OLTRE LA CRISI NUOVE STRATEGIE PER NUOVE OPPORTUNITÀ
DI
DAVIDE GUBELLINI
Cultore di Storia Economica per l’Università di Bologna
GRUPPO EDITORIALE COLLINS SRL
INTRODUZIONE
La più grande crisi finanziaria dell’ultimo secolo ha colpito tutte le economie del mondo, sia pure con modalità differenziate, tra i diversi Paesi. Dalla sua prima manifestazione, il salvataggio della banca d’investimento statunitense Bear and Sterns, sono già trascorsi due anni. I più autorevoli analisti internazionali concordano nell’opinione che il punto di massima della crisi sia stato superato. In realtà, la percezione dell’opinione pubblica porta a considerazioni più articolate. È giunto il momento per una valutazione retrospettiva, che possa cogliere sia la sequenza degli avvenimenti occorsi nell’ultimo biennio, sia le legittime aspettative degli operatori economici del nostro Paese. Rileggere le analisi proposte dalla sequenza degli avvenimenti succedutisi consente una più completa visione d’insieme, elemento utile alla corretta valutazione del cambiamento necessario ad affrontare una realtà radicalmente mutata. L’obiettivo di questa raccolta di articoli è infatti quello di favorire una nuova consapevolezza imprenditoriale. Intraprendere nuove strategie sarà la condizione indispensabile affinchè la crisi possa trasformarsi in una nuova opportunità d’impresa. Storicamente, la prima valutazione deve essere ricondotta all’autunno del 2008, con il fallimento della banca di investimento americana Lehmann Brothers.
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CAPITOLO 1
In “Notiziario Motoristico” edito da Net Collins, le osservazioni erano le seguenti. “I recenti avvenimenti internazionali, quali il crollo delle borse e la crisi dei sistemi bancari, necessitano di una analisi approfondita in relazione ai molteplici effetti che hanno già prodotto e che ancora maggiormente saranno in grado di produrre nell’immediato futuro. Può essere utile ripercorrere, in breve sintesi, la sequenza degli avvenimenti più recenti, accaduti sulla scena internazionale. 16 marzo 2008: Salvataggio della Bear and Sterns, banca d’investimento americana, ad opera di J.P.Morgan e del Ministero del Tesoro statunitense. 7 settembre 2008: Nazionalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac, le finanziarie americane detentrici del 50% del mercato dei mutui immobiliari statunitensi. 14 settembre 2008: Fallimento della Lehmann Brothers, banca di investimento americana. 14 settembre 2008: Acquisizione di Merrill Lynch da parte di Bank of America. 16 settembre 2008: Salvataggio della AIG, la maggiore compagnia assicurativa americana. Ottobre 2008: Acquisizione di quota rilevante di Morgan Stanley da parte della giapponese Mitsubishi. Cosa è accaduto, in sintesi? In poco tempo, la crisi del sistema finanziario americano, con particolare riferimento alle grandi banche di investimento (le “big five” : Morgan Stanley, Bear and Stearns, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Lehmann Brothers) si è estesa alle banche di tutto il mondo. Come conseguenza, tutte le maggiori borse internazionali, hanno perduto oltre il 50% del valore dei listini, nel corso degli ultimi dodici mesi, come si evince dagli indici di New York, Tokyo, Londra, Francoforte, Parigi e Milano. Dopo i provvedimenti internazionali intrapresi a difesa dei sistemi bancari, i listini delle maggiori borse mondiali hanno continuato a registrare vistose perdite, in relazione alle attese legate al ciclo economico, ovunque orientato ad una fase recessiva. Per approfondire la congiuntura nella quale si è venuto a trovare il sistema Italia, è utile analizzare tre aspetti. 5
1. Quali cause hanno generato una situazione così pericolosa? 2. Quali effetti si producono nell’economia reale? 3. Quali provvedimenti saranno opportuni per favorire le imprese italiane in questa difficile fase? Le cause di questa crisi di sistema sono molteplici ed hanno origini lontane, nel tempo. In primo luogo deve essere considerato l’aumento del debito delle famiglie. Negli ultimi dieci anni infatti, sia in America che in Europa, si è ricorsi al debito in misura molto superiore al passato. Sia per l’acquisto di immobili, sia per prestiti al consumo. Proporzionatamente, sono aumentati i rischi di sofferenze per le banche, in relazione ai crediti non restituiti. Gli istituti di credito hanno cominciato a scambiarsi tali rischi di insolvenza, inserendoli in alcuni prodotti di investimento obbligazionario, offerti ai risparmiatori. Quando il mercato immobiliare americano ha registrato ribassi consistenti, l’aumento dei pignoramenti immobiliari ha destabilizzato l’intero sistema finanziario internazionale. La prima crisi si è verificata a causa delle insolvenze dichiarate dalle famiglie alle quali erano stati offerti mutui sub – prime, cioè operazioni destinate a clientela non di prima capacità reddituale, quindi meno solvibili. Peraltro, molti di questi mutui erano già stati cartolarizzati, cioè ceduti ad altri Istituti; questi avevano provveduto, di fatto, a rivenderli agli investitori, sotto forma di obbligazioni. In sostanza, il rischio collegato ai mutui americani è stato distribuito in tutto il mondo. L’incertezza sull’effettivo ammontare di tale rischio spalmato nei titoli obbligazionari ha paralizzato i mercati internazionali. Il crollo delle quotazioni relative alle cartolarizzazioni ed alle obbligazioni, ha reso necessario un operosissimo intervento delle banche che, in modo diretto o tramite società collegate, possedevano tali titoli. Le perdite ingentissime dichiarate dalle banche hanno trascinato le principali Borse mondiali, nelle quali tutti gli investitori hanno cominciato a vendere, per recuperare liquidità. Fin qui, le cause di questa preoccupante attualità internazionale. Le difficoltà nelle quali versano le banche hanno prodotto una pericolosa spirale; da una parte, una crisi reputazionale verso la clientela, dall’altra una crisi di fiducia tra le istituzioni finanziarie, le quali non si scambiano più il denaro, se non a prezzi elevatissimi, ben superiori al tasso di inflazione. Dunque, da una situazione come quella descritta, quali effetti diretti per l’economia reale? 6
Per le famiglie, impegnate con i mutui o i prestiti a tasso variabile, rate sempre più impegnative in quanto legate all’euribor, euro interbank offered rate ovvero tasso di scambio offerto sul mercato interbancario. Per le imprese, il rischio di un credit crunch, ovvero una stretta creditizia in grado di mettere in difficoltà il sostegno finanziario indispensabile per il proseguimento della propria attività. Come già riferito, tali effetti sono riproducibili su scala internazionale, trattandosi di una crisi sistemica. Tuttavia, la nostra attenzione si concentrerà sulla situazione delle imprese italiane; si descriverà quali difficoltà debbano essere affrontate e quali provvedimenti siano già stati intrapresi o ritenuti più opportuni per sostenere le aziende nazionali e l’economia reale, in generale. Innanzitutto è opportuna una premessa. Fino ad oggi il maggiore impegno di tutta la comunità finanziaria internazionale è stato profuso a difesa della stabilità dei sistemi bancari. È stato uno sforzo indispensabile per garantire un futuro allo stesso sistema finanziario internazionale, qualsiasi regole debbano essere deliberate per il suo governo, nei mesi a venire. Il centro della crisi si è quindi spostato sull’economia reale, e sui timori di una fase recessiva. In una situazione così complessa, le misure a favore delle imprese non sono di facile individuazione, né possono essere deliberate in tempo reale, come le circostanze suggerirebbero. In questa parte dell’articolo, si cercherà di enunciare le iniziative intraprese e le intenzioni dichiarate a sostegno del sistema produttivo del nostro Paese. Il provvedimento più importante resta, a tutt’oggi, il decreto detto “anti-crisi”, deliberato dal Governo all’indomani delle analoghe misure straordinarie adottate dalla Banca Centrale Europea. Il Ministero dell’Economia, di concerto con la Banca d’Italia, l’Associazione Bancaria Italiana, e la Confindustria, si è impegnato, già ai primi di ottobre 2008, a fornire un maggior sostegno alle imprese, lasciando aperti i canali del credito alle aziende. Operativamente, tale impegno si è concretizzato in due direzioni; contenimento dei tassi di interesse nei finanziamenti erogati e maggior sostegno alle imprese italiane da parte dell’Unione Europea, tramite la Banca Centrale degli Investimenti e il Fondo Europeo degli Investimenti. Ciò nonostante, le previsioni per il 2009 restano negative. L’Italia è in recessione e vi resterà anche per il prossimo anno, come la maggior parte delle economie mondiali. 7
Il Prodotto Interno Lordo avrà segno negativo per diversi mesi, secondo Confindustria. Senza cedere a tentazioni protezionistiche, occorre ripensare alla crescita economica del nostro Paese. Indispensabile sarà il ruolo offerto dall’Unione Europea. Servirà un piano di rilancio degli investimenti pubblici sia materiali che immateriali. Anche in Italia dovranno aumentare gli investimenti in infrastrutture, precedentemente programmati in riduzione, rispetto alla media europea. Un orientamento particolare dovrà essere dedicato alla concorrenza e alle liberalizzazioni in generale, nel settore dell’energia e anche nei servizi pubblici. Infine, una attenzione specifica dovrà essere dedicata alle piccole e medie imprese, vera struttura portante del nostro sistema produttivo. È in modello in passato giudicato desueto,soprattutto in riferimento alla cultura anglosassone;oggi è stato precipitosamente recuperato e preso ad esempio per vitalità economica e originalità organizzativa. Che cosa si sta facendo, per favorire questo comparto produttivo? Gli aiuti alle imprese si concretizzano con un sostegno dello Stato a garanzia dei consorzi fidi che da sempre sostengono le piccole e medie imprese. Attraverso la Cassa dei Depositi e Prestiti, lo Stato utilizzerà il Fondo Rotativo per il sostegno alle imprese, allo scopo di favorire l’accesso al credito da parte delle aziende nazionali. Le banche potranno erogare finanziamenti garantiti dai Confidi (Consorzi Fidi), a loro volta tutelati dalla Cassa dei Depositi e Prestiti. Anche il Fondo di garanzia per le Piccole e Medie Industrie, gestito dal Mediocredito Centrale, presterà garanzie dirette alle banche e controgaranzie ai Consorzi Fidi. È intenzione del Governo sostenere le imprese con aiuti alle innovazioni e con agevolazioni fiscali, peraltro limitate dagli obiettivi di pareggio del bilancio entro il 2011. Tutte le Regioni stanno deliberando misure a favore delle imprese del territorio. Alcuni fondi sono già stati stanziati, nel Veneto e nel Trentino; altri sono stati deliberati, come in Piemonte e Lazio. Nella maggior parte dei casi sono state individuate risorse utili ad aumentare i crediti agevolati, a sostenere i Consorzi Fidi, e a favorire la ricapitalizzazione delle imprese. Tutti questi provvedimenti mostrano una necessaria attenzione alla emergenza dei problemi legati alla congiuntura delle imprese italiane. Tuttavia, da soli, non sono sufficienti per affrontare la crisi che verrà.
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Serve concretizzare un vecchio impegno già intrapreso sulla deducibilità delle spese di rappresentanza. Occorre rivedere i parametri degli studi di settore, in alcuni settori estremamente onerosi. È necessario consentire una rivalutazione degli immobili strumentali con una aliquota agevolata pari al 2%, allo scopo di rafforzare i bilanci delle imprese, per favorirne l’accesso al credito. Occorre favorire le imprese che destinano gli utili ad aumento del capitale sociale o riserve, attraverso finanziamenti di pari importo a tassi agevolati, per periodi di medio-lungo termine. Per fare ripartire il “ciclo dei consumi”, potrebbe non essere sufficiente la proposta di rottamazione degli autoveicoli e degli elettrodomestici. Serve detassare le tredicesime, visto il calo degli straordinari, ed intervenire sugli stipendi, anche rateizzandone i contributi di lavoro. Ogni proposta, anche la più innovativa, dovrà essere attentamente vagliata. Il mondo è cambiato, in modo profondo ed in tempi rapidissimi. Il centro di ogni attività economica tornerà ad essere la produzione di beni reali, una attività nella quale numerose popolazioni di paesi emergenti, quali l’India e la Cina, oggi detengono un significativo primato, nel modo manifatturiero. Per conservare il nostro posto nel mondo, occorrerà davvero l’impegno di tutti. E un po’ di umiltà, ricordando le parole di un banchiere illuminato come John Rockefeller, vissuto negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso. Egli sosteneva che la parsimonia fosse un bene essenziale per una vita ordinata, e che l’economia fosse il prerequisito di ogni struttura finanziaria sana, sia nel Governo, come nelle imprese ed anche negli interessi personali. A volte, per andare avanti, occorre sapere guardarsi indietro. Bologna, 26.10.2008
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Già nell’inverno dello stesso anno, l’intera comunità internazionale si attivò per coordinare le attività di governo finalizzate alla difesa del sistema finanziario e al sostegno della economia dei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi. Anche il nostro Paese organizzò una serie di iniziative particolarmente dedicate alle imprese in difficoltà. In quel periodo, su “Notiziario Motoristico” furono indicate diverse opportunità di finanziamento, rese possibili anche grazie agli accordi tra banche e consorzi di categoria. Sulle iniziative a sostegno delle imprese italiane veniva pubblicato questo articolo.
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CAPITOLO 2
La crisi finanziaria ha anticipato una fase economica recessiva tra le più impegnative degli ultimi decenni. Per tutta la comunità internazionale, le strategie di intervento sono state finalizzate al conseguimento di due obiettivi prioritari: la difesa dei sistemi finanziari e il sostegno della domanda, a salvaguardia della capacità produttiva delle imprese. Per il primo obiettivo, solo in Europa sono stati deliberati aiuti alle banche pari a 1.760 miliardi di euro, pur nel rispetto del Trattato di Maastricht. Lo stesso accordo codifica inoltre gli aiuti di Stato a sostegno dell’economia e regola gli interventi a favore delle aziende. Scopo di questo articolo è illustrare quali iniziative siano state intraprese a favore delle imprese italiane e quali comportamenti possano essere ritenuti più idonei a fronteggiare le difficoltà del momento. Un primo approccio strategico implica alcune scelte di carattere politico, da parte dei Governi coinvolti. Il dibattito in corso nel nostro Paese ha finora prodotto una sostanziale convergenza verso cinque grandi linee di intervento. In sintesi, occorrerà: - investire nelle infrastrutture; - favorire lo sviluppo nella ricerca e nelle energie alternative; - incentivare tutte le rottamazioni, dagli impianti di riscaldamento, alle auto, agli elettrodomestici; - sostenere le classi meno abbienti; - finanziare le piccole e medie imprese. Il tema centrale è proprio quest’ultimo argomento. Come sarà possibile finanziare le piccole e medie imprese se un terzo di esse, in Italia, presenta debiti superiori al patrimonio? D’altra parte, se alle imprese servono risorse finanziarie, alle banche occorrono valide garanzie. Nel nostro Paese, come è noto, il problema del passaggio generazionale è più incidente che altrove, con evidenti difficoltà nelle necessarie operazioni di ricapitalizzazione delle piccole e medie imprese. Una prima soluzione alle difficoltà di credito per le aziende sottocapitalizzate 13
potrebbe essere una garanzia pubblica, a favore delle banche impegnate a sostenere le imprese italiane. In questo senso, il Governo sta valutando un intervento della Cassa dei Depositi e Prestiti, a sostegno dei Consorzi Fidi. Anche le singole Regioni stanno attivandosi con fondi da destinarsi al credito agevolato alle imprese. Gli strumenti sono molteplici: garanzie di secondo grado, con i Consorzi; garanzie a sostegno delle Cooperative sul relativo progetto del Fondo Sociale Europeo; bandi specifici mirati all’abbattimento degli interessi di alcuni , determinati comparti. Su quest’ultimo tema riferito al contributo in conto interessi, le singole Regioni stanno attivandosi in modo specifico per il settore del Commercio. Il caso più recente è costituito dalla Regione Lombardia, con una precisa delibera a favore del contenimento degli oneri finanziari sostenuti dalle imprese locali. Un ulteriore strumento, che non deve essere sottovalutato, è costituito dai Fondi dell’Unione Europea. Nel corso del 2008, nell’intero continente, ne hanno beneficiato 400.000 imprese; non sempre le aziende italiane hanno dimostrato di saper utilizzare i fondi messi a disposizione dalla Comunità Europea. Alla data del 1.12.2008, 6 miliardi di euro destinati alle nostre imprese meridionali risultavano ancora inutilizzati. Altre associazioni di categoria, quali A.P.I. e Unindustria, si attivano a favore delle imprese, con iniziative di carattere finanziario.
Tra queste, è opportuno ricordare : - erogazioni a breve termine per spese urgenti - mutui triennali per le operazioni di aumento di capitale - finanziamenti a medio termine per gli investimenti di lungo periodo. A fronte di tali disponibilità di carattere straordinario, gli imprenditori giudicano insufficienti questi interventi, lamentando alti oneri finanziari e una maggiore difficoltà nel reperire nuovi finanziamenti. Tuttavia è innegabile che le difficoltà finanziarie delle aziende possano aggravarsi anche a causa dei ritardi nei pagamenti dei clienti, in particolare se Enti Pubblici. Inoltre, oggi tali difficoltà ad incassare, sono causate anche dai ritardati pagamenti effettuati dal settore privato. Difficoltà negli incassi significa, a livello sistemico, un potenziale aumento delle sofferenze bancarie, con conseguenti richieste di maggiori garanzie da parte delle aziende di credito.
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L’impegno delle principali banche del Paese, a sostegno delle piccole e medie imprese, si è concretizzato in importanti progetti concordati con le associazioni di categoria ed i Confidi, per ingenti quantitativi di risorse finanziarie. Tale impegno farebbe presagire non tanto una “stretta creditizia”, come già annunciato da alcuni quotidiani, quanto piuttosto un miglior accesso al credito da parte delle imprese più meritevoli. Nello specifico settore del commercio , pur in attesa dei saldi di fine anno, il calo delle vendite nel periodo natalizio, stimato attorno al 20%, fa pensare ad un 2009 molto impegnativo. Come fare per superare la fase più difficile? In sintesi, la strategia più adatta può essere identificata in cinque punti; - alta attenzione agli incassi - eventuali dilazioni delle spese - ricerca di finanziamenti , nonostante le difficoltà congiunturali, con attenta valutazione degli oneri finanziari, considerate le migliori offerte disponibili, grazie alle convenzioni previste dagli accordi coi Consorzi Fidi - riduzione dei costi - aggiornamento periodico della strategia di impresa, in relazione al variare delle condizioni di mercato. È bene considerare che la recessione impatta sulle aziende in modo differente, in relazione ad alcuni fattori presenti o meno nel processo di impresa. Per esempio, non vi è dubbio che una azienda operante in settori di beni voluttuari o con una offerta monoprodotto sia più esposta agli effetti della crisi. Una tale impresa deve in questo caso porre grande attenzione al contenimento dei costi fissi, continuando a conseguire tutti i ricavi, anche quelli a minor margine economico. Una eventuale diversificazione nei mercati esteri, peraltro sempre opportuna, deve essere valorizzata nei suoi aspetti caratteristici (qualità, eleganza, ecc.), e monitorata costantemente, soprattutto negli elementi di rischio finanziario (capacità di onorare gli impegni, rischio paese, ecc.). Nel valutare questi orientamenti, mirati al breve termine, non si deve però trascurare una visione d’insieme della situazione congiunturale. Il recente, 42° rapporto del CENSIS non ha nascosto il profondo senso di disagio e incertezza percepito dalle famiglie italiane per l’immediato futuro. Agli attenti lettori, un dato non può tuttavia essere sfuggito. Le stesse famiglie hanno fatto registrare , nel medesimo periodo, una crescita importante delle risorse accumulate a titolo di risparmio. Tutto ciò è ovviamente coerente, dal punto di vista comportamentale; l’incertezza determina spesso un aumento dei fenomeni di tesaurizzazione. 15
In ogni caso, nel nostro Paese, si può sostenere che il taglio dei consumi delle famiglie non sia determinato dalla percezione di un peggioramento dello stile di vita, ma dall’avvicinarsi di nuovi modelli di comportamento e di consumo. Nel medio e lungo termine, le strategie di impresa che avranno compreso e anticipato questo “sentimento” del mercato, godranno di un enorme vantaggio competitivo. Ciò sarà possibile solo con importanti investimenti in tecnologie innovative. Tra i tanti comparti coinvolti, uno in particolare riveste una importanza strategica. Per storia, struttura e impatto socio-ambientale, il settore dell’auto ha le potenzialità per candidarsi nuovamente ad un ruolo determinante nell’economia mondiale e nazionale; quello di un comparto in grado di trainare il prossimo, futuro ciclo positivo di espansione economica. Bologna, 31.12.2008
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La primavera seguente coincise con il massimo momento negativo della crisi. Gli stessi valori dei titoli azionari raggiunsero i minimi degli ultimi decenni. Per contrastare la fase recessiva in atto, l’attenzione della casa editrice si concentrò sulle strategie di impresa più opportune per gestire la crisi. Già nell’estate del 2009, con l’intento di preparare le imprese italiane ad una difficile ripresa autunnale venne pubblicato su “Notiziario Motoristico” un articolo il cui testo viene riportato integralmente
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CAPITOLO 3
Nelle scorse settimane, molti analisti europei hanno condiviso una precisa valutazione temporale. Il primo trimestre del 2009 è stato identificato come il massimo momento negativo della crisi in atto. In effetti, le attese sui dati della crescita economica europea al 30 giugno 2009 parrebbero confermare un miglioramento della congiuntura. Pur restando ancora in negativo, il Prodotto Interno Lordo continentale presenta infatti a quella data valori ormai contenuti rispetto ai trimestri precedenti. A conferma di ciò, solo nel nostro Paese, il mercato dell’auto è cresciuto del 12% nel mese di giugno 2009; inoltre è bene considerare che i maggiori investimenti nella green economy (efficienza energetica e tutela ambientale) rappresentano già oggi il 6% del Prodotto Interno Lordo italiano. Lo scenario economico internazionale rimane comunque ancora negativo; per certi aspetti (disoccupazione, default aziendali e contrazione dei consumi) la fase più drammatica si registrerà nel prossimo autunno, alla ripresa del lavoro dalla pausa estiva. Le attese per una ripresa economica mondiale si collocano ormai nel prossimo anno, anche se molta incertezza permane sul momento di avvio del ciclo espansivo; se sia cioè collocabile all’inizio, alla metà o alla fine del 2010. In ogni caso, l’economia ripartirà; sarà comunque un processo lento e graduale, probabilmente indotto da un nuovo piano di stimoli alla produzione. Sarà inizialmente l’Amministrazione americana a programmare nuovi incentivi economici, anche come forma di contrasto al crescente fenomeno della disoccupazione. Provvedimenti di incentivazione produttiva si renderanno necessari anche al fine di evitare di rischio di una pericolosa stagnazione. L’esperienza giapponese degli anni Novanta, con il costo del denaro a zero e la produzione negativa per lungo tempo, costituiscono un monito significativo per tutta la comunità internazionale. In sintesi, si può credere che il punto di minima sia già stato raggiunto, ma occorrerà ancora qualche tempo per poter assistere ad una ripresa economica degna di rilievo. In questo complesso scenario internazionale, quali prospettive per le aziende del nostro Paese? 19
Quali priorità devono essere valutate per affrontare la crisi e preparare le imprese italiane alla prossima ripresa economica? Il primo obiettivo, già citato dalla Confindustria, è resistere nel prossimo autunno. Se l’economia in area euro scende del 5%, l’assenza di ordini, le dilazioni negli incassi, i costi fissi, possono mettere a repentaglio la stessa esistenza delle imprese italiane. Serve quindi un sostegno creditizio di natura straordinaria. La proposta del Ministro dell’Economia alla Associazione Bancaria Italiana si può sintetizzare in due obiettivi principali: - moratoria sui debiti delle imprese - rafforzamento del patrimonio aziendale. Circa la moratoria sui debiti delle imprese, con modalità da concordare con il sistema bancario, allo studio vi è la sospensione per un anno della sola quota capitale delle rate dei finanziamenti già erogati. Alla metà di luglio 2009, tutto resta ancora da definire; circa i destinatari, un settore privilegiato parrebbe essere quello delle piccole e medie imprese, anche se difficilmente si potrà procedere ad un blocco generalizzato. Detto che si stanno vagliando criteri di merito circa la selezione delle aziende destinatarie della moratoria, la stessa durata è ancora in discussione. Posta la volontarietà della adesione a tale futura proposta da parte delle banche, è bene ricordare che molti istituti di credito offrono già operazioni speciali dedicate alla imprese, con iniziative diversificate. Le più significative sono: - operazioni di finanziamento pluriennale, garantite da consorzi di categoria e finalizzate ad obiettivi sia di investimento produttivo che di consolidamento finanziario, quali ad esempio: • ristrutturazioni del debito • acquisto scorte • esigenze di liquidità temporanee • rafforzamento del capitale d’azienda; - rinvio del piano d’ammortamento per periodi da 4 a 12 mesi. Tale impegno del sistema bancario è destinato ad intensificarsi nel breve termine, grazie anche ai previsti incentivi fiscali, oggetto del decreto legislativo anti-crisi. Agli istituti di credito verrà infatti elevata la deducibilità fiscale per i crediti in sofferenza, passando dall’attuale 0,30% allo 0,50%, mettendo quindi le banche italiane in una posizione di minor disparità rispetto a taluni concorrenti europei, favoriti da un regime di deducibilità totale. Peraltro, l’esigenza di dover allentare i rigidi parametri di Basilea 2, in merito 20
alla qualità del credito, pare ormai un fatto acquisito, anche a livello internazionale. Paradossalmente, tali parametri , introdotti nel periodo più critico nella storia del sistema finanziario internazionale, hanno finito per enfatizzare oltremodo gli elementi di crisi. Di fatto, Basilea 2 ha destabilizzato ulteriormente una situazione già critica, contraddicendo la natura stessa di tali parametri, nati per sviluppare un sistema creditizio internazionale più equo ed efficiente. In questo clima di generale cambiamento, quali strategie aziendali potrebbero rivelarsi più efficaci per le imprese italiane? È giusto partire da alcune considerazioni ormai incontrovertibili. Nel nostro Paese, la caduta libera della produzione si è fermata; anche in Italia l’attesa è quella di una ripresa lenta e molto graduale, a partire probabilmente dalla seconda metà del 2010. A metà luglio 2009, lo stesso OCSE segnala “indicazioni di potenziale recupero” per il nostro Paese. Anche la Banca dei Regolamenti Internazionali e la stessa Commissione UE concordano su alcuni segnali positivi in merito agli indicatori sulla fiducia dei consumatori e sui mercati, in generale. Per le imprese italiane di tratta quindi di utilizzare strategie anticrisi per superare indenni la prossima congiuntura autunnale. In grande sintesi: 1. abbattimento dei costi 2. riduzione del personale 3. elevata attenzione nella gestione degli incassi 4. riordino e selezione del portafoglio clienti 5. prudenza nella valutazione degli ordini 6. sviluppo dell’export, anche attraverso rapporti di collaborazione con altre piccole e medie imprese 7. intensificazione dell’offerta tramite internet (e-commerce) 8. accesso al credito agevolato, tramite i consorzi e le banche di riferimento 9. valutazione della moratoria concessa per iniziativa governativa o dal singolo istituto di credito 10. eventuale ristrutturazione dell’esposizione col sistema bancario. Diverse analisi confermano che le aziende italiane stanno lavorando per risalire nel più breve tempo possibile ai valori precedenti la crisi finanziaria; per molte di esse raggiungere il pareggio di bilancio diventerà un obiettivo di sopravvivenza. D’altra parte, la maggiore tenuta del sistema produttivo italiano è stata determinata proprio dalla presenza delle piccole e medie imprese, aziende che non hanno seguito le speculazioni finanziarie, continuando a rischiare e ad investire economica21
mente nel medio e lungo termine. È proprio questa la chiave di volta fondamentale per il futuro del nostro Paese. Se nel breve termine l’obiettivo è superare la fine dell’anno, per il medio lungo periodo, occorrerà pensare al necessario rafforzamento del patrimonio delle imprese italiane. Il 95% delle aziende nazionali ha meno di dieci dipendenti; secondo Fabrizio Onida, sono piccole imprese con una bassa propensione all’innovazione industriale, ridotta capacità di attrarre investimenti dall’estero, bassa capitalizzazione di borsa ed elevata dipendenza dal credito bancario a breve termine. In futuro, senza un adeguato livello di patrimonializzazione , alle piccole e medie imprese italiane potrebbe non essere più sufficiente cercare nicchie di mercato o aggiungere qualità alla produzione. Esiste infatti una evidente dicotomia nel sistema produttivo del nostro Paese; in Italia convivono le famiglie meno indebitate d’Europa con le imprese più indebitate del continente. Nel tempo occorrerà quindi patrimonializzare il nostro sistema produttivo. Perché nell’incertezza del futuro, un dato appare ormai inconfutabile; solo le aziende solide sopravviveranno, e ciò accadrà perché saranno stati in precedenza accuratamente selezionati i rischi da assumere”. Bologna, 14.7.2009
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Nell’autunno del 2009, un quarto articolo fu pubblicato a sostegno delle prospettive di sviluppo delle imprese italiane. La crisi internazionale aveva evidenziato una volta di più le carenze strutturali delle nostre aziende. Rispetto alle concorrenti, le imprese italiane scontano tuttora un basso indice di patrimonializzazione, cui fa da corollario un alto indebitamento col sistema bancario. Per consolidare l’uscita dalla recessione furono pubblicate su “Notiziario Motoristico” le seguenti considerazioni, dedicate alle aziende del nostro Paese.
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CAPITOLO 4
Trascorso ormai un anno dall’inizio della crisi finanziaria, tutti gli analisti più accreditati concordano nella tesi comune di una ripresa economica di fatto già avviata. L’attualità internazionale conferma come il punto più negativo della crisi finanziaria sia stato superato: dai valori minimi, l’indice delle borse mondiali è salito del 70%, come è accaduto per altri indicatori significativi, quali materie prime, mercati emergenti, oro. Anche la fase economica pare orientata in modo positivo; a metà ottobre 2009, gli studi congiunturali di fonte OCSE confermano una ripresa della produzione globale e degli ordinativi delle industrie. L’eredità più pesante della crisi globale è però costituita dal problema della disoccupazione. Per conseguire il miglior risultato economico possibile, ogni azienda può far ricorso alle leve dei costi e dei ricavi. In fase recessiva, l’obiettivo è infatti contenere l’effetto negativo prodotto dalla riduzione del fatturato, abbattendo tutti i costi ritenuti non indispensabili alla produzione del reddito. Solo negli Stati Uniti, questa necessità ha prodotto 15 milioni di disoccupati, circa il 10% della popolazione attiva, il dato peggiore dal 1982. In questo contesto internazionale, l’economia italiana presenta caratteristiche particolari. La ripresa economica viene confermata da recenti stime di fonte diversa. Secondo un’analisi di Confindustria, pubblicata a metà ottobre 2009, a fronte di una contrazione del 4,5% nel 2009, il PIL è atteso per il 2010 a un + 1%. Secondo l’ISTAT, nel mese di Agosto 2009, la produzione è salita del 7%, un valore che non ha precedenti, dal 1990. Solo il settore auto, nello stesso periodo, registra un aumento produttivo del 45%. Nonostante tali positive conferme, i valori della crescita complessiva restano modesti, rispetto alla concorrenza internazionale. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale prevede per il nostro Paese un + 0,8 % nel PIL, ma solo nel 4° trimestre 2010. Se a questo elemento di scarsa crescita strutturale si affianca il dato relativo all’elevato indebitamento pubblico, avremo identificato uno degli elementi determinanti la situa25
zione economica italiana. Secondo la Banca d’Italia, dal settembre 2008 al settembre 2009, il rapporto tra debito pubblico e PIL è passato dal 105% al 118%, nonostante la presenza di tassi estremamente contenuti. Di fatto, le dimensioni del debito pubblico riducono le risorse necessarie a stimolare la ripresa. Non a caso, l’Unione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro i maggiori Paesi membri (compresa l’Italia) per lo sforamento del rapporto Deficit/PIL, oltre il 3% stabilito nei parametri dell’Accordo di Maastricht. Tuttavia, in Italia, la fase recessiva pare interrotta. Se tecnicamente la recessione viene confermata dal decremento del PIL per 2 trimestri consecutivi, si può affermare che nel 3° trimestre 2009 la caduta dei valori della produzione si è arrestata. Il Fondo Monetario Internazionale conferma la percezione di una ripresa economica già iniziata; è un processo lento, trainato dalle economie emergenti, ma che produrrà, nel 2010, un PIL mondiale al +3,1%, con valori europei al +0,30%, e l’Italia prevista al +0,2 %. Anche nel nostro Paese, la vera emergenza è costituita dalla disoccupazione. In Italia, a fine 2009, la quota dei senza lavoro salirà al 9,1 %, pur contro il 9,6 % della media dell’Unione Europea. Lo stesso “Patto di Pittsburgh”, dal nome della località nella quale si è svolto l’ultimo G 20, ha confermato la necessità di continuare le misure a sostegno dell’economia , con particolare riferimento agli aiuti all’occupazione. Gli incentivi fiscali della Amministrazione americana (3000 dollari per ogni nuovo posto di lavoro), ne sono una testimonianza. D’altra parte, i dati OCDE parlano chiaro; in Italia, a fine 2010, ci saranno 1,1 milioni di disoccupati in più, rispetto al 2007, complessivamente il 10,5 % della popolazione attiva. Le caratteristiche delle imprese italiane sono note. Depatrimonializzazione diffusa, alto indebitamento col sistema bancario. In questo scenario, riesce più agevole comprendere le ragioni di un presunto, difficile accesso al credito. L’Italia presenta il comparto famiglie meno indebitato d’Europa, a fronte di un segmento di piccole e medie imprese tra le più indebitate del continente. Due fenomeni sui quali è lecito ipotizzare più di una relazione. In ogni caso , è bene ricordare che al problema creditizio è stata associata una soluzione positiva, attraverso le operazioni di finanziamento co-garantite dai Consorzi di categoria. Tali finanziamenti, cresciuti significativamente del 70,9 % rispetto al 2008, sostengono 26
le imprese nelle necessità di consolidamento dei debiti pregressi, esigenze di liquidità, acquisto scorte e investimenti produttivi. Quali attività programmare per le imprese italiane interessate a muoversi in uno scenario di rinnovata crescita mondiale? Semplicemente tornando a fare impresa, con inventiva, coraggio ed equilibrio. Passata la fase acuta della crisi economica, già dal prossimo anno, per sopravvivere non sarà più sufficiente “chiudersi a riccio”, allo scopo di “limitare i danni”. Occorrerà sì una attenta analisi del portafoglio clienti, rigidamente selezionato in base alla qualità dei pagamenti, ma serviranno anche nuovi mercati e, probabilmente, nuovi prodotti e servizi. In breve, la crisi finirà ma ,per chi ne sarà sopravvissuto, nulla sarà più come prima. Se il margine sarà per tutti più ridotto, potrà non essere sufficiente operare sulla leva dei costi. Serviranno nuovi ricavi, servirà progettare un nuovo sviluppo, possibile solo con scelte oculate ma anche innovative, con particolare riferimento a quattro aree di importanza strategica per lo sviluppo delle imprese italiane. INNOVATION TECNOLOGY. Gli investimenti in tecnologia producono una crescita più che proporzionale della produttività aziendale. Le innovazioni tecnologiche agiscono da moltiplicatore dello sviluppo. A volte serve una analisi esterna per valutare se un’impresa dispone di un patrimonio tecnologico da rinnovare, rispetto alla concorrenza. RISORSE UMANE. La crisi finanziaria ha avvalorato la necessità di maggiori investimenti nella formazione del personale. L’economia della conoscenza porta a strutture aziendali in grado di costituirsi e azzerarsi in relazione alle contingenti esigenze commerciali. In ogni caso, un maggior investimento culturale garantisce una maggiore flessibilità alle mutevoli esigenze del mercato. MERCATI ESTERI. Cercare nuovi mercati significa puntare a nuove reti commerciali estere. Le Camere di Commercio e le Camere Internazionali costituiscono partners irrinunciabili per aprirsi nuove prospettive di marketing, meglio se in collaborazione con altre aziende del settore. DEPATRIMONIALIZZAZIONE D’IMPRESA. La necessità di un rafforzamento del capitale d’azienda può essere conseguita con due modalità. 1. La ricerca di un socio in grado di apportare denaro fresco. 2. Il progetto aziendale di una fusione con uno o più imprese concorrenti, allo scopo di poter procedere, attraverso economie di scala, al raggiungimento di 27
posizioni di leadership, in un determinato mercato. D’altra parte, il 94,6% delle micro imprese italiane (oltre 4 milioni), hanno da 1 a 9 dipendenti, e solo 4.700 aziende hanno piÚ di 50 dipendenti. In conclusione, il prossimo futuro sarà caratterizzato da una crescita lenta e fragile; per questo motivo occorreranno scelte innovative e radicali. D’altra parte, molto difficilmente potranno essere conservate le attuali dimensioni e caratteristiche delle imprese appartenenti al nostro sistema produttivo. Bologna, 21.10.2009
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Nella scorsa stagione invernale, un ultimo contributo fu pubblicato a sostegno delle tesi confindustriali finalizzate alla crescita delle imprese italiane. Si ribadiva la necessità di dimensioni aziendali più consone ad una competizione ormai globale, nella quale nulla sarà più come prima. Ricordando che la difesa delle strategie conosciute o l’avversità al cambiamento accelerano la crisi delle imprese, si indicavano alcune linee operative utili alla crescita. Venne inoltre citato l’esempio positivo del sistema bancario del nostro Paese, argomento talvolta trascurato, ma molto significativo, per la sua attualità.
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CAPITOLO 5
Per le imprese italiane di piccole e medie dimensioni, le difficoltà economiche sono una evidenza quotidiana del sentire comune, prima ancora che dei dati statistici. Fatturati in contrazione, difficoltà negli incassi, margini in riduzione testimoniano le difficili condizioni del comparto produttivo. Tuttavia, una ripresa economica è in atto. I suoi valori non sono ancora percepiti nel vissuto degli operatori economici, ma non può essere negato che la recessione sia conclusa. Dopo 15 mesi di dati negativi, nel terzo trimestre del 2009, il Prodotto Interno Lordo è tornato in segno positivo, come del resto nella maggior parte dei Paesi dell’area Euro. Secondo l’OCSE, l’Italia mostra addirittura il miglior indice di espansione economica del continente, registrando un valore del PIL che la colloca al 6° posto nella graduatoria mondiale per nazioni, prima della Gran Bretagna. Di fatto, le imprese italiane hanno saputo resistere alla crisi grazie ad alcune concrete azioni economiche: 1. il ricorso agli ammortizzatori sociali quali la cassa integrazione ha contenuto i licenziamenti, sostenendo un livello opportuno dei consumi; 2. la prudenza imprenditoriale ha evitato progetti rischiosi in fasi congiunturali inadatte; 3. la crescita delle esportazioni (una attività svolta dal 70% delle imprese italiane), con valori a doppia cifra già dal mese di settembre, ha favorito la ripresa sul mercato interno. Anche le aspettative imprenditoriali confermano la percezione positiva già accennata. Secondo l’Unioncamere, nel corso del 2010, il 30% delle Piccole e Medie Imprese italiane si attende un incremento delle esportazioni ; un altro 24% si aspetta una crescita degli ordini, mentre il 30% delle aziende manifatturiere prevede un incremento del fatturato. La ripresa ci sarà, pur senza nuova occupazione. La crescita sarà sostenuta purchè vengano soddisfatte due condizioni: a. la ripresa dei consumi, con il recupero del potere d’acquisto delle famiglie, grazie anche alla restituzione del fiscal-drag; 31
b. nuovi investimenti nelle aziende. È soprattutto su quest’ultimo punto che gli imprenditori debbono agire. Per partecipare alla ripresa, occorre mostrare il coraggio di tornare ad investire nella propria azienda. L’Italia è il Paese con le famiglie meno indebitate d’Europa e le piccole e medie imprese più indebitate del continente. È una contraddizione non più sostenibile, soprattutto nel mercato “globale” contemporaneo. Le aziende italiane devono ricapitalizzarsi, non solo per la crescita, quanto per la loro stessa sopravvivenza. Da uno studio Prometeia, la patrimonializzazione delle nostre imprese è inferiore alle aziende europee concorrenti, con percentuali dal 30% al 20%, per classi crescenti di fatturato. Dunque, servono capitali freschi, propri o di terzi. Come sostiene la Confindustria, è tempo di “cambiare marcia”. Le modalità per poterlo fare possono essere sintetizzate in alcuni elementi strategici. 1) Costituzione di un Fondo Italiano di Investimento per le Piccole e Medie Imprese italiane, con fatturato compreso tra 10 e 50 milioni di euro. Con l’obiettivo di favorire la ricapitalizzazione di 15.000 aziende italiane, delle quali 2/3 nel manifatturiero, le principali banche del Paese sono già impegnate, insieme al Ministero del Tesoro, alla Cassa dei Depositi e Prestiti, e alla Confindustria, nella costituzione di un fondo dedicato ai soli investitori istituzionali. Entro la fine del 1° semestre del 2010, dovrebbero giungere i primi investimenti finalizzati a creare una fascia più ampia di aziende di medie dimensioni, in grado di competere nel mercato internazionale. 2) Favorire l’accesso alla moratoria dei debiti. Già il 35% delle imprese italiane ha inoltrato le richieste alle banche di riferimento. Nel corso del primo semestre 2010 sarà possibile verificare l’impatto di tali procedure sui bilanci aziendali. 3) Utilizzo dei fondi di garanzia offerti dallo Stato e dai Consorzi di categoria, in coordinamento con i principali istituti bancari. Il successo di tale iniziativa, consolidata ormai da un anno, può essere sintetizzata dai tassi di incremento delle richieste, in alcune aree geografiche anche in tripla cifra. È bene ricordare che tali domande possono essere utilizzate anche per garantire aumenti di capitale delle aziende. 4) Uso degli incentivi fiscali già esistenti quali: a. detassazione degli investimenti in nuovi macchinari (cosiddetta Tremonti-ter); 32
b. incentivo alla patrimonializzazione delle società (conosciuto anche come bonus-patrimonializzazione, cumulabile con il precedente); c. taglio dell’acconto irpef; d. riduzione dell’IRAP; e. detassazione dei salari di secondo livello; f. bonus per le aggregazioni di imprese; g. incentivi per le reti di impresa. 5) Certificazione dei crediti con la Pubblica Amministrazione. L’azienda deve poter ottenere dalla SACE delle anticipazioni sui pagamenti dovuti dalla Pubblica Amministrazione; in alternativa deve avere dalla stessa SACE le garanzie utili a favorire le richieste di finanziamenti bancari. 6) Orientamento alle innovazioni tecnologiche, con particolare riferimento ai comparti ambientali ed energetici. Significativamente questi settori costituiranno l’oggetto dei fondi comuni di investimento chiusi, previsti dal già citato Fondo di sostegno alle Piccole e Medie imprese. 7) Costituzione di reti di imprese orientate all’esportazione; nel rispetto dei caratteri di innovazione e qualità, tali reti favoriranno gli investimenti all’estero e saranno finanziate dalla SACE con condizioni competitive. L’Italia è oggi leader mondiale per le esportazioni in 55 diversi prodotti. Valorizzare tali successi di nicchia significa proteggere le aziende del nostro Paese, le cui dimensioni non sono più adeguate a reggere la competizione internazionale. Per continuare a crescere nei mercati mondiali, occorre lavorare su progetti condivisi, considerare partners le aziende nazionali fino a ieri valutate concorrenti; grazie al “Contratto di Rete”, previsto dalla “Legge Sviluppo” dello scorso mese di aprile, sarà infatti possibile concretizzare quelle sinergie indispensabili per sviluppare le nostre aziende. Sotto l’egida statale e confindustriale, le imprese italiane, unite, possono fare molto per favorire le esportazioni, la ricerca e l’innovazione, divenendo interlocutori qualificati per le Università del territorio di riferimento. Il contratto di rete consentirà inoltre alle Piccole e Medie Imprese di poter disporre di figure manageriali di alto livello, in materie strategiche quali marketing, finanza e controllo di gestione, competenze altrimenti precluse all’esperienza delle aziende di modeste dimensioni. 8) Progettare fusioni di aziende in imprese più grandi. Il tessuto imprenditoriale italiano è costituito da piccole imprese, nel 90% dei casi. Troppo piccole per competere nel mondo “globalizzato”. Confindustria rileva che le acquisizioni di aziende sono in crescita del 5%, complice l’incertezza della congiuntura. È ancora troppo poco. 33
Gli imprenditori mostrano interesse alla prospettiva di progettare fusioni con aziende del medesimo settore. D’altra parte: non si mettono capitali, si cresce dimensionalmente purchè si sia disposti a cedere quote di controllo. È quest’ultimo l’elemento culturale ostativo al cambiamento aziendale, nel nostro Paese. Abituati a gestire in proprio aziende di piccole e medie dimensioni, gli imprenditori italiani sono poco orientati a condividere il potere con nuovi interlocutori; si preferisce, nel caso, chiudere l’azienda, pur di non venir meno alla cultura individualistica tipica del nostro Paese. Varrebbe la pena ricordare l’esempio positivo delle banche italiane. Fino alla fine degli anni ottanta, le aziende di credito italiane, storicamente sottocapitalizzate e fin troppo numerose, costituivano “una foresta pietrificata”, assolutamente non in grado di competere con le banche straniere, fino a temerne “l’invasione”, nel 1992, alla vigilia della liberalizzazione dei servizi finanziari, secondo la Direttiva Comunitaria. L’invasione non accadde, né in Italia né altrove, anche per motivi diversi. Tuttavia, già agli inizi degli anni novanta, le banche italiane procedettero ad operazioni di fusione ed aggregazione; a metà del decennio citato il numero delle banche si contrasse da 1000 istituti di credito a 100 gruppi bancari. Oggi 10 Gruppi creditizi concentrano oltre il 70% del mercato nazionale, secondo livelli di patrimonializzazione che sono stati definiti da”nuovo Rinascimento italiano”, dal Commissario economico dell’Unione Europea, durante una intervista del 2003. Attualmente i maggiori istituti bancari nazionali sono presenti nelle graduatorie mondiali e la stessa gestione della crisi finanziaria, affrontata senza il ricorso agli aiuti di Stato, come invece è accaduto alle banche tedesche, francesi, inglesi, belghe e olandesi, è stata più volte portata ad esempio da autorevoli osservatori internazionali. È giunto il momento di valorizzare le nostre imprese, sostenendo ricerca, innovazione e qualità, con capitali e dimensioni adeguate alle nuove sfide internazionali. Nella competizione globale, sopravvive solo chi cresce. Bologna 10.1.2010
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UN PRIMO QUADRO DI SINTESI
Al termine di questa raccolta degli articoli pubblicati negli ultimi due anni, si pone una riflessione conclusiva, sulla attuale congiuntura economica e finanziaria. La ripresa economica stenta a caratterizzarsi con una significativa continuità. Di fatto, nell’autunno del 2010, si è assistito alla seconda ondata della crisi. Il “double dip”, tanto temuto negli Stati Uniti, si è verificato. La crisi degli Stati Sovrani, con i rischi di default connessi ai titoli del debito pubblico di Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna hanno condizionato la già debole ripresa americana. I pignoramenti di case negli Stati Uniti hanno innescato una nuova fase recessiva, che non potrà non avere ulteriori riflessi sul mercato immobiliare, sui mutui, sulle banche. Come nella prima ondata del 2008, l’Europa non potrà evitare gli effetti negativi del protrarsi della crisi. A causa della recente “guerra delle valute”, con la conseguente supervalutazione dell’euro, le esportazioni dei paesi continentali sono fortemente penalizzate. Sul fronte del costo del denaro, i tassi a breve termine hanno risentito di un clima di maggior fiducia nel mercato interbancario, con un incremento della quotazione dell’euribor 3 mesi dallo 0,85% di settembre 2010 all’ 1,05% di novembre 2010. Inoltre, nel nostro Paese, la situazione politica interna non favorisce il mondo delle imprese, bisognoso di un’azione forte sui temi fiscali e del mercato del lavoro. In un quadro di perdurante stagnazione, in un mercato così profondamente cambiato, l’unica strategia aziendale in grado di assicurare la sopravvivenza stessa dell’impresa è l’innovazione. In Italia la crisi colpisce soprattutto le imprese medio piccole, con fatturato inferiore ai 500 milioni di euro annui. Le dimensioni ridotte e la sottocapitalizzazione, tipiche di questo settore, sono le principali cause all’origine delle loro difficoltà finanziarie. In questo comparto, l’innovazione passa attraverso tre elementi: - la crescita d’impresa; - le aggregazioni societarie; - lo sviluppo delle esportazioni.
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CRESCITA D’IMPRESA La modesta capitalizzazione è una delle cause più note della crisi delle piccole e medie imprese italiane. Tale problematicità è destinata ad aggravarsi con l’introduzione degli accordi di Basilea 3. Con essi, l’area finanza diverrà strategica anche per le piccole e medie imprese. Per meritare un favorevole accesso al credito occorrerà migliorare la pianificazione finanziaria, allo scopo di poter dimostrare agli istituti bancari di credito la solidità del progetto di impresa. L’introduzione dei criteri di Basilea 3 avverrà in modo graduale, a partire dal 2013, per completarsi solo nel 2019. Questa gradualità temporale è stata riconosciuta per favorire i processi di ristrutturazione finalizzati al miglioramento dimensionale e finanziario delle piccole e medie imprese; lo scopo ultimo resta la sfida al mercato globale. In questo senso la crescita diviene una condizione indispensabile per la sopravvivenza stessa dell’impresa. Ma “come” crescere? Quale deve essere l’impegno principale dell’attività dell’imprenditore? Con il calo della domanda causato dalla crisi, non è più sufficiente focalizzarsi sul fatturato, mantenendo i contatti con i clienti e partecipando alle fiere di settore. Serve anche riprogettare il business, ricercare nuovi mercati. Crescere significa cercare di arricchire la visione individualistica e di breve periodo delle aziende gestite in modo istintivo e padronale, per orientare l’impresa ad una progettualità di medio – lungo periodo. Le aziende famigliari, spesso oggetto di delicati passaggi generazionali, devono riequilibrare il rapporto tra mezzi propri e capitale di terzi. Non a caso l’Italia è il paese con la maggiore propensione al risparmio delle famiglie e il maggior indice di indebitamento delle imprese. Per favorire i processi di capitalizzazione delle imprese, le maggiori banche italiane e la Cassa dei Depositi e Prestiti hanno finanziato un fondo di 500 milioni di euro. Una ulteriore strategia finalizzata alla crescita delle imprese italiane si riferisce allo sviluppo dei prodotti sostenibili. In questa categoria di intervento rientrano diverse tematiche, dal miglioramento ambientale del processo produttivo (risparmio energetico, sicurezza, certificazioni ambientali, innovazioni tecnologiche), alla realizzazione di prodotti e servizi meno inquinanti, riciclabili e caratterizzati da un qualificante risparmio energetico.
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LE AGGREGAZIONI SOCIETARIE In attesa degli sgravi fiscali a favore delle aggregazioni di impresa, sarà necessario ripensare i concorrenti come potenziali partners, con i quali poter competere in modo più efficace con le imprese estere. Le ipotesi aggregative potrebbero inoltre ridurre l’impatto restrittivo dei prossimi criteri creditizi, riconosciuti con il termine di Basilea 3. Attraverso la costituzione delle reti di impresa, formalizzate con un semplice contratto di rete, sarebbe più agevole l’accesso al credito, per ottenere il raddoppio delle risorse conferite dalle singole aziende al fondo patrimoniale di garanzia assicurato dall’intervento pubblico. I contratti di rete sono infatti uno strumento utile a migliorare la competitività delle nostre piccole e medie imprese, spesso penalizzate sui mercati esteri e causa delle ridotte dimensioni. Per favorire il consolidamento e la creazione di nuove reti di impresa, verranno sostenute le funzioni condivise dalla rete stessa quali produzione, progettazione, logistica, sistemi informativi, ecc. La partecipazione attiva ad una rete delle conoscenze permetterà inoltre di portare a fattor comune sia diverse esperienze di impresa, sia una attività di affiancamento sulle modalità di intervento più efficace, in relazione alle singole problematiche aziendali (coaching). La stessa focalizzazione sul tema della innovazione aziendale, permetterà utili attività di “insegnamento”, sulle singole storie di successo d’impresa. LO SVILUPPO DELLE ESPORTAZIONI Il modello di relazioni collaborative è la condizione indispensabile per affrontare in modo innovativo la sfida globale dei mercati. Si è affermato più volte che , dopo la crisi del 2008-2009, nulla sarà più come prima. La recente ricomposizione dello stesso Fondo Monetario Internazionale ne è una testimonianza , con il significativo aumento del peso riconosciuto alle economie emergenti di Cina, India e Brasile. Questi sono i nostri attuali competitors. Dunque è imprescindibile una maggiore internazionalizzazione del nostro sistema produttivo. Diversamente, il rischio immediato è la perdita delle quote di lavoro estero, a causa della nostra scarsa specializzazione penalizzata anche dalla rivalutazione dell’euro. Molti settori tradizionali del nostro Paese, soffrono particolarmente, a causa delle tensioni sui cambi. Sono le imprese della meccanica, dell’arredo, del tessile, delle calzature, dell’alimentare. 37
Serve “fare sistema”, cioè allearsi per offrire i propri prodotti, insieme ai maggiori partners nazionali del settore. Per coprirsi dai rischi valutari, uno strumento utile è scegliere di essere pagati in euro, per le proprie vendite sull’estero. Altre scelte opportune possono essere effettuate partecipando a gruppi di acquisto, per spuntare prezzi scontati nell’approvvigionamento delle materie prime. Occorre inoltre valutare l’opportunità della partecipazione ai consorzi per l’esportazione. Associati alla Federexport, già ora i Consorzi sono più di 100, con circa 3500 aziende iscritte. Tramite l’iscrizione ad un consorzio, la piccola e media impresa può effettuare una prima indagine conoscitiva sui nuovi mercati esteri, alla ricerca di nuovi clienti potenziali. Per quanto difficile, resta questa l’unica strada da percorrere. Le piccole imprese esportatrici, da sole, non riescono infatti a crescere proprio nei mercati nei quali la domanda si sviluppa in misura più significativa, quali Cina, India e Brasile. Grazie al contratto di rete, introdotto dalla legge n. 33/2009, anche le esportazioni delle piccole aziende possono essere favorite. La condizione necessaria per il successo delle reti di impresa resta la loro stabilità, utile ad introdurre il circolo virtuoso degli investimenti di medio e lungo termine. Nei prossimi anni, avvicinare le piccole imprese al mercato globale resterà la sfida fondamentale per l’intero sistema produttivo nazionale. Perché in un mondo così competitivo, le imprese meno vulnerabili saranno quelle più innovative.
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