idraulico. Per tale ragione Saverio Tamanini manifestò con una lettera dai toni risentiti la propria opposizione ad alcuni dei possibili cambiamenti poiché in contraddizione con la sua idea di giardino. Tamanini, dopo aver esaminato le correzioni apportate al progetto, dichiarò di non essere d’accordo “in quasi nessuna delle modificazioni proposte”, nonostante alcuni interventi fossero stati concordati in precedenza, poiché “io non poteva oppormi per viste estetiche alle esigenze del Signor ingegnere idraulico”. I lavori del nuovo parco si discostarono dal progetto originario soprattutto sulla forma e le dimensioni dei laghetti: “Ho più volte ripetuto al Signor Ingegnere Idraulico che si dovrebbe in fine d’opera dare un contorno un po’ più artistico a quei laghetti oppure attendere che le piene dell’Adige formassero naturalmente un tale contorno”. Insomma, Saverio Tamanini accusava Apollonio di aver “svisa[to] il concetto del giardino” e pregava, pertanto, il municipio di sollevarlo da ogni responsabilità visto “che io non ci tengo minimamente a far prevalere le mie opinioni”. Il Municipio risolse la contesa affidando “all’esclusiva ingerenza” di Saverio Tamanini “l’esecuzione del giardino in Centa e la conseguente diretta sorveglianza sui relativi lavori”, in modo che la “direzione dei lavori [fosse] disimpegnata da chi curò il progetto e lo sviluppò né più minuti particolari”. L’ingegnere idraulico Apollonio fu, invece, dispensato dall’incarico con la motivazione di essere “occupatissimo in [altri] lavori di molto rilievo e d’urgenza”. Questo nuovo spazio urbano fu a sua volta trasformato, quindici anni dopo la sua destinazione a parco pubblico, in palcoscenico per la rappresentazione delle aspirazioni autonomiste e “nazionali” trentine: con l’inaugurazione del monumento a Dante nel 1896 la piazza diviene luogo privilegiato dall’élite cittadina per celebrare i propri valori identitari. La sua stessa denominazione cambia da piazza della stazione in piazza Dante e attorno al monumento, tra il 1900 e il 1914, furono distribuiti cinque busti di personaggi trentini e italiani particolarmente legati a un certo

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ideale nazionale. La costruzione di quest’apparato simbolico rispondeva a diversi obiettivi. Innanzitutto si voleva esprimere, attraverso riferimenti di tipo culturale, l’identità nazionale dei sudditi austroungarici di lingua italiana sfruttando quegli spazi di libertà garantiti dalla Costituzione austriaca. Il monumento a Dante, i busti e le ritualità a essi connessi svolgevano una duplice funzione: da un lato creavano simbologie e momenti aggregativi funzionali all’espressione di rivendicazioni nazionali all’interno della costruzione statuale della duplice monarchia; dall’altro lasciavano intravedere la velata speranza di un “di più”, di un’uscita da quella costruzione statuale. Il legame tra la funzione simbolico-rappresentativa di piazza Dante e il dibattito pubblico circa i destini dell’impero austroungarico è testimoniato indirettamente anche dal pari e crescente disinteresse che si registrò dopo l’annessione del Trentino all’Italia. I simboli e i momenti aggregativi creati in piazza Dante dalla Trento “irredentista” erano il frutto dei rapporti di forza e del dibattito politico interno all’Impero; la sua dissoluzione annullò anche gran parte del loro significato contingente. Si voleva inoltre sancire simbolicamente la differenza tra Tirolo di lingua tedesca, e Trentino di lingua italiana. Il monumento e i busti dovevano servire a stabilire un netto distacco tra il “noi” e i “loro” in una terra di confine dove la quotidianità rendeva spesso evanescente tale distanza. Altro intento della scenografia montata in piazza Dante era di affermare il ruolo di Trento come città capoluogo. Parlare di Trentino significava anche indicare Trento come centro cui le valli circostanti dovevano fare riferimento. I simboli d’italianità traducevano dunque anche una volontà di leadership della città nei confronti delle valli. In tal senso è sufficiente costatare come le principali donazioni per la costruzione del monumento a Dante provenissero proprio dalla città di Trento e come la statua stessa fosse stata collocata proprio in quello spazio del centro cittadino in cui i collegamenti ferroviari con le valli, allora in progettazione, si raccordavano con la tratta ferroviaria del Brennero. Anche l’erezione in piazza Dante di busti di “grandi trentini” originari delle valli al fine di “illustrare l’idea nazionale nelle varie epoche”, fu, di fatto, un modo per sottolineare la volontà di considerare Trento come capoluogo di quella parte di Tirolo che in virtù della sua lingua italiana diveniva Trentino. Vi era poi un ulteriore messaggio rivolto agli abitanti del Regno d’Italia: l’appartenenza dei trentini alla nazione italiana. L’immagine della statua di Dante fu utilizzata quale simbolo territoriale caratterizzante e, in quanto tale, riprodotto su cartoline, guide e riviste turistiche ad uso dei turisti italiani.


Alcuni giardini storici in Trentino

bientazioni particolari, piccole Il giardino Bortolotti detto grotte, balconate naturali, finei Ciucioi di Lavis stre nella roccia, tutto decorato Il giardino Bortolotti di Lavis, da pilastrini, merli e cuspidi di conosciuto come “i Ciucioi”, varie dimensioni. Nel giardino vi fu realizzato attorno alla metà erano raccolte numerose piante dell’Ottocento da Tomaso Borschede a cura di rare, palme, magnolie, aranci, tolotti di Lavis, personaggio dai Fabrizio Fronza limoni, erbe aromatiche, alcuni tratti assai curiosi, che ne curò la e Patrizia Marchesoni nespoli del Giappone e dei ciprogettazione e la realizzazione, pressi a coronamento della terinvestendo nell’impresa ingenti razza del castello” (Luigi Sette, “Il somme di denaro e risorse fisiche. Nel 1927 Luigi Sette scrive che il “Giardino giardino Bortolotti detto dei Ciucioi in Lavis”. Studi Bortolotti detto i Ciucioi […] presenta una fantastica Trentini, 1927). scena di mura merlate, di balconi pensili, di serre, Con la morte di Tomaso Bortolotti, avvenuta nel di terrazze. Il giardino è infatti dislocato su diverse 1872, il giardino inizia la sua lenta fase di declino. terrazze collegate da scale e passaggi scavati nella In assenza di eredi la proprietà di Bortolotti viene liroccia, che costituiscono un importante apparato quidata, ed è ripetutamente rivenduta a diversi proscenico. Il finto castelletto, il frontone con le nicchie prietari. Costoro non sono in grado o non vogliono dietro il quale sembra esserci un edificio che in realtà occuparsi della manutenzione dei manufatti, fino alla non esiste, sono tutti frammenti di una scenografia recente acquisizione da parte del Comune di Lavis ambientata nel paesaggio utilizzando gli elementi che in sinergia con la Provincia inizia un lungo prostessi della natura, insenature della roccia, balze cesso di restauro, tuttora in corso (ff). naturali alle quali sono aggiunti elementi architettonici. Nell’impostazione originale il giardino è diretta- Parco delle Terme di Levico mente raggiungibile dalla casa padronale affacciata Un grande parco di disegno informale, creato alla fine del XIX secolo dal sulla centralissima via giardiniere paesaggista IV novembre; le scale si Georg Ziehl (note bioraccordano ad una picgrafiche in: Atlante del cola costruzione posta su giardino italiano: 1750di uno sperone di roccia 1940. A cura di Vincenzo dal quale si accede a tre Cazzato. Roma: Istituto grandi terrazze collegate poligrafico e Zecca dello da una serie di percorsi Stato, 2009: 315-316). Il che portano nella parte parco fu realizzato per più alta ad un ampio poriniziativa dell’imprenditicato posto a sudovest. tore Julius Adrian PollacTutta la struttura è caratseck come complemento terizzata da una varietà di del Grande Hotel e dopo interpretazioni scenograla scoperta delle doti tefiche di grande efficacia; rapeutiche dell’acqua arad ovest è stato costruito senico-ferrugginosa che un castelletto con delle sgorga dalle montagne torri in pietra a vista, ad proprio sopra il paese. est su un alta balza è stato Con la nuova ferrovia, il realizzato un frontone parco e le terme Levico scolpito nella roccia con entrano a pieno titolo nel delle nicchie ed un rocircuito europeo delle sone centrale all’interno stazioni termali, assieme del quale si dice dovesse alla vicina Roncegno e ad essere posto un oroloaltre località nella zona gio; i camminamenti, in del lago di Garda, come alcuni tratti attraversaArco e Riva, apprezzate vano la roccia in galleria stazioni di cura climatie danno accesso ad una che. sequenza di scorci e amParco delle Terme a Levico (TN)

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L’arboreto del Parco arciducale ad Arco (TN)

dure tematiche di Rose, Cornus, Viburnum, Peonie e Spiree. Disponibile una guida specifica presso gli uffici del parco, a Levico terme (Guida al parco di Levico Terme. A cura di Fabrizio Fronza. Trento: Provincia autonoma di Trento-Giunta provinciale, 2009). Ingresso principale dal portale monumentale di Via Rovigo, Levico Terme. Info: www.naturambiente. provincia.tn.it/parco_levico (ff).

Georg Ziehl, rispettando i canoni del gusto della moda ottocentesca, cura il progetto e la realizzazione di un grande parco termale, un Kurpark, dotato di una rete di passeggiate per il diletto degli ospiti/pazienti e di un’area dove si può praticare l’elioterapia (terapia del sole da praticarsi nudi su lettini disposti nella zona est del parco). I primi turisti dell’epoca moderna possono così arrivare direttamente dalle città più remote del Nord Europa alla stazione ferroviaria di Levico, e con un breve trasbordo in carrozza o a piedi, attraverso un viale di alberi (all’epoca probabilmente tigli), raggiungere il Grand Imperial Hotel delle Terme passando per il maestoso portale in pietra calcarea e ferro battuto. Il disegno del parco s’ispira a un modello informale, vagamente all’inglese, con ampi spazi aperti alternati a gruppi di piante ed alberi singoli monumentali e un reticolo di vialetti per il passeggio che si snodano liberamente nell’area, originariamente molto più fitti rispetto alla situazione attuale. Il progettista e giardiniere-capo Georg Ziehl fa piantare specie arboreee esotiche in quel periodo alla moda, come la sequoia gigante della California Sequoiadendron giganteum, oggi trasformata in un monumento moderno dopo la morte per cause naturali del 2007. Sono piantate anche magnolie (Magnolia sempervirens) e conifere, in particolare cedri, alcuni esemplari della rara Picea orientalis, l’abete del Caucaso, sequoie giganti della specie Sequoiadendron giganteum, esemplari di Abies cephalonica e il maestoso e raro esemplare di pino californiano Pinus sabiniana, il grande pino che domina la principale vista prospettica del parco, sulla vista del Grand Imperial Hotel, faggi. L’imponente faggio rosso – Fagus sylvatica purpurea – vive nel parco da 113 anni. Nel dopoguerra continua l’operazione di impianto di nuove specie arboree. In occasione del recente restauro sono stati piantati circa 8.000 bulbi per la fioritura primaverile, oltre a una serie di bor-

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Parco delle Terme di Roncegno Creato nella seconda metà dell’Ottocento, in un momento in cui si sta diffondendo in tutta Europa la cultura del termalismo moderno, il parco è frutto principalmente dell’iniziativa dei fratelli dottori Gerolamo e Francesco Waiz di Borgo, Valsugana, imprenditori, proprietari e conduttori dello stabilimento termale cui il parco è annesso. Grazie al lavoro di questi intraprendenti imprenditori dal 1878 in poi le Terme e parco di Roncegno sono portati a un livello di rinomanza internazionale, meta di turismo elitario e cosmopolita. Il parco, con una superficie di circa 4,5 ettari, risulta attualmente privato dell’area a monte, corrispondente alle aree di due villini, Villa Waiz e Villa Baito. Conserva comunque una sua integrità in quanto si è mantenuto il corpo centrale. Di disegno informale, è caratterizzato secondo il gusto dell’Ottocento da un’alternanza di spazi aperti originariamente destinati all’elioterapia, e aree chiuse, con vegetazione fitta, collegate da viali e percorsi per il passeggio. Alla fine del secolo XIX il parco ha una zona sud con aspetto perlopiù naturale e con molte alberature di alto fusto e una zona nord con aiuole di rose, bordure di piante annuali e siepi topiate. Il giardino delle rose, ora trasformato in piscina comunale, sorge alla fine del viale alberato che parte dal grand hotel. Attualmente il parco è gestito in amministrazione diretta dalla Provincia autonoma di Trento che opera con personale proprio coadiuvato da una cooperativa di lavoro con personale ex-disoccupato, inseriti con contratto a tempo indeterminato nel programma di lavoro del Servizio conservazione della natura e valorizzazione ambientale. Negli ultimi mesi è stato recentemente completato un intervento di recupero che ha interessato l’assetto del verde, la viabilità interna e le pavimentazioni, l’illuminazione. Ingresso principale dal lato del Municipio di Roncegno (ff). Giardino Garbari ex Zelgher – Trento Piccolo parco d’impostazione romantica, con alberature di pregio e rare, recentemente restaurato con criteri di semplicità che rispettano la storia del luogo e al contempo ne garantiscono una fruizione sicura e agevole. Sono presenti originali bacheche informative. A Trento, ingresso da via Enrico Conci (ff).


Parco ex Ospedale Psichiatrico di Pergine “Tre Castagni” Si tratta di una vasta area verde già appartenente al demanio dell’ex Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana che si trova all’interno e nelle adiacenze della struttura. Si estende su un’area complessiva di più di 20 ettari, in fase di riqualificazione, già ampiamente recuperata a uso pubblico con una vasta collezione di ortensie, alcuni terrazzamenti di peonia arboree, roseto e collezioni tematiche di Viburni e Cornus. Di prossima realizzazione un labirinto a forma di cervello, a memoria delle origini del parco psichiatrico (Alla ricerca delle Menti perdute. A cura di Casimira Grandi e Rodolfo Taiani, Trento: Museo storico in Trento, 2002) (ff). La tenuta di San Leonardo La tenuta di San Leonardo, posta nel comune di Borghetto d’Avio, nel Trentino meridionale, è un luogo dotato di grande fascino. Vi contribuiscono una storia secolare, il paesaggio naturale e coltivato, un luogo vivo e produttivo. Tutti elementi che concor-

Parco delle Terme di Roncegno (TN)

Parco arciducale, arboreto di Arco L’Arboreto di Arco è un lembo dell’antico Parco Arciducale, creato dall’Arciduca Alberto d’Asburgo nei pressi della Villa Arciducale intorno al 1872. Nella prima metà del XX secolo la superficie del Parco Arciducale si ridusse fino all’attuale estensione, che è di circa un ettaro. Nel 1964, grazie all’interessamento di Walter Larcher, professore di botanica all’Università di Innsbruck, l’area rimasta dell’antico parco assunse la connotazione di Arboreto, orto botanico destinato esclusivamente alle specie arboree ed arbustive. Ad Arco, ingresso da via Fossa Grande all’inizio della strada che conduce alla località Laghel. Info: www. comune.arco.tn.it/vivere/Parchi/Arboreto/Arboreto. aspx (ff).

rono a creare un unicum coerente e armonico. La storia di questo luogo risale all’Alto Medioevo: i campi Sarni di San Leonardo sono citati per la prima volta nel testamento del vescovo di Verona Notkerio del 927 che li ricorda come possedimenti in comitatu tridentino. La zona si presentava certamente selvosa e paludosa, ma dovevano esservi anche dei prati e dei vigneti organizzati in un sistema curtense. Lo testimonierebbe, se non altro, il toponimo Masi utilizzato per indicare una località collocata poco a nord di San Leonardo. Nel 1215 il principe vescovo di Trento, Federico Wanga, investe l’ordine religioso dei Crociferi della Chiesa e dell’Ospizio di San Leonardo. Tale investitura fu rinnovata fino al 1656 quando, con la soppressione dell’Ordine stesso, Chiesa e Ospizio di San Leonardo furono eretti a Priorato e posti sotto il diretto controllo del Principe vescovo di Trento. Già alla fine del Seicento, dunque, San Leonardo si configura come un’entità economica in grado di produrre reddito: i canonici che ressero in questi secoli il Priorato affittavano a loro volta i beni alle famiglie del luogo. Alla metà del XVIII secolo l’affitto della tenuta fu trasformato in enfiteusi perpetua fino a quando, alla fine del secolo, la famiglia de Gresti, un ramo discendente dai Castelbarco, non riuscì a riscattare dal principe vescovo Pietro Vigilio Thun l’enfiteusi, diventando proprietaria a tutti gli effetti. La tenuta appartiene ora alla famiglia dei marchesi Guerrieri Gonzaga che ha ereditato la proprietà per discendenza femminile. Ultimo rappresentante dei de Gresti di San Leonardo fu, infatti, Gemma, personaggio molto conosciuto anche per la sua azione in favore dei soldati trentini prigionieri in Russia durante la prima guerra mondiale (ne parla Luisa Pachera nel volume La marchesa Gemma Guerrieri Gonzaga nata de Gresti di San Leonardo”, Rovereto, Giardino i Ciucioi a Lavis (TN)

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Parco della residenza Guerrieri-Gonzaga, tenuta San Leonardo, a Borghetto (TN)

Osiride, 2008). La storia di San Leonardo, documentata in un prezioso e ricco archivio familiare, s’intreccia con i grandi eventi storici che hanno attraversato la storia trentina: questa terra ha visto più volte il passaggio e l’acquartieramento di eserciti, in particolare negli ultimi anni del Settecento e i primi dell’Ottocento quando in Trentino le occupazioni francesi si alternano a quelle austriache: i beni furono spesso distrutti e i terreni devastati. Anche durante la prima guerra mondiale la tenuta fu sede del Comando del XXIX Corpo d’Armata italiano con un ospedale da campo. Nel secondo conflitto mondiale ospitò prima il Comando superiore tedesco sul fronte italiano e poi fu occupato nel maggio del 1945 dagli Alleati. Oggi il complesso della tenuta è composto principalmente di due nuclei edificiali immersi in un’estensione di 300 ettari di bosco, vigneti, giardini di grande pregio. La parte più antica è un nucleo abitato che si è sviluppato sul luogo dell’antica corte medioevale. Qui si trova l’antica chiesetta di San Leonardo, rinnovata nel tempo, ma che conserva ancora un affresco del santo risalente al XIII secolo; poco più in là una scala di legno porta a un grande spazio espositivo di oggetti della cultura contadina della Vallagarina, raccolti pazientemente, conservati e restaurati negli anni dal marchese Carlo. Qui la storia della tenuta è illustrata attraverso documenti storici della famiglia de Gresti e Guerrieri

Gonzaga lungo l’arco di più di tre secoli. Su un lato esterno della corte troviamo un grande orto-giardino, realizzato recentemente su progetto dell’architetto Paolo Pejrone. Alcuni anni fa i marchesi hanno realizzato una grande cantina sotterranea e una volta ultimati i lavori l’antico orto è stato ripristinato e circondato da un muro che lo protegge dal vento e dagli animali selvatici. Qui, alle rose e a tanti fiori annuali, si alternano ortaggi ed erbe aromatiche in grandi aiuole delimitate da bordure di fragole di bosco. Lungo un viale alberato si arriva alla villa realizzata alla fine dell’Ottocento. Progettata dall’ingegnere Saverio Tamanini (il progettista dei giardini di piazza Dante a Trento), è un edificio dallo stile un po’ severo, con alcune note liberty, arricchito da una torre e dalla facciata ricoperta d’edera. Il parco giardino attorno alla grande casa ha un disegno ordinato e romantico con il prato delimitato da rosai bianchi; confina con una grande estensione di bosco che copre la montagna con querce e carpini oltre che castani secolari. Sullo sfondo e tutto intorno si vedono a perdita d’occhio i filari ordinati delle vigne (25 ettari) di cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot dalle cui uve viene prodotto un vino di altissima qualità, il San Leonardo. La tenuta può essere visitata su appuntamento (per informazioni <http://www.sanleonardo.it>) (pm).

Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Marie Luise Gothein, Storia dell’arte dei giardini, ed. italiana a cura di Massimo de Vico Fallani e Mario Bencivenni, 2 tomi, Firenze, Olschki, 2006 Pubblicato la prima volta nel 1914 (del 1926 la seconda e definitiva edizione) “Geschichte der Gartenkunst” può essere considerato una pietra miliare nell’ambito della storiografia sui giardini. Dopo la serie ottocentesca di trattati, di carattere tecnico e di saggi limitati a temi specifici geografici o stilistici, la monumentale opera di Marie Luise Gothein (1863-1931) è stata la prima a porre il problema di una discussione globale sull’arte dei giardini di tutti i tempi. Il suo intento è quello di affrancare questa materia dalla dimensione pittoresca e connetterla a quella scientifica: leggere l’Arte dei giardini in chiave filologica sotto il profilo di uno sviluppo storico. Un risultato pienamente conseguito con i due volumi che illustrano, in sedici capitoli, un excursus di ampio respiro dai giardini nell’antichità alle principali correnti dello sviluppo dei giardini all’inizio del XX secolo. Un classico, quindi, la cui attualità è confermata anche dalle numerose riedizioni tedesche e dalla edizione anglo-americana, ma che non è mai stato tradotto in Italia. L’edizione italiana colma questa lacuna e riproduce il testo della seconda e definitiva edizione tedesca del 1925, arricchito da un saggio introduttivo di Massimo De Vico Fallani dedicato alla personalità e all’opera di Gothein, da un aggiornamento sui giardini italiani nel Novecento di Mario Bencivenni e da apparati bibliografici e di indici dei nomi e dei luoghi.

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Monumenti verdi

restaurare e conservare i giardini storici

Glossario

di Fabrizio Fronza Innanzitutto cos’è un giardino storico? Due documenti di riferimento ci aiutano a definire questo concetto: la “Carta italiana dei giardini storici”, redatta a Firenze nel 1981 dal comitato italiano ICOMOS (International Council on Monuments and Sites, un’organizzazione non governativa di professionisti che si dedicano alla conservazione dei siti e monumenti storici) e da Italia Nostra e la “Carta per la salvaguardia dei giardini storici”, redatta a Firenze nel 1982 dal Comitato internazionale dei giardini e dei siti storici ICOMOS-IFLA (International Federation of Lanscape Architects). Due documenti di riferimento per gli addetti ai lavori secondo cui “il giardino storico (giardini di case, di palazzi, di ville, parchi, orti botanici, aree archeologiche, spazi verdi dei centri storici urbani ecc.) è un insieme polimaterico, progettato dall’uomo, realizzato in parte determinante con materiale vivente, che insiste su (e modifica) un territorio antropico, un contesto naturale” (“Carta italiana dei giardini storici”). E ancora il giardino storico è “una composizione architettonica e vegetale che dal punto di vista storico o artistico presenta un interesse pubblico. Come tale è considerato come un monumento. […]. Il giardino storico è una composizione di architettura il cui materiale è principalmente vegetale, dunque vivente e come tale deteriorabile e rinnovabile. Il suo aspetto risulta così da un perpetuo equilibrio, nell’andamento ciclico delle stagioni, fra lo sviluppo e il deperimento della natura e la volontà d’arte e d’artificio che tende a conservarne perennemente lo stato” (“Carta per la salvaguardia dei giardini storici”). Le definizioni contenute nelle due Carte di Firenze ci forniscono inoltre le linee guida con le azioni da attuare per la tutela, il restauro e l’ordinaria manutenzione e gestione: “La salvaguardia dei giardini storici esige che essi siano identificati ed inventariati. Essa impone interventi differenziati quali la manutenzione, la conservazione, il restauro. Si può eventualmente raccomandare il ripristino. L’autenticità di un giardino storico concerne sia il disegno e il volume delle sue parti che la sua decorazione o la scelta degli elementi vegetali o minerali che lo costituiscono. […] La salvaguardia dei giardini storici esige che essi siano identificati ed inventariati”. La fortuna di ogni giardino storico, pubblico o privato, è direttamente proporzionale alla sensibilità e alle risorse, non sempre solo economiche, del mix di committenza e professionalità del gruppo di progettazione e degli incaricati all’esecuzione dei lavori. La storia dei giardini è piena di esempi di incontri fortunati fra committenza facoltosa e illuminata e grandi progettisti. Affrontare il restauro implica umiltà e pazienza. Si deve innanzitutto conoscere e capire la storia del giardino attraverso l’acquisizione di documentazione, mappe, foto, cartoline, quadri,

Allée Elemento caratterizzante del giardino formale alla francese: era, al contempo, un asse visivo e ampio viale alberato per la passeggiata. Arboreto Collezione a scopo ornamentale o scientifico di alberi e arbusti. Ars topiaria Forma di allevamento di strutture vegetali e siepi in forma obbligata, ottenuta mediante potatura e sagomatura. Bordura Aiuola allungata per la coltivazione di fiori o piccoli arbusti. Belvedere Luogo elevato, consistente in loggiati, balconi ecc. Boschetto Impianto di alberi, spesso anche in forma regolare, tipico dei giardini alla francese, che può nascondere al suo interno elementi di arredo. Bosco Zona alberata che nei giardini formali si contrappone alla parte regolare, geometrica. Bouligrin Francesizzazione del termine inglese Bowling green, che significa “prato per il gioco delle bocce”. Canale Elemento d’acqua lineare a forma regolare. Catena d’acqua Canale disposto in discesa, con piccoli bacini d’acqua. Coffee house Sin. Kaffeehaus Padiglione del giardino destinato alla degustazione del te o del caffè. Eremo, Ermitage Costruzione collocata in luogo remoto del giardino ad imitazione di rifugi utilizzati dagli eremiti. Folie, Folly Costruzione architettonica del giardino spesso costruita senza particolare scopo se non quello estetico.

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testimonianze, foto aeree attuali e storiche. È necessario catalogare, ovvero identificare in modo preciso quello che c’è in quel momento e in quel luogo, individuando tutti gli elementi sia architettonici sia vegetali. L’obiettivo finale è di comprendere la situazione contingente, ma soprattutto la stratificazione storica del giardino stesso, ricostruendone le principali tappe evolutive o involutive. In ogni progetto di giardino sono inoltre importanti le relazioni visive, assi prospettici e viste interne al giardino stesso e le aperture o chiusure verso il paesaggio esterno, elementi caratterizzanti del giardino. La conoscenza implica, quindi, la capacità di analizzare un giardino storico in rapporto al paesaggio, capire il complesso sistema di relazioni interne al luogo e in rapporto all’intorno. Restaurare un giardino significa comprendere quali viste siano importanti in relazione al paesaggio esterno, alle masse arboree, agli spazi aperti e agli elementi architettonici, quali siano andate perse e quali devono essere chiuse per guidare la vista altrove. Il processo di conoscenza deve, infine, essere interiorizzato in base alla sensibilità del progettista, cui è demandato il difficile compito di individuare lo spirito del giardino, il genius loci, processo che ha molto a che fare con la sensibilità artistica ed è molto più facile da intuire che da spiegare o inquadrare in una qualsiasi categoria. Il giardino storico per definizione è il risultato di una stratificazione che risente dei mutamenti di sensibilità, gusto, mode e anche condizioni economiche. In sostanza ogni giardino storico conserva in sé le tracce del suo vissuto e non ha senso riportarlo a una condizione scelta come originaria. I segni delle epoche e dei gusti del passato devono essere capiti e interpretati da chi si occupa sia del restauro che della manutenzione. I due processi sono strettamente legati e interconnessi. La mancata comprensione di questo concetto può portare a derive con rifacimenti di maniera. Oltre agli aspetti architettonici il progettista deve occuparsi della parte vegetale del giardino, analizzando lo strato arboreo, arbustivo, i prati, le bordure e le aiuole. È buona prassi catalogare gli alberi, numerando ogni esemplare e inserendo i principali dati dendrometrici in una scheda di rilievo che comprende valutazioni su tutte le parti visibili dell’albero, tronco, branche, rami, chioma ecc. Le tecniche di analisi degli alberi consentono di classificarli per grado di pericolosità, per cui a volte è necessario intervenire con potature o, ultima ratio, con l’abbattimento. Lo stesso può accadere quando l’analisi paesaggistica rileva la necessità di riaprire corridoi visivi rimasti ostruiti a causa della mancanza di cure. Chi si occupa di giardini deve porsi il problema di chiarire con la committenza cosa rappresenti il parco allo stato attuale, qual è l’uso che se ne vuole fare e quali sono le risorse per mantenerlo. Deve capire quali sono le finalità d’uso: giardino privato, luogo pubblico o luogo di servizio comune. Solo dopo aver raccolto tutta la documentazione citata, aver consultato archivi e biblioteche, aver letto rilievi e fotografie è possibile identificare gli interventi necessari che si debbono attuare in relazione all’uso corrente e alla sostenibilità.

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Fontana Elemento ornamentale ricorrente nella storia del giardino, che comprende generalmente un bacino e può essere elaborata con numerosi getti, zampilli, e cascate. Gazebo Padiglione in metallo o legno. Giardino segreto Parte del giardino, generalmente protetta, destinata a un uso privato della famiglia. Ghiacciaia Costruzione, generalmente in pietra, che serviva per accumulare neve e ghiaccio per la conservazione degli alimenti e per la produzione di gelati. Giardino all’italiana Tipologia di giardino geometrico che si diffonde particolarmente nel XVI secolo come giardino di villa o di palazzo. Giardino alla francese Giardino geometrico, che allarga la scala del giardino all’italiana a una dimensione paesaggistica con grandi viste prospettiche estese all’infinito. Giardino paesaggistico, giardino all’inglese Modello di giardino che si rifà all’imitazione della natura con laghi, spazi aperti e boschi. In Italia il giardino all’inglese più conosciuto è quello della Reggia di Caserta. Grotta Elemento ricorrente nella storia dei giardini, luogo di frescura e di meraviglia, può essere artificiale o naturale. Ha ha Fossato di separazione fra il giardino prossimo alla villa signorile e il paesaggio circostante, comune nei giardini inglesi dalla seconda metà del Seicento. Idraulici, sistemi e scherzi Automi, strumenti musicali o scherzi d’acqua avviati meccanicamente per sorprendere i visitatori. Labirinto Elemento, che conduce a uno spazio aperto o costruzione centrale. Gli anglosassoni distinguono il termine Labyrinth, che implica un tortuoso percorso con un unico punto di arrivo, da Maze, che comprende diverse alternative, molte delle quali fuorvianti. Limonaia Vedi Orangerie. Neviera Vedi Ghiacciaia.


La progettazione di interventi nel giardino storico impone fasi differenziate che comprendono il restauro, la manutenzione, la conservazione e un’attenta gestione. Il tutto è strettamente interconnesso. Non è pensabile investire grandi somme nel restauro e non disporre di risorse per mantenere e gestire il giardino. Ancora una volta le carte di Firenze si rivelano di grande aiuto: “Anche se il giardino storico è destinato ad essere visto e percorso, è chiaro che il suo accesso deve essere regolamentato in funzione della sua estensione e della sua fragilità in modo da preservare la sua sostanza e il suo messaggio culturale”. Per natura e per vocazione, il giardino storico è un luogo tranquillo che favorisce il contatto, il silenzio e l’ascolto della natura. Questo approccio quotidiano deve essere in opposizione con l’uso eccezionale del giardino storico come luogo di feste. Conviene allora definire le condizioni di visita dei giardini storici cosicché la festa, accolta eccezionalmente, possa esaltare lo spettacolo del giardino e non snaturarlo o degradarlo”. La gestione deve quindi tener conto della specificità e fragilità del luogo. In un giardino storico non si può fare tutto, e, comunque, la manutenzione e la conservazione, “i cui tempi sono imposti dalle stagioni […], devono sempre avere la priorità rispetto alle necessità di utilizzazione […]. La manutenzione dei giardini storici è un’operazione fondamentale e necessariamente continua. Essendo la materia vegetale il materiale principale, l’opera sarà mantenuta nel suo stato solo con alcune sostituzioni puntuali e, a lungo termine, con rinnovamenti ciclici” (“Carta per la salvaguardia dei giardini storici”). Progetti di recupero vanno di pari passo con progetti e interventi di manutenzione. Curare gli alberi significa rispettare la loro fisiologia, evitando capitozzature e altre pratiche dannose che si attuavano in passato. Significa inoltre garantire ai visitatori condizioni di sicurezza, consolidando chiome, eliminando parti morte e a volte abbattendo esemplari divenuti troppo pericolosi. Curare i tappeti erbosi dei giardini storici significa cercare un delicato punto di equilibrio fra il prato rasato e le fioriture. In giardini informali spesso si ricorre a tagli differenziati, che permettono di completare le fioriture di molte specie erbacee naturali, migliorando sia l’aspetto estetico sia quello ecologico dell’ambiente parco. A volte un taglio differenziato può servire a marcare elementi architettonici ormai non più leggibili come vecchi tracciati stradali, piazze ecc. Curare le fioriture stagionali è cosa difficile e onerosa. Implica capacità di spesa e di programmazione, ragione per cui in molti dei giardini “all’italiana” i fiori sono spariti al punto che tutti noi ci siamo assuefatti a vederli in gradazioni di verde scuro, ma un tempo non era così. Gestire un giardino significa, infine, considerarlo come laboratorio di didattica e di educazione ambientale per l’apprendimento della scienza, della tecnica e per allenarsi a capire la bellezza. Attraverso quest’ultima chiave di lettura le nuove generazioni potranno comprendere il valore del giardino e dare un contributo per trasmettere ai posteri l’immenso patrimonio di cui siamo custodi e non possessori.

Ninfeo Luogo sacro alle ninfe, tempio, santuario “museo” e teatro delle acque. Orangerie Costruzione con ampie finestre utilizzata per riparare e coltivare piante di agrumi. Organo ad acqua Strumento musicale che funzionava con la forza dell’aria compressa prodotta dal moto dell’acqua condotta in pressione in apposite camere. Orto Luogo chiuso e sorvegliato, dal greco gortos e latino hortus. Spazio dedicato all’utila, che si differenzia verso il XVI secolo da quello destinato al bello e al piacere (giardino). Orto botanico Luogo dedicato alla coltivazione dei semplici, ossia delle piante medicinali. Pagoda Costruzione di gusto cinese che si afferma nel XVIII secolo con la diffusione del gusto anglo-cinese. Parterre Partimentazione di aiuola, generalmente orizzontale, che contiene spesso fioriture e può essere contornata da elementi vegetali regolari come il bosso potato. Pergola Struttura in legno, metallo, o muratura e legno/metallo, per il supporto dei rampicanti. Peschiera Vasca dedicata all’allevamento dei pesci. Piattabanda (dal francese Plate-bande) Striscia generalmente trattata a prato, ai bordi dei parterres. Ragnaia Impianto di alberi potati e strutturati in modo da poter tendere delle reti e catturare uccelli. Le ragnaie, integrate nei giardini all’italiana, avevano generalmente forma quadrata o rettangolare, mentre i roccoli assumevano forma tonda. Roccolo Vedi ragnaia. Rocailles Tipo di lavorazione che spesso caratterizza grotte e ninfei, costituito da frammenti di pietra, tufi, stalattiti ma anche gusci di conchiglie. Voliera Costruzione in muratura e o metallo, destinata ad accogliere uccelli, generalmente rari e ornamentali.

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Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino

Uno dei modi per diffondere una cultura di rispetto e passione per la natura è far conoscere e valorizzare luoghi che veicolino questi concetti, con azioni semplici, ma incisive e costanti nel tempo. È quello che mette in pratica la Fondazione Benetton studi ricerche di Treviso attraverso il Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino. Si tratta di un riconoscimento intitolato a Carlo Scarpa (19061978), inventore di giardini, assegnato ogni anno a un luogo particolarmente denso di valori di natura, di memoria e di invenzione. Scopo dell’iniziativa è contribuire a elevare e diffondere la cultura di “governo del paesaggio”: è un’occasione per far conoscere il lavoro intellettuale e manuale necessario per governare le modificazioni dei luoghi e per salvaguardare

i patrimoni autentici di natura e di memoria. Il premio, assegnato da una apposita giuria, prevede l’attivazione di azioni per la valorizzazione del luogo segnalato, anche attraverso la comunicazione sociale, il contributo degli amministratori pubblici e delle comunità scientifiche, la qualificazione delle modalità gestionali dei paesaggi e dei giardini. Quest’anno, la XXIII edizione è stata dedicata al Bosco di Sant’Antonio, nelle montagne d’Abruzzo, nei dintorni di Pescocostanzo: un arcipelago vegetale di grandi alberi, per lo più faggi, di un centinaio di ettari, un luogo che aiuta a capire come le forze della natura siano state affrontate nella storia delle civiltà agro-silvo-pastorali, e come conoscenze e tecniche abbiano saputo governarle in alleanza.

I vincitori del premio dal 1990-2012 1990, Sítio Santo Antônio da Bica Barra de Guaratiba, Rio de Janeiro, Brasile, casa e laboratorio paesaggistico di Roberto Burle Marx (1909-1994) 1991, Premio speciale a Rosario Assunto Filosofo italiano (1915-1994), protagonista della battaglia di idee per il paesaggio 1992, Sissinghurst Kent, Regno Unito. Casa e giardino di Vita SackvilleWest 1993, Désert de Retz Île de France, Francia. Giardino creato negli anni 1774-1789 da Monsieur de Monville. 1994, Viale degli Eroi Tirgu Jiu, Oltenia, Romania. Opera di Constantin Brancusi (1876-1957). 1995, La Foresta della Memoria Enskede, Stoccolma, Svezia. Cimitero, opera di Erik Gunnar Asplund (1885-1940) e Sigurd Lewerentz (1885-1975) 1996, La Fresneda Spagna. Luogo di Filippo II (1527-1598) nei dintorni dell’Escorial 1997, Dessau-Wörlitzer Gartenreich Germania. Regno dei giardini di Franz von Anhalt (1751-1817) 1998, Cerca do Mosteiro de Tibães Minho, Portogallo. Monastero benedettino nei dintorni di Braga 1999, Cave di Cusa Sicilia, Italia. Cave di pietra per i templi di Selinunte, v secolo a. C. 2000, L’Agdal Marrakech, Marocco. Orto e frutteto fondato dagli Almohadi nel xii secolo

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2001, Castelvecchio Verona, Italia. Rinnovato come complesso museale per iniziativa di Licisco Magagnato (1921-1987) 2002, I Giardini del Castello di Praga Repubblica Ceca. Rinnovati per iniziativa di Tomáš Garrigue Masaryk (1850-1937) 2003, I sentieri di fronte all’Acropoli Atene, Grecia. Opera di Dimitris Pikionis (1887-1968) 2004, Kongenshus Mindepark Jutland, Danimarca. Memoriale degli agricoltori, opera di Carl Theodor Sørensen (1893-1979) e Hans Georg Skovgaard (1898-1969). 2005, Deir Abu Maqar Wadi en-Natrun, Egitto. Monastero copto di San Macario, fondato nel iv secolo 2006, Val Bavona Canton Ticino, Svizzera. Un luogo e una comunità della montagna 2007, Complesso memoriale di Jasenovac Slavonia, Croazia. Luogo della memoria sulla riva della Sava 2008, Museumplein di Amsterdam Paesi Bassi. Intervento di Sven-Ingvar Andersson (1927-2007) 2009, Cappella di Otaniemi Espoo, Helsinki, Finlandia. Opera (1957) di Kaija (1920-2001) e Heikki Siren
 2010, Dura Europos Siria. Rovine e reperti di un’antica città fortificata sul corso del medio Eufrate 2011, Taneka Beri Villaggio dell’Atakora, Benin 2012, Bosco di Sant’Antonio Abruzzo, Italia. Pascolo alberato, bosco difesa


naio nelle sale di Palazzo Trentini a Trento. Il percorso fotografico ha raccontato, attraverso cinque differenti modalità dell’obiettivo, la città che cambia, la città che fa fatica e fa festa.

delle scienze e visitabile fino al 19 agosto 2012, propone, attraverso suggestioni sonore, visive, olfattive e tattili, un ininterrotto dialogo tra scienza e tradizione, tra passato e presente, un racconto di quanti si sono occupati e continuano a occuparsi della pratica, solo apparentemente magica e misteriosa, della distillazione. Presentazione del testo di Aldo Pantozzi “Sotto gli occhi della morte”

INFO MUSE MUSE O O INFO GENNAIO Conferenza su “La piccola Euro- “DiStilla InStilla”: una mostra sui pa” segreti delle piante Il 12 gennaio alle Gallerie di Piedicastello si è tenuta la conferenza “La piccola Europa: storie, intrecci, testimonianze attorno al censimento austroungarico del 1910”, organizzata dal Forum trentino per la pace e i diritti umani in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino. Hanno partecipato Luisa Chiodi, direttrice dell’Osservatorio Balcani Caucaso di Rovereto, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Kanita Focak, architetto di Sarajevo, Massimo Libardi, responsabile del Sistema culturale Valsugana Orientale, Michele Nardelli, presidente del Forum trentino per la pace e i diritti umani, Anselmo Vilardi, ricercatore della Fondazione Museo storico del Trentino, Christoph von Hartungen, storico. L’incontro è stato moderato da Alessandro de Bertolini, ricercatore della Fondazione Museo storico del Trentino. Trento né ieri né domani: mostra fotografica La mostra fotografica “Trento né ieri né domani” di Adelfo Bayr, promossa dalla Fondazione Museo storico del Trentino e dal Consiglio della Provincia autonoma di Trento è stata inaugurata sabato 14 gen-

Venerdì 20 gennaio il Museo delle scienze di Trento ha ospitato l’inaugurazione della mostra “DiStilla InStilla: l’essenza segreta delle piante”, a cura di Francesco Rigobello e Rodolfo Taiani. Assieme ai curatori sono intervenuti Franco Panizza, assessore alla Cultura, Rapporti europei e Cooperazione della Provincia autonoma di Trento, Marco Andreatta, presidente del Museo delle scienze, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Il testo di Aldo Pantozzi, “Sotto gli Trentino e Michele Lanzinger, occhi della morte: da Bolzano a direttore del Museo delle Scienze. Mauthausen”, disponibile anche in audiolibro, è stato proposto in occasione del Giorno della memoria in tre serate diverse: mercoledì 25 gennaio presso il Municipio di Predazzo; giovedì 26 gennaio presso la Biblioteca di Lavarone; venerdì 27 gennaio presso la biblioteca di Ala. La discussione su questa testimonianza della tragedia dei campi di concentramento è stata tenuta da Rodolfo Taiani e Francesca Rocchetti della Fondazione Museo storico del Trentino. Lino Tommasini ha proposto alcune letture dal vivo. A conclusione di ogni serata è stata proposta la proiezione di L’esposizione, realizzata dalla Fon- una breve testimonianza rilasciata dazione Museo storico del Tren- da Leo Zelikowski, deportato ad tino in collaborazione con il Museo Auschwitz.

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Il Giorno della memoria Il 27 gennaio a Palazzo Geremia, in ricordo del 67° anniversario dell’abbattimento dei cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, Trento ha celebrato il “Giorno della memoria”. Sono intervenuti Alessandro Andreatta, sindaco di Trento e Renato Pegoretti, presidente del Consiglio comunale di Trento. Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, ha presentato un intervento dal titolo “L’orfanotrofio fabbrica del sangue di Kursk: la guerra di sterminio nazista sul fronte russo”.

FEBBRAIO

25 febbraio, presso la FondaMARZO zione Opera Campana dei Caduti di Rovereto, il forum “Verso il centenario della Grande Guerra: Benedetto Croce filosofo europeo un’occasione per il Trentino e per l’Europa”. L’incontro ha permesso di coinvolgere le istituzioni, le comunità locali e il mondo associazionistico in una riflessione comune sulle iniziative e le proposte che si intendono attuare in vista di quest’importante ricorrenza. Per la Fondazione Museo storico del Trentino, che fa parte del Comitato operativo di coordinamento, è intervenuto Giuseppe Ferrandi parlando di “Progetti in rete: lavori in corso”.

La storia diventa cartoon

Concerto al buio Sabato 4 febbraio in via della Malvasia a Trento, l’Unione italiana ciechi/IRIFOR ha organizzato, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, un “Concerto al buio”: protagonisti della serata i suoni e le musiche originali di Giordano Angeli, Corrado Bungaro, Carlo La Manna e Luciano Olzer, assieme al Gruppo vocale Feininger (Paolo Longo e Paolo Trettel). Le musiche sono state composte e registrate nel 2011 all’interno della Galleria nera di Piedicastello per esplorare la relazione tra suono e buio.

Il 29 febbraio il Cinema Astra di Trento ha ospitato la proiezione del cortometraggio in animazione tridimensionale “L’ultima teleferica di Santa Giustina”, prodotto dalla Fondazione Museo storico del Trentino e dalla Pixel Cartoon, con la regia di Valerio Oss. La fiction-cartoon è il primo episodio della serie “T.T.I.“ (Time Travel Investigations), che vede protagonisti due adolescenti di oggi che si Verso il centenario della prima trasformano in storici-detective e vanno alla scoperta della storia del guerra mondiale Trentino nel XX secolo. Dopo la proiezione i due giovani protagonisti del cartoon hanno raccontato il loro punto di vista su questo media storico decisamente insolito. Sono intervenuti anche Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Marco Pellitteri, saggiLa Provincia autonoma di Trento sta e sociologo, studioso di nuovi ha promosso venerdì 24 e sabato linguaggi.

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In occasione del sessantesimo anniversario della morte di Benedetto Croce, la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Trento e la Fondazione Museo storico del Trentino, con il patrocinio dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, hanno organizzato un ciclo di conferenze dedicate al celebre filosofo napoletano. Il primo incontro si è tenuto il 9 marzo presso la biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino. L. Basile dell’Università di Bari ha tenuto la conferenza dal titolo “Croce nella ricezione della sinistra italiana dall’antifascismo agli anni sessanta”. Gli altri incontri si sono svolti il 30 marzo (G. Furnari, “Un’etica per la vita civile: Benedetto Croce e la pratica della cultura”), il 2 aprile (G. Cacciatore, “Filosofia pratica e filosofia civile in Benedetto Croce”), il 13 aprile (E. Giammattei, “La lingua laica di Benedetto Croce”), il 20 aprile (D. Colussi, “Croce e la tradizione linguistica nazionale”), il 27 aprile (T. Codignola, “Croce editore”), il 4 maggio (A. Battistini, “Il barocco e la decadenza italiana”), il 10 maggio (A. Musci, “Croce e la scienza negata”).


La storia di don Angelo Confalo- 1.158 opere d’arte alle Gallerie di Una mostra sui rastrellamenti anPiedicastello nieri tipartigiani del 1944 Il 23 marzo l’Assessorato alla cultura del Comune di Campodenno, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, ha proposto la conferenza “La storia di don Angelo Confalonieri: il primo bianco che visse con e per gli aborigeni d’Australia”, condotta da Rolando Pizzini e con accompagnamento musicale di Florio Pozza. L’incontro ha preso spunto dal volume a cura di Rolando Pizzini “Nagoyo: la vita di don Angelo Confalonieri fra gli aborigeni d’Australia: 1846-1848” edito dalla Fondazione Museo storico del Trentino.

Il 31 marzo alle Gallerie di Piedicastello è stata inaugurata la mostra “Á rebours: l’arte dei giovani ripensa la storia”, realizzata tramite il concorso “Biennale Giovani” rivolto agli studenti degli ultimi due anni della formazione artistica in Istituti d’arte e Licei artistici del Triveneto e organizzato dalla rivista AreaArte.

La Fondazione Museo storico del Trentino e l’ANPI, sezione Angelo Bettini di Rovereto-Vallagarina, hanno inaugurato il 4 aprile a Rovereto la mostra “Feuer! I grandi rastrellamenti antipartigiani dell’estate 1944 tra Veneto e Trentino”, curata da Lorenzo Gardumi della Fondazione Museo storico del Trentino. Assieme al curatore è intervenuto Mario Cossali.

APRILE Rassegna cinematografica dedicata al Risorgimento e all’emigrazione

History Lab start! Si è tenuto il 31 marzo al Teatro San Marco di Trento “History Lab start!” un pomeriggio interamente dedicato al nuovo canale di storia della Fondazione Museo storico del Trentino, in onda sul canale 602 del digitale terrestre. Il direttore Giuseppe Ferrandi, l’editrice televisiva Marta Demarchi, l’assessore Franco Panizza, l’attore Andrea Castelli e la giornalista Claudia Gelmi hanno parlato del progetto e dei nuovi format in programmazione: “Il teatro siamo noi”, “Ritagli di storia”, e “Cronache di Comunità”. Nello stesso pomeriggio, a partire dalle ore 15.00, sono stati proiettati i video che hanno partecipato al concorso “History Lab 3x3”; alle 18.00 sono stati consegnati i premi ai 3 filmati maggiormente votati dal pubblico presente in sala.

Ha preso il via il 4 aprile alla Biblioteca comunale di Ala la rassegna cinematografica organizzata nell’ambito del progetto biennale “Trentino Italia Storie Pop”, promosso dalla Fondazione Museo storico del Trentino e sostenuto dalla Fondazione CARITRO. I primi tre cortometraggi proiettati sono stati “I Mille” di Alberto Degli Abbati (45’, 1912), “Il cinema in camicia rossa” (7’, 2007), “Sulle tracce di Garibaldi” di Lorenzo Pevarello (30’, 2008). Il 18 aprile invece sono stati proiettati i documentari “Il richiamo del Klondike” di Paola Rosà e Antonio Senter (58’, 2010) e “Mari monti e… gettoni d’oro” di Sandro Gastinelli (50’, 1999). Il ciclo – che si concluderà il 4 luglio – è stato curato da Daniela Cecchin della Fondazione Museo storico del Trentino.

Una mostra sulla recente guerra in Libia È stata aperta il 7 aprile presso il Comune di Rovereto la mostra fotografica di Fabio Bucciarelli “L’odore della guerra: la guerra vicina, la guerra lontana”: 33 fotografie in bianco e nero che raccontano gli otto mesi che hanno cambiato la storia della Libia, fino all’uccisione di Gheddafi. L’esposizione è stata organizzata dall’A­ tlante delle guerre e dei conflitti del mondo-Associazione geografica 46° Parallelo, dall’Associazione ZonaF, in collaborazione con Comune di Rovereto, Arci del Trentino, Fondazione Museo storico del Trentino, CGIL del Tren-

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tino, Forum trentino per la pace e i diritti umani, con il contributo dell’Associazione artigiani del Trentino. Dopo l’inaugurazione si è tenuta la conferenza dal titolo “La guerra per la terra: l’informazione e i conflitti”, organizzata da ARCI del Trentino. Hanno partecipato Raffaele Crocco, direttore dell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Fabio Bucciarelli, fotografo, Angelo Ferrari, corrispondente AGI in Africa, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, Wanda Chiodi dell’ARCI Trentino. La mostra è stata ospitata anche alle Gallerie di Piedicastello dal 24 aprile al 10 maggio.

Un ipertesto sull’ex manicomio di Pergine

Trentino, la giuria del concorso “History Lab 3x3”, composta da Giuseppe Ferrandi, Daniela Cecchin, Micol Cossali e Alice Manfredi, ha assegnato i premi ai video che meglio hanno sperimentato modalità innovative di divulgazione della storia attraverso lo strumento video.

Si è tenuta il 24 aprile presso lo Spazio archeologico sotterraneo di piazza Cesare Battisti a Trento, l’inaugurazione della mostra “Vuoto di memoria: la riscoperta del quartiere del Sas di Trento”. Il direttore della Fondazione Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi e la curatrice della mostra Elena Tonezzer hanno illustrato questo percorso espositivo, che racconta di un’area del centro storico di Trento, prima che questa venisse cancellata dal Regime fascista per lasciare spazio a una nuova piazza. La mostra sarà visitabile fino al 28 ottobre 2012.

Il primo premio è andato al video “Wunderkammer” di Tommaso Rosi, Filippo Gratton ed Eugenio De Bernardis; il secondo premio è stato assegnato a “Macerie Portela” di Anna Bressanini, Michela Tomasi, Martin Tranquillini e Sofia Silvia Esposito; il gruppo composto da Simone Panza, Alberto Giangiulio, Riccardo Agostini, Claudio Ancona, Daniele Bonvecchio, Edoardo D’Ospina e Antonio Maria Fracchetti ha realizzato il video “Fiori di trincea” che si è aggiudicato il terzo premio riservato ai partecipanti più giovani. Una menzione speciale per la qualità della fotografia è stata assegnata a “Trinceia” di Federico Una lettura collettiva sulla campagna di Russia Scienza e Nicola Lott.

Nell’ambito degli appuntamenti di studio con il Tavolo di lavoro sulla storia e le sorti dell’ex Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana, l’Assessorato alla cultura di Pergine e tutti i componenti del Tavolo hanno organizzato la presentazione del lavoro di Gian Piero Sciocchetti “C’era una volta Pergine: un ipertesto per la storia dell’ex ospedale psichiatrico di Pergine”. La serata è stata introdotta da Casimira Grandi dell’Uni- Incontro con Mario Limentani versità degli studi di Trento. La Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto e la Fondazione Museo storico del Trentino La premiazione dei vincitori del hanno organizzato il 20 aprile un concorso “History Lab 3x3” incontro con Mario Limentani, Il 19 aprile, presso la sede della deportato nei campi di concentraFondazione Museo storico del mento di Dauchau e Mauthausen.

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Una mostra sull’antico quartiere del Sas a Trento

Il 29 aprile le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato una lettura collettiva di brani tratti da alcuni scritti di Vasilij Grossman, Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern ed Egisto Corradi.


NOVITÀ

EDIZIONI

Gianni Faustini, Bruno Kessler, pp. 207, € 17,00 Attenta ricostruzione della vita e dell’esperienza parlamentare e di governo di Bruno Kessler (19241991).

Catalogo della mostra che mette in scena la campagna militare di Russia intrapresa dall’esercito italiano nell’estate del 1941 e conclusasi con la tragica ritirata del gennaio 1943.

Quinto Antonelli, Lorenzo Gardumi e Giorgio Scotoni (a cura di), Ritorno sul Don: la guerra degli italiani in Unione Sovietica 1941-1943 = Back to the Don River: an exhibition on the italian war in the Soviet Union, pp. 127, € 10,00

Claudio Ambrosi e Michael Wedekind (a cura di), Turisti di truppa: vacanze, nazionalismo e potere, pp. 206, € 15, Indagine sul rapporto fra turismo e politica tra Otto e Novecento.

Elena Tonezzer (a cura di), Vuoto di memoria: la riscoperta del quartiere del Sas di Trento, pp. 75, € 12,00 Catalogo della mostra che racconta dell’antico quartiere del Sas prima che fosse demolito dal Regime fascista per far posto a una nuova piazza, l’attuale piazza Cesare Battisti.

P R E S E N TA Z I O N I 26 gennaio 2012, Riva del Garda Il volume di Beatrice Primerano “Ernesta Bittanti e le leggi razziali del 1938” è stato presentato presso la Biblioteca civica di Riva del Garda. Assieme all’Autrice sono intervenuti Diego Quaglioni dell’Università degli studi di Trento e Graziano Riccadonna dell’Associazione “Riccardo Pinter” di Riva del Garda. 17 marzo 2012, Telve Valsugana La Biblioteca comunale di Telve Valsugana ha ospitato la presentazione del volume “Marcello Baldi: cinema, cattolici e cultura in Italia”, curato da Massimo Giraldi e Laura Bove. Assieme allo stesso Giraldi hanno partecipato alla serata Lorenza Trentinaglia, assessore alla cultura del Comune di Telve Valsugana, Patrizia Marchesoni della Fondazione Museo storico del Trentino e Pier Luigi Raffaelli, ricercatore.

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TRENTO ALA BRENTONICO LAVARONE

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IMMAGINI, VISIONI, CULTURE E MEMORIA DALL’UNITÀ A OGGI

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