1A ITT. E.Fermi Venezia: Incontri di civiltà nella Repubblica di Venezia: dal cibo alla storia

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INCONTRI DI CIVILTA’ NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

I POPOLI, I LUOGHI IL CIBO, IL DIALETTO


BREVI CENNI STORICI SULLE ORIGINI Venezia è una città che nasce sui resti della regione romana “Venetia et Histria” , le cui zone costiere, foci dei fiumi ed isolette lagunari erano popolate fin dal I sec. a.C. da pescatori, salinatori, marinai , commercianti di derrate, agricoltori. In seguito alle invasioni barbariche, a partire dal VI secolo, la fascia costiera iniziò a popolarsi di latini, protetti dall’impero bizantino dagli assalti dei popoli germanici.

Nel 568 i Longobardi invasero il Veneto da nord-est costringendo gli abitanti dell’entroterra a fuggire verso la laguna e la gronda lagunare. Così facendo si svilupparono i centri urbani principali: Sul litorale: Grado, Bibione, Caorle, Jesolo, Eraclea, (Cittanova in origine) , Malamocco (Metamauco), Brondolo, Cavarzere, Chioggia, Nelle isole della laguna: Torcello , Burano , Murano, Rivoalto , Olivolo (Castello), Spinalunga (Giudecca). Questa fu una delle invasioni più massicce e fondamentali per lo sviluppo di Venezia.


Le persone immigrate nella laguna si adattarono in fretta alle nuove condizioni di vita che l’ambiente offriva (caccia, pesca, pastorizia, orticultura, saline, commercio), ma conservarono comunque le loro conoscenze nei diversi ambiti, dando vita ad una “Civiltà lagunare”.

La lontananza dalla capitale imperiale Costantinopoli e l’incremento dello sviluppo economico furono le circostanze che permisero alla popolazione di raggiungere una specie di Stato autonomo noto come : Civitas Venetiarum , prima, Venetia e Repubblica di Venezia in seguito. In breve la città conquistò un ruolo politico e militare di primo piano nell’ Adriatico e successivamente nel Mediterraneo. La Repubblica veneziana si sentì grande al punto da partecipare alle decisioni e azioni militari internazionali, diventando presto un punto di riferimento anche a carattere internazionale.

Una comunità nata anche e soprattutto dall’immigrazione di persone che fuggivano da guerre e invasioni aveva dato origine a quella che sarebbe diventata una delle principali potenze del Mediterraneo e un importantissimo centro per il commercio. Sintesi a cura di Andrea Padovan


La cucina delle origini La cucina veneziana nasce nelle spoglie isole della laguna e lungo la gronda lagunare. In quella zona c’era un intenso commercio che si sviluppava lungo i corsi d’acqua e in laguna, con scambi di prodotti fra città e villaggi, anche molto lontani fra loro. Precedentemente i Veneti avevano assorbito senza troppa fatica le abitudini alimentari dei romani, arricchendo così la propria cucina, dov’erano presenti vari alimenti: pane lievitato, vino bianco e rosso, minestre vegetali, paste fritte, pesce d’acqua dolce e salata, carne alla brace, insaccati di carne, nuove specie di maiali, formaggio, lumache , insalate miste. Alimento protagonista della prima cucina delle isole della laguna era ovviamente il pesce, soprattutto cefali e anguille, ma anche gli uccelli acquatici. Si aggiungevano sulle tavole le erbe spontanee, le radici, la frutta e gli ortaggi coltivati, spesso importati dagli orti dell’ Estuario. Compito delle donne era raccogliere i tanti tipi di erbe, officinali, aromatiche e alimentari che caratterizzavano il cibo e la semplice medicina del tempo, macinare i cereali, setacciare e impastare la farina trasformandola in pane, in plutes (polenta), pasta e dolci. Va inoltre sottolineato che nella zona della laguna veneta le persone povere e quelle ricche, almeno inizialmente, mangiavano lo stesso tipo di cibo, senza differenza, cambiava solo la quantità delle porzioni.


La spedizione di Pietro Orseolo e il controllo sulla Dalmazia Fatto di svolta nella storia di Venezia fu la spedizione navale dell’ anno 1000, che fu un completo successo, guidata dal doge Pietro Orseolo . Orseolo riuscì abilmente a sconfiggere i Narentani, pirati che infestavano le coste dell ’Alto Adriatico e minacciavano la stessa Venezia, assediando le loro roccaforti e costringendoli alla resa per fame. Durante il viaggio di ritorno le varie città dove la flotta del doge fece tappa dichiararono la loro sottomissione a Venezia, così che Istria e Dalmazia divennero protettorati veneziani . Pietro Orseolo assunse il titolo di duca di Dalmazia e di Croazia . Venezia aveva esteso la sua Adriatico; di conseguenza questo scambi commerciali e culturali della costa dalmata e un’ Mediterraneo orientale.

inflenza sull’ Alto determinò maggiori con le popolazioni apertura verso il

fonte: P. Scarabello , Breve storia illustrata di Venezia

Ritratto di Pietro Orseolo II Venezia, 961 – Venezia, 1009I Sintesi a cura di Matteo Irion


Gli incontri con altri popoli e il cambiamento nella cucina veneziana Ancora oggi l'uso delle spezie è la caratteristica fondamentale della cucina veneta, che unifica la varietà delle tradizioni gastronomiche legate al territorio. Con l’espansione nel Mediterraneo la cucina veneziana, fatta di ingredienti poveri, diventa addirittura raffinata con l'utilizzo delle spezie importate dall’ estero: lo zenzero, lo zafferano, i chiodi di garofano, noce moscata, coriandolo e, soprattutto, il pepe. A seguito delle Crociate Venezia iniziò il commercio dello zucchero importato dall’Arabia e di cui ebbe quasi il monopolio. L’ingresso dello zucchero diede un rinnovamento alla pasticceria veneziana, con l’abbinata di altri ingredienti di importazione quali le mandorle e i pinoli, secondo usi culinari derivati dalla cucina ebraica e araba. Anche il riso, si impose tra i piatti veneti. Arrivato dal mondo arabo diventò ben presto il punto di forza della cucina veneziana. La più celebre delle minestre veneziane è i risi e bisi , che il Doge era tenuto a mangiare il giorno di San Marco seguendo un preciso cerimoniale.


Tra i secondi piatti, il contatto con Dalmati e Albanesi portò all’uso della castradina , la carne di montone salato e affumicato cotta con le verze, le cipolle e il vino. La castradina, nata dall’incontro con altre popolazioni, divenne d’obbligo nelle tavole “sia dei povaréti che dei siori, nobili o mercanti”, entrando nella tradizione veneziana tanto diventare il piatto da consumarsi il giorno della Madonna della Salute Tra i secondi di carne più tipici e noti, c'era già allora il famoso fegato alla veneziana. Noto ai romani che lo cucinavano con i fichi per addolcire il retrogusto amarognolo della carne, fu abbinato invece dai veneziani alla cottura con le cipolle. Come ci documentano i numerosi trattati gastronomici che si iniziarono a stampare a Venezia dal 1475, tutti i secondi piatti della cucina veneziana delle origini, sia di carne e selvaggina, quali manzo, pollo, anatra, che di pesce, compreso il tradizionale “bisato”, cambiarono verso un gusto speziato ed agrodolce per l’aggiunta di spezie varie, miele, addirittura acqua di rose e cipolle durante la marinatura e la cottura, integrando usanze di altri popoli. “Se tu voy fare brodo de polastro, toli polastri e fali alisare , toy mandorle monde e manexale e destenprele con il brodo de li polastri e aqua rosata e agresta, e destempera ogni cossa insieme. E poi toy cannella e zenzero e garofani mezi maxenati e mezi tagliati menuti e meti entro questo brodo e fa bollire ogni cossa insieme (…) Quando tu manestri, metalli del zucharo per suso le scutelle e serà bona vivanda. Dal “Libro per Cuoco” di Anonimo Veneziano, fine 1300


Ricette dal Medioevo veneziano ad oggi Oltre alla “castradina” , i Risi e Bisi , il fegato alla veneziana già menzionati ci arrivano dal Medioevo anche questi piatti tipicamente veneziani: • risoto de gò: un piatto abbastanza povero ma molto saporito, preparato con il ghiozzo (detto anche go’ in veneziano) • pasta e fazioi : piatto risalente al primo decennio del ‘400 fatto da una minestra di fagioli europei con pasta ruvida e lunga simile agli spaghetti. Tra i dolci si possono citare : fritole, pignocade, scalete e i baicoli: • Le “fritole” o “frittelle” sono un dolce che nella variante arabo-persiana troviamo a Venezia già all’inizio del’ 400. Viene fatto con della farina, albume d’uovo, zucchero e acqua e arricchite con uva sultanina e pinoli. Al tempo vi si aggiungeva anche acqua di rosa, zafferano e burro, secondo una tradizione che arrivava dal Vicino Oriente. • Le pignocade, rombi di pinoli e zucchero, sono presenti nella pasticceria veneziana già all’inizi del Basso Medioevo e derivano dalla tradizione ebraica • Le scalete , da cui la denominazione di scaleteri data ai pasticceri veneziani, era un dolce di pane tipo cialda condito con zucchero e burro che assomigliava ai tradizionali dolci ebraici con la tipica forma o decoro di scalette a pioli. • I baicoli erano i biscotti della Serenissima, parte integrante delle provviste delle navi mercantili grazie al loro ottimo sapore e alla loro capacità di conservazione. Famosi sono i Baicoli prodotti da Angelo Colussi. a cura di Leonardo Ginetto e Tudor Rusu


Dal 1400 al 1700: Le tappe fondamentali della storia di Venezia L’espansionismo veneziano in terraferma o “lo Stato da Terra”, la lega di Cambrai e l’aumento della comunità ebraica. Nel 1410 Venezia aveva già conquistato gran parte dell’odierna regione veneta. Con tale espansione i veneziani entrarono però in conflitto con lo Stato Pontificio per il controllo della Romagna. Questo portò nel 1508 alla formazione della Lega di Cambrai contro Venezia. Anche se nel 1509 le armate della Lega sconfissero i Veneziani nella Battaglia di Agnadello, tuttavia dovettero arrestarsi ai margini della laguna, anche per la resistenza delle popolazioni del contado veneziano, fedeli alla Repubblica. Venezia si ritrovò salva senza aver subito gran perdite territoriali, ma la flotta fu quasi del tutto distrutta. La Repubblica dovette rinunciare ad esercitare il controllo sulla Romagna. Il conflitto si prolungò fino al 1516, quando Venezia, passata all’ alleanza con la Francia, sconfisse le forze della Lega Santa, riprendendo il pieno possesso della terraferma.

Questi sconvolgimenti e soprattutto la guerra nel territorio veneziano agli inizi del secolo determinarono un maggior afflusso degli Ebrei dalla terraferma a Venezia.


L’espansionismo veneziano verso il mare, le guerre con i Turchi e l’accoglienza verso le comunità straniere. Venezia traeva la maggior parte della sua forza dallo Stato da Mar, cioè dai possedimenti nel mar Adriatico e nel mar Egeo. All’inizio del XV secolo tutte le zone costiere della Dalmazia erano passate completamente sotto il dominio veneziano. Questo aveva portato ad un massiccio ingresso di dalmati nella Repubblica, dove trovavano impiego soprattutto come marinai o piccoli commercianti.

Ma proprio dal mare dall’inizio del XV secolo un grave pericolo minacciava la Repubblica: l’espansione dell’impero turco .

Venezia reagì inviando una flotta nell’Egeo. Seguì una serie di guerre: dal 1463 al 1479 ci fu la prima guerra turco-ottomana, mentre dal 1499 al 1503 ci fu la seconda guerra turco-ottomana. Alla fine Venezia fu costretta a firmare un trattato di pace e a cedere agli Ottomani l’isola di Cipro.


L’espansionismo dei Turchi verso la penisola greca ed i Balcani a seguito della conquista di Maometto II nel 1453 aveva portato ad una costante immigrazione di Greci ed Albanesi nella Repubblica di Venezia. La comunità albanese, presente già da tempo a Venezia, divenne infatti più numerosa dopo il 1479, quando Scutari, la città più importante dell’Albania, cadde in mano turca. Lo stesso avvenne per i Greci, già numerosi nella città lagunare, dove confluirono in massa dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453. Tuttavia, nonostante i conflitti numerosi con l’Impero Ottomano, Venezia mantenne rapporti commerciali con i Turchi e permetteva loro di vivere in città, dove potevano alloggiare in case private e in taverne, soprattutto nella zona di Cannaregio. In seguito fu assegnato loro nel 1621 un palazzo con magazzini sul Canal Grande, detto appunto Fondaco dei Turchi, che di giorno era protetto da soldati. L’interno era diviso in due zone: una destinata ai musulmani bosniaci e albanesi, l’altra ai musulmani di origine asiatica.

Il fontego vide decadere la sua attività durante il 1700 quando si riaccesero le guerre tra la Repubblica di Venezia e l’impero Ottomano.


E fu proprio ancora una volta un conflitto tra Venezia e l’impero turco , l’ultimo, nel 1714 che determinò un importante aumento di un’altra comunità straniera, già presente da secoli a Venezia: gli Armeni. Nel XVIII secolo la Repubblica puntò ad una politica di neutralità. Gli aristocratici che formavano la classe politica dirigente erano infatti meno attivi in politica estera , più concentrati sugli interessi dei propri possedimenti privati in terraferma. Tuttavia la “Serenissima” anche se ormai politicamente sulla via del tramonto brillava ancora dal punto di vista del profilo culturale. Non mancavano poi gli interventi militari, soprattutto contro la pirateria barbaresca. Alla vigilia del XIX secolo la vita pubblica veneziana venne infine agitata dai travagli politici interni, provocati dalle nuove idee introdotte dalla Rivoluzione francese. Tale situazione favorì la caduta finale della Repubblica e la perdita dell’autonomia, con il pasaggio prima alla Francia e poi all’Austria. Sintesi a cura di Alessio Petrotta e Erik Preseglio


L’arricchimento della cucina veneziana dal 1500 secolo e i nuovi alimenti • Dal XV secolo grazie alle rotte del commercio, all’accoglienza che la città riservava alle genti straniere e anche alle prime stampe di libri di ricette, molti alimenti di provenienza estera entrarono nella cucina veneziana e ne diventarono parte integrante tanto da formare i piatti tipici “veneziani”. • In particolare il XVI secolo fu un periodo molto importante per Venezia, che divenne il punto di riferimento gastronomico in Italia e addirittura a Parigi. • Ciò fu permesso grazie soprattutto alla fusione dei suoi alimenti e tecniche culinarie locali con cibi e ingredienti provenienti dal mondo bizantino, arabo, ebraico, dall’Istria, dalla Dalmazia, dal Nord Europa e dal Nuovo Mondo. • L’ingrediente principale restavano senza dubbio le spezie, soprattutto il pepe del cui commercio Venezia deteneva praticamente il monopolio, ma fecero il loro ingresso anche il mais, il baccalà, addirittura il caffè. Sintesi a cura di Gabriel Primac


Un caso di ospitalità vissuta da veneziani naufraghi e l’avventurosa scoperta del baccalà. Il 1500 per la cucina veneziana è il secolo dello stoccafisso, scoperto casualmente circa un secolo prima. L’avventurosa scoperta di questo pesce è documentata dettagliatamente nella relazione del capitano da mar Piero Querini . La storia inizia dal 25 aprile 1431, quando il capitano Querini intraprende da Creta un lungo e tormentato viaggio per trasportare nelle Fiandre merce orientali da vendere. Dopo un’ennesima sfortunata avventura che li porta a naufragare su un isolotto oltre il circolo polare artico, sopravissuti solo in 11 da 68 che erano partiti, vengono salvati dai pescatori, curati e ospitati amichevolmente nell’isola di Rost per più di tre mesi. • Lì scoprono lo stoccafisso e il suo utilizzo : “I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale e perché sono pesci di umidità grassa, diventano duri come il legno. Quando si vogliono mangiare li battono col riverso della mannara, che gli fa diventare sfilati come nervi, poi compongono butirro e specie (spezie) per darli sapore: ed è grande e inestimabile mercanzia per quel mare d’Alemagna.”

Il viaggio di Piero Querini


I veneziani vennero a conoscenza del merluzzo essiccato grazie a questa relazione di Querini, tornato in patria nel 1433. Tuttavia non ritennero necessario iniziare un commercio di questo tipo di pesce in un mare tanto lontano, dal momento che sia il mare, che la laguna e i fiumi fornivano alla Repubblica di Venezia pesce in abbondanza. Un secolo dopo, però, con il Concilio di Trento si approvò l'elenco dei cibi di grasso e dei giorni nei quali questi cibi erano vietati. Poiché i giorni di astinenza erano ben 150, i veneziani pensarono di andare a Bergen,in Norvegia , ad acquistare lo stoccafisso come riserva di cibo per i giorni di magro. Fu così che lo stoccafisso dalla fine del ‘500 diventò quindi uno degli alimenti principali delle case veneziane e venete, anche se fu poi meglio conosciuto come baccalà.. La variazione del nome avvenne dal '600, quando in Veneto cominciarono a chiamare lo stoccafisso baccalà, con il nome usato per il merluzzo sotto sale da Portoghesi e Spagnoli, che proprio dal 1537 avevano conquistato Milano e la Lombardia, confinanti con il Territorio della Repubblica di Venezia. Ancora oggi il baccalà mantecato è uno dei tipici piatti della cucina veneziana, specie in abbinata ad un altro alimento che ha origini “straniere”, la polenta di mais.


Dal Nuovo Mondo un alimento tipicamente veneziano: la polenta di mais Il mais , graminacea proveniente dal Messico, comparve in Veneto tra il 1495 e il 1500 direttamente da Siviglia e il suo uso si diffuse tanto velocemente che già dalla metà del secolo divenne cibo quasi quotidiano per gli abitanti delle campagne e delle zone di montagna, ma la si trovava frequentemente anche nelle case dei nobili. Inizialmente usata come pianta ornamentale, dal 1535 cominciò ad essere coltivata nelle campagne per uso alimentare, proprio in un momento in cui la Repubblica di Venezia correva il rischio di una pesante crisi economica, a seguito di diversi fattori che mettevano a repentaglio i suoi commerci e la sua ricchezza: la caduta dell'Impero Romano d'Oriente (1453), la scoperta dell’America, le continue guerre con le potenze straniere. Il mais o granoturco, dove “turco” indicava semplicemente “esotico, straniero” era già coltivato in maniera estesa nelle campagne trevigiane già nel 1535, quando il patrizio veneto Lunardo Emo comprò un feudo di ottanta campi nella frazione di Vedelago,a Franzolo. I festoni decorativi di Villa Emo con i particolari delle pannocchie di mais nella variante bianca testimoniano la coltivazione di mais voluta dal patrizio veneziano. Dalle campagne venete iniziò l’uso di sostituire con la polenta di granoturco la “saggina”, cioè la polenta o meglio il povero pastone tradizionale dei contadini fatto con il sorgo rosso, che da allora fu meglio utilizzato per fare scope. Anche questa pietanza, come il baccalà, ebbe grande diffusione grazie al Concilio di Trento. Da allora la polenta di mais, largamente impiegata in Veneto e Friuli, sarà l’ accompagnamento preferito di alcuni piatti della tradizione veneziana e veneta come: polenta e baccalà, polenta e seppie, polenta e tòcio, polenta e osei e polenta e formaggio. Sintesi a cura di Johnny Castillo e Paul Roman Fonti: G. Rorato, Origini e storia della cucina veneziana www.villaemo.org


Una bevanda araba a Venezia: il caffè. • Il caffè era conosciuto a Venezia già dal Medioevo, grazie a quei marinai e navigatori che si recavano a Bizanzio e nei porti del Levante, dove uomini arabi di grande cultura consigliavano di bere la bevanda “che scioglie la lingua” e “nel cui aroma si dileguano le preoccupazioni e i torbidi pensieri prodotti dalla vita quotidiana”, come affermava il giurista arabo Hadjibun di Medina. • La bevanda, però, arrivò a Venezia solo nel 1560, ma con un secolo e mezzo d’anticipo rispetto al resto d’Europa. Inizialmente era usato dai farmacisti che lo vendevano a costi elevatissimissimi, addolcito con lo zucchero. • Ben presto a Venezia l’uso del caffè si sparse rapidamente, tanto da divenire abbastanza diffuso presso chi se lo poteva permettere. • Già nel 1683 a Venezia, sotto le procuratie Nuove, si aprì la prima vendita diretta di caffè, in una bottega chiamata “All’ Arabo”, specializzata solo in questo prodotto . Si anticipò di qualche anno la moda europea, e veneziana, delle botteghe del caffè che ebbero tanta diffusione nel Settecento.


Dal Seicento all’Ottocento: le mode culinarie dalla Francia e dall’Austria. •

Il XVII secolo vide l’ingresso di abitudini culinarie di altri popoli: come molti altri stati italiani anche Venezia cominciò ad adottare la moda dei cuochi francesi nelle case patrizie. Da questo ne derivò un cambiamento nelle pietanze, con l’introduzione di brodetti, salse e sughi, sia nell’utilizzo di alcuni ingredienti, in particolar modo delle spezie, sostituite da erbe aromatiche . Il ricorso alle più economiche erbe aromatiche fu dovuto, in realtà, anche alla perdita progressiva del commercio delle spezie e ad un certo impoverimento della città. Le pietanze, pertanto, divennero meno ricche più semplici.

Nel XVIII secolo Venezia perse importanza nella politica internazionale e questo la portò ad un atteggiamento di maggior neutralità verso le altre potenze, ma anche ad un lungo periodo di pace. Il dibattito culturale rimase vivace sotto molti punti di vista, soprattutto nei “caffè” il cui numero in centro storico dalla fine del Seicento, ma soprattutto nel Settecento aumentò vertiginosamente.


Tra Sei e Settecento uno degli “ingressi” più famosi in ambito culinario fu quello della cioccolata che diede origine alle prime botteghe specializzate nella preparazione della cioccolata calda con un segreto mix di spezie. La bevanda era giunta in Spagna nel Cinquecento e successivamente fu introdotta in Piemonte dal duca Emanuele Filiberto di Savoia, ma non aveva riscosso molto successo per il gusto amaro. Fu solo nel 1600 passando attraverso le ricette francesi che la versione della cioccolata con lo zucchero, ottenuta sciogliendo il cacao nel latte, cominciò a diffondersi nelle case della nobiltà e del ricco patriziato veneziano, divenendo nel 1700 la bevanda più di moda, spesso aromatizzata con scorze di frutta, cannella e vaniglia.

Quando nel 1797 Venezia perse la sua indipendenza e fu ceduta all’ Austria, anche la cucina austriaca arricchì la portata di piatti veneziani, con l’introduzione della cotoletta impanata, di dolci tra cui il krapfen e il kipferl, nonché con l’invenzione dello spritz, l’aperitivo ora più notoriamente veneziano.


Venezia e il mondo, oggi: breve viaggio culinario tra ricette multietniche Un po’ di Repubblica Dominicana: ARROZ Y POLLO(riso con pollo) Tipico piatto dominicano che viene preparato sia in occasioni speciali (con aggiunta di altri elementi) che non. Il riso, nella cucina domenicana, è come la pasta per gli italiani. Cottura riso: • Si fa bollire l’acqua in una pentola, quando bolle si aggiungono sale e olio; • Si aggiunge il riso fino a che arriva al fondo della pentola, mescolando. Per vedere se la quantità d’acqua è giusta si impianta il cucchiaio nel riso, se rimane impiantato è giusta sennò si toglie un po’ d’acqua. • Quando il riso assorbe tutta l’acqua, lo si gira in modo da formare una montagnola al centro della pentola, si mette un piatto sopra e poi il coperchio • Dopo 15 minuti si ripete il passaggio precedente • Dopo altri 10 minuti il riso è pronto. Sintesi a cura di : Johnny Castillo

Procedimento per la cottura del pollo: • Lavare bene il pollo e metterlo in un piatto fondo, tagliare 2 pomodori e uno spicchio d’aglio • Mettere un po’di salsa di pomodoro, ½ cipolla e 1 gambo di sedano tagliato fine • Lasciare il pollo a riposo con tutti ingredienti per 15 minuti • Prendere una pentola in acciaio, aggiungere olio e metterci il pollo, aggiungendo la salsa precedentemente preparata un po’ alla volta finché il pollo non è cotto


Un po’ di Romania LE SARMALE

Tipico piatto nazionale rumeno che viene preparato in occasione di tutte le celebrazioni, le ricorrenze e per ogni festività religiosa e civile. A questi involtini di verza, le cui origini sembrano risalire addirittura alla preistoria, è dedicato in Romania un festival culinario che si tiene il terzo fine settimana di settembre. PREPARAZIONE: ●

Si mescolano la carne, 1 uovo e la cipolla ;

Si aggiunge sale e pepe a piacere ;

INGREDIENTI: 1 verza; ½ kilo di carne macinata ; 250g di manzo e 250g di maiale ; 100g di pancetta affumicata;1 cipolla; 200g di riso ; 1 uovo; passata di pomodoro; Sale e pepe

a)

b)

Sintesi a cura di Matteo Irion

Si mette la verza nell ’ acqua bollente per 2 minuti finchè le foglie non diventano morbide;

Si fanno delle polpette con l’ impasto e si avvolge nella foglia di verza; E dopo si avvolge l ‘involtino con una fetta di pancetta; Si mettono tutti gli involtini nella pentola , con l’ olio e un po’ di passata di pomodoro , per circa un ‘ oretta Gli involtini si possono preparare anche con la foglia di vite al posto della verza.


La ricetta delle arancine siciliane • “Una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia"

L’origine delle arancine è un po’ incerta, ma secondo il mito un emiro arabo ha inventato il timballo di riso e modellandolo con le mani gli ha dato la forma di una arancia .

Ci sono anche delle controversie sul nome delle arancine (o arancino); infatti solo a Palermo vengono chiamate al femminile dato che derivano dal frutto tipico siciliano .


La ricetta originale Gli ingredienti Dose per un 1kg (circa 30 arancine) • Riso per risotti, per esempio il riso Gallo • 3 l d’acqua • 8 dadi per brodo • 1 cipolla tritata finemente nell’acqua fredda • 2 bustine di zafferano Dopo aver preparato questi ingredienti, far bollire l’acqua e aggiungere il riso .Dopo 10 minuti spegnere la fiamma e (senza scolare il riso) aggiungere i seguenti ingredienti: • 150 g di burro • Prezzemolo tritato quanto basta • Parmigiano grattugiato o grana

Preparazione Preparare un contenitore con acqua e farina cercando di ottenere una pastella piuttosto densa


Successivamente prendete una manciata di riso e riempitela con il condimento desiderato, tra quella al burro che contiene il prosciutto e quella piÚ tradizionale con il ragÚ. Il passo successivo consiste nell’immergere le arancine nella pastella e dopo impanarle nel pane grattugiato. Infine friggerle con olio abbondante e il risultato dovrebbe essere questo:

A cura di Alessio Petrotta Foto: Alessio Petrotta; realizzazione ricetta: sig.ra Aurora Franzone


Lasagne al pesto genovese Un classico della cucina genovese è il pesto e un classico per il pranzo della domenica le lasagne, unite insieme creano le lasagne al pesto questo piatto, colorato e gustoso metterĂ d’accordo tutti. Ingredienti: lasagne 700 g. parmigiano grattugiato 100 g.

Per il pesto: 2 spicchi di aglio 1 pizzico di sale grosso 100 ml. olio extravergine di oliva 50 g. foglie di basilico 2 cucchiai di pecorino grattugiato 1 cucchiaio di pinoli 6 cucchiai di parmigiano grattugiato A piacere si possono aggiungere patate a fettine e fagiolini

Per la besciamella: 50 g. di burro 50 g. di farina 500 ml. di latte 50 g. di parmigiano grattugiato sale


PROCEDIMENTO Per la besciamella: Mettere un pentolino antiaderente sul fuoco con il burro e scioglierlo lentamente. Abbassare la fiamma ed amalgamare la farina mescolando accuratamente con la frusta affinché non si formino grumi. Versare il latte a temperatura ambiente, stemperandolo bene. Alzare la fiamma e mescolare fino ad ebollizione, poi aggiungere il parmigiano e una grattugiata di noce moscata, a fine cottura regolare con il sale.

Per il pesto: Frullare tutti gli ingredienti versando a filo l’olio, ma non frullate per troppo tempo perché le lame si surriscaldano e il pesto perderà l’aroma. Mettere a bollire l’acqua con il sale per far scottare le lasagne. Quando l’acqua bolle buttare due alla volta le lasagne e cuocerle qualche minuto. Ricoprire il fondo della teglia con la besciamella ed adagiarvi il primo strato di lasagne, condirle con altra besciamella, un po’ di pesto e il formaggio grattugiato. Alternare gli strati Cuocere per 25/30 minuti a circa 200°. Dopo sfornate, far riposare almeno 5 minuti. A cura di Asia Giacomello


E infine un po’ di Venezia: le sardee in saor Particolare era il metodo di conservazione che usavano i pescatori veneziani i quali avevano l'esigenza di tenere il cibo a bordo per molto tempo o comunque il più a lungo possibile. In realtà la ricetta delle Sardee in saor è una ricetta ebraico -veneziana , per la mescolanza di agro-dolce. Una volta cotte le cipolle con aceto e olio, si posavano in contenitori di terracotta a strati alternati con sarde fritte. Col passare del tempo la ricetta divenne più "aristocratica“:furono aggiunti infatti l'uva sultanina e i pinoli ,ingredienti tipici della cucina ebraica, per facilitare la digestione e “alleggerire” l’ alito. Ricetta odierna ingredienti: •1/2 kg di sarde fresche •700 g di cipolle bianche (o rosse) •farina •olio di semi •olio evo •sale e pepe •1 cucchiaino di zucchero •100 ml di aceto bianco •un pugno di uvetta •un pugno di pinoli

Dopo aver fritto le sardine (non troppo, lasciandole possibilmente un po’ bianche), disporle su di un piatto alternandole al “saor”. Il “saor” si prepara tagliando una cipolla a persona e facendola cuocere “in bianco” (cioè lentamente senza rosolarla) in un po’ di olio e tre cucchiai di aceto; si aggiungono anche uva passa e pinoli, peperoncino per chi lo desidera. Gli strati: sardee più saor devono essere un po’ pressati e lasciati a riposare almeno un giorno prima di essere consumati.

Sintesi a cura di Alvise Zanon e Gabriel Primac


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