anno quattordicesimo numero trentotto mag./ago. 2012
L’Apocalisse
PosteItalianeS.p.A.-Spedizioneinabbonamentopostale-D.L.353/2003(conv.inL.27/02/2004n.46) -art.1,comma1,D.C.B.Trento-Periodicoquadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812
Parigi, chiesa Sainte-Chapelle, Resurrezione dei morti (particolare del rosone rappresentante l’Apocalisse), ca. 1200 ALTRESTORIE – Periodico quadrimestrale di informazione Periodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Rodolfo Taiani (segretario) Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Via Torre d’Augusto, 35/41 Hanno collaborato a questo numero: Franco Cardini, Stefano Chemelli, Elena Corradini, Massimo Libardi, Alice Manfredi, Ilaria Pagano, Marco Pellitteri, Franco Rella, Francesca Rocchetti, Marta Villa. 38122 TRENTO Tel. 0461.1747000 Fax 0461.1860127 Progetto grafico e impaginazione: Graficomp – Pergine (TN). Stampa: Publistampa – Pergine (TN) In copertina: Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina, particolare de Il Giudizio universale di Michelaninfo@museostorico.it gelo Buonarroti, realizzato tra il 1536 e il 1541. www.museostorico.it Per ricevere la rivista, o gli arretrati, fino a esaurimento, richiedere alla Fondazione Museo storico del Trentino. I lettori interessati ad acquistare o a informarsi sull’insieme della pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino possono collegarsi all’indirizzo internet http://edizionimuseostorico.it o scrivere all’indirizzo di posta elettronica editoria@museostorico.it
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anno quattordicesimo numero trentotto mag./ago. 2012
L’Apocalisse
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Apocalisse e utopia di Massimo Libardi
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In attesa del presente futuro: interviste a Franco Cardini e Franco Rella a cura di Paola Bertoldi
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Quella fine del mondo che non arriva mai…: culti millenaristici e ansie apocalittiche nelle diverse culture del mondo di Marta Villa
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Immagini di ordinaria catastrofe: corsi e ricorsi, con novità, tra fumetti, cinema, animazione e videogiochi di Marco Pellitteri
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Apocalypse… online di Alice Manfredi
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Oltre la fine: raccontare e scrivere la Shoah nella testimonianza di David Grossman di Stefano Chemelli
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Il digitale che verrà… di Elena Corradini
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Mille e non più mille: date profetiche passate e future
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Infomuseo
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Edizioni FMST
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L’Apocalisse
Il 21 dicembre 2012 è una delle tante date indicate nella storia dell’umanità come momento della fine del mondo. Una delle tante probabilità profetizzate da astrologi, filosofi, matematici e guide spirituali di cui la storia offre un ampio elenco. In tanti, infatti, si sono cimentati nel fissare l’appuntamento con questo evento che fortunatamente, fino ad adesso, non si è mai verificato, costringendo ad aggiornare continuamente l’agenda. Della cosiddetta profezia Maya ne hanno parlato più o meno seriamente giornali, riviste specializzate, programmi televisivi contribuendo sicuramente ad amplificarne la portata oltremisura. Anche il cinema non si è sottratto a ciò arricchendo il genere catastrofista, già di per sé ricco, di una nuova produzione tutta dedicata agli inquietanti scenari della fine del mondo prossimo-futura. Dinnanzi a simili scenari comunicativi sorgono, allora, alcune domande, cui il presente numero di Altrestorie cerca di dare qualche modesta risposta: quali sono le componenti culturali che puntualmente contribuiscono ad alimentare questa paura-attesa nei confronti di una
Dorothea Lange, Migrant Mother, Nipomo, California, marzo 1936
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possibile fine del mondo? Hanno solo fondamenti di tipo religioso? E di quale fine si parla? Alcuni spunti e suggestioni sono stati proposti dal filosofo Franco Rella e dallo storico Franco Cardini, che abbiamo intervistato. Molti elementi sono stati forniti da Massimo Libardi, anch’egli filosofo, che ha tratteggiato un sintetico ma articolato percorso su come si sia originato e sviluppato il concetto di apocalisse e quali trasformazioni abbia conosciuto nel corso dei secoli. Abbiamo così “scoperto” che volenti o nolenti, protagonisti o vittime, coscienti o incoscienti, la storia dell’umanità è già stata costellata di tante apocalissi, di tante fini. La fine come inizio, come rivelazione di una rigenerazione, così come l’etimologia stessa della parola apocalisse suggerisce e che inconsapevolmente ritorna anche nei discorsi odierni relativi alla grave crisi che stiamo attraversando. Un momento di passaggio, talvolta di violenta trasformazione, che porterà alla fine di un mondo e al suo rinnovamento. Che la profezia dei Maya si stia già avverando, ma in modo diverso da quello previsto dall’antica civiltà americana? (rt)
Apocalisse e utopia
L’apocalisse di Giovanni nente il crollo del preseno il Libro della rivelazione te. In un testo cruciale del(la parola greca è compola filosofia del secolo scordi Massimo Libardi sta da apó, “separazione”, so, Le tesi di filosofia della e kalýptein, “nascosto”, e storia (1940), scritto dopo dunque significa svelamenla firma del patto Molotovto, rivelazione) è l’ultimo liRibbentrop, Walter Benjabro del Nuovo Testamento. Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, Cosmè Tura, San Giovanni min oppone a una visione Il titolo è la parola iniziale a Patmos, 1475-1480 del tempo come continudel libro, il cui primo verum omogeneo e vuoto, l’isetto suona: apokalupsis dea di “adesso”, “la piccoiesou kristou, mentre l’aula porta attraverso la quale tore non è l’evangelista, poteva entrare il messia”. ma un personaggio del suo Alla base del testo di Gioentourage. vanni vi è un’idea presente La composizione è fatta risain tutta l’apocalittica, ovvelire tra il 79 e il 96 d. C., duro quella della storia come rante un periodo di feroentità dotata di un’unità e ci persecuzioni verso i cridi un senso, concezione stiani volute dall’imperatolontanissima dalla visione re Domiziano. L’immagine della storia degli antichi, indella grande meretrice lortesa come regno del caso. da di sangue, che si ubriaLo scopo del libro è rivelaca del sangue dei martiri, re la vera trama degli avvesi riferisce alle persecuzionimenti oltre la superficie ni: “[L’angelo] mi trasportò apparente, rendere visibicon lo spirito in un deserle la guerra metafisica tra il to; lì vidi una donna sedere sopra una bestia scar- bene e il male che finirà con il trionfo completo dei latta, che era coperta di titoli blasfemi e aveva sette giusti e l’inizio di un’epoca senza storia. teste e dieci corna. La donna poi, vestita di porpo- Il rotolo scritto su entrambi i lati, sigillato con sette ra e di scarlatto, e guarnita d’oro, di pietre preziose sigilli, è, infatti, una raffigurazione della storia, intesa e di perle, teneva in mano un calice d’oro pieno di come un grande libro “che nessuno né in cielo, né in abominazioni e delle impurità della sua dissolutez- terra, né sotto terra” è in grado di aprire e leggere, za. Sulla fronte portava scritto un titolo, un arcano: perché di per sé la storia è opaca, frammentaria, in‘Babilonia la grande, la madre delle meretrici, e delle decifrabile, dotata di un senso che ci sfugge. Quanabominazioni della terra’. Vidi quella donna ubriaca do l’Agnello scioglie i sigilli e il libro si apre nella sua del sangue dei santi e del sangue dei testimoni di totalità, allora ne comprendiamo il disegno: la lotta Gesù, e a vederla ne ebbi grande stupore”. Babilonia tra il bene e il male e il trionfo della Gerusalemme ceè il simbolo dell’Impero romano, e tutti i movimen- leste. Ma l’apertura dei sigilli rivela anche il terrore e ti che dall’Apocalisse trarranno la loro linfa vivran- le sofferenze, che la storia comporta. no di una forte tensione contro il potere e contro le Tuttavia l’Apocalisse non si conclude con il caos, con gerarchie ecclesiastiche compenetrate con il potere la morte, la distruzione, lo sconvolgimento dell’unitemporale. verso, ma con la visione della Gerusalemme celeNel testo si fa riferimento alle persecuzioni, ai martiri ste, la città ideale che scende dal cielo: “Vidi poi un e al tremendo pericolo che corre la Chiesa di essere nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la completamente distrutta. Il libro – e questo è un ele- terra di prima erano scomparsi”. È la nuova terra, mento centrale della sua ricezione – rimanda a una la fine della storia e delle sofferenze, l’epoca della situazione di crisi, di pericolo incombente. Il pericolo salvezza, della libertà e della felicità, che le tragiche rende i tempi maturi: “Perché il tempo è vicino” si utopie novecentesche hanno chiamato comunismo dice nel prologo. L’espressione attraversa tutta l’ope- o Reich millenario. Questo legame tra pensiero utora e torna nell’epilogo insieme all’assicurazione “Ver- pico e millenarismo è stato messo in luce da Karl rò presto”. Questa convinzione animerà tutti i segua- Mannheim, che considera il millenarismo una forma ci dell’apocalisse fino alle grandi imprese politiche estrema della mentalità utopica del Novecento: l’urgenza determinata dall’iniquità L’Apocalisse di Giovanni non è un unicum, ma fa partrionfante a consumare il tempo e a rendere immi- te di un vero e proprio genere letterario, la letteratu-
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Albrecht Dürer, I quattro cavalieri dell’Apocalisse, xilografia, 1498
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Oxford, Bodleian Library, Apocalisse Douce, c. 1270, prodotta per il principe Edward I
ra apocalittica appunto, sviluppatosi in ambito giudaico a partire dal III secolo a. C., e ancora vivo nel II secolo d. C., quando fioriscono le apocalissi gnostiche. La narrazione apocalittica nasce dai profeti del periodo dell’esilio babilonese, soprattutto Ezechiele e il cosiddetto secondo Isaia. Se i profeti si limitavano ad annunciare una catastrofe possibile, che avrebbe potuto essere scongiurata se la comunità avesse abbandonato il peccato, ora si fa strada l’idea di un futuro portatore di liberazione da ogni schiavitù. A quest’idea se ne accompagnò un’altra, che si può definire “l’ideologia messianica”, ovvero la fede in una personalità che intervenisse direttamente nel corso della storia. Il Libro di Daniele, si rifà a questa letteratura, che sarà poi fortemente avversata in ambito rabbinico e sarà sottoposta a occultamento, tanto che i testi ebraici che ci sono stati tramandati vengono da ambienti cristiani. Nel Nuovo Testamento vi è l’apocalisse dei sinottici, la cui fonte è Il Vangelo di Marco, anche se gli esegeti fanno risalire la sua origine a scritti apocalittici giudaici e non alla predicazione di Gesù. Il genere apocalittico è caratterizzato da alcuni elementi costanti. La rivelazione avviene attraverso il sogno o una visione e Dio non parla mai in prima persona, ma dà le sue istruzioni a mezzo degli angeli. Il nucleo della rivelazione è l’imminenza di un’epoca nuova, che deve succedere a un mondo irrimediabilmente travolto dal peccato: vi è nella letteratura apocalittica un profondo dualismo, in cui bene e male si contrappongono in modo radicale. Un aspetto fondamentale è la ricchezza di simboli. Thomas Eliot parlava dei Salmi come di un “giardino di simboli”, ma questo vale ancor di più per l’Apocalisse. In moltissime visioni appaiono esseri fantastici, strane creature; “bestie” nelle quali le proprietà di
uomini, mammiferi, uccelli, rettili o di esseri meramente immaginari sono combinate in modi stupefacenti e spesso grotteschi. Secondo alcuni è proprio il drago dell’Apocalisse, insieme al Leviatano di Giobbe a ispirare il Moby Dick di Melville. La ricchezza simbolica e le difficoltà di lettura hanno reso il testo ricco di fascino. Non si tratta solo di difficoltà di interpretazioni, spesso le immagini sono impossibili da immaginare. Nel 1931 David Lawrence pubblicava un commento dell’Apocalisse in cui affermava irritato: “Se questa visione è frutto di immaginazione, è un’immaginazione che non può essere immaginata; come possono quattro bestie ‘essere piene di occhi davanti e di dietro’, e come possono stare ‘in mezzo al trono e attorno al trono’? Non possono stare contemporaneamente in due luoghi diversi. Ma l’Apocalisse è proprio così”. A dispetto di questi paradossi essa è rimasta uno dei soggetti centrali dell’espressione artistica fino al Rinascimento, influenzando in modo enorme la cultura occidentale. Apocalisse e messianesimo La cultura ebraica è l’unica, ha osservato Hermann Cohen, a porre nel futuro l’idea di un’era di pace e prosperità, mentre “tutti i popoli pongono l’età dell’oro nel passato, nel tempo delle origini”. Quest’epoca coincide con la venuta del Messia e da qui nasce una ricca letteratura e la ricerca di strumenti interpretativi, quando non di vere e proprie azioni, il cui fine era favorire questo evento. Il mondo cristiano da parte sua attendeva la seconda venuta del Cristo, che le prime comunità, muovendosi nel solco tracciato dall’apocalittica giudaica, ritenevano imminente. La seconda venuta di Cristo avrebbe coinciso con l’instaurazione del suo regno sulla terra, la cui durata prevista era di mille anni, durante i quali Satana sarebbe stato incatenato e la sua azione impedita. Al termine del millennio sarebbero ripresi i conflitti sino al definitivo ritorno di Cristo e al giudizio ultimo, da cui il nome di millenarismo attribuito ai movimenti escatologici. Gli storici collocano la nascita del millenarismo intorno al 170-180 d. C., in seno al montanismo, che deve il nome a Montano, sacerdote della dea Cibele convertitosi al cristianesimo. La storia del millenarismo coincide con la storia dei movimenti ereticali. L’atmosfera spirituale si modifica dopo l’alleanza tra Chiesa romana e Impero e la fine delle persecuzioni. In questo clima non poteva non suscitare imbarazzo un libro che dipingeva Roma come la grande prostituta e che annunciava la sua prossima fine. Ciò contribuisce a spiegare la sua tardiva inclusione nel canone, databile tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, donde l’appellativo di deuterocanonico, ossia
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accettato in un secondo momento. Benché l’interesse per l’Apocalisse attraversi tutto l’Alto Medioevo è solo intorno all’anno Mille che si riaccesero le speranze in un imminente ritorno del Cristo, anche se i “terrori dell’anno Mille”, come ha ben messo in luce Georges Duby, furono un’invenzione della storiografia romantica. Si trattava piuttosto di un’attesa ansiosa per i segni della venuta e di crescenti richieste di rigenerazione morale, cui si mescolavano istanze sociali radicali e fanatismo religioso. L’attesa del nuovo, il desiderio di un rivolgimento spirituale e sociale trovano nutrimento nello scrigno di simboli del testo giovanneo, riprodotto in innumerevoli raffigurazioni delle chiese e conosciuto tramite le immagini anche dalle plebi incolte. È qui che si crea il cortocircuito tra politica e religione, tra attesa messianica e azione, dando luogo a quelli che in un libro cruciale per la storia del millenarismo, Norman Cohn ha chiamato “i fanatici dell’apocalisse”. Del potente serbatoio immaginale dell’Apocalisse giovannea si nutriranno anche le rappresentazio-
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ni palingenetiche dei movimenti rivoluzionari della modernità, sul cui tronco si innesteranno le grandi imprese politiche novecentesche di trasformazione radicale del mondo e di creazione dell’uomo nuovo, come il comunismo e il nazismo. Uno degli elementi chiave per capire questo mutamento è l’elemento attivo immesso nel mito apocalittico-millenaristico dal manicheismo: il ritorno di Cristo avverrà solo dopo che gli uomini si saranno liberati da soli dei corrotti. Secondo Max Weber ogni movimento messianico è caratterizzato da alcuni elementi chiave: l’esistenza di una collettività oppressa, la plebs pauperorum, che legge se stessa come la comunità dei “segnati col sigillo” dell’Apocalisse; la presenza di un capo carismatico percepito come il redentore; la credenza che la “fine dei tempi” sia prossima e che, a partire da essa, l’angoscia e il dolore cesseranno di tormentare gli eletti. La figura forse più interessante è quella dell’anabattista Thomas Müntzer (1490-1525), il cui programma contemplava l’immediata instaurazione, manu militari, del Regno di Dio in Terra. Per alcuni mesi Mühlhausen fu la città dove gli anabattisti compirono il loro sacro esperimento di democrazia mistica: l’edificazione della Nuova Gerusalemme. Questi ed altri esperimenti, che per ragioni di spazio non possono essere ricordati, sono alla base del pensiero rivoluzionario moderno. Come scrive Luciano Pellicani possiamo, infatti, leggere il giacobinismo come “la specifica forma politica che il millenarismo assunse a partire dal momento in cui il ‘disincanto del mondo’ incominciò a produrre una pletora di ‘orfani di Dio’ abbandonati dalla fede e tuttavia assetati di assoluto”. È con il movimento giacobino che prende corpo l’idea della politica “come rimodellamento totale della società e dell’uomo alla luce della filosofia, dunque come prassi rivoluzionaria nel senso più profondo della parola. Il mondo intero doveva essere divelto dai suoi cardini e riplasmato ab imis”. Concezione che ha tra le sue componenti il mito giudaico-cristiano del Millennio, con la correlata visione catastrofico-palingenetica della storia e la distinzione manichea fra figli della luce e figli della tenebra, ma soprattutto l’idea della “funzione catartica della violenza e della necessità del Terrore quale strumento di rigenerazione della natura umana”. La stessa idea di un grande disegno della storia e di un regno situato al di là della storia si ripresenta nel pensiero marxista. Pur nella complessità della storia del comunismo vi troviamo all’opera gli stessi elementi della tradizione messianica, anche se qui tutto acquista una parvenza razionale e l’instaurazione del “regno della libertà”, posto oltre la storia, diventa conseguenza di precise e necessarie leggi storicoeconomiche. Come i primi cristiani, anche i sociali-
sti della seconda Internazionale vissero e lottarono scrutando il futuro per scorgervi i segni annuncianti il crollo del capitalismo. L’incipit del Manifesto del partito comunista – “Uno spettro si aggira per l’Europa” – non fa che reinterpretare il mito millenarista: ora la battaglia finale, armageddon, è la rivoluzione; il “lotto dei buoni” e il “lotto dei malvagi” sono diventati i “borghesi e i proletari”; l’anticristo è interpretato dalle “potenze della vecchia Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi”, alleati “in una caccia spietata contro questo spettro”. Se è abbastanza noto il rapporto tra messianesimo politico e movimenti di estrema sinistra – basti pensare a filosofi come György Lukács, Ernst Bloch, Walter Benjamin –, in realtà questo innerva anche i movimenti di estrema destra: del resto il Terzo Reich doveva essere “il Reich Millenario”. A questo proposito Ernst Bloch, in un articolo del 1937, “La vera storia del Terzo Reich”, osserva come i concetti di Terzo Reich e di Führer vengano da quello stesso immaginario apocalittico che ha nutrito i sogni rivoluzionari: “Nella sua forma originale, il Terzo Regno designava infatti il sogno ideale, socialmente rivoluzionario,
dell’eresia cristiana, il sogno del terzo Vangelo e del mondo ad esso corrispondente”. Apocalisse e Grande Guerra Non solo le rivoluzioni e i rivolgimenti sociali del Novecento fanno rivivere l’atmosfera di attesa della palingenesi, anche se il risultato sarà il secolo del terrore. Lo stesso evento cruciale del secolo scorso, la Grande Guerra, “che lacerò il mondo e il pensiero in maniera tale che fino a oggi non hanno potuto essere ricuciti”, è stata vissuta come apocalisse, mantenendo intatto il senso originario del termine. Se, infatti, è stata la catastrofe del “mondo di ieri”, al tempo stesso è stata l’apocalisse della modernità, svelandone il vero volto: solo con la guerra i fermenti che agivano nella società fin de siècle si sono mostrati nella loro inarrestabile potenza. Il dominio della tecnica, il prevalere della propaganda, l’affacciarsi delle masse nell’agire politico, la violenza come strumento politico sono tutti fenomeni caratteristici del Novecento e che la guerra ha portato ad effettività. Il linguaggio degli anni che precedono la guerra è ricco di termini provenienti dal lessico religioso: oltre alla metafora dell’apocalisse, abusato era anche l’uso del termine “redentore”.
Il Reich esoterico. L’Obergruppenführersaal (sala dei generali) nel castello di Wewelsburg con al centro lo Schwarze Sonne (Sole nero) talvolta citato anche come Sonnenrad (ruota del sole).
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Con l’avvento dell’epoca moderna, i cieli, interrogati per secoli, diventano muti. Non si va più alla ricerca dei segni celesti e terrestri che annunciano e accompagnano i momenti cruciali della storia umana. Ma negli anni che precedono la Grande Guerra, alcuni avvenimenti vengono di nuovo letti come l’annuncio di una catastrofe imminente e soprattutto come una messa in discussione della cieca fede nel progresso. Proprio all’inizio dello scorso secolo tre imponenti terremoti rivelarono tutta la fragilità del sogno di potenza dell’uomo: sono quelli di San Francisco che il 14 aprile 1906 rase al suolo la città; di Valparaiso in Cile, nell’agosto dello stesso anno, e quello che il 28 dicembre 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria, provocando quasi centomila morti. Il senso di fragilità e di fine del mondo che accompagnò questi avvenimenti fu fortemente rinforzato dal passaggio, nel maggio 1910, della cometa di Halley, che provocò scene di panico collettivo. Molti lessero in questi avvenimenti la prefigurazione di terrori futuri. Del tutto moderno fu l’affondamento, due anni dopo, del Titanic nel freddo mare del Nord. Con la nave il cui nome ricordava la stirpe mitologica dei Titani che diede l’assalto all’Olimpo, colava a picco la fiducia assoluta nella tecnologia e nei valori che avevano dominato lo spirito della belle époque. La natura riprendeva la sua rivincita e dopo di allora “nulla fu come prima”. Il naufragio provocò nelle coscienze europee uno shock enorme e venne ad assumere un ruolo paradigmatico.
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Se la catastrofe della Grande Guerra ha un profeta, questo va ricercato nel filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che nell’Anticristo (1888), aveva affermato: “Ciò che narro è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà avvenire in modo diverso: l’avvento del nichilismo…Tutta la nostra cultura europea già da lungo tempo si muove con la tortura della tensione che cresce di decennio in decennio, come se andasse verso una catastrofe: inquieta, violenta, precipitosa, come un fiume che vuole arrivare alla fine”. È soprattutto il mondo austriaco a intercettare queste tensioni, trasformate poi nell’abusata formula brochiana della “gaia apocalisse”, che tuttavia resta uno degli ossimori più felici e indicativi del clima culturale viennese; di un impero che muore a tempo di valzer (rimandando alla leggenda del Titanic, la cui orchestra in impeccabile frac nero continuò a suonare fino alla fine); o nella krausiana definizione di Vienna come della “stazione sperimentale della fine del mondo”. Quando scoppiò, la guerra fu percepita da molti come una necessità, la virulenta malattia attraverso cui il mondo deve passare per potersi rigenerare, “il purgatorio della vecchia, della invecchiata e peccatrice Europa”, come la chiama Franz Marc. La violenza è paragonata alle doglie del parto, metafora che compare ossessivamente insieme a quella della malattia e della febbre. Dallo scontro armato ci si aspettava un nuovo ordine sociale esattamente come, nell’Apocalisse di San Giovanni, la nuova Gerusalemme era risorta dalle ceneri del mondo. Ma il nuovo è il naufragio della civiltà europea. I giorni della guerra, nella visione apocalittica di Karl Kraus, sono Gli ultimi giorni dell’umanità. Apocalisse e catastrofe La lettura del testo giovanneo che ha più durevolmente influenzato la cultura occidentale è quella che vede nel messaggio apocalittico l’annuncio di “un nuovo cielo e una nuova terra”. Ma con il venir meno delle ideologie, con la sensazione di essere giunti alla fine della storia, come avventatamente affermato nel 1992 da Francis Fukuyama, l’immaginario occidentale ha privilegiato altre letture della fine. Visioni che erano già presenti, ma che in quel momento andavano assumendo un significato di primo piano. Parlando del presente, James Hillman nel Codice dell’anima sostiene che “il nostro mito fondamentale è apocalittico, come leggiamo nel libro di Giovanni che chiude la Bibbia e i nostri figli vivono oggi in mezzo a immagini della catastrofe e agiscono quelle immagini”. Identificare apocalisse e catastrofe è, infatti, un’operazione tipica della nostra cultura che
comporta una torsione anche del significato di “catastrofe”. In greco katastrophé significa “svolta”, “soluzione”, “rovesciamento”: è qualcosa che spezza la continuità e provoca un brusco cambiamento. Vi è per altro una data precisa in cui il termine passa a significare “disastro”, “distruzione” e “rovina” ed è il 1755, quando un terremoto dalle proporzioni immani, accompagnato da un maremoto, distrusse Lisbona. Tra le prime descrizioni letterarie della fine del mondo troviamo un libro di Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein. Nell’Ultimo uomo (1826) il protagonista afferma di aver scoperto nell’anno 1818, nella grotta della Sibilla vicino a Napoli, una raccolta di scritti profetici di cui è autrice la Sibilla Cumana. Il riferimento è quanto mai cogente, poiché gli Oracoli
demia che ha trasformato gli uomini in vampiri, anche se il finale si chiude nella speranza di una possibile rinascita. Questo romanzo ha inciso fortemente sull’immaginario comune, tanto che ne sono state tratte diverse riduzioni cinematografiche: non solo l’omonimo film del 2007, a sua volta un remake di Occhi bianchi sul pianeta Terra con Charlton Heston (1975); ma anche L’ultimo uomo della Terra del 1964, e ispirandosene liberamente La Notte della Cometa e La notte dei Morti Viventi di George Romero. Una variante della fine è quella di un’umanità abbrutita e ridotta a uno stato ferino. Questa è ad esempio la visione del viaggiatore del tempo immaginato da Herbert Georges Wells ne La macchina del tempo (1895): giunto nell’anno 802.701, trova l’umanità divisa in due differenti razze: gli Eloi, creature fra-
Una scena tratta dal film apocalittico Deep impact
sibillini sono stati, insieme all’Apocalisse di Giovanni, la fonte più importante del pensiero apocalittico e la stessa Sibilla è raffigurata nelle volte della Cappella Sistina. L’espediente della narrazione della fine da parte dell’ultimo sopravvissuto è frequente nella letteratura: lo ritroviamo ad esempio nella Nube purpurea di Matthew Shiel (1901), che narra lo sterminio dell’umanità provocato da una misteriosa nuvola venefica e il ventennale peregrinare di Adam, ultimo abitante della terra, tra le vuote città. Despota e tiranno di un mondo deserto, disperato nella sua totale solitudine, dopo qualche tempo, inizierà a bruciare e distruggere l’opera dell’uomo. Anche Robert Neville, protagonista di Io sono leggenda, romanzo di Richard Matheson del 1954, è un sopravissuto: l’unico non contagiato da un’epi-
gili, infantili, gentili e pacifiche che, conducono una vita di divertimento, di distrazione e di scarsa attività intellettuale e i Morlocchi, esseri mostruosi e ripugnanti che vivono nelle viscere della terra, che escono la notte per cibarsi delle carni degli Eloi, da loro accuditi e allevati come bestie da macello. Più oltre nel futuro il viaggiatore raggiunge un’epoca dove l’umanità si è estinta e restano solo enormi crostacei e lepidotteri, mentre un ulteriore salto nel tempo lo porta in un pianeta ormai vecchio, abitato da una misteriosa forma animale simile a un pallone da football con dei tentacoli neri. In un racconto poco conosciuto di Jack London, La peste scarlatta (1912), intorno a un fuoco, James Howard Smith, un tempo professore di letteratura inglese, ora solo “il vecchio”, racconta a dei ragazzi appartenenti a un’u-
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I Cavalieri dell’Apocalisse (1887) rappresentati da Victor Vasnetsov
manità ritornata all’era della pietra, come nel 2013 una pestilenza abbia cancellato diecimila anni di cultura e civiltà. Questi temi diverranno poi un vero e proprio sottogenere della fantascienza. Il luogo dove l’apocalisse come catastrofe prende vita è soprattutto il cinema, che nel Novecento è stato il veicolo fondamentale di suggestioni e immagini apocalittiche, dai Quattro cavalieri dell’Apocalisse al Settimo sigillo di Ingmar Bergman (1957). In alcuni film ad essere debitrice dell’immaginario apocalittico non è la narrazione, ma la presenza di alcuni elementi simbolici, come gli elicotteri, versione tecnologica delle locuste in Apocalypse Now di Coppola. L’apocalisse, esplicitamente richiamata solo dal titolo, che perentoriamente la fissa “adesso” (now), trova un controcanto nel testo della canzone dei Doors: “questa è la fine/la fine dei nostri elaborati progetti/la fine di tutto ciò che esiste/non c’è salvezza né sorpresa”. Rientra in questo profilo anche L’angelo sterminatore di Buñuel con un diretto riferimento ad Apocalisse 9, 11: “Il loro re era l’angelo dell’abisso, che in ebraico, si chiama Perdizione, in greco Sterminatore”. L’Anticristo è al centro di molte pellicole: da Rosemary‘s Baby (1968) di Roman Polanski, all’Anticristo-cyberpunk sterminatore di Terminator. Le saghe di Terminator e di Matrix introducono un’ulteriore variazione del duello escatologico tra i figli della luce e delle tenebre: la guerra delle macchine contro l’uomo. Talvolta è l’aspetto visuale, la pura visività, a incarnare la cifra apocalittica. In questo caso il cinema opera una traduzione in immagini dell’orgia visiva del testo
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biblico, attento più all’aspetto linguistico che non a quello contenutistico. Così Fino alla fine del mondo (1991) di Wim Wenders, situato temporalmente nel 1999 mentre incombe una catastrofe dovuta alla caduta di un satellite nucleare indiano; di Strange Days di Kathryn Bigelow; le immagini della fine nel finale di 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick e il recente Melancholia di Lars von Trier. Ma il filone più legato alla percezione contemporanea della fine incombente, di una fine senza palingenesi, è il cinema catastrofista che estende il fenomeno distruttivo su scala globale trasformando la catastrofe nella fine del mondo. In particolare i film del regista tedesco Roland Emmerich, Independence Day, dove l’apocalisse ha la forma di una invasione aliena, The Day after Tomorrow, fino al recente 2012 dove la catastrofe ha l’aspetto del diluvio e i 144.000 eletti, i “segnati col sigillo”, non sono i giusti e gli eletti, ma i ricchi e potenti. Il disastro nucleare, anticipato nella commedia nera di Kubrick, Il dottor Stranamore è solo una delle varianti dell’apocalisse tecnologica. Apocalisse ed entropia Ma forse l’immagine più caratteristica dell’apocalisse costruita nella contemporaneità è quella di un mondo in cui l’apocalisse c’è già stata. Una fine senza cataclismi, senza trombe angeliche, una fine per entropia, per un’inarrestabile perdita di senso. Il disastro è qui il disastro ontologico, la realtà di un mondo dominato dalla tecnica, in cui ogni essere è ridotto a cosa e sottoposto a manipolazione, le cui
prime vittime sono la verità e il senso. Un mondo in cui, come constata Martin Heidegger, “il terribile è già accaduto”. Nell’introduzione all’edizione francese dell’Apocalypse di Lawrence, il filosofo francese Gilles Deleuze scriveva che L’Apocalisse “è il libro di tutti quelli che si pensano superstiti”. In questo senso è il libro di noi postmoderni, che siamo scampati al tramonto dell’Occidente e che viviamo in un mondo che ha già visto l’apocalisse, segnato dalle grandi catastrofi del Novecento. Sempre Deleuze, parla di “un’apocalisse senza apocalisse, un’apocalisse senza visione, senza verità, senza rivelazione”. Noi siamo all’interno di un’apocalisse senza fine, un’apocalisse cui siamo incatenati in una perenne assenza di senso e di verità. Viene naturale pensare ai drammi di Samuel Beckett; all’attesa senza fine di Vladimiro ed Estragone, ai paesaggi vuoti di Giorni felici o de L’ultimo nastro di Krapp. Un mondo in cui l’azione si disperde in gesti incoerenti, le parole scadono nella chiacchiera inconcludente, il mondo è privo di punti di riferimento spaziali e temporali: non vi è storia né speranza, ma solo un’ineludibile coazione a ripetere, in uno sfinimento destinato a un’ulteriore e definitiva dispersione entropica. Alla fine del tempo non seguirà nessuna rivelazione del senso della storia, ma la scomparsa di ogni senso. José Saramago, in Cecità, costruisce un nero apologo della nostra condizione: in una città qualunque, di un paese qualunque, un automobilista è fermo al semaforo, in attesa del verde, quando si accorge di perdere la vista. All’inizio pensa si tratti di un distur-
bo passeggero, ma non è così. Gli viene diagnosticata una malattia sconosciuta: un “mal bianco” che avvolge le vittime in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l’inizio di un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città e l’intero paese. I ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato: qui danno libero sfogo ai più nascosti istinti primordiali, mostrando il peggio dell’animo umano. Ma chi sono i ciechi, le persone colpite dal “mal bianco”? O ha ragione la moglie del medico, che spiega: “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono”? Altrettanto disperata è l’umanità raccontata da Cormac McCarthy che ne La Strada mostra un padre e un figlio che percorrono verso sud, in cerca di salvezza, un’America sconvolta da una catastrofe senza nome. Gli animali sono scomparsi e l’umanità è rimasta decimata e ridotta a uno stato di vita primitiva. Attraversano paesi desertificati, dove gli uomini per sopravvivere sono diventati cannibali. Nel racconto non vi sono nomi, luoghi, date: ogni posto è identico a un altro, solo cenere, grigiore, freddo. Con questa visione inconsolabile siamo all’opposto dell’intento dell’Apocalisse giovannea, che è al tempo stesso un libro terribile, ma anche un libro di speranza. Esso si chiude, infatti, con l’invocazione Maranatha, “Signore vieni presto!” e con la visione della Gerusalemme celeste, “di un cielo nuovo e di una terra nuova”.
Megiddo (Israele) In questo luogo, secondo alcune intrepretazioni della Bibbia cristiana, avverrà l’Armageddon, ossia l’incontro finale tra le forze del bene, condotte da Cristo, e quelle del male, guidate da Satana. Il termine Armageddon deriva probabilmente proprio dal nome di tale luogo in ebraico antico: Har Megiddô (monte del Megiddo).
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In attesa del presente futuro
Franco Cardini è uno storico Franco Rella è nato a Rovee saggista italiano, specializzareto nel 1944 dove risiede. to nello studio del Medioevo. È stato docente di Estetica Nato a Firenze nel 1940 e laupresso la Facoltà di Design interviste a reato in Lettere nella sua città e Arti dello IUAV Venezia. Franco Cardini e natale, ha poi insegnato in diHa partecipato a seminari Franco Rella verse università fra cui Firenze, e convegni, soprattutto in Parigi, Göttingen, Barcellona, materia di estetica, in molte São Paulo, Amman, Gerusaistituzioni accademiche itaa cura di Paola Bertoldi lemme, Middlebury. Divenuto liane e straniere presso le Professore Ordinario, dal 1985 quali ha anche soggiornato al 1989 ha insegnato Storia come Visiting Professor. È medievale a Bari e attualmenstato prima membro poi te è professore ordinario di Storia medievale presso coordinatore (1989-1996) del Comitato scientifico, l’Università di Firenze. Ha ricoperto vari incarichi: nomi- in qualità di esperto di estetica, del MART, Museo nato, fra l’altro, nel Consiglio d’Amministrazione della d’arte moderna di Trento e Rovereto per il quale ha RAI (1994-1996), nella Commissione nazionale italiana lavorato anche a diverse mostre. Ha inoltre collabodell’UNESCO (1996-2002), nel Consiglio d’Amministra- rato a numerose iniziative artistiche presso il Museo zione di Cinecittà Holding (1996-2002) e fa tuttora par- palazzo Forti e la Galleria dello Scudo di Verona, il te del Comitato FAO presso il Ministero delle Politiche centro calcografico di Roma, il Palazzo Bricheraagricole. Ha diretto e dirige diverse collezioni, riviste e sio di Torino, il Museo civico di Riva, i Cantieri di collane e ha ricevuto molti riconoscimenti in vari am- Palermo, il Goethe Institut di Palermo, l’Università biti: fra i più recenti si ricordano il Premio nazionale di di Palermo, la Galleria d’Arte Moderna di Roma e il cultura nel giornalismo (XX edizione), “La Penna d’O- Museo d’Orsay di Parigi, il PAC di Milano, la Galleria ro” (Sezione scienza storica 2008) e il Premio Mozart Civica di Modena. Ha diretto collane editoriali (Ber2008. Collabora con vari quotidiani fra i quali Avvenire, tani, Feltrinelli, Cluva, Pendragon), è stato redattore Il Tempo, Il Secolo XIX, L’Eco di Bergamo, Il Mattino, o ha collaborato a numerose riviste italiane, franLa Gazzetta del Mezzogiorno, Il Sole-24 Ore. È autore cesi, spagnole, argentine, belghe, olandesi, nordadi numerosissime pubblicazioni: fra queste Templari e mericane e sudamericane, greche, neozelandesi. templarismo: storia, mito, menzogne (2011); Il turco Ha collaborato anche a l’Unità e a La Repubblica. a Vienna: storia del grande assedio del 1683 (2011); È autore di numerose pubblicazioni, fra le quali: Cristiani perseguitati e persecutori (2011); La società Nietzsche, arte e verità: una introduzione (con S. medievale (2012); Capire le multinazionali: capitalisti Mati, 2008); La responsabilità del pensiero: il nichidi tutto il mondo unitevi (con Stefano Taddei, 2012); lismo e i soggetti (2009); Interstizi: tra arte e filosoBeati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il fia (2011); Soglie: l’esperienza del pensiero (2011, regno dei cieli (con Luisa Muraro, 2012). Premio Montano 2011); Ai confini del corpo (2012).
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Franco Cardini: “Con l’età moderna, l’idea della Fine si collega sempre di più a quella del cambiamento: all’idea dell’Età Nuova, della Terra Nuova e dei Cieli Nuovi”. Fra le tante profezie sulla fine del mondo una delle più celebri è forse quella relativa all’anno Mille. Quali tensioni culturali e condizioni economico-sociali del mondo occidentale di allora vi si riflettevano? Per la verità quella dell’anno Mille è una leggenda storiografica, legittimata nell’Ottocento dal grande Jules Michelet ma, in sé e per sé, priva di fondamento. Si disse che alla vigilia del primo anno del secondo millennio del Cristo la gente si sarebbe raccolta impaurita sulle cime delle alture o presso i santuari per attendere la fine dei tempi e il ritorno del Cristo giudicante. Cosa impossibile: nel Medioevo c’era una molteplicità di sistemi di calcolo calendariale e, anche volendo, nessuno avrebbe potuto né saputo mai dire quale potesse venir considerato l’ultimo giorno del primo millennio o il primo del secondo. In realtà, è vero che sulla base della lettura e di un’interpretazione particolare della Sacra Scrittura, in particolare dell’Apocalisse, si andò articolando fra tarda antichità e Rinascimento un movimento che fu detto “millenarista” il quale insisteva soprattutto sul fatto che il Regno di Dio sulla Terra sarebbe durato mille anni dopo molte peripezie. Ma che il mondo dovesse finire mille anni dopo la nascita (o la Resurrezione) del Cristo, era credenza forse presente, ma, comunque non troppo diffusa. Il “millenarismo” e i movimenti millenaristici si svilupparono soprattutto fra XIII e XVI secolo, in rapporto con eventi sconvolgenti come la peste nera del 1347-1350 e la Riforma protestante. Quanto è unanime nel mondo occidentale medioevale la visione della fine del mondo come conseguenza di un castigo divino? Esiste anche una visione, per così dire, con linguaggio contemporaneo, laica? Nel mondo medievale, e del resto anche in quello antico e in quello moderno, la fine del mondo e l’esaurirsi dei cicli storici si accompagnano a visioni differenti, come quella che dai greci alla filosofia di Nietzsche si è definita “dell’Eterno Ritorno”. L’Apocalisse, cioè l’ultimo libro della Bibbia, presenta un tipo particolare di Fine dei Tempi che non s’incentra tanto sull’idea di punizione divina, quanto su quella di battaglia finale tra le forze divine ed angeliche e quelle demoniache: ma esistono in molte mitologie pagane (per esempio in quelle germaniche) visioni e aspettative del medesimo genere. Con l’età moderna, l’idea della Fine si collega sempre di più a quella del cambiamento: all’idea dell’Età nuova, della Terra nuova
e dei Cieli nuovi. Molte sette protestanti trapiantate in America coltivano, ad esempio, fino dal CinqueSeicento, questa visione apocalittica, suscettibile di sfociare in espressioni mistico-politiche. Perché, secondo lei, la prospettiva della fine del mondo esercita ancora oggi una capacità di “seduzione” così potente nelle persone, come dimostra il caso della “profezia Maya”? Si tratta solo di spettacolarizzazione o di un’inquietudine più profonda che si lega alla natura stessa dell’essere umano? Ci sono molte componenti, anche estranee o magari contraddittorie tra loro, che animano questa “seduzione”. C’è anzitutto la forza e il peso della tradizione religiosa, l’ombra dell’Apocalisse, con tutte le implicazioni anche precristiane ed extracristiane. C’è il rapporto con una lunga consuetudine con la letteratura e gli spettacoli detti appunto “apocalittici”, che si rinnova di continuo anche in modo tragico: si pensi all’11 settembre 2001. C’è il disorientamento tipico della nostra epoca, nella quale da una parte vige il “supermarket” delle credenze, dall’altra viviamo un estremo e caotico disorientamento. C’è l’eco di miti politici legati soprattutto ai grandi totalitarismi del XX secolo, il nazionalsocialismo e il comunismo. C’è l’inquietudine individualistica, la paura della fine intesa soprattutto come “il Nulla”: un grande film di oltre mezzo secolo fa, Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, lo ha presentato molto bene. C’è l’angoscia della fine dei tempi intesa come catastrofe della Modernità, un tema che la cinematografia soprattutto statunitense ha sfruttato a fondo. Lo straordinario progresso tecnico-scientifico degli ultimi decenni ha contribuito senz’altro a modificare il rapporto scienza-religione. Questo cambiamento, secondo lei, in che misura potrebbe influire o aver influito anche sulla costruzione dell’idea di fine del mondo? Un autore oggi di gran moda, Zygmunt Baumann, sostiene che la “Modernità solida” dell’ultimo mezzo millennio, caratterizzata dal forte radicamento nelle idee-forza come l’individualismo, il primato dell’economia e della tecnologia, il mito del progresso e, in ultima analisi, quella che Nietzsche ha definito la “Volontà di Potenza”, ha ormai ceduto il campo alla “Modernità liquida”, che si discosta dai grandi miti della forma precedente di Modernità, ma si esprime soprattutto in termini di disorientamento. Il rapporto tra scienza e religione, con il nascere della “Modernità” come “processo di secolarizzazione”, si è caratterizzato in Occidente in termini di scontro fra dogma e ricerca scientifica: ma questa è una situazione strettamente legata al mondo occidentale e alla sua coesistenza tra Chiese cristiane animate e sorrette da una struttura dogmatica e sistemi scientifici fondati sull’osservazione. In altre culture, questo scon-
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Il cavaliere dell’Apocalisse, alcuni fotogrammi tratti dal film di Stanley Kubrick, Il dottor Stranamore (1964)
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Giotto, l’Inferno, dettaglio del Giudizio Universale nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1306)
tro non si è verificato. Oggi esso riguarda soprattutto gli aspetti della ricerca e della vita in cui la scienza e la morale sembrano proporre modelli contrastanti tra loro. Si tratta di accettare la coesistenza di una pluralità di modelli all’interno di un sistema di accettate e consolidate libertà: il che non è semplice. Nell’arco di un millennio si sono susseguite numerose teorie sulla fine del mondo. Perché, indipendentemente da tempo e cultura, si immagina quasi sempre un evento violento e terrorizzante? Appunto perché non ci siamo sostanzialmente discostati dal modello apocalittico, al rafforzamento del quale hanno contribuito due fattori: primo, la paura di possibili conflitti nucleari; secondo, lo scontro obiettivo tra ottimismo socio-storico (la visione generalizzata di un progresso e di una qualità della vita sempre migliori, che peraltro è negli ultimi tempi entrata in crisi) e la consapevolezza individuale ed esistenziale dell’ineluttabilità della fine, che ha ani-
mato l’interesse e il culto delle scienze psicologicopsicanalitiche dall’inizio del secolo scorso a oggi. Si tratta di uscire dalla paura, dall’angoscia esistenziale individuale che ciascuno di noi proietta sulla società. La fine del mondo è la proiezione dell’orrore “inaddomesticato” della morte individuale, che si socializza a livello di massa, ma non riesce a trasformarsi in qualcosa di elaborabile comunitariamente e dunque di superabile. Il testo cruciale sulle teorie della fine del mondo è l’ultimo libro della Bibbia, il Libro della Rivelazione, cioè l’Apocalisse, che, oggi come nel Medioevo, è alla base di profezie e movimenti religiosi. Si tratta di un’opera che viene attribuita a San Giovanni apostolo e che probabilmente a questo deve la sua sopravvivenza e l’autorevolezza canonica. Gli studiosi hanno, però, unanimamente negato una simile attribuzione, poiché il testo sarebbe stato composto successivamente alla morte dell’apostolo stesso, ossia fra il 79
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e il 96 d. C. Indipendentemente da questa vicenda, che peso ha avuto nella storia occidentale il libro dell’Apocalisse e la sua inclusione nelle Sacre Scritture? Un peso enorme, in quanto ha animato per secoli fantasie anche di tipo politico e immagini utopiche collegate alle istanze di rinnovamento e a quella che fra Sette e Novecento è diventata, con molte variabili, la Weltanschauung rivoluzionaria. I movimenti di pensiero che hanno profetizzato la fine del mondo hanno previsto perlopiù la distruzione del mondo conosciuto per fare spazio, in una sorta di catarsi, a qualche cosa di completamente nuovo e migliore? Quanto i concetti di apocalisse e rivoluzione si avvicinano o si imitano storicamente nella loro costruzione teorica? Istanze apocalittiche e utopìe rivoluzionarie si somigliano, si alimentano reciprocamente, s’intrecciano. Ora, si tratta di capire che da una parte non è il caso di sottovalutare troppo il carattere violento di quelle istanze e di quelle utopìe, dall’altra è importante invece valorizzare la comune tensione positiva verso un futuro migliore, in grado forse di trasformare in termini positivi e costruttivi quegli stessi elementi violenti che ci sconcertano. Franco Rella: Esiste una lettura che potremmo definire postmoderna del concetto di apocalisse: noi ne parliamo come di un evento futuro ma, con una diversa interpretazione del concetto di tempo, l’apocalisse potrebbe essere già avvenuta. Ogni racconto ha bisogno di una fine, oltre che di un inizio. Anche sulla nascita del mondo e dell’umanità religioni e mitologie hanno teorie diverse. Dal punto di vista filosofico, che legame c’è fra l’atteggiamento nei confronti della nascita e quello nei confronti della fine del mondo? Esiste uno stretto rapporto fra la dimensione distruttiva e quella costruttiva della creazione. Non esiste la nascita di qualcosa se non viene distrutto quello che c’era prima: Platone parlava del terribile parricidio nei confronti del suo maestro Parmenide, necessario però per inaugurare ciò che da quel momento sarebbe stata la filosofia. Ma questo avviene anche in altre discipline, come l’arte: basti pensare a come il cubismo ha scardinato tutte le regole che avevano fino a quel momento dominato il campo delle arti visive. Si deve in qualche modo liquidare una cosa per iniziarne un’altra, è una renovatio temporum che troviamo anche alla fine del libro della Rivelazione. “Apocalisse” non significa letteralmente la fine ma l’inizio di qualcosa di nuovo. Quindi il tema apocalittico entra nell’ordinaria dinamica dell’evoluzione dei tempi e della storia.
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Quali interpretazioni possiamo dare oggi all’immagine dell’apocalisse? Esiste una lettura che potremmo definire postmoderna del concetto di apocalisse: noi ne parliamo come di un evento futuro ma, con una diversa interpretazione del concetto di tempo, l’apocalisse potrebbe essere già avvenuta. La pellicola Apocalypse now di Francis Ford Coppola esprime bene questa visione. Nel film il personaggio chiave, Kurtz, legge il bellissimo poema Uomini vuoti di Eliot che riporta nell’incipit una citazione di Cuore di Tenebra di Conrad: “Kurtz è morto”. Nella grande fantasmagoria del film di Coppola, l’elemento della guerra e quello del selvaggio si uniscono nella metafora finale del sacrificio del re. Secondo Eliot il passato e il futuro si saldano insieme nel tempo presente. Come riassumono i versi d’inizio dell’opera Burnt Norton: “Il tempo presente e il tempo passato / sono forse entrambi presenti nel tempo futuro, / e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato. / Se tutto il tempo è eternamente presente / tutto il tempo è irredimibile”. Qui c’è evidentemente uno sguardo diverso dal pensiero apocalittico tradizionale che stabilisce un “prima” e un “dopo”. Anche l’apocalisse deve essere nel tempo presente. Lo stesso concetto si trova in Cosmopolis, il tredicesimo romanzo dello scrittore italo-americano Don DeLillo, che racconta la giornata di un giovanissimo miliardario, il quale, salito in limousine per attraversare la città e andare dal barbiere, inizia un viaggio che è una metafora, un attraversamento da est a ovest del cuore del mondo in una sola giornata, un percorso alla ricerca della proprie radici e della morte. Che differenza c’è, a livello di elaborazione mentale, fra la dimensione individuale e quella collettiva del concetto di fine? La nostra morte ci spaventa: è una paura molto forte, che ci accompagna sempre e si accampa nelle depressioni, a volte con effetti molto potenti. Freud dice che il nostro inconscio non tollera l’idea della fine, ma pensa di essere immortale: noi non siamo disposti ad accettare che dopo la nostra morte il mondo possa andare avanti indifferente senza di noi. Ecco perché l’immagine della fine del mondo, la fine collettiva, ci spaventa meno, diventa una paura condivisa, quindi, in qualche modo, domata. Questa prospettiva, inoltre, toglie un po’ il senso di ingiu stizia che associamo alla nostra scomparsa: se la mia morte coincide con “la morte di tutte le cose” allora la perdita è effettivamente immedicabile. In quest’ottica va sottolineato un elemento comune a molte religioni, la maggior parte delle quali, infatti, postula una fine palingenetica, un momento cioè che apre l’accesso ad un nuovo mondo.
Quanto è centrale il tema del castigo divino nelle teorie sulla fine del mondo? È un tema che ritorna spesso nella mitologia, basti pensare a Deucalione e Pirra, gli unici sopravvissuti alla devastazione della terra da parte di Zeus o alla distruzione di Atlantide. Ma anche la Bibbia è piena di catastrofi, dal diluvio universale alla distruzione di Sodoma e Gomorra o all’invio di Giona nella città di Ninive. In tutti questi casi siamo di fronte all’ira di una divinità che si manifesta con terribili punizioni per gli esseri umani che popolano la Terra. Non vedo però nulla di simile nel libro dell’Apocalisse: qui si dice che Dio verrà a giudicare gli uomini, salverà i giusti e punirà i malvagi ma la fine è posta come qualcosa di ineluttabile. Non è Dio che a un certo punto decide di mettere fine al tempo degli uomini e di distruggere la terra per castigarli; è semplicemente l’ora di giudicare i vivi e i morti, è arrivato il tempo del giorno del giudizio. Quello che talvolta è designato come l’ultimo giorno, o der jüngste Tag, il giorno novissimo, quello del giudizio. Fine e inizio si pronunciano insieme.
Come va considerato e contestualizzato il libro dell’Apocalisse? È un testo che ha influito pesantemente sulla storia dell’Europa medievale e della religione. Anche questo è un fattore importante da tenere in considerazione: in quasi tutte le religioni c’è una creazione e poi una fine catastrofica. Il Cristianesimo inserisce come “spartiacque” la figura di Gesù Cristo e divide fra il Vecchio e il Nuovo Testamento. L’ultimo libro delle Scritture è appunto l’Apocalisse che ha acquisito la sua autorevolezza proprio per essere stato inserito nella Bibbia. Pur essendo stato attribuito a San Giovanni apostolo, pare che il libro sia in realtà stato composto molto più tardi, verso il 92 d. C. È questo un periodo particolare che alcuni storici chiamano “l’età dell’ansia”: la cultura greca si è ormai dissolta, l’impero romano è corroso da corruzione, instabilità politica e crisi finanziaria (non venivano addirittura più accettate le monete, ma si tornava al baratto), le popolazioni barbare premevano ai confini. Oltre all’incertezza economica, si viveva l’erosione del potere politico: erano i pretoriani a eleggere l’imperatore, nelle province dell’impero i funzionari corrotti governavano senza nessun controllo da Roma, regnavano un senso di precarietà e una mancanza di riferimenti. Questo favorisce l’idea che il tempo sia finito, che sia ora di tirare le somme, esattamente quello che riflette un testo come l’Apocalisse. Accadeva un po’ quello che succede nel nostro tempo. Anche oggi viviamo un momento di mancanza di legittimazione, ben rappresentato dalla politica. È sempre più frequente sentire persone che fanno discorsi come “non mi fido più di nessuno”, “non vado più a votare”. Si tratta di “micro apocalissi”, di momenti di rottura in cui si percepisce la fine di un equilibrio, che comporta un inevitabile e potenzialmente traumatico cambiamento. È una micro apocalisse anche quella che riguarda l’attuale situazione economica, perché abbiamo la sensazione di essere di fronte a una crisi epocale, alla fine di un’era. Di fatto sono momenti di passaggio normali se letti in un’ottica di lungo periodo, ma vengono vissuti come una
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Peter Weiss, Apocalypse (1945)
cesura. Tra l’altro, questi momenti sono oggi molto più frequenti rispetto al passato, perché tutto è più veloce mentre una volta i cambiamenti erano più lenti e il tempo più dilatato. La prospettiva della fine del mondo induce gli esseri umani a cercare di essere migliori? Una visione apocalittica è cioè in qualche modo utile? No, non lo credo. Da questo punto di vista penso che il genere umano sia poco emendabile. L’idea che le cose possano finire non porta a cercare o ottenere dei miglioramenti. Lo possiamo dedurre dagli esempi di quelle che prima ho chiamato “micro apocalissi”: la fine della prima Repubblica in Italia non ha reso migliore la classe politica che è seguita alla fine di quell’epoca, anzi. Sono piuttosto state metabolizzate cose fino a prima impensabili, come i festini nelle ville di Berlusconi, e il risultato è che non ci si scandalizza più. Magari nel momento in cui avviene la frattura si fanno i buoni propositi e si cerca di imparare dal passato, ma questo non dura e non vedo un’utilità nei momenti di passaggio da un’epoca ad un’altra. È un po’ quello che accadeva un tempo nel periodo quaresimale: per le strade e le piazze giravano dei predicatori che, con uno stile tipicamente teatrale, alimentavano l’immaginario popolare con descrizioni dell’inferno, dell’apocalisse, dell’orrore. Si trattava di tecniche che avevano anche un certo successo nell’immediato e le persone erano sinceramente scosse. Poi però la quaresima finiva e la gente tornava alla vita di tutti i giorni senza modificare i propri comportamenti. Anche la profezia dei Maya, che affascina molte persone, in realtà non ha cambiato la quotidianità della gente: sembra più un passatempo
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per chi trascorre le sue giornate su Internet e non un vero momento di coscienza collettiva. Quindi non è la minaccia della fine del mondo che può in qualche modo portare un miglioramento nei valori di una collettività. Sicuramente no. Il cambio di valori di una società è un processo lungo, lento e per niente lineare. Ci sono degli eventi che spostano le frontiere di ciò che viene accettato o respinto, modificando il sistema valoriale collettivo, ma anche questo non è un passaggio scontato, anzi, spesso la storia rivela emblematiche inversioni di tendenza. Quando si parla di valori emergono spesso i fantasmi del passato, pensiamo all’Olocausto: quell’evento sembrava il punto oltre il quale non si poteva andare, in quel momento l’umanità ha dichiarato con forza che sulla faccia della Terra non si sarebbe più verificato un simile orrore. Eppure non molti anni dopo abbiamo avuto i massacri in Cambogia e in Ruanda, gli scandali di Guantanamo e Abu Ghraib, solo per fare pochi esempi. Lo stesso popolo ebraico, che per secoli ha subito persecuzioni di ogni tipo, ha poi utilizzato nella striscia di Gaza strumenti che sono stati definiti “crimini contro l’umanità”. Insomma, tutto quello che sembrava essere il “nonoltre” si è poi avverato. Adorno diceva che se il pensiero non va oltre se stesso diventa complice delle canzoni che le SS cantavano per coprire i lamenti degli Ebrei nei campi di sterminio. Quale pensiero è riuscito o riesce a pensare contro se stesso? Il discorso è complesso e i valori si trasformano in tempi lunghi e con modalità non omogenee. Non basta certo una profezia per incidere sul sistema etico e comportamentale di una società.
Quella fine del mondo che non arriva mai…
Quasi tutti i popoli della terra moto a Nizza; le tre attività vulhanno concepito dei sistemi per caniche pericolose del Pelée in misurare il tempo, sono consci Martinica nel 1851, 1892 e 1902, del suo trascorrere e si sono che distrussero la città di Saintculti millenaristici e interrogati su una probabile Pierre. “La Francia di fine secolo ansie apocalittiche fine dei tempi. Questo tempo era affollata di ostie sanguinanti, nelle diverse culture appare dunque molto soggetcibori lacrimanti, apparizioni, del mondo tivo, visto che sono state regiprodigi, comete, meteore, perstrate innumerevoli possibilità sino serpenti volanti, terremoti di misurazione: dalla conta delle circoscritti al salotto e notizie di di Marta Villa generazioni biblica o erodotea, vulcani in eruzione in ogni dove. all’appuntamento olimpico poliComunque nel dicembre 1899 biano, ai calendari più diversi che troviamo a Parigi George Gis“Il grande tempo del mondo inizia prendono origine da determinati sing scrivere un libro intitolato ancora, gli anni dorati ritornano, eventi particolari. Molti storici Tra i profeti, riguardante, spiela terra fa come il serpente che si dell’antica Grecia, ad esempio, gava, nuove religioni e pazzie di rinnova il suo inverno elimina il pur conoscendo mesi ed anni, vari tipi” (Eugen Weber, Le apopassato” preferivano nelle loro cronacalissi. Milano: Garzanti, 2000: Shelley che circostanziare con maggiori 24). coordinate i fatti che andavano Se lasciamo per un attimo in narrando senza fermarsi a quegli disparte le tre escatologie abraindicatori. Tale modalità non mitiche, più note, e ci addenandò perduta col passare dei triamo nel dedalo delle altre secoli, anzi, era ancora in vigore credenze spirituali, troviamo nell’età medievale e per qualche nell’antichità lo Zoroastrismo, dotto anche successivamente. che già nel 500 a. C. aveva sviI giorni potevano essere fausti luppato concetti riguardanti la o infausti, particolari mesi più fine della terra conosciuta ad pericolosi di altri, lo stesso dicasi opera di un fuoco divino che per stagioni (per cui si pratical’avrebbe consumata tutta. Nel vano riti di esorcismo) o anni… libro sacro Zand-i Vohuman Non ci stupiamo di leggere che Yasht la fine sarebbe coincisa Stephan Mallarmé o Thomas con lo scadere del decimilleHardy, da una parte all’altra della simo inverno, periodo durante Manica, si interrogavano attorno il quale il Sole sarebbe apparso alla finale d’un siècle definendo in cielo solo occasionalmente, i il 31 dicembre 1900 il capezzale giorni si sarebbero accorciati e del secolo. “Il millenarismo, che di conseguenza anche i mesi e spesso identifica la fine di cicli Icona ortodossa russa rappresentante l’Apocalisse gli anni. L’ambiente avrebbe forepocali con momenti di crisi, temente risentito di questo camora identificava la crisi con la fine di un particolare biamento apparendo più desolato e spoglio, l’uomo ciclo cronologico. Negli anni novanta del XIX secolo non avrebbe più potuto coltivare la terra e si sarebbe molti commentatori e giornalisti affermavano dolenti dedicato solo a pratiche deplorevoli e vili. Piogge di di non sapere che cosa avrebbe significato la fin de creature nocive, ombre nere tali da trasformare il siècle” (Eugen Weber, Le apocalissi. Milano: Gar- tempo in una lunga notte buia, avrebbero fatto da zanti, 2000: 26). contorno alla lotta tra forze del bene e del male, al Molti anni (il 1000, il 1900, il 2000, solo per citare i più cui termine avrebbe avuto luogo il giudizio finale di famosi) sono stati da alcuni attesi come giorni del tutte le anime: a differenza dell’escatologia abramigiudizio e vissuti con ansia. I lettori di Nostradamus tica cristiana, nello zoroastrismo i peccatori subisapevano che per lui la fine del mondo era stabilita scono una punizione di soli tre giorni e successivanel 1886. Alle sue profezie erano stati legati, infatti, mente ricevono il perdono. Solo dopo questi eventi diversi eventi catastrofici naturali: nel 1883 l’esplo- il mondo avrebbe raggiunto la perfezione: non più sione violentissima, udita fin in Australia, dell’isola povertà, vecchiaia, malattie, fame, sete e anche la indonesiana Krakatoa e il conseguente tsunami morte risulterebbe annientata. La comparazione con che travolse 40.000 persone; nel 1887 il forte terre- l’apocalisse di stampo giudaico-cristiano mostra
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diversi punti concettuali in comune: l’influenza è storicamente databile all’epoca in cui l’intero Medio Oriente era controllato dall’Impero degli Achemenidi (metà VI-IV secolo a. C.). Se ci spostiamo in Estremo Oriente troviamo l’escatologia di stampo buddista: anche in questo caso la fine dei tempi coinciderebbe con l’avvento di Maitreya, un grande Budda. Lo stesso fondatore aveva predetto che i suoi insegnamenti sarebbero stati ricordati solo per 500 anni, dopo i quali l’umanità si sarebbe votata ai dieci concetti amorali dell’assassinio, del furto, della violenza, della menzogna, della calunnia, dell’adulterio, della conversazione a vanvera su fatti ignoti, dell’invidia, dell’ira e della lussuria, che avrebbero portato sulla terra ogni genere di povertà, di tristezza e di profondo disordine sociale. In epoca medievale questa durata venne estesa a 5.000 anni e i diversi commentatori descrissero le fasi di questa lenta ma progressiva caduta morale e localizzarono nel paradiso Tushita la residenza attuale del nuovo Budda, che, attendendo il momento giusto per rinascere nuovamente, avrebbe riportato il mondo agli insegnamenti del nuovo buddismo. L’escatologia buddista concorda con la forma più generale delle cosmologie induista e buddista secondo le quali l’epoca contemporanea rappresenta solo lo stadio finale di molti cicli di creazione e distruzione. Lo stesso Budda storico, Shakyamuni, è solo l’ultimo di una serie di Budda la cui memoria si perde nel remoto passato. Anche l’induismo ha una visione circolare della storia umana generale, in relazione molto stretta con lo stato spirituale interiore di ciascun uomo. Il ciclo Kalpa, o cosmico, è un percorso di declino di natura e cultura tra periodi di dilatazione temporale, nei quali Brahma genera e rigenera la realtà. Le età di questo processo sono sempre quattro (Satya Yuga, Dwapara Yuga, Treta Yuga e Kali Yuga) e sono suddivise in stadi di passaggio dalla piena purezza alla completa impurità. L’Età del Ferro, il Kali Yuga, è il periodo di massima degradazione spirituale: la vita si accorcia, imperano violenza e malattie, la natura stessa sembra incapace di rinnovarsi. Dopo questo periodo di caos mondiale durante il quale compare un avatar, avviene la totale distruzione, immediatamente seguita dalla Satya Yuga, l’Età dell’Oro. Anche per questa escatologia non esiste una dannazione eterna e nemmeno un vero e proprio momento della fine, perché vi è sempre un ricominciamento infinito: in epoca contemporanea siamo nel peggiore Kali Yuga e la soglia di tollerabilità da superare per l’avvento dell’avatar è molto alta, il mondo dovrà ancora degradare fino al massimo livello. C’è però un culto induista, la Brahma Kumaris World Spiritual University, che prevede una quinta età,
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quella chiamata “della Confluenza”, che ha riunito in sé il concetto cristiano della fine dei tempi con la concezione della ciclicità: secondo questa branca dell’induismo l’umanità ha superato la soglia della fine dei tempi nel 1936 e vedrà la fine del mondo nel 2036, quando NEO 99942 Apophis, un asteroide, si avvicinerà molto alla Terra. Forse non tutti sanno che Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, aveva stabilito i cicli cosmici rifacendosi a quelli induisti, in particolare sosteneva che l’umanità sua contemporanea vivesse nel Kali Yuga e aveva dichiarato che quest’epoca buia sarebbe finita coll’inizio del XX secolo, quando l’uomo avrebbe ricominciato a sviluppare le sue qualità di chiaroveggenza. Il Giappone, a proposito di correnti apocalittiche, è molto prolifico: si contano circa 200.000 sette, alcune delle quali, profetizzando fini del mondo imminenti con un’unica nazione salva, la loro, hanno organizzato attentati bioterroristici per salire alla ribalta della cronaca. Anche la Corea nel 2000 attendeva con ansia il ritorno del Messia: nella sola Seul “ogni notte il profilo dei tetti contro il cielo si trasforma in un caos di croci rosse al neon, ciascuna delle quali rappresenta una comunità di Cristiani rigenerati. Forse un milione di persone a Seul crede di vivere nella fine del tempo, che si dissolverà nell’eternità subito dopo il duemillesimo anniversario della nascita di Cristo. Ma le croci non sono là per commemorare il Gesù di Nazareth terreno: sono luci che servono a guidare l’atterraggio del Cristo Re volante il quale, allo scadere del grande momento predestinato, apparirà sulle nubi per inaugurare il Millennio” (Damian Thompson, La fine del tempo. Vicenza: Neri Pozza, 1997: 256). Se scendiamo nell’arcipelago melanesiano troviamo culti millenaristici che, nati da epiche orali fuse con la predicazione cristiana, si sono trasformati in organizzazione di lotta politica e di redenzione sociale. Già nel XIX secolo alcuni profeti predissero la fine del mondo e indicarono come unica via di salvezza la
Il culto di Zoroastro (Saratustra) in una bassorilievo iraniano (Persepoli)
KrishnaKṛṣṇa ottavo avatāra di Viṣṇu raffigurato come Kṛṣṇa Veṇugopāla, ovvero Kṛṣṇa suonatore di flauto (veṇu) e pastore delle mucche (gopāla)
purificazione dalle abitudini e dalle mode dei bianchi. Se superiamo l’oceano Pacifico e sbarchiamo in America del Nord troviamo anche qui alcuni popoli nativi, ad esempio gli indiani Hopi e i Lakota, che tradizionalmente si tramandano racconti paradigmatici a proposito della fine del mondo. Gli Hopi attendono l’arrivo del Giorno della purificazione, avvio di un grande tempo di rinnovamento generale. Secondo la loro epica orale, la fine dei
tempi sarà caratterizzata dall’arrivo di serpenti di ferro, di fiumi di roccia e dalla creazione di una ragnatela gigantesca che farà diventare i corsi d’acqua neri. La profezia indiana prosegue indicando il pericolo provenire dal cielo, in particolare da un enorme luogo di precipitazione molto simile ad una stella (un buco nero?), ma blu, che raffredderà completamente la terra coprendola di deserti freddi, acque gelate e roccia dura. Tutta l’umanità divenuta crudele si combatterà: si salveranno solo quelli che avranno compreso la profezia, gli Hopi, che continueranno a vivere al sicuro nella loro terra. Gli Hopi accoglieranno i fratelli bianchi saggi che dopo la distruzione torneranno a piantare i semi della saggezza, così da poter varcare la porta d’ingresso del Quinto Mondo. Anche i Lakota hanno un’escatologia orale tramandata da Alce Nero, uno dei guaritori più famosi di questo popolo. Black Elk ha profetizzato un periodo di grave disequilibrio causato da inondazioni, fuochi e terremoti. Solo all’apparizione della Donna del cucciolo di buffalo bianco inizierà la grande purificazione di tutto il mondo e la restaurazione di un complesso equilibrio spirituale. Da quando i capi tribù hanno saputo della nascita di diversi bisonti albini (1994, 1995 e 2006) in alcune fattorie dello stato del Janesville, si sono convinti che i tempi fossero maturi per questo possibile passaggio di era. A proposito di millenarismi pseudocristiani, l’America del Nord e in particolare gli USA videro sia nel XIX, che nel XX secolo numerosi Messia o Gesù Cristi profetizzare immediate apocalissi puntualmente non verificatesi: molti di essi vennero rinchiusi in manicomi o addirittura in carcere perché avevano estorto denaro con l’inganno. Sempre nel continente americano abbiamo l’Associazione nazionale per la coscienza di Krishna (Hare Krishna), fondata nel 1966 dall’incarnazione del dio Krishna, i cui adepti in abiti zafferano hanno bandito i comportamenti immorali in attesa di una fine del mondo imminente: similmente all’escatologia induista, anche presso gli Hare quest’epoca Kali Yuga finirà presto e comincerà l’era dell’amore,
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Mario Polia, Gianluca Marletta, Apocalissi: la fine dei tempi nelle religioni, Milano, Sugarco, 2008 Il volume propone un viaggio alla scoperta del filone mitico della fine dei tempi presente in tutte le religioni: in un percorso universale che va dalle fedi monoteistiche alle tradizioni orientali, dall’America precolombiana all’Europa precristiana, interrogando la Bibbia e il Corano, il Vishnu Purana indù e il Popol Vuh maya, nell’ottica scientifica ma affascinante della moderna storia delle religioni. Un viaggio nel futuro dell’umanità così come immaginato, con impressionanti analogie nelle sue tappe fondamentali, dal pensiero religioso d’ogni tempo e luogo: dalla decadenza spirituale dell’uomo all’allontanamento dal divino, dalla corruzione della società agli sconvolgimenti naturali, dal regno oscuro e grottesco dell’uomo-che-si-fa-dio alla vittoria finale della luce.
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della fratellanza e della pace. Per la 3HO (Healthy, Happy, Holy Organization) e per alcuni movimenti della cosiddetta New Age, l’età dei pesci bimillenaria è giunta al termine e verrà sostituita dalla migliore età dell’acquario, dove la coscienza collettiva prenderà il sopravvento su quella egoista e individualista. Nel recente 1997 a San Diego, una setta di cyberculto apocalittico predisse la fine del mondo e si
suicidò collettivamente (39 persone) per entrare traghettati attraverso il cyberspazio nel paradiso grazie al passaggio della cometa Hale Bopp, che il 23 e 24 marzo si avvicinò moltissimo al pianeta. La profezia dei Maya è fin troppo nota e si evita di trattarla approfonditamente: anche i Maya, però, hanno stabilito all’interno del loro calendario ciclico un susseguirsi di epoche utili a rinnovare continuamente il
Indiano Hopi e ragazzo che personificano spiriti ancestrali durante la cerimonia della semina dei fagioli. Da Indians di Joanna Cohan Scherer, foto di James Mooney, bureau of American Ethnology
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mondo. Molti hanno assurto a paradigma la data del 21 dicembre 2012 come termine di uno di questi cicli e hanno indicato una possibile data di fine dei tempi: gli stessi discendenti dei Maya continuano pubblicamente a sostenere che non sarà la fine dell’universo, ma l’inizio di una nuova epoca sociale e spirituale. Se solchiamo l’Atlantico in questo nostro ipotetico viaggio escatologico e approdiamo in Europa troviamo alcuni miti poco noti, in particolare riferiti all’epica nordica. Per la mitologia norrena la fine del mondo sarebbe preceduta da un violento mutamento climatico durante il quale l’inverno Fimbulwinter, freddissimo e mortale, scenderebbe per seminare il panico tra gli uomini. La vera fine sarebbe rappresentata dal Ragnarök, battaglia degli dei contro le forze del Caos: questo conflitto causerebbe la morte di tutte le divinità, dei giganti e dei mostri, stravolgendo l’intero universo. Ma anche in questo caso si avrebbero sopravvissuti: in particolare uno di loro, risorto, ricomincerebbe a comandare su un mondo nuovo. Nel continente africano troviamo numerose sette millenariste che profetizzavano la fine del mondo già nel 2000 e che uniscono pratiche cultuali tradizionali con cristianesimo o islamismo: in molte prevale un’escatologia apocalittica molto tragica che in diversi casi ha portato a suicidi collettivi. In tutte le diverse escatologie abbiamo sempre un periodo di forte crisi, di profonda violenza e immoralità che precede la distruzione e la successiva resurrezione: “tutte le epoche sono marcate da pericoli, ingiustizie, disordini sociali e sollevazioni, corruzione della moralità e della famiglia, turbolenze e preoccupazioni che possono servire da segni e stimolare attese. In questa prospettiva sono presagi; e sempre ci sono presagi, sempre apprensioni apocalittiche, sempre paure e speranze a suggerire temi millenaristi. Unendo pessimismo e ottimismo, il messaggio millenarista è sempre adattabile alle circostanze di qualsiasi epoca” (Eugen Weber, Le apocalissi. Milano: Garzanti, 2000: 39). Possiamo concludere con la constatazione dello storico Weber che può essere estesa a tutte le ansie millenaristiche sorte nelle diverse culture: “Così la fin de siècle è una invenzione della precedente fin de siècle, come si definì essa stessa. Le sue connotazioni negative sono da mettersi in relazione con evocazioni spontanee, ma anche e soprattutto con una millenaria tradizione la quale suggerisce che immagini, discorsi, stereotipi e modi di pensiero in un qualche modo legati alla fine di un’epoca, di un’esperienza generazionale o del dominio di una classe sociale possano essere collegati alla fine di un mondo, e forse del mondo” (Eugen Weber, Le apocalissi. Milano: Garzanti, 2000: 32). Heimdallr che presidia l’ingresso al Valhalla in un manoscritto islandese del XVII secolo
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Immagini di ordinaria catastrofe
Ultimamente il mondo della critidel termine, impoveritasi negli ca sulle letterature per ragazzi e il ultimi decenni, lo lascerebbe pengiornalismo culturale paiono consare. Il rifarsi agli scenari oscuri e vergere su quella che sembrereb- corsi e ricorsi, con novità, pessimisti del dopobomba o della be una tendenza nuova: l’attenziosciagura ambientale o climatica di tra fumetti, cinema, ne, che si sarebbe verificata negli qualche tipo è stato quasi sempre ultimi anni, delle narrative per la animazione e videogiochi dovuto, in epoca tardomoderna e gioventù sui temi del disastro amcontemporanea, a un clima genedi Marco Pellitteri bientale e degli scenari apocalittici rale di incertezza e a una sensazioe post-apocalittici. Questa tendenne di pericolo incombente. za, secondo alcuni osservatori, Ci sono naturalmente anche altre sarebbe in atto da alcuni anni non ragioni, più prosaiche: ad esemsolo nella narrativa a mezzo stampa di tipo alfabe- pio, in molto cinema catastrofista degli anni novantico (romanzi e racconti in prosa scritta) ma anche ta si cercava ancora di cavalcare l’onda lunga del in quella grafico-sequenziale (fumetti), in quella ci- successo delle pellicole in tema dei decenni prenematografica e in quella videointerattiva (videogio- cedenti, ma ormai il motivo principale di film come chi). Independence Day (di Roland Emmerich, 1996) e di In realtà non si tratta di una «tendenza nuova», che Armageddon (di Michael Bay, 1998) e Deep Impact presupporrebbe un’insistenza recente su questi (di Mimi Leder, 1998) era quello di unire banali stotemi. Al contrario, questo tipo di scenari è sempre rie romantiche con divertenti citazioni e omaggi, lo esistito in forme, simbologie e ambientazioni diver- sfoggio di nuovi effetti speciali resi possibili dall’ese nella narrativa di tutti i tempi, a partire dai miti voluzione, allora in piena espansione, delle tecnoloclassici dell’antica Grecia (e non solo), passando per gie digitali, e la glorificazione della potenza militare e le fiabe popolari europee e arrivando alle pellicole della solennità statunitensi; ma cosa dire invece dei catastrofiste statunitensi degli anni sessanta-settan- tanti film degli anni settanta e ottanta basati su meta e seguenti, al cinema d’animazione per ragazzi di teore, disastri atomici, invasioni di vampiri spaziali? provenienza giapponese degli anni settanta-ottanta Molta critica storica del cinema si concentra, a quee ai videogiochi di produzione internazionale dagli sto proposito, proprio sulle inquietudini degli amerianni novanta in poi. Quel che di recente mi pare sia cani dovute alla rovinosa ritirata dal Vietnam da un cambiato sono l’atteggiamento e le motivazioni del- lato e all’intensificarsi della Guerra fredda con le ultilo sfoggio di scenari e messaggi molto cupi in certa me tensioni dovute allo Scudo spaziale, prima che si nuova narrativa per ragazzi, che essa sia scritta, visi- sapesse che di lì a poco l’URSS sarebbe caduta. Se va, cinematica o videoludica. si considera che questi film, per complessità e conIl concetto chiave per comprendere la ciclica at- fezionamento, erano sostanzialmente opere per ratenzione sui temi del disastro e della catastrofe è, gazzi, si capisce la rilevanza di questo tema in ambito a mio avviso, l’acinematografico. nalisi dello spirito Il dopobomba e i del tempo. I termidisastri ambientali ni stessi “disastro” sono una costante e “catastrofe” sono di moltissima aniclamorosamente rimazione giapponevelatori: il primo è se per il cinema e un evento portato la televisione, il che da una cattiva stelassume un’imporla (dis-astrum) e il tanza particolare nel secondo (dal greco nostro discorso perkatastrophé, in oriché gli anime nipgine “rivolgimento” ponici sono giunti in “riuscita” fine”) è Italia in grandi quanun capovolgimento tità e ancor oggi alidello stato delle comentano un immase che non necessaginario divenuto pariamente dev’essetrimonio collettivo re in peggio, anche di varie generazioni se l’area semantica di giovani ed ex gioIl videogame Fimbulwinter. Nella mitologia norrena (Scandinava), uno dei segni che annunceranno la venuta del Ragnarök, la fine del mondo
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vani. Si pensi alle serie Conan, il ragazzo del futuro di Hayao Miyazaki del 1978 (dal romanzo di Alexander Key The Incredible Tide, in cui una “guerra elettromagnetica” ha fatto sprofondare quasi tutte le terre sotto le acque oceaniche) e Ken il guerriero, dal manga di Buronson e Tetsuo Hara degli anni ottanta (in cui guerrieri dalla forza sovrumana si contendono una Terra devastata da una guerra nucleare), al celebre film Nausicaä della Valle del Vento ancora di Miyazaki, del 1984 (dove un’altra guerra atomica ha riportato l’umanità a uno stato di civiltà medievale e dove enormi insetti sono divenuti la specie dominante in un mondo ancora quasi del tutto radioattivo), o al fumetto e serie animata Alita, l’angelo della battaglia, di Yukito Kishiro, ancora frutto degli anni ottanta e poi novanta (la cui protagonista è una cyborg che si muove in un mondo del futuro ostile, razzista e violento, rinato fra i rifiuti e le macerie di un’altra guerra devastante). V’è da rilevare a questo proposito un interessante corto-circuito simbolico fra Italia e Giappone. In Giappone queste storie erano state ideate da autori nati durante o poco dopo la seconda guerra mondiale, dunque era stato loro tramandato fin da bambini l’impatto emotivo dell’indicibile trauma collettivo di Hiroshima e Nagasaki e dell’occupazione americana (l’unica nella storia di un paese prima di allora ritenuto dal suo popolo sacro e destinato all’inviolabilità): ecco perché in molti film e serie di fantascienza il Giappone è invaso da potenze aliene o venute dal sottosuolo, o sconvolto da cataclismi di vario tipo, e a risolvere la situazione sono quasi sempre giovani e giovanissimi, spesso orfani, alla guida di macchine sofisticate, ma animati da un antico spirito d’abnegazione. In Italia, queste distopiche e cupe storie di guerra e resistenza arrivarono, a cavallo fra gli anni settanta e ottanta, in un periodo nel quale i bambini sempre più rimanevano molte ore a casa da soli in compagnia della televisione, “orfani momentanei” per l’assenza dei genitori, intrattenuti da serie i cui protagonisti erano loro coetanei e anch’essi orfani, liberi di muoversi autonomamente in uno spazio privo di adulti come nelle fiabe. In quel contesto narrativo la catastrofe, la guerra, nella serie animata veniva affrontata proprio dai giovanissimi senza l’aiuto degli adulti, e questo parallelismo costituiva per gli spettatori una formativa esperienza emozionale e cognitiva con cui entrare in sintonia. L’animazione occidentale, ben-
ché in minor misura, ha saputo dedicare alcuni film per ragazzi al tema del disastro/catastrofe davvero di alto livello. Fra quelli che si possono citare qui, bastino due esempi. Il primo è il lungometraggio a disegni animati When the Wind Blows (1986), di Jimmy Teru Murakami, tratto dal romanzo a fumetti di Raymond Briggs: un enigmatico attacco nucleare sulla Gran Bretagna da parte dell’Unione Sovietica mostrato dal punto di vista di un’anziana coppia inglese che vive in campagna e morirà lentamente di avvelenamento da radiazioni. Il secondo è Avatar, il campione d’incassi di James Cameron del 2009, un film di fantascienza che, oltre che essere in fondo per ragazzi (o per adulti dallo spirito molto “fanciullesco”), è per lo più in animazione, visto che tutti i suoi scenari e buona parte dei suoi personaggi, i giganti blu di Pandora e le altre forme di vita del pianeta alieno, sono realizzati in CGI. Avatar, che per altri versi è una fotocopia del canovaccio della vicenda di Pocahontas, dei conquistadores e dell’appropriazione del Far West da parte dei bianchi sui nativi americani, rispetto al nostro tema è la storia di una migrazione di massa – stavolta da un pianeta, la Terra, sovrappopolato e inquinato, a un altro, Pandora, vergine e incontaminato – alla ricerca di uno «spazio vitale», la cui sola evocazione richiama memorie macabre. I fumetti sono una forma espressiva, che ha saputo mostrare con estrema incisività, in momenti diversi della sua storia, l’orrore nel quale potrebbe cadere (ed è caduta) l’umanità: nel meraviglioso romanzo L’Eternauta (1957-1959), degli argentini Germán H. Oesterheld e Francisco Solano López, Buenos Aires è vittima di una terrificante invasione aliena, disarmante profezia della dittatura che sarebbe stata instaurata anni dopo; nel giocoso Kamandi (19721978), uno degli ultimi capolavori dello statunitense Jack Kirby, influenzato dal celebre film Il pianeta delle scimmie (1968, di Franklin J. Schaffner, a sua volta tratto dal romanzo del francese Pierre Boulle), il mondo dell’estremo futuro è ripiombato nella barbarie ed è dominato da animali ultraintelligenti. Negli ultimi anni i supereroi hanno attraversato una notevole trasformazione, dopo il trauma dell’Undici settembre, e le catastrofi e gli scenari apocalittici si sono moltiplicati in varie serie. Tali scenari si sono fatti più frequenti anche al di là dell’ambito supereroico, per esempio con la serie Y: l’ultimo uomo sulla terra (2002-2007, di Brian K. Vaughan e Pia Guerra),
When the wind blows, tratto dall‘omonima graphic novel disegnata dall‘illustratore britannico Raymond Briggs (1982)
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Terminator Salvation è un film di fantascienza del 2009, quarto capitolo dedicato alla saga di Terminator
incentrata su un’epidemia che spazza via dalla faccia della terra tutti i mammiferi maschi, ad eccezione di un solo ragazzo e del suo fido scimmiotto. Abbondano anche i videogiochi post-apocalittici: fra i più recenti, a partire dagli anni novanta, sono da segnalare alcune avventure assai avvincenti, spesso e volentieri attinenti alla categoria del gioco di ruolo, ma sovente anche caratterizzati dal gameplay afferente ai codici dell’azione, come lo sparatutto in prima persona e la modalità stealth: Strife (Rogue Entertainment, 1996), Beneath a Steel Sky (Sotto un cielo d’acciaio, due capitoli, 1994 e 2009), Fallout (Black Isle Studios, quattro capitoli, 19972004), UFO: Aftermath (Altar Interactive, 2003), S.T.A.L.K.E.R. (GSC Game World, tre capitoli, 20072009), Advance Wars (Intelligent Systems, quattro capitoli, 2001-2008) e Rage (Id Software, 2011): in tutti questi giochi l’avventura si svolge in un mondo devastato o dalla guerra o dalle conseguenze di una catastrofe radioattiva, a volte da un’invasione aliena. Accanto a questo genere di ambientazione “post-“ (post-apocalittica, ma anche postmoderna) ne esiste un altro che attira milioni di ragazzi e ragazze, anche già cresciutelli, in tutto il mondo: il survival horror.
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Padre e madre del genere sono i celeberrimi Alone in the Dark (Infogrames, 1992), benché non si tratti di un gioco legato alle distopie, e soprattutto Resident Evil (Capcom, undici capitoli, 1996-2011). Il survival horror trova la sua matrice, in genere, in un’invasione di zombie dovuta a un’inspiegabile epidemia, o a volte in un’invasione aliena, dalla quale i giocatori devono difendersi e sopravvivere, in un clima perennemente ansiogeno e al cardiopalma. L’attrazione dei giovanissimi per questo tipo di narrative, siano esse legate alla lettura/visione o all’interatività, può essere spiegata attraverso due elementi entrambi afferenti alla psicologia dello sviluppo. Da un lato il fenomeno, tipico dell’età puberale e dell’adolescenza, del sensation seeking, la ricerca di sensazioni forti: non ci sono solo giovani che ricercano queste sensazioni nella velocità in auto o in moto, o in attività (fisiche, sessuali) in vario modo estreme, o nell’illegalità, o nell’alcool e nelle droghe, ma anche quelli che, per vari motivi, le vivono in maniera vicaria mediante la narratività; in tal senso, gli adulti dovrebbero preoccuparsi molto di più delle ragioni – che non nascono solo dalla fascinazione affabulatoria – che portano i ragazzi a passare le ore di fronte
a una sessione di Resident Evil, piuttosto che delle fantomatiche ripercussioni psicomotorie ed educative dei videogiochi. Dall’altro lato v’è chiaramente la necessità, primaria e ancestrale, di bambini e di ragazzi, di affrontare in termini simbolici e allegorici le proprie paure: in una fase storica nella quale è sempre più raro trovare genitori che capiscano che la paura, anche forte e traumatica (anzi, specialmente quella forte e traumatica) è per i loro figli un momento importante di crescita e di venuta a patti con i propri timori interiori e che non va aggirata sulla base della necessità di proteggerli, le nuove generazioni soddisfano questa necessità psicologica in altro modo. Ecco il perché dei tanti film e videogiochi dell’orrore, il cui impatto emozionale in termini di paure non è affatto superiore, pur nella diversità d’approccio, a quello delle fiabe classiche. Hansel e Gretel, Pollicino, Barbablù sono racconti horror in cui, proprio come nei videogiochi apocalittici, la morte è protagonista; e proprio la morte è una paura dominante del bambino e del ragazzo, checché ne pensino i genitori: insieme alla paura dell’abbandono (meccanismo psicologico di cui queste narrative, sia videoludiche sia di altro tipo, si sono appropriate e che usano benissimo), la morte è la ur-paura dei giovanissimi. Credo che in questo contesto l’attenzione alle tematiche ecologiche sia estremamente secondaria: certo nella scelta delle ambientazioni v’è, a livello superficiale, l’influenza dei discorsi contempora-
nei sull’inquinamento, sulla pericolosità dell’energia atomica e sull’estinzione di sempre più specie animali, ma vi sono nodi psicologici più profondi e inestricabili. Un’ultima e fondamentale ragione del successo presso i ragazzi degli scenari apocalittici e da dopobomba trova la sua origine, a mio avviso, in una forte crisi generazionale legata sia a un contrasto più pronunciato con la cultura degli adulti sia alla percezione emotiva, prima ancora che intellettuale e documentata, di una carenza o assenza di futuro. Il dibattito pubblico di questi anni sulle «generazioni perdute», sul precariato lavorativo che colpisce i giovani, sulla presunta degenerazione morale, intellettiva e culturale delle nuove leve di ragazzi, è stato a mio parere uno degli elementi che hanno portato al rinnovato successo di storie nelle quali l’intera popolazione mondiale (per lo più adulta) viene sterminata, e solo un manipolo di giovani detiene la chiave della sopravvivenza e della rigenerazione dell’umanità. Nella fantasia di potenza dei giovani fruitori di queste storie, l’idea di un tabula rasa generale del genere umano adulto è uno scenario fortemente consolatorio e catartico, un luogo della mente nel quale vi sia finalmente lo spazio vitale perché le giovani generazioni possano esprimersi liberamente senza l’oppressione adulta. Un’uccisione del padre quasi edipica che, in mancanza di un altro Sessantotto, trova sfogo fra le pagine dei nuovi romanzi di fantasie del dopobomba, nelle immagini delle serie e dei film catastrofici di nuova concezione e fra i pixel dei videogiochi post-apocalittici e horror.
Ken il guerriero, viene pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1983
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Apocalypse… online
sono un’asserzione che riguarda Hollywood il futuro, l’indimostrabilità scienIn primavera ero a Uxmal, uno tifica di tale asserzione e l’indei noti siti archeologici maya tervento divino, che, però, nel nello stato dello Yucatàn in Messignificato per estensione, è assico. La guida che mi accompadi Alice Manfredi sente. Sia che si consideri la degnava ha esordito dichiarando finizione più ristretta che quella di essere diretto discendente dei allargata, parlando di Internet gli Maya, “al cento per cento” ha esempi abbondano. precisato. Così, al termine della Per quanto riguarda i siti che prebella visita, non ho potuto tratsentano profezie di tenermi dal porgli origine divina, le la fatidica domanpagine dedicate da: “Ma, e la fine alla nota presunta del mondo?”. Lui, previsione maya sorridendo gentilnon sono certo mente, ha rispoisolate e probabilsto laconico: “Holmente nemmeno lywood”. predominanti. Al Sicuramente Holcontrario, profelywood ha fatto zie di vario genere della presunta prosono ospitate da fezia maya sulla molti siti di imfine del mondo un pronta religiosa, leleitmotiv. E questa gati a una fede per non è che la punta nulla esotica o londell’iceberg. Gran tana nello spazio parte dell’industria e nel tempo come dell’intrattenimenquella maya. Per to, e il mondo delesempio, <www. la cultura in senso Il sito archeologico Maya di Uxmal lultimopapa.it> e lato, hanno prodotto negli ultimi anni una mole imponente di contenuti <www.profezia.net> sono interamente e dichiarasul tema. Film, documentari, canzoni, serie televisi- tamente votati alla trattazione di questi messaggi. Il ve, libri, programmi scientifici o pseudoscientifici, primo si presenta così: “sito dedicato all’imminenpubblicità, videogiochi, giochi di ruolo, fumetti. Tutti te fine del mondo secondo la Profezia dei Papi, che questi materiali – e sicuramente anche altri che ora come vedremo indicherebbe Benedetto XVI quale mi sfuggono – sono “precipitati” nel web. Per inte- ultimo Papa della Storia”. Segue un prospetto – siro, o frammentati, oppure recensiti e commentati. Di mile in tutto ai bollettini del rischio meteorologico o valanghe – in cui è indicato il livello di allerta per la certo ci sono. Perché se è vero che su Internet c’è un po’ di tutto, è fine del mondo. Nel secondo si espongono invece le anche vero che in particolare le profezie trovano qui profezie della Bibbia, con video e testi di approfonterreno fertile. Non che gli internauti siano creduloni. dimento. Ma, oltre ai siti interamente costruiti allo Al contrario. Le profezie prosperano online perché scopo di diffondere e talvolta discutere profezie, esise tanti navigatori le sostengono, ce ne sono almeno stono anche siti-portali dedicati a specifiche religioni, in cui alcune sezioni contengono un compendio altrettanti che si adoperano per criticarle o negarle. di questi “messaggi divini sul futuro”.Nondimeno Internet è un luogo dove prosperano profezie di altro Profezie online Secondo il Dizionario della Lingua italiana, Sabati- tipo, previsioni che rispondono alla definizione per ni Coletti per profezia s’intende “l’espressione, per estensione del termine. Non caratterizzate dunque bocca umana, di un messaggio divino, talvolta pre- da una rivelazione divina, ma frutto di una previsioannunciante eventi futuri”. Per estensione è la “pre- ne umana. Abbondano le profezie pseudoscientifidizione di avvenimenti futuri, basata su una pretesa che e quelle tecnologiche. L’esempio per eccellenza ispirazione o su osservazioni astrologiche, ovvero su è l’allarme creatosi intorno al cosiddetto “Millennium bug”, che per certi versi assunse i contorni di una una personale visione di quanto accadrà”. Dunque gli elementi che caratterizzano la profezia profezia. Conosciuto anche come Y2K, con questa
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espressione si indica il difetto informatico (bug) che si sarebbe dovuto manifestare al cambio di data successivo alla mezzanotte del 31 dicembre 1999, sia nel funzionamento dei personal computer sia in quello dei grandi elaboratori. Principalmente, il rischio derivava dalla possibilità che fossero ancora in uso rappresentazioni sintetiche della data, con le sole ultime due cifre per indicare l’anno. Si diffusero previsioni catastrofiche per l’economia o la salute, quali ad esempio il blocco delle centrali elettriche e nucleari, istituti bancari e reti di telecomunicazione. E, anche se ingenti risorse furono stanziate per prevenire i problemi, sulla rete, e non solo, si diffusero allarmismi e paure circa la fine di un mondo informatico e tecnologico per come lo avevamo conosciuto. Dopo dodici anni un allarme più vasto si è impossessato della rete. Questa volta, secondo i più pessimisti, non è la tecnologia ad andare verso fine sicura, ma il mondo intero. Il tema “fine del mondo” – in concomitanza con il 21 dicembre 2012 – è diventato nel tempo un agglomerato indefinito e quasi mostruoso di significati. Per iniziare, c’è la presunta profezia divina dei Maya. Ovviamente i Maya non hanno mai espresso una simile profezia, come ormai quasi tutti abbiamo capito. Eppure l’interpretazione new age quanto meno forzata delle caratteristiche di un loro calendario ha assunto forza propria e notorietà sconfinata. Oltre a quella attribuita ai Maya, altre profezie – questa volta nel senso per estensione del termine – vanno ad accrescere il leitmotiv “fine del mondo”. Molte sono legate a considerazioni scientifiche o presunte tali. Pericoli seri, come il riscaldamento globale, o meno seri, come l’inversione dei poli, vengono dunque additati come possibile fattore scatenante di un’imminente fine. Altre si nutrono di considerazioni storiche: la paura per la diffusione di zone di guerra sempre più vaste o il proliferare del nucleare vengono chiamati in causa. Per non parlare delle catastrofi naturali. In questo insieme di allarmi, non poteva mancare un richiamo alla vita extraterrestre. C’è, infatti, chi su Internet, per gioco o seriamente – spesso non è dato saperlo – sostiene l’imminenza di un attacco alieno. I mezzi di diffusione di queste teorie sono i prodotti culturali più diversi, film e libri in primis. Ma su Internet lo spazio per questo tema è praticamente illimitato e i “veicoli” si moltiplicano: ci sono siti, forum, video, commenti. Ed è veramente difficile tracciare confini e individuare gli elementi portanti di questa struttura di significati.
mancanti alla fine del mondo. È da notare che non si tratta di un caso isolato: questo tipo di strumento sembra suscitare un fascino particolare. Tra gli articoli spicca la recensione dell’attività di un’azienda (la Vivos) che si dice essere impegnata nella costruzione di bunker di lusso negli Stati Uniti per sopravvivere alla fine del mondo. La Vivos è, tra l’altro, dotata di un sito proprio (<www.terravivos.com>) che vale davvero la pena di vistare. Immagini e video che ritraggono l’interno dei bunker; slogan che invitano i visitatori a non perder tempo e a prenotare uno spazio per sé e per la propria famiglia; una musica da film apocalittico. L’effetto è, a dir poco, surreale. Tornando invece a <www.finedelmondo-2012.com> colpisce senza dubbio la mole di pubblicità che il sito ospita. Un po’ ovunque ci sono banner di ogni tipo
www.finedelmondo-2012.com Emblematico è il caso del sito <www.finedelmondo-2012.com>. Qui si trovano articoli sul tema, documentari, riflessioni degli utenti. Per non parlare di un contatore che indica giorni, ore, minuti e secondi
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e finestre che pubblicizzano questo o quel prodotto. Nessuno escluso Il sospetto che l’intera operazione sia una ben con- Ad alimentare il chiacchiericcio attorno al tema non gegnata trovata pubblicitaria è difficile da ignorare. ci sono però solo prese di posizione personali, siti di dubbia attendibilità e voci non accreditate. Il fatto Da YouTube ai social network è che anche voci autorevoli dentro o fuori Internet Online ci sono però anche altri luoghi meno strut- hanno trattato questo tema. Chi per analizzarlo e doturati di quelli finora descritti in cui trovare il tema cumentare lo smisurato interesse suscitato, chi per “fine del mondo” accompagnato spesso da am- criticare e destrutturare le teorie apocalittiche. In repie discussioni. Ci sono i blog – un esempio è altà però, anche la critica da parte di questi soggetti <www.profezie2012.myblog.it> – e c’è YouTube. autorevoli ha dato ulteriore cittadinanza e legittimità Youtube merita, per quantità di materiali e per origi- alla teoria “fine del mondo”. nalità, un discorso a parte. I video sulla presunta fine Wikipedia, ovviamente, vi ha dedicato una sua pagidel mondo sono moltissimi. Ci sono documentari, na, con la trattazione di tutte le teorie apocalittiche e clip tratte da serie televisive, video casalinghi. I più i più svariati riferimenti a film, libri e altri contenuti. I consentono i commenti e, dato il tema e il mezzo, gli canali televisivi – come National Geographic, Discointerventi sono i più vari. Affermazioni serie, prese in very e History Channel – hanno inondato le loro prigiro, farneticazioni, insulti. C’è di tutto. Tra i sosteni- me serate con documentari a tema, che si ritrovano tori della fine del mondo, alcuni sono channeliests, per intero o a pezzi online. ovvero singoli che alimentano propri canali su You- Ma sul tema “fine del mondo” è sceso in campo Tube con video autoprodotti. Per lo più si tratta di anche un soggetto insospettabile. La NASA ha pubriprese di un individuo che di fronte alla telecamera blicato sul suo sito nella sezione FAQ (Frequently lancia messaggi di allarme alla collettività. Diversi Asked Questions) un lungo articolo sul perché il sostengono di aver ricevuto indicazioni direttamente mondo non finirà, trattando punto per punto le teorie dagli alieni o da altre entità soprannaturali. In alcuni apocalittiche. Dall’inversione dei poli, al pericolo delcasi i commenti sono attivi e qui il dibattito è vivace. la collisione con il temuto per quanto mai osservato In altri vengono disattivati dagli autori degli stessi fil- pianeta Nibiru. mati. Con buona pace della sbandierata libertà d’e- Dal pericolo meteoriti a quello di un rischioso allineaspressione su Internet. Tra i video caricati su YouTu- mento dei pianeti. Non si sono fatti mancare nulla. La be che negano l’apocalisse alcuni sono creativi. C’è presunta profezia sulla fine del mondo è veicolata da per esempio il video animato “2012 & The End of the numerose voci. Ovunque, ma online in particolare. World” firmato CGPGrey e “It’s not the end of the Poche sembrano animate da una vera “credenza”. La world” di Charlie McDonnell. Charlie conclude il suo maggior parte sono mosse da altri interessi come la monologo con un consiglio davvero di buon senso: critica costruttiva o distruttiva la prese in giro, la pub“Negate sempre l’Apocalisse perché di solito avrete blicità o comunque la volontà di far fruttare l’interesragione, e se avrete torto non ci sarà nessuno in giro se per il tema. E poi c’è sicuramente l’attrattiva per a farvelo notare”. Anche i social network partecipano l’audiance che questo argomento riesce a generare. attivamente alla mania di trattare in qualche modo In altre parole, il nucleo tematico “fine del mondo” il tema “fine del mondo”. Oltre alle discussioni de- sembra destinato a continuare ad autoalimentarsi e gli utenti, ci sono giochi e altre iniziative. Per esem- crescere, anche se forse nessuno ci crede davvero. E pio, su Facebook va forte l’applicazione che porta un Internet, luogo in cui i mezzi e le voci sono esponennome inequivocabile: “fine del mondo”. ziali, ha un ruolo fondamentale in questo processo.
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Leon Festinger, Henry W. Riecken, Stanley Schachter, Quando la profezia non si avvera, Bologna, il Mulino, 2012 Estate 1954, in una cittadina del Kansas Marian Keech sostiene di aver ricevuto un messaggio dagli abitanti del pianeta Clarion: un diluvio devasterà la Terra il 21 dicembre, ma quanti avranno creduto a quel messaggio saranno portati in salvo dagli alieni sui loro dischi volanti. Alcuni collaboratori di Festinger si mescolano al gruppo di adepti riuniti con Marian in attesa della fine del mondo e ne osservano le dinamiche psicologiche, prima e dopo il 21 dicembre, quando la profezia non si avvera. Un esperimento grazie al quale Festinger mette a punto un concetto fondamentale della psicologia sociale, quello di «dissonanza cognitiva», che spiega cosa accade quando le nostre convinzioni vengono smentite dai fatti e perché in certe condizioni, anziché abbandonarle, le abbracciamo con maggior fervore.
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Oltre la fine
frammentato di un evento. E Volendo individuare un autore lo scrittore definisce il ragazzo, e un testo profetico che simboraccontare e scrivere peraltro, fortemente razionale lizzi una sorta di fine del mone con uno spirito organizzativo la Shoah do, lasciando comunque una notevole, aspetti che gli convia alla speranza umana nelle nella testimonianza sentiranno di rafforzare il senso sue varianti tragiche e conflitdi David Grossman delle sue connessioni interpretuali, il pensiero si colloca sulla tative. lunghezza d’onda dell’israeliano di Stefano Chemelli In verità, una vicina di casa, BelDavid Grossman che, nel 1986 e la Markus, aveva già pronunciaattorno ai suoi trent’anni, scrive to per la prima volta in sua prequello che può ritenersi il suo casenza il sinistro suono verbale polavoro: Vedi alla voce: amore. della “belva nazista”, alla quale Nella sezione conclusiva del teaveva abbinato l’esistenza di sto il narratore offre al lettore un mostro avvolto nel mistero. un’articolata voce enciclopediMa l’arrivo del nuovo nonno lo ca, richiamandolo a strutturare porta all’ascolto di altre parole, un originale percorso etico ed links rechts, che emergono neestetico, e ripercorrendo insiegli incubi notturni del padre, e me a lui, attraverso la pronuncia che ravvivano il suo desiderio approfondita delle parole chiave di sapere da Bella Markus il sidel romanzo, una personalissignificato di quei termini: Bella ma strada di conoscenza, lascialo avrebbe liquidato dicendogli ta comunque alla gelosa singolache la “belva nazista” poteva verità di ognuno. nir fuori da ognuno di noi, poSe il tema è l’identità straziata teva venir fuori da qualunque del popolo ebraico, la visuale Lo scrittore israeliano David Grossmann bestia. dello scrittore è ben più ampia e giocata, nello straordinario avvio, con la rifrazione L’ambiguità di quella risposta è l’ambiguità della degli occhi del bambino Momik. Costui, nove anni, parola letteraria, che apre un orizzonte variegato e vive in un quartiere di Gerusalemme dove improv- complesso, e si configura come il campo di ricervisamente ricompare un fratello della madre, scom- ca del bambino, sviluppando il suo punto di vista e parso all’epoca dello sterminio nazista e per questo aprendo l’orizzonte narrativo verso immagini straordinarie dell’infanzia. Come, solo per fare un esemcreduto morto. Siamo nel 1959, l’uomo si chiama Anshel Wasser- pio, quando Gerusalemme è tormentata da un vento mann ed è reduce da un prolungato ricovero in un impetuoso, l’aria si fa elettrica, e Momik instaura una connessione tra l’intensità dei pedali della macospedale psichiatrico; è vecchio e più che uno china da cucire, pigiati da sua mazio, per il bambino, diventa un nonno dre, e lo sferzare del vento speciale, con la peculiarità di non sulla città. La deformaziostare mai fermo e di emettene delle cause potenre una cantilena frammizia la nostra percesta a parole yiddish zione del reale, atche attirano in partitraverso l’adesione colar modo la sua dello spazio e del attenzione. tempo, in un’atmoIl terribile dramsfera di magia che ma della Shoah, di diventa credibile cui l’uomo ha fatto mediante gli occhi della esperienza diretta, è per mente di Momik. gran parte esterno alla Un’altra donna, Hannah consapevolezza di MoCitrin – una vedova con mik, che sarà proteso a il marito vivo, ipotizza ricostruire, con il sapore Momik, perché lasciata – della scoperta imprevista aveva avvertito, quanto il e tramite la forza della sua bambino, la delicatezza inimmaginazione, il quadro
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teriore del nonno nel momento in cui si era seduta accanto a lui e osservato quei numeri impressi indelebilmente sulla sua pelle, quasi fossero stati fissati dall’interno (immagina il bambino). Momik cerca una possibile verità riguardo la “belva nazista” documentandosi, leggendo molto, radunando i frammenti fuggenti di un’inquietudine che si sta trasformando in un’ossessione. Concepisce il proposito di imprigionare nel ripostiglio di casa sua una serie di animali: un gatto, un piccolo corvo, una lucertola, un rospo, una tartaruga, un porcospino, e lì portare il nonno in modo da indurre la “belva nazista” finalmente a svelarsi. In una sorta di parossismo nevrotico, teso a scoprire l’identità di ciò che è ancora sconosciuto, ben presto si rende conto che sono le bestie condotte con sé a trasformarlo in una specie di carnefice, mentre si concentra sopra un nemico che non si rivela. Il ripostiglio è uno spazio topico dell’infanzia e della curiosità che la contraddistingue. Adempie alla funzione di esplorazione del nuovo e di conferma della propria identità. “Aveva sempre avuto paura di scendere laggiù per via del buio e del sudiciume, ma questa volta proprio doveva. Laggiù tra i grandi letti di ferro e i materassi da cui sgocciolava la paglia, e tutti i mucchi di vestiti e scarpe, c’era anche il chipat di nonna Heni, che è una specie di cassone chiuso per bene, con dentro tutti i vestiti e le cose che lei aveva portato di lì, e un libro di preghiere, che si chiama Zenaurena, e il grande asse su cui lei preparava la pasta, e quello che era più importante c’erano lì tre sacchetti pieni di penne prese dal culo delle oche, che quelli nonna Heni li aveva portati con sé per mezzo mondo in nave e in treno e in mezzo ai più grandi pericoli, soltanto per fare un’imbottita qui in Israele, per non avere freddo ai piedi, nu, e arrivata qui che cosa era saltato fuori, era saltato fuori che zia Itka e zio Shimek, che erano venuti qui prima di lei e s’erano subito arricchiti, le avevano già comprato un’imbottitura doppia di penne d’oca e queste penne erano restate nel ripostiglio e subito avevano preso la muffa e un mucchio di porcherie simili, ma una cosa così da noi non la si butta nella spazzatura, e quel che più conta è che dentro il chipat laggiù c’era un quaderno con tante cose che la nonna ci aveva scritto in yiddish, una specie di memorie che aveva avuto quando ancora aveva memoria, ma Momik si ricordava anche che una volta, prima che lui imparasse a leggere, e prima che diventasse lui stesso un alter kap, e cioè una testa di vecchio saggio, la nonna gli aveva fatto vedere una pagina di giornale vecchio vecchio, e lì c’era scritto un racconto, che un fratello di nonna Heni, quell’Anshel, aveva scritto cent’anni fa (circa), e la mamma s’era arrabbiata con la nonna che
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rompeva il cervello al bambino con robe finite da un pezzo”. L’allontanamento dalla memoria giunge alla rimozione di una storia terribile: non se ne parla e in questo modo si pensa di poter creare un futuro; il problema della memoria incrocia il suo rapporto con l’oblio. Per vivere certe cose bisogna saperle dimenticare. Momik appare come colui che lotta per intendere la parola “c’era”, in una ricerca che coltiva la storia a scopo di vita: immerso in una storia di storie, sovrastata da un immane e oppressivo ricordo, ma animata da una forte capacità di sentire, in modo non storico. C’è un quaderno e all’interno una pagina di giornale, piuttosto malconcia, che chiede di essere riscritta su un altro foglio per essere conservata, e custodita in quello che il bambino definisce il suo quaderno di spionaggio. È il quaderno dove annota le sue profezie, le scoperte, le curiosità, le attenzioni, i suoi particolari dettagli. La pagina è un frammento della storia, nella quale ci sono alcune avventure di ragazzi raccontate in uno stile anni venti, con vicende dislocate in un altro tempo, ma nella testa dei bambini gli eventi temporali si mescolano, si confondono: il passato è per loro anche presente che si rivela ed entra in coabitazione e in convivenza con i fatti dell’attualità. L’emozione e il processo di conoscenza prendono corpo nell’atto della lettura e della scrittura di un frammento che fa parte di un tutto. Il fascino del frammento – lo sapevano bene i romantici tedeschi – è quello di alludere a un insieme ed è un problema esistenziale che emerge. Noi stessi ci sentiamo frammento, composti di tante parti diverse, con un “Io” lacerato e drammatico, mentre la nostra identità cambia, modificando l’interpretazione del nostro passato e la percezione del presente. Momik compie un esercizio di scrittura che comprende molti di questi passaggi spesso enigmatici. Il bambino percepisce dai più grandi, e soprattutto dal nonno, il senso profondo della cantilena, collega un nome che ricorre nello scritto all’interlocutore che non si può vedere e con il quale il nonno discute. È un esercizio d’ascolto: ha capito che il nonno sta raccontando una storia che in qualche modo lo possiede. Il bambino incorpora un sesto senso per ciò che si trasmette attraverso la mera sonorità, l’intonazione che ci consente di capire i significati, il non detto che sta dentro e tra le parole. David Grossman esprime la magia della parola, a partire dalla lettura del bambino che si forma nell’estasi gelosa e sigillata della sua individualità, attraverso la scoperta del linguaggio scritto. Sono sensazioni artigliate nello scrigno della memoria con una particolare luce. Momik compie un’operazione profonda: le iscrizioni in codice possono servire a vivere
in prima persona in senso immaginativo e pratico. Il linguaggio ricrea un’esperienza, dando forma a una ricerca di senso esplorando l’intuizione di una realtà possibile, in un gioco di progressiva e dolorosa appropriazione di una parte della multiforme «verità». Momik è un lettore che all’inizio «non ci capiva quasi nulla di nulla, ma come sempre sapeva che il cervello sarebbe venuto col tempo»: è una straordinaria immagine che rende visibile ai nostri occhi un processo di formazione, una specie di assimilazione, di incorporazione, secondo una metafora antica. È il rapporto tra il raccontare e il vivere che domina Vedi alla voce: amore. Lo scrittore adulto va a sua volta alla ricerca di certi segreti, come aveva fatto nella sua infanzia, e il problema del raccontare la storia diventa un fatto di vita e di morte, ripercorrendo le vicende del nonno che si svelano nel tempo. La misura di umanità di un essere umano consiste nella quantità di sofferenza che quell’essere umano è riuscito a diminuire, anche se sappiamo – a volte – che nella sofferenza capita di sentirsi in un certo senso più vivi. Dal passato emergono insegnamenti che toccano problemi odierni, e la letteratura veicola domande per le quali cerchiamo risposte nel processo complesso della lettura. Lo sterminio nazista lo conosciamo perché ci sono documenti, testimonianze, elementi materiali, filmati, ma spesso sono i libri che ci riconducono nel vivo della storia, mediante l’immaginazione e le sensibilità personali. La trappola per la “belva nazista” si trasforma in una ragione di vita e di morte, nella tensione di una veglia che si protrae nella lotta contro il sonno, e Momik si trasfigura come il nonno in una storia che immette in un parossismo amplificato, con il rischio di essere annientato sul sentiero della ricerca, divenuta ormai un incubo. Nell’immagine della totale immersione della mente, nel percorso di documentazione sulla drammatica consapevolezza della Shoah, usciva ogni giorno alle sei di sera dalla biblioteca, «stanco morto e zitto», e «non vedeva nulla e non sentiva nulla», mentre si recava sulla via di casa per raggiungere il ripostiglio, dove, al cospetto delle bestie, è una presenza immobile, esecutore e vittima, dominus e carnefice. La “belva nazi-
sta” sarebbe venuta fuori “dai pensieri e dalle fantasie”, in modo misterioso ma concreto, provenendo da un tempo lontano, e sarebbe maturata lentamente molto prima, nel cuore di un’umanità smarrita e trasfigurata. Momik nel ripostiglio riduce la sua essenza al senso dilatato di due enormi occhi: “gli correvano da tutte le parti […] gli s’erano rivoltati del tutto come quelli del gatto, e le mani gli passavano sulle gabbie e aprivano i fildiferro delle serrature, e un’altra volta lui s’era voltato indietro e aveva visto la piccola borgata ebraica che s’era creata lì, e poi era restato lì così senza muoversi e aveva visto come il corvo e la lucertola e tutti gli altri cominciavano a uscire piano piano dalle casse, non capivano cosa fosse successo e non ci credevano che ecco, tutto fosse già finito, ma gli ebrei sì che avevano capito benissimo e subito s’erano alzati dal pavimento e s’erano stretti insieme voltando le spalle alle bestie e parlavano tra loro a voce bassa e in tono preoccupato […] non si poteva immaginare che a quattro passi di lì ci fossero una città e della gente e dei libri e Momik che già si credeva morto o giù di lì aveva chiuso gli occhi […] ma quando aveva riaperto gli occhi e li aveva visti intorno a lui o sopra di lui che erano alti e antichi e lo guardavano con compassione, allora aveva già saputo benissimo con tutto il cervello di un alter kap di nove anni e mezzo, che lui nessuno l’avrebbe più potuto raccomodare”. La tragedia può ripetersi senza un’adeguata comprensione del passato, che torna in forme nuove a proporre le sue domande, a interrogare gli uomini che intendono costruire giorno per giorno il loro destino. La ricomposizione di un mondo distrutto, che si compie nel dolore di coloro che rimangono, possiamo comprenderlo cercando di non dimenticare, con la parola scritta e pronunciata a voce alta, con immagini che diventano nostre, in quanto contribuiamo a costruirle, scongiurando un orrore che MomikGrossman esplica per tempo con metafora straordinaria: «aveva sentito da dentro il silenzio ronzare tutt’a un tratto la voce del Nonno come ronzano i pali del telefono», nel momento che prelude al primo ascol-
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to consapevole di ciò che è accaduto. Ma ascoltare non basta, è indispensabile raccontare e scrivere, tramandare una parola che rimane, conoscere a fondo per poter far conoscere. Grossman supera il semplice ricordo, dà una forma nuova a ciò che sembrava inenarrabile, indicibile, con una propria lingua individuale, un proprio «istinto narrativo». Il romanzo salva la memoria, costituisce un propellente espressivo peculiare che investe l’ethos di ognuno, come lasciano intuire alcuni pensieri misti dell’autore: Io immagino. L’atto stesso di immaginare mi ridà vita […] Riuscire a captare per un solo istante il filo incandescente che brucia dentro qualcun altro” è prerogativa della sua scrittura e del modo speciale di raccontare il mondo bambino. Momik non potrà accontentarsi di ricostruire la storia del nonno, ma dovrà raccontarla e scriverla nell’intento di tramandarla alle prossime generazioni. Grossman affianca il nonno, lo accompagna nella storia allo scopo di capirla, dialogando a distanza con lui, ma accoglie diversi punti di vista. Si tiene conto delle diverse storie personali che la compongono, delle angolature di coloro che rappresentano l’oppressore e il motore della tragedia. Nelle voci dell’enciclopedia si schiude il senso del libro, nella speranza di non incontrare la ferocia della guerra, avendola raccontata con la profondità del romanzo capace di narrare il dolore del mondo e nel tentativo
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costante di rispondere alla domanda: “Chi sono io?”. Spesso sono le domande più che le risposte che contano. “Chi sono?” è la domanda che un’altra vittima del nazismo, il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, rivolge a se stesso nel carcere di Tegel, scrivendo una poesia a un amico, ma è un interrogativo che si propaga come un urlo di dolore attraverso tutta l’umanità. La domanda-risposta interroga la coscienza dell’uomo. La conclusione della vita, la profezia del male assoluto, può avere la voce terribile della Shoah, per la quale il filosofo Adorno aveva evocato l’impossibilità da quel momennto in poi di comporre poesia. Momik, le storie di Grossman, ci consentono di vivere con lui il sentimento dell’orrore andando oltre. La Shoah rappresenta una sorte di fine del mondo, un tempo sospeso e irrisolto nel nome di una tragedia umana e terrena letta nella ricerca di una verità possibile da parte di un bambino. Vittime e carnefici possono conoscere una singolare vicinanza, nel destino precario del personale annullamento e nella discesa verso l’ignoto e l’indistinto. Eppure Grossman, con la lingua madre dell’identità ebraica nella quale scrive la sua poetica, spiega il dramma, in direzione della speranza, fissando la memoria. Vedi alla voce: amore, nell’esistenza cruda e trasfigurata di un’ossessione latente, ricuce nel tempo il significato profondo della nostra presenza quotidiana nel mondo, verso un’eco praticabile di redenzione.
Il digitale che verrà…
Quale sarà il futuro della biblioall’introduzione della carta d’iteca, in un mondo che si muove dentità elettronica e della tessera apocalisse o rinascita sempre più verso il digitale? sanitaria dotata di chip. Il mondo Da un lato, le biblioteche non digitale si sta affermando. per le biblioteche? sono considerate servizi essenChe ce ne facciamo delle biblioteziali: in caso di sciopero non vi è che? Servono, serviranno ancodi Elena Corradini l’obbligo di apertura. La maggior ra? Perché ne stiamo progettanparte dei servizi offerti fa parte do e costruendo ancora? della mission istituzionale e non Forse ci può rispondere un giovapuò essere tariffata (come è giune di oggi, diciamo un ventenne sto che sia). Le biblioteche non che utilizza il web per informargenerano, quindi, introiti quansi sulle ultime notizie; chattare tificabili che possano motivarne l’apertura in caso con Facebook, o telefonare agli amici con Google, di pesanti riduzioni delle risorse. Il personale che Skype, o altro; avvisare di essere arrivati nel luogo garantisce i servizi al pubblico è destinato a essere dell’appuntamento tramite Foursquare; fare acquiprogressivamente ridotto per mancanza di possibili sti online in famiglia pagando via web; iscriversi ai sostituti in caso di assenze all’interno delle strutture. più disparati corsi; fare foto e caricare immagini e Il servizio, per garantire il numero di ore di apertura video da smartphone su YouTube, Flickr, Instagram; settimanali previste, potrà nel migliore dei casi es- ma anche condividere le proprie letture con gli amici sere “esternalizzato” (senza che vi sia una garanzia su social network come LibraryThing e aNobii. Forsulla qualità dei servizi, ma sulla carta meno costo- se questo è l’esempio di un lettore forte, non di un so di nuove assunzioni, peraltro impraticabili con le lettore debole. Ma questo lettore forte come ci derestrizioni sulle spese correnti degli enti pubblici). I scriverebbe una biblioteca fra trent’anni? Proviamo costi di gestione aumenteranno se si vorranno man- a immaginarlo in una visione apocalittica, nel caso in tenere determinati livelli di servizio. Poche ammini- cui la crisi attuale non porti a una futura crescita, ma strazioni saranno in grado di provvedere. Il rischio, a una nuova “razionalizzazione” dei servizi, e dunque pertanto, è che le biblioteche chiudano o che non l’utenza delle (tante) periferie – ma forse non soltansiano fruibili. Dall’altro, da tempo ormai, si sa, le in- to delle periferie – debba assistere alla chiusura anformazioni viaggiano sul web. E non solo, anche la che dell’ultima biblioteca rimasta, prima che vi sia musica, i video, e da qualche anno i libri. Qualche stato un ripensamento della funzione della biblioteanno fa ne arrivava notizia soltanto dall’estero, ma ca, quindi (purtroppo) non più in tempo per conserda tempo sono presenti anche sul mercato italiano varne intatta la mission di luogo nel quale e attravere lo saranno sempre più. I dispositivi di lettura digi- so il quale l’individuo può far crescere i propri talenti. tale si sono diffusi rapidamente. Il mercato editoriale Dal diario di Paolo, 21 gennaio 2042. tradizionale ha seguito con apprensione l’evolversi Oggi ho portato mio nipote in biblioteca. O meglio, della situazione, ma non riuscirà più a invertire la rot- davanti alla biblioteca. Non era aperta, ovviamente. ta. Infine, anche la Pubblica Amministrazione si sta L’hanno chiusa molti anni fa. Tutti i bibliotecari erano avviando all’implementazione del digitale: si pensi andati in pensione e l’ente non ha potuto sostituirli
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Emilio Gentile, L’apocalisse della modernità: la Grande Guerra per l’uomo nuovo, Milano, Mondadori, 2008 La Grande Guerra ha rappresentato il vero spartiacque del ventesimo secolo: mentre un vecchio mondo si estingueva per sempre, la carneficina di milioni di soldati, gli orrori e le sciagure di un conflitto estenuante inaugurarono quella che Eric J. Hobsbawn ha chiamato “l’età della catastrofe”. A novant’anni dalla fine della prima guerra mondiale, Emilio Gentile, uno dei più autorevoli storici italiani, ricostruisce il contesto sociale, culturale e antropologico entro il quale maturò una delle più tragiche esperienze del Novecento. Con il Trattato di Versailles l’intera geografia europea fu ridisegnata secondo la volontà dei vincitori, ma gravi e di lunga durata furono le conseguenze a livello politico e ideologico: le rivendicazioni territoriali, la corsa al riarmo e la militarizzazione di massa della società saranno alcuni dei principi cardine attorno ai quali costruiranno il proprio consenso regimi dittatoriali come il fascismo e il nazismo. Al pari di altri grandi storici della contemporaneità come François Furet, anche Gentile ritiene che sia stata la Grande Guerra, con il suo carattere di profonda cesura tra un “prima” e un “dopo”, a concludere la parabola della modernità.
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per mancanza di fondi e per il blocco delle assunzioni. Una volta spariti i bibliotecari, sono spariti anche i servizi. Un vero peccato. Io la frequentavo quasi tutti i giorni. L’ho fatto per quarant’anni, da quando ero piccolissimo. C’era sempre un libro nuovo da leggere. O una rivista nuova da sfogliare. O un DVD da vedere. E riuscivo sempre a scovare qualcosa di interessante, di inaspettato, che mi faceva pensare. Alle elementari mi avevano anche fatto vedere come si scriveva ai tempi antichi e avevo visto con i miei compagni di classe alcuni libri antichi. E le carte d’archivio. Anche i miei figli hanno avuto questa possibilità, sono stati fortunati. Ma mio nipote no. Chissà, forse in futuro. A me piacevano molto i libri di viaggio. Quelli non si trovano quasi mai su Internet. Certe cose sul web non le trovi, ci vuole troppo tempo. Soltanto chi ha tempo o fa ricerche per lavoro sa scovare anche
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l’impossibile, come sapevano fare loro, i bibliotecari, quelli veri intendo. Non quelli che negli ultimi anni li hanno sostituiti. Gente sottopagata, quindi poco motivata. Dopo qualche mese se ne sono andati perché hanno trovato un posto migliore. E così il destino era segnato. Chiusura totale. Ci hanno detto: tanto trovate tutto su Internet, ormai. La carta non serve più. C’è il digital publishing. Il self publishing. Il print-on-demand. Da anni. A che cosa vi serve una biblioteca? Non è andato secondo i piani. All’inizio riuscivamo a cavarcela. Poi Google è fallita qualche anno fa e si sono fermati tutti i progetti di digitalizzazione mondiali collegati con questo colosso della distribuzione dell’informazione. Quelli che non erano collegati a Google sono stati sospesi per mancanza di finanziamenti o per l’inasprimento delle direttive sui diritti d’autore, che hanno impedito la libera circolazione del sapere e delle idee. Chi l’avrebbe detto che ci poteva essere qualcosa di peggiore della censura? Non è stato facile spiegare a mio nipote cos’è una biblioteca fisica, reale. Lui ha dieci anni, è abituato a leggere in digitale, a casa sua non esistono libri e io me ne sono liberato (ahimè!) prima che nascesse il problema. Ora capisco che è stata una decisione scellerata, e poco lungimirante, buttare i vecchi libri nella convinzione che tanto c’erano gli ebook e il web. Nessuno però avrebbe potuto prevedere che la crisi sarebbe perdurata così a lungo, non vi pare? Oggi sento molto la mancanza della biblioteca. So che i libri sono ancora là, ma non la vogliono aprire. Vengo qui davanti tutti i giorni, spesso da solo. Che nostalgia! Avevo imparato come cercare le informazioni e i libri che mi servivano. A pensarci bene, ci mettevo meno che quando cercavo su Google, ma è una cosa di cui mi rendo conto ora, quando ormai è troppo tardi. Dicevo, ho cercato di spiegare a mio nipote perché provo nostalgia per la biblioteca. Mi manca il fruscio delle pagine, come le foglie d’autunno che fanno rumore sotto i piedi mentre si cammina. Mi manca il profumo dei libri appena comprati, quelli che riuscivo a leggere per primo. Mi mancano i consigli di lettura di gente competente, non quei maledetti post scritti sui blog che si trovavano in rete. Ma non so se ha capito. Quello che capisce benissimo, però, è che viviamo in un mondo dove chi crea informazione detiene tutti i diritti di farne quello che vuole, compreso se distribuirla o no. La chiusura delle biblioteche (già, perché la nostra non è stata l’unica) è stato un vero cavallo di Troia. Almeno loro si battevano per la libertà di informazione. Ora non ci è rimasto più nessuno.
Mille e non più mille: date profetiche passate e future Quella dei Maya non è, lo sappiamo, l’unica profezia ad aver alimentato timori “apocalittici”. Da secoli movimenti religiosi, veggenti, teorie astrologiche e calcoli matematici tentano di prevedere il tempo della fine del mondo. Ecco un sintetico elenco delle principali date profetizzate, che, è facile prevedere, si allungherà ulteriormente. Molte, fino ad ora, non si sono fortunatamente avverate e così, si spera, possa accadere sempre. 992 È la data prevista da Bernardo di Turingia 1000 “Mille anni dopo la nascita di Cristo”, è la data della fine del mondo secondo i vangeli apocrifi e secondo le interpretazioni di un brano dell’Apocalisse 1186 È la data prevista dall’astrologo Giovanni di Toledo, che aveva calcolato un allineamento dei pianeti per quel periodo 1260 È la data prevista da Gioacchino da Fiore 1524 È la data indicata dagli astronomi Johann Stàffler e Jakob Pflaumen: un anno colmo di disastri, diluvi e catastrofi culminanti nella fine del mondo.
1648 È la data prevista dal rabbino Sabbati Zevi, di Smirne 1654 È la data prevista dal medico alsaziano Helisaeus Roeslin 1665 È la data prevista dal quacchero Solomon Eccles 1704 È la data prevista dal cardinale Nicholas de Cusa 1719 È la data prevista dal matematico Jacques Bernoulli 1732 È la data ricostruita in base ad alcune interpretazioni degli scritti di Nostradamus
1532 È la data prevista dal vescovo viennese Frederick Nausea 1533 In base ai calcoli del matematico tedesco Stifelius il 3 ottobre alle ore 8.00 un enorme incendio avrebbe distrutto la Terra 1537 È una delle date indicate dall’astrologo Pierre Turrel, che predisse la fine del mondo anche per il 1544, il 1801 e il 1814 1584 È la data prevista dall’astrologo Cipriano Leowitz 1588 È la data prevista da Johann Muller (il saggio Regiomontanus)
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1757 È la data del mistico di Svezia Emanuel Swedenborg 1774 È la data indicata da Joanna Southcott, leader di una setta religiosa inglese 1761 È la data indicata dal religioso William Bell 1836 John Wesley (il fondatore del metodismo), dopo complessi calcoli basati sull’Apocalisse, giunse alla conclusione che la fine del mondo si sarebbe verificata il 18 giugno 1836. 1881 È la data indicata da alcuni studiosi sulla base di calcoli effettuati sulle misure geometriche delle piramidi. Tale data fu in seguito spostata al 1936 e quindi al 1953 1914 Secondo i testimoni di Geova è questo l’anno fissato per la fine dei tempi (vennero in seguito proposte altre date: il 1918, il 1925 e il 1975) 1947 È la data indicata da John Ballou Newbrough, il “più grande profeta d’America” 1967 È la data indicata da Sun Myung Moon, capo della Chiesa dell’Unificazione 1977 È la data indicata da John Wroe, successore di John Turner alla guida della setta di Joanna Southcott, cui si deve la precedente previsione del 1823 1980 È la data indicata da un antico presagio astrologico arabo. Anche l’astrologa Jeane Dixon predisse la fine del mondo negli anni ottanta in seguito all’impatto di un’enorme cometa 1999 È la data prevista da Nostradamus secondo i suoi interpreti
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2000 È l’anno del Millennium Bug, ossia una falla informatica che se non prontamente tamponata avrebbe avuto conseguenze incalcolabili 2012 Il 21 dicembre 2012 è la data, nella quale, secondo alcuni interpreti, i Maya avrebbero previsto la fine di un’era e l’inizio di una nuova 2036 Il 13 aprile 2036, giorno di Pasqua, è la data nella quale l’asteroide 99942 Apophis potrebbe impattare con la Terra e distruggerla 2060 È la data prevista secondo gli studi di Isaac Newton 2240 Il 2240 corrisponde all’anno 6000 del calendario ebraico. Nella visione giudaica dopo questo anno inizierà il settimo millennio che sarà un’era di santità, tranquillità, vita spirituale e pace universale 3797 È la data indicata da Nostradamus. Alcuni studiosi avevano ipotizzato che il numero 3797 fosse solo simbolico e che fosse invece da interpretare come 1999.
INFOMUSE INFO M USE O O MAGGIO Conferenza su Benedetto Croce
Alto Adige/Südtirol dell’Associazione giovani farmacisti (AGIFAR) ha organizzato una serie di laboratori aperti ad adulti e bambini, attraverso cui conoscere i segreti di creme, sciroppi, miscele di erbe, distillati. Il primo incontro, presso il Museo delle Scienze a Trento, si è tenuto il 12 maggio ed è stato dedicato alla preparazione di una tisana carminativa a base di melissa, camomilla, anice verde, cardi e finocchio. Il 19 maggio è stato invece preparato un unguento di cera d’api, mentre il giorno successivo uno sciroppo di miele e timo. L’ultimo laboratorio si è svolto il 27 maggio con la preparazione di una soluzione di propoli analcolica. I 100 anni di Forte Belvedere a Lavarone
Nell’ambito del ciclo di conferenze organizzate dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento e dalla Fondazione Museo storico del Trentino in occasione del sessantesimo anniversario della morte di Benedetto Croce, giovedì 10 maggio il prof. Alfonso Musci dell’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento di Firenze ha tenuto la conferenza dal titolo “Croce e la storia contemporanea”. L’incontro si è svolto nella Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino.
Il forte Belvedere a Lavarone, in occasione del centenario dell’inaugurazione, ha ospitato nella settimana tra il 12 e il 19 maggio un ricco programma di iniziative: spettacoli teatrali, passeggiate e visite guidate, mostre fotografiche, convegni. Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, sabato 19 maggio ha partecipato al convegno “18 maggio 1912-18 maggio 2012: la costruzione di forte Belvedere, fra esigenze militari, innovazioni tecniche e trasformazione del territorio”.
autore della mostra e del video “Fortezze di un impero perduto”. Il laboratorio di formazione storica della Fondazione Museo storico del Trentino ha offerto laboratori didattici e visite guidate al Forte. “Come raccontare a storia della città” La Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, ha promosso il seminario internazionale dedicato alla riflessione museale su città e territorio, dal titolo “Come raccontare la storia della città”. Al convegno, svoltosi il 16 maggio a Trento presso la Sala della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, hanno partecipato Elena Tonezzer, ricercatrice presso la Fondazione Museo storico del Trentino, Carlotta Margarone del Dipartimento educativo di Palazzo Madama a Torino, Massimo Negri, direttore scientifico di Genus Bononiae, Franco Finotti, direttore del Museo civico di Rovereto, Monica Ronchini, referente per i progetti storico-archeologici del Museo Alto Garda (MAG), Pere Freixas, direttore del Museu d’Historia de la Ciutat de Girona, Suay Aksoy, presidente CAMOC (ICOM), Layla Betti, collaboratrice della Fondazione Museo storico del Trentino. Indirizzi di saluti e alcune riflessioni introduttive sono stati rivolti al pubblico presente da Lucia Maestri, assessore alla cultura del Comune di Trento, e da Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino.
Laboratori con lo speziale Nell’ambito della mostra “DiStilla InStilla: l’essenza segreta delle piante”, realizzata dalla Fondazione Museo storico in Trento con la collaborazione del Museo delle Scienze di Trento e riallestita in questa sede nei mesi di gennaioagosto 2012, la Sezione Trentino-
Due modi diversi di raccontare la guerra Doppio appuntamento venerdì 18 maggio alle Gallerie di Piedicastello: alle 18.00 è stato presenSono intervenuti, inoltre, Christian tato il volume di Gustavo Corni Merzi della Fondazione Belvedere- “Raccontare la guerra: la memoria Gschwent e Andrea Contrini, organizzata” (Milano 2012). Con
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l’autore è intervenuto lo storico Quinto Antonelli. Alle 21.00 è stato invece proposto il reading/spettacolo “Ogni volta: ombre nere in tempo di pace”. Otto lettori (Sara Bertoldi, Milena Bigatto, Simonetta Giorgetti, Anna Lambertini, Luigino Mongera, Francesca Rocchetti, Fabio Sacco, Lino Tommasini), guidati dalla regia di Maura Pettorruso, hanno interpretato pezzi tratti da opere di Simone Cristicchi, Ryszard Kapuscinski, William Langewiesche, Erich Maria Remarque, Mario Rigoni Stern, Helga Schneider, Gino Strada.
trasferiti dall’ospedale psichia- rappresentato quella che oggi trico di Pergine Valsugana in Ger- viene comunemente chiamata l’inmania il 26 maggio 1940”, è stato dustria del turismo. organizzato il 26 maggio presso il Centro intermodale della stazione ferroviaria di Pergine Valsugana. Moderati da Rodolfo Taiani della Fondazione Museo storico del Trentino, sono intervenuti Valerio Fontanari, ex infermiere e coordinatore del Tavolo, Marco Lazzeri, giovane studioso, Lidia Menapace, donna della Resistenza. La serata è stata accompagnata dalle letture di Denis Fontanari e Chiara Benedetti e dalla musica al violoncello di Nicola Segatta. Due mostre su profughi e internati della Grande Guerra
Due serate sulla storia della psichiatria Nell’ambito degli appuntamenti programmati dal Tavolo di lavoro sulla storia e le sorti dell’ex Ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana, il 18 maggio a Pergine è stato presentato il volume “Ambienti psichiatrici: la psichiatria e i suoi pazienti nell’area del Tirolo storico dal 1830 ad oggi” (Innsbruck 2012). Nella stessa serata è stato proiettato il filmato “Il lavoro (in) visibile: storia dell’assistenza psichiatrica nell’area del Tirolo storico dal 1830 ad oggi”. Sono intervenuti Siglinde Clementi, direttrice di Storia e regione/Geschichte und Region, Nico Hofinger, storico e realizzatore di prodotti multimediali, Lorenzo Gasperi, responsabile UO Psichiatria distretto est. Un altro incontro pubblico, dal titolo “299 vite: la vicenda dei pazienti
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L’Assessorato alla cultura del Comune di Levico Terme, l’Associazione culturale Chiarentana e la Fondazione Museo storico Un incontro sulla sanità trentina del Trentino, giovedì 24 maggio presso il Parco delle Terme di Levico, hanno inaugurato due mostre fotografiche sul periodo della Grande Guerra: l’una sui profughi civili, “1915-1918: l’esodo in Austria, Boemia e Moravia” e l’altra sugli internati politici, “Vite internate: Katzenau, 1915-1918”. L’esposizione nel suo complesso è rimasta aperta al pubblico fino al 7 giugno 2012. Il 25 maggio la Provincia autoUn convegno sulla storia del turinoma di Trento, l’Associazione smo in Trentino Giovani professionisti in Trentino, La Fondazione Museo storico del la Sezione Trentino-Alto Adige/ Trentino ha organizzato il conve- Südtirol dell’Associazione Giovani gno di studi “Trentino visitato: farmacisti (AGIFAR) e la Fondaprospettive di ricerca per una zione Museo storico del Trentino storia del turismo in una regione hanno organizzato l’incontro pubalpina”, svoltosi a Palazzo Rocca- blico “50 anni di sanità trentina: bruna nelle giornate di venerdì tra professione e passione”. Il 25 e sabato 26 maggio e coordi- prof. Claudio Valdagni e il dott. nato scientificamente da Claudio Carlo Tamanini, testimoni privileAmbrosi e Michael Wedekind. giati delle vicende della sanità Due giorni e numerosi relatori per trentina della seconda metà del avviare una riflessione su come Novecento, si sono confrontati sia nata, cresciuta e cosa abbia sulla propria esperienza professio-
nale e umana. Il giornalista Alberto ‘stati generali della storia’”, intro- sport Trento, e il curatore AlessanFolgheraiter, che ai temi della dotto dal suo presidente Luigi dro de Bertolini. Il percorso espostoria sanitaria ha dedicato prege- Blanco. sitivo – realizzato in collaborazione voli lavori, ha svolto il ruolo di con l’Associazione alpina sport moderatore. Trento, l’Unione italiana sport per GIUGNO tutti (Comitato territoriale UISP del Trentino) e la Federazione ciclistica italiana (Comitato provinciale del La storia trentina in rete Dalla dittatura alla Repubblica Trentino) – racconta la storia del La Fondazione Museo storico del Il primo giugno, in occasione della ciclismo in Trentino dal 1885 al Trentino lunedì 28 e martedì 29 Festa della Repubblica, Lorenzo 1985, avvalendosi di fondi fotogramaggio ha organizzato un doppio Gardumi della Fondazione Museo fici d’epoca, di documenti audioviappuntamento presso Le Galle- storico del Trentino, è intervenuto sivi in formato 8 millimetri e di una rie di Piedicastello. Il 28 è stata a Palazzo Eccheli-Baisi di Brento- serie di biciclette d’epoca prodotte presentata la “Rete trentina della nico con la relazione “Al di là della prevalentemente in Trentino nella storia”: sono intervenuti l’as- guerra: dalla dittatura alla Repub- prima metà del Novecento. sessore provinciale alla Cultura, blica 1943-1948”. rapporti europei e Cooperazione Franco Panizza, il direttore della Tre volumi sulla campagna di Fondazione Museo storico del Una mostra sulla storia del cicliRussia Trentino Giuseppe Ferrandi, il diri- smo in Trentino gente del Servizio attività culturali In occasione della mostra “Ritorno Claudio Martinelli, il provveditore sul Don”, le Gallerie di Piedicadel Museo storico italiano della stello il 15 giugno hanno ospitato guerra Camillo Zadra, il referente la presentazione di alcune novità Istituzionale della rete degli ecoeditoriali dedicate alla storia della musei del Trentino Mauro Cecco e campagna di Russia, pubblicate il coordinatore Progetti della Fondalla Fondazione: “Vincere! Vindazione Stava 1985 Michele Longo. ceremo! Cartoline sul fronte russo (1941-1942)” a cura di Quinto Antonelli e Sergej Ivanovich Filonenko; “Russia 1941-1943: diario di guerra” di Carlo Hendel, a cura di Quinto Antonelli; “Ritorno sul Don: la guerra degli italiani in Unione Sovietica 1941-1943”, catalogo dell’omonima mostra a cura di Quinto Antonelli, Lorenzo Gardumi e Giorgio Scotoni.
La serata si è conclusa con due laboratori condotti da Marianna Paonessa ed Elisabetta Zamarchi, dedicati rispettivamente ai temi di “Rete ed economicità” e “Rete e partecipazione”. Il 29 maggio il Comitato d’indirizzo della Fondazione Museo storico del Trentino ha promosso l’incontro “Per gli
La mostra “Il cavallo d’acciaio: storie di ciclismo, di campioni e di biciclette in Trentino”, curata da Alessandro de Bertolini della Fondazione Museo storico del Trentino, è stata inaugurata il 15 giugno alle Gallerie di Piedicastello. Sono intervenuti Marta Dalmaso, assessore all’istruzione e sport della Provincia autonoma di Trento, Stefano Graiff, vicepresidente della Fondazione Museo storico del Trentino, Daniele Ceccaroni, presidente della Lega ciclismo della UISP, Diego Tambosi, vicepresidente dell’Associazione alpina
Un libro sulla partecipazione italiana in Russia
Il 20 giugno, presso le Gallerie di Piedicastello è stato presentato il
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volume di Maria Teresa Giusti “I prigionieri italiani in Russia”, tradotto in russo da Michail Talalay (San Pietroburgo 2010). Assieme all’autrice e al traduttore è intervenuto Lorenzo Gardumi della Fondazione Museo storico del Trentino.
Un convegno sulle stragi dopo la seconda guerra mondiale La Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza di Vicenza, il Museo del Risorgimento e della Resistenza del Comune di Vicenza, il Comune di Schio e il Comune di Valdastico, ha promosso il convegno “Le stragi dell’ultima ora”, proponendo una rilettura interdisciplinare delle stragi che hanno caratterizzato il nostro Paese alla fine della seconda guerra mondiale. L’incontro si è tenuto a Schio il 22 giugno e per la Fondazione Museo storico del Trentino è intervenuto Lorenzo Gardumi con la relazione dal titolo “Tra terrorismo mirato e violenza indiscriminata: Trentino 1943-1945”.
Libri parlanti nella Trento romana
letture tratte dai suoi volumi “Sotto LUGLIO gli occhi della morte: da Bolzano a Mauthausen” di Aldo Pantozzi e “Ernesta Bittanti e le leggi razziali Una mostra sull’ospedale psichiadel 1938” di Beatrice Primerano, trico di Pergine Valsugana svolte da Francesca Rocchetti e Venerdì 6 luglio presso la sala Lino Tommasini. Maier a Pergine Valsugana, è stata aperta al pubblico la mostra “Il Trentino Italia storie pop a Lava- senso della follia: 120 anni di storia dell’ospedale di Pergine Valsugana rone (1882-2002)”, curata da Rodolfo La rassegna cinematografica all’inTaiani della Fondazione Museo terno del progetto “Trentino Italia storico del Trentino. La mostra, Storie Pop”, già in corso ad Ala, è realizzata dall’Associazione Perproseguita con un secondo ciclo gine spettacolo aperto, ha rapdi programmazione rivolto alla presentato un evento collaterale cittadinanza e agli ospiti dell’Altodell’omonimo festival che ogni piano di Lavarone. I filmati hanno anno, d’estate, attira un numeroso proposto temi centrali della storia pubblico. d’Italia e del Trentino nei loro processi postunitari, fra momenti di coesione e fasi di crisi, con la La monumentalizzazione del focalizzazione su alcuni periodi ed Doss Trento eventi. La rassegna si è tenuta dal 22 giugno al 7 settembre, ogni venerdì alle ore 21.00. Le sedi delle proiezioni sono state la Biblioteca comunale “Sigmund Freud” (FraCESARE BATTISTI zione Gionghi) e il Cinema Teatro 4 febbraio 1875 - 12 luglio 1916 Commemorazione “Dolomiti” (frazione Chiesa). del 96° anniversario della morte Il ciclo, il cui intero programma è disponibile anche sul sito www. tritastorie.it, è stato curato da Daniela Cecchin della Fondazione Museo storico del Trentino. Associazione Museo storico in Trento onlus
MUSEO NAZIONALE STORICO DEGLI ALPINI
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Una mostra sulle vie di comunicazione a Taio
L’Associazione editori trentini ha organizzato venerdì 22 giugno presso lo Spazio archeologico del Sass, in collaborazione con le Feste Vigiliane e il gruppo musicale Gypsy Trio, una serata in compagnia della buona lettura, musica e vino. Vi ha partecipato anche la Fondazione Museo storico del Trentino con la proposta di alcune
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Il Comune di Taio e la Comunità della val di Non, sabato 30 giugno a Taio, hanno inaugurato la mostra “Le vie di comunicazione in val di Non: Taio e le sue frazioni”. Sono intervenuti Stefano Cova, sindaco di Taio, Valeria Chini, assessore alla Cultura del Comune di Taio, Laura Cretti, assessore alla Cultura della Comunità della val di Non, Alessandro de Bertolini, ricercatore della Fondazione Museo storico del Trentino, Anna Sarceltti e Marco Rauzi, registi, Silvia Merler, curatrice della mostra.
Il 12 luglio, in occasione del 96° anniversario della morte di Cesare Battisti, l’Associazione Museo storico in Trento, la Fondazione Museo storico del Trentino, il Museo nazionale storico degli Alpini e l’Associazione nazionale
Alpini ha organizzato la conferenza “La monumentalizzazione del Doss Trento”, tenuta dallo storico Alessio Quercioli. La conferenza è stata preceduta dagli interventi del generale Stefano Basset, direttore del Museo nazionale storico degli Alpini, di Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e di Maurizio Pinamonti, presidente dell’Associazione nazionale Alpini-Trento.
zione Museo storico del Trentino. I laboratori si sono svolti presso il Centro culturale di Brentonico il 21 luglio, il 4, il 12 e il 25 agosto. Un ultimo incontro è in programma per il 22 settembre.
La testimonianza di Giovanni Hippoliti La Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con il Dipartimento territorio, ambiente e foreste della Provincia autonoma di Trento, ha proposto il 19 luglio la presentazione e proiezione in anteprima de “L’accademia nel bosco”, videointervista realizzata da Lorenzo Pevarello al prof. Giovanni Hippoliti, primo docente in Italia di meccanizzazione forestale e poi di utilizzazioni forestali. All’incontro, presso il Palazzo della Provincia autonoma di Trento, hanno partecipato Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, Romano Masè, dirigente generale del Dipartimento territorio, ambiente e foreste della Provincia autonoma di Trento, Mario Cerato, curatore del progetto e Franco Piegai dell’Università degli studi di Firenze.
L’Italia vista da Ezio Raimondi Martedì 24 luglio, in Piazza Maggiore a Bologna, è stato proiettato il film prodotto dalla Fondazione Museo storico del Trentino “L’Italia di Ezio Raimondi”, curato da Lorenzo Pevarello e Stefano Chemelli: un documentario di interesse storico e autobiografico che ripercorre tutto il Novecento attraverso la testimonianza di un protagonista assoluto della cultura europea non solo letteraria.
AGOSTO
A tu per tu con il farmacista Ha preso il via il 21 luglio, per il secondo anno consecutivo, l’iniziativa “A tu per tu con il farmacista: laboratori aperti per apprendere come preparare creme, pomate e sciroppi“, organizzata dalla Sezione Trentino-Alto Adige/ Südtirol dell’Associazione giovani farmacisti (AGIFAR) con il sostegno del Comune di Brentonico e la collaborazione della Fonda-
Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, la Fondazione Museo storico del Trentino e la casa editrice Il Margine, il 28 e 29 luglio hanno proposto la prima edizione del festival storico “Altro tempo: l’era dei Forti”. La Fondazione Museo storico del Trentino è stata presente al Festival domenica 29 luglio con due appuntamenti. Nel pomeriggio a Forte Larino è stato proposto il reading “Ogni volta: ombre nere in tempo di pace”, con letture svolte da Francesca Rocchetti e tratte da testi di Simone Cristicchi, Ryszard Kapuscinski, William Langewiesche, Erich Maria Remarque, Mario Rigoni Stern, Helga Schneider e Gino Strada. In serata, invece, il direttore Giuseppe Ferrandi e Alessandro de Bertolini hanno condotto l’incontro con il documentarista, giornalista e scrittore Folco Quilici dal titolo “Il racconto delle Alpi: paesaggio, storia e fortificazioni”.
Farmacia Maturi: itinerari attraverso la storia della farmacia trentina Il festival storico “Altro tempo” L’Ecomuseo della valle del Chiese, il Consorzio turistico valle del Chiese e il Comune di Lardaro, in collaborazione con la Fondazione
L’allestimento storico della farmacia Maturi presso Palazzo EccheliBaisi di Brentonico si è arricchito di nuovi elementi espositivi cui si è aggiunto un percorso temporaneo, curato da Rodolfo Taiani e Francesco Micheletti, dal titolo
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Farmacopee e codici farmaceutici (secoli XV-XXI). Tale percorso si sviluppa su due livelli: nella parte testuale e iconografica si dà conto delle farmacopee più importanti nella storia della farmacia in territorio italiano. Nelle vetrine si documenta invece la stessa storia così come testimoniata dai volumi custoditi dalla famiglia Boni di Tione. Si evidenziano così gli strumenti di lavoro dei quali si avvalse una famiglia di antica tradizione farmaceutica attiva in Trentino dalla seconda metà del Settecento.
tendenza per i Beni storico-artistici della Provincia autonoma di Trento e dell’APT val di Fiemme. Per il mese di agosto la Fondazione Museo storico del Trentino ha curato l’organizzazione di alcune conferenze cui è seguita la proiezione di 5 documentari: il 9 agosto il tema dell’incontro è stato “Ai confini dell’unità d’Italia” ed è stato proiettato il filmato “Sulle tracce di Garibaldi”; martedì 14 agosto si è parlato di emigrazione ed è stato mandato in onda il documentario “Storie di mondo”; il 16 agosto il cortometraggio “Palma Clara Agostini: testimonianza sulla ‘città di legno’” è stato preceduto Gli appuntamenti di agosto alla da una discussione su “Il Trentino e la prima guerra mondiale”. Il 21 Magnifica Comunità di Fiemme agosto, si è parlato della seconda guerra mondiale in Trentino con la proiezione del documentario “Stramentizzo: la memoria ritrovata”; il 23 agosto, infine, protagonista dell’incontro è stata l’autonomia con il filmato “L’Autonomia si racconta: quel 5 settembre 1946”.
La Magnifica Comunità di Fiemme ha deciso di aprire in anteprima il proprio Palazzo. Dal 5 luglio al 5 settembre 2012, è stato organizzato un ricco programma di iniziative e di appuntamenti culturali, teso a valorizzare lo straordinario pregio architettonico-artistico del Palazzo, le sue collezioni d’arte, la storia della Magnifica e quella del Trentino. Il programma è stato realizzato insieme alla Fondazione Museo storico del Trentino, con il supporto e il contributo dell’Assessorato alla cultura della Provincia autonoma di Trento, della Soprin-
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History Lab” condotto da Roberta Bonazza e Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. Durante la serata si sono alternate le domande agli illustri ospiti e spezzoni video, realizzati con la collaborazione di History Lab, il canale digitale terrestre della Fondazione Museo storico del Trentino.
Il sessantottesimo anniversario della strage di Malga Zonta
Come ogni anno, il 15 agosto a Folgaria si è svolta la commemorazione del sessantottesimo anniversario dell’eccidio nazifascista di Malga Zonta. Il titolo della giornata di quest’anno è stato “Da montagne di guerra a montagne di pace” e ha visto la presenza di Maurizio Toller, sindaco di Folgaria, Luigi Dalla Via, sindaco di Schio, Alessandro Olivi, assessore della Provincia autonoma di Trento, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. L’orazione ufficiale è stata tenuta da Alessandra Moretti, Incontro con Gustav Thöni e Crivicesindaco di Vicenza. stian Zorzi
All’interno della manifestazione “Campiglio TreperTre: idee di alta quota”, lunedì 13 agosto, alle ore 21, presso la sala della cultura del Centro Rainalter a Madonna di Campiglio, Gustav Thöni e l’olimpionico Cristian Zorzi hanno partecipato all’incontro “Dai 1550 di Madonna di Campiglio ai 602 di
Giorgio Grigolli - autobiografia a più voci
Questo libro è per la maggior parte scritto da Giorgio Grigolli sotto forma di autobiografia a «più voci». Attinge, infatti, alle informazioni emerse nel corso di più colloqui intercorsi con i curatori del volume e che la Fondazione Museo storico del Trentino conserva presso il proprio archivio in forma video registrata. Propone un’importante selezione di documenti inediti. Raccoglie, infine, numerosi articoli, altrettante riflessioni sui temi più disparati, comparsi sui giornali locali nei primi anni del nuovo millennio. Si ripercorrono così le fasi salienti, i passaggi, gli snodi fondamentali dell’esperienza umana e politica di Giorgio Grigolli. Dagli anni del liceo Prati all’esperienza romana nelle fila della Gioventù Cattolica con Carlo Carretto e un giovane promettente Umberto Eco: dalle prime prove giornalistiche all’impegno politico diretto ispirato agli ideali degasperiani. Poi in Trentino, dove giornalismo e politica sono tutt’uno e dove, nel 1958, approda alla segreteria provinciale della DC. Seguono incarichi politici e istituzionali sempre più impegnativi, tra i quali dal 1967 al 1973 la presidenza della Regione e dal 1974 al 1979 quella della Provincia, fino al 1993 quando lascia la segreteria regionale della DC.
NOVITÀ
Mauro Marcantoni e Giorgio Postal, Il Pacchetto: dalla Commissione dei 19 alla seconda autonomia del Trentino Alto Adige, pp. 551, € 22,50
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a cura di GIUSEPPE FERRANDI e MARCO GIOVANELLA
a cura di Giuseppe Ferrandi e MarCO GiOVaneLLa
Giuseppe Ferrandi e Marco Giovanella (a cura di), Giorgio Grigolli: autobiografia a più voci, pp. 364, € 20,00 Le fasi salienti e gli snodi fondamentali dell’esperienza umana e politica di Giorgio Grigolli. Completa il volume una ricca selezione di documenti inediti.
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’900 testimonianze Giorgio Grigolli autobiografia a più voci
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EDIZIONI
a cura di Giuseppe Ferrandi e MarCO GiOVaneLLa
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Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, coltiva interessi di ricerca e studio legati soprattutto alla cultura filosofica e politica tra Otto e Novecento e dalla storia contemporanea del Trentino cui ha dedicato numerose pubblicazioni.
Marco Giovanella, collaboratore della Fondazione Museo storico del Trentino, è attivo nel settore della didattica della storia e coltiva interessi di ricerca collegati alle vicende più recenti della storia trentina.
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Leonardo Gandini, Daniela Cecchin, Matteo Gentilini, Le sponde della memoria: il ruolo dell’oblio nel panorama mediale contemporaneo, pp. 99, € 11,00 È possibile considerare l’oblio più un farmaco che una malattia? E l’oblio può fungere da antidoto ai cosiddetti «abusi della memoria»? In che misura la formazione culturale oggi passa attraverso un lavoro di raffinamento e distillazione di tutto quello che ci viene chiesto di guardare e trattenere nel ricordo? A queste e altre domande cercano di dare una risposta i contributi raccolti in questo volume, che costituiscono gli interventi presentati al quarto degli appuntamenti internazionali sul tema "Mass media e memoria" ospitato a Trento nel novembre del 2011.
€ 20,00
Paola Antolini e Alberto Ianes (a cura di), Storie di genere: l’altra metà della cooperazione, pp. 68 (con DVD allegato), € 11,00 Catalogo dell’omonima mostra che si propone di intercettare le tracce della presenza femminile nella cooperazione trentina, le forme del protagonismo e, purtroppo, della discriminazione. Il DVD allegato raccoglie le video testimonianze di alcune protagoniste.
Ricostruzione dei passaggi fondamentali che hanno condotto, all’inizio degli anni settanta, all’approvazione della legge costituzionale che ha scritto lo Statuto d’autonomia delle due Province autonome di Trento e Bolzano e rivisto quello della Regione Trentino-Alto Adige/ Südtirol. Al saggio introduttivo segue una ricca appendice documentaria.
Filippo Gratton e Angelo Longo (a cura di), Col bèl no se magna: storia e memoria dell’alimentazione in ambiente alpino, pp. 87, € 12,00
Catalogo della mostra organizzata dall'Ente Parco Paneveggio-Pale di San Martino e dalla Fondazione Museo storico del Trentino dedicata al legame tra l'alimentazione, il tempo e lo spazio.
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