Nèura Magazine
Numero 1
Non È Una Rivista d’Arte
4 ottobre 2012
Catene di montaggio
Eunomia La Centrale Montemartini a Roma La chiusura dei centri d’arte contemporanea
“Fiato d’artista” I libri della Sartoria Utopia Gunther Von Hagens a Milano
Nèurastenie Gli appuntamenti della settimana 4-11/10
Logo ©Cristiano Baricelli
Logo in copertina e a pagina 3: ŠCristiano Baricelli, Ictus, 2005
Indice - Numero 1
Eunomia - Centrale Montemartini: basta la collezione per fare un museo?
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“Fiato d’artista” - Gunther von Hagens, uno scandalo annunciato
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Eunomia - L’arte? Closed! Il J’accuse di Andrea Tanini, presidente dell’associazione EX3 Toscana contemporanea
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“Fiato d’artista” - Sartoria Utopia, quando la poesia diventa livre d’artiste
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Nèurastenie - Fotografia
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Nèura Magazine - 4 ottobre 2012
Eunomia - Centrale Montemartini: basta la collezione per fare un museo? Silvia Colombo
Una delle opere della Centrale Montemartini. Credit Silvia Colombo
Il museo archeologico allestito all’interno di quella che un tempo era la Centrale Montemartini di Roma ha delle grandissime potenzialità, ma con delle cadute di stile. Dopo l’appuntamento della scorsa settimana, incentrato sull’archeologia industriale di Manifesta 9, torniamo a parlare di una fabbrica nata come centro propulsore di energia elettrica (il primo di carattere pubblico a Roma), poi entrata in disuso e, di recente, rianimata con l’attività museale. La Centrale Montermartini costruita sulla via Ostiense – un lungo un tracciato rettilineo che collega il cuore della città con la periferia – agli inizi del Novecento, sorge oggi in un quartiere in via di trasformazione. Mentre da un lato dialoga con i suggestivi gazometri, protagonisti dello skyline di tante produzioni cinematografiche locali, dall’altro si relaziona con l’imponente complesso 5
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Sala Colonne, Centrale Montemartini. Credit Silvia Colombo
dei Mercati Generali – un cantiere di restauro ancora aperto. Quest’ultima è la medesima sorte cui la centrale è andata incontro alla fine degli anni novanta quando, dopo un periodo trascorso in stato di abbandono, è stata eletta a prima protagonista di un progetto molto interessante voluto dall’amministrazione comunale. Nel 1997 ha aperto al pubblico la mostra temporanea Le macchine e gli dei, un’esposizione costruita sul contrasto – estetico e temporale – tra le opere, reperti archeologici dei Musei Capitolini, e i motori, gli ingranaggi della centrale, figli dell’era moderna. Il successo della manifestazione, a riconferma della buona idea iniziale, ha portato quindi alla riconversione definitiva del progetto e alla fondazione di una sede staccata e permanente dei Capitolini. Il potenziale che scaturisce dal confronto tra i busti in marmo bianco, con vesti panneggiate e solenni, i volti definiti sin nel minimo particolare, i mosaici realistici e gli spazi alti con dettagli Liberty (i corpi luce in primis), i motori scuri, i comandi a bottone e le forme bombate è – come si può intuire – enorme. Il percorso museale si snoda in tre ambienti principali che, intuitivamente, devono il nome alla preesistente funzione industriale: da una prima Sala Colonne si 6
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passa alla Sala Macchine e infine alla Sala Caldaie. In ognuna di esse, distinguibile anche per il colore delle pannellature in compensato o cartongesso (arancio, azzurro o verde), si dispiegano le sculture e le suppellettili antiche collocate su piedistalli o incastonate in simil-architetture di templi antichi. Inoltre, tra la prima e la seconda stanza è presente un elemento di raccordo, un atrio dedicato alla storia della centrale che, attraverso foto d’epoca e disegni, si mette anch’essa in mostra. Eppure tutto ciò non è sufficiente per farne un buon museo. L’allestimento, realizzato sul finire degli anni novanta dall’architetto Stefanori, risente già del tempo che passa e le imperfezioni, talvolta, sono troppo evidenti perché si possa ‘chiudere un occhio’ e passare oltre. Senza contare che la ‘gabbia allestitiva’, con le sue forme e la sua cromia spesso invadenti, interferisce continuamente con la potenziale poesia del contrasto tra antico e moderno. Ma vi sono altri particolari che minano al fascino del luogo. Ad esempio, la palese presenza di una macchina distributrice di caffè al limitare del percorso espositivo, collocata fianco a fianco di una lastra marmorea finemente lavorata ad altorilievo,
Sala macchine, Centrale Montemartini. Credit Silvia Colombo 7
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non sembra essere un buon inizio. E così, a seguire, i sistemi di ricambio dell’aria nelle vicinanze di un’opera non sono solo una caduta di stile dal punto di vista estetico, ma anche un pericolo per l’equilibrio conservativo della pietra. Per non parlare di condensa e cristallizzazioni (saline?) sui vetri delle finestre – di nuovo, probabile indizio di un microclima non ideale –, delle lacune di colore e della cattiva manutenzione dei pannelli espositivi, di telefoni su piedistalli che si incontrano così, all’improvviso, e di ambienti non accessibili. È vero, ci sono anche ‘soluzioni divertenti’, come le due statue, quasi sbeffeggianti, collocate spalle all’ingresso, in posizione simmetrica, e altri particolari meritevoli, come l’esposizione/ ricomposizione del grande mosaico a pavimento, situato nell’ultimo ambiente. D’altro canto, perché questo luogo possa esprimere le sue caratteristiche al meglio e possa essere, dunque, apprezzato come meriterebbe, sarebbero necessari una cura costante e delle misure manutentive regolari, senza che il bilancio ne soffra. Centrale Montemartini www.centralemontemartini.org Roma, via Ostiense 106 Orari: martedì-domenica 9-19 (lunedì chiuso) Ingresso: 6,50 euro intero/ 5,50 euro ridotto residenti a Roma: 5,50 intero/ 4,50 ridotto [Per verificare le riduzioni e le gratuità degli ingressi visitare il sito ufficiale del museo]
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“Fiato d’artista” - Gunther von Hagens, uno scandalo annunciato Roberto Rizzente
Il giocatore di basket. © COPYRIGHT: BODY WORLDS di Gunther von Hagens, Istituto per la Plastinazione, Heidelberg, Germania, www.bodyworlds.com
Viene definita “mostra d‘interesse scientifico”. E lui, il professor Gunther von Hagens, l’anatomopatologo tedesco, l’erede della tradizione anatomica rinascimentale. Anche se poi, la sostanza di “Body Worlds” (fino al 17 febbraio), è quella di una normalissima mostra d’arte: recensioni su riviste specializzate, citazioni di opere conosciute, un catalogo, un vernissage di grido, merchandising, code al botteghino e location ad hoc, in questo caso la Fabbrica del Vapore di Milano. Bisogna fare attenzione ai termini. Von Hagens trae ispirazione dalla storia dell’arte – il Cavallo impennato con cavaliere è ispirato al disegno preparatorio di Leonardo per la statua equestre di Francesco Sforza, mai realizzata. I giocatori di Poker è apparso nel film 9
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Casino Royale della serie 007. Nel novembre 2010 il sito del professore ha ipotizzato la vendita di alcuni corpi per cifre comprese tra i settemila e i settantamila euro. Dove finisce il diritto dell’arte di raccontare e inizia quello della scienza di divulgare e fare ricerca? Vediamo di capire meglio. Oggetto della ricerca dell’anatomopatologo sono i corpi del German Institute for Plastination, donati da volontari anonimi e sottoposti al processo di “plastinazione”, per cui i liquidi corporei vengono sostituiti da polimeri di silicone. Ci sono state delle polemiche, poi smentite – a suo tempo “Der Spiegel” accusò il ‘Dottor Morte’ di essere coinvolto in un commercio di cadaveri in Cina – ma non è questo il punto. I corpi presentati al pubblico, benché privati di una qualunque connotazione identitaria, sono veri. Ce ne sono di diversi, alla mostra milanese. Come il già citato Cavallo impennato con cavaliere, in omaggio alla città. E, ancora, Il giocatore di basket, Il giocatore di scacchi, Il ginnasta agli anelli, Lo sciatore volante, Il ballerino sulle punte, Pattinaggio artistico con donna sollevata. Senza dimenticare i campionari di organi, esposti sotto delle teche. Tutti rigorosamente accompagnati da didascalie scientifiche e citazioni da Gibran, Confucio, Sant’Agostino, Goethe, Hugo, Pascal, persino il Dalai Lama. L’obiettivo dichiarato è quello di «mostrare realisticamente ai visitatori la meravigliosa complessità del corpo umano e animale». Confrontare gli organi sani e quelli affetti da patologie, perché l’uomo impari a comprendere cosa accade quando il corpo si ammala. E, in ultima istanza, riflettere sul proprio destino, heideggerianamente segnato dalla morte: «Io ero come tu sei ora: vivo; tu sarai come sono ora: morto. Tuttavia potrai anche essere ciò che sono: un plastinato». È davvero così? Nel Seicento, con la crisi del Rinascimento, l’uomo aveva scoperto la sua fallibilità. Il senso della morte impregnava l’aria. Se ne erano accorti, gli artisti, e lo restituivano alla tela. Solo che l’insistenza sul tema, i cromatismi e gli estetismi servivano a sminuirne la portata. Mostrare per cancellare. Spettacolarizzare per esternare. Dunque esorcizzare e, nel migliore dei casi, dimenticare: era questa la regola non scritta del tempo. Sono passati dei secoli, ma non siamo andati troppo in là. La nostra cultura è impregnata di morte. I teschi figurano nei capi d’ab10
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Configurazione vascolare, dettaglio. Š COPYRIGHT: BODY WORLDS di Gunther von Hagens, Istituto per la Plastinazione, Heidelberg, Germania, www.bodyworlds.com 11
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bigliamento più trendy; il tasso di violenza nei film è alle stelle e la cronaca nera piena di particolari raccapriccianti. Allo stesso tempo, però, la morte è censurata. La chirurgia plastica fa miracoli per ritardare il processo d’invecchiamento, i media e lo stile di vita dei vip rilanciano l’ideale dell’eterna giovinezza, invano gli ansiolitici provano a sedare la paura del niente (cfr. il Dylar, la pillola “cancella morte” in Rumore bianco di De Lillo). Mostrare i corpi plastinati conserva un che di ambiguo e irrisolto che mal s’integra con l’obiettivo testé evidenziato da von Hagens. Questi corpi, da Gianluca Nicoletti definiti “un Ikea del post mortem”, sono seducenti, accattivanti. Tirati a lucido, eterni e inviolabili, circondati da citazioni colte e altisonanti, a mo’ di Baci Perugina, sembrano dei manichini riciclati, che si osservano come si osserverebbe un qualunque oggetto prodotto dalla società di massa, ad uso e consumo dell’isteria del momento, più che di una riflessione protratta nel tempo. C’è, poi, il problema della liceità. Dopo il dadaismo, ogni cosa viene giustificata, oggi, in nome dell’arte. Grande scalpore sollevò, qualche anno fa all’Ospedale Molinette di Torino, The Class, la performance dell’artista thailandese Araya Rasdjarmrearnsook, in scena con dieci cadaveri. Per qualche tempo il web impazzì contro la performance di Habacuc Vargas Eres lo que lees (Sei quello che leggi), che nel 2007 lasciò morire di fame un cane randagio legato in galleria, prima che il tutto si risolvesse in una bufala. Non esiste un’estetica condivisa. Tantomeno un criterio per definire il valore di un’opera che non sia strettamente commerciale, un tempo di pertinenza della critica. La democratizzazione degli intenti nasconde un relativismo diffuso che spinge in giù le lancette del giudizio. Non ci sarebbe da stupirsi se il confine di ciò che è lecito venisse spostato in là. La fame di novità spinge a osare, in nome del profitto e di un malinteso gusto per la provocazione. Parrebbe allora che, più che un’operazione scientifica, “Body World” sia l’ennesima trovata marchettara per far parlare di sé, sfruttando audacemente e in modo, a nostro avviso, scorretto, un tema abusato. “Non importa che se ne parli bene o male, 12
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I giocatori di poker. © COPYRIGHT: BODY WORLDS di Gunther von Hagens, Istituto per la Plastinazione, Heidelberg, Germania, www.bodyworlds.com
l’importante è che se ne parli”, diceva Oscar Wilde. Gunther Von Hagens, oggi, è una star milionaria, rispettata e conosciuta in tutto il mondo. Ma se è questo il motivo di tanta celebrità, noi preferiamo stendere una riga sopra.
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Eunomia - L’arte? Closed! Sonia Cosco
L’interno di EX3, il centro d’arte contemporanea di Firenze chiuso
Il J’accuse di Andrea Tanini, presidente dell’associazione EX3 Toscana contemporanea Chissà cosa avrebbero pensato le muse se qualcuno avesse chiuso l’accesso al colle Parnaso. Belle e disorientate, si sarebbero guardate intorno alla ricerca dei responsabili e avrebbero visto solo il fumo di ciò che rimane dell’arte e della cultura, le prime vittime immolate sull’altare della recessione economica. L’arte chiude i battenti, come in questi giorni il Tacheles, centro d’arte contemporanea di Berlino, o come l’EX3 di Firenze. Un caso, quest’ultimo, che dalle pagine dei giornali locali 15
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è rimbalzato sul nazionale. Il centro, nato tre anni, aveva una fitta programmazione, ma nel giugno di quest’anno fa retromarcia, a poche settimane dalla scadenza della convenzione con il comune di Firenze, che è proprietario dello spazio. La notizia negativa è la fine di un progetto che negli anni stava assumendo un profilo internazionale, la notizia comunque positiva è che lo spazio continuerà a sopravvivere, attraverso un nuovo bando per la gestione dello spazio culturale che scade a fine ottobre. Basta con EX3 perché non funziona? Il punto dolente è proprio questo. Le attività del centro riscuotevano consensi e la notorietà di EX3 aveva superato i confini nazionali. Ecco l’amarezza, ed ecco perché Nèura ha voluto andare oltre le note ufficiali e chiedere ad Andrea Tanini il suo punto di vista. Sono passati quattro mesi dalla chiusura di EX3. Ricorda ai lettori di Nèura quali sono stati i motivi della chiusura del centro d’arte contemporanea di Firenze? EX3 ha chiuso, vittima della politica culturale dell’amministrazione Renzi, molto attratta dal risalto mediatico e poco attenta alle progettualità radicate su territori lontani dal ricco centro cittadino, quello delle boutique di lusso e del turismo. EX3 chiedeva un adeguamento, tutto sommato modesto, in rapporto all’attività svolta, del contributo comunale. Dopo 6 mesi di incontri, discussioni e promesse dello stesso sindaco, questo contributo aggiuntivo è stato rifiutato. Così la nostra decisione di porre fine a questa avventura, con il grande rammarico, come abbiamo scritto nella nostra lettera di commiato, di privare la comunità di un’offerta culturale plurale fuori dai conformismi imperanti. Quali strategie si possono, a suo avviso, attuare, in periodi di crisi come il nostro, per sostenere progetti culturali? Io credo che prefissare un equilibrio delle risorse economiche 50% pubbliche e 50% private sia un modo corretto per impostare il sostegno a progetti culturali affini a quello di EX3, che peraltro ha realizzato non senza fatica questo equilibrio nel corso della sua attività. La ristrettezza dei bilanci pubblici non può essere un alibi, semmai deve costituire uno stimolo per le istituzioni a selezionare e premiare le iniziative migliori, oltre la vecchia logica delle 16
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Simon Roberts - Installation.
erogazioni a pioggia di stampo clientelare. Un ragionamento non molto dissimile vale per le realtà economiche chiamate a sostenere i progetti sul ‘contemporaneo’, queste devono comprendere che disperdere risorse in eventi spettacolari quanto effimeri forse restituisce loro una visibilità immediata, ma non incide sulla qualità dei contesti in cui operano. EX3 è solo uno dei tanti centri d’arte contemporanea che chiudono i battenti. Vuole condividere con i lettori di Nèura Magazine una riflessione a tal proposito? Voglio sperare che questo tristissimo succedersi di chiusure di strutture dedicate all’arte contemporanea sia solo un fenomeno contingente, legato alla pesantissima congiuntura economica in cui versa il nostro Paese. Non mi risulta che qualcosa di analogo stia avvenendo in ambito internazionale. Tagliare i fondi alla cultura, alla scuola, alla ricerca è un vizio tipico delle nostre classi dirigenti che storicamente non comprendono il valore anche economico del sapere. Vorrei però aggiungere, per quanto riguarda il nostro ambito, che piangersi addosso serve a poco, piuttosto se con la povertà di risorse occorre fare i conti, come in tutte le buone imprese che si rispettano, è necessario riformulare i programmi legandoli a budget sostenibili evitando sprechi ed inutili spese improduttive. 17
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Lei è un imprenditore che ha deciso di investire in un progetto come EX3. Quanto è importante che il mondo delle imprese dialoghi con quello artistico/culturale? Le aziende di cui sono socio e amministratore operano nel campo dell’architettura e del design. Le affinità ed i collegamenti con il mondo delle arti visive sono scontate. Detto questo, il mio impegno nel progetto EX3 non è stato guidato da alcun intento di un ‘ritorno’ all’attività imprenditoriale, ma piuttosto da una passione per l’arte contemporanea e dalla convinzione che, da questo punto di vista, Firenze fosse una realtà molto arretrata. Devo dire che, non solo grazie a EX3, in questi anni l’offerta di contemporaneo è decisamente cresciuta in città. Quanto infine al dialogo fra cultura e impresa ritengo che sia imprescindibile in una società che guarda al futuro, in una società in cui le componenti più dinamiche collaborano soprattutto alla promozione culturale delle nuove generazioni.
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“Fiato d’artista” - Sartoria Utopia, quando la poesia diventa livre d’artiste Anna Castellari
I libri di Sartoria Utopia. Credit: Anna Castellari
Due ragazze, un paio di forbici, una stampante, un po’ d’artigianato e molta creatività. Questa sembra essere la ricetta di Sartoria Utopia, mini casa editrice di Francesca Genti e Manuela Dago, che pubblica lavori unici: veri e propri libri d’artista, in cui gli artisti sono loro e i poeti che pubblicano. Sono nate a Milano nel 2012 e domenica scorsa erano a LiberSalone a Milano, salone della microeditoria d’artigianato, dove, tra mille bancarelle, più o meno di qualità, le abbiamo incontrato. Ed è stato subito coup de foudre. Le abbiamo intervistate. Tentativi di fare poesia attraverso i libri artigianali ce ne sono stati altri; penso ad esempio a Pulcino Elefante di Alberto Casiraghy e a Gattili. Qual è lo spirito che anima il vostro progetto? 19
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Io e Francesca prima di essere editrici siamo poetesse con diversi anni di esperienza di reading e di conoscenza del mondo editoriale alle spalle. Volevamo produrre qualcosa di totalmente nostro, che ci rispecchiasse completamente, dal contenuto al contenitore. Subito si è manifestato il desiderio di accogliere in questa esperienza altri autori che apprezziamo e che pensiamo meritino attenzione per il loro lavoro. Abbiamo con essi un rapporto potrei dire quasi affettivo, tanto che ogni libro viene cucito e arricchito da collage e particolari sempre diversi. Secondo me il bello di Sartoria è proprio questo rapporto personale che abbiamo con ciascun libro creato. Quali sono i criteri nella scelta delle copertine, che, peraltro, sono tutte diverse le une dalle altre? Le copertine si ispirano direttamente ai contenuti del libro; anche se di volta in volta, per renderle tutte uniche, giocano molto istintualità e improvvisazione. Fattore importante è però sempre il colore: tutte le nostre copertine, così come il nostro logo, sono coloratissime e veicolano un messaggio di vivacità non solo intellettuale,
Manuela Dago, Altre forme di vita, Sartoria Utopia edizioni. Credit Anna Castellari 20
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ma anche comportamentale che è una cosa molto importante che vorremmo portare dal nostro quotidiano nell’arte e viceversa, in una sorta di ludica osmosi. E in base a che cosa, invece, scegliete gli autori da pubblicare? Per quanto riguarda la scelta degli autori, essa avviene in modo del tutto libero seguendo i nostro gusti. Diamo comunque la preferenza ad autori giovani non solo in senso anagrafico, ma proprio come spirito, un approccio alla poesia libero, non paludato, non inquinato dalla senescenza snob di tanta parte delle istituzioni italiane. Come dice Bob Dylan: Forever young! Il nome richiama un concetto di artigianale (la sartoria) e di ideale (l’arte). Vi riconoscete in questa definizione? Direi di sì, assolutamente. Utopia poi è un chiaro riferimento alla voglia di andare controcorrente rispetto al mercato editoriale standard e alla omologazione in generale. Vogliamo che il nostro progetto, per quanto di nicchia, si possa espandere ed essere conosciuto il più possibile, senza rimanere relegato all’ambiente puramente letterario o degli addetti ai lavori, vogliamo “tracimare”, usando solo cose belle: la poesia, la carta, il colore, i pennarelli, le matite, il filo di lino, cosa c’è di più utopico di questo? Avete altro in programma nello sviluppo del vostro progetto? Potete anticiparlo? Abbiamo molte cose che bollono in pentola, da qui all’inizio del 2013 usciranno quattro libri di cui siamo molto soddisfatte. Un’antologia di invettive di alcune tra le poetesse italiane che maggiormente apprezziamo in questo momento, le nuove poesie di Anna Lamberti-Bocconi che amiamo molto, il canzoniere punk di Graziano Mignatta, poeta dai versi affascinanti e dalla personalità misteriosa e un doppio libro, dove Azzurra D’agostino e Francesca Matteoni dialogano attraverso le loro poesie. Chi sono Manuela Dago e Francesca Genti? Mi chiamo Manuela Dago, sono friulana, classe 1978, vivo a Milano da circa cinque anni. 21
Catene di montaggio
Scrivo poesie da quando avevo dodici anni. Ho all’attivo diverse pubblicazioni su riviste e blog di poesia e partecipazioni a eventi e reading. Nell’ambito del Festival Internazionale di Poesia “Acque di Acqua” ho pubblicato nel 2012 la raccolta Un mare piccolo. Ho un blog che si chiama Parole a credito (manueladago.blogspot.com). Mi chiamo Francesca Genti e sono nata a Torino nel 1975, da dieci anni vivo a Milano. Ho pubblicato le raccolte di poesia Bimba Urbana(Mazzoli, 2001), Il vero amore non ha le nocciole (Meridiano Zero, 2004) e Poesie d’amore per ragazze kamikaze (Purple Press, 2009), L’arancione mi ha salvato dalla malinconia (Sartoria Utopia, 2012). In veste di narratrice ho partecipato a diverse antologie, firmando il libro di racconti Il cuore delle stelle (Coniglio Editore, 2007) e il romanzo La Febbre (Castelvecchi, 2011). Miei testi sono apparsi su Nuovi Argomenti, alfabeta2, Lo Straniero, il manifesto, La Repubblica, Velvet.
Francesca Genti, Tre estati. Sartoria Utopia edizioni. Credit Anna Castellari 22
Nèura Magazine - 4 ottobre 2012
A sinistra: Giacomo Sandron, La malattia professionale. A destra, Paolo Gentiluomo, Manale portatile per la devozione del fertile gaudio, Sartoria Utopia edizioni. Credit Anna Castellari
In qualità di paroliera ho collaborato con vari gruppi musicali tra cui i Baustelle. Sulla base dei numerosi reading svolti ho ideato due performance poetiche: Fiaba e Juke box all’ossigeno. Conduco laboratori di lettura attiva dei Tarocchi.
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Nèurastenie - #Fotografia Silvia Colombo #Roma
Gianni Berengo Gardin, Piazza S. Margherita. La trasfigurazione - ©Gianni Berengo Gardin/ Contrasto
Ecco come unire attualità e cultura. La mostra L’Aquila prima e dopo. Fotografie di Gianni Berengo Gardin, aperta al Museo di Roma in Trastevere ci dà la possibilità di mettere a confronto due realtà, che poi – a ben guardare – sono solo due lati di una stessa medaglia. Stiamo parlando della città dell’Aquila, immortalata dal fotografo Berengo Gardin in due momenti storici diversi: sedici anni fa e dopo il sisma del 6 aprile 2009 che l’ha duramente colpita. Questa occasione, proposta all’interno del festival FotoLeggendo, può essere spunto per un aggiornamento personale, per un desiderio di memoria, ma anche per ricordarci che la fotografia può essere una voce di verità. Dove e quando Roma, Museo di Roma in Trastevere 27 settembre – 11 novembre 2012
Info e contatti Orari: martedì-domenica 10-20 (chiuso lunedì) Ingresso: 6,50 euro intero/ 5,50 euro ridotto residenti: 5,50 euro intero/ 4,50 euro ridotto In occasione della Notte dei Musei, il prossimo 6 ottobre, il museo sarà aperto gratuitamente dalle 20 alle 2 (ultimo ingresso: un’ora prima). www.museodiromaintrastevere.it
museodiroma.trastevereomune.roma.it 25
Catene di montaggio
#Roma
Robert Doisneau, Le plongeur du Pont d’Iena, Paris, 1945 copyright © Atelier Robert Doisneau
Un tocco di Parigi anche a Roma: a Palazzo delle Esposizioni Robert Doisneau. Paris en liberté è fresca di inaugurazione. Ancora, un vis à vis tra l’obiettivo fotografico e la città, ma questa volta dimentichiamoci l’occhio documentaristico di Gardin per lasciare spazio a un po’ di romanticismo. Duecento scatti in bianco e nero, eseguiti tra gli anni trenta e gli anni Novanta del Novecento, rendono ragione del percorso tracciato da Doisneau, nel cuore della ville lumière, fatto di persone, di volti e di sguardi. L’esposizione, in arrivo dritta dritta da Kyoto, approderà anche allo Spazio Oberdan di Milano a partire dal prossimo 15 febbraio 2013. Dove e quando Roma, Palazzo delle Esposizioni 29 settembre 2012 – 3 febbraio 2013
#Verona
Info e contatti Orari: martedì-giovedì e domenica 10-20, venerdì-sabato 10-22.30 (lunedì chiuso) www.palazzoesposizioni.it info@palaexpo.it
Enrico Pasquali, Bambini, periferia di Comacchio - Emilia Romagna (1955) ©Eredi Enrico Pasquali 26
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NeoRealismo. La nuova immagine in Italia 1932-1960. Il Neorealismo si mette in mostra, ma questa volta non in veste cinematografica o letteraria, bensì fotografica. Nella suggestiva cornice degli Scavi Scaligeri di Verona il pubblico avrà modo di conoscere, attraverso scatti in bianco e nero reali e senza filtri, il volto di un’Italia in cambiamento, dal periodo fascista agli anni del boom economico. Seguendo una storia fatta di immagini significative, si avrà modo di conoscere le storie dei personaggi ritratti e di osservare come la fotografia sia specchio di un linguaggio diversificato – è documento, ma anche arte e interpretazione di una condizione. Inoltre, a corredo dell’esposizione, saranno presenti manifesti e brani cinematografici dello stesso periodo. Dove e quando Verona, Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri 29 settembre 2012 – 27 gennaio 2013
Info e contatti Orari: martedì domenica 10-19 (lunedì chiuso) portale.comune.verona.it
045 8077490 / 8013732 / 8000574
#Berlino
Lothar Wolleh, Joseph Beuys
Lothar Wolleh. Josef Beuys al Moderna Museet, Stoccolma, gennaio 1971, è allestita all’Hamburger Bahnhof di Berlino, suggestivo museo dedicato all’arte contemporanea sito all’interno di un’ex stazione ferroviaria. La mostra si focalizza su un corpus di scatti fotografici (stampe moderne su negativo originale) eseguiti da Lothar Wolleh in occasione dell’allestimento della prima personale di Josef Beuys al Moderna Museet di Stoccolma. Le immagini, che 27
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ritraggono l’artista e le sue opere, non sono solo fedele memoria di quell’evento, ma anche opere d’arte esse stesse. Wolleh, lasciando la macchina fotografica nel medesimo punto, programmata con scatto automatico, e giocando con vari effetti, dai riflessi al fuori fuoco, parla a un luogo e un tempo sempre presente. Dove e quando Berlino, Hamburger Bahnhof, 4 settembre – 25 novembre 2012
Info e contatti Orari: martedì-venerdì 10-18, sabato 11-20; domenica 11-18 (lunedì chiuso). www.hamburgerbahnhof.de
e-mail: hbf@smb.spk-berlin.de
#fuoritema
Nu de Dos Arte, Zinelli - in the painter’s mind. Photo credit Andrea Torsetta
Per il fuori hashtag (dicesi: fuoritema) di questa settimana abbiamo scelto Sentieri che si perdono nella mente. Sul filo tra follia e speranza, aperta ancora per poco, fino al 14 ottobre. L’esposizione si articola in due sedi diverse, Casa Bossi e Fabbrica Lapidea, entrambe a Novara, e si incentra sulla multimedialità. Costruita su un tema delicato, al limitare tra la creatività pura e la follia, mette di fronte al fruitore le opere di Carlo Zinelli e Giovanni Sesia, le fotografie di Giovanni Berengo Gardin e Donatella Pollini, e per finire – last but not least – il video trittico del gruppo di ricerca Nu de Dos Arte dedicato alle figure dello stesso Zinelli, al giocatore di scacchi Paul Marphy e al matematico Paul Erdos. Dove e quando Novara, Casa Bossi e Fabbrica Lapidea 14 settembre – 14 ottobre 2012
Info e contatti Orari: mercoledì-venerdì 1518.30, sabato e domenica 1012.30 e 15.30-18.30 (lunedì chiuso). Ingresso: gratuito www.casabossinvara.it
info@turismonovara.it 28
Nèura Magazine è uno spazio culturale di prospettiva. La redazione è composta da Anna Castellari, Silvia Colombo, Sonia Cosco e Roberto Rizzente. Per informazioni: info@neuramagazine.com
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