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La via Cassia dalla Porta Vecchia a Palazzo Bracciolini

Un cenno sulle origini della Città tra storia vera, presunta e leggende.

La strada consolare romana

“Cassia”, che partiva dal Ponte Milvio a Roma, così chiamata dal nome di Gaio Cassio Longino, console e censore romano dal 171 a.C., fu realizzata come collegamento di preesistenti tracciati etruschi, tra cui anche la via Veientana. In seguito alla realizzazione del primo tratto fino a Clusium (Chiusi) ed esteso questo fino a Faesulae (Fiesole), questa strada contribuì in maniera determinante alla fondazione di Florentia (Firenze). Ma la potenzialità strategica di questa variante interna all’altra litoranea consolare “Aurelia” non si esaurì qui e fu deciso quindi, grazie alla volontà del console Tito Quinzio Flaminio (150-123 a.C.), di estendere questo nodo viario fino a fargli raggiungere uno sbocco ulteriore ed alternativo al mare Tirreno che arrivasse fino al porto di Luna (Luni) e ne permettesse, all’altezza di Lucca, anche il ricongiungimento diretto alla stessa Aurelia. “Tutto sommato, si può dire che le fortune di Pistoia siano iniziate con la via Cassia”, scrisse in una sua opera il compianto storico Alberto Cipriani, e questo pensiero era senz’altro fondato. Senza la via Cassia, Pistoia non sarebbe sorta certamente in epoca romana repubblicana. Anzi, forse non sarebbe nemmeno mai sorta. O magari sarebbe nata solo successivamente, ma probabilmente non in quel preciso punto. Sì, perché proprio nel punto sopraelevato che oggi tutti conosciamo come “piazza del Duomo” da cui passava la via Cassia e che al tempo dominava tutta la pianura paludosa a sud, ancora largamente inaccessibile, i romani decisero probabilmente di fortificare una piccola cittadella, un “oppidum”, che potesse tornare utile come punto di sosta e accampamento e che potesse rifornire le truppe in guerra contro le belligeranti popolazioni liguri stanziate in vari punti dell’appennino e quindi della montagna pistoiese, ma anche di questa fortificazione di cui ci parla lo storico romano Ammiano Marcellino nel IV secolo d.C., non è giunta ad oggi alcuna traccia. Pistoia, infatti, doveva rappresentare un validissimo punto di rifornimento di armi, ma forse anche di pane e qui si entra nelle leggende che non hanno mai trovato un preciso riscontro storico: le origini del nome della nostra Città, infatti, non sono mai state acclarate, non esistono quindi certezze tranne il fatto che, nelle fonti storiche, Pistoia viene riportata come “Pistoria”, talvolta come “Pistoriae” e anche come “Pistorium”. Da qui, è lecito e naturale interrogarsi sulle origini della della Città e porsi domande sul significato del nome che le è stato attribuito. Come già detto, sull’origine a Pistoia di una prima città stanziale i dubbi sono pochi e si può oggi affermare che Pistoia è certamente città di origine romana e legata al passaggio nel nostro territorio della via Cassia come decumanus maximus, la principale arteria cittadina con orientamento estovest, presumibilmente proprio l’attuale via degli Orafi; secondo la geometria urbanistica regolare visibile un po’ in tutte le città romane, la via Cassia doveva creare un forum (ossia la piazza cittadina principale) laddove incrociava la sua intersezione principale, il cardo maximus, che aveva orientamento nordsud e che a Pistoia sembrerebbe trovare riscontro all’altezza della odierna via dei Bracciolini.

Posto che Pistoia non fu abitata in epoca preistorica, anche se sono stati ritrovati insediamenti non stabili o perlomeno prove inconfutabili di passaggio nelle frazioni di Casenuove di Masiano, Orsigna e nella valle della Limentra, si presume che la zona di piazza del Duomo rappresentasse già nella preistoria una sorta di altopiano rispetto al depresso bacino paludoso presente immediatamente a sud di essa. Nemmeno gli scarsi manufatti ritrovati ed attribuiti all’epoca etrusca (due cippi funerari rinvenuti durante i lavori di restauro e messa in sicurezza del Palazzo dei Vescovi e una stele rinvenuta nell’ex monastero di San Mercuriale, tutte di produzione fiesolana) risultano sufficienti a giustificare una presenza abitativa etrusca in Città in quanto certamente riutilizzati per altri fini rispetto alla loro primitiva produzione. Tuttavia, appare abbastanza evidente che le popolazioni etrusche presenti nelle vicinanze (Fiesole, Artimino, Carmignano, Gonfienti, etc.) si siano spostate fino alle nostre zone pedecollinari per valicare l’appennino, che certamente siano entrate in contatto con le popolazioni Liguri (tribù di cui sono state trovate tombe tipiche “a cassetta” in vari luoghi della attuale Provincia quali Marliana e Piteglio, ma addirittura nella vicinissima località Germinaia) e che con costoro abbiano pacificamente convissuto nei secoli tra il V e il II a.C. Il dominio romano sulla zona ebbe appunto effetto definitivo a partire dal 187 a.C., quando i Liguri Friniati furono definitivamente sconfitti dal console Gaio Flaminio e cacciati dall’Appennino, mentre gli sporadici nuclei etruschi presenti furono inglobati nella società romana, come accadde un po’ anche nelle aree maremmane e alto laziali.

Pistoia, quindi, nasce in conseguenza del prolungamento dell’infrastruttura viaria della Cassia che vi arrivava da est, da Fiesole, e proseguiva verso Lucca. E rispetto a questa origine, a differenza degli scarsi ed ritrovamenti di epoca preistorica ed etrusca che non dimostrano, nella migliore delle ipotesi, niente di più di un territorio di passaggio o di appoggio ad un sentiero viario che conduceva ad un primordiale valico appenninico, nonostante i pochi scavi scientifici effettuati nel corso della storia, i ritrovamenti sono stati molti e anche interessanti. Il più clamoroso, fu il ritrovamento, proprio sotto a piazza del Duomo, di una villa patrizia, la cosiddetta “Domus Pellegrini”, dal nome del direttore di quegli scavi, condotti nel 1903. La villa occupava una superficie enorme, che andava dal palazzo comunale fino al campanile del Duomo e giungeva fino alla cattedrale, era ornata di pavimenti a mosaico in particolare cromia bianca e nera oltre a varie decorazioni e ampi giardini di proprietà esterni alla domus, delimitati da muri di contenimento, anche questi successivamente rinvenuti negli scavi condotti per i restauri e gli studi scientifici compiuti da Rauty sull’antico Palazzo dei Vescovi. A Palazzo de’ Rossi sono stati ritrovati diversi edifici di epoca romana per uso abitativo, oltre ad alcuni laboratori e una strada ciottolata. Un muro di età imperiale in laterizio è stato rinvenuto anche in San Mercuriale, E ancora in località “Sei Arcole” (=sei arcate), vicino a San Rocco, vi è ciò che rimane dei resti del ponte che doveva, al tempo, superare il torrente Bure e, prima di essere deviato, incrociare la Cassia che proveniva da Hellana (Agliana) dove era presente già in epoca romana una stazione di cambio. E ancora a Pontelungo risulta un frammento della base dell’antico ponte romano imperiale che passava sopra al fiume Ombrone. Ma, tornando al pieno centro cittadino, alla nostra Cassia delle origini, quel che più ci preme è la scoperta che avvenne nel 1932 ad opera della archeologa e studiosa Nora Nieri Calamari che diede notizia del ritrovamento di “un tratto di via romana selciata con poligoni di pietra alberese” sulla base della direzione est-ovest della strada stessa nel contesto urbano prossimo alla piazza centrale e del ritrovamento di altri reperti. La studiosa ipotizzò che proprio quello potesse essere il prolungamento ad occidente della via Cassia che da Roma arrivava a Faesulae. Nel 1966, l’ing. Natale Rauty, mirabile storico, compiendo uno scavo in angolo tra via degli Orafi e via Bracciolini ritrovò la strada consolare, pavimentata con grossi blocchi di pietra tipici dei lastricati romani sui quali risultavano ancora impresse le scanalature compiute dai ripetuti passaggi dei carri. Sull’angolo con via Bracciolini è stato ritrovato anche il bordo di un pozzo circolare, in uso probabilmente ad una delle tante “tabernae” presenti. Nel 1990, un sondaggio geologico ha confermato la presenza della antica via consolare, mostrandone l’antico basolato. Ma i dubbi e le leggende sull’origine del toponimo “Pistoia” si sprecano. Senza scomodare più di tanto leggendarie fantasie di antichi storici come Michelangelo Salvi, che indicherebbe il toponimo “Pistoia” risalire addirittura ad un immaginario fondatore “Pistio”, pronipote di Noè, le ipotesi più accreditate rimarrebbero quelle del toponimo di derivazione greca “Pistou ed Orion”, dal significato di “apertura sull’acqua”, oppure dell’etrusco “Pist + Oros”, che significherebbe “ingresso al monte”, ad indicare un probabile valico che in epoca etrusca avrebbe condotto al di là dell’Appennino. Oppure Pistoia potrebbe derivare da “Pisto” o “Pistoros”, sempre dall’etrusco, che i romani avrebbero male interpretato associandolo alla loro parola “pistor”, ossia mugnaio. O, forse, ancora direttamente dal latino “Pistoria”(=forno) o “Pistores” (=fornai), a dimostrare la professione di panificatori che, forse, alle origini dell’Oppidum Pistoriense, risultò determinante per rifocillare e sfamare le truppe in combattimento con i belligeranti Liguri. In tutto questo si inserì anche Plauto, che nella sua commedia “Captivi” giocò scherzosamente sul nome della città di Pistoia, attribuendone proprio un doppio senso tra il nome stesso degli abitanti e i fornai, denotandone (forse) una accentuata propensione per quella professione. In tutto questo, il nostro amico viaggiatore che avesse deciso di visitare Pistoia oltre cento anni fa, inconsapevole ma anche probabilmente disinteressato da certe questioni identitarie irrisolte, avrebbe deciso di entrare in via degli Orafi e, appena passato il palazzo Pagnini alla sua sinistra e la torre Liberty dell’Emporio Duilio F.lli Lavarini alla sua destra, diretto verso piazza del Duomo si sarebbe imbattuto in una moltitudine di attività artigianali e commerciali (4), (5). Provate ad indovinare, per ironia della sorte, quale sarebbe stata la prima tra queste? Un panificio storico, ovviamente! L’ “Antica e premiata fabbrica di pane di lusso” di Egisto Paolini (6).

NOTE ALLE IMMAGINI:

(4) L’inizio della via degli Orafi, poco dopo l’edificio della torre “Lavarini”, di cui si intravede sulla parte destra della foto una parte di tettoia Liberty in vetro e ferro battuto di produzione locale. Cartolina non viaggiata, prodotta nella metà degli anni Dieci dello scorso secolo. Ed. Ris. L. Badioli – Pistoia. Collezione E. Nappini.

(5) Via degli Orafi, poco più avanti rispetto alla ripresa fotografica precedente. Risulta

E. Nappini.

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