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GUIDA ALL'OPERA

CAVALLERIA RUSTICANA Le Opere

by Giorgio De Martino


COSA È È un Melodramma in un atto, andato in scena al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890. È una storia d’amore e di sangue, ambientata nella Sicilia arcaica di fine Ottocento. È un’opera straripante di melodie celeberrime, al punto da essere entrate nel repertorio popolare italiano e nella memoria collettiva di tutti i melomani. Una tragedia violenta, travolgente, incentrata sull’infedeltà coniugale e sul cosiddetto delitto d’onore: l’azione propone gli ingredienti dell’amore, della gelosia e della finale vendetta mortale. Una storia marcatamente “italiana”, a partire dall’ambientazione, che propone una chiesa come cuore della vita d’una piccola località del profondo sud, dove il dramma popolare si consuma nel giorno della Santa Pasqua. Cavalleria rusticana rappresenta un imprescindibile spartiacque nell’evoluzione della lirica in chiusura d’Ottocento. Irrompe infatti, in tutta la sua modernità, in un clima culturale di rassicurante bonaccia, in un’Italia dominata da epigoni verdiani, quali Amilcare Ponchielli. Grazie a Cavalleria rusticana, vincitrice d’un concorso indetto dalla casa editrice Sonzogno, il Verismo irrompe nel melodramma: una vera e propria rivoluzione, nel modo di raccontare e di cantare.

CONOSCIAMO I PERSONAGGI Turiddu (tenore), diminutivo di Salvatore – “Turi” nel dialetto locale – è un giovane ex-ufficiale, un “rubacuori”. Prima innamorato di Lola, ora seduce Santuzza. Dopo il servizio militare torna da Lola, ormai sposata con Alfio. Santuzza (soprano) è innamorata di Turiddu. A causa della sua relazione “scandalosa” (in quanto non sono marito e moglie), è scomunicata dalla Chiesa. Alfio (baritono), marito di Lola, è uomo geloso ma (a torto) fiducioso nella fedeltà della moglie. Mamma Lucia (contralto), madre di Turiddu, è proprietaria di un’osteria. Lola (mezzosoprano), moglie di Alfio, ha una relazione segreta con Turiddu.

COSA RACCONTA Prima d’andare soldato, Turiddu era fidanzato con Lola. Tornato a casa, la ritrova sposata con un carrettiere (Alfio). Deluso, Turiddu si rifugia tra le braccia di Santuzza, promettendole di sposarla. Lei lo ama e gli si concede. Ma è Lola a rovinare la felicità dell’amica, perché attrae a sé nuovamente Turiddu e i due diventano amanti. Santuzza teme per il proprio onore compromesso: infatti in quanto “peccatrice” si sente esclusa dalla Messa pasquale ma anche dalle case della gente “perbene”. Si confida allora con la madre di Turiddu, la quale però non può aiutarla. Respinta da Turiddu, Santuzza per disperazione rivela ad Alfio che Lola lo tradisce con Turiddu. Alfio sfida il giovane. Quest’ultimo, prima di battersi e di morire per mano di Alfio, affida Santuzza alle cure della propria madre.


CHI HA “INVENTATO” LA CAVALLERIA RUSTICANA È Giovanni Verga (1840 – 1922), nato nei pressi di Catania, in Sicilia, scrittore considerato il padre del Verismo letterario. Anche se il primo autore italiano a teorizzare il Verismo è Luigi Capuana, sarà però Verga, dapprima collocabile nella corrente tardoromantica, ad intraprendere la strada del Verismo con adeguato spessore letterario, a partire dal suo racconto intitolato Nedda, del 1874. La novella Cavalleria rusticana doveva inizialmente costituire un episodio del romanzo I Malavoglia. Però viene espunto e pubblicato, prima sulla rivista Fanfulla della Domenica e poi nell’ambito della raccolta di novelle Vita dei campi. Dalle parole dello stesso scrittore, comprendiamo le sue convinzioni letterarie: «il racconto è un documento umano. Io te lo ripeterò così come l’ho raccolto pei viottoli dei campi, press’a poco con le medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare, senza stare a cercarlo fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore. La mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé». Giovanni Verga non vuole dunque giudicare, raccontando le sue storie: considera lo scrittore uno strumento tecnico che documenta e non interviene nel documento che trasmette. Verga non crede che la letteratura possa contribuire a modificare la realtà. Quindi deve trarsi fuori dal campo e studiare senza passione i personaggi e gli eventi. Il lettore, dal canto suo, deve percepire con evidenza il parlare dei soggetti che sono rappresentati e deve vedere i comportamenti. Ecco il perché dell’utilizzo d’un linguaggio povero, ed il più reale possibile, non filtrato – come è stato detto - dalla “presunta onniscienza” dello scrittore.

CHI HA SCRITTO LA MUSICA È Pietro Mascagni (1863 – 1945), compositore e direttore d’orchestra, autore di una quindicina di opere liriche, nessuna delle quali però riuscirà ad eguagliare il successo ottenuto dal primo cimento lirico compiuto del Maestro livornese, Cavalleria rusticana appunto. Anche se altri titoli, come ad esempio L’amico Fritz (del 1891) ed Iris (del 1898) sono oggi entrati pienamente nel repertorio lirico internazionale. Figlio d’un fioraio, Mascagni inizia a studiare musica (pianoforte e canto) molto presto, al punto che all’età di tredici anni già lavora ad un progetto operistico. Nel 1882 si trasferisce dalla natia Livorno a Milano, dove studia al conservatorio, tra gli altri con Amilcare Ponchielli. Qui conosce anche Giacomo Puccini. Dopo un litigio col direttore dell’istituto, abbandona il conservatorio. Prima lavora come contrabbassista, poi come direttore d’orchestra per gruppi ambulanti e compagnie d'operetta. Infine si trasferisce a Cerignola, un piccolo centro in Puglia, nel sud Italia. Qui è attivo come direttore della banda locale. Nel 1888 l'editore milanese Edoardo Sonzogno lancia un concorso aperto a tutti i giovani compositori


italiani che non hanno ancora visto rappresentare una loro opera. I partecipanti devono realizzare un unico atto, e le tre migliori produzioni saranno rappresentate a Roma a spese dello stesso Sonzogno. Ad appena due mesi dalla chiusura delle iscrizioni, Mascagni viene a sapere di questo concorso, attraverso un giornale. Il compositore comprende che è l’ultima chance per uscire dall’esilio artistico di Cerignola e decide di partecipare. Sceglie come argomento la novella Cavalleria rusticana di Giovanni Verga. Come librettista, chiede aiuto all’amico e compaesano Giovanni Targioni-Tozzetti, poeta e professore di letteratura all'Accademia Navale di Livorno. Quest’ultimo, insieme al suo collega Guido Menasci, lavorerà per corrispondenza, inviando a Mascagni i versi di Cavalleria attraverso delle cartoline postali. Al concorso pervengono oltre settanta opere. La giuria ne seleziona tre: Labilia di Nicola Spinelli, Rudello di Vincenzo Ferroni e Cavalleria rusticana di Mascagni. Il 17 maggio 1890 l’opera debutta al Teatro Costanzi di Roma, ottenendo un successo clamoroso ed imprimendo una svolta definitiva nella vita del ventisettenne livornese. Il fatto che il regime fascista di Benito Mussolini consideri Pietro Mascagni quale il compositore italiano per eccellenza, fa sì che alcuni suoi colleghi – quali Arturo Toscanini – presto si allontanino da lui. Inoltre non favorisce certo la valorizzazione postuma della sua produzione musicale, nel dopoguerra.

IL MOTORE RITMICO DI CAVALLERIA RUSTICANA Il ritmo, quello musicale e quello narrativo, in entrambi i casi serratissimo, è componente fondamentale di Cavalleria rusticana. Il temperamento ribelle e giovanilmente impetuoso di Mascagni costruisce frasi irregolari ed opta per scelte armoniche estremamente varie, con effetti di grande novità. Il compositore sembra tener conto della lezione wagneriana, dando una personalità spiccata alla massa strumentale. Cavalleria rusticana propone pochissimi dialoghi: la brevità dell’atto unico porta Mascagni ad evitare di indugiare troppo su situazioni patetiche: tutto è veloce, l’intera partitura è tesa in uno slancio che la rende coerente ed appassionante. La fantasia melodica di Mascagni fissa una serie di temi musicali divenuti immortali, dalla Siciliana di Turiddu alla Canzone di Alfio, dalla Romanza di Santuzza al Brindisi di Turiddu, al meraviglioso Addio alla madre ancora per voce del tenore protagonista.

UN SUCCESSO SENZA PRECEDENTI La comparsa di Cavalleria rusticana spinge la critica a parlare di rivelazione, di capolavoro, al limite del caso e dello scandalo. Il giovane compositore livornese diventa all’improvviso famoso: nello stesso 1890 l’opera viene rappresentata in molti teatri italiani. In pochi mesi viene allestita anche all’estero, ovunque riscuotendo successo. Anche nella Mitteleuropa, dove il celebre critico Eduard Hanslick dedica all’atto unico di Mascagni un saggio pieno di ammirazione. È in scena a Berlino nell’ottobre 1891 ed al Royal


Opera House di Londra nel maggio 1892. Il debutto in America risale al 9 settembre 1891, al Grand Opera House di Philadelphia. Al “Met” di New York Cavalleria rusticana viene messa in scena il 30 dicembre 1891, prima di quasi settecento rappresentazioni nel celebre teatro statunitense. Nel 1945, alla morte di Pietro Mascagni, Cavalleria rusticana è stata già rappresentata, solo in Italia, circa quattordicimila volte.

LA BATTAGLIA LEGALE DI VERGA PER I DIRITTI D’AUTORE A fronte del successo clamoroso dell’opera basata sulla novella di Verga, lo scrittore chiede a Mascagni e all’editore Sonzogno, come da accordi pattuiti, la parte di guadagno per i diritti d'autore. Gli viene però offerta una cifra forfettaria di 1000 lire. Rivoltosi allora alla Società degli Autori, Verga intenta una causa nel 1891: una complessa vicenda giudiziaria che si conclude anni dopo con la vittoria di Verga, il quale riceve un compenso di 143.000 lire.

VERISMO IN LETTERATURA Il termine Verismo, prima che inerente la musica, definisce una corrente letteraria italiana nata all’incirca a tre quarti dell’Ottocento , ad opera di un gruppo di scrittori – per lo più narratori e commediografi – che costituirono una vera e propria “scuola” fondata su precisi principi. Il Verismo nasce sotto la diretta influenza del clima del Positivismo, quell’assoluta fiducia nella scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca, che si sviluppa e prospera dal 1830 fino alla fine del XIX secolo. Il Verismo non è una geniale e isolata intuizione degli scrittori italiani, ma si ispira in maniera evidente ad un movimento letterario diffusosi in Francia dalla metà dell’800: il Naturalismo, che tra i suoi protagonisti conta Émile Zola, coetaneo di Verga, Gustave Flaubert – l’autore di Madame Bovary - e Guy de Maupassant. L’autore verista – è stato scritto – cerca di scoprire le leggi che regolano la società umana «muovendo dalle forme sociali più basse verso quelle più alte, come fa lo scienziato in laboratorio quando cerca di scoprire le leggi fisiche che stanno dietro ad un fenomeno».

VERISMO IN MUSICA Il Verismo in musica vede in Cavalleria rusticana prima, ed in Pagliacci (di Ruggero Leoncavallo) poi, due capostipiti, due modelli che si stagliano nel fine Ottocento italiano. Vale soffermarsi sull’anno – il 1890 – in cui il capolavoro di Mascagni vede la luce: tre anni ci distanziano dal 1893, che vede quello strepitoso “colpo di coda” verdiano, con il suo Falstaff, e la prima vera affermazione pucciniana, con Manon Lescaut.


È stato acutamente osservato come Cavalleria rusticana abbia il merito di restituire al teatro musicale italiano quella fiducia e quella credibilità che rischiava di perdere. È un’opera che regge il confronto con la produzione europea ed è nello stesso tempo l’erede legittima della tradizione italiana. Aderendo al Verismo, salda la ricerca del teatro musicale con quella letteraria dell’epoca. Le radici del Verismo musicale sono rintracciate da alcuni studiosi nella Carmen di Bizet, secondo altri ne La traviata verdiana. L’etichetta “Verismo” lascia perplesso un genio del calibro di Verdi, che scrive in proposito: “Ahi ahi verista, finché volete... Shakespeare era un verista ma non lo sapeva. Era un verista d’ispirazione: noi siamo veristi per progetto, per calcolo..». Il musicologo Mosco Carner indica come principale peculiarità del Verismo «l’eccesso, l’inflazione sfrenata degli effetti drammatici ed emotivi. Ad un clima ne segue un altro in rapida successione e un’atmosfera appena creata è già distrutta. I personaggi hanno una carica vitale superiore al normale e sono trascinati in un tribunale di passioni la cui molla è il sesso».

GLI INGREDIENTI DELL’OPERA VERISTA Il “marchio” prevede un libretto che tratti avvenimenti “di tutti i giorni”, possibilmente ambientati nella contemporaneità. Episodi semplici (pur con fatalità incombenti e con passioni primordiali messe in gioco) raccontati come uno “squarcio di vita” messo in scena. I conflitti psicologici e passionali restano alla base della storia (non diversamente da molti drammi romantici), ma vengono proposti con una violenza mai intesa prima, con uno stile di canto in continua tensione. Quindi: vicende ricavate dalla quotidianità, personaggi di classi sociali povere, eroi costretti a lottare disperatamente per sopravvivere, un linguaggio che recupera la cultura popolare e dialettale, un certo folclore (seppure spesso contraffatto), ed a volte toni di protesta e di denuncia.

CAVALLERIA RUSTICANA E PAGLIACCI: LE GEMELLE DELLA LIRICA Un filo rosso lega Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e Pagliacci (andata in scena nel 1892) di Ruggero Leoncavallo. Si tratta di ragioni sia musicali che drammaturgiche. Inoltre sono legate da una serie di circostanze simili che l’hanno viste nascere. Entrambe sono tragedie che sembrano uscite da pagine di cronaca nera, entrambe sono incentrate sul tradimento e sono ambientate in luoghi rurali, con cori che impersonano contadini. Anche la struttura è simile, a partire dalle rispettive ouverture, che descrivono – l’una attraverso una “serenata siciliana”, l’altra attraverso una specie di “chiacchierata musicale col pubblico” – gli avvenimenti del resto della storia. Entrambe vedono un rito (la Messa di Pasqua in Cavalleria, il teatrino in Pagliacci) come momento forte della storia. Entrambe infine danno un impulso decisivo all’irrompere del Verismo nel melodramma italiano. Gli autori, grazie alle opere citate, raggiungono improvvisamente una grande fama.


Ecco perché sono da sempre considerate le gemelle della lirica, e di frequente vengono rappresentate in teatro una a fianco all’altra, nella medesima serata. Anzi è lo stesso Mascagni, a partire dagli anni ‘20, a dirigere la sua Cavalleria affiancata all’opera di Leoncavallo.

GLI EPIGONI DI CAVALLERIA RUSTICANA Sul modello della Cavalleria rusticana fioriscono molte opere, per lo più brevi, che svolgono temi tipici del Verismo letterario: drammi amorosi di tragica passionalità, consumati all’interno d’un mondo contadino o sottoproletario, spesso meridionale. Uno sguardo ai titoli di quei tempi rende la misura del clima musicale instaurato: Mala Pasqua!, Mala vita, La bella d’Alghero, Vendetta sarda, Un mafioso, Trecce nere… Tale serie di drammi a forti tinte di ambiente popolare con spiccate caratterizzazioni regionali invade i palcoscenici italiani, ricordando alla penisola di fine Ottocento – anche attraverso la musica, oltre che la letteratura – che il Regno d’Italia non si riduce soltanto alle grandi città quali Milano, Torino, Firenze e Roma, ma include un fondo sofferente di secolari miserie e arretratezze, escluso dallo sviluppo commerciale e dal progetto industriale che comincia a coinvolgere il nord della penisola. In quest’epoca, i sei principali compositori impegnati in un simile tipo di teatro musicale (Pietro Mascagni, Ruggero Leoncavallo, Giacomo Puccini, Umberto Giordano, Francesco Cilea ed Alberto Franchetti) vengono in qualche modo riuniti ed etichettati col nome di “Giovane Scuola Italiana”.

IL VERISMO “MORBIDO” DI MASCAGNI Il capolavoro di Pietro Mascagni accoglie solo in parte, e forse un poco superficialmente, le istanze veriste della novella di Verga. L’opera musicale è appassionante, ma non cerca di entrare impersonalmente nell’ambiente rappresentato, al fine di creare “l’illusione completa della realtà”. Mascagni non desidera “mettersi nella pelle dei suoi personaggi, vedere le cose coi loro occhi ed esprimerle con le loro parole”. Piuttosto, racconta una storia di povera gente (protagonisti non sono più re o faraoni, e nemmeno i ricchi borghesi) e ci porta nelle campagne del sud italiano. La musica ammicca al popolare, ma non c’è traccia di una ricerca sul patrimonio folcloristico della cultura contadina. Inoltre vengono a mancare alcuni ingredienti, nel passaggio dal testo verghiano a quello del libretto d’opera: non ci sono più riferimenti ad esempio ai carabinieri, che Verga ha inserito non senza significato: l’Arma, allora, in un’Italia che fa fatica a stare unita, rappresenta il potere centrale, la giustizia nazionale. «I miei interessi me li guardo io, da me, senza bisogno di quelli del pennacchio» dice il personaggio Alfio. E nella sua affermazione c’è la Sicilia dell’epoca. In Verga c’è una Sicilia reale, in Mascagni c’è una pur affascinante ed appassionante fotografia d’ambiente.


TESTI A CONFRONTO Il linguaggio utilizzato dai librettisti Targioni Tozzetti e Menasci è decisamente più elegante e poetico, rispetto a quello così ruvido e originale di Verga. Proviamo a comparare il dialogo tra “Santuzza” e la madre di Turiddu (nella novella di Verga è “Gnà Nunzia”): La novella Santuzza: Lo so... Compare Turiddu, prima d’andar soldato... si parlavano colla gnà Lola. Gnà Nunzia: Be’! Poi al suo ritorno la trovò maritata con compar Alfio di Licodiano, e si mise il cuore in pace. Santuzza: Ma essa no! Essa non se lo mise il cuore in pace. Gnà Nunzia: O come sai quest’altra cosa? Santuzza: Lo so, che si affacciava ogni volta, quando lo vedeva passare dinanzi la mia porta, e me lo rubava cogli occhi quella scomunicata! e cercava di attaccar discorso con lui anche! - Compare Turiddu, che ci venite a fare da queste parti? Non lo sapete che non ci fu la volontà di Dio? Ora lasciatemi stare che son di mio marito -. La volontà di Dio era per tentarlo! Egli si metteva a cantare sotto la mia finestra per far dispetto a lei che s’era maritata con un altro. Tanto è vero che l’amore antico non si scorda più. Il libretto Santuzza: Voi lo sapete, o mamma, prima d’andar soldato, Turiddu aveva a Lola eterna fé giurato. Tornò, la seppe sposa; e con un nuovo amore volle spegner la fiamma che gli bruciava il core: m’amò, l’amai. Quell’invida d’ogni delizia mia, del suo sposo dimentica, arse di gelosia... Me l’ha rapito... Priva dell’onor mio rimango: Lola e Turiddu s’amano, io piango, io piango, io piango!

LA TRAMA Il sipario è ancora abbassato, ma la musica già ci porta nel clima della storia che sarà raccontata. La voce è quella di Turriddu, che canta una serenata (una “Siciliana”) d’amore per Lola... Siamo in un paesino vicino a Catania, alla fine del ‘800. Nell’antefatto, il giovane contadino Turiddu aveva giurato eterno amore alla bella Lola, prima di partire per il servizio militare. Tornato a casa viene a sapere che la sua amata è andata sposa al benestante carrettiere Alfio. Tenta allora di consolarsi, ma inutilmente, tra le braccia di Santuzza. È la mattina di Pasqua. Ovunque risuona lo scampanio festoso ed i cori gioiosi dei contadini. Santuzza, gelosa, sospetta che Turiddu sia tornato ad amoreggiare con sua vecchia fiamma. C’è chi le ha detto di averlo visto aggirarsi, di notte, proprio intorno alla casa di Lola. Santuzza va a cercarlo dalla mamma di Turiddu, Lucia. Quest’ultima prima le risponde di lasciare in pace suo figlio. Poi le comunica, con freddezza, che Turiddu non c’è, è andato a prender il vino a Francofonte. «Non s’è mosso dal paese», replicherà Santuzza. Mamma Lucia tenta allora di portarla dentro casa per evitare pettegolezzi, ma Santuzza disperata le spiega come la Chiesa l’abbia scomunicata, a causa della sua avventura con Turiddu. Scomunica che non le permette di varcare la soglia di una casa “onorata”. Il


dialogo viene interrotto dal sopraggiungere di compare Alfio, il quale celebra con rozza allegria la vita nomade del carrettiere, cantando. Alfio si dice felice d’essere atteso a casa da una moglie fedele. Intanto inizia la processione pasquale, che si conclude in chiesa con la funzione solenne. Santuzza, in quanto scomunicata, men che meno può entrare in chiesa: torna a parlare con mamma Lucia e le rivela, in lacrime, il suo tragico amore per il giovane: egli l’ha sedotta per consolarsi del matrimonio di Lola, ma il suo cuore è ancora tutto per la sposa di Alfio, che lo ricambia, tradendo apertamente il marito. Mamma Lucia, angosciata, entra in chiesa. Rimasta sola, Santuzza vede avvicinarsi Turiddu e lo affronta, ma lui non vuole ascoltarla. Prima tenta di mentire sulle sue assenze e sugli incontri con Lola, poi, all’incalzare delle contestazioni di Santuzza, passa ipocritamente dai toni del fastidio per la «vana gelosia» all’orgoglio offeso, all’indignazione, alla minaccia. A sua volta, Santuzza passa dalle accuse per l’evidente infedeltà alla rabbia all’umiliazione, alla supplica del perdono (in quanto teme di perderlo). Giunge Lola, canticchiando uno stornello nascostamente dedicato a Turiddu. Vedendo i due, si ferma e chiede a Santuzza, con sarcasmo, come mai non vada alla Messa. «Ci deve andare chi sa di non aver peccato» risponde, graffiante, Santuzza. Entrata Lola in chiesa, riprende il confronto tra i due amanti in una tensione sempre più drammatica, tra la finta rabbia di Turiddu e l’esasperazione di Santuzza, che, alla fine, di fronte allo derisione di Turiddu che s’avvia alla chiesa senza degnarla d’uno sguardo, gli urla la sua maledizione: «A te la mala Pasqua, spergiuro!». Quando sopraggiunge compare Alfio, Santuzza, sconvolta, gli svela il segreto amore fra Turiddu e sua moglie. L’uomo capisce che Santuzza gli racconta la verità, e giura di vendicare il suo onore. La folla esce di chiesa e un gruppo di uomini si sofferma all’osteria. Turiddu invita gli amici a un brindisi pasquale e offre da bere ad Alfio. «Il vostro vino non l’accetto. Diverrebbe veleno entro il mio petto». Turiddu comprende e, gettando il vino, si dice pronto a battersi. I due siciliani sanno che c’è solo un modo per risolvere la situazione: Turiddu sfida Alfio a duello, mordendogli l’orecchio destro, seguendo lo scarno rituale rusticano. L’appuntamento è immediato, negli orti vicini, appena fuori dal paese. Prima di seguire il rivale, Turiddu incontra la madre, chiedendo la sua benedizione «come quel giorno che partii soldato». La implora di occuparsi lei di Santuzza, se lui non dovesse tornare. Lucia è angosciata dalle sue parole, ma il figlio fa finta di farneticare a causa dell’ubriachezza. E la bacia in fretta, prima di uscire. Santuzza entra nella taverna e abbraccia Mamma Lucia. Si sente salire dai vicoli un mormorio crescente e subito dopo il grido straziante d’una donna, fuori scena: «Hanno ammazzato compare Turiddu!».

LA PAROLA A GIOVANNI VERGA “Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll’uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quello della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a Messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva


portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata. Ma con tutto ciò Lola di massaro Angelo non si era fatta vedere né alla messa, né sul ballatoio ché si era fatta sposa con uno di Licodia, il quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli di Sortino in stalla. Dapprima Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella dalla pancia, voleva trargli, a quel di Licodia! però non ne fece nulla, e si sfogò coll’andare a cantare tutte le canzoni di sdegno che sapeva sotto la finestra della bella”. È l’incipit di Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, pubblicata dapprima sul settimanale “Fanfulla della domenica” il 14 marzo 1880, poi confluita nella raccolta “Vita dei Campi” edito da Treves a Milano nell’agosto dello stesso anno. La breve novella così si chiude: “Entrambi erano bravi tiratori; Turiddu toccò la prima botta, e fu a tempo a prenderla nel braccio; come la rese, la rese buona, e tirò all’anguinaia. - Ah! compare Turiddu! avete proprio intenzione di ammazzarmi! - Sì, ve l’ho detto; ora che ho visto la mia vecchia nel pollaio, mi pare di averla sempre dinanzi agli occhi. - Apriteli bene, gli occhi! gli gridò compar Alfio, che sto per rendervi la buona misura. Come egli stava in guardia tutto raccolto per tenersi la sinistra sulla ferita, che gli doleva, e quasi strisciava per terra col gomito, acchiappò rapidamente una manata di polvere e la gettò negli occhi dell’avversario. - Ah! urlò Turiddu accecato, son morto. Ei cercava di salvarsi facendo salti disperati all’indietro; ma compar Alfio lo raggiunse con un’altra botta nello stomaco e una terza nella gola. - E tre! questa è per la casa che tu m’hai adornato. Ora tua madre lascerà stare le galline. Turiddu annaspò un pezzo di qua e di là fra i fichidindia e poi cadde come un masso. Il sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola, e non poté profferire nemmeno: - Ah! mamma mia!”.


PER SCARICARE IL LIBRETTO http://opera.stanford.edu/Mascagni/Cavalleria/libretto.html http://www.librettidopera.it/cavrust/cavrust.html

PIETRO MASCAGNI SU “YOUTUBE” Sono giunti fino ai nostri giorni alcuni documenti audio ed anche video che riguardano Pietro Mascagni. In particolare, celebri sono le sequenze – facilmente rintracciabili su “Youtube” – in cui il Maestro livornese dirige Cavalleria Rusticana al Teatro dell’Opera di Roma nel 1940, in occasione della celebrazione dei cinquant’anni del suo capolavoro.


Le Opere

www.andreabocelli.com


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