L’
estate invoca il mare. Nella Romagna che raccontiamo risponde quell’Adriatico i cui flutti si infrangono sulle spiagge, creano piccole lagune dirimpetto alle pinete, lambiscono le anguste insenature e gli scogli. Un mare da accarezzare con i remi o da “misurare” a lunghe bracciate nuotando tra le sue acque. Oppure da immaginare, raffigurandosi mentalmente quello che può celarsi sotto la sua superficie increspata, per varcare la soglia di una vasta dimensione immaginifica. L’alto Adriatico è un mare chiuso ma ricco di sorprese, bagna un suolo a cui sono legate grandi figure di uomini e donne dai più diversi talenti, ma quasi sempre contraddistinti dagli attributi dell’ostinazione e della generosità. Capaci di interpretare la propria terra, di tributarle profondo impegno e di celebrarne i doni, sempre rispettandone il carattere, sempre riconoscenti per i suoi favori.
In summer, the seaside calls. And in Romagna, that means the Adriatic, whose waves seethe on its shoreline and lap at narrow creeks and crags and sometimes pour through the dunes to create lagoons in the pine forests. A sea that’s caressed by the oars of boats or staked out in the strokes of a long-distance swimmer. Or a sea that speaks to the imagination, which pictures to itself what might lie hidden beneath the coruscated surface, crossing the mental threshold to a vast new world. The Adriatic is an enclosed sea but one that’s rich in surprises; and its shores are peopled by men and women whose talents vary greatly but who are invariably distinguished by their persistence and their generosity. Men and women who can give expression to the land that bore them, who devote themselves to it and celebrate its blessings, respecting its character and grateful for the gifts it brings.
La Redazione di ee
ee editorial team
EDITORIALE
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ea r th e lem e nt
valentina santandrea
immagini: archivio comune di ravenna
Dune romagnole L ’ oasi natural e costi e ra d e lla “ B assona ”
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Tra le dieci spiagge più belle d’Italia figurano cinque chilometri di litorale tra la foce del fiume Bevano e Lido di Classe: questo tratto di costa è noto come Bassona e deve il nome alla sua peculiarità di vallata “bassa” rispetto al livello del mare, che a volte lo invade. La pineta di Classe, che, contigua alla spiaggia, si estende per 900 ettari, è un luogo particolarmente suggestivo, tanto che vanta almeno un paio di estimatori illustri. Uno è Dante Alighieri, che nella Divina Commedia definisce il Lido di Chiassi “una divina foresta spessa e viva”. Il Boccaccio, invece, vi ambientò i momenti cruciali di una tra le più note novelle del Decamerone, quella che narra le gesta di Nastagio degli Onesti, ricco ravennate che si rifugia nella pineta per dimenticare una reticente donzella. Nastagio degli Onesti in esilio volontario nella pineta verrà tra l’altro ritratto da un artista del calibro di Botticelli. Felice fu dunque l’azione dell’imperatore Augusto (63 a.C. - 14 d.C.), il quale, nel costruire il porto di Classe, piantò una foresta di pini marittimi nell’area, il cui legno doveva servire alla costruzione delle navi. Da allora, la zona non ha subito cambiamenti significativi. L’oasi, che fa parte del Parco Regionale del Delta del Po, è scampata miracolosamente alla forte urbanizzazione che ha interessato il litorale romagnolo a partire dal boom economico degli anni Sessanta, quando stava per prendere vita il progetto di edificare parte dell’area e di insediarvi 80.000 persone, allestendo alla foce del Bevano un porto turistico. I
Sensi
di
Romagna
Si rese necessario l’intervento del WWF, prima, e della pretura di Ravenna, poi, per negare la compatibilità tra il cemento e la tutela dell’area stessa, che dal ‘79 fu infine riconosciuta come riserva naturale dello Stato. Le costruzioni presenti sulla zona, oggi come allora, sono i tipici “capanni”: baracche in legno e lamiera, dotate di un sistema di funi e di reti da pesca, affacciate sul mare o sul torrente Bevano, costruiti all’epoca in cui, secondo un antico uso civico, i cittadini ravennati godevano del diritto di pescarvi. A partire dagli anni Sessanta, a far compagnia ai pescatori dei capanni e ai banditi nascosti nella pineta, arrivarono i naturisti. La loro presenza, nonostante le numerose vicissitudini dovute ad alcune tra le più frequenti degenerazioni dei movimenti peace and love, resiste tuttora, mantenendo l’originario orientamento ambientalista, pacifista, no logo.
Per sempre me ne andrò per questi lidi, tra la sabbia e la schiuma del mare. L’alta marea cancellerà le mie impronte, e il vento disperderà la schiuma. Ma il mare e la spiaggia dureranno in eterno. Gibran Kahlil Gibran
Con un’ordinanza del 2002 il sindaco di Ravenna ha infatti consacrato ai naturisti un chilometro di litorale, costituendo la più estesa spiaggia naturista italiana. In questa parte di Romagna pare dunque che il tempo si sia fermato, con la natura che regna ancora sovrana sull’uomo, con gli ecosistemi che ancora si riproducono, non antropizzati. Resistono persino le dune di sabbia, che, fortemente vulnerabili all’azione degli agenti naturali come sono, stanno divenendo una rarità nelle altre spiagge italiane.
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The sand dun e s of R o ma g na and the coastal oasis of Bassona
among the ten most beautiful beaches of italy is a five-kilometre stretch of coastline between the mouth of the river bevano and lido di classe, known as bassona. it takes its name from bassa, low-lying, as the land immediately behind the shore is actually below the level of the sea, which occasionally floods it. Adjacent to the shoreline is the pine forest of Classe, which covers an area of 900 hectares. It’s an enchanting spot, and all the more so in that it had at least two illustrious admirers. One was Dante Alighieri, who in his Divine Comedy described the Lido di Chiassi as “a forest dense, alive with green”. The other was Boccaccio, who set the crucial episodes of one of the most famous stories of the Decameron here – the ordeals of Nastagio degli Onesti, a rich inhabitant of Ravenna who takes refuge in the pine forest to forget the woman who did not return his love. His voluntary exile in the forest was the subject of many paintings, including one by Botticelli. Neither of these episodes could have taken place without the emperor Augustus (63 BC-14 AD), who built the port of Classe and planted the hinterland with maritime pines to supply timber for the construction of ships. The area has remained substantially unchanged since then. As part of the Po Delta nature reserve, Bassona has miraculously avoided the intensive development that has engulfed the coastline of Romagna since the economic boom of the 1960s.
At that time there were plans to develop part of the area and build a holiday complex at the mouth of the Bevano, a project which would have brought 80,000 new inhabitants to the area. It took the intervention of first the WWF and later the courts of Ravenna to scupper the scheme on the grounds of incompatibility of concrete and nature, and Bassona became a nature reserve in 1979. And so the only buildings to be seen here, now as then, are the traditional capanni: sheds of wood and corrugated panel with stakes for draping ropes and fishing nets, overlooking the sea or the river, built at a time when under an ancient civic privilege the inhabitants of Ravenna had to the right to fish in the local waters. Then, in the 1960s, the fishermen in their shacks (and the bandits in the woods) found themselves with new company: naturists. Despite the controversy caused by what many saw as a degeneration of the peace and love ethos, the nudists are still here, survivors of the original environmentalist, pacifist, “no logo” movement. And in a regulation passed in 2002, the mayor of Ravenna awarded the naturists one kilometre of the coastline, making it the longest nudist beach in Italy. Time seems to have come to a standstill in this part of Romagna: nature continues to prevail over development, and the local ecosystems are free to thrive unhindered by human intervention. Even the sand dunes – as vulnerable to the action of nature as they are to the interference of man – have survived, while on other Italian beaches they are increasingly becoming a rarity.
Territorio
Di fronte al mare la felicità è un'idea semplice. Jean-Claude Izzo
Angolo affascinante dell’alto Adriatico luca biancini
immagini: sergio pizzarotti,archivio parco naturale monte san bartolo
B aia V allu g ola
Superata Cattolica e Gabicce Mare, la costa romagnola interrompe la sua linearità e, a ridosso della spiaggia, iniziano le prime alture marchigiane. Fra due promontori che si allungano sul mare, Gabicce e Castel di Mezzo, si apre poi l’incantevole insenatura naturale di Baia Vallugola.
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mio paese non tenga si contano i giorni trovare. Sul toponimo Vallugola esistono diverse ipotesi, Nonostante questa fascia di Alterritorio appar della settimana e, non contando i giorni una lo farebbe derivare da “Valle Lunula”, cioè “valle amministrativamente alla Provinciadella di Pesaro-Urbino, il suo settimana, si vive felici. Carlo Perasso cordone ombelicale culturale con la Romagna è molto forte, oscura” (probabilmente a causa della fitta vegetazione forse anche perché la distanza dal confine è talmente ridotta boschiva), mentre secondo un’altra interpretazione questo da permettere di raggiungerla a nuoto. Poche centinaia di deriverebbe dal nome “Valle dell’Ugola”, con riferimento metri, che sono sufficienti però a modificare radicalmente all’eco straordinariamente risonante che qui è possibile udire. il panorama. La spiaggia di sabbia fine muta in un arenile Oltre all’eco dei suoni, in questi pressi aleggia l’eco di ciottoli colorati bagnati da un’acqua particolarmente della leggenda (alimentata dai numerosi ritrovamenti di cristallina. Uno dei motivi di questo repentino cambio di frammenti di statue, anfore, terrecotte e mosaici) della scenario è dato dal fatto che la baia sorge davanti al città scomparsa di Concha (vedi ee N° 13) che narra il Parco Naturale del Monte San Bartolo. Un’area classificata mito di una sorta di “Atlantide” d’origine romana della come ZPS (Zona di Protezione Speciale) per il suo notevole quale studiosi e sommozzatori hanno a lungo cercato, pregio naturalistico-ambientale. Comprende infatti l’unico senza risultati, la posizione. Ancora oggi qualcuno tratto di costa alta, a falesia viva, da Trieste ad Ancona. giura che nelle giornate particolarmente terse, quando Un paesaggio raro in tutto l’Adriatico, che qui si accompagna il mare è calmo e trasparente, si possono scorgere i a scorci rurali rimasti intatti dagli anni Cinquanta ed è ruderi di antiche abitazioni, con strade, colonne e templi. connotato da una rilevante importanza storico-archeologica Di certo, però, resta solo il valore archeologico dell’area, per gli aspetti geologici di grande interesse rappresentati benché l’idea di un tuffo nello specchio di mare che dai fossili e dai rari cristalli di gesso che vi si possono bagna Vallugola, con una maschera da sub attraverso I
Sensi
di
Romagna
cui scrutare il fondale alla ricerca di una traccia dell’antico insediamento, sia certamente una prospettiva invitante. Questa perla ambientale è naturalmente contraddistinta da un ecosistema particolarmente fragile, per tutelarlo, dal 2009, si è costituito il comitato “Vallugola Terra Nostra” che attraverso iniziative di sensibilizzazione combatte il rischio, sempre in agguato, dello snaturamento della costa e dei danni permanenti alla qualità ambientale dell’area.
B aia Vallu g ola an enchanting part of the Adriatic Heading south past Cattolica and Gabicce Mare, the long sweep of the Romagna coastline comes to an end as the hills of the Marche begin to loom in the distance. Between the headlands of Gabicce and Castel di Mezzo lies the charming natural harbour of Baia Vallugola.
Although administratively it belongs to the province of Pesaro-Urbino, Baia Vallugola has very strong cultural ties to Romagna, not least because it lies within swimming distance of the Romagna frontier. In just a few hundred metres, however, the whole landscape changes beyond recognition. The beaches with their fine sand now yield to a shore of coloured pebbles and an exceptionally clear sea. No surprise, then, that with this sudden change of scenery we find ourselves on the fringes of the Monte San Bartolo natural park, an area classed as a Special Protection Zone on account of its natural and environmental value. For Monte San Bartolo natural park contains the only stretch of high coastline between Trieste and Ancona. Its sheer cliffs are to be found almost nowhere else on the Italian Adriatic, and in the surrounding countryside life has changed little since the 1950s. With its fossils and pockets of selenite, the area also has considerable archaeological and geological interest. Numerous etymologies have been advanced for the name “Vallugola”. According to one account it derives from Valle Lunula or “dark valley” (probably because of the dense vegetation), while another interpretation derives the name from Valle dell’Ugola or “valley of the uvula”, perhaps in reference to the extraordinarily sharp echoes that can be heard in the bay. But it’s not only sound that echoes with remarkable clarity here. For Vallugola also reverberates with the legend (fuelled by numerous finds of statue fragments, amphorae, terracottas and mosaics) of the lost city of Concha (see ee issue 13), an Atlantis of Roman origins whose location scholars and divers have long sought, without success. On especially clear days, it’s said, when the sea is calm and transparent, the ruins of ancient Concha with its houses, road, columns and temples can be made out in the distance. For the moment, however, and despite the archaeological interest of the area, Concha remains a legend. Although taking to the water with a diving mask and scouring the sea bed in search of traces of the ancient settlement is certainly an inviting prospect. This pearl of the Adriatic has a particularly fragile ecosystem, and in 2009 an association called Vallugola Terra Nostra was formed in an attempt to raise awareness of the dangers posed by disfigurement of the coastline and irreversible damage to the environmental quality of the area. Territorio
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Verde, bianco e rosso Gius e pp e C o m pa g noni , padr e d e l tricolor e franco de pisis
immagini: archivio biblioteca trisi (lugo)
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Nell’anno in cui si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia sorge spontanea una considerazione: sentendo parlare con tanta leggerezza di secessione ci si accorge infatti improvvisamente che un secolo e mezzo di storia può essere un lasso di tempo troppo breve per garantire al Paese un futuro di stabilità se durante questo tempo i valori alla sua base non sono stati ancora metabolizzati.
Una delle cause dell’attuale stato di cose è da ricercarsi nella tanto sbandierata scarsa memoria storica degli italiani. Sembra infatti che, particolarmente le giovani generazioni, osservando i monumenti che troneggiano nelle piazze delle città italiane sempre più spesso non siano a conoscenza dei motivi che hanno portato i loro avi a erigerli e il messaggio che dovrebbero diffondere si perde tra i rumori del traffico, riducendo il loro ruolo a quello di asilo per l’avifauna cittadina. La Romagna è stata una delle terre più attive durante i moti risorgimentali e non ha mancato di offrire alla causa i cuori e le menti di molti dei suoi migliori figli. Uno di loro può perfino fregiarsi del titolo di “padre del tricolore”: Giuseppe Compagnoni. La sua pacatezza di carattere e i suoi modi misurati, che non intaccavano la tenacia dei propri ideali, potrebbero forse ispirare alcuni moderni politici che paiono difettare di tutti gli attributi a parte l’arroganza. La figura di questo lughese, nato nel 1754, è infatti lontana dallo stereotipo di sanguigno attivista, tipica dei protagonisti del Risorgimento e dei romagnoli in genere. Compagnoni era un uomo umile e sorridente. Si interessava dei nuovi ideali di libertà divulgati dalla Rivoluzione francese, ma non esprimeva mai commenti ad alta voce. Preferiva meditare nella sua coscienza sulle “novità” che stavano per diffondersi in tutta Europa. Distintosi negli studi fin da fanciullo, particolarmente nelle discipline della filosofia e teologia, ancora giovanissimo prese i voti, dedicandosi parallelamente all’attività di giornalista e componendo poemetti che, data la sua naturale modestia, soleva firmare con lo pseudonimo Ligofilo.
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Vogliamo la patria, la patria una e rapidamente. Possiamo cedere su tutto; su questo no. Potete, sapete darcela? Giuseppe Mazzini
Si trasferì prima a Bologna per iniziare una collaborazione con il periodico Memorie Enciclopediche, diretto da Giovanni Ristori, e poi nella Repubblica di Venezia ove conobbe Giovanni Battista De Rolandis e Luigi Zamboni, autori del tentativo insurrezionale nel novembre 1794. Compagnoni era anche membro del Tribunale dell’Inquisizione e nel 1791 denunciò il conte di Cagliostro accusandolo di svolgere attività di negromanzia. Solo tre anni dopo abiurò però i voti sacerdotali per protestare contro le torture inferte dal Tribunale dell’Inquisizione ai detenuti, vedendo un suo ex allievo trascinato in catene col viso e il corpo lacerati dalle ferite. A Venezia, nel 1796, fondò il giornale Mercurio d’Italia, ma nell’ottobre successivo, sull’onda dei rivolgimenti che stavano attraversando la Penisola dopo l’invasione francese, la lasciò per Ferrara. Abbracciate le idee illuministe, fu segretario generale della Repubblica Cispadana. Eletto deputato al Congresso di Reggio Emilia, presentò numerose tesi, tra cui alcune riguardanti le tasse e l’istruzione. Il fatidico 7 gennaio del 1797 svolse le mansioni di segretario del secondo Congresso riunito in Reggio Emilia e quando all’assemblea venne proposta l’adozione di una bandiera egli non esitò a suggerire i colori della coccarda: verde, bianco e rosso, simboli di Unità Nazionale, espressione di libertà, uguaglianza, giustizia. Nel verbale della seduta, conservato nell’Archivio di Stato di Milano, si legge: “[…] Sempre Compagnoni fa mozione che lo stemma della Repubblica sia innalzato in tutti quei luoghi nei quali è solito che si tenga lo Stemma della Sovranità. Decretato.
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Fa pure mozione che si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti. Viene decretato. […] Dietro ad altra mozione di Compagnoni dopo qualche discussione, si decreta che l’Era della Repubblica Cispadana incominci dal primo giorno di gennaio del corrente anno 1797, e che questo si chiami Anno I della Repubblica Cispadana da segnarsi in tutti gli atti pubblici, aggiungendo, se si vuole, l’anno dell’Era volgare”. In questo testo non si parla di “creazione” della bandiera, il che farebbe supporre che questa esistesse già. Nel documento varato dal Senato di Bologna, datato 18 ottobre 1796, è invece indicato chiaramente: “Bandiera coi colori Nazionali - Richiesto quali siano i colori Nazionali per formarne una bandiera, si è risposto il Verde, il Bianco ed il Rosso”, facendo intendere che la bandiera è stata “formata” ex novo in quella sede. Comunque sia, era nato il tricolore italiano e Compagnoni era entrato nella storia come suo fautore. Il successivo 25 gennaio egli tenne un importantissimo discorso sulla necessità di separare il potere civile da quello ecclesiastico e nello stesso anno gli fu affidata la prima cattedra in Europa di Diritto costituzionale. Dopo la fusione tra la Cispadana e la Cisalpina in un’unica entità, si trasferì a Milano, ove ricoprì varie cariche istituzionali e fondò nel maggio del 1798 il giornale filo-napoleonico Il Monitore Cisalpino. Fuggito a Parigi a causa dell’invasione austro-russa ritornò nella capitale lombarda nel 1800, subito dopo la vittoria francese a Marengo, dove divenne funzionario di carriera nella Cisalpina che si sarebbe trasformata in Repubblica Italiana ed in seguito nel Regno d’Italia. Ricoprì, tra le altre, la carica di segretario del Consiglio di Stato e per iniziativa di Bonaparte fu insignito della Corona di ferro, massima onorificenza civile. Con la caduta di Napoleone, nel 1814, Compagnoni dovette lasciare le cariche statali assunte durante il Regno d’Italia e preferì dedicarsi all’attività di letterato tornando alla sua passione originale: la filologia, scienza letteraria che si propone di studiare il passato attraverso le testimonianze scritte. Forse con la consapevolezza di aver arricchito il campo di studio di questa disciplina con alcuni documenti, cruciali per la nascita di questo Paese, che portano la sua stessa firma. [10
T he gre e n, wh it e and red Giuseppe Compagnoni, father of the tricolour In the year Italy celebrates its 150th anniversary as a nation, a thought occurs to me: amid all the illconsidered talk of secession, perhaps a century and a half of history is too short an interval of time to secure a stable future for Italy if during this time the values which lie at the base of unification have yet to be properly digested.
and the inhabitants of Romagna in general. He was a mild, smiling man. He was interested in the new ideals of freedom disseminated by the French Revolution, but wasn’t one to shout his beliefs from the rooftops. He preferred instead to quietly meditate on the “new ideas” that were beginning to spread throughout Europe. Compagnoni distinguished himself in his studies while still a boy, showing a special flair for philosophy and theology. He took his vows as a priest while still a young man, at the same time dedicating himself to journalism and composing short poems which, given his natural modesty, he would sign with the pseudonym Ligofilo. Compagnoni then moved to Bologna, where he worked on the journal Memorie Enciclopediche under the direction of Giovanni Ristori. He then moved to the Republic of Venice, where he met Giovanni Battista De Rolandis and Luigi Zamboni, authors of the failed insurrection of November 1794. Compagnoni was also a member of the court of the Inquisition, and in 1791 had denounced the count of Cagliostro on accusations of necromancy. Just three years later, however, he revoked his priesthood in protest at the Inquisition’s torture of its detainees, after seeing an ex-student in chains with his face and body lacerated with wounds.
One of the causes of the current state of things can be found in the oft-lamented short memory span of the Italians. People – and the younger generations especially – seem unaware of the reasons that led their forefathers to build the monuments that tower over every piazza in every Italian town and city, the messages they were supposed to proclaim lost in the noise of the traffic, their role reduced to that of sanctuaries for the local birdlife. Romagna was one of the most active regions in the Risorgimento, and many of its finest sons dedicated their hearts and minds to the cause. And one of them can even lay claim to the title of “father of the tricolour”: Giuseppe Compagnoni. Behind the mild manners and self-effacing character was a man with a tenacious commitment to his ideals, and one who could serve as a source of inspiration for certain modern politicians whose only quality seems to be their arrogance. In his character, Compagnoni (born in Lugo in 1754) could not have been further removed from the stereotype of the sanguine activist typical of the leaders of the Risorgimento
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con una bandiera si può portare la gente dove si vuole. theodor herzl
Compagnoni founded the newspaper Mercurio d’Italia in Venice in 1796, but the following October, during the wave of revolt that was sweeping Italy in the wake of the French invasions, he left Venice for Ferrara. An advocate of the ideas of the Enlightenment, he was general secretary to the government of the Cispadane Republic. He was elected a deputy to the Congress of Reggio Emilia, and submitted numerous proposals for legislation, including some on taxes and education. On 7 January 1797 Compagnoni was acting as secretary to the second congress which had convened in Reggio Emilia. When a proposal for the adoption of a new flag was made, Compagnoni promptly suggested the colours of the cockade: green, white and red, the symbols of national unity and the expressions of liberty, equality and justice. In the minutes of the session, now in Milan’s Archivio di Stato, we can read: “[…] Compagnoni also moves that the banner of the Republic be raised in all places where the banner of Sovereignty is customarily displayed. Approved. He also moves that the Cispadane banner of three colours, green, white and red, be universally adopted, and that these three colours also be used in the Cispadane cockade, which all must wear. Approved. […] Pursuant to another motion by Compagnoni, after some discussion it is decreed that the Era of the Cispadane Republic commence on the first day of January of the current year 1797, and that this year be named Year I of the Cispadane Republic and be used on all public documents, with the optional addition of the year in the common era.” There is no mention of the “creation” of the flag in this text, which leads us to suppose that it already existed. However, a document approved by the senate of Bologna on 18 October 1796 clearly indicates: “Flag with the national colours – to the question of which national colours should be used for a flag, the answer was Green White and Red”: which suggests that the flag was “assembled” ex novo in Bologna. Whatever the facts of the matter, the Italian tricolour was born, and Compagnoni had entered history as its creator. On the following 25 January, Compagnoni delivered a major speech on the need to separate civil and ecclesiastical powers, and the same year was appointed to Europe’s first-ever chair in Constitutional Law. After the merger of the Cispadane and Cisalpine Republics, Compagnoni moved to Milan, where he occupied a succession of official posts. In May 1798 he founded the pro-Napoleonic newspaper Il Monitore Cisalpino. After the Austro-Russian invasion Compagnoni fled to Paris, returning to Milan in 1800 immediately after the French victory at Marengo. He then took up a career in the civil service, serving through the various transformations of the united Italy as the Cisalpine Republic became the Italian Republic, which in turn became the Kingdom of Italy. Among the posts Compagnoni occupied were secretary to the Council of State, and on the initiative of Napoleon he received the Order of the Iron Crown, Italy’s highest civilian honour. With the fall of Napoleon in 1814, Compagnoni was forced to resign from his job and now dedicated himself to writing, returning to his original passion: philology, the study of the past through written accounts. Perhaps now with a new awareness that he himself had enriched this discipline, having put his name to some of the crucial texts of Italian reunification.
Storia
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[...] mi sono innamorato di quella bambina-vecchina un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffato, buffo, sgraziato e tenerissimo clown che ho chiamato Gelsomina e che oggi ancora riesce a farmi ingobbire di malinconia quando sento il motivo della sua tromba. Federico Fellini
Nata il 22 febbraio 1920, a soli quattro anni fu mandata dalla famiglia a Roma, nella casa di una zia rimasta vedova che, durante il periodo del ginnasio e del liceo, la incoraggia a coltivare la sua passione per la recitazione. Fu grazie al suo amore per lo spettacolo che, nel 1942, in uno studio EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), incontra Federico Fellini. Il 30 ottobre del 1943 si sposano e danno vita ad una delle più affiatate e chiacchierate coppie dello spettacolo, il cui importante sodalizio artistico li vede, insieme, raggiungere le più alte vette della celebrità e della fama. Laureata in Lettere e Filosofia, subito dopo la fine della guerra, Giulietta ha, nel suo trasporto per la recitazione, quella fiamma irradiante che, come l’amore per Fellini, non vacillerà mai. Ma è anche una donna in cui convivono profonde contraddizioni. Lei, cattolica praticante, colta e discreta ha, per amore, condiviso, con la sregolata genialità di Fellini, le bizzarre intemperanze di un uomo sempre circondato e tentato dall’avvenenza di donne bellissime, che le ha offerto come unica fedeltà quella che li univa nell’anima. Una donna straordinaria che sapeva vivere con la stessa dignità le grandi gioie e i grandi dolori che la vita le riservava (come la morte per insufficienza respiratoria del figlio avuto da Fellini nel 1945 e vissuto solo due settimane). Che dietro al suo fisico esile, a causa del quale Fellini la chiamava la spèpla (la sbarazzina), nascondeva un carattere forte e deciso, che ha amato così tanto il suo compagno da non sacrificargli parti di sé, ma da donargliele inalterate, accogliendolo senza pretendere di cambiarlo. Una donna e un’attrice che fino alla fine, quando ormai nessun ruolo da tempo le veniva più offerto, non si rammaricava mai per sé, ma si indignava perché uguale sorte era toccata anche a Federico Fellini. La Masina fra i tantissimi riconoscimenti artistici si è vista paragonare, per mimica e intensità interpretativa, a Charlie Chaplin, di cui possedeva certamente anche quello smarrito sguardo ingenuo e malinconico che, nei suoi personaggi e nella vita, sempre ne ha contraddistinto il carattere. Forse in pochi ricorderanno che Giulietta condusse dal 1966 al 1969 una trasmissione radiofonica in cui rispondeva alle domande del pubblico e che ispirò una rubrica giornalistica, sempre da lei curata, su La Stampa di Torino, intitolata: “Risponde Giulietta Masina” da cui è stato ricavato un libro dal titolo Il diario degli altri che riporta alcuni dei dialoghi trasmessi alla radio e sulla stampa. Di lei restano indelebili le involontarie impronte di una vita semplice.
From G e lso mina to C abiria the difficult and distinguished life of Giulietta Masina
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She was born in San Giorgio di Piano in the province of Bologna, but her marriage to Federico Fellini was also a union with the director’s beloved Rimini. Romagna welcomed her with open arms in all its frankness and simplicity.
angelamaria golfarelli
immagini: archivio angelamaria golfarelli
Da Gelsomina a Cabiria Giuli e tta Masina e la m alinconia d e l so g no , fra ironia e trist e zza Era originaria di San Giorgio di Piano, ma il suo nobile e delicato esistere aveva sposato Federico Fellini e Rimini in un’unione assoluta fra l’uomo e la sua terra. Quella Romagna tanto amata e generosa, che l’aveva pienamente accolta nel suo mondo semplice e schietto. I Sensi di Romagna
Born on 22 February 1920, Giulietta Masina was just four when she was sent to Rome to live in the house of a widowed aunt. It was this aunt who encouraged her to cultivate her passion for acting. And it was her love of show business that led her to meet Federico Fellini in 1942, in a studio of the public service broadcaster EIAR. They married on 30 October 1943, tying the knot on one of the most fruitful and much-talked-about show business marriages ever. It was a partnership that saw them both scale the highest heights of fame and celebrity.
Giulietta Masina had a degree in philosophy, but her switch to acting at the end of the war had all the force of a conversion, and like her love for Fellini, her dedication to her new career never wavered. But she was also a woman of profound contradictions. She was a practising Catholic, educated and reserved, who in her love for the genial, mercurial Fellini tolerated the excesses of a man who was always surrounded – and tempted – by the charms of beautiful women, a man whose only promise of fidelity was in their union of souls. She was an extraordinary woman who endured with the same dignity the joys and pains that life held in store for her (in 1945, her son by Fellini died of respiratory failure, just two weeks after his birth). She was slight of physique – Fellini called her la spèpla (“tomboy”) – but strong and resolute of character, who loved her companion so much she devoted herself body and soul to him, accepting him without trying to change him. A woman and an actress who right till the end, when the offers for work had long since dried up, never lamented her own predicament but instead voiced her indignation at the misfortunes that had befallen her husband. Masina has been compared with Charlie Chaplin in her mimic and expressive abilities, and she also shared with Chaplin that ingenuous and engagingly sad expression which always distinguished her on screen and in real life. Perhaps few will remember that from 1966 to 1969 Giulietta Masina hosted a radio show in which she answered questions from the listening public. The show inspired a regular column in the Turin newspaper La Stampa. “Risponde Giulietta Masina” was in turn the inspiration for a book, Il diario degli altri, containing selected dialogues from the radio show and newspaper column. Memories of a simple life which left indelible marks.
Storia
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“The Italian Express”
paolo martini
immagini: archivio paolo martini
il coraggio è l’unica magia che val la pena di possedere. erica jong
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5 December 1944: the Canadians pour through the archway of Porta Nuova, Ravenna, liberating the city. A group of soldiers approaches some celebrating locals and one asks: “Where’s Gianni Gambi’s house?”
Il 5 dicembre 1944 i soldati canadesi entrano da Porta Nuova: è il giorno della Liberazione della città di Ravenna. Un gruppo di militari si avvicina ai ravennati festanti e chiede: “Dov’è la casa di Gianni Gambi?”.
In a city better known for other monuments, the question was more than a little strange, but the Canadians knew well what they were looking for: the origins of one the greatest long-distance swimmers of all time. Back on the banks of Lake Ontario, he was known as The Italian Express, but Gianni Gambi had been born in Ravenna on 7 September 1907. His father Spartaco had been a gifted racing cyclist in his own youth, and while still a boy Gianni quickly revealed a passion for sports that was matched only by his lack of aptitude for reading, writing and arithmetic. No books for Gianni: he much preferred a dip in the Corsini, “his” canal, swimming from Ravenna to the sea and back. Using the new swimming style called the crawl, Giannino was soon attracting attention all over Europe, from Rome to Nice, Paris to Berlin. In the German capital, he won three races in the river Spree. One of these races was on Christmas day, 1930, with Gambi crossing the line under heavy snowfall. The conditions were hostile, but Gambi had his own special approach to racing: either you drown or you win. But it was on the other side of the Atlantic that the small Ravennan – Gambi was under one metre sixty in height – became a living legend. At this time, long-distance swimming was greatly in vogue in the United States and (a little later) Canada. These races were ordeals that pushed competitors to the edge of their endurance, and many Olympic champion swimmers avoided taking part in them. For those who did take part, however, the prize money was astronomical. Gambi arrived in Toronto without a cent in his pocket, finding hospitality – and credit – with an Italian host. His first endurance challenge, eighteen kilometres for a purse of 2,500 dollars, was in ice-cold water. Gambi was in the lead when he was forced to retire from this race, his body paralysed by cold. He wasn’t the only one: of the three hundred entrants who set off, only two made it to the finishing line. But Giannino wasn’t giving up yet. Drown or win. And so he set about building his legend.
La domanda, in una città che vanta monumenti straordinari, può apparire stravagante, ma i canadesi sapevano bene cosa cercare: l’origine del più grande nuotatore di fondo di tutti i tempi. Quello che sulle rive del lago Ontario conoscevano come The Italian Express. Gianni Gambi nasce a Ravenna il 7 settembre 1907. Figlio di Spartaco, buon pistard in gioventù, mostra subito una grande passione per gli sport e una scarsa propensione per le materie scolastiche. Ai libri preferisce nuotare nel “suo” canale Corsini: da Ravenna al mare e ritorno. Impegnandosi nel nuovo stile natatorio, il crawl, Giannino comincia a farsi notare in giro per l’Europa: Roma, Nizza, Parigi e Berlino. Nella capitale tedesca trionfa tre volte nelle acque dello Sprea. In particolare, nel 1930, taglia in testa il traguardo il giorno di Natale sotto una fitta nevicata. Sono condizioni proibitive, ma
Gambi ha un modo tutto suo di prendere le gare: o si annega, o si vince. Il piccolo ravennate, è alto infatti meno di un metro e settanta, costruisce la sua leggenda attraversando l’Oceano. Negli States, e in particolare in Canada, sono in gran voga le maratone natatorie dei professionisti. Gare massacranti ai confini della follia, tanto che molti campioni olimpici di nuoto si guardano bene dal parteciparvi. Ma che riservano montepremi faraonici. Il Nostro s’imbarca sul piroscafo alla volta di Toronto, non ha un soldo in tasca, trova ospitalità - e credito - presso un oste italiano. La prima gran fondo, diciotto chilometri con 2.500 dollari in palio, si svolge in un’acqua gelida. Gambi si ritira, mentre è in testa, con il corpo paralizzato dal freddo. È in buona compagnia, dei trecento partenti arrivano al traguardo in due. Giannino, comunque, non desiste, come si è detto: affogare o vincere.
Gianni Ga m bi : l e g g e nda plan e taria d e l nuoto di fondo [14
“The Italian Express” Gianni Gambi: a global legend of long-distance swimming
Romagna
First came the world three- and five-mile titles. Soon Gambi was winning every race he entered and approaching mythical status. The Algonquin community named Gambi honorary chief of their tribe, giving him the nom de guerre of Flying Fish; he taught Douglas Fairbanks how to swim in the pool of the transatlantic liner Rex; and Johnny Weissmuller, the most famous Tarzan in history, refused to race him for fear of being humiliated. Gambi was an endlessly resourceful man, and for his distinguished service during the war was awarded offered a silver medal for valour – which he refused. When the war finished Gambi was in his 40s, but still found time to swim the English Channel. His last race was the Napoli-Capri swim in 1949. And that’s the story of Gianni Gambi. If you ever come across a restaurant in Canada called Giannino, the chances are it’s named after this legendary swimmer.
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E costruisce la sua leggenda. Vince i campionati mondiali delle tre e cinque miglia. Domina ogni tipo di competizione e la sua figura sconfina nel mito. La tribù degli Algonchini lo nomina capo onorario con il nome di battaglia Flying Fish, insegna il crawl all’attore Douglas Fairbanks nella piscina del transatlantico “felliniano” Rex, Johnny Weissmuller, il più famoso Tarzan della storia, rinuncia a sfidarlo per non andare incontro a un’umiliazione. Persona dalle risorse infinite, si distingue in guerra meritando una medaglia d’argento al valor militare che rifiuterà. Dopo la guerra, ultraquarantenne, troverà il tempo di attraversare la Manica. Ultima gara: la Napoli-Capri del 1949. Così, non vi stupite se troverete nel lontano Canada una trattoria o un ristorante chiamati Giannino. Non è cucina italiana, è memoria di una leggenda.
Storia
I m a e stri d ’ ascia d e l m oscon e È un’immancabile icona della spiaggia adriatica, da oltre mezzo secolo presenza discreta nelle foto ricordo dei tanti turisti che, fin dagli anni del boom economico, affollano in estate la costa romagnola: l’inconfondibile imbarcazione a remi conosciuta, a seconda della zona, con il nome di pattìno o moscone.
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Dove nascono i pattìni
Non si pensi però che il moscone in legno debba essere preferito solo per motivi “romantici”. Tutte le cooperative di salvataggio della riviera romagnola adottano ancora questi modelli perché tengono il mare in maniera incomparabile rispetto ai loro analoghi in vetroresina, dimostrandosi più maneggevoli e stabili in ogni situazione e mantenendo meglio la deriva. Per questi stessi motivi vengono utilizzati anche dai pompieri e dai carabinieri nelle manovre di soccorso sotto costa. Servono otto giorni di lavoro per completare un moscone, anche se qui la produzione si svolge collettivamente per fasi, gli ordini si ritirano a novembre e le consegne iniziano a Pasqua. Negli anni d’oro il cantiere esportava in tutto il mondo, oggi realizza al massimo 120 esemplari l’anno che vengono consegnati lungo tutta la costa adriatica e nelle isole italiane, ma anche in Marocco, Olanda, Siria, Francia e Spagna. Oltre alla produzione di pattìni, il cantiere si occupa del loro restauro, spesso lavorando su modelli costruiti anche quarant’anni prima, il che la dice lunga sulla resistenza di questi natanti. Come recita una massima proferita da Bruno de Biagi: “La plastica galleggia, il legno naviga”.
Where the pattìni are born the master boatmakers and the moscone
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It’s one of the most iconic sights on the Adriatic coast, and for the past half century has been a discreet yet omnipresent feature of so many holiday snaps taken by the tourists who have been flocking to the Romagnol riviera since the early years of the economic boom: the distinctive oar-powered boat that’s known as the pattìno or moscone, depending on the locality.
bernardo moitessieri
immagini: archivio cantiere de biagi e magi
Tecnicamente si tratta di un natante da diporto a remi dotato di due galleggianti, detti siluri o gondole, uniti da traverse che sostengono i sedili, ma le sue forme, attraversando immutate il tempo, suggeriscono molto di più, richiamando subito alla mente la sua versione attrezzata per la voga in piedi che da sempre viene destinata a un altro illustre “protagonista” dell’estate popolare: il bagnino di salvataggio. Un tempo queste imbarcazioni venivano prodotte da innumerevoli laboratori artigianali sparsi in tutta la Penisola. Da parecchi anni però le versioni industriali realizzate in vetroresina hanno costretto alla chiusura questi minuscoli arsenali, rischiando di cancellare un simbolo del piccolo diporto. Solo un cantiere di Cattolica, affacciato sulla sponda romagnola del torrente Tavollo (che proprio sfociando segna il confine con le Marche), prosegue dal 1890 la gloriosa tradizione del pattìno in legno, oggi affidata ai due maestri d’ascia Elvino Magi e Bruno De Biagi. I loro mosconi sono ancora realizzati su disegni originali del padre di Magi, risalenti agli anni Cinquanta. Le misure classiche sono: 4,20 m di lunghezza per una larghezza che va da 1,40 a 1,70 m. Qui quando si parla di legno si intende legno pregiato, come le essenze di abete, obeche e samba, che, insieme al compensato marino di Okume, vengono ancora usate per realizzare i pattìni del cantiere De Biagi e Magi. Per i remi, a pala curva o piatta, sempre realizzati a mano, si usa invece il legno Douglas.
I
Sensi
di
Romagna
Technically speaking, the moscone is an oar-powered recreational craft with two hulls joined by cross-beams on which seating is placed. Its form has remained unchanged over time, although one version, on which the oarsman stands, is traditionally used by another unfailing protagonist of summer on the beaches: the lifeguard. At one time, the moscone was built in boatyards all over Italy. With the rise of industriallyproduced fibreglass hulls, however, many of the smaller boatyards were forced to close, threatening the survival of this iconic pleasure craft. Only one boatyard in Cattolica, on the Romagna side of the river Tavollo (its mouth marks the frontier with the neighbouring region of Marche), has kept alive (since 1890) the illustrious tradition of the timberhulled moscone. Today, its master boatwrights are Elvino Magi and Bruno De Biagi. Their mosconi are still made to the original designs of Magi’s father from the 1950s. The classic proportions are 4.20 m in length, with breadth between 1.40 and 1.70 m. And when we speak of “timber” we don’t mean just any wood but varieties like spruce, obeche and samba, which, together with okoumé marine plywood, are still used for making the pattìni of De Biagi and Magi. The oars can have flat or curved blades, and are always hand-made using Douglas fir. It would be wrong to think that the timber-hulled moscone is to be preferred merely for “romantic” reasons. Lifeguards on the Romagnol riviera still use the timber-hulled model, as it sails far better than the fibreglass version and is easier to handle in adverse conditions. For the same reasons, the local fire services and carabinieri use timber-hulled pattìni for their offshore operations. It takes eight days to make a moscone, although in the boatyard of De Biagi and Magi production is a phased operation, with orders closing in November and deliveries beginning at Easter. In its heyday the yard exported its crafts all over the world; nowadays, it makes no more than 120 boats a year, mostly for clients along the Adriatic coast and the Italian islands, but also for more distant destinations such as Morocco, the Netherlands, Syria, France and Spain. The yard is also involved in the restoration of pattìni, often working on models up to 40 years old – which speaks volumes for the resilience of these craft. As Bruno de Biagi is fond of saying: “Plastic floats; wood sails.”
Passioni
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. Perciò sterno spe o e sso d n , mo l . e e r d o i e ter in o nt
,
I l labirinto t e m poran e o pi ù e st e so d ’ Europa
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immagini: archivio carlo galassi
ciò che è ne di den zio tr o oie di pr uori di te, a te fi ta f un n i e s sc ch i c
italo graziani - testo raccolto da alessandro antonelli
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Un enigma da percorrere
Ciò che è fuo ri di e d n d t te a r i i t n e o l è la and u b q ir i
ntro di te è u è de na pr che o ò i ez ci anche nel t io uo e n l ab ir i re tra ne pe
Haruki Murakami
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del mais, che viene poi raccolto, essiccato e utilizzato come mangime animale, per essere riseminato l’anno successivo. I cinque ettari di estensione originaria sono negli anni diventati i sette attuali, facendo di questa installazione il labirinto effimero più vasto d’Europa. Il suo disegno, che cambia ogni anno, viene tracciato dall’artista Luigi Berardi (vedi ee N° 10) su un’idea di Carlo Galassi, che insieme a volontari e collaboratori ha dato vita a questo eccentrico progetto. I sentieri che lo compongono si sviluppano per quasi quattro chilometri. Quando le piante raggiungono la piena maturità si innalzano fino a tre metri, isolando completamente i lati del sentiero e rendendo impossibile sbirciare o deviare tra un tratto e l’altro del dedalo. Come da tradizione, infatti, la sfida, o più precisamente il rito iniziatico, consiste nel superare la “prova di coraggio”: lo smarrimento e l’ignoto prima di giungere alla meta, rappresentata dal centro del labirinto, nel quale Berardi ha allestito una grande meridiana. La situazione più emozionante per cimentarsi in questa esperienza si ha durante le notti di luna piena. Nei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre la bianca luce del plenilunio conferisce allo scenario una rara suggestione permettendo di rivivere emozioni “primordiali” in cui il rapporto con la “Madreterra” si rende palpabile e trasformando il gioco nella vittoria del lato spirituale su quello materiale, dell’intelligenza sull’istinto. Ma la prova non si esaurisce arrivando al centro del dedalo; anzi la parte più difficile è forse proprio quella di ritrovare il punto di partenza, altro aspetto del labirinto effimero che copia la vita.
Nella campagna alfonsinese, da due anni a questa parte, si rinnova un evento singolare, quello che era un semplice terreno agricolo diviene un labirinto tracciato tra gli alti fusti del granturco. Un luogo che offre una versione evoluta dell’antico gioco del perdersi e ritrovarsi negli sterminati campi di mais, passatempo da sempre praticato dai ragazzini che vivono nelle zone rurali. Parlando di labirinto, la mente ci porta verso i grandi miti dell’epoca classica. Nelle gesta di Teseo e Arianna, di Dedalo e Icaro, di Minosse e del Minotauro sono racchiuse le storie di molti dei tanti misteri che accompagnano il nostro vivere. Tracce sempre più esili le legano al nostro quotidiano correre moderno, ma il senso della vita, le sue radici e a volte il sottile filo che ci portiamo dietro attraverso il tempo, mantengono profonde similitudini con quest’arcaica metafora. Perché labirinto “temporaneo”? Forse per accordarsi alla natura usa-egetta delle nostre abitudini quotidiane, alla provvisorietà dei nostri pensieri, alla continua necessità di emozioni, che svaniscono con una rapidissima accelerazione. Il mais, questa pianta già sacra agli dei messicani portata in Europa dalle Americhe, è stato scelto quale illusoria componente vegetale del labirinto in virtù della sua natura stagionale. La struttura del labirinto dura quanto la vita I
Sensi
di
Romagna
A vanishing enigma Europe’s largest temporary maze 19]
For the last two years, the countryside around Alfonsine has played host to a curious attraction. What was once a simple patch of farmland becomes a maze whose alleys meander between tall stalks of maize.
It’s a new and evolved version of an ancient game that many children who grow up in rural neighbourhoods will know – getting lost in the endless expanse of a cornfield and then finding your way back out again. Speak of mazes and inevitably we’re carried back to the myths of ancient Greece. The stories of Theseus and Ariadne, Daedalus and Icarus, Minos and the Minotaur, seem to embody much of the mystery of life. And the connections between these stories and our restless modern lifestyles are not as tenuous as they might seem. Our roots, the meaning we give to our lives, the threads that link us to the past, are in many ways analogous with the ancient metaphor of the labyrinth. Why a “temporary” labyrinth? Maybe it’s a reference to our use-itup-and-throw-it-out lifestyles, the impermanence of our ideas, our continuous craving for new sensation as every form of excitement loses its appeal at an increasingly rapid rate. The medium for this temporary maze is corn, a plant which was sacred to the Mexicans and introduced to Europe from the Americas. As a seasonal plant, it’s an appropriate choice. The maze lasts no longer than the cornfield from which it’s carved – at the end of summer the corn is harvested, dried and used as animal feed, and then it’s replanted the following year. The maze originally occupied a site of five hectares, which has since grown to seven, making it the largest temporary labyrinth in Europe. Every year it has a different design, by artist Luigi Berardi (see ee issue 10).The original concept was by Carlo Galassi. With the help of volunteers, every year this eccentric project comes back to life in a different form. The alleys which comprise it are
almost four kilometres long. When the corn is fully ripe it reaches a height of some three metres, completely cutting off the view to any external points of reference and making it impossible to tell one part of the labyrinth from another. Finding your way out of the maze is more than a mere challenge: it’s like an initiatory rite, a test of courage. Those who take the test find themselves lost in the unknown before finally reaching their goal in the centre of the maze, in which Berardi has erected a large sundial. The most exciting time to venture into the maze is on a night with a full moon. In June, July, August and September, the moonlight invests the whole scene with a strange allure that seems to conjure up primordial emotions and reestablish our ties with Mother Earth. The adventure is one in which the spiritual prevails over the material, instinct over intelligence. And the test isn’t over once we’ve reached the centre of the maze: in fact perhaps the most difficult part is finding our way back to our starting point – another aspect of this temporary labyrinth that’s just like life.
Passioni
italo graziani - testo raccolto da alessandro antonelli immagini: archivio vincenzo ossani, laura zavalloni
La pesca nettarina bianca di Romagna O tt e nuta da V inc e nzo O ssani in m e zzo s e colo di ric e rca Non prospera la pianta che spesso si muta di luogo. Per contro si potrebbe dunque affermare che una pianta selezionata e coltivata sempre nella stessa terra non potrà che dare i migliori risultati.
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Sensi
di
Romagna
The plant that moves location often does not prosper, as the proverb goes. Conversely, a plant that’s selected and cultivated always in the same place will always give better results. Peach growing in Romagna is a long-established practice, as attested by the European Union’s award of Protected Geographic Indication status to its peaches and nectarines, grown according to specific methods designed to obtain the maximum in quality, hygiene and wholesomeness. The difference between a nectarine and a peach is that the former has a completely smooth, furless skin. The nectarine is redder too, with patches of yellow and orange. It’s commonly known as a pesca noce or “walnut peach” as it temporarily stops growing at certain point in its development, when it’s about the size of a walnut. While the yellow-fleshed version came to Italy from the United States, another variety, the white, is a bona fide child of Romagna created by the research of Faenza breeder Vincenzo Ossani. Ossani is venerated in Italian fruit-growing circles as a master who puts the full force of his passion into his work, bringing his willpower to bear on the obstacles in the way of research via a working method not dissimilar to that of a primitive hunter who braves the unknown with every new day. The variety created by Ossani is the result of fifty years of research centred on an experimental orchard planted in the premises of the Istituto Professionale Caldesi in Faenza, where Ossani worked as a teacher. His project also counted on the support of the local business community, which has thrived on the opportunities presented by peach-growing. The first white nectarine was branded “Caldesi”, and this was followed by the “Silver” and the “Romagna”. These varieties have an exceptionally delicate fragrance and excellent flavour, with the natural sweetness of the fruit nicely offset by a pleasantly acidic aftertaste. They can be eaten before they’re fully ripe, when still quite hard and crunchy to the bite. They can be enjoyed on their own or as an ingredient in fruit salads, tarts, ice creams and puddings. They also make a very tasty starter when combined with culatello or sweet cured ham. White nectarines are also an ingredient in certain cocktails, such as the Bellini. And since they’re exceptionally rich in vitamin C, beta-carotene and potassium, they’re also much in demand for their health benefits. As they’re harvested from June to September, peaches symbolize summer in the popular imagination. And now, to celebrate their long-standing connection with Romagna, the town of Massa Lombarda has opened a museum dedicated to the local history of the peach and nectarine. The museum is named after Adolfo Bonvicini (see ee issue 24), a pioneer of peach growing in the early years of the 20th century.
Enogastronomia
un uomo di genio non commette errori: i suoi sbagli sono l’anticamera della scoperta. james joyce
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In Romagna la peschicoltura ha radici talmente profonde da aver ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta dall’Unione Europea per la Pesca e Nettarina, che vengono coltivate in loco seguendo uno specifico disciplinare volto ad esaltarne i requisiti di qualità, sicurezza e salubrità. La nettarina si distingue dalla pesca comune per la sua buccia completamente glabra dal colore rosso, venata di sfumature gialle e arancioni. È conosciuta anche come pesca noce poiché durante lo sviluppo arresta la propria crescita per un certo periodo quando giunge alla grandezza di una noce. La versione a polpa gialla è giunta in Italia dagli Stati Uniti, mentre quella a polpa bianca può essere considerata integralmente romagnola in quanto è nata dal lavoro di ricerca del breeder faentino Vincenzo Ossani. Nell’ambito della frutticoltura italiana, Ossani è reputato un venerabile, uno di quei maestri che infondono nella loro opera quella passione che, abbinata alla volontà, infrange i limiti che si oppongono alla ricerca attraverso un metodo non così dissimile da quello di un cacciatore primitivo che sfida ogni giorno l’ignoto. Le varietà da lui costituite sono frutto di un cinquantennio di ricerca svolta anche grazie a un campo sperimentale, di valore nazionale, allestito negli spazi dell’Istituto Professionale Caldesi di Faenza, nel quale Ossani fu docente. Un progetto sostenuto anche dalla cooperazione e dall’imprenditoria locale che ha creato una ricchezza diffusa legata alla peschicoltura presentando inizialmente al mercato la nettarina bianca della serie “Caldesi”, a cui sono seguite la “Silver” e la “Romagna”. Queste varietà possiedono un profumo particolarmente delicato e offrono un’ottima qualità gustativa, che abbina alla dolcezza naturale del frutto un gradevole retrogusto acidognolo. Possono essere consumate anche in una fase di maturazione non avanzata, quando la consistenza è ancora compatta e risulta croccante al morso. Si gustano al naturale o come componente principale di macedonie, crostate, gelati o dolci al cucchiaio. Diventano poi uno stuzzicante antipasto se accompagnate al culatello o al prosciutto crudo dolce. Vengono inoltre impiegate come ingrediente per alcuni cocktail, il più noto dei quali è il Bellini. Sono particolarmente ricercate anche per le loro qualità nutrienti, essendo ricche di vitamina C, di beta-carotene e di potassio. Venendo raccolte durante il periodo compreso tra giugno e settembre, le pesche rappresentano nell’immaginario collettivo un simbolo della bella stagione. Per celebrarne il connubio con la Romagna, la cittadina di Massa Lombarda ha dedicato alla loro storia un museo intitolato ad Adolfo Bonvicini (vedi ee N° 24), pioniere della peschicoltura nei primi anni del Novecento.
The white nectarine of Romagna the fruit of fifty years of research by Vincenzo Ossani
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carlo zauli
Beloved artisan beer La Mata brewery
immagini: archivio birrificio la mata
B irrificio L a Mata
L’appellativo Mata nasce dall’unione delle iniziali del nome e cognome del mastro birraio fondatore dell’azienda: Marco Tamba, che con tale sigla firma da sempre le sue ricette.
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Questo acronimo è stato però scelto anche in virtù dei suoi significati paralleli, in romagnolo la mata significa “la matta” e indica il jolly nel gioco di carte chiamato “sette e mezzo”: il due di bastoni (che è stato utilizzato anche come logo del birrificio). In spagnolo invece la mata indica tutte le piante da orto e dunque può riferirsi anche al luppolo. Ma il senso lato preferito da Tamba è quello dato leggendo di seguito il nome, che suona come “l’amata”, naturalmente riferito alla sua birra. Il birrificio agricolo, adibito all’interno di una vecchia stalla dalla tipica architettura romagnola, sorge nella campagna di Solarolo, a pochi chilometri da Faenza, al centro della tenuta che la famiglia Tamba coltiva ormai da molte generazioni. Sposando la filosofia della filiera corta, Marco ha deciso di seguire direttamente tutto il processo di produzione della birra, dalla selezione e coltivazione delle materie prime alla lavorazione delle stesse fino al processo di trasformazione. Anche l’energia utilizzata è prodotta in loco attraverso un impianto fotovoltaico situato sul tetto della struttura. Tanto più il prodotto è massima espressione del territorio. La produzione inizia con la coltivazione dell’orzo che, dopo la trebbiatura, viene conferito al maltificio per effettuare le fasi di germinazione, essiccazione, tostatura e trasformarsi in malto d’orzo. Parte del luppolo, oggi ingrediente fondamentale per stabilire le qualità organolettiche della birra e per garantire una funzione antisettica, viene coltivato ed essiccato in azienda. Dalla lavorazione di questi ingredienti e dall’unione del mosto ottenuto con i lieviti, appositamente scelti in modo da garantire il processo di fermentazione ottimale per ogni ricetta, nasce questa birra, che può dunque essere considerata a tutti gli effetti un prodotto agricolo. Attualmente l’azienda la produce in tre tipologie ad alta fermentazione, rifermentate in bottiglia, non filtrate né pastorizzate, prive di additivi, coloranti e conservanti (come confermano anche la velatura del suo colore e la formazione di sedimenti nella bottiglia) battezzate Dora, Mora e Lova. I
Sensi
di
Romagna
La birra è la prova che Dio ci ama e vuole che siamo felici. Benjamin Franklin
L’amata artigianale
The name Mata is a portmanteau of the first two letters of the first and second names of the brewery’s founder, Marco Tamba, who displays the name on all his beers. But it was also chosen for its wealth of parallel meanings. In the Romagnol dialect, la mata is the two of clubs, the joker in the card game known as sette e mezzo: and this two of clubs was formerly the brewery’s logo. In Spanish, la mata designates a vegetable garden, and therefore makes an indirect reference to one of the plants commonly grown in such gardens, the hop. But Tamba’s favourite deconstruction is given by reading the name out loud, which sounds like l’amata or “the beloved”, which is obviously a reference to his beer. Tamba’s brewery occupies a former stable whose architecture is typically Romagnol. Its location is the countryside of Solarolo, a few kilometres from Faenza, in the centre of an estate which has been in the Tamba family for generations. Marco Tamba is a great believer in the no-middlemen philosophy, and directly supervises every stage in the production of his beer, from the selection and cultivation of the ingredients to their processing. The brewery is powered via a photovoltaic installation on the roof. That’s one more “ingredient” that’s locally produced! Production begins with the cultivation of barley, which after threshing is sent to the malt house where it undergoes the successive phases of germination, drying and roasting whereby it is turned into malt barley. The hops – which give flavour to the beer and also have antiseptic properties – are partly grown and dried on the estate. Add yeast – specially selected to promote the fermentation process most suited to each variety – and the beer is ready. To all intents and purposes, this is an agricultural product. The brewery currently produces three types of beer. All are topfermented, and refermented in the bottle. They are neither filtered nor pasteurized, and free of additives, colourings and preservatives (which explains their tendency to clouding and the formation of sediment in the bottle). These three beers are Dora, Mora and Lova.
Dora_ Birra artigianale chiara_ Ingredienti: acqua, malto d’orzo, luppolo, lievito/Dora_ pale artisan beer_ Ingredients: water, malted barley, hops, yeast Questa birra bionda ad alta fermentazione, rifermentata in bottiglia, si presenta con un bel colore giallo dorato, rivela un aroma erbaceo e di frutta fresca offrendo un gusto delicato e rinfrescante. La sua leggerezza la rende indicata sia per accompagnare piatti leggeri che per essere consumata lontano dai pasti. Può abbinarsi ad aperitivi, antipasti leggeri, primi piatti delicati e fritture come alle pizze classiche leggere, alle verdure o bianche. Temperatura di servizio: 10-12 °C. This top-fermented pale beer is refermented in the bottle. It has a rich, golden yellow colour, aromas of grass and fresh fruit, and a delicate, refreshing flavour. A light beer that can be drunk with light meals or on its own. It can combine well with snacks, light starters, delicate first courses and fried food, with classic thinbased pizza with vegetable toppings and with pizza bianca. Serving temperature: 10-12 °C.
Mora_ Birra artigianale rossa_ Ingredienti: acqua, malto d’orzo, luppolo, lievito/Mora_ red artisan beer_ Ingredients: water, malted barley, hops, yeast Intrigante birra morbida ad alta fermentazione, rifermentata in bottiglia, mostra un colore rosso intenso e svela un aroma di frutta sciroppata e secca che prepara al suo gusto pieno e maltato. Accompagna degnamente i primi piatti saporiti, i secondi a base di carne, come gli arrosti, e i formaggi freschi. Si gusta anche con pizze sapide, guarnite con affettati o salsiccia. Temperatura di servizio: 10-12 °C. An intriguing and smooth top-fermented beer, refermented in the bottle, with a deep red colour and an aroma of dry and syruped fruit that makes a good prelude to its full-bodied, malty flavour. A worthy accompaniment to savoury first courses, meats and roasts, and fresh cheeses. Goes well with stronger-flavoured pizza, with salami or sausage toppings. Serving temperature: 10-12 °C.
Lova_ Birra artigianale ambrata_ Ingredienti: acqua, malto d’orzo, luppolo, zucchero candito, lievito/Lova_ amber artisan beer_ Ingredients: water, malted barley, hops, candy sugar, yeast Come indica anche il nome (lova in dialetto romagnolo significa infatti “golosa”), questa birra ad alta fermentazione, particolarmente profumata, denota un aroma speziato e un intenso gusto avvolgente che vira al dolce. Ottimo per accompagnare gusti forti come quelli della selvaggina, degli umidi, dei formaggi stagionati e dei dolci a base di cioccolata. Si abbina felicemente anche alle pizze saporite e a quelle dolci. Temperatura di servizio: 12-14 °C. As its name suggests (lova means “gluttonous” in the dialect of Romagna), this top-fermented beer is particularly fragrant, with a spicy aroma and an intense, expansive flavour that verges on the sugary. An excellent accompaniment to strong flavours like game, stews, mature cheeses and chocolate-based sweets. Also goes well with salty and sweet pies. Serving temperature: 12-14 °C. Enogastronomia
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BEYOND SURFACE
AU DELA DE LA SURFACE
tatiana tomasetta
immagini: archivio famiglia biancini, archivio terre di faenza
Angelo Biancini A 1 0 0 anni dalla nascita di un artista vissuto tra r e alis m o e liris m o
conservata oggi dalla famiglia Biancini: “Pochi me n’è capitati che mettano tanto impegno, cura e costanza nel proprio lavoro. Certo la via dell’arte non è facile come può apparire all’imbocco, ma non mancherà egli di tutta quella resistenza e spirito di sacrificio necessari a percorrerla […]”. Biancini incontra Andreotti a Firenze dove frequenta l’Istituto d’Arte diplomandosi in “Scultura decorativa e arte del legno” e si forma nella sua scuola a contatto con nomi del calibro di Ugo Ojetti. Del maestro fiorentino avrà sempre devota ammirazione e il suo magistero influenzerà notevolmente il lavoro di Angelo, nonché la tensione creativa ed emotiva che caratterizzeranno l’approccio dell’artista castellano alla materia lungo tutta la carriera. Sono gli anni Trenta e Biancini si afferma nel panorama nazionale partecipando, per la prima volta, alla Biennale di Venezia del ’34 con il bronzo La Lwzcha, e grazie alla statua commissionata per il Foro Mussolini a Roma, l’Atleta vittorioso, impegno portato a termine nonostante l’opera fosse predefinita e lo schema imposto dal dettame razionalista. Nel 1935 espone alla Quadriennale
d’arte a Roma, alla mostra di scultura a Vienna e, l’anno dopo, ancora alla Biennale dove porta tre capolavori in bronzo: Ritratto di fanciulla, Prometeo e Donna romagnola. La cifra stilistica di Biancini è vicina alle arti figurative e dedita ai valori della tradizione, ma anche all’esigenza di soddisfare il suo desiderio di sperimentazione che si manifesta attraverso l’applicazione dei dettagli, la revisione dei temi, la disposizione delle figure, persuase a pose informali oppure sagomate a nuove interpretazioni. Nel ’37 si trasferisce a Laveno per collaborare con Guido Andlovitz alla direzione artistica della Società Ceramica Italiana, torna a “casa” nel ‘43 per intraprendere l’attività di insegnamento all’Istituto per la Ceramica di Faenza, dove Biancini sostituirà Domenico Rambelli alla cattedra di Plastica. Dagli anni Quaranta la sua carriera artistica è costellata di riconoscimenti, ottiene il Premio nazionale alla Quadriennale Romana, nel ’46 il Premio Faenza (che conquista nuovamente nel ’57 con il bassorilievo Gesù tra i dottori ). Due personali a Milano (1948 e 1956) lo impongono ulteriormente all’attenzione della critica.
Angelo Biancini, scultore e ceramista, è artista di fama internazionale tra i più rappresentativi del Novecento. [26
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The lyrical realism of Angelo Biancini the 100th anniversary of the birth of the artist Angelo Biancini was an internationally-renowned sculptor and ceramist and one of the 20th century’s most representative artists. Nearly twenty years have passed since Biancini’s birthplace last dedicated an exhibition to him. In 1994, Castel Bolognese organized a major exhibition which was at the origins of today’s “open-air museum” of Biancini’s works: 24 panels and sculptures in bronze, alloy, concrete and enamelled ceramics at various locations around the streets, squares and avenues of the town, integrating smoothly yet dynamically with the town’s other public heritage. Now, on the 100th anniversary of his birth, Angelo Biancini (see ee issue 0) is being remembered by his home town in a year of celebration designed to keep alive the memory of an artist whose works – found around Romagna and all over the world – helped restore identity to the figurative repertoire of the plastic arts. It’s an opportunity to look back over a life of total dedication to sculpture as an expressive idiom, of creative endeavour and the determination to live art as fully as possible, driven by the urge to fulfil a passion. A devotion that’s evident in the words of the Florentine sculptor Libero Andreotti, Biancini’s first teacher, in a letter he wrote to the father of his young student and Arte
arte senza cuore. primavera senza sole. libero bovio
Sono passati vent’anni dall’ultimo contributo a lui dedicato dalla città natale; nel 1994, infatti, Castel Bolognese gli tributò una grande mostra che diede origine all’attuale “Museo all’aperto”, 24 tra sculture e pannelli in bronzo, lega metallica, cemento e ceramica smaltata dislocate nel paese, raccolte fra piazze, strade e viali a integrare con vigore il patrimonio già presente nei luoghi pubblici della città. Oggi, a un secolo dalla nascita, Angelo Biancini (vedi ee N° 0) viene ricordato dalle sue terre con un anno celebrativo, un ideale percorso artistico che vuole mantenere viva la memoria di un Maestro la cui produzione, diffusa in Romagna come nel mondo, restituisce una felice identità all’universo figurativo della terza dimensione. È l’occasione per ripercorrere una vita di completa adesione alla scultura come linguaggio espressivo, permeata dall’impegno creativo, dedita all’arte in senso totale, spinta all’esecuzione da grande passione. Una dedizione che si evince anche dalle parole dello scultore fiorentino Libero Andreotti, il suo primo maestro, in una lettera destinata al padre del giovane allievo e
L’arte è un’astrazione: spremetela dalla natura sognando di fronte ad essa e preoccupatevi più della creazione che del risultato. Paul Gauguin
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now preserved by the Biancini family: “Few students of mine have shown such dedication, care and constancy in their work. The way of art is not as easy at it may seem at the outset, but he looks likely to have all the resilience and spirit of sacrifice necessary for making it […]” Biancini met Andreotti in Florence, while a student at the city’s Istituto d’Arte. He graduated in decorative sculpture and wood art, and joined Andreotti’s studio where he met renowned sculptors of the calibre of Ugo Ojetti. Biancini never lost his devout admiration for his Florentine teacher, who exerted a considerable influence on him, despite the creative and emotional tension which characterized Biancini’s work at every stage in his career. Biancini began to make a name for himself in Italian art circles in the 1930s, participating at the Venice Biennale of 1934 with a bronze entitled La Lwzcha. Further recognition came with a commission for a statue in Rome’s Foro Mussolini, the Victorious Athlete, although his design had to obey a pre-ordained, rationalist-friendly schema. In 1935 Biancini exhibited at the Rome Quadriennale and the Wien sculpture exhibition. The following year he was back at the Biennale with three of his finest works in bronze: Portrait of a Girl, Prometheus and Woman of Romagna. Stylistically, Biancini’s work is close to the figurative arts and celebrates the values of tradition, but it also evinces a constant urge to experiment, which is manifest in his application of details, his revisiting of old themes, and the disposition of his figures: their poses informal or strikingly novel. In 1937 Biancini moved to Laveno, where he worked with Guido Andlovitz in the artistic management
of the Società Ceramica Italiana. He returned “home” in 1943 to work as a teacher in Faenza’s Istituto per la Ceramica, where he replaced Domenico Rambelli as director of the course in plastic arts. Biancini won several awards in the 1940s, including the national prize at the Rome Quadriennale Romana and the Premio Faenza in 1946 (a prize he would win again in 1957 with his low-relief of Jesus Among the Doctors). Two one-man exhibitions in Milan (1948 and 1956) brought him further critical acclaim. In 1958 the Venice Biennale dedicated a whole room to Biancini. Among the works on show in this room was The Thunderbolt, a work which prefigured the more abstract vein which was to characterize Biancini’s output in subsequent years. In 1961, Biancini won the Bagutta Prize for sculpture at Milan’s Palazzo delle Esposizioni, while his bronze Saint John in the Desert won a prize at the International Exhibition of Sacred Art in Trieste, where he would win another prize in 1963 with his Holy Shepherd. Also in 1963, Biancini exhibited at the international exhibition of bronze figurines in Padua. Commissions now came pouring in: for the Chiesa dell’Autostrada del Sole in Florence, the Hospitium of Camaldoli, the FAO in Rome and many more. In 1973, two events were dedicated to Biancini in Rome: Palazzo Braschi organized a full retrospective of his works in bronze, while the Vatican Museums dedicated a room to Biancini in their collections of modern religious art. Biancini was already receiving important commissions, from Italy and abroad, early in his career. Among others, these included the baldacchino for the church of the Martiri Canadesi in Rome, the sculptural cycle for Milan’s Maggiore
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Nel ’61 vince a Palazzo Esposizioni di Milano il Bagutta per la scultura ed è premiato per il bronzo San Giovanni nel deserto alla Mostra Internazionale di Arte Sacra di Trieste, ove trionferà anche nel 1963 con Il Pastore Sacro. Nello stesso anno si afferma, a Padova, alla Mostra Internazionale del bronzetto. Seguiranno poi i lavori per la Chiesa dell’Autostrada del Sole di Firenze, per l’Hospitium di Camaldoli, per il palazzo della FAO a Roma e molti altri ancora. Nel 1973 gli sono dedicati due eventi nella capitale: a Palazzo Braschi una panoramica completa delle sue sculture in bronzo e ai Musei Vaticani gli viene riservata una sala personale nella Collezione d’Arte Moderna Religiosa. Il successo porta Biancini ad ottenere fin da giovane la commissione di importanti opere monumentali, in Italia e all’estero. Tra le altre, il baldacchino del Tempio dei Martiri Canadesi a Roma, il ciclo scultoreo per l’Ospedale Maggiore di Milano, il gruppo realizzato per il santuario di Nostra Signora di Fatima in Florida, le porte per la nuova basilica di Nazareth. Non semplici opere decorative collocate in luoghi votati all’arte, ma soggetti il cui valore I
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simbolico esige un’esperienza di modernità non comune nel campo dell’arte figurativa religiosa. Sin dagli anni della formazione, inoltre, Biancini sintetizza un particolare interesse verso il ritratto, raggiungendo anche in tale genere esiti di mirabile raffinatezza stilistica. Le Teste di Biancini sono forse le sue opere più conosciute, incantate di calma e bellezza, ritratti che riposano entro precisi profili emotivi. Tra le iniziative realizzate nell’anno bianciniano a Castel Bolognese (vi nacque nel 1911 e morì nel 1988) in memoria della figura del Maestro: la valorizzazione della casa abitata da Biancini per buona parte della propria vita, la mostra di opere bianciniane provenienti dal museo del Design Ceramico di Laveno Mombello e il restauro della Via Crucis, complesso bronzeo composto da quattordici lastre a rilievo che sono collocate lungo il viale del Cimitero di Castel Bolognese. L’opera fu donata da Biancini all’Amministrazione comunale nel 1978, ennesimo gesto dell’artista a testimonianza del legame che viveva con la sua gente e la sua terra, da cui non smise mai di trarre ispirazione. di
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Hospital, a sculpture group for the sanctuary of Our Lady of Fatima in Florida, and the doors for the new basilica of Nazareth. These were not mere decorative appendages to places devoted to art, but works whose symbolic value draws on a rare experience of modernity in the field of figurative religious art. Right from his formative years Biancini showed a predilection for portraits, a genre in which his work rose to exceptional degrees of stylistic refinement. Perhaps Biancini’s best-known works are his Heads, a series of portraits infused with calm and beauty in their precise delineation of emotion. Castel Bolognese (where Biancini was born in 1911, and where he died in 1988) is organizing a number of initiatives as part of its Biancini year: renovation of the house in which Biancini lived for much of his life, an exhibition of Biancini’s works from the Museo di Design Ceramico in Laveno Mombello, and the restoration of Via Crucis, a sequence of fourteen relief panels in bronze which are located along viale del Cimitero in Castel Bolognese. This work was donated by Biancini to the municipal authorities in 1978, one of many gestures made by the artist in recognition of his ties to the town and people of Castel Bolognese, from which he constantly drew inspiration. Arte
la realtà dipende dall’immaginazione. giacomo casanova
tommaso attendelli
immagini: archivio faustolo rambelli
Fumetti subacquei L a coll e zion e R a m b e lli d e dicata all ’ i m m a g inario sotto m arino
Negli ultimi decenni, il fumetto e la sua versione estesa: la graphic novel, sono divenuti oggetto di una profonda rivalutazione da parte della critica e del pubblico, passando ad essere considerati da semplice prodotto di intrattenimento a opera artistica.
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Sono quindi state coniate definizioni come “letteratura disegnata”, “arte visuale” o “IX arte”. Termini che restituiscono alle “nuvolette” la dignità di quello che molti considerano come il primo linguaggio multimediale nella storia dell’umanità. Universale al di là delle preferenze individuali, delle scuole di pensiero e delle diverse culture. Parallelamente a questo processo di accreditamento del loro valore artistico e culturale, le collezioni di fumetti sono uscite dagli spazi privati o strettamente riservati agli amanti del genere per divenire mostre aperte al vasto pubblico, che nelle modalità di allestimento e presentazione si elevano al rango di mostre d’arte. È il caso della collezione Rambelli, una raccolta che riunisce più di 900 personaggi e testate aventi per leitmotiv il tema marinaro. Non poteva essere altrimenti, considerando il curriculum del collezionista. Faustolo Rambelli, ravennate, classe 1938, è infatti una leggenda nazionale del mondo subacqueo, istruttore, fotosub, sperimentatore di nuove tecniche e promotore di iniziative (come il Museo Nazionale delle Attività Subacquee di Marina di Ravenna), consulente come archeosub della Soprintendenza Archeologica oltre che scrittore e articolista di settore. La vastità di soggetti che l’universo dei fumetti fornisce su questo tema è notevolissima. Forse perché parlando il linguaggio della fantasia, le storie si articolano preferibilmente in territori sconosciuti all’uomo comune. Quale miglior elemento, dunque, se non il “sesto continente”, quello acquatico, popolato di sirene, mostri e supereroi per fare da sfondo a emozionanti avventure? A questo affascinante universo figurativo è stata dunque dedicata la mostra “Fumetti subacquei”, organizzata in collaborazione con The Historical Diving Society Italia e la testata Fumo di China, che ha avuto luogo negli spazi del Museo della Marineria di Cesenatico (vedi ee N° 13) e il relativo catalogo curato, oltre che da Rambelli, da Loris Cantarelli e Paolo Guiducci. Un caso unico in Italia, la cui importanza è stata ben rilevata dagli esperti di questa forma d’arte. Le copertine di periodici illustrati ispirati a ogni genere narrativo (avventura, fantascienza, guerra, noir, horror e altri ancora) hanno così composto un variegato scenario che comprende i più diversi stili e autori dagli anni Quaranta ad oggi e permette di seguire sulle tavole inchiostrate il mutare dell’immaginario collettivo legato al mare. Dando così vita a un “mondo subacqueo parallelo” fatto di carta, china e nuvolette, frutto dell’immaginazione congiunta di generazioni di vignettisti, o meglio di artisti della comunicazione.
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Underwater cartoons the aquatic world of the Rambelli collection In the past couple of decades, strip cartoons and their long-playing equivalent, the graphic novel, have been the object of a profound re-evaluation by critics and the general public alike. Where before they were merely entertainment products, now they’re works of art. The cartoon is now defined as “literature in drawings”, “visual art” or the “Ninth Art”. All terms which restore dignity to a genre that many consider to have been the first multimedia art form in the history of humanity - and a universal art form too, transcending individual preferences, schools of thought, and cultural distinctions. And as its artistic and cultural value has increasingly come to be recognized, the cartoon strip has come out of the private, restricted world of the enthusiast and into the public realm in exhibitions which are organized and presented just as art shows are. One example is the Rambelli collection, with over 900 characters and titles on a single theme: the sea. The choice of theme is hardly surprising, given the track record of the collection’s owner. Born in Ravenna in 1938, Faustolo Rambelli is a national legend in sub aqua circles. He is an instructor, underwater photographer, a man who has experimented in new techniques and promoted new initiatives (like the Museo Nazionale delle Attività Subacquee in Marina di Ravenna), underwater archaeology consultant to the regional heritage office, and a well-known writer and journalist on the sub aqua world. The range and diversity of the cartoon strip’s treatment of this theme is absolutely impressive. Maybe it’s because they speak the language of fantasy, but cartoon stories tend to be set in places unfamiliar to the common man. What more suitable element, then, than the sixth continent, water, with its sirens, sea monsters and superheroes, as a setting for excitement and adventure? It’s exactly this underwater world that was the subject of Fumetti subacquei, an exhibition organized in conjunction with The Historical Diving Society Italia and the comic strip Fumo di China, held in the Museo della Marineria, Cesenatico (see ee issue 13). The exhibition catalogue is by Rambelli, Loris Cantarelli and Paolo Guiducci. A first in Italy, the exhibition was well received by lovers of the genre. Covers from illustrated magazines dealing in all kinds of narrative genre (adventure, science fiction, war, noir, horror and more) composed a multifaceted scenario of the most diverse styles and authors from the 1940s to the present day, providing a comprehensive overview of the evolution of representations of the sea in strip cartoons. A parallel universe in a watery format, made of paper, ink and speech bubbles, fruit of the imagination of generations of cartoonists – or communication artists, as we might better call them.
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Periodico edito da Cerindustries SpA 4 8 0 1 4 C a s t e l B o l o g n e s e ( R A ) I TA LY via Emilia Ponente, 1000 e r d o m u sna” .com de wl lwaw.“cbasso w w w. c e r d o m u s . n e t
TERRITORIO
Dun e romagnole _ l ’ o asi nat ural e c o st i e ra The sand dunes of Romagna_ and t he c o ast al o asi s o f basso na Direttore responsabile
Raffa_ e l l abai A g oas t ivn al i l ugo l a Angolo affascinante dell’alto Adriatico Baia Vallugola_ an e nc hant i ng part o f t he adriD at i c irettore editoriale Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini
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STORIA
Grafica e impaginazione Laura Zavalloni – Cambiamenti p e ni r D,i vpadre isione imm a gl i nt eri C c o mpagno de ceor dl oo m reu s
Verde , bianco e rosso _ gi use ppe C o o r d i n ani m,e nfat t o ehe d i t or r io a lfe t he t ri c o l ou r The green, whit e and red_ gi use ppe c o mpagno Alessandro Antonelli
Da Gelsomina a Cabiria _ gi ul i e t t a masi na e l a mal i nc o ni a de l so gno , fra i ron ia e tr is tezza Redazione From Gelsomina to Cabiria_ t he di ffi c ul t and diast To m m s oi ngui A t t e n dshe e l l i d l i fe o f gi ul i etta m as in a Franco De Pisis
A n g epl lam a r i a tG o l fa a r ede l l i l nuo t o di fon do “The Italian Express” _ gi anni gambi : l e gge nda ane ari Italo Graziani “The Italian Express”_ gi anni gambi : a gl o bal l e ge nd o f l o ngdi st anc e s w im m in g Paolo Martini Bernardo Moitessieri Manlio Rastoni Va l e n t i n a S a n t a n d r e a Ta t i a n a To m a s e t t a Carlo Zauli
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PASSIONI
Foto A r c h i v i o B i b l i o t e c a Tr i s i ( L u g o ) A rlc hmo i v i o sc B i ro r i fne icio La Mata _ i mae st ri d’ asc i a de Archivio Cantiere De Biagi e Magi r c hmake i v i o C e rrs d o mand us _ t he mast e r boA at t he moscone Archivio Comune di Ravenna A r crane h i v i o Foa mpi i gù l i a eBst i a necso i n i d’ e uro pa _ i l l abi ri nt o t e mpo Archivio Carlo Galassi A r c h i vmaz i o A n gee l a m a r i a G o l f a r e l l i e uro pe ’ s l arge st t e mpo rary Archivio Paolo Martini Archivio Vincenzo Ossani Archivio Parco Naturale Monte San Bartolo Archivio Faustolo Rambelli Sergio Pizzarotti Laura Zavalloni
Dov e nascono i pattìni Where the pattìni are born Un enigma da percorrere a vanishing enigma _
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ENOGASTRONOMIA
Si ringraziano
l i o t e c a Tr i s i ( L u g o ) La pesca nettarina bianca di Romagna_ ottenutaBC iobda vincenzo ossani in mezzo secolo di ricerca m i t a t o Va l l u g o l a Te r r a N o s t r a m u n eyears d i R a v eof n n aresearch by vincenzo ossani The white nectarine of Romagna_ the fruit ofC ofifty
L’amata artigianale _ bi rri fi c i o l a mat a Beloved artisan beer _ l a mat a bre we ry
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Bruno De Biagi Famiglia Biancini Carlo Galassi Elvino Magi Vincenzo Ossani Parco Naturale Monte San Bartolo Faustolo Rambelli R&R Fotocomposizione M a r c o Ta m b a Te r r e d i F a e n z a
Si ringrazia per la preziosa collaborazione
Maddalena Becca / Divisione immagine Cerdomus Angelo Biancini _ a 100 anni dal l a nasc i t a di un art i st a v i ssut o t ra re al i smo e lir is m o Tr a d100t u z i o n ih anni v e rsary o f t he bir th of th e ar tis t The lyrical realism of Angelo Biancini _ t he Tr a d u c o , L u g o
Fumetti subacquei _ l a c o l l e z i o ne rambe l l i deSdit acmat a al l ’ i mmagi nari o so t t om ar in o pa N Z A rambe I n d u s t r i el lGi r c a fo i clhl ee c t i o n Underwater cartoons _ t he aquat i c wo rl d oFA f tEhe
© Cerindustries SpA Tu t t i i d i r i t t i r i s e r v a t i
A u t o r i z z a z i o n e d e l Tr i b u n a l e d i R a v e n n a nr. 1173 del 19.12.2001 (con variazione iscritta in data 11/05/2010)
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