EE House Organ 30

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I

rigori dell’inverno possono dare luogo anche a

Winter is a harsh season, but it’s also one of

spettacoli maestosi. È il caso delle distese di

majestic sights. The expanses of snow that

neve che circondano le alture romagnole, sul cui

cloak the hills of Romagna, frozen landscapes

manto le tracce degli sci e delle ciaspole, lasciate

criss-crossed by the tracks of skis and

da coloro che attraversano questi panorami vetrificati dal gelo, si confondono con le impronte degli animali selvatici che popolano le montagne. Se ci si trova a fermarsi in qualcuno di quei borghi, che paiono arroccati nel tempo oltre che nell’orografia dell’alta Romagna, luoghi di grande

snowshoes and the footprints of wild animals, are an example. Passing through one of those hilltop villages where ancient traditions are jealously guarded, lost not just in the severe Romagna winter but in time itself, you’re more

suggestione dove si custodiscono gelosamente

likely to catch a wild boar in your headlights

le ataviche tradizioni, è più facile che ci si veda

than a stray cat. At times like these, we

attraversare la strada da un cinghiale piuttosto

recommend the best recipe for dispelling

che da un gatto randagio. Per simili occasioni

the chill from flesh and bone: a glass of wine

vogliamo suggerire la migliore “ricetta” per scrollarsi

accompanied by one of Romagna’s tastiest

il freddo dalle ossa e dal cuore: un calice di vino da

and most authentic cakes (hearty enough

meditazione accompagnato da uno dei saporiti dolci

to constitute a full meal), followed perhaps

tipici della tradizione romagnola (che potrebbero

by something a little stronger: for Romagna

sostituire un pasto completo) e seguito magari da

is known for whisky as well as wine. With a

un distillato pregiato, sul cui impiego in Romagna esiste una radicata cultura che si affianca a quella enologica. Con un po’ di fortuna si potrà raggiungere la giusta disposizione d’animo per comprendere un luogo dove l’amore sacro va a braccetto con quello profano, i buoni samaritani convivono con

little luck, your own spirits will reach the state of grace necessary for understanding a place where sacred and profane love go hand in hand, where good Samaritans live elbow to elbow with brigands, and where language –

i briganti e i linguaggi, come ad esempio quello

the language of art, for example – has been

artistico, superano la tradizione per poi tornare

rescued from tradition to constitute a new

a indagarla restituendole una nuova estetica.

and living aesthetic. A place that exists in

Un luogo, geografico e ideale, di cui le pagine che

our minds and on our maps, as the following

seguono vogliono essere semplice emanazione.

pages show.

EDITORIALE

1]


ea r th e lem e nt


franco de pisis

Mount F umaiolo A mountain for all seasons

immagini: roberto fogliardi, alberto moretti, gian paolo senni

How Mount Fumaiolo got its name – the root fumo means “smoke” – is not known for sure.

Monte Fumaiolo U n massiccio per tutte le sta g ioni Non si può stabilire con certezza quale fosse quel “fumo” da cui deriva il toponimo Monte Fumaiolo.

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Se il termine si riferisse al pennacchio di nubi che quasi sempre sovrasta la sua vetta o se sia stato mutuato dalla febbrile attività dei carbonai che per decenni hanno trasformato in carbone la legna delle sue foreste. Imponenti faggete, querceti e castagneti che ancora oggi ricoprono le pendici di questo massiccio, ove dimorano anche il lupo e l’aquila reale. Attorniata dal Monte Aquilone e dal Monte Comero, con i suoi quasi 1500 metri di altezza il Monte Fumaiolo è la cima più alta dell’Appenino cesenate. Domina ben quattro vallate: a sud quella del Tevere, a sud–ovest quella del fiume Senatello, a nord-est quella del torrente Para, infine, a nord-ovest l’alta valle del Savio. Vicino ai suoi piedi si incontrano Romagna, Toscana e Marche, e nelle limpide giornate d’inverno dalla sua sommità, o dal vicino punto panoramico chiamato Pratone della Briglia, lo sguardo può spaziare a perdita d’occhio su una vasta fascia del Centro-Nord Italia. Dalla linea azzurra della costa adriatica ai poggi toscani, fino a lambire con la vista il Monte Amiata. Dalle creste dell’Appennino marchigiano alle colline umbre,

e, seguendo il profilo della dorsale nord-appenninica, fino al cocuzzolo del Corno alle Scale. Non sono molte le vette italiane che permettono di cogliere ad occhio nudo una visuale che abbraccia i ghiacciai delle Alpi e la Laguna di Venezia. Ma la principale ragione della notorietà del Fumaiolo può essere collegata alla terza ipotesi di genesi del suo toponimo, che lo farebbe derivare dal nome Fiumaiolo, dovuto alle numerose sorgenti che scaturiscono dalle sue viscere. Una di queste dà origine al Tevere, fiume così “caro ai destini di Roma”, che nel 1927, Benito Mussolini, allora capo del Partito nazionale fascista, fece modificare i confini tra la provincia di Forlì e quella di Arezzo per includere la sorgente nella prima (vedi ee n. 15), che era, come è noto, la sua provincia natale. A ciò seguì una ampia campagna di propaganda, di cui rimangono, come ultime vestigia, il monumento marmoreo con i simboli della Roma imperiale eretto nel luogo dove sorge il Tevere e la colonna, proveniente dal Foro romano, posta nel vicino paese di Balze di Verghereto ad indicare l’inizio della strada che sale verso il Monte.

Oggi però il Fumaiolo è più popolarmente conosciuto come stazione sciistica attrezzata per la discesa e il fondo, per le escursioni che si possono effettuare (anche con le ciaspole) nonché per le attività praticabili sulle sue pendici durante la bella stagione, come il trekking (a piedi oppure a cavallo), la mountain bike o il free climbing (esiste un campo scuola allestito sulla scenografica rupe della Moia e sulla parete del Montalto). Chi poi desiderasse cogliere il lato più spirituale della montagna potrà percorrere a piedi l’antica mulattiera granducale che conduce al remoto Eremo di Sant’Alberico, arcaico luogo di fede seminascosto dalla vegetazione.

Some say it refers to the plume of mist that almost always shrouds its summit, while for others the name derives from the activity of the charcoal burners that for decades have produced charcoal from the timber of the forests – beech, oak and chestnut – that cover the slopes of the mountain, where wolves and golden eagles still roam. Flanked by mounts Aquilone and Comero, at a height of nearly 1,500 metres Fumaiolo is the highest peak in this stretch of the Apennines. It dominates no fewer than four valleys: the Tiber valley to the south, the Senatello to the southwest, the Para to the northeast, and the high valley of the Savio to the northwest. Its foothills take in Romagna, Tuscany and the Marche, and on clear winter days its summit – or the nearby viewing point of Pratone della Briglia – offers breath-taking views over vast swathes of central and northern Italy: from the blue line of the Adriatic coast to the rolling hills of Tuscany and the distant peak of Mount Amiata, from the crests of the Marchean Apennines to the hills of Umbria and all the way along the Apennines to Corno alle Scale. Not many Italian mountain peaks afford views of the Alpine glaciers and the lagoon of Venice. But what really makes Mount Fumaiolo famous (according to a third hypothesis, its name is a corruption of Fiumaiolo, from fiume, river) are the many springs that emerge from the bowels of the mountain. One of these springs is the source of the Tiber, the river which played such a large part in shaping the destinies of Rome. In 1927 the then-leader of the National Fascist Party, Benito Mussolini, moved the border between the provinces of Forlì and Arezzo to incorporate the source of the river in the former province (see ee issue 15): the province of his birth. This border-shift was buttressed by an energetic propaganda campaign, the remaining vestiges of which include the marble monument with the symbols of imperial Rome, erected on the spot where the Tiber rises, and a column, taken from the Roman Forum, in the nearby village of Balze di Verghereto, marking the start of the road that rises up the mountain. Today, however, Mount Fumaiolo is better known as a popular resort for downhill and cross-country skiing (as well as snowshoe trails). In summer it’s an equally popular venue for trekking (on foot or horseback), mountain biking and free climbing (a free climbing school operates on the spectacular Rupe della Moia and the Montalto). And for those looking to tap into the spiritual reserves of the mountain, an old mule trail leads up to the ruins of Sant’Alberico, a remote hermitage now overrun with vegetation.

arrampicati solo un poco sulla montagna, per vedere se è una montagna. dalla cima, non potresti vedere se è davvero una montagna. frank herbert

I

Sensi

di

Romagna

Territorio

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luca biancini

immagini: fabio liverani, alan venzi

Le ragioni di Premilcuore P er scoprire la R oma g na - T oscana felicità è trovarsi con la natura, vederla, parlarle. lev tolstoj

La strada statale che si snoda lungo la Valle del Rabbi conduce a una lussureggiante conca, nel cuore della Romagna-Toscana, circondata da alcuni dei boschi più estesi e meglio conservati d’Italia. [6

Proprio qui sorge un paese, dal peculiare toponimo, che è considerato la “porta” tramite cui si accede al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Falterona e Campigna: Premilcuore. La sua posizione, oggi strategica dal punto di vista turistico (vicina com’è a borghi, riserve naturali e città d’arte), nel Medioevo lo era da un punto di vista strettamente militare. Secondo la leggenda, la sua fondazione si deve al centurione Romano Marcelliano che nel 215 d.C. qui si sarebbe rifugiato per sfuggire alla persecuzione dell’imperatore Caracalla. Quel che è certo è che circa mille anni dopo Premilcuore fu soggetta a una serie di continui cambi di mano tra Firenze e i potentati padani, l’ultimo dei quali (ottenuto naturalmente senza l’uso delle armi) fu il suo passaggio amministrativo, nel 1923, dalla provincia di Firenze a quella di Forlì. Oggi resta uno dei paesi più caratteristici del crinale appenninico della Romagna-Toscana. Nel tessuto architettonico del suo pittoresco nucleo storico, aggrappato alle pendici del Monte Rocchetta e stretto nel perimetro dell’antico castello, che domina un’ansa del fiume Rabbi, si distinguono ancora tratti di cortine murate, alte torri, porte, merli e beccatelli sopravvissuti ai rimaneggiamenti di epoca successiva. Intorno alla piazzetta, si dipana poi una fitta teoria di stretti vicoli medievali, in un continuo saliscendi su scalette e I

Sensi

selciati levigati dai secoli. Appena fuori dall’abitato si incontrano due suggestivi edifici sacri: l’oratorio del Mogio e la pieve di San Martino in Alpe. Allontanandosi ulteriormente ci si imbatterà in uno dei tanti accessi alla sviluppata rete sentieristica che si addentra nel Parco, conducendo il visitatore alla scoperta della flora e della fauna endemiche. Gli appassionati naturalisti potranno visitare anche il Museo della fauna del Crinale Romagnolo, annesso al Centro Visite del Parco. Coloro che preferiscono invece un approccio meno “scientifico” alla fauna locale, partecipando alla Sagra del Cinghiale di Premilcuore (che si tiene ogni anno, il primo fine-settimana di agosto) avranno occasione di conoscere molto da vicino il suino selvatico che abbonda nei boschi della zona, protagonista obtorto collo di molte succulente ricette tipiche. Altro evento capace di sollevare gli spiriti premilcuoresi è la Contesa dei Castelli: una sfida che coinvolge le tre antiche comunità locali dando vita a una rappresentazione storica che ogni inizio luglio rievoca le vicende qui accadute intorno al XV secolo. Tra duelli e momenti buffoneschi, Premilcuore si trasforma, così, in un unico corale quadro animato, amplificando il già seducente colpo d’occhio naturale che è valso al paese la Bandiera arancione, riconoscimento assegnato dal Touring Club ai borghi più belli d’Italia. di

Romagna

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Premilcuore On the borders of Romagna and Tuscany The road that winds along the course of the river Rabbi leads at a certain point to a luxuriant bend in the valley which is the heart of the historic region of Romagna-Toscana, surrounded by some of the largest and best-preserved woods in Italy. Nestled in all this greenery is a curiously-named village which is considered the gateway to the national park of Foreste Casentinesi, Falterona and Campigna: Premilcuore. If its position is now strategic from the point of view of tourism (scenic hill towns, nature reserves and cities of art), in the Middle Ages it was strategically located for strictly military reasons. According to legend, Premilcuore was founded by the Roman centurion Marcellianus in 215 AD while fleeing the persecution of the emperor Caracalla. That may be legend, but it’s historical fact that some thousand years after its mythical date of foundation Premilcuore was a bone of frequent contention between Florence and the northern Italian potentates, changing hands repeatedly. Its most recent (and this time bloodless) transfer of allegiance was in 1923, when it “moved” province from Florence to Forlì. Today, it’s one of the most charming villages in the Tuscan Apennines. The buildings of its picturesque historic centre cling to the slopes of Mount Rocchetta, hugging the perimeter of the castle which overlooks a bend in the river Rabbi, with their curtain walls, towers, gateways and bracketed battlements that have endured through later, plainer additions to the village’s architecture. Around the village square is a close-knit mesh of narrow streets

that rise and descend, their staircases and paving stones polished smooth over the course of centuries. Just outside the village are two interesting religious buildings: the oratory of Mogio and the parish church of San Martino in Alpe. A little further and we come to one of the many paths leading into the natural park and its feast of fauna and flora. Nature enthusiasts can also visit a museum of local fauna in the park’s visitors’ centre. For those who prefer to engage with the wildlife in a less scientific fashion, every year in the first weekend of August the village holds a festival dedicated to the wild boar, which is present in abundance in the surrounding woods and also features (reluctantly) in many tasty local recipes. Another major local event is the Contesa dei Castelli or “contest of the castles”: a competition between the village’s three ancient societies in the form of a historical pageant which re-enacts the events of the 15th century. The Contesa dei Castelli is held in early July every year. There are duels and jesters and many other attractions, transforming Premilcuore into a huge tableau vivant which further enhances the already considerable charms that have earned the village orange flag status from the Touring Club’s as one of most beautiful villages in Italy.

Territorio


la passione trova in se stessa le proprie giustificazioni. iris murdoch

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paolo martini

immagini: archivio museo mascagni (bagnara di romagna)

La musa terrena di Mascagni A nna L olli e il loro amore clandestino

Passeggiando nelle nebbie romagnole vi può capitare di incontrare storie che farebbero la fortuna di più di uno sceneggiatore hollywoodiano.

I

Sensi

di

Romagna

Storie che il tempo ha ricoperto di una patina d’oblio, ma che non è riuscito a cancellare completamente. Storie di un amore assoluto. Corre il 1909 quando Lui incrocia per la prima volta “i suoi meravigliosi occhi verdi”: lo sguardo che lo stregherà per il resto della sua vita. Lei aspetterà più di un anno prima di cedere alla corte delicata dell’uomo. La risposta arriva il 21 giugno 1910: “Sì, ma sarai il primo e ultimo uomo della mia vita”. Un amore che durerà trentacinque anni. Lui ha 46 anni e si chiama Pietro Mascagni. È uno degli uomini più famosi di Italia, è l’autore della Cavalleria Rusticana, de L’Amico Fritz, de L’Iris. Con la sua eleganza e il suo ciuffo di capelli è un’icona pop ante litteram già agli albori del ventesimo secolo. Ha una moglie e quattro figli. Incontra quello sguardo sul palco del teatro Costanzi a Roma. Lei è Anna Lolli, corista di talento proveniente da Bagnara di Romagna. Ha 21 anni e nessuna esperienza del mondo. Da quel 21 giugno cercarono di strappare ogni attimo alla quotidianità per il loro amore. Lei abbandonò per sempre il canto, per non rischiare pericolosi incroci fra vita privata e lavoro. Lui non abbandonò mai la moglie e quattro figli per non dare scandalo. Da buon padre di famiglia passò sempre con la legittima consorte le feste comandate. Lei visse a fianco di Mascagni con discrezione, passando le ore di solitudine a leggere le migliaia di lettere appassionate che le scriveva il Maestro. Non convissero mai se non per un breve periodo, quando, nel 1912, Mascagni e D’Annunzio si trovarono a Bellevue, vicino a Parigi, per lavorare assieme all’opera Parisina. Con loro anche la figlia del musicista, Emy, che sosteneva il padre in questo amore assoluto. Alla sua Annuccia, Mascagni dedica le opere Isabeau e Parisina. Il grande musicista e direttore d’orchestra muore nel 1945. Anna ritorna al paese natale, vivendo della piccola rendita di una proprietà ereditata dai genitori. Si nutre del ricordo del suo unico, inarrivabile, amore che alimenta rileggendo le cinquemila lettere fra il Maestro e Annuccia. Alla sua morte, nel 1973, lascia un testamento di poche righe: “Dono tutto alla parrocchia di Bagnara, col vincolo di costituire un museo parrocchiale di Mascagni: il pianoforte del Maestro, ritratti, le lettere d’amore”. Così, ora, un piccolo museo ricavato dalla canonica della parrocchia di Bagnara di Romagna testimonia il loro amore. Una distesa di lettere, oltre 4600 scritte fra il 1910 e il 1944, sistemate in 126 contenitori. Parole di un amore sopravvissuto alle ingiurie dell’oblio.

Storia

Mascagni ’ s secret muse Anna Lolli and their illicit love affair Lost in the mists of Romagna are stories that Hollywood scriptwriters could never dream up. Stories that have fallen into oblivion, but which the passage of time has not completely erased. Stories like the following: a tale of uncompromising love. It was 1909 when Mascagni first beheld the “marvellous green eyes” of Anna Lolli: and it was a look that would bewitch him for the rest of his life. Lolli resisted his courtship for more than a year. Then on 21 June 1910 came her reply: “Yes, but you shall be the first and last man in my life.”. Their love was to last for thirty-five years. Pietro Mascagni was 46 at the time. He was one of the most famous men in Italy, the composer of Cavalleria Rusticana, L’Amico Fritz and Iris. With his elegance and his distinctive mop of hair he was something of a pop icon avant la lettre, even before the arrival of the 20th century. He had a wife and four children. The look that changed his life came on the stage of the Teatro Costanzi in Rome. Anna Lolli at this time was a promising chorister from Bagnara di Romagna. She was 21, and had no experience of society. Yet every day after that fateful 21 June the lovers dedicated every free moment of their daily lives to their love affair. Lolli gave up singing in an effort to avoid dangerous conflicts between her private and professional lives. And to avoid scandal, Mascagni never abandoned his wife and four children, always spending religious holidays in the company of his legitimate partner, like a good paterfamilias. Lolli was an ostensibly discreet presence in Mascagni’s life, spending long hours in solitude, reading the thousands of love letters the composer had sent her. Yet they lived together for only a very brief period, when in 1912 Mascagni and Gabriele D’Annunzio convened in Bellevue, near Paris, to work on their latest opera, Parisina. Also with them was the composer’s daughter, Emy, who stood by her father in his secret love affair. To his Annuccia (the composer’s pet name for his lover), Mascagni dedicated two operas, Isabeau and Parisina. When Mascagni died in 1945, Anna returned to the village of her birth, living modestly from the rent from a property she had inherited from her parents. Her one unmatchable love lived on in her memory, and in the five thousand letters she had exchanged with the composer. When she died in 1973, Lolli left a will that ran to just a few lines: “I donate all to the parish of Bagnara, on the condition that it build a parish museum dedicated to Mascagni: the Maestro’s piano, portraits, the love letters.” A small museum in the rectory of the parish church of Bagnara di Romagna now testifies to their love. Among the museum’s contents are an enormous display of letters – over 4,600 of them, written between 1910 and 1944 – in 126 cases. Words of love that have survived the ravages of time.

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[…] vestite di bianco e col capo cinto di bende; sull’armonia delle sirene lachesi cantava il passato, cloto il presente, atropo il futuro. platóne (tratto da la repubblica)

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italo graziani – testo raccolto da alessandro antonelli

Warp and weft of life The ancient tradition of hand weaving Recently I found myself thinking: “If you saw it you saw it; those who come later will have to make do with reports.” It was a phrase that flashed into my mind as I was thinking about my grandmother and her endless domestic toils with distaff (the rod on which the unspun fibre was held) and spindle (used for spinning wool) or skein winder (for winding skeins of yarns into a ball). The yarn she span in this way would end up on a loom (used for weaving). In rural communities, when the winter months confined them to home, women traditionally spent their time spinning and weaving. I remember my grandmother working tirelessly, with an almost mechanical intensity, spinning, weaving and knitting, making shoes, jerseys and scarves. Every word she pronounced seemed to be geared to the rhythms of her movements. This ability to talk while she worked was the outcome of a long practice in separating her mental processes from the movements of her hands. Like dialect, hand weaving was an expression of identity – an identity which was evident in the aesthetic qualities of the woven product, which were unique to every region. For me, the total disappearance from our language of the vocabulary related to hand weaving is incomprehensible. This is the first time in the history of our civilization that this act of creation – similar in many ways to giving birth – has been de-characterized by industrial production. To understand the fundamental symbolic importance of weaving, we have to

examine the significance of the yarn. This element is fraught with meaning: it is the root, the mystery, the line that binds us to the inexorable continuity of life – the thread of Ariadne that brings us back to daylight. In Greek mythology, the three Fates, daughters of Zeus and Themis, were jointly responsible for human destiny: Clotho spun the thread of life, Lachesis wound it onto her spindle and Atropos cut it when each man’s allotted time was up. In a metaphoric reading of weaving, a distinction can be drawn between two types of yarn – warp and weft. The warp represents the world, states, traditions, while the weft stands for necessity and the continuous change occasioned by work, climate and the economy. I like to remember the traditional custom of binding the wrists of newly-weds with two threads of red silk, symbolizing the union of two destinies in the future. To bring the thread of our narrative back into present-day Romagna, the tradition of hand weaving is kept alive by women like Gianna from the village of Gambellara, near Ravenna. In her work and the work of others like her, Gianna restores dignity, warmth and harmony to this ancient craft. To wear her garments with their unmistakable fragrance of fresh yarn is to warm the heart in a very special way.

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immagini: archivio italo graziani

Trama e ordito che imitano la vita

L ’ antica tradi z ione della tessitura a mano

Con un piglio deciso, mi sono recentemente trovato ad affermare: “Chi ha visto ha visto; quelli che verranno si dovranno accontentare dei racconti”. e gucciava (lavorava a maglia) con i ferri, confezionando calze, maglie e sciarpe. Tutte le parole che pronunciava si sovrapponevano ai rumori ciclici dei suoi gesti. Era infatti in grado di lavorare e parlare contemporaneamente grazie alla lunga abitudine che le permetteva di separare il proprio pensiero dal controllo delle sue mani. Come il dialetto, la tessitura a mano conteneva una radice identitaria, che si trasferiva anche nei canoni estetici delle vesti realizzate, peculiari ad ogni singolo territorio. Ora contemplo il mistero, per me impenetrabile, della totale scomparsa nel

Questa frase mi è balenata in testa ripensando a mia nonna e al suo ininterrotto lavoro che iniziava da rocca (bastone a cui veniva legato l’ammasso di fibre da filare) e fuso (usato per la lavorazione della lana), oppure dall’arcolaio (usato per dipanare le matasse), per giungere a compimento tramite il telaio (usato per tessere). Nella civiltà contadina, durante le stagioni che costringevano a rimanere chiusi in casa, le donne filavano e tessevano. Mia nonna, con un’intensità quasi meccanica e una continuità che sembrava dettata da una immaginaria scadenza di consegna, filava, tesseva I

Sensi

di

Romagna

linguaggio comune dei termini collegati a queste attività. Dall’origine della civiltà che noi abitiamo è la prima volta che questo gesto del creare, spesso assimilato a un parto, viene così diluito e delegato ad un meccanismo industriale. Per comprendere la fondamentale componente simbolica legata alla tessitura dobbiamo aprire una “finestra” sul ruolo del filo. Elemento che possiede innumerevoli significati: è la radice, il mistero, la lunga linea che ci tiene legati con inesorabile continuità alla vita. È il filo di Arianna che ci riporta alla luce. Nella mitologia greca, le tre Parche, figlie di Zeus e Temi, avevano il compito di tessere il fato umano: Cloto filava lo stame della vita, Lachesi lo svolgeva sul fuso e Atropo lo recideva quando finiva il tempo di un uomo. Nella lettura metaforica della tessitura occorre poi distinguere il

filo dell’ordito da quello della trama. L’ordito rappresenta i mondi, gli Stati, le tradizioni, mentre la trama simboleggia le necessità, il continuo mutamento condizionato del lavoro, il clima, l’economia. Rievocando un gesto ancestrale, mi piace ricordare i due fili di seta rossa che venivano, un tempo, cinti intorno al polso degli sposi novelli, a significare due destini che si confondevano per andare nel futuro. Riprendendo il filo del presente, oggi, in Romagna, alcune donne come la signora Gianna di Gambellara (paese del Ravennate) continuano a perpetrare gli antichi gesti della tessitura per conservarne la memoria, restituendo a questa pratica una dignità, calore e armonia che confortano il cuore, anche quando si indossano i vestiti così confezionati, con quella loro inimitabile fragranza.

Storia


La piccola signora dei bambini infelici

angelamaria golfarelli

immagini: archivio fondo piancastelli

A u g usta R asponi del S ale , detta Gu g ù Bella, colta, intuitiva, libera e anticonformista, dedicò tutta la sua vita ai bisognosi ed in particolar modo ai bambini, rivolgendosi a loro sia con importanti opere di filantropia che con i suoi delicati ed eleganti disegni/acquerelli.

The aristocrat and the orphans Augusta Rasponi del Sale, a.k.a. Gugù Beautiful, cultured, astute, liberal and non-conformist, she dedicated her whole life to the needy, and to needy children in particular, in whose benefit she organized major philanthropic projects. She was also a talented artist who sold her delicately elegant drawings and watercolours for charity.

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Nata a Ravenna il 16 novembre 1864, la contessina Augusta dimostrò, infatti, fin da bambina una precoce predisposizione per le arti e un particolare talento per il disegno. Avrebbe potuto viaggiare e continuare a frequentare quei salotti, nobili e aristocratici, in cui persino D’Annunzio, che le fu amico, pare non fosse rimasto indifferente al suo fascino. Avrebbe potuto sposarsi e sfoggiare il suo intelletto vivace nonché la sua sottile ironia in innumerevoli campi. Invece dedicò la sua vita ai poveri, destinando tutte le sue fortune alla cura e al sostentamento di chi era stato meno fortunato di lei. Donna estremamente devota, concretizzò con le sue opere quelle convinzioni spirituali autentiche che si distaccavano completamente dal modo, allora assai diffuso, con cui molte nobildonne facevano beneficenza, più per mostrarsi caritatevoli che per reale spirito di solidarietà. Gugù invece non si risparmiò mai ed elargì ogni sua risorsa, economica e fisica, in sostegno dell’infanzia, allontanando da morte sicura tanti piccoli sfortunati. Si spese inoltre contro la pratica del baliatico, molto diffusa nelle campagne, in favore dell’allattamento artificiale da poco introdotto, con diffidenza, nel nostro Paese, al cui sostegno portò dati e ricerche personali inconfutabili. Fu fervente patriota e lavorò come crocerossina negli ospedali militari durante la Prima Guerra Mondiale. Alle sue pratiche filantropiche, tanto lodevoli da farle ottenere nel Natale del 1938 il Premio della I

Sensi

di

Romagna

personaggio mai spensierato [...] ma mai triste, [...] essa appartiene a quella numerosa schiera di donne che, quasi sempre nell’ombra, [...] hanno portato contributi preziosi, anche se anonimi, agli studi sociali contemporanei, incidendo nella vita e per migliorare le condizioni della donna e dell’infanzia. mirca modoni georgiou (tratto da gugù – migliaia di bambini nella mente)

Bontà, bandito dall’imprenditore Angelo Motta, Augusta continuò sempre ad accompagnare il disegno dei suoi amati bambini, spesso in compagnia della simpatica e rassicurante Mamma oca, personaggio con cui pare rappresentasse se stessa. Viene infatti ripetutamente sottolineato dai suoi stessi scritti quanto il dolore per non essere stata madre avesse contribuito a spingerla verso quell’amore universale che nutriva per ogni bambino. Morì il 10 ottobre 1942 nella sua Ravenna, sola e in povertà, avendo profuso ogni sua ricchezza a favore degli umili, dei malati e dei bambini poveri ed abbandonati. Ricca della sua vita dedicata agli altri e di quella reale generosità che la contraddistingueva. Di lei restano le testimonianze indiscutibili di una bontà vera e assoluta, oltre ai suoi delicatissimi disegni accompagnati da pensieri e riflessioni sui bambini. Restano i libri che illustrò: Tur-LuRi e Muguet, le collaborazioni con i periodici per ragazzi, come il Corriere dei Piccoli, Il Giornalino della Domenica e Italia. Restano i calendari, gli abbecedari e i libricini disegnati che spesso donava ai suoi piccoli assistiti. Luce colorata e gentile su un mondo di miseria e sofferenza.

Born in Ravenna on 16 November 1864, as a young girl the future countess Augusta Rasponi del Sale revealed a precocious flair for the arts and for drawing in particular. She could have travelled and frequented the salons of the nobility, in which there moved figures such as Gabriele D’Annunzio, a personal friend who seems not to have been indifferent to her charms. She could have married, or shown off her intellect and wit in any field she liked. Instead, she dedicated her life to the poor, putting her entire fortune at the service and care of those less fortunate than she was. An extremely devout woman, in her works she gave vent to the authentic spiritual convictions that set her completely apart from the many noblewomen of her generation who indulged in charity work – more to show themselves as charitable than out of any real spirit of solidarity. Gugù, as she became known, spared no effort or expense in her work with needy children, and saved many of them from what would otherwise have been certain death. She also campaigned against wet-nursing, a widely-diffused practice in rural communities, and fought for the adoption of formula milks, which had only recently arrived in Italy, to a great degree of suspicion. The data she presented in support of her campaign, based on personal research, was impressive. She was fervently patriotic, and worked for the Red Cross in field hospitals during the first World War. In Christmas 1938, she was awarded the Premio della Bontà, a prize instigated by entrepreneur Angelo Motta, for her philanthropic work. Augusta always made drawings of her beloved children, often depicted in the company of a lovable and reassuring Mother Goose, a character which might have represented Augusta herself. In her writings, she often mentioned how the pain she felt at never having had children of her own had driven her to the universal love she felt towards every child. She died on 10 October 1942 in her native Ravenna, alone and impoverished, having spent all her riches on behalf of the low-born, the sick, and destitute children. Yet behind her she left all the wealth of a life dedicated to helping others and the real sense of generosity that distinguished her. Testimonies of her life and works paint a picture of authentic and undiluted goodness, while her own extremely delicate drawings were often accompanied by thoughts and reflections on the plight of needy children. As an artist she illustrated several books including Tur-lu-Ri and Muguet, and contributed to several boys’ magazines including Il Corriere dei Piccoli, Il Giornalino della Domenica and Italia. She also designed calendars, primers and illustrated books which she often donated to her young beneficiaries. A glimmer of soft, colourful light in a world dominated by misery and suffering.

Storia

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manlio rastoni

immagini: leonello rosa, giorgio salvatori

Romagna sulle ciaspole

L o strano binomio tra neve fresca e sabbia dorata Per camminare sulla neve friabile senza rischiare di sprofondare ad ogni passo si utilizzano le racchette da neve, una pratica tipicamente nordica che conta però un sorprendente numero di appassionati anche in Romagna.

Questa attrezzatura si indossa sulle scarpe allargando la superficie calpestata e consentendo dunque di “galleggiare” meglio sul manto nevoso. Per facilitare la camminata si utilizza poi una coppia di bastoncini, simili a quelli utilizzati nello sci. Inizialmente le racchette da neve venivano realizzate in legno e corda intrecciata, oggi sono per lo più fabbricate in leghe plastiche leggere. Il termine ciaspole, usato come sinonimo per definire questa attrezzatura, deriva dal ladino noneso (ossia parlato nella Val di Non, in Trentino) ed è entrato nel linguaggio comune grazie al successo internazionale ottenuto dalla Ciaspolada, manifestazione sportiva invernale che da quasi quarant’anni convoglia a Fondo (in provincia di Trento) migliaia di persone per partecipare alla più importante gara podistica italiana corsa sulle racchette da neve. L’evento ottiene una copertura mediatica mondiale e persino la CNN si è occupata di questo fenomeno. Tra gli italiani che accorrono ogni gennaio in Val di Non per lasciare le proprie impronte sulle nevi nonese, la maggior parte proviene dal Nord Est e, naturalmente, dall’EmiliaRomagna, come dimostrano i buoni piazzamenti ottenuti dagli atleti romagnoli nel corso degli anni. Comprensibile, dunque, che sul crinale Tosco-Romagnolo dell’Appennino incontrare gruppi di persone con le racchette da neve ai piedi sia divenuto uno spettacolo per nulla insolito. I

Sensi

In Campigna, nelle foreste casentinesi, sui monti Fumaiolo, Comero, Carpegna e Falterona vengono programmate durante tutta la stagione invernale escursioni che possono durare anche alcuni giorni. Al di là dell’aspetto competitivo è anche il lato romantico di questa pratica ad attirare l’attenzione dei curiosi, come dimostrano le ciaspolate notturne organizzate per le coppie di innamorati. Il particolare rapporto, cresciuto sulla neve fresca, che si è venuto ad instaurare tra i romagnoli e i trentini ha portato anche a una singolare collaborazione tra gli stessi organizzatori della Ciaspolada e la Polisportiva “Atletica 75” di Cattolica. Con l’intento di offrire agli atleti appassionati di ciaspole l’occasione di mantenersi in forma durante la bella stagione, viene infatti organizzata da alcuni anni sul litorale cattolichino una ciaspolata sulla sabbia intitolata Ciaspolbeach. Su un percorso di circa 800 metri, da ripetersi sei volte, ogni aprile gli eredi dei cacciatori alpini e quelli dei bagnini si danno battaglia alzando una festosa “tempesta” di sabbia. La bizzarra manifestazione, che comprende anche una tranche non competitiva, è poi l’occasione per un gemellaggio gastronomico tra le specialità tipiche della montagna trentina e i piatti tradizionali della costa romagnola. A quanto pare, in alta montagna come al mare, la piadina ben si sposa con lo speck. di

Romagna

Snowshoes make it easier to walk on loose snow without the risk of sinking into it. They’re typically worn in Scandinavia, although they have a surprisingly large following in Romagna.

They’re worn over regular footwear, and by extending the tread area make it possible to “float” on the surface of the snow. To make things easier, walkers also use a couple of batons similar to ski sticks. Snowshoes were originally made of wood with string lacings, but nowadays most are made of lightweight plastic alloys. The Italian word for snowshoe, ciaspola, derives from Ladin, and more particularly the variety of Ladin spoken in Val di Non, Trentino. Thanks to the international success of the Ciaspolada, a winter sports meeting held in Fondo, Trento province, which for nearly forty years now has attracted thousands of participants to Italy’s biggest snowshoe race, the term has now entered standard Italian. The event draws global media coverage, and has even attracted the attention of CNN. Most of the visitors who make the journey to Val di Non every January are from north-eastern Italy, including Emilia-Romagna, as attested by the impressive placings achieved by Romagnol athletes over the years. Groups of trekkers with snowshoes on their feet in the stretch of the Apennines that spans Romagna are therefore a fairly common sight. All through the winter, in Campigna, in the forests of the Casentino, on the mountains of Fumaiolo, Comero, Carpegna and Falterona, snowshoe excursions which can last for several days are regularly organized. But the snowshoe also has its romantic side, as attested by night-time snowshoe outings organized for couples. The special relationship between the inhabitants of Romagna and Trentino is based on snow, and has now been formalized in an unusual cooperation between the organizers of the Ciaspolada and the Polisportiva Atletica 75 sports club of Cattolica. The initiative, which has been running for several years now, offers snowshoe enthusiasts the chance to keep in shape through the summer months with Ciaspolbeach, which as you’ve guessed is a snowshoe race on the beach. Contestants make six laps of an 800-metre circuit in this contest, held every April, which pits the descendants of Garibaldi’s Alpine Hunters against local lifeguards in a race that always raises quite a storm – of sand. This bizarre event also includes a non-competitive element, and offers a pretext for a gastronomic twinning of the traditional mountain specialities of the Trentino and the bestloved dishes of the Romagna coast. And by all accounts piadina and speck get on perfectly well together, in the mountains or at the seaside.

Passioni

i monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi. johann wolfgang goethe

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Romagna on snowshoes The strange pairing of fresh snow and golden sands

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bevo solo una lacrima di whisky al giorno, in questo modo riesco a entrare in empatia con coloro che condividono con me questo piccolo rituale. valentino zagatti

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alessandro antonelli

immagini: archivio famiglia zagatti

La Collezione Zagatti

Tra le cinque più importanti in Italia, la Collezione Zagatti può infatti annoverare oltre 3200 esemplari di whisky single malt (di puro malto), per un totale di quasi 6000 bottiglie. Un tesoro accumulato lungo 52 anni di paziente e appassionata dedizione, che raccoglie i migliori esiti di quella che gli intenditori amano definire l’arte del malto. Nato a Filo di Argenta, in provincia di Ferrara, Valentino Zagatti ha vissuto tutta la sua vita a Lugo e si considera un romagnolo a tutto tondo. Non vedente dall’età di 11 anni, quando incappò in una mina bellica inesplosa, Valentino è dotato di uno sviluppatissimo senso del gusto, dell’olfatto e del tatto, oltre che di una memoria elefantiaca. Accarezzando una delle sue bottiglie è in grado di riconoscerla e di citarne a memoria le caratteristiche e vicissitudini. La singolare storia di questa collezione inizia nel 1960, quando Zagatti decide di rinunciare alle sue 12/13 sigarette quotidiane per investire ogni mese il denaro risparmiato (2500 lire circa) nell’acquisto di un distillato puro. La sua idea iniziale era quella di collezionare prodotti provenienti da tutto il mondo: cognac, brandy, grappa, tequila, rum e, naturalmente, whisky. Dovette però presto arrendersi allo sconfinato numero di distillerie esistenti e decise di circoscrivere la sua attenzione prima ai whisky in genere e successivamente ai single malt scozzesi. A quell’epoca in Italia non esisteva una cultura del whisky, basti dire che due importanti marchi, come Glen Grant e Macallan, commercializzavano esclusivamente per il mercato italiano un prodotto base meno invecchiato rispetto allo standard. Incurante di ciò, Zagatti iniziò la sua certosina ricerca. Spesso era costretto a contattare direttamente le distillerie, scrivendo lettere in cui chiedeva che gli venissero spedite a domicilio determinate bottiglie. Una pratica che non veniva normalmente accettata e il più delle volte Zagatti riceveva per risposta la cortese indicazione delle whiskyteche dove avrebbe potuto trovare tali etichette, magari a Londra o a Parigi.

I l “ capo clan ” roma g nolo del whis k y sin g le malt Le brume lughesi, quasi fossero le nebbie delle Highlands scozzesi, avvolgono uno dei sancta sanctorum dedicati al culto del whisky.

I

Sensi

di

Romagna

Passioni

17] The Zagatti collection Romagna’s clan chieftain of single malt whisky The mists of Lugo may not be the highlands of Scotland, but they do conceal one of Italy’s sancta sanctorum of the cult of whisky. One of the five most important collections in Italy, the Zagatti collection numbers over 3,200 varieties of single malt whisky, with a total of almost 6,000 bottles. It’s a treasure that’s been accumulated over 52 years of patience and dedication, and it contains the very best specimens of what Italian aficionados like to call l’arte del malto. Valentino Zagatti was born in Filo di Argenta in the province of Ferrara but has lived all his life in Lugo, and now considers himself a bona fide Romagnol. Blinded at the age of 11 by an unexploded wartime landmine, Valentino developed exceptionally acute senses of taste, smell and touch. And a formidable memory too: just by caressing one of the bottles from his collection he can tell you what it is and where it came from.


A CASA HO DEI WHISKEY PIÙ VECCHI DI LEI. DEAN MARTIN (RIFERENDOSI A MIA FARROW NEL GIORNO DEL MATRIMONIO TRA LEI E FRANK SINATRA, RISPETTO AL QUALE ERA TRENT’ANNI PIÙ GIOVANE).

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Negli anni Sessanta, in Emilia-Romagna si contavano non più di una decina di amanti del whisky. Negli anni Settanta, il numero di intenditori cominciò a crescere e comparvero i primi mediatori che indicevano aste informali per le bottiglie pregiate, i cui prezzi potevano arrivare alle stelle. Dal 1984 il mercato cominciò a rifiutare i blended (ottenuti dalla miscelazione di whisky di cereali con quello di malto) e molti produttori chiusero i battenti. Il whisky di puro malto divenne così universalmente il più ricercato, aumentando il valore della Collezione Zagatti. Tra i pezzi più pregiati, possiamo citare un Glenfiddich del 1937 (solo 61 esemplari esistenti al mondo), uno Springbank invecchiato 50 anni (stimato oltre 55 000 euro), un The Old Vatted Glenlivet Whisky appartenente ad un piccolo lotto ripescato dal Mare del Nord nel 1974, da un bastimento naufragato nel 1898, nonché una bottiglia proveniente dal bottino di guerra del generale Rommel. Del whisky Zagatti colleziona anche le etichette, con una predilezione per quelle risalenti all’Ottocento, che venivano realizzate a mano attraverso una sapiente tecnica artigianale. Per onorare la propria passione, nel 1999 ha dato alle stampe il volume The best collection of malt scotch whisky (edito da Formagrafica Edizioni), che costituisce in pratica il catalogo della Collezione. Nel 2004, l’opera è stata integrata dal secondo volume, che contiene una sezione anche sui whiskey irlandesi e americani. Attualmente è in via di realizzazione un terzo volume, dedicato alla produzione italiana. Queste pubblicazioni, omaggiate anche da due attestati di stima spediti da Carlo, principe del Galles, hanno rivelato al mondo l’esistenza della Collezione Zagatti e da allora la casa di Valentino è divenuta una sorta di mecca per gli appassionati dell’ambrato distillato, che arrivano talvolta da molto lontano. Chi giunge tra queste mura trova una semplice e accogliente abitazione, le cui mura sono però integralmente rivestite di bottiglie e riconoscimenti. Un posto speciale, reso unico dalla squisitamente anacronistica cortesia del padrone di casa, della moglie Jole e della loro figlia, immancabile accompagnatrice del padre nelle sue trasferte, che amano definire questo luogo “l’ombelico spiritoso della Romagna”. Tra i vari esperti del ramo, Valentino ha ospitato anche lo scrittore e giornalista (recentemente scomparso) Michael James Jackson, una delle massime autorità mondiali nel campo del whisky. Alcuni privati giapponesi, olandesi e indiani gli hanno offerto fino a due milioni e mezzo di euro per acquistare la Collezione, ma Zagatti ha rifiutato, consapevole del fatto che l’avrebbero smembrata per rivenderla al dettaglio. I

Sensi

The remarkable story of the collection began in 1960, when Zagatti decided to give up smoking. Every month he invested the money he had saved in kicking the habit (12 or 13 cigarettes a day, or about 2500 lire every month) in a bottle of spirits. His initial idea was to collect spirits from all over the world: cognac, brandy, grappa, tequila, rum and, naturally, whisky. However, he was soon faced with a problem of scarcity, and decided to restrict his collection first to whisky in general and then to single malt Scotches. Whisky was not widely consumed in Italy at this time, and the market was dominated by two producers, GlenGrant and Macallan, who marketed less mature whiskies. Undaunted, Zagatti set about the job of putting together his collection. In many cases he was obliged to contact the distilleries directly, asking them to send him a certain bottle. This was not normal practice, and on most occasions Zagatti received in reply no more than a polite indication on where to find the whisky he was looking for – often a stockist in London or Paris. There were probably fewer than a dozen whisky enthusiasts in EmiliaRomagna in the 1960s. By the seventies the number of aficionados was growing, and the first whisky brokers appeared, holding informal auctions where prized bottles were sold to the highest bidder – often at astronomical prices. By the mid-1980s the market was beginning to turn against blended whisky (made from a blend of grains), and many producers went out of business. Single malt whisky was now in greater demand, and this merely added to the value of the Zagatti collection. Among the most precious specimens in the collection are a 1937 Glenfiddich (only 61 bottles are known to exist worldwide), a Springbank aged for 50 years (valued at over 55,000 euros), an Old Vatted Glenlivet Whisky from a small consignment of whisky salvaged in 1974 from a cargo ship that sank in the North Sea in 1898, and a bottle that had formerly belonged to General Rommel. Zagatti also collects whisky labels. His labels of choice date from the 18th century and were hand-made by skilled craft workers. As a testament to his lifelong passion, in 1999 Zagatti published a book, The Best Collection of Malt Scotch Whisky (Formagrafica Edizioni), which in essence is a catalogue of his collection. A second volume

di

Romagna

Come ambasciatore della cultura del whisky, Valentino spesso presta gratuitamente la sua consulenza in occasione di eventi di settore organizzati in tutta Italia. Nel 2003 è stato insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica e nel 2005, per festeggiare i suoi 50 anni di collezionismo si è tenuta una cena di gala al Milano Whisky Festival. L’anniversario è stato celebrato anche da alcune note distillerie scozzesi, che gli hanno dedicato produzioni limitate, come la Valentino Zagatti’s Mortlach 18 YO e la Glenlivet Valentino Zagatti’s personal choice, 50 years of collecting whisky, 18 YO. Forse, però, la serie più cara a Valentino è la Zagatti 105, da lui stesso voluta per festeggiare i “55 anni di matrimonio e 50 anni di collezionismo vissuti con grande spirito”. Dal 2008, questo radioso settantenne si è recato quasi annualmente in Scozia, ove ha visitato buona parte delle 92 distillerie ancora in attività. Gli è capitato così, in alcuni casi, di trovare incorniciate e appese al muro quelle stesse lettere, da lui spedite decenni prima, con cui aveva richiesto qualche introvabile bottiglia. was published in 2004, complete with sections on Irish and American whiskeys. A third volume, dedicated to Italian-produced whisky, is now in preparation. With the added cachet of an endorsement by the Prince of Wales, these books have revealed the Zagatti collection to the world, and Zagatti’s home is now a kind of mecca for whisky lovers from all over the world. On their arrival, these pilgrims are greeted by a plain but welcoming building whose walls are completely lined with bottles and awards. It’s a special place that’s rendered unique by the exquisitely old-fashioned courtesy of Valentino, his wife Jole and their daughter, the tireless companion of her father on his travels. The Zagatti family like to define this place as “the spiritual umbilical cord of Romagna”. Among the many whisky experts to have visited the collection were the recentlydeceased writer and journalist Michael James Jackson, one of the world’s leading authorities on whisky. Private investors from Japan, the Netherlands and India have offered him up to 2.5 million euros for his collection, but Zagatti has always refused, aware that the buyers would probably break up the collection to sell it off bottle by bottle. As an ambassador for the culture of whisky, Zagatti frequently acts as an advisor for whisky-related events held up and down Italy. In 2003 he was made a Knight of the Order of Merit of the Italian Republic, and in 2005 a gala dinner was held in his honour at the Milan Whisky Festival to celebrate the 50th anniversary of his collection. The occasion was also commemorated by some leading Scottish distilleries, who dedicated some limited-edition whiskies to the man and his collection, including Valentino Zagatti’s Mortlach 18 YO and the Glenlivet Valentino Zagatti’s personal choice, 50 years of collecting whisky, 18 YO. Perhaps dearest to Zagatti, however, is the Zagatti 105, a name he himself suggested to celebrate “55 years of marriage and 50 years of collecting, lived to the full”. Since 2008, this radiantly-complexioned septuagenarian has travelled almost yearly to Scotland, where he has visited many of the 92 distilleries still in operation. And in some distilleries he has found himself face to face with those same letters, now framed and mounted, that he had sent decades earlier in his search for some elusive bottle or other.

Passioni

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Bustrengh / bustrengo / bostrengo

alba pirini

immagini: archivio pro loco borghi, dervis castellucci

la salsa più saporita è l’appetito. paolo mantegazza

I l dolce camaleontico

Il motivo per cui questo dolce rustico romagnolo può, con un po’ di fantasia, essere associato al sauro simbolo del mimetismo è la sua particolarità di poter cambiare forma e ricetta a seconda di chi lo prepara.

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Come il camaleonte modifica il suo pigmento in funzione di agenti esterni, il bustrengh (questo è il suo nome dialettale, in italiano viene chiamato bustrengo o bostrengo) muta i suoi ingredienti a seconda del retaggio di chi lo cucina. Non esiste una ricetta ufficiale, si dice infatti sia composto da 32 ingredienti di cui solo la metà sono noti: farina bianca e gialla, frutta secca (mandorle, fichi, noci), miele, scorza di limone, arance, uvetta, latte, uova, burro e vino. La scelta degli altri dipendeva un tempo dall’usanza contadina di recuperare il pane raffermo, la frutta stramatura e ulteriori alimenti rimediati secondo la disponibilità del periodo. Per questo semplice motivo il bustrengh poteva, e può, “manifestarsi” indifferentemente sotto forma di torta, ciambella, budino o focaccia e secondo alcune “scuole” può addirittura essere un dolce salato. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si presenta con una forma rotonda, mostrando una superficie di colore dorato. Al taglio la pasta appare di colore giallo paglierino, morbida e compatta. Si serve a fette o tagliato a cubetti grossolani e si accompagna ottimamente con l’Albana passito. Quasi ogni famiglia in cui si tramanda la tradizione della sua preparazione sforna una propria variante del bustrengh, la cui ricetta specifica viene salvaguardata come se si trattasse di un prezioso brevetto.

I

Sensi

Nonostante anche le Marche ne rivendichino la paternità, il ruolo di “capitale” del bustrengh è detenuto da un paesino situato sulle alture cesenati che risponde al nome di Borghi. Qui nel lontano 1972 la signora Romilde Brigliadori si permise di suggerire al comitato organizzatore di arricchire la tradizionale festa locale di Santa Croce organizzando uno stand gastronomico dedicato al tipico dolce. Per la sua preparazione propose la ricetta legata al proprio retaggio familiare, stabilendo così una sintesi equa (mai resa pubblica) delle numerose varianti. Da allora, tutti gli anni, la seconda domenica di maggio sempre più romagnoli, e non solo, prendono la via delle colline che dominano Santarcangelo per partecipare a quella che nel tempo è diventata una vera e propria sagra intitolata al bustrengh. Da queste parti è in vigore un detto, la cui attendibilità storica è paragonabile a quella circa l’esistenza del mostro di Loch Ness, secondo cui Giulio Cesare, dopo aver oltrepassato il vicino Rubicone, non avrebbe pronunciato la celebre frase “il dado è tratto”, bensì l’apprezzamento “osta l’è bon e bustrengh di Beurgh!” (proprio buono il bustrengh di Borghi!). Se fosse vero, starebbe agli archeologi scoprire con quale esatta ricetta sarebbe stato preparato il bustrengh assaggiato nel 49 a.C. dal più grande tra i figli della lupa capitolina.

di

Romagna

Bustrengh / bustrengo / bostrengo A chameleon among sweets The reason we can compare this typically-Romagnol country cake with a notoriously mimetic lizard lies in its special propensity for changing shape and recipe according to who’s making it. Just as the chameleon changes its pigmentation under the influence of external conditions, the bustrengh (as it’s known in dialect; in standard Italian it’s called bustrengo or bostrengo) changes its ingredients according to the whim of the cook. There is no “standard” recipe for bustrengh. It’s said to comprise no fewer than 32 ingredients, only half of which are “essential”: white and yellow flour, nuts (almonds, walnut), dried figs, honey, lemon peel, orange, raisins, milk, eggs, butter and wine. The remaining ingredients have traditionally been determined by the old peasant custom of making do with what’s available: stale bread, over-ripe fruit, and whatever other ingredients could be scraped together at the time. This is why bustrengh could – and can – appear in the form of a cake, ciambella, pudding or flatbread. According to some authorities, it can even combine sweet and savoury. In most instances, however, it takes the form of a round cake with a golden crust. When cut, the sponge is straw-yellow, soft and heavy. It’s served in slices or in coarsely-chopped cubes, and best accompanied by an Albana dessert wine. Every family with a tradition of bustrengh has its own version, the recipe for which is guarded as jealously as a patent. Although the Marche also claim it as their own, the acknowledged capital of the bustrengh is Borghi, a small village in the hills above Cesena. The pedigree goes back to 1972, when an inhabitant of the village, Romilde Brigliadori, suggested to the organizing committee of the village’s traditional annual feast that they include a stand specially dedicated to the traditional cake. The recipe proposed by signora Brigliadori was loosely based on her own family recipe, while also striking an equitable balance across the many variants. Since then, every year on the second Sunday of May, visitors from all over Romagna and even further afield take to the hills

of Santarcangelo and the village of Borghi, whose annual feast has gradually become a celebration of bustrengh. According to local lore – which in this case is about as believable as the legend of the Loch Ness monster – after crossing the Rubicon, Julius Caesar did not in fact say “The die is cast” but rather Osta l’è bon e bustrengh di Beurgh! (“Very nice, the bustrengh of Borghi!”). It’s pleasant to wonder, nevertheless, exactly which ingredients would have gone into the bustrengh enjoyed in 49 BC by the greatest Roman of them all.

Enogastronomia

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immagini: archivio ca’ di sopra

C a ’ di S opra : etichette da tenere d ’ occhio Se questa Cantina fosse una persona, sarebbe appena alle scuole elementari, eppure già dimostra qualità che ne giustificherebbero l’iscrizione al liceo.

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Questa interessante realtà, che poggia sulla storica azienda agricola della famiglia Montanari fondata nel 1967, sorge in località Marzeno, sulle prime alture che sovrastano Faenza. Un’area, compresa tra Brisighella e Modigliana, la cui vocazione alla viticoltura ha dignità di cru. Il mix tra microclima favorevole, altitudine equilibrata (dai 120 ai 240 metri slm) e suolo prevalentemente calcareo/argilloso, a memoria d’uomo ha sempre prodotto il suo risultato in vigna. Anche per questo i fratelli Camillo e Giacomo Montanari si sono convinti di avere a disposizione il giusto “teatro” per ottenere vini di spessore e, a partire dal 2000, hanno inaugurato un processo di rinnovamento, sperimentando più cloni di Sangiovese, che ha trasformato i vecchi vigneti in moderni impianti, con una resa di circa 5000 ceppi per ettaro. Solo sei anni fa, però, un ulteriore impulso nella direzione della qualità senza compromessi, ha portato i due fratelli a “tradurre” i 30 ettari vitati a loro disposizione in tre vini prodotti in loco. Dall’unità poderale storica dell’Azienda, che porta lo stesso nome della Cantina, e dal vicino podere Ca’ del Rosso, sui quali vengono coltivati vitigni autoctoni (Sangiovese, Albana, Trebbiano) e internazionali (Cabernet Sauvignon, Merlot e Chardonnay), giunge infatti la materia prima sufficiente a una piccola produzione di qualità. Dopo i primi lusinghieri riconoscimenti di pubblico e critica, l’indole innovatrice dei Montanari non sembra essersi placata, si direbbe anzi il contrario. Due anni fa, infatti, la Cantina ha presentato il suo primo vino bianco (tipologia che non vanta grande tradizione nella zona). Un taglio di Chardonnay e Albana, prodotto in un numero minimo di bottiglie, che ha attirato su di sé una certa attenzione (non possiamo, purtroppo, in questa sede recensirlo in quanto, al momento in cui si scrive, la vendemmia 2011 non è ancora pronta). A Dimostrazione di come, oltre alla vigna, è la filosofia aziendale che può fare la differenza.

I

Sensi

Full of promise after just six years Ca’ di Sopra: wines to keep an eye on If Ca’ di Sopra was a child, it would still be at primary school. But already demonstrating qualities which merit its admission to college. The estate, the offspring of an agricultural business founded by the Montanari family in 1967, is located in Marzeno, on the low hills overlooking Faenza, between Brisighella and Modigliana, an area with the potential for wines of exceptional character. The combination of favourable microclimate, optimum altitude (between 120 and 240 metres above sea level) and predominantly clay and limestone soil has yielded excellent wines for as long as anyone can remember. All these factors convinced brothers Camillo and Giacomo Montanari that they had the perfect theatre for the production of wines of substance. In 2000 they began replanting the estate, experimenting with various Sangiovese clones. The old vines have now been replaced with modern stock at a density of 5000 vines per hectare. Just six years into their venture, the brothers were producing 3 wines grown and bottled on their 30-hectare estate. Together, the original vineyard, which gives its name to the estate, and the neighbouring plot Ca’ del Rosso – whose production combines local vines (Sangiovese, Albana, Trebbiano) and international varietals (Cabernet Sauvignon, Merlot, Chardonnay) – already yielded grapes in quantities sufficient for a limited yet high-quality production. After early acclaim from critics and the wine-drinking public, the Montanari brothers were now ready for their next project. Two years ago, the estate launched its first white wine, an adventurous move in a district not renowned for its whites. A limited-edition wine made from a blend of Chardonnay and Albana grapes, it has elicited some positive reaction, although with the 2011 harvest not yet ready to drink we have omitted it here. It’s an effective demonstration, nevertheless, of how an estate’s philosophy can often be as important as its vines.

di

Romagna

il vino mi ama e mi seduce solo fino al punto in cui il suo e il mio spirito si intrattengono in amichevole conversazione. hermann hesse

Solo sei anni, ma promette bene

carlo zauli

Crepe _ Sangiovese di Romagna DOC Superiore 2010 _ Uve/ Grapes 100% Sangiovese Questo vino, il cui nome si riferisce alle caratteristiche crepe che venano in estate i terreni di natura calcarea, denota una spiccata personalità e un’elegante struttura. Di un bel rosso rubino, offre al naso note fruttate e leggermente speziate. Bocca tesa e succosa, fresca, con tannini vellutati e di buona persistenza. Attraversa una vinificazione in acciaio a temperatura controllata. Matura sempre in acciaio, ma il 10 per cento passa in barrique di rovere francese. L’affinamento minimo in bottiglia dura cinque mesi. Temperatura di servizio 1618 °C. Vino versatile da abbinare, può accompagnare tutte le portate. Dagli antipasti ai primi saporiti, fino ai secondi piatti a base di carne. This wine takes its name from the distinctive crepe or fissures that typically vein chalky soils in the summer months. It’s full of personality and elegantly structured. An attractive ruby-red in colour, on the nose it’s fruity and slightly spicy. In the mouth it’s firm, fresh and juicy, with velvety tannins and good length. Fermented in inox tanks at controlled temperature. Mainly aged in inox tanks, although 10 percent is transferred to French oak barriques. Bottle-aged for a minimum of five months. Serving temperature: 16-18 °C. A versatile wine that goes well with all dishes: starters, full-flavoured first courses, and meatbased mains.

Remel _ Rosso Ravenna IGT 2009 _ Uve/Grapes 55% Sangiovese, 30% Merlot, 15% Cabernet Sauvignon Sviluppato per rappresentare fedelmente le caratteristiche del territorio da cui nasce, il Remel è frutto di un uvaggio che dimostra la capacità di sperimentazione della Cantina. All’occhio si mostra con un rosso rubino concentrato, al naso si rivela con una solida impostazione fruttata e con note speziate che gli conferiscono un aroma delicato e profondo. In bocca è succoso, con tannini di carattere e bella acidità. Viene vinificato in acciaio a temperatura controllata, per un periodo che varia a seconda delle uve. Matura per un anno in barrique di rovere francese e viene affinato in bottiglia per almeno cinque mesi. Temperatura di servizio 16-18 °C. Si sposa ottimamente con i secondi piatti strutturati e con i formaggi saporiti, come quelli erborinati. Specially developed to embody all the character of the terroir that produced it, Remel is made from a blend of grapes that fully demonstrates Ca’ di Sopra’s innovative approach to winemaking. The colour is deep ruby. On the nose it’s decidedly fruity, with spicy notes that give it a delicate yet searching aroma. In the mouth it’s juicy with strong tannins and an agreeably acidic edge. The grapes are fermented in inox tanks at controlled temperature, for periods which vary according to the varietal. Aged in French oak barriques for one year, followed by bottle-ageing for at least five months. Serving temperature: 16-18 °C. Goes well with robust main courses and strong cheeses, including blue cheese.

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Cadisopra _ Sangiovese Ravenna IGT 2009 _ Uve/ Grapes 100% Sangiovese Sulla vigna più vecchia dell’Azienda maturano le uve che, accuratamente selezionate e attentamente vinificate, generano il Sangiovese in purezza portabandiera della Cantina. Il suo carattere corposo emerge già dalla consistenza del suo color rubino. Colpisce il naso con una espressività non comune e conferma la sua sostanza al palato. Croccante nel frutto, di buona freschezza, inizia poderoso senza sacrificare però l’equilibrio e quindi l’eleganza. Dopo la vinificazione in acciaio a temperatura controllata, matura in barrique di rovere francese per un anno e viene affinato in bottiglia per almeno cinque mesi. Temperatura di servizio 18-20 °C. Il suo notevole corpo si esalta con tutte le pietanze a base di carne rossa e i piatti particolarmente saporiti, come i brasati. Ca’ di Sopra’s oldest vines yield grapes which are carefully selected and subjected to a meticulous process of fermentation. The result is a 100% Sangiovese which is the estate’s flagship wine. The full-bodied character of this ruby-red wine is immediately evident to the eye. The aroma is unusually expressive, and on the palate it’s as substantial as the aroma promises. Crisp and fruity, agreeably fresh, with immediate power that sacrifices neither balance nor elegance. Fermented in inox tanks at controlled temperature, followed by one year’s ageing in French oak barriques and at least five months’ bottle-ageing. Serving temperature: 18-20 °C. This remarkably full-bodied wine is best enjoyed with red meats and full-flavoured dishes such as roasts.

Enogastronomia


BEYOND SURFACE

AU DELA DE LA SURFACE


Angelo Fabbri

tatiana tomasetta

immagini: collezione privata by cortesy il vicolo – sezione arte tratte dal catalogo della mostra “angelo fabbri”, (a cura di) marisa zattini, cesena, galleria comunale-palazzo del ridotto e il vicolo-interior design, © il vicolo editore, cesena, aprile 1998

è un gran pittore quello che sa ritrarre se stesso al vero. antico proverbio popolare

U n discorso in sospeso Angelo Fabbri era certamente estraneo all’estesa “valle” della creazione visiva contemporanea. [26

Particolarmente per quanto concerne le sue declinazioni di mercato, vetrina e moda, assolutamente circensi e mediatiche, che pervadono la vita di artisti abili, inventati o inesistenti. Nato a Forlì nel 1957, visse e lavorò sempre nella città romagnola, dove morì prematuramente nel 2004, all’età di 47 anni. Rispetto alla strada maestra percorsa dalla più parte dei suoi contemporanei, lastricata di furbe trovate stilistiche, curiosi giochi ottici, espressioni concettuali e arte povera, preferì imboccare il sentiero della fedeltà alla tradizione pittorica, spiccando nel panorama dell’arte giovanile italiana degli anni Novanta. Fabbri usava l’occhio e il pennello, ponendosi di fronte a un soggetto per ritrarlo come appare, ma avvolto da un “silenzio siderale” che lo offre alla contemplazione. La natura stessa della sua arte si esprimeva nella ricerca intima di una perizia tecnica e stilistica, tale da chiedersi quale mole di tempo potesse aver profuso su ogni singola opera. I soggetti da lui prediletti, indagati minuziosamente, sono la figura umana e le nature morte. La sua pittura, fondata sulla costruzione architettonica dell’immagine, rivela un’esattezza nella rappresentazione delle forme capace di comunicare la durezza della composizione, il travaglio dei volti; di rendere permanente la memoria di una figura, quanto di catturare l’attenzione, pur senza l’ausilio di una ricetta forzatamente originale. I

Sensi

Nella ritrattistica l’Artista dimostra il suo talento attraverso uno stile figurativo moderno, imperniato su una levigata poetica della luce, resa senza caricare l’immagine di fini o mitizzazioni. Ne risultano affreschi che indagano il dettaglio psichico dietro al funzionamento della realtà, anche aiutandosi con complementi che facilitano la decifrazione del personaggio. Le sue nature morte esprimono geometrie complesse, misure precise e ripidi equilibri che citano i grandi Maestri del passato. Il rigore e la pazienza spesa sulla tela non si traducono in manierismo, ma le conferiscono grande tensione, una perpetua vibrazione. Quanto alla notevole produzione parallela di disegni a matita, si può dire che restituisca la faticosa esattezza cercata nella raffigurazione dei contrasti. La dipartita dell’Artista fu improvvisa e inaspettata: una sera, accusando un malore, si recò in ospedale. Non fu ricoverato e morì poco dopo essere tornato a casa, lasciando i quadri incompleti sui cavalletti. Scomparso troppo presto per poter registrare in vita il successo che meritava (testimoniato, in ogni caso, da una promettente serie di esposizioni e dalla presenza del suo talento in alcuni luoghi deputati all’immortalità, come la collezione d’arte della Camera dei Deputati, che conserva un suo quadro), lascia in eredità al presente un discorso sulla riappropriazione dei mezzi pittorici ripreso e mai più concluso. Un discorso rimasto in sospeso. di

Romagna

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Angelo Fabbri Unfinished work Angelo Fabbri was an artist whose work was far removed from the currents of contemporary visual creation. Especially where the more media-related aspects of the art world – market, shows, fashion – were concerned. Born in Forlì in 1957, Fabbri always lived and worked in the Romagna town where he died in 2004, aged just 47. While most of his contemporaries followed the familiar trail of wilful originality, eye-catching optical tricks, conceptualism and arte povera, Fabbri remained faithful to a pictorial tradition and emerged as a major new name in Italian art in the 1990s. Fabbri worked with eye and brush, placing himself in front of his subject and painting it as he saw it – enveloped in an icy silence that offered it up for contemplation. The nature of his art found expression in the technical and stylistic intimacy which Fabbri established with his work. It’s difficult not to wonder how much time he lavished on each of his paintings. His favourite subjects, the ones he most loved to depict in his meticulous style, were human figures and still lives. Fabbri’s paintings are built like pieces of architecture, with a precision of representation which conveys the hardness of composition, the anguish of faces, in a manner that impresses them on our memories through their ability to capture our attention, without, however, resorting to an overtly “original” approach. In his portraits, Fabbri’s work explored a modern, figurative vein with a polished and poetic handling of light that made them equally impervious to message or mythology. Instead, his frescoes explore the psychic details behind the workings of reality, with the occasional prop to facilitate the decoding of the subject. Fabbri’s still lives have all the complex geometry, careful proportion and perfect equilibrium of the old masters. Yet their patient, painstaking composition translates into more than mannerism. It’s exactly these qualities that give Fabbri’s still lives their remarkable tension. They reverberate. Fabbri also produced a considerable number of pencil drawings, where his fastidiously precise style is evident in his rendering of contrast. Fabbri’s death was sudden, and unexpected: feeling ill one evening, he reported to the local hospital. He was not admitted to hospital but was sent home, where he died shortly after his return, with unfinished paintings in his studio. It was an untimely death which denied him the recognition he deserved in his lifetime. And although a series of exhibitions and the inclusion of one of his paintings in the collection of Italy’s Chamber of Deputies have gone some way to securing his reputation for posterity, the sense of work left unfinished, never to be taken up again, is ineluctable. We can only wonder what the future would have held.

Arte


Comunicazione musiva L a ricerca artistica di F elice N ittolo

tommaso attendelli

immagini: archivio felice nittolo, giancarlo banzola / fiorentini massimo / advision srl

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Un artista tenta da ormai quarant’anni di restituire all’arte musiva una nuova dimensione creativa, adeguata alla sensibilità contemporanea, o, per usare un termine a lui caro, una nuova “trasgressività”. Felice Nittolo, benché di origini irpine (è nato a Capriglia, in provincia di Avellino, nel 1950), si considera ravennate a tutti gli effetti da quando, nel 1968, dopo gli studi accademici di pittura a Napoli, si trasferì nella città bizantina. Qui, grazie a una borsa di studio, cominciò a impadronirsi della tecnica che avrebbe poi supportato il suo linguaggio artistico d’elezione, quella del mosaico. Eppure Nittolo non si ritiene un mosaicista. Non si limita, infatti, a giustapporre le tessere a seguito di un cartone preparatorio ben studiato, ma utilizza l’alfabeto musivo per liberare la propria creatività e disorientare i sensi dell’osservatore, cercando di portare alla luce il lato concettuale del mosaico. Non solo non realizza mai il cartone in precedenza, preferendo seguire uno schema mentale, ma talvolta lo disegna successivamente all’opera, per indagare l’intensità sprigionata dal lavoro musivo e vagliare possibili prosecuzioni dello stesso soggetto con altre tecniche. Nel corso della sua lunga ricerca artistica, Nittolo ha catalizzato in più di un’occasione l’attenzione della critica nazionale e internazionale grazie a una serie di proposte fortemente provocatorie.

Mosaic as medium The artistic odyssey of Felice Nittolo What’s now considered as “classical” art became so due to the powerful innovative charge it embodied when it first emerged. This is especially true of mosaic. For over forty years, one artist has been endeavouring to restore the creative dimension to the art of the mosaic. A dimension that resonates with contemporary sensibilities, or which embodies, to use a word dear to the artist, a new “transgressiveness”. Felice Nittolo is of Campanian origin (he was born in Capriglia in the province of Avellino in 1950), but has been to all intents a Ravennan artist since he came to the ancient Byzantine city in 1968 after completing his studies as a painter in Naples. Armed with a study scholarship on his arrival in Ravenna, Nittolo promptly set about learning a technique that would later become his artistic idiom of choice: mosaic. Yet Nittolo does not consider himself to be a mosaicist. And indeed his work is not limited to the bedding of tesserae in accordance with a carefully-devised preparatory cartoon; but he does draw on the techniques of mosaic in releasing his creative powers and disorienting the senses of the observer, in his attempts to project the more conceptual side of the mosaic. Nittolo never makes a preparatory cartoon, preferring to follow the ideas he has in his mind, although occasionally he does draw a cartoon once the mosaic itself is complete, to explore the peculiar intensity of the finished work and evaluate its subject’s potential for later exploration in other media. Over the course of his long artistic career, Nittolo has often attracted national and international attention with his often-provocative work. In 1984, at a convention of the AIMC (International Association of Contemporary Mosaicists) in the university of Louvain-la-Neuve, Belgium, Nittolo unveiled the manifesto of the Aritmismo movement. The “rhythm” that Nittolo chose to interrupt in this case was that of the regularity of the bedding of the tesserae which characterizes classical mosaic. By enlarging the gaps between tesserae, Nittolo found they no longer functioned merely as “background” but assumed an active role in his compositions. After an initial, pictorial phase redolent of the informale style, Nittolo adopted a more conventional technique, but using non-geometric tesserae arranged in dynamic, random patterns. To breathe new life into a language, we must start with the letters of its alphabet. Cut into unusual, irregular shapes, these tesserae acquire a calligraphic quality that defies a linear reading.

Particolarmente nel caso del mosaico, quella che oggi consideriamo arte classica è potuta divenire tale anche in virtù della potente carica innovativa che esprimeva al suo esordio.

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Correva l’anno 1984 quando, durante il convegno dell’Aimc (Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei) all’università di Louvain-la-Neuve, in Belgio, presentò il manifesto del movimento artistico dell’Aritmismo. Il ritmo che Nittolo sceglie di interrompere è quello composto dalla regolarità della disposizione delle tessere che caratterizza il mosaico classico. Si allargano gli interstizi, che divengono pause tra una tessera e l’altra, perdendo la funzione di sfondo per assumere un ruolo nella composizione. Dopo una fase iniziale segnata da ampi gesti pittorici, che richiamano lo stile informale, Nittolo passa a una disposizione più regolare, che coinvolge però tessere dalla forma non più geometrica in dinamiche eterogenee. Per rinnovare un linguaggio, inizia dalle lettere che compongono il suo alfabeto. Le tessere, tagliate in forme inedite e irregolari, sviluppano così un calligrafismo che scoraggia una lettura lineare. Nel 1992 è tempo di una nuova svolta nella ricerca dell’Artista, che, durante un convegno internazionale, presenta all’accademia di San Pietroburgo, in Russia, il manifesto della Nuova Tradizione. Si tratta di restituire al mosaico un ruolo da protagonista nella scena artistica contemporanea, portandolo oltre le forme note. Al fine di abbandonare l’“immobilismo della tessera”, Nittolo trasporta il mosaico nella tridimensionalità, nella polidimensionalità e nella polimatericità. Oltre all’uso della ceramica, dei metalli, del legno e della tela, si concentra sull’uso del vetro artistico, di cui studia le caratteristiche durante una residenza svolta al centro internazionale d’Arte della Pilchuck Glass School di Seattle, negli Stati Uniti. L’influenza pop, stimolata dal suo contatto con la controcultura americana, emerge evidente nell’opera realizzata in occasione delle Olimpiadi di Atlanta. La serie di bottiglie di Coca Cola deformate e riempite di tessere vetrose multicolori, di chiara matrice warholiana, pone a confronto la storicità del vetro nell’arte con la sua moderna funzione di imballaggio industriale. Sempre più, il mosaico fa riverberare i sensi dell’osservatore e la luce che riesce così ad emanare richiama l’originaria potenza dei mosaici bizantini. Nittolo non pone tuttavia limiti alla propria indagine artistica. I

Sensi

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faccio arte con un linguaggio specifico fatto di luce, spazio, proporzioni, di materia: la materia per un artista mosaicista è come il suono per il musicista, o le parole per un poeta. felice nittolo

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1992 marked a new turning point in Nittolo’s career, and at an international convention in St Petersburg, Russia he presented the manifesto of Nuova Tradizione. The aim behind the new movement was to give the mosaic new relevance in the contemporary arts by breaking out of traditional moulds of expression. In this attempt to liberate mosaic art from the “immobility of the tessera”, Nittolo now began working in three-dimensional, multi-dimensional and mixedmedium mosaic. New media included ceramics, metals, wood and canvas, although Nittolo was now concentrating on the use of art glass, whose properties he had studied during his residence at the Pilchuck Glass School in Seattle. Pop influences, probably the result of Nittolo’s contact with the American counterculture, now began to appear in his work, as can be seen by the mosaics he produced for the Atlanta Olympic Games. His series of misshapen Coca Cola bottles filled with multi-coloured vitreous tesserae is clearly Warholian in inspiration, pointing up the confrontation between glass as traditionally used in art and its modern application as industrial packaging. Work of this kind gave the mosaic a new vibrance in the eyes of the observer, with interplays of light that were more and more redolent of early Byzantine mosaics. Nittolo’s work is by no means confined to mosaic, however. He is also conversant in video performance, living sculpture, and sacred art. But every avenue he explores is designed to liberate the tessera from its “decorative subjection”. Nittolo has used mosaics in all kinds of expressive idiom: pictorial, sculpture, installation, environmental, architecture, performance and design. In this respect one of his most significant works was the chassis of an old Fiat 500 which he encased in mosaic. In his more recent work the tesserae often disappear completely, evoking the mosaic without informing it. The structure of the mosaic now functions as a concealed guide for the reconstruction of appearance, a counter in a two-way game of mirrors. Although Nittolo has always upheld the validity of mosaic as a medium in its own right, he was also quick to appreciate its close ties with theatre, music and poetry. He regularly works as a stage designer for initiatives including Ravenna Teatro, Compagnia Drammatico Vegetale and Ravenna Festival. A less well-known aspect of his work (although a constant throughout his career) is his output as a painter. His works in this field have an impetuosity which is reminiscent of the early experiments of his aritmista period, spanning expressionism, abstractionism and informalismo. Felice Nittolo has exhibited in Europe, the United States and Japan. His work is constantly on show at international art fairs, and he has sat on the committees of various national and foreign academies of art. His works are on show in public and private museums all over the world.

Video performance, sculture viventi, opere di arte sacra. Ogni strada viene percorsa per liberare la tessera dalla sua primigenia “sudditanza decorativa”. La fantasia dell’Artista conduce il mosaico attraverso la dimensione pittorica, scultorea, installativa, ambientale, architettonica, performativa, di design. Significativa in questo senso l’opera da lui realizzata mosaicando la carrozzeria di una vecchia Fiat 500. Nei lavori più recenti, la tessera talvolta sparisce addirittura; la sua impronta diviene una presenza evocativa. La struttura del mosaico diventa così una traccia da seguire per ricostruire l’apparenza precedente, in un gioco di paralleli speculari. Pur difendendo l’autonomia del linguaggio musivo, Nittolo ne ha comunque intuito precocemente le intime corrispondenze con il teatro, la musica e la poesia. Vanno annoverate le sue collaborazioni nel campo della scenografia con Ravenna Teatro, la Compagnia Drammatico Vegetale e il Ravenna Festival. Meno nota, sebbene costante durante tutto l’arco della sua attività, è la produzione pittorica dell’Artista, che si esprime attraverso un’energica irruenza gestuale, ricordando i primi esiti del suo periodo aritmista, tra espressionismo, astrattismo e informalismo. Felice Nittolo ha esposto in Europa, Stati Uniti e Giappone. È costantemente presente alle principali fiere di settore internazionali e viene spesso chiamato in qualità di relatore da accademie d’arte nazionali ed estere. Le sue opere sono conservate in musei e collezioni, pubbliche e private, di tutto il mondo. Dal 2005 ha trasformato un piccolo edificio sito nel centro di Ravenna in una casa-galleria. Questo spazio consacrato al mosaico, che è stato battezzato niArt, rappresenta in se stesso un’opera d’arte tridimensionale, grazie a una serie di interventi apportati dall’Artista agli elementi architettonici del fabbricato, ed ospita esposizioni sia personali sia collettive di artisti affermati e non. Qui, dal suo “osservatorio”, Nittolo prosegue la sua esplorazione delle possibilità espressive gravitanti intorno al linguaggio del mosaico, quasi fosse un astronomo assorto nella contemplazione delle orbite celesti.

Back in Ravenna, since 2005 he has worked from a small house-gallery in the centre of the city. The gallery, christened niArt, is dedicated to mosaic and is a work of art in its own right, with a series of modifications made by the artist to the architecture of the building. It hosts exhibitions of work by Nittolo himself, as well as collective exhibitions of work by established and emerging artists. Here, in his “observatory”, Nittolo continues to explore the expressive possibilities of the language of the mosaic, like an astronomer absorbed in the contemplation of the celestial bodies.

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Arte


[04] TERRITORIO MONTE FUMAIOLO_ un massiccio per tutte le stagioni MOUNT FUMAIOLO_ a mountain for all seasons LE RAGIONI DI PREMILCUORE_ per scoprire la romagna-toscana PREMILCUORE_ on the borders of romagna and tuscany

[08] STORIA LA MUSA TERRENA DI MASCAGNI_ anna lolli e il loro amore clandestino MASCAGNI’S SECRET MUSE_ anna lolli and their illicit love affair TRAMA E ORDITO CHE IMITANO LA VITA_ l’antica tradizione della tessi tura a mano WARP AND WEF T OF LIFE_ the ancient tradition of hand weaving LA PICCOLA SIGNORA DEI BAMBINI INFELICI_ augusta rasponi del sale, detta gugù THE ARISTOCRAT AND THE ORPHANS_ augusta rasponi del sale, a.k.a. gugù

[14] PASSIONI [32

ROMAGNA SULLE CIASPOLE_ lo strano binomio tra neve fresca e sabbia dorata ROMAGNA ON SNOWSHOES_ the strange pairing of fresh snow and golden sands LA COLLEZIONE ZAGAT TI_ il “capo clan” romagnolo del whisky single malt THE ZAGAT TI COLLECTION_ romagna’s clan chieftain of single malt whisky

[20] ENOGASTRONOMIA BUSTRENGH / BUSTRENGO / B OSTRENGO_ il dolce camaleontico BUSTRENGH / BUSTRENGO / B OSTRENGO_ a chameleon among sweets SOLO SEI ANNI, MA PROMET TE BENE_ ca’ di sopra: etichette da tenere d’occhio FULL OF PROMISE AF TER JUST SIX YEARS_ ca’ di sopra: wines to keep an eye on

[26] ARTE ANGELO FABBRI_ un discorso in sospeso ANGELO FABBRI_ unfinished work COMUNICAZIONE MUSIVA_ la ricerca artistica di felice nittolo MOSAIC AS MEDIUM_ the artistic odyssey of felice nittolo

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