MONTENERO SABINO CHIESA DI SANTA MARIA DEL COLLE TRAUMATOLOGIA DEL CALCIO NEVI CUTANEI E MELANOMA CARDIOPATIA ISCHEMICA
POLICISTOSI OVARICA GINECOLOGIA DELL’INFANZIA 1
TERME DI CRETONE Sommario Cure Termali da Marzo al 30 Novembre
Piscine
da Maggio a Settembre
Cure
Inalatorie - Doccia nasale Insufflazioni - Irrigazioni Fanghi - Idroterapia
Centro benessere Estetica Saune - Idromassaggio
Chiusura del centro benessere il 30 Novembre 2011 Riapertura il 1 Marzo 2012
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Hanno collaborato con noi
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Traumatologia del Calcio
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Nevi cutanei e Melanoma
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Cardiopatia Ischemica
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Policistosi Ovarica (PCO)
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Ecografia Intestinale
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La Valle Santa
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Raccolta occhiali Lions
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Montenero Sabino
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La Chiesa di Santa Maria del Colle a Ponticelli
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La Cittadinanza Onoraria di Montelibretti al Colonnello Piero D’Inzeo
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SALUTE PIÙ - BENESSERE CULTURA COSTUME Anno III - Num. 12 - Marzo 2012
Direttore Responsabile Fabrizio Sciarretta Segreteria di Redazione Filippa Valenti valenti@laboratorionomentano.it T 06 90625576 Art director e impaginazione Alessia Gerli Editore Laboratorio Clinico Nomentano Srl Via dello Stadio 1 00015 Monterotondo (RM) Iscritto al registro della stampa e dei periodici del Tribunale di Tivoli n. 97/2009 Stampa Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km.4.500 01027 Montefiascone (VT) Per la pubblicità su questa rivista rivolgersi a: GERLI COMUNICAZIONE a-gerli@libero.it T 338 5666568
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Hanno collaborato
LA POLICISTOSI OVARICA Dott.ssa ANTONELLA CARNEVALE La Dr.ssa Antonella Carnevale, si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, e successivamente si è specializzata in Ginecologia ed Ostetricia nel medesimo ateneo con il massimo dei voti. Esercita la sua attività presso diverse case di cura ed ambulatori specialistici della capitale nonché nell’ambito della Branca di Radiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano per quanto attiene l’ecografia ginecologia ed ostetrica.
Specialistico Nomentano ed in altri ambulatori romani. Ha al suo attivo alcune pubblicazioni sul Giornale di Medicina Militare e su Minerva Cardiologica.
ECOGRAFIA INTESTINALE Dott. ssa ILARIA STALTARI
TRAUMAUTOLOGIA DEL CALCIO Dott. FABIO SCIARRETTA
Laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti, la dott. ssa Ilaria Staltari si sta specializzando presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” in “ Radiodiagnostica”. Svolge la sua attività clinica prevalentemente sull’imaging addominale e gastrointestinale nelle sezioni di TC multistrato (64 s), Risonanza Magnetica (1.5 e 3 T) ed ecografia. Ha partecipato come autore alla pubblicazione di abstract ed articoli sulle malattie gastrointestinali ed in particolare sulla malattia di Crohn.
Il Dott. Fabio Sciarretta è specializzato in Ortopedia e Traumatologia presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Chirurgo ortopedico, ha prestato servizio in qualità di dirigente sanitario presso l’Ospedale San Giovanni Battista di Roma, presso il Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile di Velletri e presso l’Ospedale Israelitico di Roma. Svolge attualmente la sua attività professionale presso diverse case di cura romane. E’ stato relatore in oltre 40 congressi nazionali ed internazionali ed ha al suo attivo 38 pubblicazioni.
MONTENERO SABINO Arch. STEFANO ELEUTERI
TRAUMAUTOLOGIA DEL CALCIO IL PUNTO DI VISTA DEL RADIOLOGO Dott. FRANCESCO VULTERINI Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti, il dottor Francesco Vulterini si è specializzato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma in “Scienza delle Immagini - Radiologia Diagnostica”. Ha operato prima presso la USL RM 30 nei presidi di ColleferroValmontone e dal 1996 presso il polo ospedaliero Palestrina-Zagarolo della USL RMG. Dal 1999 presta servizio presso l’Ospedale Nuovo Regina Margherita di Roma nel reparto di Radiologia. Consulente radiologo dell’IPA, l’istituto di previdenza per i dipendenti del Comune di Roma e della Clinica Mater Dei, è Responsabile dela Branca di Radiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano. 4
L’Arch. Stefano Eleuteri è nato e risiede a Rieti, dove svolge prevalentemente la propria attività professionale. Si è laureato all’Università di Roma con Laurea in Architettura - Tutela e Recupero del Patrimonio Architettonico con relatore il Prof. Enrico Guidoni. Ha collaborato con la cattedra del Prof. Cesare Feiffer per la redazione di Tesi di Laurea di Restauro. La sua attività lavorativa si rivolge prevalentemente al recupero dei centri storici, alla redazione di piani urbanistici ed alla progettazione e consolidamento di edifici storici monumentali.
DIAMO UN CALCIO AGLI INFORTUNI Dott. EMANUELE GRAZIANI Il Dottor Emanuele Graziani è laureato in medicina e chirurgia e specializzato in medicina dello sport, ha conseguito un master in “agopuntura e moxibustione”. Fa parte dell’Equipe Medica della Federazione Italiana Scherma e collabora in progetti che vedono le attività sportive condotte in ambienti climatici particolari. Esercita la sua attività di Medico dello Sport presso il Poliambulatorio Specialistico Nomentano.
LA CARDIOPATIA ISCHEMICA Dott. ANTONIO SAPONARO LA VALLE SANTA LORENZO SCIARRETTA Studente del Liceo Scientifico “Righi” Pratica lo squash e l’arrampicata, DJ e fotografo.. Partecipa al progetto “Colour your life” -Scuola dei talenti, nell’ambito del quale ha approfondito il tema delle “vie” come percorsi di comunicazione ma anche di crescita spiritruale
Il dottor Antonio Saponaro si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e specializzazato in Cardiologia presso la seconda Facoltà di Medicina dell’Università “Sapienza” di Roma. E’ in servizio presso il reparto di cardiologia del Policlinico Militare “Celio”. Svolge la sua attività professionale presso il Poliambulatorio
NEVI CUTANEI E MELANOMA Dott. ANTONINO GATTO Il Professor Antonino Gatto, Primario Chirurgo del Presidio Ospedaliero SS. Gonfalone della ASL RMG; è specialista in Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso, in Urologia ed in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva. Nell’ambito della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale dell’Università degli Studi di Tor Vergata di Roma è titolare dell’insegnamento di Chirurgia d’Urgenza. E’ autore di oltre 60 pubblicazioni scientifiche di interesse chirurgico e la sua la sua casistica operatoria consta di oltre 6.000 interventi chirurgici di media ed alta chirurgia generale, vascolare, toracica, urologia e plastica. Il Professor Gatto svolge la sua attività specialistica anche presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini
LA CITTADINANZA ONORARIA DI MONTELIBRETTI AL COLONNELLO PIERO D’INZEO Ten. Col. Gaetano CASCINO Il Ten. Col. Gaetano Cascino proviene dai corsi regolari dell’Accademia Militare di Modena (161° corso “ESEMPIO”). Si è laureato presso l’Università di Torino in Scienze Strategiche. Nel 1999 ha conseguito anche un master in Diritto Internazionale Umanitario presso International Institute of Humanitarian Law (IIHL) di Sanremo. Ha svolto servizio presso i Reggimenti di Cavalleria “NOVARA (5°) e AOSTA (6°). Ha inoltre prestato servizio sia in Operazaioni Fuori area che presso Organismi Internazionali (ONU e NATO). E’ attualmente vice Comandante del Centro Militare di Equitazione a Montelibretti ed Ufficiale addetto alla pubblica informazione.
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TRAUMATOLOGIA DEL CALCIO: IL FALLIMENTO DEI LEGAMENTI Il calcio, è esperienza comune, può essere responsabile di numerosi traumi in grado di provocare la rottura dei legamenti del ginocchio o della caviglia.
Dott. Fabio Sciarretta Chirurgo Ortopedico
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na brutta caduta, un salto sbagliato. un contrasto di gioco ma, più frequentemente, una brusca decelerazione od un improvviso cambio di direzione del calciatore possono provocare la rottura del legamento crociato anteriore e, con minore frequenza, del legamento crociato posteriore, responsabili, più il primo del secondo, della stabilità del ginocchio. Gli ultimi studi hanno stabilito che tali lesioni sono più frequenti nelle categorie dilettantistiche ed amatoriali piuttosto che nei giocatori professionisti e più frequenti nelle calciatrici che nei calciatori. Nel primo caso ciò è dovuto al minor lavoro svolto come preparazione, alla diversa forma fisica e alla variabile e diversa natura e condizione del terreno di gioco. Nel caso delle giocatrici entrano, invece, in gioco fattori diversi: la diversa conformazione muscolare e scheletrica, la più elevata lassità
articolare e la componente ormonale. La traumatologia è in assoluto assai spesso la conseguenza di una scelta errata del tipo di scarpe più adatte allo specifico campo di gioco. L’esperienza di decenni ci ha insegnato che i legamenti crociati rotti, responsabili di ripetuti cedimenti e di una instabilità recidivante dell’articolazione interessata, accompagnata da frequenti dolori e versamenti articolari, devono essere riparati. Infatti, se non si interviene in tempo, l’articolazione va incontro ad un progressivo deterioramento, con usura delle superfici cartilaginee che compongono l’articolazione, generando, in un periodo variabile di 10-15 anni, un’artrosi dell’articolazione. Effettuata la diagnosi mediante una visita specialistica ortopedica e, qualora necessario, confermata da un radiologo esperto di risonanza magnetica, l’operazione viene eseguita in artroscopia e prevede di sostituire il lega-
mento rotto con altri tendini prelevati attraverso una breve incisione di 1 cm oppure mediante sostituti sintetici e consente al calciatore di ritornare in campo entro 4-5 mesi dall’intervento. Una caduta all’indietro, un arresto improvviso, un cambio di direzione od un contrasto in cui la caviglia venga forzata in una rotazione verso l’interno con la punta del piede spinta in equinismo (il cosiddetto movimento di “inversione”), causano, invece, la lesione dei legamenti di stabilizzazione anteriori della caviglia, principalmente il legamento peroneo-astragalico anteriore e, con minor frequenza, nei puri movimenti di rotazione esterna, la rottura dei legamenti dell’articolazione che tiene insieme le estremità finali della tibia e del perone, la sindesmosi tibio-peroneale ed in particolare il legamento tibioperoneale anteriore. Anche in questi casi, ovviamente, si impone una diagnosi rapida, precisa e dettagliata. L’ortopedico,
esperto in traumatologia dello sport, deve subito effettuare quelle manovre in grado di stabilire una valutazione quantitativa della gravità delle lesioni, che si traduce in scelte di trattamento radicalmente differenti. Ciò va sottolineato perché è, invece, molto frequente, nella mia pratica clinica, il riscontro di gravi instabilità legamentose di caviglia risultato di pregressi e ripetuti traumi, il più delle volte sottovalutati e non
trattati adeguatamente. Nelle lesioni di I e II grado, si ricorre alla crioterapia locale, il riposo articolare, l’immobilizzazione dell’articolazione in un taping funzionale o in tutori specifici con stabilizzatori laterali, assistiti dalla mobilizzazione attiva e passiva e da una ginnastica propriocettiva guidate da un fisioterapista esperto. Nel III grado, invece, il trattamento diviene chirurgico. Ed è soprattutto In queste lesioni dove la collabora-
zione fattiva tra ortopedico e radiologo diviene essenziale. Infatti, in mani esperte, un semplice esame ecografico può essere utile conferma dell’esame obiettivo e condividere la successiva necessità di effettuare esami di risonanza magnetica o radiografici dinamici sotto stress per accertare e confermare la rottura legamentosa, che troverà, in queste situazioni, risoluzione in un intervento mini-invasivo di artroscopia
della caviglia e plastica dei legamenti laterali, che, ove possibile, saranno reinseriti sull’osso mediante utilizzo di speciali e millimetriche ancorette. Al termine dell’intervento si ricammina subito, protetti da un tutore, e si incomincia immediatamente il programma riabilitativo che diverrà, con il passare dei giorni, sport-specifico, con ripresa guidata degli allenamenti e della pratica sportiva normale.
Il punto di vista del radiologo Dott. Francesco Vulterini Radiologo - Responsabile Branca di Radiologia Poliambulatorio Specialistico Nomentano
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iocare a calcio è da sempre uno sport particolarmente diffuso nella popolazione maschile e, da qualche anno a questa parte, lo sta diventando anche tra quella femminile. Inoltre, al classico calcio a 11, riservato in molti casi a giocatori che, se non professionisti, sono comunque piuttosto allenati, si sono piano piano aggiunte varianti di diversa tipologia numerica, quali il calcio a cinque o a otto che hanno aperto la strada del campo di calcio anche a praticanti più “domenicali” o “serali” Anche le caratteristiche dei campi da calcio o calcetto sono mutate con superfici più dure e dimensioni più ridotte che portano ad un gioco più “nervoso” e veloce. Così, i traumi o comunque gli incidenti di gioco, sono a mio
parere aumentati in maniera rilevante negli ultimi decenni. In particolare i traumi che più frequentemente giungono alla osservazione del radiologo sono quelli alla caviglia, al ginocchio, alla spalla ed alle mani in quest’ordine. È parere diffuso che la prima indagine da eseguire per valutare un evento traumatico articolare, sia la “radiografia” o, come si suol dire la “lastra”. È in tale maniera possibile escludere la presenza di fratture più meno importanti. In seconda istanza, la metodica più usata è sicuramente l’ecografia. Risulta infatti particolarmente agevole, in mani esperte, valutare in maniera ottimale il compartimento legamentoso soprattutto dell’articolazione della caviglia e della spalla. Contestualmente si può escludere o confermare la presenza di una quota fluida di versa-
mento intra articolare. Nell’articolazione del ginocchio gli ultrasuoni confermano o escludono la presenza di una quota di versamento e sono particolarmente indicati nella valutazione del compartimento dei legamenti collaterali esterni, interni e del legamento sotto rotuleo. Qualora lo specialista ortopedico ritenga opportuno eseguire ulteriori approfondimenti diagnostici, la metodica più indicata è sicuramente la risonanza magnetica: infatti, la risoluzione spaziale e di contrasto nelle articolazioni suddette, è ottimale, permettendo una eventuale valutazione pre operatoria particolarmente fedele. La risonanza magnetica è peraltro la metodica da eseguire nel decorso post operatorio e nelle non auspicabili complicazioni. 7
Diamo un “calcio” agli infortuni Distorsioni, rottura dei legamenti crociati del ginocchio, lesioni muscolari: è abbastanza facile farsi male mentre si gioca a calcio.
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Dott. Emanuele Graziani Medico dello Sport Poliambulatorio Specialistico Nomentano
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hiunque abbia giocato a calcio in ogni sua declinazione (calcetto, calciotto, ecc.), sa che il rischio di tornare a casa con dolori più o meno seri è molto elevato. L’incidenza degli infortuni dipende dall’intensità e dalla velocità di gioco, dalle condizioni
ambientali (pensiamo alle partite giocate in notturna, nella stagione invernale), ma anche dal grado di allenamento e forma fisica, e da una più o meno opportuna fase di riscaldamento pre-gara. E’ per quest’ultima ragione che l’organo supremo del calcio giocato, la Fédération Internationale de Football Association - meglio conosciuta come F.I.F.A - con il suo centro di ricerca e di valutazione medica, ha messo a punto un programma specifico, denominato “The 11+” (eleven plus). L’obiettivo non è tanto quello di migliorare le performance dei giocatori in campo, bensì quello di prevenire gli infortuni. In generale, il programma “The 11+” punta a potenziare caviglie e ginocchia, rendere più forti e flessibili tronco e gambe e a migliorare coordinazione, velocità e resistenza. Il riscaldamento si articola in tre fasi distinte: una prima dedicata alla corsa, una centrale, dedicata alla forza e all’equilibrio, e una terza, più breve, anco-
ra basata sul running. Numerosi studi scientifici, pubblicati in altrettante autorevoli riviste del settore, dimostrano come pochi minuti dedicati ad esercizi semplicissimi, siano in grado di ridurre in modo drastico l’incidenza di infortuni sia a livello legamentoso, che tendineo-muscolare nel calciatore dilettante. Per approfondimenti, consiglio la visione del sito istituzionale della FIFA: http://f-marc. com/11plus , dove è possibile consultare e scaricare tutto il materiale per svolgere un corretto “The 11+”.
LABORATORIO CLINICO
NOMENTANO
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Nevi cutanei e Melanoma Il neo cutaneo (più esattamente definito “nevo”) rappresenta una semplice concentrazione di cellule pigmentate (melanociti) nel tessuto cutaneo. Il colore del neo può variare dalla lieve iperpigmentazione, scarsamente distinguibile dalla cute normale, fino al nero intenso. Si tratta di lesioni benigne in cui i melanociti presentano le medesime caratteristiche della cute normale. Viceversa, in caso di degenerazione tumorale, si assiste alla crescita disordinata ed incontrollata dei melanociti del nevo che possono anche perdere le caratteristiche di normale colorazione. La degenerazione tumorale dei melanociti, definita melanoma, è caratterizzata da elevata aggressività e capacità di sviluppo di metastasi.
Dott. Antonino Gatto Specialista in chirurgia d’urgenza e pronto soccorso Specialista in urologia Specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva Primario chirurgo del presidio ospedaliero di Monterotondo della ASL RMG.
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unque, pur essendo il nevo una malattia del tutto benigna, merita una attenta sorveglianza clinica al fine di riconoscere precocemente eventuali degenerazioni tumorali. I segni precoci di degenerazione tumorale di un nevo sono essenzialmente la modificazione del colore con intensificazione o riduzione della pigmentazione, perdita della normale rotondità del nevo con crescita asimmetrica, comparsa di bordi irregolari ed un rapido aumento delle dimensioni del nevo.
La prevenzione della degenerazione tumorale si basa essenzialmente sull’accurata osservazione delle caratteristiche del nevo, ottenibile attraverso la periodica esecuzione di un’accurata Visita medica e dell’esame epidiascopico di superficie od “epiluminescenza”. L’epidiascopia di superficie consiste essenzialmente nell’esecuzione di immagini fotografiche ingrandite ed ad altissima risoluzione di ciascun nevo; è così possibile ottenere un vero e proprio archivio fotografico dei nevi a ciascuno dei quali viene associata l’esatta localizzazione sulla superficie corporea del paziente. La ripetizione periodica dell’esame epidiascopico consente di riconoscere ogni più piccola modificazione dei nevi fotografati. Inoltre, l’esame epidiascopico può essere integrato con la digitalizzazione delle immagini e
STUDIO MEDICO POLISPECIALISTICO
CAPPUCCINI 10
la comparazione computerizzata con enormi archivi digitali d’immagini con diagnosi già nota. Sarà quindi compito del Medico stabilire l’opportunità della rimozione chirurgica o viceversa di un’attenta sorveglianza nel tempo. E’ comunque opportuno che i nevi cutanei localizzati in sedi di frequente traumatismo meccanico siano asportati indipendentemente dalla loro benignità, in quanto il rischio di una degenerazione tumorale a seguito di traumi ripetuti è comunque elevato. L’indicazione all’asportazione chirurgica è sicuramente valida per nevi localizzati sulle mani, sulle piante dei piedi, alla vita, sul cuoio capelluto e comunque in qualsiasi sede dove siano soggetti a ripetuti microtraumi. Il sanguinamento ripetuto di un nevo rappresenta una valida indicazione per la sua rimozione chi-
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Nevo
Melanoma
rurgica. L’asportazione chirurgica di un nevo avviene in anestesia locale e consiste essenzialmente nell’asportazione del nevo in associazione con una minima porzione di tessuto cutaneo e sottocutaneo sicuramente integro. L’incisione chirurgica avrà, in linea di massima, la forma di una piccola losanga orientata rispettando con la massima accuratezza le linee di tensione della cute al fine di ottenere il miglior risultato estetico ottenibile. Preme sottolineare come, al di là delle esigenze terapeutiche, sia necessario prestare la massima attenzione a perseguire il miglior risultato estetico possibile, in quanto una cicatrice evidente ed antiestetica può incidere sulla sfera emotiva del paziente ed alterarne significativamente umore e relazioni interpersonali. Questo aspetto, malgrado le comuni valutazioni più semplicistiche, è sempre molto importante e deve essere preso in seria considerazione indipendentemente dalla età e dal sesso del paziente. Particolare importanza assume quindi la sutura cutanea che deve essere eseguita con la massima accuratezza e con accorgimenti caratteri-
stici della chirurgia plastica al fine di rendere il meno visibile possibile la cicatrice. Il nevo dovrà essere sempre inviato all’esame istologico al fine di studiarne ogni più piccola caratteristica cellulare ed ottenerne una diagnosi certa. Preme ricordare che sono possibili degenerazioni tumorali, anche molto piccole, nell’ambito di nevi apparentemente del tutto be-
nigni; pertanto l’esame istologico è sempre indispensabile. Ove l’esame istologico riconosca la natura maligna del nevo asportato, sarà necessario un ampliamento dell’asportazione dei tessuti cutaneo e sottocutaneo attorno alla cicatrice chirurgica e la ricerca del linfonodo “sentinella”. Questo linfonodo rappresenta la prima sede linfonodale della via naturale di drenaggio linfatico dei tessuti interessati e quindi il primo filtro difensivo del sistema immunitario – appunto sentinella – destinato a ostacolare la diffusione a distanza del tumore. Allorché individuato il linfonodo od i linfonodi sentinella, gli stessi verranno asportati chirurgicamente ed avviati anch’essi
ad un accurato studio istologico per stabilirne con certezza integrità o viceversa l’invasione tumorale. Il trattamento terapeutico dei melanomi cutanei si avvale di procedure integrate chirurgiche e medico oncologiche; l’efficacia ed i risultati di tali trattamenti sono determinati principalmente dalla precocità della diagnosi. In questo senso è indispensabile eseguire periodici controlli di tutti i nevi cutanei, stabilendo una immediata sorveglianza clinica di qualsiasi variazione di forma o colore ed asportando chirurgicamente qualsiasi nevo gravato da sospetti anche modesti.
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La Cardiopatia Ischemica La cardiopatia ischemica è una malattia determinata da un ridotto apporto di sangue al cuore per l’ostruzione o il restringimento delle arterie che nutrono il muscolo cardiaco. Queste arterie, chiamate coronarie, sono soggette, come quelle di altri distretti corporei, ad un processo di irrigidimento e di deposizione di grassi sulle pareti, fenomeno comunemente noto con il nome di aterosclerosi, che si sviluppa abitualmente con il trascorrere degli anni. E’ utile precisare la differenza esistente fra le due forme principali di tale malattia: l’angina pectoris e l’infarto acuto del miocardio.
La Coronarografia
Dott. Antonio Saponaro Cardiologo, Branca di Cardiologia, Poliambulatorio Specialistico Nomentano Nomentano
L’Angina Pectoris L’angina pectoris è una manifestazione clinica dovuta ad una “transitoria” riduzione del flusso di sangue al muscolo cardiaco, cioè da un apporto di sangue insufficiente alle richieste di quel preciso momento. Questo comporta uno stato di scarsa ossigenazione del territorio di miocardio irrorato dalle coronarie che prende il nome di ischemia miocardica. Nella grande maggioranza dei casi tale evenienza si manifesta quando un vaso è parzialmente occluso da placche aterosclerotiche; in condizioni di riposo esse possono non ostacolare il normale funzionamento cardiaco, ma durante gli sforzi fisici o gli stress emotivi impediscono di soddisfare completamente le richieste di ossigeno del muscolo cardiaco. 12
L’Infarto Acuto del Miocardio Nell’infarto miocardico si ha invece la totale ed improvvisa chiusura dell’arteria coronarica, quindi un completo ostacolo al flusso sanguigno con conseguente danno irreversibile della porzione di cuore interessata e morte del tessuto corrispondente. La cardiopatia ischemica è la più comune causa di morte nei paesi industrializzati, ed è per tale motivo che è importante conoscerne le cause per poterla prevenire.
I fattori di rischio Vi sono numerosi fattori cosiddetti “di rischio” che predispongono all’insorgenza di questa malattia. Alcuni di questi non sono modificabili, è il caso per esempio del
sesso maschile, dell’età e della predisposizione genetica. Su altri fattori di rischio invece è possibile intervenire per modificarli, ridurli o abbatterli. Valori di colesterolo superiori alla norma, l’ipertensione arteriosa, il fumo di sigaretta, il diabete, lo stress e la vita sedentaria sono alcuni di questi fattori modificabili da terapie igienico-sanitarie e da un più corretto stile di vita. Tra i fattori di rischio modificabili è opportuno citare il consumo di alcune sostanze stupefacenti, in particolare della cocaina il cui consumo è sempre più diffuso, in particolare nelle fasce di età più giovani.
Come si presenta: i sintomi La sintomatologia della cardiopatia ischemica ha elementi comuni nelle differen-
ti forme di presentazione, angina ed infarto: entrambi si manifestano con dolore toracico simile ad una sensazione di peso o di forte stretta nel petto, tipicamente viene descritta come una “morsa” (“angina” vuol dire costrizione). Può essere irradiato al collo, alle spalle, alle mandibole e agli arti superiori, più spesso è coinvolto il braccio sinistro, talvolta sono accompagnati da sudorazione fredda e affanno improvviso. I dolori dell’attacco anginoso durano solo alcuni minuti, mentre quelli dell’infarto durano assai di più e possono non passare con i farmaci che solitamente risolvono i sintomi dell’angina. Il dolore è comunemente sordo, a partenza interna, non interessa le strutture ossee superficiali, non si modifica con i cambiamenti di posizione e con gli
atti del respiro. Nelle forme più comuni i dolori anginosi compaiono in relazione ad un maggior lavoro cardiaco: lo sforzo fisico, un intenso stress emotivo o anche più semplicemente con l’esposizione al freddo; altre volte il dolore toracico può comparire in condizioni di completo riposo. E’ importante sottolineare che il persistere del dolore per più di 5-10 minuti deve far immediatamente sospettare un infarto e quindi indurre il paziente a rivolgersi immediatamente alle cure del 118. Talvolta i sintomi dell’infarto possono essere localizzati a livello dello stomaco, simulando un’indigestione ed associarsi a nausea, vomito e pallore cutaneo: è consigliabile non sottovalutare questi segnali, specie in persone che normalmente non soffrono di disturbi digestivi.
Come si fa la diagnosi Dalla minuziosa raccolta delle caratteristiche dei sintomi accusati dal paziente e dei fattori di rischio dello stesso, durante la visita specialistica, il cardiologo può trarre informazioni preziose per sospettare una cardiopatia ischemica e proseguire con gli accertamenti diagnostici del caso. Il primo esame da eseguire è l’elettrocardiogramma a riposo che nel paziente asintomatico non sempre evidenzia segni di danno miocardico; un altro esame di fondamentale importanza è l’ecocardiogramma color/Doppler che permette di valutare la contrattilità globale e distrettuale del miocardio. Il deficit di movimento di una delle pareti che formano le camere cardiache è un se-
gno importante di sofferenza ischemica in atto o pregressa. Se anche l’ecocardiogramma dovesse risultare normale, o in aggiunta alle informazioni derivate da questo esame, è opportuno per completare l’iter diagnostico, effettuare un elettrocardiogramma sotto sforzo (o Test Ergometrico). Lo sforzo fisico ha, infatti, il fine di fare aumentare i battiti cardiaci e quindi il consumo di ossigeno del muscolo cardiaco con di conseguenza rendere manifesta una condizione di ischemia evidenziabile con il tracciato elettrocardiografico e/o con l’insorgenza dei sintomi precedentemente descritti. Qualora i risultati ottenuti da quest’ultima metodica diagnostica dovessero lasciare dei dubbi interpretativi si può sottoporre il paziente ad un’indagine più fine: la scintigrafia miocardica. Questa consiste nell’iniettare per via endovenosa, al culmine dello sforzo fisico, una sostanza debolmente radioattiva che evidenzierà le zone ischemiche del cuore.
La coronarografia è l’esame più indicato per studiare la gravità della malattia coronarica. L’indicazione all’esecuzione di quest’ultima metodica deve essere sempre posta da un cardiologo dopo aver attentamente studiato la situazione clinica del paziente. La coronarografia è un esame invasivo che consiste nell’introdurre attraverso un’arteria periferica, previa anestesia locale, una serie di cateteri, che vengono sospinti fino al punto di origine delle coronarie: a questo punto viene iniettato nelle stesse un mezzo di contrasto che consente di visualizzare l’albero coronarico e gli eventuali restrigimenti a carico delle principali arterie coronarie. Questa metodica, di utilizzo comune nello studio della cardiopatia ischemica, presenta come altre metodiche simili alcuni rischi che vanno valutati nel rapporto costo-beneficio per ogni singolo paziente. Scopo della coronarografia è quello di valutare la presenza e l’entità delle lesioni riservandosi la possibilità di procedere alla risoluzione delle medesime mediante l’angioplastica coronarica, l’impianto di una rete metallica circolare che ripristina il calibro originale del vaso oppure inviando il paziente all’attenzione di un cardiochirurgo per il successivo intervento di by-pass aorto-coronarico. 13
La Policistosi Ovarica
(PCO)
La sindrome dell’ovaio policistico (o policistosi ovarica, PCO) è un disturbo complesso delle ovaie (gli organi dell’apparato riproduttivo femminile deputati sia a produrre le cellule germinali femminili, dette ovociti, sia a secernere ormoni), che si manifesta tipicamente subito dopo il menarca (la prima mestruazione), ovvero in quella fase dell’evoluzione dell’essere umano che prende il nome di adolescenza.
Dott.ssa Antonella Carnevale Specialista in Ginecologia e Ostetricia ovulazione con la conseBranca di Radiologia Poliambulatorio Specialistico guente impossibilità di essere fecondati dallo sperNomentano
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a sua importanza, ed il motivo per cui è necessario conoscere ed affrontare questa patologia, è che essa è significativamente diffusa in termini numerici (si stima in una percentuale del 5-10% il numero di donne interessate) ed è causa di infertilità. In termini semplici, la policistosi ovarica porta alla formazione all’interno delle ovaie di numerose cisti, o piccoli “follicoli”, cioè cavità ripiene di liquido, sparse sulla superficie delle ovaie stesse (di solito più di 10 o 15 in ciascun ovaio), mentre sono pressoché assenti al centro dell’ovaio. I follicoli sono piccoli e immaturi (le loro dimensioni non superano i 10 mm) e raramente o addirittura mai, arrivano a maturazione e quindi all’ 14
matozoo. A tutt’oggi, le cause della policisti ovarica non sono chiare. E’ stata documentata una condizione di “familiarità”, anche se non è noto quale sia il preciso meccanismo di trasmissione ereditaria, ed in tale ambito è stata anche ipotizzata un’ereditarietà multifattoriale, influenzata, cioè dall’interazione di più geni. Possiamo però dire che, in termini di probabilità, questa patologia si manifesta più frequentemente in donne con storia familiare positiva per il diabete di tipo II e che il rischio risulta maggiore se la paziente è in sovrappeso. In sintesi, i sintomi attraverso cui si manifesta la sindrome dell’ovaio policistico sono: mestruazioni assenti (amenorrea) o poco frequenti (oligomenorrea): le mestruazioni spesso compaiono con una frequenza di 5-6 settimane; in alcuni casi anche solo una o due volte all’anno o addirittura mai; aumento dei peli superflui
su viso e corpo (irsutismo): localizzati sul mento, sopra il labbro superiore, sugli avambracci, nelle parte inferiore delle gambe e sull’addome; acne: di solito sul viso; sovrappeso/obesità: le cellule dell’ organismo sono resistenti alla azione dell’’insulina, l’ormone che regola il metabolismo degli zuccheri, con la conseguente inutilizzazione e accumulo degli stessi, sotto forma di grasso. alterazioni dei “dosaggi ormonali” relativi agli ormoni FSH ed LH i quali svolgono sinergicamente azioni che portano alla maturazione dei follicoli e sono quindi tra gli ormoni che agiscono sulla fertilità. La diagnosi si basa sui sintomi e sull’esame fisico della paziente, per confermarla dovranno essere eseguiti accertamenti che comprendono lo studio della funzionalità ovarica, tiroidea, ipofisaria attraverso esami del sangue che consentano la determinazione dei dosaggi ormonali ed inoltre l’ esame ecografico delle ovaie e l’assetto glucidico della paziente. Proprio l’esame ecografico consente di conoscere
l’aspetto morfologico delle ovaie ed individuare quindi quelle anomalie proprie della policistosi. Formulata la diagnosi, la scelta terapeutica prevede - per le pazienti molto giovani, che non abbiano desiderio di avere figli nel futuro più prossimo - l’utilizzo della pillola contraccettiva che evita l’aggravamento della malattia mettendo a “riposo” l’ovaio. Questa terapia non solo migliora fino a risolverli i problemi correlati alla policistosi (acne, irsutismo) ma, se protratta, può anche risolvere la policistosi stessa ripristinando la regolare attività ovarica (i cicli tornano “regolari”) e conseguentemente migliorando la fertilità della donna. Inoltre, molto importante nelle pazienti obese o sovrappeso si è dimostrato il controllo del peso attraverso la dieta e l’attività fisica. Dunque, qualora si avverta la presenza di uno dei sintomi descritti è opportuno rivolgersi al proprio medico curante per inquadrare la patologia e, laddove necessario, ricorrere al supporto dello specialista ginecologo per la diagnosi definitiva e la conseguente terapia.
Piccole donne crescono... Infanzia ed adolescenza sono due fasi della vita delicate e caratterizzate da problematiche specifiche. Dal punto di vista dello sviluppo femminile, il supporto di una specialista ginecologa può essere importante sia per prevenire potenziali malattie che stili di vita sbagliati i quali, alla lunga, risultano causa a loro volta di patologie specifiche. In questo ambito, lo specialista ginecologo deve occuparsi sia della diagnosi e della cura, laddove necessario, ma anche dedicare particolare attenzione agli aspetti psicologici ed all’impatto che tali problematiche possono avere sulle giovani pazienti. Il LABORATORIO CLINICO NOMENTANO, dedica a bambine e ragazze ed ai loro genitori, un momento d’incontro pensato per le loro esigenze nell’ottica della prevenzione medica e dell’impostazione di corretti stili di vita.
Fino al 30 giugno 2012 bambine e ragazze tra i 10 ed il 16 anni di età, accompagnate dalla propria madre,
potranno incontrare le specialiste ginecologhe, eseguire un’ecografia pelvica a fini della prevenzione di possibili patologie specifiche della loro età, e ricevere dalla specialista consiglio sugli stili di vita e le condizioni alla base di uno sviluppo femminile sano e rispettoso della propria fertilità.
Incontro ed ecografia pelvica sono proposti alla tariffa di favore di 60 euro.
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Ecografia intestinale I problemi che possono interessare il nostro intestino sono molteplici, con diversi livelli di gravità: si va dalla sindrome dell’intestino irritabile fino alle malattie infiammatorie croniche intestinali come la malattia di Crohn o la retto colite ulcerosa.
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ipicamente, le malattie intestinali esordiscono con sintomi come la diarrea, i dolori addominali, difficoltà a digerire, il calo di peso, l’anemia e la febbricola persistente. Nel momento in cui questi eventi si manifestano, il primo passo è ricorrere al nostro Medico di Famiglia per avviare quel percorso di anamnesi e diagnosi che consente di identificare esattamente la natura del problema e la successiva cura. Si tratta di patologie anche piuttosto diffuse basti pensare che in Italia la percentuale di persone che si rivolgono al Medico di Famiglia per alterazioni connesse all’intestino è di circa il 20%. Fino a pochi anni fa, per effettuare una “diagnosi strumentale” le “armi” a disposizione della medicina erano tipicamente caratterizzate da una certa quantità di radiazioni ionizzanti somministrate al paziente e da un certo livello di invasività con conseguente comprensibile disagio a sottoporsi agli esami in questione. Basti pensare alla colonscopia o
Dott. ssa Ilaria Staltari Branca di Radiologia Poliambulatorio Specialistico Nomentano
al tenue seriato (che prevede l’ingestione di una certa quantità di bario da parte del Paziente) per lo studio delle malattie infiammatorie croniche intestinali e alla gastroscopia per lo studio della malattia celiaca. Oggi, la tecnica ecografica, come esame di 1° livello, ci consente – in alcuni specifici casi – una valida soluzione diagnostica priva di invasività e rischi nella iniziale valutazione del paziente con disturbi gastrointestinali. L’esame in questione è l’Ecografia dell’Intestino: una tecnica radiologica non invasiva, poco costosa e facilmente ripetibile che consente di indagare in prima istanza lo stato dell’intestino per indirizzare eventualmente verso una visita specialistica gastroenterologica e/o verso altre indagini più complesse e invasive, come la colonscopia. Tramite l’indagine ecografica possiamo studiare la parete delle anse intestinali individuando segni di infiammazione o di rallentamento funzionale e, viceversa, escludere la presenza di ispessimenti parietali intestinali significativi o di segni di malassorbimento che rappresentano i rilievi ecografici
più comuni. Dunque, il Medico Curante, avvalendosi di quanto l’ecografia ha rilevato, potrà decidere circa l’iter clinicodiagnostico successivo più idoneo. A differenza della colonscopia, l’ecografia dell’intestino non necessita di nessuna preparazione intestinale particolare (assunzione di lassativi etc..) ma solamente di digiuno (per cibi e solidi) da almeno sei ore; occasionalmente può essere necessario bere del liquido per distendere le anse in modo da consentirne uno studio più accurato. Ma quando e come andrebbe utilizzata? Come abbiamo detto, l’ecografia intestinale non può sostituirsi agli esami specialistici propri della gastroenterologia ma piuttosto può rappresentare un’indagine di primo livello, non invasiva e rapidamente eseguibile, per indirizzare verso il successivo iter clinico e diagnostico, in un paziente che mostra sintomi gastrointestinali aspecifici come diarrea e/o dolori addominali.
CONVENZIONI SANITARIE CASPIE DAY MEDICAL EUROPASSISTANCE FASDAC FISDE FONDO EST NEWMED PREVIMEDICAL SARA ASSICURAZIONI UNISALUTE UNIVERSITA’ POPOLARE ERETINA
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Lorenzo Sciarretta
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a sempre gli uomini percorrono il mondo creando sulla sua superficie le strade: l’obbiettivo legato alla sopravvivenza o allo scambio e quindi al commercio ha come risultato ultimo l’incontro, la comunicazione, la conoscenza. Tuttavia, altre contrade ha percorso l’uomo verso altri confini, meno legati alla realtà della sua esistenza fisica: sono le vie che conducono alle mete dello spirito, a cercare una ragione che spieghi il mistero della nostra effimera esperienza umana. La strada diventa allora “la Via”, metafora cioè della vita che è veicolo, passaggio verso l’infinito e per chi crede verso l’eterno. San Francesco si pone proprio come “l’uomo della strada”, infaticabile nel cammino verso la conquista della sua maturità spirituale, verso la solidarietà e la fratellanza. San Francesco si innamorò della Valle Reatina, dove arrivò per la prima volta nel 1208, considerandola, accanto ad Assisi e alla Verna nel Casentino, una delle sue tre patrie, tanto che la Valle è stata definita da allora “la Valle Santa”. Il Santo attraversò numerose volte la Conca Reatina: la prima nel 1208, seguì un lungo soggiorno nel 1223 ed un altro dall’autunno 1225 all’aprile 1226. San Francesco
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si spostò in continuazione tra gli eremi ed i piccoli santuari della valle, disposti idealmente secondo la linea di una croce mistica. Il Cammino di Francesco nella Valle, è un anello di circa 80 km, che si snoda attorno a Rieti , comprendendo Fontecolombo, Greccio , Poggio Bustone, il bosco del Faggio di San Francesco a Rivodutri, la Foresta e la vetta del Terminillo . La prima tappa è FONTECOLOMBO, chiamato così dal Santo perché vide abbeverarsi delle colombe ad una sorgente. San Francesco vi individuò una piccola cappella – la cappella della Maddalena - per le meditazioni, disegnando sul muro il famoso TAU, come simbolo di redenzione. Sotto la cappella, vi è il Sacro Speco: qui, nel 1223, dopo 40 giorni di digiuno e di preghiera, San Francesco vi dettò la regola francescana. La tradizione narra che una notte il Santo sentisse tra i rami di un leccio la voce di Dio, che gli
suggeriva le norme della Regola, esortandolo alla povertà ed all’obbedienza. Il Cammino ci porta poi all’affascinante santuario di GRECCIO, arroccato su uno sperone di roccia a 705 metri di altezza: Francesco vi volle il primo Presepe vivente nella storia con un significativo gesto interreligioso. Infatti, Francesco chiese che fossero portati un bue, un asinello e della paglia, simboli dell’Ebraismo, dell’Islamismo e del Cattolicesimo. Attraversando la Riserva naturale dei Laghi Lungo e Ripasottile , arriviamo a POGGIO BUSTONE, dove sorge il Santuario di San Giacomo. Qui Francesco, ospitato dai Monaci Benedettini, ricevette il perdono dei peccati e gli venne rivelato che il suo Ordine si sarebbe espanso. Quando Francesco scese dall’eremo, era una persona più forte: affrontò il Papa in Laterano ed ottenne l’autorizzazione per la Regola del nuovo Ordine dei Mendicanti. Nel Bosco di Rivodutri vive il FAGGIO DI SAN FRANCESCO, unico per la sua forma incredibile. Il diametro della chioma è di 22 metri con un formidabile intreccio di rami e fogli. La tradizione vuole che la pianta modificò la sua forma, aprendosi ad ombrello, per proteggere Francesco da un violento temporale.
Nelle vicinanze c’è LA FORESTA dove il Santo soggiornò per un breve periodo presso la Chiesa di San Fabiano (il Santuario di Santa Maria della Foresta) e dove cominciò a comporre il Cantico delle Creature.. La leggenda racconta che la vigna annessa fu devastata dagli abitanti, accorsi in massa per vedere il Santo. Allora Francesco dai pochi grappoli rimasti fece sgorgare miracolosamente un abbondante mosto. L’ultima tappa è la vetta del TERMINILLO: Pio XII nel 1939 dichiarò San Francesco Patrono d’Italia, i frati francescani costruirono così qui il Tempio Votivo Nazionale che custodisce l’urna contenente la reliquia del corpo del Poverello. Il Cammino di Francesco si conclude, lasciando dentro di noi una leggerezza nell’anima, un ricordo indelebile di un paesaggio che stupisce, aspro e romantico … un nuovo timbro sul passaporto del pellegrino ed un cordoncino con appesa una minuscola TAU… ed un po’ di terra e sassolini negli scarponi da trekking.
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ontenero
RACCOLTA OCCHIALI LIONS Il Programma Lions di Raccolta e Riutilizzo degli Occhiali da Vista è stato adottato quale attività ufficiale di servizio del Lions Clubs International ad ottobre 1994, ma i Lions sono impegnati in questa attività da oltre 70 anni.
Nel mondo c’è un grandissimo bisogno di occhiali usati. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha stimato che la vista di circa un quarto della popolazione del mondo può essere migliorata attraverso l’uso di lenti correttive. Sfortunatamente molti non posso permettersi un paio di occhiali perché nei paesi in via di sviluppo acquistare un paio di occhiali è un lusso. In molte aree, un cattivo o trascurato funzionamento della vista può costringere gli adulti alla disoccupazione ed estromettere i bambini dalle classi scolastiche.
C’è necessità di occhiali da vista di qualsiasi tipo di gradazione ed anche di occhiali da sole. I LIONS, presenti in 206 paesi del mondo, ogni anno distribuiscono circa 2.5 milioni di paia di occhiali direttamente nelle nazioni bisognose. Per donare gli occhiali che non ti servono più, puoi portarli presso:
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Quando, percorrendo la provinciale del Tancia verso Rieti, Montenero appare improvvisamente tra il verde forte dei boschi, allungato sul costone tra le valli dei torrenti Riella e Petraro, il panorama non è più quello delle colline sabine coperte d’ulivi ma un irreale paesaggio alpino. Oppure, per dirla con Giuseppe Marrocco, storico vissuto nella prima metà dell’800 e che a Montenero ci dovette giungere tutt’al più in carrozza e su strade ben diverse da quelle di oggi: “Tra le fauci di montagne altissime sopra un fianco dell’Appennino, scosceso ed aspro per i dirupi, e per le balze, siede questo castello …. di là si cava una pietra focaja di color nero, che rende vantaggio all’industria dei popolani. Vi esiste una forte rocca che costituisce ora il palazzo de’ chiarissimi Mattei, la cura de’ quali ha di molto incivilito quel popolo. A vero dispetto della natura sono quelle balze e que’ scogli mirabilmente coltivati ad oliveti, e viti, talché si deve encomio amplissimo all’onorato sudore di quelli abitanti … “ .
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L
’antico Castrum Montis Nigri deve probabilmente il suo nome proprio al colore delle montagne tra cui è immerso oppure, forse, alla presenza della “pietra focaia”, detta anche “pietra nera”, utilizzata fino a cento anni fa per fabbricare di acciarini e armi da fuoco. La presenza dell’uomo in questa zona è antichissima: nell’area sorgeva il centro romano di Pago ma anche molto prima di allora, in epoca preistorica, la selce di Montenero era utilizzata per la produzione di utensili ed armi, come i manufatti ritrovati nell’area dimostrano. La crisi del mondo romano ovviamente trascinò con se anche la Sabina, portando alla distruzione degli antichi, così, ben poco sappiamo degli eventi che nei secoli tra la caduta dell’Impero Romano e l’anno 1000 interessarono questa zona. Nel 1023 Montenero è citata per la prima volta in un documento dell’archivio dell’Abbazia di Farfa e nel 1085 è già certa la presenza di un “castello”. Si trattava della torre di guardia che ancora oggi si vede svettare all’interno del castello come lo ammiriamo oggi, costruito nei secoli intorno ad essa. Probabilmente,
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la sua costruzione fu motivata dalla necessità di controllare una via di comunicazione tra l’Abbazia e Rieti – che potrebbe anche coincidere o essere stata prossima ad uno degli antichi percorsi della Salaria – esigendo l’eventuale dazio. Sappiamo per certo che Napoleone Orsini lo acquista nel 1240 dai Camponeschi che, probabilmente, ne erano sempre stati proprietari. La proprietà passa di generazione in generazione ed il castello deve essere stato abitato in modo abbastanza continuativo tant’è che nel 1390 vi morì il cardinale diacono di S. Maria in Domnica, Tommaso degli Orsini di Manoppello. Poi, verso la metà del ‘400, il castello cambia uso e da residenza del “Dominus” diviene elemento difensivo dell’intero territorio, con l’impegno delle vicine comunità ad assoldarne un custode e la relativa guarnigione. Questa situazione si protrae probabilmente fino al 1500 quando appare sulla scena
Franciotto Orsini, a cui sono dovuti importanti interventi sul castello che si trasforma in palazzo e residenza del signore. Gli Orsini cedono il feudo una prima volta ai Mareri, poi ne riprendono la proprietà, finché, nel 1644, viene acquistato dai Mattei del ramo di Paganico e, nel 1671, Papa Clemente X
concede a questa famiglia, il passaggio a ducato di Montenero. Nel 1755, poi, Benedetto XIV, ne autorizzò la vendita ai Marchesi Vincentini di Rieti che ne rimasero proprietari fino a pochi decenni orsono. Dal punto di vista del visitatore, va subito evidenziata la particolare forma a “spina di
pesce” del borgo: infatti questo si estende per tutta la sua lunghezza su una cresta con un’unica strada a fare da dorsale e da questa si dipartono una seri di vicoli a destra ed a sinistra che raggiungono il “giro di mura” che circonda tutto il paese. Il castello che vediamo oggi, bellissimo nella sua complessa articolazione, è un esempio “da manuale” della trasformazione di un opera originariamente di natura prettamente militare in un castello – palazzo rinascimentale dalla “vocazione” di residenza aristocratica. Così, intorno alla torre dell’anno 1000 si sono andati sviluppando in concentrico spazi adibiti alle diverse “funzioni”: appartamenti e sale di rappresentanza ma anche scuderie, granai, forni, cisterne, grotte e prigioni. La visione del castello dal dietro rende molto bene l’idea di come i nuovi “volumi” si siano mano a mano andando aggiungendo nei secoli. All’estremo opposto della “spina di pesce” rispetto al castello, si trova la chiesa parrocchiale di San Cataldo ornata di un campanile con due serie di monofore. All’interno custodisce affreschi del periodo barocco.
GALILEO FABRIZIO SCIARRETTA
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All’Architetto reatino Stefano Eleuteri, che ha diretto i lavori di recupero del Castello, SalutePiù ha chiesto di raccontarne i criteri ispiratori ed i risultati raggiunti.
L
’approccio dell’intervento di consolidamento e di adeguamento sismico del Castello di Montenero ha considerato prioritario il confronto con le vicende storiche dell’edificio e la conseguente antropizzazione del territorio: in questo modo si sono evidenziate le fasi della costruzione e consentita la lettura di materiali e tecniche anche diversi che nel tempo hanno generato comportamenti differenziati della struttura. L’intervento progettuale si è posto l’obiettivo di eliminare gli evidenti danni e pericoli causati dagli eventi sismici e la compatibile esigenza di creare degli stralci funzionali che hanno consentito di restituire alla disponibilità della collettività un importante patrimonio. Per questo l’intervento si è concentrato sulla ricomposizione
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dei diaframmi orizzontali, solai e coperture, con l’obiettivo di proteggere l’immobile dagli eventi naturali e rafforzare il comportamento strutturale dello stesso. Nell’esecuzione degli interventi si sono cercate con la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio le soluzioni tecniche che hanno consentito la valorizzazione delle componenti archeologiche, che se pur prive di una analisi stratigrafica, possono consentire una lettura completa dell’edificio. L’atteggiamento culturale è stato incentrato sull’attenzione alle trasformazioni dell’edificio, cercando di preservare l’autenticità dell’opera ed il susseguirsi delle fasi storiche, anche le più recenti. Il finanziamento dei lavori è avvenuto con fondi della Presidenza della Regione Lazio - Sub Commissario al Sisma
1997 affidati all’Ente attuatore che è il Comune di Montenero. La gestione dell’immobile sarà del comune di Montenero in attesa che nuovi finanziamenti ne possano consentire diversi utilizzi. I lavori hanno riguardato principalmente il grande salone del primo piano e gli ambienti affrescati dello stesso livello che circondano il grande cortile di ingresso con il corpo scala a servizio degli accessi ai suddetti locali. A protezione degli stessi sono state recuperate le coperture, ponendo attenzione alle antiche pendenze, alle tessiture dei solai ed ai mate-
le diverse esigenze strutturali, sono stati recuperati i soffitti a cassettoni, anche se la portanza degli stessi è stata trasferita a strutture orizzontali che rafforzeranno anche la resistenza delle travi antiche. Lo scalone che consente l’accesso agli ambienti del primo piano invece è stato interessato da interventi puntuali nelle zone di maggior sofferenza, sono stati consolidati i pianerottoli e rafforzate le murature sofferenti con attenzione al recupero degli intonaci e degli affreschi. L’edificio è stato dotato di strutture di servizio come i ser-
riali, con il duplice obiettivo di protezione e di adeguamento antisismico. Identici principi hanno guidato il recupero dei solai, la tecnologia è stata differente per i due livelli, per le loro caratteristiche originarie. Nel primo livello il solaio, per preservare ritrovamenti archeologici, è parzialmente costituito da una lamiera grecata collaborante con la struttura in profilati di acciaio ed ancorata al massetto soprastante con appositi supporti. Nel secondo livello la tecnica è differente per
vizi igienici ed un sistema di illuminazione è stato predisposto per una puntuale attuazione nelle forme e nelle caratteristiche scaturite dal confronto con la Soprintendenza, l’obbiettivo è stato quello di consentire l’accesso e la fruibilità nel rispetto della conservazione. L’intervento ha migliorato le condizioni ambientali generali dell’abitato di Montenero eliminando una pericolo potenziale dal centro abitato e sia per il rischio di crolli1 che per la fatiscenza di alcune strutture.
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Intervista al Sindaco di Montenero Ugo Mancini
Ugo Mancini, cinquant’anni, veterinario, dal maggio del 2007 Sindaco di Montenero, si avvicina al termine del suo primo mandato come “primo cittadino”. Con lui SalutePiù ha fatto il punto sulle attività di recupero e valorizzazione del borgo storico e del Castello Orsini. Sindaco Mancini, tra pochi mesi si completerà il suo primo: quali sono le principali iniziative che lo hanno caratterizzato? È difficile fare una classifica in quanto tutte le iniziative intraprese sono parimente importanti per il nostro paese. Inoltre sono in corso profondi cambiamenti dal punto di vista gestionale ed amministrativo per cui soltanto in un ipotetico domani si potrà stabilire quale delle iniziative sia stata più importante; stiamo anche lavorando per inserire il nostro Comune in un contesto associazionistico con altri Comuni onde poter ottemperare a quanto previsto dalle recenti normative in materia. Parallelamente, ci siamo attivati per dare al paese un’attrattiva turistica e culturale sempre maggiore, curando il restiling del borgo con interventi sulla piazza, sulla via principale e sulla circonvallazione; abbiamo migliorato il sistema viario con interventi di messa in sicurezza delle strade e creando un parcheggio prospiciente il paese. Contestualmente abbiamo operato interventi sull’acquedotto, rifacendo alcune linee ed un nuovo serbatoio, così da non avere problemi di approvvigionamento e distribu-
zione idrica. Sono in corso anche lavori riguardanti il consolidamento idrogeologico a monte del centro abitato e, ahimè, sono stati appaltati i lavori per l’ampliamento del cimitero comunale, necessità più che mai d’attualità visto l’aumentare dell’età media dei cittadini residenti. A tutto questo vanno aggiunti i lavori riguardanti il Castello Orsini, di cui le dirò tra un attimo. Dal punto di vista culturale è stata aperta la Biblioteca Comunale, affidata al Centro Sociale per Anziani di Montenero che, con la sua preziosa opera e con la sensibilità culturale che da sempre ne distingue l’operato, consente l’apertura al pubblico della stessa. Inoltre ogni anno sono stati organizzati eventi culturali che hanno visto focalizzato l’interesse sulle tradizioni storico - culturale - gastronomiche di Montenero. In sintesi credo che questa Amministrazione abbia fatto molto, considerato che abbiamo appaltato lavori per circa 4 milioni di Euro.
considerando che su 2.500 ettari di territorio comunale, circa 1.500 sono di proprietà del demanio (800) e degli usi civici (700) possiamo facilmente desumere, se in possesso dei terreni demaniali e con la collaborazione dell’Ente che gestisce gli usi civici (Università Agraria), quali investimenti il Comune potrebbe fare utilizzando le risorse derivanti dal legnatico. Inoltre si può pensare allo sfruttamento delle energie rinnovabili, ma il Comune non ha competenza in materia in quanto il discorso è riservato a competenze urbanistico-ambientali sovracomunali. Un discorso che deve al più presto essere realizzato riguarda lo sfruttamento ai fini turistico-culturali delle risorse locali: dobbiamo essere bravi a superare i campalinismi, ma se riusciamo a valorizzare le nostre risorse in modo integrato con altri Comuni dell’Alta Sabina, potremmo allora avere un grande ritorno in termini occupazionali e di indotto.
Per un comune delle dimensioni di Montenero temo che il reperimento delle risorse finanziarie sia diventato un problema di vera e propria sopravvivenza. Esiste un modo di pensare innovativo a questo proposito? È impossibile pensare che un Comune così piccolo, demograficamente parlando, ma così vasto da un punto di vista territoriale, possa sopravvivere con le proprie risorse senza l’aiuto dello Stato: se consideriamo per esempio che per 350 utenze idriche abbiamo oltre 40 km di acquedotto, con 4 serbatoi per la distribuzione, ci rendiamo conto che con la semplice riscossione delle bollette non potremmo mai coprire le spese. Il nostro è un paese che potrebbe, comunque, avere un grande sostegno se i beni demaniali presenti nel territorio Comunale passassero, come logico sarebbe, alla pertinenza Comune:
SalutePiù si occupa in modo specifico della salvaguardia e valorizzazione dei Borghi Storici. La sua amministrazione sarà ricordata per la “riapertura” del Castello di Montenero. Ci racconta la storia? Credo sia piuttosto lunga ... Si, parliamo del nostro “gioiello”: il Castello Orsini, manufatto risalente al VII – VIII secolo d.C., che fu acquistato dal Comune di Montenero Sabino negli anni ’80. A quel punto, iniziarono lavori di restauro e consolidamento importanti, anche in virtù di un protocollo d’intesa che il Comune stipulò con l’Università “La Sapienza” di Roma per fare del Castello un importantissimo centro di studi culturali della Università stessa; purtroppo la ditta che effettuava i lavori fallì, subentrò il giudice fallimentare e tutto si fermò per circa 20 anni; questa Amministrazione è riuscita a risolvere la con-
troversia con il giudice fallimentare ed i lavori hanno potuto riprendere, ma l’accordo con l’Università ormai è cosa superata. Mi corre l’obbligo, parlando del Castello Orsini, fare un riferimento al Presidente della Provincia di Rieti, dott. Fabio Melilli, che sempre ha stimolato per il recupero del manufatto non facendo mancare le risorse economiche per i lavori, essendo lo stesso Presidente Melilli grande sostenitore delle risorse locali del territorio provinciale, in prima persona presenziando ogni iniziativa. Adesso però il problema è come rendere fruibile al pubblico questo monumento, ad iniziare dalla possibilità di visitarlo? A questo aggiungerei che se non verrà “messo a reddito” esisterà il rischio di vederlo nuovamente andare in rovina? Non potendo svolgere attività di operatore turistico ed in attesa di uno “sfruttamento a reddito”, il Comune ha recentemente stipulato una convenzione con la Associazione Onlus Apidienus che prevede la possibilità di attivare nel Castello varie iniziative culturali e visite guidate, il tutto per far conoscere e valorizzare il nostro territorio; contestualmente portiamo avanti dei contatti tesi ad affidare il manufatto a privati, che ne consentisse il completamento dei lavori e lo “sfruttamento” dello stesso con attività compatibili con il nostro territorio ed in ogni caso approvate dalla Amministrazione Comunale in modo da averne un ritorno economico, occupazionale e di indotto. GFS
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a Chiesa di Santa Maria del Colle a Ponticelli, vanta testimonianze che la fanno ritenere una delle più antiche della Sabina. Infatti, un manoscritto conservato presso l’Abbazia di Farfa recita: “il primo vescovo di Sabina fu San Lorenzo, siro di nazione, il quale consacrò tre chiese fabbricate da San Prosdocimo alla Beatissima Vergine. La prima nella città di Curi, metropoli della Sabina, la seconda al Ponte Celio (Ponticelli), la terza alla Villa, ovvero Horti Salustiani”. San Prosdocimo era addirittura discepolo di San Pietro e fu attivo nel diffondere il cristianesimo in Sabina e nel reatino intorno alla metà del I secolo d. C.. La Chiesa locale si costituì poi in Diocesi intorno al V secolo (i Vescovi della Diocesi di Sabina, con sede nell’antica Nomentum, sono ricordati fin da quell’epoca) e nello stesso secolo San Lorenzo Siro, giunto in Italia, fonda Farfa. Parliamo dunque di una chiesa antichissima, legata a filo diretto con i due santi a cui è dovuta la cristianizzazione della Sabina: appunto San Prosdocimo e San Lorenzo Siro. Con tutta probabilità, il motivo che portò San Prosdocimo a fondare la chiesa nel luogo dove ancora oggi si trova sta nel fatto che Ponticelli è prossima al percorso “romano” della Salaria e la zona era ampiamente frequentata. Infatti, si tratta di un’area archeologica importante: basti pensare alla Grotta dei Massacci ad Osteria Nuova, alla villa appartenuta alla famiglia dei Bruttii Praesentes (località Monte Calvo), datata I sec. d.C., al cosiddetto Ponte del Diavolo (località Valle Ara), la maggiore “testimonianza” rimasta di opera stradale della Salaria antica datato al II sec. a.C.. La rovina – abbandonata tra i rovi al suo destino – è imponente con un’altezza di 13 metri ed una lunghezza di 20 ed una struttura in massi “ciclopici”.
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Dal 1916, è “Monumento Nazionale” ma di questo, evidentemente, nessuna “autorità competente” si ricorda più. Veniamo al dunque ed iniziamo la visita a Santa Maria del Colle. La facciata – di austera semplicità – è in stile romanico con il portale costituito da una cornice di pietra bianca dove, osservando i blocchi che la compongono, appare probabile che i due in basso da ambo i lati siano “gemelli” e di origine romana mentre il resto della cornice è a sua volta un unicum omogeneo. Al di sopra del portale, un arco ospita una lunetta che poteva un tempo contenere un affresco. Subito sopra, spicca un’edicola romanica, sorretta da due mensole, che impreziosisce e caratterizza la facciata. La chiesa come la vediamo oggi, è di costruzione medievale: se osservate la parte bassa del fianco destro della chiesa, vicino all’angolo con la facciata, noterete una
significative differenza nella “tessitura muraria” tra la parte più vicina al terreno e quella superiore. Ciò ha portato a ipotizzare che l’edificio sia stato ricostruito nei primi del ‘300 avendo forse la struttura precedente sofferto a seguito di guerre o terremoti. L’edificio si presenta con una pianta rettangolare ad un’unica navata (di m. 20 x 7,5), con finestre a feritoia, che termina in un’abside rotonda. Tutto intorno, sulle pareti, gli affreschi che rendono Santa Maria del Colle assolutamente meritevole della visita. Purtroppo, va detto, l’incuria umana ha profondamente danneggiato questo patrimonio d’arte. Quando, nel 1969, la chiesa, ormai pericolante, è stata completamente restaurata, il peggio era già successo con la perdita degli affreschi (del 1580) che coprivano la superficie dell’abside rappresentando Dio Padre tra Angeli, l’Annunciazione, l’Incoronazione della Vergine Assunta e gli Apostoli. Santa Maria del Colle è però fortunatamente ancora adorna di molti dei suoi tesori – testimonianza
della “vivacità” della vita di questo luogo di culto - con suggestive sovrapposizioni ed affiancamenti degli uni agli altri. Così gli affreschi si inseguono dal XIII al XVI secolo: sopra al portale d’entrata, è affrescata una Crocifissione tardo bizantina, probabilmente della fine del ‘200; all’inizio della parete di destra spicca il frammento di Annunciazione di Scuola Romana duecentesca, poi un grande S. Giorgio quattrocentesco, la Presentazione di Gesù al Tempio, la Madonna con il Bambino e san Sebastiano, la Discesa di Cristo al Limbo. Lungo la parete di sinistra, il pulpito in pietra, anch’esso affrescato, che poggia su due semicolonne romane. Al centro dell’abside spicca il tabernacolo di marmo: l’ipotesi è che sia quattrocentesco e la datazione è favorita dalla presenza alla sua base di due stemmi contenenti le “rose” simbolo della famiglia Orsini che a partire dal 1410, con Francesco, si insedia come feudataria di Ponticelli e vi permane fino a 1644 quando il castello passa a Taddeo Barberini. La botola nel pavimento rivela l’uso di chiesa cimiteriale. Infatti, Santa Maria, che aveva funzione di chiesa parrocchiale tra il ‘400 ed il ‘600, la perde nel ‘700 per essere destinata a questo scopo fino a riacquistare nel 1970 il suo ruolo di Parrocchiale.
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Il Comune di Montelibretti conferisce la Cittadinanza Onoraria al Colonnello Piero D’Inzeo
Raimondo e Piero D’Inzeo
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l 27 novembre scorso, presso l’Aula Consiliare del Comune di Montelibretti, è stata conferita la “Cittadinanza Onoraria” della città di Montelibretti al Col. Piero D’Inzeo, gloria, con il fratello Raimondo, dell’equitazione italiana e che con le sue otto partecipazioni ai giochi olimpici e le sei medaglie vinte è ancora oggi uno dei più grandi cavalieri internazionali di tutti i tempi. La cerimonia organizzata e voluta fortemente dal Sindaco di Montelibretti Prof. Antonio Catania, ha visto la partecipazione di numerose autorità militari tra cui il Gen. CA Carlo Gibellino, il Gen. B. Cutropia, il Gen. B. Guglielmo Miglietta e il Gen. CC Flavio Garello oltre ad un numeroso pubblico che vedeva anche presenti tanti vecchi dipendenti civili della Scuola Militare di Equitazione venuti a ritrovare il loro “vecchio Comandante”. La cerimonia ha avuto inizio con un breve discorso tenuto dal Gen.
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Cutropia,, Comandante della Scuola di Cavalleria ed Ispettore dell’Arma di Cavalleria, dal sindaco e dalla giornalista RAI Manuela Lucchini, che hanno delineato la figura del Col. Piero D’INZEO come soldato, atleta e gentiluomo, terminando con la lettura del messaggio dell’Assessore Regionale Mariella Zezza e della delibera comunale con il conferimento della cittadinanza onoraria. Al termine della cerimonia ha preso la parola, visibilmente commosso, il Col. Piero D’Inzeo che ha dapprima ricordato gli intensi momenti che ha vissuto in uniforme, per poi ringraziare tutti i convenuti per l’onore di aver ricevuto la cittadinanza onoraria di Montelibretti, rendendosi disponibile a tutti i suoi concittadini Al termine Sindaco di Montelibretti ha offerto presso i locali del Circolo Ufficiali del Centro Militare di Equitazione un pranzo in onore del Col. D’Inzeo. Con questa cerimonia è stata scritta una bella pagina di storia che vede sempre più vicino l’Esercito alle realtà locali, prova ne sia che al termine della cerimonia ed all’uscita dalla sala consiliare, molti cittadini di Montelibretti ed ex dipendenti civili dell’allora Scuola Militare di Equitazione, si sono stretti intorno al loro “vecchio” Comandante in un solidale abbraccio al quale il vecchio Uomo d’armi ma giovane nel cuore ha risposto assicurando sempre la propria disponibilità.
Ten. Col. Gaetano CASCINO 31
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