Cerindustries SpA
numero 28 luglio 2012
IL
tepore primaverile non è nulla in confronto al calore sanguigno di quella gente che allo scrittore Alfredo Antonaros piacque definire la tribù di Fellini: i romagnoli. Sangue sulla cui consistenza e fenomenologia esistono abbondanti prove storiche documentate. La cui voce è capace di superare i confini geografici e di ricordare le proprie origini anche chi è cresciuto lontano dalla Romagna. Versato attraverso i secoli in molte occasioni per inseguire un ideale, come quello della patria. Che può ad un tratto affluire copioso alla testa, rendendo irascibili i caratteri, ma anche conferendo alla mente quella forza visionaria indispensabile per saper osare, per riuscire a leggere il senso di qualcosa che altri non riescono nemmeno a vedere. Che lega i “consanguinei”, nel senso più allargato, in un abbraccio chiamato solidarietà. Che fa scorrere l’inchiostro della poesia, dirige il pennello del pittore e guida lo scalpello dello scultore verso le quote dell’ispirazione. E se è vero che il vino fa buon sangue, quello romagnolo, confortato dalle tante espressioni di alta enologia locale che rendono onore al Sangiovese (considerato l’albero maestro dei vitigni italiani) non potrà certo essere malvagio. Se non ci credete, voltate pagina.
EDITORIALE
The mildness of spring is nothing compared with the warmth of “Fellini’s tribe”, as the writer Alfredo Antonaros liked to describe the people of Romagna. Their hot-blooded temperament is amply attested in many historical episodes, and not always confined to their own geographic confines, either. Even for Romagnoli who have grown up far from their native territory, their blood calls them back to their roots. Over the course of history they have even been prepared to spill this blood on behalf of a higher ideal – patriotism, for example. When their blood rises to their heads it can make the Romagnoli irascible, but it also seems to fuel that visionary passion that every daring spirit needs if he or she is to pursue a goal that others seem not even to see. It’s this blood that makes them “consanguine” in the literal sense of the term, that binds them together in an embrace we call solidarity. It drives the ink in the writer’s pen, guides the painter’s brush and the sculptor’s chisel in their shared quest for inspiration. And while everyone knows wine is good for the blood, the wine of Romagna is made from that oldest Italian grape variety, Sangiovese – and that makes it better than most. If you don’t believe us, read on.
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ea r th e lem e nt
Montefeltro romagnolo C ome i confini amministrativi possono adattarsi alla geografia culturale
valentina santandrea
immagini: archivio comune di san leo, archivio comune di sant’agata feltria, archivio comune di talamello
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Se è vero che un forestiero capisce di essere “approdato” in Romagna grazie all’abitudine degli autoctoni di offrire vino agli ospiti che chiedono da bere, dalle parti del Montefeltro (territorio fino al 2009 interamente appartenente alle Marche) mai ci si sarebbe sentiti proporre un bicchier d’acqua, considerata dai romagnoli foriera di ruggine. Raccontando la Romagna sulle pagine di questa rivista, spesso capita di osservare che i confini amministrativi possono non coincidere con quelli geologici, antropologici, storici. E anche sentimentali nel caso del Montefeltro, che ha recentemente “corretto” questa discrepanza. Tutto ha avuto inizio a Sant’Agata Feltria, poi, in seguito a un referendum, sette Comuni situati nella zona frontaliera hanno ottenuto il passaggio amministrativo alla Romagna, un fatto che accade per la prima volta da quando l’Italia è una Repubblica. Il primo ad apporre rivendicazioni fu Enea Nastasini, sindaco di Sant’Agata, all’inizio dell’Ottocento. Tra i suoi argomenti, l’assegnazione di Sant’Agata da parte di Papa Martino V al feudo dei Malatesta. Correva l’anno 1430. Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello sono tornati, come lo erano cinquecento anni fa, Comuni romagnoli, mentre Montecopiolo reclama a gran voce la stessa sorte e il completamento di questo excursus comparirà probabilmente a breve sulle pagine di cronaca. Il Montefeltro, luogo dall’incantevole morfologia che si snoda tra le colline di tre regioni (Marche, Toscana, Emilia-Romagna) e addirittura di due Stati (Italia e San Marino) non esiste come entità amministrativa, anche se non se ne può negare l’identità in qualche modo autonoma, che resiste tra le frontiere tracciate dalle contese armate di duchi e conti, prima, e dall’Italia unita, poi. Non emergono però dalla recente annessione intenti secessionisti, piuttosto nella zona si respira una tensione, scevra di fanatismo, che nasce dalla gente più che dalla politica. I
Sensi
di
Romagna
i confini dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. sono anche interfacce […] zygmunt bauman
Dalla fine del Quattrocento, la rovina dei Malatesta comportò grosse cessioni territoriali ai duchi di Urbino, ivi compresa l’Alta Valmarecchia che tuttavia non ha mai conosciuto una vera rassegnazione a questo passaggio di mano. Lo si constata anche dalla cultura locale, dal dialetto, dall’accento e persino dal prefisso telefonico, che è lo stesso di Rimini. Anche la diocesi del Montefeltro dipende dalla conferenza episcopale
Montefeltro – bac k in Romagna Administrative borders and cultural geography
bolognese. In Valmarecchia risiedeva poi il compianto poeta romagnolo per antonomasia: Tonino Guerra. “Non passeranno!” dicevano le Marche alludendo ai referendum. È accaduto invece il contrario, con quello che comporta, per la “Romagna-Emilia”, il mantenimento amministrativo di tale fiabesca ed eclettica entità culturale. Entità che, tuttavia, costituisce anche un’opportunità per chi se ne fa carico, grazie alla sua bellezza di sapore medievale, ai suoi castelli arroccati su picchi di roccia, ai suoi paesaggi agresti e collinari ancora intatti, raccontati da Dante ed Ezra Pound e raffigurati dal Mantegna.
Anyone reading the stories of Romagna in the pages of this magazine is sooner or later struck by the fact that administrative boundaries do not always coincide with geological, anthropological and historical borders. Or even sentimental borders, as in the case of Montefeltro, which has recently corrected the discrepancy. It all began in Sant’Agata Feltria, when, following a referendum, seven border towns succeeded in transferring their administrative allegiance to Romagna: the first time this had ever happened in republican Italy. The man who set the ball rolling was Enea Nastasini, mayor of Sant’Agata in the early 19th century. Among the reasons adduced by Nastasini was the award of Sant’Agata to the Malatesta dynasty by pope Martin V: that had happened back in 1430. After the referendum, Sant’Agata Feltria and six other towns – Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo and Talamello – once again became part of Romagna after a 500-year hiatus. Another town, Montecopiolo, is now demanding to be transferred too, and this looks likely to happen in the near future. Montefeltro is an enchanting stretch of countryside that extends over the rolling hills of three regions (Marche, Tuscany, Emilia-Romagna) and not one but two sovereign states (the other is San Marino). Although it does not exist as an administrative entity, its geographic identity has endured down the centuries: through the tracing and retracing of administrative boundaries in the seigneurial period first, and as part of a united Italy second. There is no secessionist intent behind the recent annexation, however. It’s the expression, rather, of a certain tension – but not fanaticism – whose origins lie in people rather than politics. With the demise of the Malatesta dynasty in the early 16th century, many of the family’s domains fell into the hands of the dukes of Urbino, including Alta Valmarecchia, which has never fully resigned itself to its change of ownership. Traces of its former allegiances can still be detected in local culture, dialect, accent, even area code, which is the same as Rimini. And on the religious front, the diocese of Montefeltro is a member of the episcopal Conference of Bologna. Valmarecchia was also home to that quintessential and sadly-missed Romagnol artist, Tonino Guerra. And yet it happened, and “Romagna-Emilia” is now responsible for part of the historical and cultural entity known as the Montefeltro. And yet it happened, and “Romagna-Emilia” is now responsible for part of the historical and cultural entity known as the Montefeltro. And it’s an “entity” which is well worth getting to know, with its medieval-tinged beauty, its castles perched on dizzy cliffs, and its rugged, unspoilt landscapes, celebrated by Dante and Ezra Pound in poetry and immortalized in painting by Andrea Mantegna.
If it’s true that every foreigner knows when he’s arrived in Romagna thanks to the habit of the locals of offering a glass of wine to guests who ask for something to drink, it’s equally true that down in Montefeltro (a region which until 2009 was fully incorporated in the Marche) you’ll rarely be offered a glass of water, which is considered a bad omen in Romagna.
Territorio
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Culla dei Malatesta e luogo dell’anima
C radle of t he Malatesta dynast y and retreat for the soul: Pennabilli Two inaccessible peaks, one called the Roccione and the other the Rupe, that in ancient times were home to two communities: the Penna and the Billi. The union of the two communities gave rise to the place name Pennabilli. Today, the village of Pennabilli is rich in history and enjoys a media visibility that belies its geographic isolation.
P enna b illi poiesi luca biancini
immagini: archivio ass. cult. ultimo punto
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Due impervie alture, oggi chiamate Roccione e Rupe, anticamente rifugio di due comunità: i Penna e i Billi; dalla loro unione nasce il toponimo Pennabilli, quello di una cittadina con un passato denso di storia e un presente sospeso tra isolamento geografico e visibilità mediatica.
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Dal 2009, anno in cui ha smesso di far par te della provincia di Pesaro-Urbino, è il Comune romagnolo ubicato più a sud. Ma questo è solo l’ultimo tra i tanti passaggi di influenza che ne hanno caratteriz zato l’esistenza f in da quando, nel 1350, con la posa della “pietra della pace”, si fusero in un solo abitato la rocca dei Penna e il castello dei Billi. La prima fu costruita per volere di un discendente della famiglia Carpegna, dal cui eloquente pseudonimo Malatesta prende nome il celebre casato che dal Trecento al Cinquecento f inì per dominare la Romagna, contendendosi Pennabilli, oltre ad altri territori, con le Signorie dei Montefeltro, dei Medici e con lo Stato Pontif icio. L’ultimo vessillo che sventola sul pennone cittadino è la Bandiera arancione (marchio di qualità turistico-ambientale) conferita nel 2010 a Pennabilli per l’intatta bellez za dei suoi panorami (il territorio comunale è toccato dal Parco naturale regionale del Sasso Simone e Simoncello) e per il fascino delle sue architetture, come la cattedrale della diocesi di San Marino-Montefeltro, il piccolo teatro ligneo Vittoria e l’agglomerato di casette che compongono il borgo. I
Sensi
Since 2009, when it ceased being part of the province of Pesaro-Urbino in the Marche, Pennabilli has been Romagna’s southernmost municipality. Its latest switch of “allegiance” is just one of many changes in rule that the village has endured since 1350, when the hilltop hamlets of Penna and Billi became a single community. The fort of the former Penna was built at the behest of a descendant of the Carpegna family, from whose eloquent pseudonym Malatesta the dynasty which dominated Romagna from the 14th to the 16th centuries took its name, contesting control of Pennabilli and other towns with the Montefeltro and Medici dynasties and the Papal States. The last flag to be hoisted over the village, however, is the orange banner attesting to its tourist and environmental appeal, awarded to Pennabilli in 2010 in recognition of the unspoilt beauty of its panoramic views (Pennabilli adjoins the regional natural park of Sasso Simone and Simoncello) and the charm of its architecture, such as the cathedral of the diocese of San Marino-Montefeltro, the Vittoria theatre (built of wood) and the housing that makes up the village. In 1994, and again in 2005, Pennabilli became a national news item with the visits of Tenzin Gyatso, the 14th Dalai Lama. The first visit was to commemorate the 250th anniversary of the death of father Orazio Olivieri, a Pennabilli-born missionary who founded a Catholic mission in Lhasa, Tibet; the second was to inaugurate a working monument comprising a mission bell and three Tibetan prayer mills dedicated to Father Olivieri, who was also the author of the first Italian-Tibetan dictionary. In the world of the arts, Pennabilli is principally known as the retreat of the recently deceased poet, author, screenwriter and multifaceted artist Tonino Guerra, who retired here not far from his native Santarcangelo. A number of works of art by Guerra are located in and around the village, and are collectively known as the Open Air Museum of Spiritual Places: The Orchard of Forgotten Fruit, The Refuge of the Abandoned Madonnas, The Road of Sundials, The Sanctuary of Thought, The Angel with Moustache and The Petrified Garden. Every summer, the village hosts a national antique fair that since 1970 has been one of the leading events of its kind in Italy. Its reputation as an art-friendly place is cemented by its international festival of street performers, when jugglers, clowns, balladeers, fakirs, musicians, acrobats and mime artists transform the streets and squares of Pennabilli into a scene straight out of toyland.
Nel 1994 e nel 2005 Pennabilli è salita agli onori della cronaca nazionale per le due visite di Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, venuto nella prima occasione ad onorare il 250° anniversario della mor te di padre Orazio Olivieri (missionario pennese par tito alla volta del Tibet per fondare una Missione cattolica a Lhasa) e nella seconda per inaugurare la campana, af f iancata da tre mulini di preghiera tibetani, dedicata alla f igura del missionario, che fu tra l’altro autore del primo dizionario italo-tibetano. Nel mondo culturale, Pennabilli è attualmente nota soprattutto per essere stata scelta come buen retiro dal poeta, scrittore, sceneggiatore e poliedrico ar tista recentemente scomparso Tonino Guerra, che qui “approdò” dalla natia Santarcangelo. Por tano la sua f irma le installazioni ar tistiche disseminate sul territorio comunale e raccolte sotto il nome di Museo dif fuso dei luoghi dell’anima, che comprende L’Orto dei frutti dimenticati , Il Rifugio delle Madonne abbandonate , La Strada delle meridiane , Il Santuario dei pensieri , L’Angelo coi baf fi e Il Giardino pietrificato . di
Romagna
Ogni estate la cittadina ospita la Mostra mercato nazionale dell’antiquariato (dal 1970 uno degli eventi italiani del settore più qualificati) e la sua attitudine artistica viene sottolineata anche dal Festival internazionale dell’arte di strada “Artisti in Piazza”, durante il quale giocolieri, clown, cantastorie, fachiri, musicisti, acrobati e mimi trasformano le strade e le piazze di Pennabilli in uno scenario surreale degno del collodiano Paese dei balocchi.
credo che il mondo sia bello, che la poesia sia come il pane, di tutti. roque dalton Territorio
Gli indomiti garibaldini castellani
The unvanquished garibaldini Castel Bolognese and its patriotic tradition Aldo Spallicci liked to describe it as a “village with few houses but bursting with faith in the destinies of Italy”. For such a small place, Castel Bolognese played a very large role in the campaigns of Garibaldi. The small town of Castel Bolognese lies on the Via Emilia, halfway between Imola and Faenza. On more than one occasion, it has showed itself capable of getting behind a cause with a courage that verged on the reckless. The series of pro-Risorgimento uprisings that took place in Castel Bolognese from 1843 were savagely repressed (with three decapitations) until, in 1859, 74 volunteers from the village joined the Hunters of the Alps corps formed by Garibaldi. With the Romagnas liberated from papal control, patriotism flourished in Castel Bolognese. Three natives of the town took part in the Sicilian campaign launched by Garibaldi in May 1860, and forty or more found themselves involved in the armed conflict that led to the annexation of the Marche, Umbria and the domains of the former Kingdom of Naples.
tommaso attendelli
immagini: archivio museo civico di castel bolognese
C astel Bolognese e la sua tradi z ione patriottica Ad Aldo Spallicci piacque definirlo “il villaggio scarso di case ma ricco di tanta impetuosa fede nei destini dell’Italia”, perché Castel Bolognese, in rapporto alle proprie dimensioni, offrì una straordinaria partecipazione alle battaglie di Garibaldi.
Questo paese, posto sulla via Emilia tra Imola e Faenza, fu veramente capace in più di un’occasione di “gettare il cuore oltre l’ostacolo”. Dopo una strenua attività che fin dal 1843 vide i cittadini castellani prendere parte ai moti risorgimentali, andando incontro a dure repressioni (tra cui tre decapitazioni), nella primavera del 1859 giunsero da Castel Bolognese 74 volontari per unirsi al Corpo dei Cacciatori delle Alpi organizzato da Garibaldi. Una volta che le Romagne furono liberate dal dominio pontificio, il patriottismo della cittadina romagnola non venne meno. Furono in tre i castellani che parteciparono all’impresa siciliana iniziata da Garibaldi nel maggio del 1860 e in una quarantina quelli coinvolti negli scontri armati che condussero all’annessione delle Marche, dell’Umbria e delle regioni dell’ex Regno di Napoli. Nel 1866 a Bezzecca, durante la guerra di indipendenza contro l’Austria, erano addirittura 60 i volontari di Castel Bolognese che videro la vittoria sorridere nuovamente a Garibaldi. Un anno dopo, mentre il Generale marciava alla volta di Roma per liberarla dai francesi, 45 castellani, al motto di: “Noi andrem a Roma Santa a dispetto dei francesi”, si batterono per lui a Monte Rotondo e a Mentana. Otto di questi fecero parte anche della colonna di 76 volontari organizzata dai fratelli Enrico e Giovanni Cairoli che si oppose strenuamente ai soldati I
Sensi
del Papa occupando una palazzina sita sui Monti Parioli chiamata Villa Glori. Qui il 23 ottobre subirono l’attacco di 300 soldati papalini e si difesero riuscendo per ben due volte a respingere i nemici a colpi di baionetta. Caduto anche Enrico Cairoli, i garibaldini si ripararono nella villa e continuarono a scaricare i loro moschetti sui soldati fino al calare della sera, quando i papalini si ritirarono. Questa impresa rappresenta tuttora l’emblema dell’epopea garibaldina castellana e i nomi di coloro che vi presero parte (Giambattista Marzari, Giovanni Capra, Francesco Franceschelli, Antonio Dall’Oppio, Francesco Valdrè, Angelo Gramigna, Antonio Valdrè, Giovanni Emiliani) sono scolpiti sotto la loggia del municipio di Castel Bolognese. Un altro celebre nome di garibaldino castellano è quello del capitano Raffaele Pirazzini. Figlio di uno dei decapitati nella rappresaglia del 1854, fu uno dei primi ad entrare a Roma tramite la breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870. Va detto che lo spirito garibaldino di Castel Bolognese non era alimentato dall’aspirazione a gloria e fortuna. Al loro ritorno dalle battaglie, i reduci ritrovarono la vita umile di sempre e una misera pensione di Stato che, come riportò lo scrittore Francesco Serantini (vedi ee N° 21), veniva accettata con disprezzo e prontamente delapidata in osteria per sottolinearne l’inconsistenza. di
Romagna
il patriottismo è quando l’amore per la tua gente viene per primo; nazionalismo quando l’odio per quelli non della tua gente viene per primo. charles de gaulle
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In Bezzecca in 1866, during the war of independence against Austria, no fewer than 60 volunteers from Castel Bolognese helped Garibaldi to yet another victory. The following year, as Garibaldi marched on Rome to liberate it from the French under the motto of noi andrem a Roma Santa a dispetto dei francesi (“we’ll march on Holy Rome despite the French”), 45 Castellani fought on the side of the Risorgimento at Monte Rotondo and Mentana. Eight of them were also members of the column of 76 volunteers organized by the brothers Enrico and Giovanni Cairoli which put up strenuous resistance to the papal forces from a house named Villa Glori in Monti Parioli, Rome. Here, on 23 October 1867, they held out against an assault by 300 papal troops, repelling their onslaught at bayonet point not once but twice. Enrico Cairoli was killed in the fighting, and the garibaldini took refuge inside the villa, from where they kept shooting until nightfall, when the papal forces retreated. This episode is still the defining moment in Castel Bolognese’s contribution to the Risorgimento, and the names of those who took part in it (Giambattista Marzari, Giovanni Capra, Francesco Franceschelli, Antonio Dall’Oppio, Francesco Valdrè, Angelo Gramigna, Antonio Valdrè and Giovanni Emiliani) are now carved on a plaque in the courtyard of Castel Bolognese’s municipal council building. Another illustrious Castellano to fight for Garibaldi was captain Raffaele Pirazzini. The son of one of the three rebels decapitated in the reprisals of 1854, Pirazzini was one of the first of Garibaldi’s troops to enter Rome via the breach in Porta Pia on 20 September 1870. It’s almost redundant to note that this republican spirit was not fuelled by aspirations to fame and fortune. On their return from the war, those who had fought for Garibaldi resumed the same humble lives they had left behind, with a miserable state pension that as author Francesco Serantini records (see ee issue no. 21) was accepted with disdain by the veterans and promptly squandered in the local taverns – and that didn’t take long, given the miserable quantities involved. Storia
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Caterina Sforza
… e la sua sfida all ’ effimera b elle z z a angelamaria golfarelli
immagini: archivio angelamaria golfarelli
La signora di Forlì è passata alla storia sia per le sue gesta eroiche (e a volte anche crudeli) che per la sua proverbiale bellezza.
I
Sensi
di
Romagna
la bellezza appare come il primo bene del principe, il suo più imponente diritto. rainer maria rilke
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Ne consegue che l’intento di mantenere, quanto più a lungo si potesse, il suo aspetto fisico fosse per lei ragione di studio e ricerca. Caterina Sforza infatti acquisì, nell’arco della sua vita, profonde conoscenze scientifiche e naturalistiche che, in tema di cosmetica, erboristeria e alchimia, la portarono ad importanti rivelazioni. Prova di queste raffinate sapienze è il suo ricettario di bellezza dal titolo Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, che illustra, con oltre 400 variazioni, quanto i suoi preziosi esperimenti ebbero a produrre non solo in ambito estetico, ma anche in quello della salute. Effetti di una considerevole modernità che hanno concesso alla sua indiscutibile bellezza di conservare i canoni del suo tempo ( pelle bianchissima et bella et colorita), restando inalterata. Famose le sue ricette per fare li capelli biondi de color de oro o per far venure li capelli rizzi oppure per rendere profumato l’alito. Vere e proprie “pozioni magiche” che essa creava e provava per dare vigore alla sua bellezza e sperimentare i propri saperi. Piante, oli, ma anche polveri minerali, cenere, ossa e parti varie di animali sono state materie essenziali ai suoi esperimenti e al raggiungimento degli importanti risultati ottenuti. Sorretta da una confortante mole di corrispondenza intrattenuta con medici e scienziati, come pure con nobildonne e fattucchiere, al fine di conoscere i segreti per la preparazione di pomate, unguenti, lozioni e belletti, Caterina seppe accrescere le proprie conoscenze, reali ed empiriche, rendendole sempre più autorevoli. Alcune delle sue ricette sono tuttora la base dei più evoluti e moderni cosmetici naturali, giunte ai giorni nostri rivisitate e impreziosite con elementi all’epoca sconosciuti. Oggi si parla continuamente di massaggiare il corpo con oli essenziali, ma già nel Cinquecento Caterina scriveva: “prendi olio di mandorle dolci et metile dentro garofoli interi et lascia questo olio al sole per otto giorni. Ne sarà un olio per ungere le mani et farle belle”. Perché la bellezza è più che mai ricercata ed inseguita, e il suo mantenersi è addirittura unito al concetto di salute. Quel che invece (insieme alle cure quotidiane che la Signora di Forlì proponeva a risoluzione di quei piccoli problemi estetici) stupisce è quanto i canoni della bellezza siano cambiati nel tempo. Il tanto agognato pallore alabastrino della pelle delle dame del Rinascimento, infatti, è ben lontano dalle abbronzate pelli ambrate del presente, che chissà quanto sarebbero sembrate volgari a Caterina Sforza. Ma, si sa, tutto cambia...
Caterina Sforza: the woman who fought to make beauty eternal The Forlì-born noblewoman Caterina Sforza has gone down in history not only for her heroic (and often cruel) exploits but also for her proverbial beauty. And she put a lot of serious research into preserving her beauty for as long as possible. Over the course of her lifetime, Caterina Sforza acquired an impressive knowledge of the physical and natural sciences, and it led her to make some important discoveries in cosmetics, herbal medicine and alchemy. Her refinement and learning are collected in Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, a collection of beauty tips which illustrates, in over 400 variations, how much her experiments had taught her in matters not only of cosmetics but also health. An exceptionally modern work for its day, her Experimenti recorded Caterina Sforza’s attempts to preserve her beauty (with skin that was fair and rosy and whiter than white, in accordance with the standards of the day) intact. Her formulas for dyeing the hair “blond the colour of gold”, curling the hair or freshening the breath were famous. They were nothing short of “magic potions” – concoctions she invented to give renewed vigour to her beauty and put her knowledge to the test. Plants, oils, mineral powders, ashes, bone and various animal parts were the essential ingredients in her experiments and the formulas they yielded. She also kept up an extensive correspondence with physicians and men of learning, fellow noblewomen and sorcerers in her search for secrets for the preparation of pomades, ointments, lotions and make-up – always bringing her own learning, with the authority garnered from empirical research, to bear on every formula. Even today, some of her formulas continue to be used as the basis for more sophisticated natural cosmetics incorporating ingredients which were unknown in her day. These days, for example, the use of essential oils in massage is widespread. In the early sixteenth century Caterina Sforza wrote: “Take some sweet almond oil and put some whole cloves in it, and leave this oil in the sun for eight days. The resulting oil should be rubbed into the hands to make them beautiful.” For us, beauty is an ideal that’s sought after more than ever, and maintaining it has become a question not just of aesthetics but health. What’s surprising, though (and not forgetting the many quick fixes that Caterina Sforza devised for rectifying minor cosmetic blemishes), is how standards of beauty have changed over time. The alabaster complexion that the ladies of the Renaissance yearned after could hardly be further from the amber, tanned look that women now aspire to – a look that Caterina Sforza would probably have found utterly vulgar. But everything changes, of course... Storia
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Il sangue romagnolo di Anna Magnani L e origini ritrovate della cele b re attrice manlio rastoni
immagini: archivio manlio rastoni
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La donna simbolo del neorealismo italiano, musa di registi come Roberto Rossellini e Luchino Visconti, nonché icona dell’emancipazione femminile aveva radici ravennati. Non stupisce, in fondo, considerandone le caratteristiche caratteriali, che nelle sue vene scorresse anche sangue romagnolo, elemento certamente co-responsabile del suo leggendario animo focoso. Fino al 2010, però, figurava che la madre dell’attrice fosse originaria di Fano, in realtà nella città marchigiana ella possedeva una casa estiva, ma era nata a Ravenna, come i suoi genitori. Il nonno dell’attrice si chiamava Ferdinando Magnani. Riguardo alla nonna Giovanna, Matteo Persica, segretario dell’Associazione amici di Anna Magnani (gruppo da lui fondato con sede a Roma) e biografo che ha ricostruito le origini familiari dell’attrice, rivela soltanto che aveva un cognome tipicamente ravennate e si riserva di svelarlo nel libro di prossima pubblicazione sulla vita della Magnani al quale sta lavorando da più di quattro anni. L’annuncio del riscoperto legame di Anna Magnani con la Romagna è stato dato nel corso dell’inaugurazione della mostra pittorico/fotografica a lei dedicata allestita a Forlì nell’ottobre del 2010 dagli organizzatori del Festival Internazionale Sedicicorto in collaborazione con l’associazione presieduta da Persica. Inizialmente la notizia non ha avuto particolare risonanza, poi è stata gradualmente ripresa dai media locali e nazionali fino a diventare un piccolo caso.
The R omagnol b lood of A nna Magnani The rediscovered origins of the famous actress
She was one of the iconic figures of Italian neo-realism, the muse of directors like Roberto Rossellini and Luchino Visconti, and a symbol of female emancipation. And her roots lay in Ravenna. It should come as no surprise, really, that Anna Magnani had Romagnol blood in her veins, given the fiery character for which she was famed. Until as recently as 2010, however, it was believed that Magnani’s mother was born in Fano in the Marche (where she owned a holiday home), when in fact she was born in Ravenna, just like her parents before her. Anna’s grandfather was named Ferdinando Magnani. As for her grandmother, Giovanna, Magnani’s biographer Matteo Persica, founder and secretary of the Rome-based Amici di Anna Magnani Association, has traced the family origins of the actress and has so far announced only that her surname was typically Ravennan; all will be revealed in his forthcoming book on the life of Magnani, on which he has been working for the last four years. The announcement of the rediscovered link between Anna Magnani and Romagna was made in October 2010, during the inauguration of an exhibition of art and photography dedicated to the actress in Forlì, organized by the town’s international short film festival in conjunction with Magnani’s appreciation society. At first the news made no great impression, but it was gradually picked up by local and national media until it became a major story. And if it seems strange that such a huge gap in her biography should have persisted 37 years after the death of one of the greatest Italian cinema actresses of all time, then it’s almost comical that the plaques in the street in Rome named after her gave an incorrect date of birth (1903 instead of 1908) until quite recently, when Persica and his association fought successfully for the error to be rectified. For many years it was believed that Anna Magnani had been born in Alexandria, Egypt. As her family recently confirmed, she was actually born in Rome. Her mother was just eighteen when she was abandoned by her father (whom the actress never met; he is known only to have been of Calabrian origin), and left for Egypt not long after giving birth to Anna. Anna took her mother’s surname, and when her mother left for Egypt she was put in the care of her maternal grandparents, who by now were living in Rome. Considering their humble background, it’s quite possible that the first language to be spoken by the future Cinecittà star was the Romagnol dialect. In Ravenna, local legend has always spoken of a link with Anna Magnani. It now seems there was a bakery on via Cesarea which was run by some relatives of the actress, and that a Ravennan branch of the family still survives. The legend is now fact, and the fierce yet gentle figure of Anna Magnani now takes its place in the gallery of strong-willed women who have marked the history, ancient and modern, of Romagna.
Se può parere strano che a 37 anni dalla sua morte permanesse ancora una simile lacuna biografica riguardante una delle più importanti attrici di sempre del cinema italiano, farà persino sorridere il fatto che sulla targa stradale della via di Roma che le è stata dedicata appariva l’anno di nascita errato (il 1903 anziché 1908) fino a quando, non molto tempo fa, l’associazione di Persica non ha posto rimedio all’imprecisione. Per tanti anni si è creduto addirittura che Anna Magnani fosse nata ad Alessandria d’Egitto, mentre in realtà, come ha di recente confermato anche la famiglia, era romana. Fu la madre, ancora diciottenne, abbandonata dal padre di Anna (che lei non conobbe mai e di cui si sa solo che era di origine calabrese), a partire per l’Egitto poco tempo dopo aver dato alla luce la bimba. Anna portava infatti il cognome della madre e, dopo la sua partenza, fu affidata alle cure dei nonni materni trasferitisi a Roma. Considerando la loro estrazione popolare, probabilmente il primo idioma che la futura stella di Cinecittà parlò fu proprio il dialetto romagnolo. Tra gli appassionati del folclore ravennate è sempre circolata la voce del legame tra Anna Magnani e la città bizantina, pare addirittura che esistesse un forno in via Cesarea gestito da alcuni parenti dell’attrice e che tuttora sopravviva un filone ravennate della famiglia. Ora la voce è diventata un dato ufficiale e nella galleria di volti appartenenti alle forti personalità femminili legate alla Romagna, che hanno segnato la storia antica e recente di questo Paese, figura anche quello, corrucciato eppure dolce, di Anna Magnani.
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il sangue e il coraggio s’infiammano di più a risvegliar un leone, cha a dar la caccia a un timido daino. william shakespeare
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Sensi
di
Romagna
Storia
alessandro antonelli
immagini: archivio famiglia biagetti
“The Italian Express” Gianni Gambi: a global legend of long-distance swimming
rre 5 December 1944: the Canadians pour through the archway of Porta Nuova, Ravenna, liberating the city. A group of soldiers approaches some celebrating locals and one asks: “Where’s Gianni Gambi’s house?”
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Un ufo atterrato fra le nebbie della “Bassa”
In a city better known for other monuments, the question was more than a little strange, but the Canadians knew well what they were looking for: the origins of one the greatest long-distance swimmers of all time. Back on the banks of Lake Ontario, he was known as The Italian Express, but Gianni Gambi had been born in Ravenna on 7
ono i poss oggett le. i l g che nzia sapere rito esiste tsass rebbe v n re sot o u o d t i t r d e e n o g t i n s e un de strum are lo divent
I l M useo dell ’ A rredo C ontemporaneo di R ussi Sul fianco della via San Vitale, che taglia la Bassa Romagna, all’altezza della frazione russiana di Godo la statica sequenza di casolari rustici che punteggiano una piana spesso ammantata da una fitta coltre di nebbia subisce un breve quanto brusco strappo.
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Sensi
Le forme canoniche del panorama rurale romagnolo e le tonalità pastello dominanti lasciano per un breve istante il posto a un esercizio stilistico di architettura moderna sovrastato da un fumaiolo arlecchinesco e introdotto da una galleria geometricamente rigorosa di un vibrante color blu elettrico (firmata dall’architetto Ettore Sottsass). Questo “guscio” appartiene al Museo dell’Arredo Contemporaneo di Russi, originale struttura capace di “teletrasportare” in seno a un’area dall’antica vocazione agreste una collezione di design contemporaneo, composta principalmente da pezzi d’arredo per interni, tra le più importanti d’Europa. Proprio il paradosso della sua posizione potrebbe far nascere l’idea che questa struttura sia atterrata qui, magari a causa di un guasto tecnico, da qualche mondo lontano. Nulla di più lontano dalla realtà. La storia di questo museo privato nasce infatti dall’estro e dalla volontà di Raffaello Biagetti (conosciuto imprenditore locale nel campo dell’arredamento). Egli ne decise nel 1988 la costruzione per trasferire all’interno dei suoi spazi l’esposizione permanente di mobili e arredi da lui inaugurata nel 1968 nella propria sede di
Romagna
aziendale e costantemente integrata attraverso una continua collaborazione portata avanti negli anni con i migliori produttori italiani ed esteri del settore. Oggi la collezione si è ampliata fino a diventare una mostra permanente intitolata Brani di storia dell’arredo 18801980. Attraverso un percorso cronologico che analizza l’evoluzione dell’arredo nei suoi aspetti tecnici (legati ai materiali, alla produzione e alla diffusione) e formali, questa raccolta illustra la storia di un importante fenomeno culturale e socio-economico dell’età contemporanea: il design. In particolare descrivendo sotto il profilo estetico e tecnologico l’evoluzione dell’arredo contemporaneo. I 150 pezzi che la compongono sono stati selezionati da una commissione di esperti, tra cui Giovanni Klaus Koenig, Giuseppe Chigiotti e Filippo Alison. L’impianto esplicativo/ didattico sviluppato da Piero Castiglioni (che ha curato anche la scenografia del Museo) ha suddiviso il corpus della collezione in sezioni, rispetto al periodo storico di riferimento. Dall’Art Nouveau in Spagna (Anton Gaudí), in Austria (Michael Thonet), in Scozia e Inghilterra (Charles R. Mackintosh), si passa alla grande scuola viennese
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del primo Novecento, la Wiener Werkstatte, alla quale aderirono molti artisti e architetti, tra cui Joseph Hoffman, Otto Wagner, Joseph M. Olbrich. Segue la grande scuola tedesca Bauhaus, che apportò contributi fondamentali alla cultura del design particolarmente grazie all’opera di Walter Gropius (suo fondatore e primo direttore), Marcel Breuer e Mies Van der Rohe. In questo settore si possono notare anche opere di Frank L. Wright e Gerrit T. Rietveld, che, benché operanti nello stesso periodo storico, subirono influenze culturali differenti che li condussero comunque verso un radicale rinnovamento stilistico dei canoni del tempo. Il percorso prosegue toccando la Russia, Francia e Italia degli anni Trenta, comprendendo molti degli autori, tra cui Le Corbusier, Jean Prouvé, Giò Ponti, Giuseppe Terragni e Pietro Chiesa, che hanno maggiormente contribuito allo sviluppo del design. Lasciato il movimento delle Decorative Arts ci si trova di fronte ai risultati dell’Organic Modernism degli anni Cinquanta, contraddistinto da grandi figure di origine scandinava, americana e italiana. Nomi di culto come Alvar Aalto (uno dei padri dell’architettura organica), Charles Eames e Giò Ponti.
Passioni
Una sezione importante è dedicata agli anni Sessanta, periodo che vide alcuni imprenditori italiani avviare il processo di industrializzazione del design, sviluppando nuove tecnologie per la produzione in serie dei mobili e degli arredi. Rappresentando il Made in Italy applicato all’Industrial Design, il percorso museale illustra l’impegno profuso dalle industrie italiane nella sperimentazione di nuovi materiali, nuove forme estetiche e nuove funzionalità attraverso un notevole numero di pezzi. Un impegno che, come ampiamente documentato, prosegue lungo tutti gli anni Settanta, fino agli inizi degli Ottanta. Tra i molti esponenti italiani di questa stagione d’oro del Made in Italy, che sono rappresentati attraverso le proprie opere, emergono Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Carlo Scarpa, Gae Aulenti, Marco Zanuso, Gaetano Pesce, Afra e Tobia Scarpa, Ettore Sottsass, Giancarlo Piretti, Vico Magistretti. Giunta al limite del suo periodo di pertinenza, l’esposizione museale termina con alcuni esemplari di mobili tedeschi e giapponesi il cui design ha
saputo imporsi grazie all’interazione tra forma e funzione. I pannelli didattici perimetrali sottolineano la suddivisione della mostra in sei momenti che si compenetrano tra loro. Oltre a fornire informazioni sui designer rappresentati, raffigurano immagini relative agli esiti della pittura, grafica, architettura e moda di ogni singolo periodo preso in esame, associandoli ai pezzi esposti. In questo modo risulta più fruibile al visitatore il rapporto tra i vari oggetti e il loro contesto storico-culturale. A latere della mostra permanente, vengono ciclicamente allestite nella tribuna sopraelevata esposizioni temporanee dedicate a temi specifici legati al design. Negli anni sono stati presentati nomi come Dorothy Gray, Robert Vincent, Roger Kelly, Bas Meerman. Uno degli elementi che maggiormente contraddistingue l’approccio formativo del Museo è il tentativo di innescare una relazione sensoriale tra il visitatore e i pezzi esposti. Proprio per favorire una sinergia partecipata tra contenitore e pubblico, tra il 1999 e il 2001 il Museo ha ospitato anche una eterogenea programmazione di concerti ed eventi.
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ciò ch e cerc hiamo un ami in un’ co. gl opera i ogge archit tti ch ettoni e defi ca non niamo è dive belli rso da sono v ciò ch ersion e cerc i dell hiamo e pers in one ch e amia mo. alain de bot ton I
Sensi
di
Romagna
Like a UFO that’s landed in the mists of Bassa Romagna The museum of contemporary furniture in Russi Travelling along via San Vitale in Bassa Romagna we come to the village of Godo, near Russi. The plain is frequently covered with a thick layer of mist, the vista a monotonous succession of one farmhouse after another. And then, looming out of the mist, we see something quite unlike anything we’ve seen before. Just for an instant, the traditional buildings of rural Romagna and their dominant pastel tones make way for a bold exercise in modern architecture, with its harlequin chimneystack and starkly geometric, electric blue arcade. Here in the middle of the countryside, this futuristic-looking building, by architect Ettore Sottsass, is home to the Museum of Contemporary Furniture of Russi and some of the most important specimens of furniture and interior design in Europe. So out of place does the building look it’s as if it landed here by mistake, the result of some technical glitch in a far-off galaxy. Nothing could be further from the truth, of course. The idea for this privately-run museum came from Raffaello Biagetti, a local entrepreneur well known for his flair for interior design. In 1988, he commissioned the construction of the museum as a permanent home for the exhibition of furniture and interior design artefacts which since 1968 had been on display in the offices of his firm. Since its inception, his collection has grown constantly with the addition of pieces by leading Italian and foreign designers. Today, the collection is officially entitled Scenes from the History of Furniture, 1880-1980. The exhibition is organized chronologically, following the evolution of interior design in aspects both technical (materials, production and diffusion) and formal, and provides a fascinating overview of one of the contemporary age’s most important cultural and socio-economic phenomena: design. It’s especially interesting for its examination of the aesthetic and technological evolution of contemporary design. The 150 pieces which compose the collection were selected by a committee of experts whose members include Giovanni Klaus Koenig, Giuseppe Chigiotti and Filippo Alison. As part of the educational side of the museum, curator Piero Castiglioni (who was also responsible for designing the layout of the museum) has divided the collection into six sections, each belonging to a specific historical period. From art nouveau in Spain (Antoni Gaudí), Austria (Michael Thonet) and Scotland (Charles Rennie Mackintosh) we move to the Wiener Werkstätte of the early 20th century, a movement whose members included distinguished artists and architects like Joseph Hoffman, Otto Wagner, and Joseph M. Olbrich. Next comes the Bauhaus, the German design school that made some fundamental contributions to design culture with the work of Walter Gropius (its founder and first director), Marcel Breuer and Mies Van der Rohe. This section also features works by Frank Lloyd Wright and Gerrit Rietveld, who worked in the same historical period but absorbed different cultural influences on their journeys towards a radical renewal of stylistic canons. The exhibition continues with artefacts from Russia, France and Italy from the 1930s, with works by many of the artists – Le Corbusier, Jean Prouvé, Giò Ponti, Giuseppe Terragni and Pietro Chiesa – who made the greatest contributions to the development of design. We then move from the Decorative Arts movement to the Organic Modernism of the 1950s, a style whose major exponents were from Scandinavia, America and Italy. Some of the leading names in this movement were Alvar Aalto (one of the fathers of organic architecture), Charles Eames and Giò Ponti. A large section of the exhibition is dedicated to the 1960s, a period when many Italian designers moved into mass production, developing new
technologies allowing furniture and fittings to be manufactured on an industrial scale. Industrial design in its Italian embodiment is amply illustrated by a significant number of pieces which document the new materials, forms and functions celebrated by the designers of this period. The momentum which had gathered in the 1960s continued into the 1970s and the early 1980s. Among the many exponents of this golden age of Italian design whose works are on display in the museum are Achille and Pier Giacomo Castiglioni, Carlo Scarpa, Gae Aulenti, Marco Zanuso, Gaetano Pesce, Afra and Tobia Scarpa, Ettore Sottsass, Giancarlo Piretti and Vico Magistretti. The exhibition closes with a few pieces of German and Japanese furniture whose design represents the interaction of form and function at its most consummate. Information panels underline the exhibition’s divisions into six principal, but inter-penetrating, sections. There is information on the designers on show, as well as images depicting the art, graphic design, architecture and fashion of each period under review, integrating the exhibits in their wider context. This makes it easier for visitors to grasp the historic and cultural context in which the pieces on show came into being. Alongside the permanent exhibition, temporary shows dedicated to specific design themes are regularly held in the museum’s mezzanine section. Designers whose work has been exhibited here include Dorothy Gray, Robert Vincent, Roger Kelly, and Bas Meerman. One feature which really sets this museum apart is its attempt to spark a sensorial bond between visitor and exhibit. And in an effort to bring the building into closer contact with the local community, from 1999 to 2001 the museum played host to an eclectic programme of concerts and other events.
Passioni
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franco de pisis
immagini: archivio banca del tempo di santarcangelo di romagna
il tempo è la cosa più preziosa che un uomo possa spendere. teofrasto
Il tempo è denaro È nata in R omagna la prima vera e propria Banca del T empo italiana Per la precisione in quel di Santarcangelo di Romagna, nella provincia di Rimini, sull’esempio di casi già esistenti all’estero e dell’idea di una consigliera comunale che era solita scambiare con le colleghe la propria disponibilità di tempo appartenente alla sfera privata. [18
crediti unicamente in relazione al tempo impiegato per fornire la prestazione scambiata, indipendentemente dai prezzi di mercato. Per queste e altre simili ragioni la sua fondazione è stata seguita con attenzione dai media nazionali e ha costituito un importante modello per le oltre 400 simili iniziative sorte successivamente in tutto il Paese. La volontà di ripristinare il concetto di scambio ha attecchito particolarmente bene in una cittadina come Santarcangelo, sempre distintasi per la sensibilità dimostrata verso la solidarietà sociale. Qui ha avuto luogo, nel 1997, il Primo Congresso Europeo delle Banche del Tempo e nel 2005 la BdT ha celebrato il decennale della propria fondazione ospitando nuovamente la convention internazionale. I suoi membri si offrono come autisti, cuochi, tuttofare, traduttori, esperti di informatica o di pratiche amministrative, solo per fare qualche esempio. Le ore a debito o a credito non devono essere sottoposte a quadratura come in banca. Nessuno quindi viene vincolato direttamente a obblighi personali. L’unico “pericolo” riscontrato è che all’interno della BdT molti soci finiscono per diventare amici, dimenticandosi di segnare le ore. Un fattore di rischio non esattamente identico a quello che ha portato al fallimento di banche d’investimento come Lehman Brothers.
In un’epoca che vede la speculazione finanziaria inghiottire l’economia produttiva e il denaro divenire un impalpabile flusso di bit in rete è sintomatica l’attenzione che sempre più persone prestano a una serie di pratiche cadute in disuso, nella fattispecie al baratto. Il principio messo in pratica da questo particolare tipo di banca si basa sulla valorizzazione della risorsa tempo di un individuo in relazione alle sue capacità. Funziona come un istituto di credito, con l’importante differenza che si occupa di amministrare il tempo stesso anziché il denaro. Ogni socio mette a disposizione una quota oraria in cui si impegna a svolgere un’attività secondo le proprie competenze e abilità. Con la stessa modalità potrà ricevere, a sua volta, prestazioni dagli altri membri della banca. Ufficialmente il primo istituto italiano ispirato a questo principio è stato fondato a Parma nel 1991, con l’intento di mettere il tempo libero dei pensionati a disposizione delle donne lavoratrici con figli. Quella nata a Santarcangelo da un’idea espressa e condivisa già nel 1993, il cui atto costitutivo è stato poi sancito nel 1995, è però la prima realtà italiana di questo tipo strutturata a tutti gli effetti come una Banca del Tempo. Prima ad aver adottato lo strumento degli assegni fac-simile per gli scambi tra gli aderenti e il principio di contabilizzazione dei debiti e
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Sensi
di
Romagna
Time is money Italy’s first real Time Bank was opened in Romagna 19]
More accurately, in Santarcangelo, Rimini province. Based on existing models in other countries, Italy’s first time bank was the brainchild of a municipal councillor who was in the habit of helping her colleagues with their domestic duties in exchange for their help with hers. In an age when financial speculation is laying waste to national economies and money has become an intangible flow of bits and bytes in global networks, it’s significant that more and more people are returning to a practice that had long fallen into disuse: barter. Time banking works by assigning value to a resource – time – available to individuals in relation to their capacities. The system works just like any credit institution, with the key difference that the resource being traded is not money but time. Every member of a time-banking scheme pledges to dedicate a certain number of hours to any activity that their skills and abilities qualify them for. In return for the hours they put into the scheme, they are entitled to “payment”, in hours of services, from other members. Officially, the first Italian scheme based on the time bank model was created in Parma in 1991. Its objective: to put the free time of pensioners at the disposal of working women with children. But the Santarcangelo scheme – plans for which were first aired in 1993, and whose articles of association were approved in 1995 – was the first fully-fledged time bank to operate in Italy. More precisely, it was the first scheme to introduce facsimile cheques as a currency of exchange between members, to calculate debits and credits exclusively in terms of the time spent in providing services, independently of market prices. For these and other reasons the bank attracted significant attention from the Italian media on its foundation, and was the
model for 400 similar initiatives which have sprung up all over Italy. The will to restore the concept of exchange to its non-monetary roots has found fertile ground in the small town of Santarcangelo, which has always been known for its keen sense of community. In 1997, the town hosted the first European conference of time banks, an event which returned to Santarcangelo in 2005 in commemoration of the 10th anniversary of the foundation of its local time bank. Members of the scheme offers a wide range of services – as drivers, cooks, domestics, translators, or providing IT and clerical services, to name just a few examples. Time credits and debits are not balanced against each other as in a normal bank. Which means no member is personally obliged to provide a given service. The only “danger” with the system is that the members of a time bank become friends, and forget to keep track of hours worked and earned. But as a risk factor, that’s nothing compared to what brought about the downfall of investment banks such as Lehman Brothers, after all.
Passioni
alba pirini
immagini: archivio comune di cervia, archivio parmigiano-reggiano, archivio umberto beltrami
Parmigiano cum grano salis L ’ arcaico legame c h e unisce il sale “ dolce ” di C ervia al Parmigiano - R eggiano
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Una pergamena rinvenuta nell’Archivio di Stato di Modena certifica l’esistenza di un antichissimo legame, risalente al XII secolo, tra due delle più apprezzate eccellenze enogastronomiche emiliano-romagnole. Il prezioso documento, datato 1192 e oggi noto come la pergamena di Marola, certifica infatti la concessione di una vasca facente parte delle saline di Cervia a favore della chiesa di Sassoforte, nel Reggiano. Con quell’atto, Pietro Traversari lasciava in uso a don Guido, monaco di Santa Maria del Convento di Marola e priore di San Bartolomeo in Sassoforte, “uno svuoto per farvi una salina da utilizzarsi per vent’anni”. Intorno all’anno Mille, i monaci di San Benedetto svolgevano, per motivi spirituali, anche l’attività di contadini e allevatori. È ampiamente documentato il fatto che questi monaci furono fautori del formadio, con questo nome è conosciuto il “padre” del Parmigiano-Reggiano. Non è quindi difficile immaginare la destinazione di una tale importante fornitura di sale, che veniva certamente utilizzato per salare il formaggio. L’“oro bianco” di Cervia, il celeberrimo sale “dolce” (vedi ee N° 19), la cui qualità denominata salfiore è anche un Presidio Slowfood, ha quindi, tra i suoi altri meriti storici, contribuito alla fama di quello che molti definiscono “il re dei formaggi”.
La scoperta della pergamena ha avuto anche un altro fondamentale risvolto, sembra infatti destinata a dirimere l’enigma sulla paternità del parmigiano, da sempre oggetto di contesa tra i reggiani e i parmensi, attestandone la titolarità ai primi. Si ritiene sia stato l’abate Giovanni da Corniano dell’Abbazia di Marola ad avere avuto l’idea di cuocere due volte lo stesso latte per produrre un nuovo tipo di formaggio, intervallando fra il primo riscaldamento (a temperatura bassa) e il secondo (a temperatura più alta) un periodo di riposo in cui, dopo aver aggiunto il presame, si procedeva a sminuzzare la cagliata con un ramo secco di biancospino. I casari benedettini matildici avevano inoltre intuito e sperimentato che miscelando le due munte (la prima della sera maturava prima di quella del mattino), la cagliata spurgava rapidamente mantenendo una fermentazione che non faceva scoppiare la forma. Da questi passaggi nasceva il formadio e nasce oggi il formaggio a pasta dura che porta il nome di Parmigiano-Reggiano. Appena è riemerso che uno dei segreti della sua preparazione fu proprio il sale “dolce” di Cervia è stato rinsaldato il “matrimonio” tra i due simboli enogastronomici e dal 2010 è stata avviata una piccola produzione d’eccellenza di Parmigiano-Reggiano la cui ricetta prevede una specifica salatura con il sale cervese. La prima forma così ottenuta è stata tagliata, di fronte alle autorità, nel settembre scorso, durante la celebrazione per la raccolta del sale che si tiene annualmente nella cittadina adriatica. E si sa che il sale porta fortuna.
Parmigiano cum grano salis The ancient link between Parmigiano-Reggiano cheese and the fleur-de-sel of Cervia A 12-century parchment discovered in Modena’s state archives attests to an ancient link between two of the most prized food products of Emilia-Romagna. The precious document is dated 1192. Known as the Marola Parchment, it records the award of a pond in the Cervia salt pans to the church of Sassoforte in the province of Reggio-Emilia. With this deed, Pietro Traversari made over for the use of don Guido, a monk at the abbey of Santa Maria in Marola and prior of San Bartolomeo in Sassoforte, “a cavity for making a salt pan to be used for twenty years”. As early as the first millennium, the monks of the Benedictine order were known to practise agriculture and animal husbandry as part of their spiritual code. It’s widely attested that these monks were makers of formadio, the forerunner of Parmigiano-Reggiano cheese. It’s most probable, therefore, that the salt harvested in Cervia would have been used for salting the cheese. Which means the “white gold” of Cervia, the celebrated fleur-de-sel (see ee issue no. 19), whose quality has earned it Slow Food certification, can add to its many historical merits the fact that it contributed to the fame of what many call the king of cheeses. The discovery of the parchment has also cleared up another long-standing dispute regarding the origins of parmesan cheese, which two cities, Reggio Emilia and Parma, claim for themselves. It now seems parmesan originally came from Reggio Emilia. It’s believed that abbot Giovanni da Corniano of the Abbey of Marola first hit on the idea of cooking the same milk twice to produce a new kind of cheese. The milk was first heated to a low temperature, then allowed to cool, then heated to a higher temperature. In the interval, rennet was added and the curds were broken up with a dry hawthorn twig. The Benedictine dairy farmers of Marola also discovered that by mixing two batches of milk extracted at different times (one batch extracted in the morning, and the other the previous evening, and which had therefore begun to curdle), the curds would drain quicker, allowing the cheese to mature without breaking its mould. This was the formadio of medieval times, the ancestor of the granular cheese we now know as Parmigiano-Reggiano. No sooner had the news emerged that one of the secrets of formadio was the fleur-de-sel of Cervia, moves were afoot to seal the alliance between these two prime specimens of gastronomic excellence, and in 2010 a small artisan facility began producing Parmigiano-Reggiano to a recipe which specifically requires the use of Cervia salt. The first-ever round of the new cheese was cut at an official ceremony last September during the annual salt harvest celebrations in the Adriatic town. For salt brings good luck, as everybody knows.
la tradizione non [...] può venir acquistata in eredità; e se la volete possedere, dovete conquistarla con grande fatica. thomas stearns eliot
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Sensi
di
Romagna
Enogastronomia
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Brindare alla vita
carlo zauli
immagini: archivio altavita
Altavita is a winery just a few kilometres outside Cesena, and its name is in fact a contraction of Io brindo alla vita – “I raise a toast to life.” It’s a fitting statement of intent and illustration of the values of Altavita, and its emphasis on a lifestyle guided by well-being and authenticity.
I l motto di A ltavita
And the statement of intent is backed up in practice. Altavita’s vines are organically cultivated with sustainable agricultural methods which respect the natural relationship between the size of the estate and the amount of wine, olive oil and other produce it yields. The estate’s various holdings (San Marco, I Gessi, Vigna dei Monaci, Vigna del Pianto) together cover an area of approximately 20 hectares, extending over a heterogeneous strip of land that rises from the foothills of Cesena at an altitude of 100 m to the village of Sorrivoli at an altitude of 300 m. The vines are planted in predominantly calcareous soil, here and there intersected by the Vena del Gesso (a geological formation of chalky outcrops that runs through Romagna), which gives the grapes some interesting sensory qualities. The oldest vine plots function as a kind of “octave” to which the rest of the estate’s production is tuned. Careful selection of their germ plasm determines the genetic combinations of newly-planted vines. The training method is spurred cordon, with low planting density (between 3,500 and 5,500 vines per hectare) and an exceptionally limited yield (no more than 45 hundredweights per hectare). Harvesting is 100% manual and occurs in several runs in which only the best bunches make the cut, with careful pruning and frequent thinning. Once harvested, the grapes are handled with the utmost care. The white grapes are destemmed and undergo gentle pressing. The red grapes are fed into crusher-stemmer machines whose rubber rollers do not tear the skins. In the fermentation phase, meticulous care and inert gases allow the use of additives and sulphites to be kept to an absolute minimum. What the technical specifications don’t describe, however, is the added value imparted by the positive atmosphere that pervades the estate, jointly run by Enrico Giunchi and Maurizio Fiuzzi with the coordination of Lorenzo Tersi and the backing of the well-known Romagnol entrepreneur Nerio Alessandri.
Il nome di questa Cantina, che sorge a pochi chilometri da Cesena, deriva infatti dall’elissi dell’esortazione: “Io brindo alla vita”, manifesto d’intenti a cui sono stati affidati i valori aziendali di Altavita, che esprimono la promozione di uno stile di vita attento al benessere e alla tutela della genuinità.
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Agli intenti seguono i fatti, sotto forma di una conduzione biologica delle colture con pratiche agricole sostenibili improntate al rispetto della proporzione tra le dimensioni dell’Azienda e il volume delle produzioni di vino, olio e altre tipicità del territorio. I circa 20 ettari di poderi (San Marco, I Gessi, Vigna dei Monaci, Vigna del Pianto) di cui si compone la tenuta si estendono su una fascia eterogenea di territorio che dalla zona pedecollinare cesenate si spinge fino a Sorrivoli, passando dai 100 ai 300 metri di altezza slm. I terreni in cui le viti affondano le proprie radici sono perlopiù calcarei, lambiti a tratti dalla Vena del Gesso Romagnola (formazione geologica costituita da affioramenti gessosi), e conferiscono all’uva interessanti peculiarità organolettiche. I vigneti più vecchi vengono considerati una sorta di “diapason” su cui “accordare” l’intera produzione. Attraverso la selezione del loro germoplasma vengono infatti decise le combinazioni genetiche che dovranno possedere i vigneti di nuovo impianto. Il metodo di allevamento prescelto è quello del cordone speronato, con una bassa densità d’impianto (tra i 3.500 e i 5.500 ceppi per ettaro) e una resa estremamente contenuta (fino a 45 quintali per ettaro). La vendemmia, rigorosamente manuale, avviene in più passaggi attraverso un’attenta selezione dei grappoli ed è preceduta da potature ben selezionate e frequenti diradamenti. L’accurata preservazione della materia prima fornita dai vigneti prosegue in cantina, quando le uve bianche attraversano una diraspatura e una pressatura soffice, mentre quelle rosse vengono pigiadiraspate da macchinari dotati di rulli in gomma capaci di preservare l’integrità delle bucce. In fase di fermentazione, la massima cura e l’utilizzo di gas inerti consentono impieghi ridottissimi di coadiuvanti e solforosa. Quello che le specifiche tecniche non possono descrivere è però il valore aggiunto apportato dall’atmosfera positiva che si respira in Azienda, ispirata dalla collaborazione tra Enrico Giunchi e Maurizio Fiuzzi, con il coordinamento di Lorenzo Tersi e la motivazione del noto imprenditore romagnolo Nerio Alessandri. I
Sensi
di
Romagna
Raising a toast to life The motto of Altavita
Tempora_ Sangiovese di Romagna DOC Superiore Riserva 2006_ Uve/Grapes 85-90% Sangiovese, 5% Merlot, 5% Cabernet Dalle uve raccolte nelle aree più soleggiate dei vigneti nasce il vino “ammiraglio” della Cantina, che si presenta con un color rubino fitto ricco di riflessi porpora. Il suo profumo di frutti rossi, con note floreali e sentore di erbe officinali, introduce un gusto elegante, che trova un felice equilibrio tra la morbidezza al palato e la struttura tannica e tramosa di nera concentrazione. La fermentazione avviene in vasche di acciaio inox a temperatura controllata con rimontaggi giornalieri e delastage. Sempre in acciaio si compie la fermentazione malolattica. Viene affinato in piccoli carati di rovere francese a tostatura dolce per 12–14 mesi e in bottiglia per 6-8 mesi. Temperatura di servizio 18 °C. Abbinamento consigliato con la cacciagione (anche da piuma) e le carni saporite, come l’agnello o il castrato. The estate’s flagship wine is made from grapes picked from the sunniest plots, and has a deep ruby colour richly shot through with purple highlights. Its fragrance of red fruits, with floral notes and overtones of medicinal herbs, is a good prelude to an elegant taste which strikes a happy balance between softness on the palate and a densely-knit tannic structure. Fermented in inox vats at controlled temperature, with daily pumping over and delestage. Malolactic fermentation is also in inox. Matured in small French lighttoast oak barrels for 12–14 months followed by 6-8 months of bottle ageing. Serving temperature: 18°C. Goes well with game and game birds, and sapid meats such as lamb and mutton.
Evoca_ Sangiovese di Romagna DOC Superiore 2007_ Uve/Grapes 100% Sangiovese
il vino è vita. petronio
Come indica il suo nome, questo vino mira a evocare la tradizionale naturalità del re dei vini romagnoli, tenendosi a distanza dalle contaminazioni contemporanee. Il suo colore rosso rubino è venato da consistenti riflessi violacei. Le note floreali e fruttate che rivela al naso sono sovrastate da una piacevole impronta minerale. Al palato risulta morbido, fresco e ben equilibrato. Fermenta in vasche di acciaio inox a temperatura controllata con rimontaggi giornalieri. Fermentazione malolattica sempre in acciaio. Viene affinato in vasche d’acciaio e per qualche mese in bottiglia. Temperatura di servizio 16 °C. Si abbina ottimamente al pollo cucinato alla cacciatora e alla carne di maiale alla brace. As its name indicates, this wine is designed to evoke the authenticity of the king of Romagnol grapes, and in doing so it steers clear of modish blends. A ruby-red wine with even, violet highlights. On the nose, its floral and fruity notes are overlaid with an agreeably mineral tone. On the palate it’s soft, fresh and well balanced. Fermented in inox vats at controlled temperature, with the grapes pumped over daily. Malolactic fermentation is also in inox. Matured in steel tanks, followed by several months’ bottle ageing. Serving temperature: 16°C. Goes very well with chicken alla cacciatora and chargrilled pork cuts.
Solesia_ Albana di Romagna DOC Passito 2008_ Uve/Grapes 100% Albana Un vecchio vigneto posto tra due colline accarezzate dal maestrale, che soffia asciugando gli acini lasciati ad appassire naturalmente al sole per due mesi. Ecco lo scenario dal quale nasce questo vino da meditazione capace di regalare sensazioni intense. Bel colore dorato, aromi d’autunno e una pronunciata acidità che contrasta gradevolmente la dolcezza autentica. Le uve, raccolte il giorno di San Martino, attraversano una schiccatura manuale e pressatura soffice. Fermentazione e affinamento in botti di rovere francese con ulteriore affinamento in bottiglia per 6 mesi. Temperatura di servizio 14 °C. Ideale con la pasticceria secca, ma indicato anche per accompagnare formaggi erborinati o stagionati. Made from grapes grown in an old vineyard whose location between two hills draws the cool mistral through the vines, drying the grapes which are left to raisin in the sun for two months. The result is a sipping wine full of intense sensations. Full and golden, with autumn aromas and a marked acidity that contrasts agreeably with its natural sweetness. The grapes are harvested on 11 November, and are manually deseeded followed by gentle pressing. Fermented and aged in French oak barrels, followed by a further 6 months’ bottle ageing. Serving temperature: 14°C. The perfect companion to pastries, also goes well with mature and blue cheeses. Enogastronomia
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BEYOND SURFACE
AU DELA DE LA SURFACE
Vis artistica “plurale”
tutte le arti si assomigliano – un tentativo per riempire gli spazi vuoti. samuel beckett
I talenti di F rancesco N onni Uno dei membri fissi del Cenacolo Baccariniano (vedi ee N° 16) fu in grado, ancora più di altri, di condurre la propria idea di bellezza lungo le vie dei più diversi mezzi espressivi, per appagare i suoi numerosi talenti. bernardo moitessieri
immagini: archivio mic (museo internazionale della ceramica in faenza)
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Il suo nome era Francesco Nonni. Faentino, classe 1885, fu xilografo, pittore, decoratore, illustratore, importante ceramista e intagliatore. Quest’ultima disciplina aprì e chiuse il suo percorso di artista. Già durante gli studi (che, come molti adepti del Cenacolo Baccariniano, svolse alla Scuola faentina di disegno diretta da Antonio Berti), infatti, entrò come apprendista nell’Ebanisteria Cooperativa Canalini di Faenza, imparando le tecniche di incisione del legno e dedicandosi alla decorazione. Negli anni Cinquanta, dopo una lunga e variegata carriera che lo impose soprattutto come valente ceramista, cominciò a dedicarsi all’intarsio dell’avorio, fino alla sua morte, che lo colse nella città natale nel 1976. Tra queste coordinate, l’avventura artistica di Francesco Nonni lo portò a dedicarsi alla xilografia, presentando i suoi lavori, con ottimi riscontri di critica, in importanti esposizioni come la Mostra Internazionale di Belle Arti di Milano (nel 1906), la Quadriennale d’Arte di Torino (nel 1908), la Biennale di Venezia (nel 1910, 1912 e 1914) e la mostra Roma 1911. Nel 1912 fonda a Forlì, insieme ad Antonio Beltramelli, la rivista Il Romanzo dei Piccoli. Questa non sarà la sua sola iniziativa editoriale; nel 1924, infatti, fonderà e dirigerà a Faenza, per conto dell’Editore Lega, la rivista Xilografia. Tra le due esperienze, Nonni conoscerà la guerra. Lo stesso anno in cui l’artista ottenne l’abilitazione all’insegnamento scoppiò, infatti, la Prima Guerra Mondiale. Il contatto tra il suo animo sensibile e la tragedia della prigionia, che seppe segnare temperamenti ben più distaccati, lasciò in lui una profonda impronta, come testimonia anche l’album Cellelager in cui raccolse i disegni vergati sul campo di reclusione. In seguito al conflitto, Nonni riprende l’attività di insegnante alla Scuola di disegno Minardi di Faenza e, su pressione di Pietro Melandri, entra in contatto con la ceramica nella fornace di Paolo Zoli, ove plasma delle figurine in terracotta che vengono decorate da Melandri. Successivamente inizia a espandere le sue collaborazioni con altre fornaci faentine (la Nuova Ca’ Pirota, il laboratorio di Anselmo Bucci, quello di Aldo Zama, la Casalini Ceramiche e la Faventia Ars) fino ad affermarsi come esponente di spicco della corrente Déco, grazie anche alla sua produzione di figurine femminili in abiti settecenteschi, damine, odalische, pierrot e animali esotici. Una delle sue opere più celebri, realizzata con Anselmo Bucci, è il famoso Corteo Nuziale che fu esposto all’Expo di Parigi nel 1925 e premiato con la medaglia d’argento. Dagli anni Trenta, Nonni abbandona gradualmente la ceramica per dedicarsi alla pittura ad olio, fino a concludere ad anello, come già detto, la sua “peregrinazione artistica”. I
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A multi-faceted life: the many talents of Francesco Nonni An established member of the Baccarini Circle (see ee issue no. 16), Francesco Nonni had a rare ability to express his ideas of beauty in many different media. Francesco Nonni was born in Faenza in 1885 and was a talented woodcutter, painter, decorator, illustrator, ceramist and engraver. It was with engraving that he began and ended his career as an artist. While still a student (like many members of the Baccarini Circle, Nonni attended the school of design of Faenza, under the direction of Antonio Berti), he entered the Canalini marquetry cooperative of Faenza as an apprentice, where he learned woodcutting techniques and specialized in decoration. In the 1950s, after a long and varied career in which he mainly distinguished himself as a ceramicist, Nonni dedicated himself to ivory intarsia, a passion that lasted until his death in his home city in 1976. His artistic adventures also included woodcutting, with his works being presented to considerable critical acclaim in major shows including the Milan International Fine Arts Exhibition of 1906, the Turin Quadriennale of 1908, the Venice Biennale of 1910, 1912 and 1914, and the Roma 1911 exhibition. In 1912 he founded the review Il Romanzo dei Piccoli with Antonio Beltramelli in Forlì. This was not Nonni’s only venture into publishing; in 1924, he founded and directed the review Xilografia, published by Editore Lega, in Faenza. In between these two ventures, Nonni went off to war. The First World War broke out in the year he obtained his teaching qualification.
Nonni was a sensitive soul and his experiences as a prisoner of war made a profound impression on him, as recorded in Cellelager, a collection of his prison camp drawings. After the war, Nonni resumed his teaching work at the Minardi school of design in Faenza. Here, at the instigation of Pietro Melandri, he discovered ceramics at the workshop of Paolo Zoli, where his early creations, terracotta figurines, were decorated by Melandri. He then began to extend his collaboration with other Faenza workshops (Nuova Ca’ Pirota, the workshops of Anselmo Bucci and Aldo Zama, Casalini Ceramiche and Faventia Ars) and gained a reputation as a leading exponent of the art deco style for his female figurines in 18thcentury costumes, odalisques, pierrots and exotic animals. One of his most famous works, a joint effort with Anselmo Bucci, is the celebrated Corteo Nuziale, which won the silver medal at the 1925 Paris Expo. In the 1930s Nonni gradually abandoned ceramics to concentrate on oil painting, before bringing his artistic trajectory full circle with his late work as an engraver. Arte
tatiana tomasetta
immagini: erik anestad, peter kaminski, lino m, william murphy, dagny scott, schwarzerkater
Arnaldo Pomodoro P oeta della dimensione Tra il 1959 e il 1960 l’Italia confermava il suo ruolo centrale sulla scena internazionale dell’arte contemporanea.
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I movimenti d’avanguardia che avevano caratterizzato i conflitti mondiali erano un ricordo, si delineavano le nuove linee di ricerca artistica che scavalcavano l’informale, tra Parigi e Milano si formavano i principali gruppi che avrebbero animato la scena negli anni successivi. La sperimentazione puntava verso una direzione: quella “spaziale”. Arnaldo Pomodoro (classe 1926, nato a Morciano di Romagna il 23 giugno), ancora trentaquattrenne, all’inizio degli anni Sessanta ha già iniziato da tempo il suo personale dialogo con la scultura, è già stato invitato alla Biennale di Venezia, ha già esposto le sue opere in numerose gallerie d’arte in patria e all’estero, ha già “incassato” il consenso del mercato internazionale (Leonardo Sinisgalli definì la sua arte “una scrittura sconcertante”) e ricevuto numerosi premi. Se negli anni Cinquanta (quando Pomodoro frequenta Milano e l’ambiente artistico di Brera, in particolare Lucio Fontana, Enrico Baj, Umberto Milani, Emilio Scanavino, Gianni Dova e Ugo Mulas) l’opera di Pomodoro è degna di menzione per i suoi “rilievi” (da Il giardino nero, 1956, a Tavola dell’agrimensore, 1958), che indicano il superamento della cultura informale e il desiderio di proporre un segno ambiguo fortemente connotato dall’uso del ferro, stagno, piombo, argento, cemento e bronzo (materiali inediti che testimoniano la ricerca e la volontà dell’artista di sperimentare nuovi mezzi formali ed espressivi), è nel decennio successivo che lo scultore riflette sulla complessità spaziale e materica della forma a tutto tondo.
avevo già capito che la strada della pittura non mi era congeniale, mentre ero attratto dalla materia che avevo bisogno di toccare e di trasformare. arnaldo pomodoro
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Proprio del 1960 è La colonna del viaggiatore n. 1, il cilindro teso verso l’alto che svela l’identità interiore attraverso una lacerazione piena di un’inattesa struttura. Nel 1962, la seconda Colonna sviluppa poi l’opera precedente rendendo omaggio a La colonna senza fine di Brancusi, uno dei modelli di riferimento di Pomodoro, che inizia a scoprire lo spazio. È il 1960 quando lo scultore partecipa al gruppo informale denominato Continuità, insieme agli artisti Perilli, Novelli, Turcato, Dorazio e Giò Pomodoro. Sempre in quel periodo Pomodoro riflette sul modello geometrico primario e lavora sui solidi euclidei, che andranno a caratterizzare il suo lavoro affermandolo a livello internazionale grazie a bronzi come Il cubo, 19611962, La ruota, 1961, e la Sfera n. 1, esposta per la prima volta alla Biennale di San Paolo del Brasile nel 1963. In questo periodo Pomodoro affina la propria cifra stilistica, decide che le grandi dimensioni esprimono meglio i suoi intendimenti artistici, cerca dunque l’equilibrio tra le geometrie esterne e i ricercati meccanismi interni. La sua scultura è dominata da una rigorosa ricerca, da una sostanziale differenziazione tra la forma esterna, ridotta all’essenza volumetrica, e i complessi “paesaggi” interni all’opera, “ingranaggi misteriosi nascosti nell’interno di massicci contenitori (globi, colonne continue, cubi, dischi) e resi parzialmente visibili dagli squarci e dai tagli che rompono le lisce superfici di questi”.
Nella sua lunga carriera l’artista, oggi considerato uno dei più grandi scultori contemporanei italiani viventi, realizza centinaia di mostre in tutto il mondo, vince decine di premi, insegna alla Berkeley University, frequenta i più grandi poeti, letterati, artisti e autori del mondo, ma soprattutto progetta e realizza una serie di opere di grandi dimensioni destinate ad essere collocate negli spazi pubblici dell’intero Pianeta. Seminate lungo un percorso, quasi a voler rappresentare il registro di un viaggiatore che attraverso la consistenza della materia ha svelato la vicenda artistica dello spazio. Se, in Italia, l’opera Novecento (bronzo, altezza di 21 metri e diametro di 7 metri) svetta nel piazzale Pier Luigi Nervi di Roma, a Darmstadt il Grande disco è installato su uno specchio d’acqua, di fronte allo Staatstheater. Arte
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ho se s il pa ce r l si ar to gn e i if e s ic to ol at gl id o ie i si re de mb , ll ol pe a ic r ge o. en om t e ar ra tr na re ia ld a i o ll nt po ’i er mo nt ve do er ne ro no nd o de c ll om a e fo un rm a a, te r pe mi r te di , st pe ru r gg e
Arnaldo Pomodoro A poet of many dimensions
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As the 1950s ended and the 60s began, Italy began to assume a leading role in the international contemporary art scene.
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The avant-garde movements of the war years were now a thing of the past, and in Paris and Milan artists were beginning to explore new avenues of expression and form the groups that would dominate the art world in the coming years. One concept dominated the new climate of experimentation: the “spatial”. Arnaldo Pomodoro (born in Morciano, Romagna on 23 June 1926) was aged just 34 at the beginning of the 1960s. But he was already an established sculptor by this time, having exhibited at the Venice Biennale and many art galleries in Italy and abroad, winning the consensus of the international art market (Leonardo Sinisgalli defined his work as “a troubling script”) and numerous prizes. In the fifties, Pomodoro had lived in Milan and frequented the Brera circle, whose other members included Lucio Fontana, Enrico Baj, Umberto Milani, Emilio Scanavino, Gianni Dova and Ugo Mulas. Among his key works from this period were a series of reliefs (from Il giardino nero of 1956 to Tavola dell’agrimensore of 1958) which signalled a break with the informale movement and his increasing interest in the use of materials such as iron, tin, lead, silver, cement and bronze (all untried materials for Pomodoro, and testimony of his desire to explore new formal and expressive media). In the 60s, Pomodoro’s interests turned towards the spatial and material complexities of sculpture in the round. In his Traveller’s Column No. 1 (1960), the outer surface of a tall cylinder is lacerated to reveal some remarkably intricate innards. His second Column, from 1962, takes up where no. 1 left off and pays tribute to Brancusi’s Endless Column, one of Pomodoro’s key points of reference in his early exploration of the spatial potentialities of sculpture. Pomodoro joined the informale group, Continuità, in 1960, alongside Perilli, Novelli, Turcato, Dorazio and Giò Pomodoro. His work from the early 60s is dominated by simple geometric shapes and his examinations of Euclidian solids which would bring him to international attention in bronze works such as The Cube (1961-62), The Wheel (1961) and The Sphere No. 1, first exhibited at the São Paulo Biennial of 1963. It was in this period that Pomodoro’s distinctive stylistic idiom began to take its definitive form, with his growing preference for large-scale works and his explorations of the tensions between external geometric form and intricate inner workings. Pomodoro’s sculpture is dominated by its scrupulous attention to detail and its marked contrast between external form – reduced to its bare volumetric essence – and complex inner landscapes, “mysterious workings concealed in bulky containers
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(spheres, columns, cubes, disks) and partially revealed by slashes and tears in their smooth external surfaces”. Today, Arnaldo Pomodoro is considered one of Italy’s greatest living sculptors. Over the course of his long career his work has gone on display in hundreds of exhibitions all over the world and won him many prizes. He has taught sculpture at the University of Berkeley and moved in the leading literary and artistic circles. But he’s best known for his large open-air sculptures that can be found in parks and gardens all over the planet. Strewn here and there all over the globe, these sculptures seem almost like the trail left by a traveller in his endless explorations of the artistic dimension of space. In Italy, Pomodoro’s Novecento (a bronze sculpture 21 metres high and 7 metres in diameter) rises from Rome’s Piazzale Pier Luigi Nervi; in Darmstadt, Germany, his Grande Disco stands in a pond in front of the city’s Staatstheater. His Triad (three 15-metrehigh columns) graces the PepsiCo Sculpture Gardens in Purchase, New York, and in Copenhagen Pomodoro was commissioned to create an imposing sculpture group and two large fountains for the gardens in front of the royal residence, the Amalienborg Palace. Works by Pomodoro are also to be found outside Dublin’s Trinity College, in the Cortile della Pigna of the Vatican Museums in Rome, and on the forecourt of the United Nations building in New York – all of these belonging to his Sphere Within Sphere series. In the Frederik Meijer Sculpture Gardens in Grand Rapids, Michigan, stands Pomodoro’s Disc in the Shape of a Desert Rose; outside the Moscow’s Palace of Youth is his Solar Disk; in Pesaro the large bronze sphere which graces the town’s seafront seems to float upon the water in the background. And so on, across nations and continents. But what of the artistic vision behind all this work? Pomodoro speaks: “The priority in my work has always been to relate the work with the space it occupies. Sculpture is in fact the creation of a ‘self-contained’ space within the greater space in which we live and move. When a work transforms the place it occupies, it has real value as a marker of time, leaving its impression on a place and enriching it with successive layers of memory. I now see my work as crystals, or nuclei, or eyes, or fires, for the frontier and the voyage, the complexity, the imaginary.” After all this we shouldn’t forget Pomodoro’s successful career as a set and wardrobe designer for theatre, a branch of his work that has earned him many awards, including two UBU prizes.
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Se nel PepsiCo Sculpture Gardens di Purchase, New York, l’orizzonte è pervaso dall’opera Triade (tre colonne alte 15 metri), sulla Piazza Amalienborg di Copenaghen, nei giardini di fronte al Palazzo Reale, un imponente gruppo di sculture e due grandi fontane sono state commissionate all’artista per il settantesimo compleanno della regina di Danimarca. Altre opere ornano il piazzale di fronte al Trinity College dell’Università di Dublino, il Cortile della Pigna dei Musei Vaticani a Roma e il piazzale delle Nazioni Unite a New York, dove è collocata la scultura Sfera con sfera. Nel Frederik Meijer Sculpture Gardens di Grand Rapids, Michigan, è installata l’opera Disco in forma di rosa del deserto, davanti al Palazzo della Gioventù di Mosca è collocato il Disco Solare, nel piazzale del lungomare di Pesaro una grande sfera bronzea pare galleggiare sull’acqua, e così via per altre nazioni e continenti. Riguardo alla propria visione artistica, lo scultore afferma: “Esigenza prioritaria nel mio lavoro è sempre stata la relazione dell’opera con lo spazio in cui viene collocata. La scultura, infatti, è la realizzazione di un “proprio” spazio dentro lo spazio maggiore dove si vive o ci si muove. L’opera, quando trasforma il luogo in cui è posta, ha veramente una valenza testimoniale del proprio tempo, riesce ad improntare di sé un contesto, per arricchirlo di ulteriori stratificazioni di memoria. Oggi penso che le mie sculture siano cristalli, o nuclei, oppure occhi o fuochi, per la frontiera e per il viaggio, per la complessità, per l’immaginario”. Non da sottovalutare è, infine, l’intensa carriera dell’artista come scenografo e costumista, che gli ha valso ulteriori prestigiosi riconoscimenti, tra cui due Premi UBU.
Arte
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TERRITORIO
MONTEFELTRO ROMAGNOLO_ c o me i c o nfi ni ammi ni st rat i v i po sso no adattar s i alla geografia culturale
MONTEFELTRO – BACK IN ROMAGNA_ admi ni st rat i v e bo rde rs and c ul t ural geogr aph y CULLA DEI MALATESTA E LUOGO DELL’ANIMA_ pe nnabi l l i po i e si CRADLE OF THE MALATESTA DYNASTY AND RETREAT FOR THE SOUL:_ pen n abilli
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CATERINA SFORZA_ …e l a sua sfi da al l ’ e ffi me ra be l l e z z a CATERINA SFORZA :_ t he wo man who fo ught t o make be aut y e t e rnal IL SANGUE ROMAGNOLO DI ANNA MAGNANI_ l e o ri gi ni ri t ro v at e de l l a celebr e attr ice THE ROMAGNOL BLOOD OF ANNA MAGNANI_ he rediscovered origins of the famous actress
PASSIONI
UN UFO AT TERRATO FRA LE NEBBIE DELLA “BAS SA” _ i l muse o de l l ’ arredo [32
c o n t e m p o r a n e o d i r u ssi
LIKE A UFO THAT’S LANDED IN THE MISTS OF BAS SA ROMAGNA_ t he m u s eu m of c o n t e m p o r a r y f u r n i t u r e i n russi
IL TEMPO È DENARO_ è nata in romagna la prima vera e propria banca del tempo italiana TIME IS MONEY_ i t a l y’ s fi rst re al t i me bank was o pe ne d i n ro magna
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ENOGASTRONOMIA
PARMIGIANO CUM GRANO SALIS _ l ’ arc ai c o l e game c he uni sc e i l sal e “ dolce” d i c e r vi a a l p a r mi g i a no - re ggi ano
PARMIGIANO CUM GRANO SALIS _ t he anc i e nt l i nk be t we e n parmi gi ano - re ggian o ch ee se a n d t h e f l e u r- d e - se l o f c e rv i a
BRINDARE ALLA VITA_ i l mo t t o di al t av i t a RAISING A TOAST TO LIFE_ t he mo t t o o f al t av i t a
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Direttore responsabile Raffaella Agostini Direttore editoriale Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Laura Zavalloni – Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus
STORIA
GLI INDOMITI GARIBALDINI CASTELLANI_ c ast e l bo l o gne se e l a sua t radi z i on e patr iottica THE UNVANQUISHED GARIBALDINI_ c ast e l bo l o gne se and i t s pat ri o t i c t radition
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Periodico edito da Cerindustries SpA 4 8 0 1 4 C a s t e l B o l o g n e s e ( R A ) I TA LY via Emilia Ponente, 1000 w w w. c e r d o m u s . c o m w w w. c e r d o m u s . n e t
ARTE
VIS ARTISTICA “PLURALE”_ i t al e nt i di franc e sc o no nni A MULTI-FACETED LIFE:_ t he many t al e nt s o f franc e sc o no nni ARNALDO POMODORO_ poeta della dimensione ARNALDO POMODORO_ a po e t o f many di me nsi o ns
Coordinamento editoriale Alessandro Antonelli Redazione To m m a s o A t t e n d e l l i Franco De Pisis Angelamaria Golfarelli Bernardo Moitessieri Alba Pirini Manlio Rastoni Va l e n t i n a S a n t a n d r e a Ta t i a n a To m a s e t t a Carlo Zauli Foto Archivio Altavita Archivio Angelamaria Golfarelli Archivio Ass. Cult. Ultimo Punto A r c h i v i o B a n c a d e l Te m p o d i S a n t a r c a n g e l o d i R o m a g n a Archivio Comune di Cervia Archivio Comune di San Leo Archivio Comune di Sant’Agata Feltria A r c h i v i o C o m u n e d i Ta l a m e l l o Archivio famiglia Biagetti Archivio Manlio Rastoni Archivio Museo Civico di Castel Bolognese Archivio Parmigiano-Reggiano Archivio Provincia di Forlì-Cesena Archivio Umberto Beltrami Erik Anestad Peter K aminski Lino M William Murphy Dagny Scott Schwarzerkater Si ringraziano Va l e n t i n o A m a d o r i APT Rimini Anna Biagetti Umberto Beltrami Cantina Altavita Comune di Cervia Consorzio Parmigiano-Reggiano Alessandro Giunchi Angela Maria Di Lelio Alma Rivola Vittorio Silenzi Ufficio stampa MIC (Museo Internazionale della Ceramica in Faenza) Si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca / Divisione immagine Cerdomus Tr a d u z i o n i Tr a d u c o , L u g o Stampa FA E N Z A I n d u s t r i e G r a f i c h e © Cerindustries SpA Tu t t i i d i r i t t i r i s e r v a t i A utor i zzazi on e de l Tr i bu n al e di R ave n n a nr. 1173 del 19/12/2001 (con variazione iscritta in data 11/05/2010)
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