1
24 32
Sommario 6
Truccarsi stando attente alla salute degli occhi
8
Correre per seminare il Diabete
10
Occhi e Tiroide
12
Le Vaginiti
14
Dieta e menopausa
16
Sindrome metabolica
18
Test Cromosopatie
20
Affrontiamo il mal di schiena
22
Il cuore e la crisi, la crisi del cuore
24
Olio d’oliva, ossa ed articolazioni: un tris inaspettato!
28
Modello Sanità - Interviste a: Pierlugi Bartoletti (FIMMG) e Giancarlo Sforza (ANISAP)
30
Ipertensione e sale
32
L’Abbazia di Farfa
38
Davide Granieri: la Città Eterna prima testimonial dell’olio DOP Sabina
40
Castelnuovo di Porto
46
Storia di un albero sacro
14
40
SALUTE PIÙ - BENESSERE CULTURA COSTUME Anno IV - Num. 18 - Giugno/Luglio 2013
Via Salaria km 29,200 Bivio Palombara Sabina T 0774 615100 2
Direttore Responsabile Fabrizio Sciarretta Segreteria di Redazione Filippa Valenti valenti@laboratorionomentano.it T 06 90625576 Art director e impaginazione Alessia Gerli a-gerli@libero.it Editore Laboratorio Clinico Nomentano Srl Via dello Stadio 1 00015 Monterotondo (RM) Iscritto al registro della stampa e dei periodici del Tribunale di Tivoli n. 97/2009 Stampa Graffietti Stampati S.n.c. S.S. Umbro Casentinese km.4.500 01027 Montefiascone (VT) Per la pubblicità su questa rivista rivolgersi a: GERLI COMUNICAZIONE a-gerli@libero.it T 338 5666568
3
Un benvenuto al Ministro Lorenzin
Fabrizio Sciarretta Direttore Responsabile
SEGUITECI ONLINE SU
salutepiu.info Per foto e articoli continuamente aggiornati su salute, benessere e Sabina. Iscrivetevi alla nostra newsletter!!
TEST CROMOSOPATIE Dott.ssa EMANUELA FERAUDO La Dr.ssa Emanuela Feraudo, si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, ove si è successivamente specializzata in Ginecologia ed Ostetricia con il massimo dei voti. Esercita la sua attività presso diverse case di cura ed ambulatori specialistici della Capitale nonché nell’ambito del Servizio di Radiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano per quanto attiene l’ecografia ginecologia ed ostetrica.
4
Provo un certo disagio nello scrivere questo editoriale: infatti tutte le volte che, in questi ultimi tempi, ho sperato (e scritto) che un dato cambiamento ai vertici di questo o quell’incarico di governo della sanità ci avrebbe potuto portare un futuro migliore, mi sono ritrovato molto deluso. Inizio a temere che sia colpa mia ….. Questa volta, però, abbiamo una Ministro della Salute sul filo dei quaranta (trattandosi di signora non fornirò il dettaglio) e certamente battagliera. Negli anni passati ho avuto modo di incontrare Beatrice Lorenzin una paio di volte da vicino in occasione di dibattiti pubblici e – al di là che se ne condividano o meno le idee politiche (prego ricordare che abbiamo un “governo di larghe intese”) – al Ministro non si possono assolutamente negare doti di intelligenza pronta e senso pratico e cosa che non guasta, un notevole spirito battagliero. Non è un esperta di sanità e questo – paradossalmente – è un pregio: certamente non ha preconcetti. Inoltre, sembra non avere una “ricetta pronta” da applicare nostro malgrado: chissà che non si presterà ad ascoltare le “parti sociali” senza la presupponenza tipica di chi sa già tutto e grazie a Dio è arrivato lui (o lei, la presunzione è un difetto che attecchisce in entrambi i sessi). Dunque, per l’ultima volta, scriverò che spero in un futuro migliore del passato …. e pensare che ci vorrebbe veramente poco, visto come siamo messi ! Le prime uscite pubbliche mi sono piaciute: ha detto che il sistema sanitario nazionale va ripensato in termini di modello strutturale ed organizzativo e per fortuna non ha detto di sapere già come. Forza Ministro Lorenzin: sarà una partita difficile ma se, per una volta, riusciremo a discutere di sanità e non di politica, di cose vere da fare e non di poltrone da sistemare, forse si potranno portare a casa cambiamenti importanti. Del resto ognuno di noi sa bene come andrebbe migliorata la parte di cui si occupa: sta a lei mettere le singole teste insieme e provare a farle cantare in coro.
TRUCCARSI STANDO ATTENTE ALLA SALUTE DEGLI OCCHI Dott. ssa ROBERTA IOANNUCCI Roberta Ioannucci si è laureata in Ortottica ed Assistenza in Oftalmologia presso l’Università di Roma ‘’Tor Vergata’’ ed ha successivamente frequentato il Master in ‘’Gestione del Coordinamento nelle Professioni Sanitarie’’ presso l’Università delle Scienze Umane di Firenze. Ha iniziato la sua attività professionale presso la casa di cura ‘’Villa Tiberia’’ di Roma. Attualmente svolge la sua attività di Ortottista presso l’Azienda Ospedaliera San GiovanniAddolorata di Roma nonché presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini di Monterotondo.
SINDROME METABOLICA Dott.ssa LARA GUERRINI
La Dott.ssa Lara Guerrini si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Endocrinologia e Malattie del Ricambio con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. E’ autrice di diverse pubblicazioni scientifiche in ambito endocrinologico. E’ Responsabile della Branca di Endocrinologia presso lo Studio Medico Cappuccini.
Hanno collaborato
MALATTIA OCULARE TIROIDEA Dott. ALDO CANZIO
OLIO D’OLIVA, OSSA ED ARTICOLAZIONI: UN TRIS INASPETTATO!
LE VAGINITI Dott.ssa ANTONELLA CARNEVALE
STORIA DI UN ALBERO SACRO Dott. Oliviero Riggi
Il Dr. Aldo Canzio si è laureato in Medicina e Chirurgia e si è specializzato in OCULISTICA presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “LA SAPIENZA” di Roma. E’ Dirigente Medico di I Livello presso l’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma dove svolge la sua attività professionale e dove è il responsabile della sezione di diagnostica retinica con l’O.C.T.
Dott. FABIO SCIARRETTA
La Dr.ssa Antonella Carnevale, si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, e successivamente si è specializzata in Ginecologia ed Ostetricia nel medesimo ateneo con il massimo dei voti. Esercita la sua attività presso diverse case di cura ed ambulatori specialistici della Capitale nonché nell’ambito del Servizio di Radiologia del Poliambulatorio Specialistico Nomentano per quanto attiene l’ecografia ginecologia ed ostetrica.
Oliviero Riggi, cultore di storia della Sabina, ha conseguito la tesi di Licenza in filosofia presso la Pontificia Università Salesiana, con una tesi dal titolo Storia e libertà nel pensiero di Luigi Pareyson, nel 1999, e ha concluso gli studi di filosofia con una tesi di dottorato dal titolo Ideoprassi cristiana per una società alternativa nel pensiero di Tommaso Demaria; implicanze filosofiche, nel 2010. Autore di diverse pubblicazioni, è attualmente impegnato nella diffusione e valorizzazione dell’olio extravergine d’oliva Sabina Dop.
Il Dott. Fabio Sciarretta è specializzato in Ortopedia e Traumatologia presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Chirurgo ortopedico, ha prestato servizio in qualità di dirigente sanitario presso l’Ospedale San Giovanni Battista di Roma, presso il Reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Civile di Velletri e presso l’Ospedale Israelitico di Roma. Svolge attualmente la sua attività professionale presso diverse case di cura romane. E’ stato relatore in oltre 40 congressi nazionali ed internazionali ed ha al suo attivo 38 pubblicazioni.
SINDROME METABOLICA Dott.ssa CLAUDIA ANNOSCIA
La Dott.ssa Claudia Annoscia si è laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti e nel medesimo ateneo ha conseguito la specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Ricambio presentando una tesi sperimentale dal titolo “Obesità ed Osteoporosi: Quale Relazione?”. Ha successivamente conseguito un Master in Prevenzione e Assistenza al Sovrappeso, Obesità e Disturbi dell’Alimentazione. Ha collaborato con la Cattedra di Endocrinologia e Medicina Interna dell’Università di Roma “La Sapienza“ presso il Policlinico Umberto I ed altre strutture della Capitale. Attualmente svolge la sua attività professionale presso il Centro disturbi del comportamento alimentare ”Villa Pia” – Italian Hospital Group – di Guidonia e nell’ambito della Branca di Endocrinologia dello Studio Medico Polispecialistico Cappuccini di Monterotondo.
DIETA E MENOPAUSA Dott.ssa MAYME MARY PANDOLFO IL CUORE E LA CRISI, LA CRISI DEL CUORE IPERTENSIONE E SALE Dott. ANTONIO SAPONARO
Il Dr. Antonio Saponaro è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e specializzazato in Cardiologia presso la seconda Facoltà di Medicina dell’Università “Sapienza” di Roma. E’ in servizio presso il reparto di cardiologia del Policlinico Militare “Celio”. Svolge la sua attività professionale presso il Poliambulatorio Specialistico Nomentano ed in altri ambulatori romani. Ha al suo attivo alcune pubblicazioni sul Giornale di Medicina Militare e su Minerva Cardiologica.
La Dott.ssa Mayme Mary Pandolfo si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Scienza dell’Alimentazione presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con il massimo dei voti. Responsabile del Programma di Educazione Terapeutica Strutturata (ETS) in Diabetologia presso la UOC Diabetologia, Dietologia e Malattie Metaboliche dell’Ospedale “Sandro Pertini” di Roma ove svolge anche attività di ricerca in campo diabetologico. Esercita, inoltre, la sua attività professionale presso diverse strutture mediche della Capitale. E’ co-autrice di diversi articoli scientifici pubblicati su riviste mediche internazionali ed ha presentato relazioni in congressi nazionali ed internazionali. E’ Responsabile della Branca di Scienza dell’Alimentazione presso lo Studio Medico Polispecialistico Cappuccini.
CORRERE PER SEMINARE IL DIABETE
Dott. EMANUELE GRAZIANI Il Dottor Emanuele Graziani è laureato in medicina e chirurgia e specializzato in medicina dello sport, ha conseguito un master in “agopuntura e moxibustione”. Fa parte dell’Equipe Medica della Federazione Italiana Scherma e collabora in progetti che vedono le attività sportive condotte in ambienti climatici particolari. Esercita la sua attività di Medico dello Sport presso il Poliambulatorio Specialistico Nomentano.
5
Truccarsi stando attente
alla salute degli occhi Dott.ssa Roberta Ioannucci Ortottista – Branca di Oculistica Studio Medico Polispecialistico Cappuccini
T
ruccare gli occhi, infatti, significa utilizzare dei prodotti quali matite, ombretti, mascara ed eye-liner sulla rima ciliare superiore ed inferiore e sulla piega palpebrale evitando l’applicazione dei vari pigmenti sulla congiuntiva (cioè quella mucosa che ricopre occhio e parte interna della palpebra) in quanto possono essere fonte di irritazione e causa di congiuntiviti, soprattutto nei portatori di lenti a contatto (LAC). A quest’ultimo proposito, è buona abitudine applicare le LAC prima di truccarsi per evitare eventuali lacrimazioni che provocano lo scioglimento del make-up e toglierle prima di struccarsi poiché il trucco può colare nell’occhio e sulla lente causando irritazioni. In generale è opportuno utilizzare prodotti cosmetici di qualità ed ipoallergenici e comunque non grassi in quanto possono lasciare residui sulle
6
LAC e/o sulla congiuntiva e di regola non applicarli troppo vicino all’occhio. Considerare anche che dopo un certo periodo (circa 6 mesi) i cosmetici si deteriorano quindi sostituirli per evitare irritazioni ed allergie.
Cosa evitare:
• non applicare cosmetici nell’occhio arrossato e nel bordo interno delle palpebre per non occludere i dotti sebacei; • non truccarsi in macchina quando questa è in movimento; • evitare gli autoabbronzanti nel contorno occhi; • evitare ciglia finte in quanto gli adesivi possono essere causa di patologie della rima palpebrale ; • non utilizzare LAC durante le esposizioni ad abbronzature artificiali.
Cosa fare: • utilizzare mascara waterproof, soprattutto d’estate e quando si frequentano ambienti umidi, in modo che il prodotto, resistendo all’acqua, non lasci residui negli occhi; • istillare lacrime artificiali prima di struccarsi aiuta a proteggere gli occhi da eventuali impurità che possano entrarvi; • utiilizzare, qualora si portino gli occhiali, montature con frontale mobile, per rendere più agevole e precisa l’operazione del trucco; • scegliere solo prodotti cosmetici di qualità, ipoallergenici e, qualora si portino le lenti a contatto, specifici per questo caso.
7
CORRERE PER SEMINARE IL DIABETE
8
Dott. Emanuele Graziani Medico dello Sport - Poliambulatorio Specialistico Nomentano
cotone per tenere il piede asciutto e minimizzare i traumi; • idratarsi bene prima dell’esercizio, durante e dopo; • portare con se durante gli allenamenti documenti ed elenco delle patologie di cui si è affetti.
I Vantaggi
Quante volte, andando dal medico, che sia stato il proprio medico di famiglia, l’endocrinologo, il diabetologo, il cardiologo o il dietologo, ci si è sentiti dire: “deve cambiare abitudini di vita: dieta e attività sportiva!”. Ma tutte le volte, tutti i migliori propositi di cui siamo animati sono svaniti in un lampo, pensando: “e ora che devo fare?”, o “ma sarà poi vero?”, “e la mia pancia, che fine farà?”… di qui, l’inesorabile sconfitta: “per non sbagliare, non faccio proprio nulla…che non sia prendere le mie medicine!”.
ERRORE!!! Ed ecco perché: proprio l’esercizio fisico, ed in particolare l’attività aerobica (cioè quell’attività fisica prolungata in cui la frequenza cardiaca non sale molto), è il primo presidio terapeutico che si deve adottare nel caso si sia affetti da Diabete Mellito di Tipo 2. Di letteratura scientifica, in questo ambito, ce n’è in abbondanza a partire dal 1926, anno in cui Lawrence, medico inglese e diabetico, pubblicò sul British Medical Journal un articolo in cui dimostrava su se stesso che una iniezione di 10 unità di insulina rapida produceva un abbassamento glicemico molto maggiore e più rapido se era seguita da un esercizio fisico piuttosto che se si restava a riposo. Da allora gli studi si sono moltiplicati e tutti concordano con l’osservazione del sinergismo d’azione del lavoro muscolare e dell’insulina. L’attività fisica raccomandata ai pazienti diabetici è sempre di tipo aerobico. In assenza di complicanze, è utile e raccomandabile l’affiancamento di un programma di allenamento contro resistenza (utilizzando per esempio pesi con carichi leggeri).
L’Allenamento L’organizzazione di una seduta di allenamento tipo prevede in generale: 1. una fase di riscaldamento: 5-10 minuti di attività aerobica a bassa intensità. Serve a preparare il cuore, l’apparato muscolo scheletrico ed i polmoni ad un progressivo incremento dell’esercizio. A seguire, andranno effettuati altri 5-10 minuti di stretching muscolare dolce. 2. una fase centrale caratterizzata dall’attività fisica programmata: circa 40 minuti di camminata veloce/corsetta leggera ad una frequenza cardiaca che segua questa semplice espressine matematica: ((220 – l’età espressa in anni) : 100) x 70 3. defaticamento al termine della seduta: 5-10 minuti di camminata sempre più lenta fino a fermarsi per riportare gradualmente la frequenza cardiaca a livelli basali e fare stretching degli arti inferiori (allungamento muscolare).
Le Precauzioni Prima di iniziare un’attività fisica in maniera continuativa è opportuno valutare alcuni parametri e prendere alcune precauzioni: • innanzitutto, capire se cuore, reni, fegato ed i capillari venosi del microcircolo funzionino bene. Ciò avvalendosi delle competenze del proprio medico di famiglia o di un diabetologo che prescriverà le opportune analisi del sangue e del cardiologo o medico dello sport attraverso un test da sforzo massimale al cicloergometro; • poi valutare se la terapia orale e/o insulinica sia adeguata all’attività sportiva che si andrà ad effettuare: sarà sempre il medico di famiglia o il diabetologo a valutare se il dosaggio dei farmaci che si assumono vanno aggiustati in base all’attività fisica che si svolgerà, il motto è: “mai di testa propria!” Inoltre, è necessario aver presente come l’esercizio fisico aumenti l’azione dell’insulina per diverse ore dopo l’esercizio, con conseguente rischio prolungato di ipoglicemia, e come l’assorbimento sottocutaneo di insulina possa essere aumentato dall’esercizio se l’iniezione avviene in una zona coinvolta dall’attività muscolare. Infine, il rischio di ipoglicemia è più alto quando l’esercizio è praticato nel periodo dopo i pasti. Pertanto: • monitorare sempre, prima e dopo l’allenamento, la glicemia attraverso gli stick rapidi. • è buona norma effettuare le sedute di allenamento lontano dai pasti quando i livelli di insulina sono bassi; • se possibile programmare l’attività fisica lontano dalle iniezioni di insulina; • evitare l’esercizio fisico durante il picco di azione dell’insulina; • ridurre la dose di insulina quando l’esercizio fisico è programmato, e sotto controllo medico; • somministrare insulina in aeree non coinvolte dall’attività muscolare; • può essere utile disporre di cibi contenenti carboidrati a basso, medio ed alto indice glicemico (barrette energetiche) durante e dopo l’esercizio; Si deve inoltre tener presente come il diabete produca un cattivo funzionamento del microcircolo soprattutto a livello degli arti inferiori, quindi: • utilizzare scarpe da ginnastica e calze sportive in
Tenute presenti le avvertenze e le precauzioni di cui sopra, un esercizio di intensità medio bassa per 3-4 volte alla settimana per almeno 30-60 minuti, porta al miglioramento generale dei parametri di controllo metabolico, ovvero: • aumento della sensibilità all’insulina; • prevenzione delle malattie cardiovascolari; • riduce i livelli di trigliceridi VLDL;
• aumenta il colesterolo HDL; • riduce il colesterolo LDL; • riduce i livelli di pressione arteriosa in modo rilevante nei pazienti con iperinsulinemia; • favorisce la perdita di peso; In conclusione, prima di cominciare la vostra nuova vita sportiva, parlate con il vostro medico, e…
… correte per seminare il diabete!!!
MEDICINA DELLO SPORT
laboratorionomentano.it salutepiu.info LABORATORIO CLINICO
NOMENTANO
Via dello Stadio 1 Monterotondo info@laboratorionomentano.it T 06 90625576 9
La tiroide è la ghiandola endocrina più importante del corpo umano, in quanto da essa dipende la regolazione dell’intero metabolismo dell’organismo. Le malattie tiroidee, quali l’ipertiroidismo, possono colpire anche i nostri occhi.
N
ello specifico la patologia in questione è l’Orbitopatia Tiroidea, ovvero un processo infiammatorio che interessa le strutture intraorbitarie ed è conseguente al processo autoimmune che colpisce la tiroide. I sintomi oftalmici sono:
suto connettivo orbitario; • infiammazione dei tessuti moli orbitari, congestione orbitaria, aumento del volume delle strutture in essa contenute (muscoli oculari e grasso retrobulbare) direttamente correlato al processo infiammatorio. E’ importante tener presente la relazione temporale che sussiste tra disfunzione tiroi-
• la radioterapia si basa sulla notevole radiosensibilità dei linfociti, che sarebbero i principali responsabili delle manifestazioni cliniche della patologia • il trattamento chirurgico ha lo scopo di ottenere un aumento del volume orbitario attraverso la decompressione dello spazio adiacente e la correzione della disfunzione
OCCHI E TIROIDE (oftalmopatia tiroidea)
Dott. ALDO CANZIO Responsabile Branca di Oculistica Studio Medico Polispecialistico Cappuccini
10
• retrazione palpebrale, ovvero la palpebra superiore risulta tirato in alto e indietro; • esoftalmo, ovvero protrusione dei globi oculari, perché s’infiammano i tessuti retrorbitali; • deficit della motilità oculare, con limitazioni dei movimenti dei bulbi oculari; • cheratopatia da esposizione, ovvero lesioni della cornea, poco protetta dalla palpebra superiore retratta, con conseguente epifora o aumentata lacrimazione, sensazione di corpo estraneo, iperemia ed edema delle palpebre e della congiuntiva; • neuropatia ottica, dove la sofferenza del nervo ottico è il risultato della compressione che avviene a livello dell’apice orbitario per l’ingrossamento dei muscoli oculari e del tes-
dea e sviluppo di manifestazioni oculari. Infatti, è stato rilevato come il 19,6% dei pazienti presenti manifestazioni orbitarie prima di sviluppare ipertiroidismo, il 39,4% ha sintomi e segni contemporaneamente, mentre il 41,0% sviluppa segni oculari solo dopo che l’ipertiroidismo si è manifestato. Quindi, in circa il 20% dei casi, l’Orbitopatia Tiroidea rappresenta un campanello premonitore della più generale malattia tiroidea. In termini di terapia, esistono alternative diverse: • la terapia farmacologica steroidea può essere somministrata per via orale, con il Deltacortene, 1 mg/kg al giorno, ma recentemente viene data preferenza all’impiego di alte dosi per via endovenosa (metil¬prednisolone 1 g/die),
dei muscoli oculari. Le sette ossa che costituiscono le quattro pareti dell’orbita non consen¬tono alcuna espansione in risposta all’aumento del volume del contenuto orbitario, ad eccezione dello spostamento in avanti, che causa la malattia oftalmica tiroidea
11
Le Vag init i Prurito o bruciore, perdite vaginali sono i sintomi che rivelano la presenza di una vaginite, ovvero uno stato di infiammazioneinfezione della vagina che può estendersi anche alla vulva dando luogo alla cosiddetta vulvo-vaginite. Il problema, però, è che la vaginite può essere asintomatica, ovvero priva di qualsiasi segnale che ci manifesti la sua presenza e dunque finire trascurata: per questo motivo, come vedremo nel seguito, è consigliabile effettuare periodicamente il controllo ginecologico. Ma andiamo per ordine. Cos’è e come si instaura una vaginite? Tra le molte capacità di autodifesa del nostro organismo, vi è anche la specifica “flora vaginale” composta da una molteplicità di microorganismi che, se in perfetto equilibrio tra loro, hanno il compito di difendere la mucosa impedendo lo sviluppo di microorganismi portatori di malattie. Il giusto equilibrio fra queste componenti consente di mantenere un PH normale (tra 3,8 e 4,2) ed una giusta lubrificazione della vagina. Per cause diverse, l’equilibrio naturale della flora vaginale può essere alterato: in questo caso, ai microorganismi “buoni” si sostituiscono agenti portatori di infezioni. 12
Dott.ssa Antonella Carnevale Specialista in Ginecologia ed Ostetricia Branca di Radiologia Poliambulatorio Specialistico Lab. Cl. Nomentano
U
n caso a parte è rappresentato dalla vaginite atrofica, tipica dello stato menopausale, che si manifesta con i medesimi sintomi fin qui descritti ma che trova la sua causa fondamentale nella secchezza vaginale tipica di questo delicato periodo della donna. Proprio la secchezza può poi condurre – a causa dell’attrito tra i tessuti e delle conseguenti microlesioni – all’instaurarsi di successive sovra infezioni. Tornando alle infezioni vaginali, le più comuni sono sostenute da: • Candida Albicans: un micete che anche se in piccole concentrazioni è normalmente presente nella vagina. In condizioni ad essa favorevoli, specie in corso di disturbi intestinali (colon irritabile; stipsi) la candida prolifera arrecando un danno più o meno importante. • Gardnerella Vaginalis: un microrganismo che in condizioni a essa favorevoli , provoca alterazioni replicandosi in maniera indiscriminata . • Mycoplasma Hominis: i micoplasmi non sempre presentano un’azione patogena perché alcune specie popolano normalmente le mucose genitali femminili. Quando però l’equilibrio della flora batterica intestinale viene alterato il micoplasma può creare un danno di notevole entità. • Trichomonas Vaginalis: è un protozoo flagellato il quale attecchendo alle mucose delle pareti vaginali, altera la flora batterica locale. • Chlamydia Trachomatis: un microrganismo trasmesso sia attraverso rapporti sessuali vaginali, anali o orali che per via materno fetale. Negli adulti comporta generalmente manifestazioni sintomatiche leggere, limitate perlopiù a qualche perdita vaginale anomala o ad una sensazione di fastidio e prurito ai genitali. Spesso il decorso è asintomatico tanto da passare inosservato alla persona che ne è stata
colpita. Questa sua caratteristica ha portato ad identificare la chlamydia come una “infezione a trasmissione sessuale silenziosa” ma capace di procurare seri danni all’apparato riproduttivo. Tra le cause o comunque tra i fattori che facilitano l’insorgenza della vaginite ve ne sono alcuni che è possibile evitare con comportamenti corretti: • essendo il rapporto sessuale causa della trasmissione di alcuni microorganismi, l’impiego del preservativo elimina il rischio; • nello stesso ambito, va tenuto presente come l’atto sessuale possa produrre traumi alla vagina facilitanti le successive infezioni; • un altro “agente patogeno” è il Bacterium Coli che prolifera nelle feci e può entrare in contatto con le zone intime: per questo un’igiene attenta è fondamentale; • per mantenere il corretto equilibrio dell’ “ecosistema” vaginale, anche evitare abiti troppo stretti e dormire senza indumenti intimi è utile. Ovviamente, a fianco dei comportamenti, è necessario sottoporsi ad esami che consentano di diagnosticare le eventuali vaginiti asintomatiche: annualmente, può essere consigliabile effettuare il Pap Test ed un eventuale “tampone vaginale completo” qualora un’indicazione in tal senso provenisse dai risultati del Pap Test stesso, oppure si fossero manifestati i sintomi fin qui descritti. Si tratta di esami rapidi ed privi di qualsiasi controindicazione. In caso di “sorprese”, sarà poi compito dello Specialista Ginecologo individuare la terapia farmacologica più opportuna coinvolgendo, laddove necessario, anche il partner.
Piccole donne crescono... Infanzia ed adolescenza sono due fasi della vita delicate e caratterizzate da problematiche specifiche. Dal punto di vista dello sviluppo femminile, il supporto di una specialista ginecologa può essere importante sia per prevenire potenziali malattie che stili di vita sbagliati i quali, alla lunga, risultano causa a loro volta di patologie specifiche. In questo ambito, lo specialista ginecologo deve occuparsi sia della diagnosi e della cura, laddove necessario, ma anche dedicare particolare attenzione agli aspetti psicologici ed all’impatto che tali problematiche possono avere sulle giovani pazienti. Il LABORATORIO CLINICO NOMENTANO, dedica a bambine e ragazze ed ai loro genitori, un momento d’incontro pensato per le loro esigenze nell’ottica della prevenzione medica e dell’impostazione di corretti stili di vita.
Bambine e ragazze tra i 10 ed il 16 anni di età, accompagnate dalla propria madre, potranno incontrare le specialiste ginecologhe, eseguire un’ecografia pelvica a fini della prevenzione di possibili patologie specifiche della loro età, e ricevere dalla specialista consiglio sugli stili di vita e le condizioni alla base di uno sviluppo femminile sano e rispettoso della propria fertilità.
Incontro ed ecografia pelvica sono proposti alla tariffa di favore di 60 euro.
13
tori cronici e degenerativi favorenti l’invecchiamento di cute, mucose, capelli e dei tessuti in genere. Viceversa, la cessazione dei flussi mestruali ha il vantaggio di ridurre notevolmente il fabbisogno di ferro.
Quali abitudini alimentari sono consigliabili in menopausa?
Dott.ssa Mayme Mary Pandolfo Responsabile Branca di Scienza della Nutrizione Studio Medico Polispecialistico Cappuccini
L’allungamento della vita media fa sì che oggi le donne trascorrano in menopausa fino ad un terzo della propria esistenza e tale periodo si allungherà in futuro. Diviene perciò importante sapere che si può vivere questa fase della vita in salute e benessere adottando opportuni comportamenti. 14
Per prevenire l’osteoporosi, è bene assumere 1 grammo di Calcio al giorno. Con l’alimentazione si può soddisfare circa la metà di questo fabbisogno, ad esempio includendo nelle abitudini alimentari: • 1,5-2 litri al giorno di acqua calcica (contenuto di Calcio > 300 mg/L, vedi etichetta della bottiglia) possono apportare circa metà della quantità di calcio necessaria; • l’altra metà verrà fornita da 1/4 di litro di latte o 2 vasetti di yogurt e 30 gr. di grana o 50 gr. di un altro formaggio duro. In presenza di malassorbimento del latte (intolleranza al lattosio), si può assumere latte delattosato o latte di soia/riso addizionato di calcio o yogurt. Per assicurarsi l’assorbimento di calcio va, inoltre, prestata attenzione all’interazione tra alcuni nutrienti. Per esempio il tè ed il caffè, se non decaffeinati, aumentano l’eliminazione di calcio nelle urine: più di 2 tazze di caffè o 4 di tè al giorno possono aumentare il rischio di fratture. E’ bene evitare di salare eccessivamente le pietanze in cottura ed eliminare l’uso di servire il sale a tavola.
E assumere integratori alimentari è utile? E può esserlo per qualunque donna? Quali disturbi lamentano più spesso le donne in menopausa? Inizialmente, si possono manifestare le fastidiose alterazioni vasomotorie della piccola circolazione (vampate, sudorazione, ritenzione idrica) o dell’umore e del sonno (ansia, irritabilità, depressione, insonnia). Potrebbero però verificarsi anche modificazioni più lente ed insidiose come quelle metaboliche (ipercolesterolemia, demineralizzazione ossea e riduzione del metabolismo basale con incremento del peso corporeo fino a sovrappeso o obesità addominali), circolatorie (ipertensione arteriosa, aterosclerosi), processi infiamma-
Allo scopo di prevenire la maggior parte delle alterazioni metaboliche, cardiovascolari e di invecchiamento è importante, già durante il climaterio (il periodo variabile fino ad un massimo di 10 – 12 anni, che si colloca a cavallo della menopausa) iniziare ad assumere fonti alimentari di sostanze la cui struttura è simile alla vitamina D ed ai preziosi estrogeni che verranno meno con la menopausa. Queste sostanze sono vegetali e sono chiamate fitormoni e isoflavoni. Accanto a tanti benefici, è stata dimostrata anche una loro correlazione con l’insorgenza di cancro al seno. Ciò dipende dalla familiarità per tale patologia e da particolari caratteristiche cliniche di alcune donne. Pertanto il gine-
cologo o il medico nutrizionista potranno guidare la scelta verso un’ assunzione regolare o solo ciclica di tali sostanze. Esse sono: • fitormoni o fitoestrogeni. Hanno un effetto sull’equilibrio ormonale dell’organismo. Consumare cibi ricchi di fitormoni abbassa il rischio di malattie cardiache tanto che alcuni prodotti commerciali sono ormai fortificati con fitoestrogeni anche a scopo ipocolesterolemico. I cibi ricchi di fitormoni sono: riso integrale, fagioli, soia, semi di lino, tofu, melograno, rafano, rabarbaro, finocchio, tè verde; • bioflavonoidi (sostanze con attività simil-estrogenica) che alleviano vampate, ansia, alterazioni d’umore ed irritabilità. Riducono gli abbondanti flussi mestruali della premenopausa, rafforzano le pareti capillari, contribuiscono a mantenere elastici pelle e tessuti. Ne sono ricchi gli agrumi ma anche ciliegie, grano saraceno, rosa canina, peperoni verdi.
Qualche ulteriore indicazione E’ preferibile, invece, ridurre il consumo di alimenti che possano aumentare il rischio di malattie metaboliche e cardiovascolari (sindrome metabolica, dislipidemia, diabete mellito, ecc.), quali: • dolci e zuccheri, da sostituire con frutta fresca e fonti di carboidrati complessi nella giusta quantità in base al peso corporeo a cui inizia la menopausa; • l’alcool e i grassi saturi (grassi animali) che favoriscono che portano all’invecchiamento cellulare, all’ipercolesterolemia e al rischio di trombosi. In caso di modificazioni di pelle, unghie, capelli o tessuto vaginale è indicato assumere acidi grassi essenziali presenti in olio extra-vergine di oliva, noci, olio di semi di lino, verdura a foglia scura e pesce. Non bisogna comunque dimenticare il ruolo di tutti gli altri micronutrienti nel favorire un rinnovo tissutale adeguato e nel prevenire l’ossidazione e l’invecchiamento. Pertanto è sempre saggio e fruttuoso adottare uno stile di vita caratterizzato da un’alimentazione molto varia nelle scelte e da una regolare attività fisica che solleciti in modo adeguato lo scheletro. In questo modo, anche grazie al mantenimento di un adeguato peso corporeo, si può vivere la menopausa in pieno benessere fisiologico.
15
SINDROME METABOLICA Il termine sindrome metabolica ( MetS ) descrive una condizione caratterizzata da aumento del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (2-3 volte rispetto alla popolazione generale) e diabete mellito di tipo II (5 volte rispetto alla popolazione generale) e viene definita come la presenza in un individuo di tre o più fattori di rischio, quali obesità viscerale, ipertensione arteriosa, alterata glicemia e dislipidemia.
Dott. ssa Lara Guerrini Responsabile della Branca di Endocrinologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini
Dott. ssa Claudia Annoscia Branca di Endocrinologia Studio Medico Polispecialistico Cappuccini
U
n recente studio, effettuato negli Stati Uniti, ha dimostrato che circa un maschio su cinque e quasi una donna su quattro sono affetti da MetS e il rischio di sviluppare la sindrome cresce con l’aumentare dell’età, infatti è presente in quasi la metà della popolazione di età superiore a sessanta anni. La probabilità di sviluppare la sindrome metabolica è strettamente legata al sovrappeso o all’obesità e ad una mancanza di attività fisica. Un’altra causa è l’insulino-resistenza, una condizione in cui il corpo non può utilizzare la sua insulina in modo appropriato: l’insulina è un ormone che l’organismo utilizza per favorire la conversione del glucosio nel sangue in energia. La resistenza all’insulina può portare ad alti livelli di glucosio nel sangue ed è strettamente collegata a sua volta con il sovrappeso o l’obesità. Una persona può considerarsi a rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica se non svolge attività fisica e se: • è aumentato di peso, specie a livello della circonferenza della vita (questa semplice misurazione è un indice di eccessiva espan-
16
sione del tessuto adiposo viscerale, quello, cioè, che si trova all’interno dell’addome e circonda i visceri) • ha una storia di diabete • ha elevati livelli di trigliceridi nel sangue • ha elevati valori di pressione arteriosa • La maggior parte delle persone che ha la sindrome metabolica si sente bene e frequentemente non presenta sintomi, tuttavia queste persone hanno un rischio maggiore di sviluppare in futuro malattie gravi come diabete e patologie cardiovascolari.
trattamento per alti livelli di trigliceridi. • Ridotte quantità circolanti di HDL (inferiore a 40 mg/dl negli uomini o inferiore a 50 mg/dl nelle donne). • Pressione arteriosa oltre i 130/85, od in caso di trattamento farmacologico per l’ipertensione. • Elevata glicemia a digiuno (100 mg/dl o superiore), od anche se tenuta sotto controllo con farmaci. Trattare la sindrome metabolica richiede molto impegno e spesso un approccio multidisciplinare vista la genesi multifattoriale; tuttavia un cambiamento drastico dello stile di vita , eventualmente associato all’uso di farmaci, può contribuire a ridurre l’impatto dei fattori di rischio della sindrome metabolica.
Svolgere regolarmente un’attività fisica (almeno 30 minuti al giorno di camminata di buon passo), seguire un regime ipocalorico che agisca sulla perdita di peso e la sospensione dal fumo sono il punto di partenza nell’approccio al problema, il cui ruolo nel ridurre la pressione sanguigna e migliorare i livelli di colesterolo e glucosio nel sangue sono riconosciuti a livello scientifico. Sarà compito dei vari specialisti, che possono essere coinvolti in questo tipo di paziente (cardiologo, endocrinologo, nutrizionista, ortopedico…), di identificare i casi da trattare anche farmacologicamente integrando quindi il “lavoro” fondamentale che il paziente dovrà mettere in campo quotidianamente nella gestione della sua malattia.
Tab. 2 SINDROME METABOLICA: CRITERI IDF Diagnosi se circonferenza vita + ≥ 2 criteri
* tali valori si riferiscono alla razza europea
Diverse organizzazioni hanno i propri criteri per la diagnosi della sindrome metabolica, secondo alcune delle più note linee guida hai la sindrome metabolica, se si hanno tre o più di questi tratti: • Circonferenza vita elevata, superiore a 88 cm per le donne e 102 per gli uomini. Alcuni fattori di rischio genetici, come la familiarità per diabete o l’ origine asiatica, abbassano il limite della circonferenza vita (80 cm per le donne e 94 cm per gli uomini). • Elevato livello di trigliceridi pari a 150 mg/dl o superiore, o se comunque si è in
Tab. 3 VALORI DI RIFERIMENTO PER LA CIRCONFERENZA VITA IN BASE ALLA RAZZA SECONDO L’IDF
17
TEST CROMOSOPATIE
UN TEST COMBINATO PER SCOPRIRE LE CROMOSOMOPATIE
In Italia nascono ogni anno più di 500.000 bambini di cui circa 3.000 affetti da cromosomopatie. Come sappiamo, cromosomi determinano le caratteristiche di un individuo (ad esempio, razza, sesso, colore degli occhi, ecc.) ed il loro numero varia a seconda della specie vivente: negli esseri umani essi sono in totale 46.
Dott.ssa Emanuela Feraudo Specialista in Ginecologia ed Ostetricia Branca di Diagnostica per Immagini Poliambulatorio Specialistico Lab. Cl. Nomentano
18
L
a maggior parte dei bambini affetti da cromosomopatie hanno un cromosoma in più, fatto che determina il rischio di handicap sia della mente che del corpo. La cromosomopatia più frequente è la Sindrome di Down causata dalla presenza di un cromosoma 21 in più (trisomia 21). Per individuare con certezza le cromosomopatie prima della nascita occorrerebbe sottoporre ad esami invasivi, come l’amniocentesi o la villocentesi tutte le donne in gravidanza. Ciò è praticamente impossibile sia per i costi che per i problemi organizzativi connessi sia perché, trattandosi di metodiche invasive, esse generano una percentuale, seppur minima, di aborti. Di qui l’esigenza di sottoporre alla diagnostica invasiva solo le donne maggiormente a rischio di cromosomopatie. Per anni il criterio utilizzato per valutare il rischi è stato l’età materna,convenzionalmente fissata dai 35 anni in su, poiché a quest’età il rischio di sindrome di Down è di una ogni 350 gra-
vidanze. Tuttavia, prendere in considerazione esclusivamente l’età materna presenta limiti significativi: innanzitutto l’altissima percentuale di falsi positivi (circa il 45%); poi il fatto che oggi la percentuale di mamme over 35 è in costante aumento e quindi anche il numero di amniocentesi necessarie crescerebbe con i rischi ad esse connessi; infine il rischio di sindrome di Down non è ristretto alle gestanti di età superiore a 35 anni ma, addirittura, circa il 50% delle sindromi di Down si verifica con gestanti di età inferiori ai 35 anni. Su questa base, nel corso del tempo, sono stati messi a punto diverse tipologie di test non invasivi che possono essere impiegati come screening per riconoscere le donne a rischio a cui consigliare l’amniocentesi. Tali test comprendono Tri Test; Translucenza Nucale (NT); Test Integrato; Duo
Test o BiTest; Test Combinato o Ultrascreening; Ossa nasali. Un test che ha dimostrato particolare validità è il Test Combinato o Ultrascreening: esso consiste nella misurazione della translucenza nucale associata ad un prelievo di sangue con la conseguente analisi di due proteine, la Free-Beta-HCG e la PAPP-A. Il test si effettua tra la 11a e la 14a settimana di gestazione e la sua accuratezza diagnostica è
del 97% di sindromi di Down individuate con il 3% di falsi positivi. Se ad esso si associa anche la valutazione delle Ossa Nasali si arriva ad una accuratezza del 98% con falsi positivi del 2%. Questa tecnica, non invasiva, dà quindi la possibilità alla coppia di individuare madri a rischio mediante la diagnosi prenatale precoce e consente di eseguire tempestivamente anche esami diagnostici invasivi di conferma (amniocentesi e villocentesi).
AMNIOCENTESI
E VILLOCENTESI L’amniocentesi consiste in un prelievo di liquido amniotico mediante una puntura con ago sottile attraverso la parete addominale, sotto controllo ecografico, per cui non è necessaria l’anestesia. Di solito si esegue ambulatorialmente intorno alla 16°-17° settimana di gravidanza e provoca una sensazione paragonabile a quella di una iniezione intramuscolare. Il prelievo di villi coriali, o villocentesi, consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di tessuto coriale dalla placenta alla 10°-11° settimana di gravidanza. E’ un prelievo che si effettua in regime ambulatoriale, sotto controllo ecografico, con un ago attraverso la parete addominale materna, fino a raggiungere la parete uterina. Solitamente i due esami si eseguono quando l’età materna è uguale o superiore a 35 anni alla data del concepimento, quando il precedente figlio è nato con anomalie cromosomiche o altre, quando è stato individuato un rischio elevato con Test di Wald, Traslucenza Nucale, Ultrascreening, Test Combinato, Test Integrato, o quando i genitori risultano portatori di alterazioni cromosomiche.
19
Affrontiamo il mal di schiena Dott. Mauro Fiorentino Fisioterapista
Q
uello che viene normalmente chiamato “mal di schiena” e che affligge la gran parte degli esseri umani si manifesta in realtà in diverse forme a seconda di quale sia la porzione di schiena interessata: si distinguono cosi dolori della parte alta, le cosiddette “cervicalgie” (perché riguardano le vertebre cervicali), le parte media, le “dorsalgie” (poiché interessano il tratto dorsale) e la parte inferiore della colonna vertebrale (ovvero le vertebre lombari) detta “lombalgia”. Quest’ulti20
mo tipo di mal di schiena è in realtà il più comune ed è per questo che gli dedicheremo il nostro primo articolo su questo doloroso argomento e sui suoi possibili rimedi. Che il problema riguardi quasi tutti noi lo dice la statistica: nei paesi sviluppati, dal 60 all’80% della popolazione soffre di dolori vertebrali ed il 15% ha episodi di dolore della durata di almeno due settimane. Le lombalgie si possono presentare in forme diverse (acuta o cronica) e comparire progressivamente o bruscamente, ma la fonte del problema è sempre la medesima: in pratica il doloro è causato da un disco vertebrale danneggiato (o suoi frammenti) che comprime in modo anomalo ed eccessivo le radici della vertebra successiva. A questo dolore che
in termine tecnico si direbbe “meccanico” se ne aggiunge, come se non bastasse, un altro dovuto all’infiammazione delle parti conseguente alla compressione. Il dolore si manifesta spesso a seguito di una “causa scatenante” che amplifica un problema in realtà già in essere: tipicamente un nostro improvviso movimento di estensione del tronco quale quello che mettiamo in atto nel sollevare un peso da terra. A quel punto, però, è importante non peggiorare la situazione facendo assumere al nostro corpo (che ha la tendenza a farlo naturalmente) posizioni “di difesa” le quali, se da un lato riducono il dolore, dall’altro possono produrre ulteriori danni. Ad esempio, una postura errata può indurre una scoliosi oppure la contrattura di difesa della muscolatura paravertebrale induce una generale rigidità della schiena. A seconda dei casi, il dolore può essere limitato alla schiena oppure – ahinoi – espandersi oltre.. Infatti, se il problema interessa le vertebre lombari più “alte” (L3, L4), per compressione dischi vertebrali o artrosi, il dolore si irradia sulla fascia anteriore della coscia, il riflesso rotuleo può essere compromesso ed il muscolo quadricipite indebolito. Se invece il problema è relativo ad una zona più “bassa” (vertebre da L4, L5 o S1), il dolore si irradia lungo la superficie posteriore della
coscia, passa sul lato esterno della gamba e raggiunge l’alluce oppure (nel caso della vertebra sacrale S1) il dolore interessa oltre la superficie posteriore anche quella della gamba per estendersi poi al lato esterno del piede e delle ultime dita. Le diverse forme di lombalgia possono essere individuate e diagnosticate velocemente attraverso una visita ortopedica che ne individua le origini e le caratteristiche per poter poi mettere in atto le migliori tecniche terapeutiche. A tal proposito, il trattamento terapeutico di tutte queste forme di lombalgia si basa essenzialmente su fisioterapia, riposo e farmaci nel caso si presentasse la necessità. La fisioterapia avrà l’obiettivo di ridurre l’infiammazione ed dolore attraverso l’utilizzo di metodiche quali Laser, Tens e Ionoforesi. Avendo contrastato ed eliminato il dolore, si passerà poi a terapie finalizzate ad eliminare le contratture muscolari “difensive” di cui abbiamo detto prima: in tale ambito si utilizzeranno massaggi e Tekar terapia. Dopo aver ridotto l’infiammazione ed il dolore sarà necessario porre le basi affinché una corretta postura generale e la correzione di deviazioni della colonna vertebrale che nel tempo si fossero acquisite ci consentano di prevenire il verificarsi di nuovi fenomeni di mal di schiena: la Ginnastica Posturale ci aiuterà per raggiungere questo obiettivo. Essa, dopo aver acquisito la necessaria esperienza guidati dal fisioterapista, diverrà un esercizio che potremo effettuare quotidianamente a casa nostra con grande beneficio per la nostra amatissima schiena.
21
L’attuale crisi economica, iniziata nel 2008 negli Stati Uniti e propagatasi come un virus influenzale a tutto il resto del mondo, ha visto negli ultimi due anni il suo picco anche in Italia. Aritmie, crisi cardiache, talvolta addirittura l’infarto, sono patologie che hanno un forte legame con la psiche: stati d’ansia o depressione sono infatti a pieno titolo fattori di rischio importanti per il sistema cardiovascolare. Così le difficoltà nel fronteggiare la crisi economica stanno portando ad un generale aumento della sofferenza cardiaca per gli italiani. Questi dati emergevano già dal Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia nel 2009.
devono comunicare ai dipendenti che è giunto il momento di arrendersi alla crisi. Piccoli imprenditori, artigiani ed il piccolo grande esercito di partite IVA che ha reso grande l’economia italiana, vedono improvvisamente venir meno il loro volume di affari. Gli operai e gli impiegati, spesso parte di famiglie monoreddito, vivono uno stress quotidiano in famiglia legato all’aumento dei costi della vita ed a quella spada di Damocle rappresentata dalla perdita del posto di lavoro. Infine i pensionati costretti a tirare la cinghia, anziani spesso già
o peggiorare le cattive abitudini moltiplicando il numero delle sigarette per soffocare l’ansia. Così il rischio per il cuore cresce di giorno in giorno. Eppure non cadere nel tranello della crisi non è particolarmente difficile. La letteratura scientifica internazionale, è concorde nell’affermare che una delle armi principali che abbiamo a disposizione per combattere o prevenire le malattie cardiache è la dieta mediterranea. Una dieta semplice, ricca di frutta e verdura (alimenti generalmente meno costosi delle carni pregiate la cui assunzione
Dott. Antonio Saponaro Specialista in Cardiologia Poliambulatorio Specialistico Lab. Cl. Nomentano
Il cuore e la crisi, la crisi del cuore il cuore degli italiani cede, colpa anche della crisi
L
a perdita del posto di lavoro, la cassa integrazione, l’angoscia della quarta settimana del mese, il timore del domani soprattutto per i figli, il venir meno delle tradizionali certezze provocano ansia, stress e molti nuovi casi depressione: in Italia, nel 2009 quasi 7 italiani su 100 hanno sofferto di un episodio depressivo. L’instabilità emotiva ha conseguenze pesanti sul sistema cardiovascolare. Tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito nell’Atlante delle malattie cardiache, tra i fattori di rischio modificabili, proprio la depressione, lo stress e il basso stato socioeconomico. Questo quadro si inserisce drammaticamente in un momento sto-
22
rico in cui i progressi nelle terapie mediche e l’accresciuta sensibilità degli Italiani nei confronti della prevenzione avevano ridotto il numero delle malattie cardiovascolari, le loro complicanze e migliorato la prognosi dei pazienti affetti da un primo evento. Le problematiche cardiologiche legate alla crisi economica riguardano e possono coinvolgere tutte le classi sociali anche se prediligono le classi sociali meno abbienti. I manager, per esempio, vivono una situazione di grande stress non solo per le sorti della propria azienda e per l’incertezza di conservare il posto di lavoro, ma anche per le sorti dei propri dipendenti e collaboratori. È un momento di grande sofferenza per cuore e cervello quello in cui
sofferenti di malattie cardiache o ad elevato profilo di rischio cardiovascolare, come chi è in cura per malattie quali diabete, ipercolesterolemia e/o ipertensione arteriosa, possono essere costretti da fattori economici a ridurre o cambiare le cure, con conseguenze pericolose per la salute. Poi ci sono le abitudini e gli stili di vita. Il rischio più grande connesso con questa congiuntura economica è quello di tagliare spese ritenute superflue come palestra, piscina e vacanze e perdere la voglia, a causa dell’abbassamento del tono dell’umore, di andare a passeggiare, a correre, a fare la partitella settimanale di calcetto. Inoltre, lo stress può spingere a mangiare disordinatamente
andrebbe limitata ad un solo pasto a settimana), pesce azzurro (sgombro, alici, merluzzo più salutari ed economici di sontuose orate e spigole), povera in grassi animali (salumi e formaggi). Ultima considerazione, la consapevolezza dei disagi economici che vive la popolazione generale, ha consentito il moltiplicarsi di offerte di check-up di prevenzione cardiovascolare accessibili praticamente a tutte le fasce di reddito: basta vedere il protocollo di prevenzione del Nomentano riportato qui accanto !
23
Olio d’oliva, ossa ed articolazioni: un tris inaspettato! Dott. Fabio Sciarretta Chirurgo Ortopedico Responsabile della Branca di Ortopedia Poliambulatorio Specialistico Nomentano
Tutti noi sappiamo che l’olio d’oliva fa bene. Fa parte del nostro DNA familiare l’aver sentito raccontare quanto importante sia nella dieta la presenza e l’adeguato uso dell’olio extravergine d’oliva. E queste conoscenze vengono da molto lontano. Infatti, già ai tempi di Omero, l’olio d’oliva era ritenuto indispensabile per l’igiene del corpo e per la cosmesi, tanto che nell’Odissea, Afrodite veniva descritta unta dalle Grazie con l’olio d’oliva.
24
A quei tempi l’olio veniva usato anche per pulire e guarire le ferite, per aiutare i guerrieri a risolvere con massaggi muscolari e articolari i vari traumi osteoarticolari e poi per ravvivare e conservare i capelli e il loro colore naturale. Successivamente è stato impiegato per la cura dei sofferenti di stomaco, di fegato e d’intestino, delle ustioni e per preservare la cute dai raggi solari. Nei Giochi Olimpici i vincitori delle gare, oltre a ricevere come riconoscimento il ramoscello d’olivo, avevano in dono anfore piene di olio di prima qualità. Dopo Omero anche Ippocrate ha consigliato l’uso dell’olio: succo di olive fresche nelle malattie mentali e impacchi di olive macerate per guarire le ulcere. Diversi secoli più tardi, Plinio il Vecchio era giunto alla conclusione che «due sono i liquidi più graditi al corpo umano: all’interno il vino, all’esterno l’olio» ed aveva rilevato che esso veniva usato insieme ad altre sostanze per preparare molti medicamenti. Nel Rinascimento l’olio di oliva è stato inoltre usato per curare le infezioni ginecologiche e fino alla fine dell’Ottocento anche per curare l’otite e come blando purgante. Fino a pochi anni fa - prima della disponibilità della vitamina D - gli anziani agricoltori lo impiegavano per massaggiare i bambini rachitici. Ma i pregi dell’olio hanno continuato ad essere apprezzati anche in anni più recenti ed esso è divenuto oggetto di studi scientifici, soprattutto in cardiologia e dietologia. Addirittura, la
prestigiosa struttura americana Mayo Clinic ha affermato che “L’olio d’oliva contiene grassi monoinsaturi, un tipo più sano di grasso che può ridurre il rischio di una malattia di cuore, riducendo i livelli del colesterolo totale e delle “cattive” lipoproteine a bassa densità LDL nel sangue. Al contrario, i grassi saturi quali burro, grassi animali, oli tropicali, e gli oli parzialmente idrogenati aumentano il rischio di malattie cardiache, aumentando i livelli di colesterolo totale e LDL”. Ma in tempi più recenti si vanno apprezzando anche altre peculiari possibilità terapeutiche dell’olio d’oliva. Un lavoro pubblicato sul British Journal of Nutrition ha suggerito che sostituire nella dieta i grassi saturi con l’olio d’oliva (un grasso monoinsaturo), può tradursi in una perdita piccola ma significativa sia del peso corporeo che della massa grassa senza cambiare nient’altro nell’alimentazione od aumentare l’attività fisica. Quindi possiamo concludere che la letteratura scientifica ha ormai dimostrato come l’olio d’oliva aiuti a contrastare le patologie cardiache, incida sul diabete e sulle funzioni del fegato, dello stomaco e dell’intestino. Ma questa è storia nota e serve solo quale introduzione alle novità che, quale ortopedico, ho da riferirvi sul nostro amato olio. I dolori articolari sono uno dei tanti segni degli anni che passano. Ognuno di noi chi, chi più chi meno, inizia a soffrire dell’artrosi, cioè di quel processo che compor-
ta la degenerazione delle articolazioni. A seconda delle articolazioni interessate (dita delle mani o dei piedi, colonna vertebrale in una o più parti, ginocchia, gomiti, anche), l’artrosi può manifestarsi in modo diverso, con sintomatologie più o meno dolorose. Ma talvolta a soffrire possono essere muscoli e tendini, costretti ad uno sforzo eccessivo per sostenere un’articolazione dolorante: un ginocchio artrosico, che duole camminando, può causare l’irrigidimento del muscolo circostante, che poi comincerà a provocare dolore, perché resta contratto. L’artrosi è in genere accompagnata da rigidità nei movimenti, proprio perché le articolazioni si muovono con maggiore difficoltà. Benché il fenomeno sia legato all’età, non tutti ne soffrono allo stesso modo: i fattori che influiscono sono infatti numerosi, e tra questi anche traumi e lesioni. Altri elementi, come l’uso di tacchi alti, possono influire negativamente su ginocchia e anca, o le scarpe a punta possono causare l’alluce valgo, con conseguenti dolori articolari in tutta l’area. Un’altra possibile causa è la sedentarietà. L’artrosi, come abbiamo detto, è un processo inevitabile. Ma per arginarlo e impedire che degeneri troppo, la dieta può fare la sua parte: la scelta di cibi adeguati (verdure crude e cotte in abbondanza, frutti, cereali integrali, semi di lino, olio extravergine, legumi) può contribuire a prevenire e ad alleviare questa ed altre forme di malattie reumatiche. Tra queste alcune malattie rare come l’artrite reumatoide, malattia autoimmune particolarmente dolorosa, le spondiloartriti, un insieme di patologie che hanno alcune caratteristiche in comune e colpiscono in modo particolare la colonna vertebrale e le articolazioni sacro-iliache, e la comune artrite. Quest’ultima si differenzia dall’artrosi perché si tratta di un fatto infiammatorio che può interessare a ogni età, anche un ventenne. Tutte le forme reumatiche traggono giovamento da una dieta antinfiammatoria che escluda l’alcol e riduca al minimo proteine animali (in particolare carni rosse, frattaglie e selvaggina, latticini), cereali raffinati, grassi cotti. La Scienza ora ci dice che l’olio d’oliva aiuta ad alleviare i dolori alle articolazioni così come fanno i farmaci, ma senza gli effetti collaterali dannosi per le articolazioni. Alcuni studi hanno infatti dimostrato che un composto presente nell’olio chiamato oleocantale previe-
ne la formazione degli enzimi pro-infiammatorii COX-1 e COX-2 con le stesse modalità dei farmaci anti-infiammatori non steroidei, i cosiddetti FANS. Inibendo tali enzimi, vengono attenuate l’infiammazione e l’aumentata sensibilità al dolore ad essa connessa. L’oleocantale è responsabile del cosiddetto “morso alla gola”, cioè quel sapore forte che si avverte deglutendo l’olio. I ricercatori hanno affermato che 50 millilitri d’olio - cioè quasi quattro cucchiai da tavola hanno un’azione pari a quella di una compressa da 200 mg di ibuprofene, uno dei composti anti-infiammatori più diffusi. Tutto questo avviene, come dicevo, senza gli effetti collaterali invece presenti - come conferma uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet - con l’uso prolungato dell’ibuprofene e di altri FANS, che, oltre a poter provocare sanguinamento intestinale e danni renali, causano un danneggiamento dei tessuti articolari, soprattutto in coloro
25
che affetti da artrosi dell’anca hanno fatto forte affidamento sui FANS. Il paracetamolo - altro farmaco anti-infiammatorio - non danneggia le articolazioni, ma è ancora pericoloso: l’avvelenamento da paracetamolo, legato ad una sua assunzione eccessiva, ha superato l’epatite come causa principale di insufficienza epatica acuta. Una caratteristica importante che sta sempre più emergendo è quella di impiegare sempre di più l’olio extra vergine di oliva spremuto a freddo, ad esempio nel delizioso pesto, nei condimenti per insalata e come salsa di immersione per il pane artigianale. Ricordate però che l’olio va conservato al fresco, lontano dalla luce e ben chiuso. Infatti, più diventa vecchio più perde potere anti-infiammatorio mentre tale potere raggiunge il suo picco entro i due o tre mesi dopo la sua pressione. L’olio d’oliva, secondo una recente ricerca dell’Università’ di Oxford presenta anche un’altra raccomandazione ortopedica. Infatti, esso contiene acidi grassi simili a quelli riscontrati nel latte umano ed è quindi particolarmente raccomandato negli anziani per favorire l’assimilazione dei minerali e delle vitamine al fine di stimolare la mineralizzazione dell’osso e quindi prevenire la perdita di calcio, l’osteoporosi e le fratture della colonna vertebrale e dell’anca indotte dall’osteoporosi. Da uno studio condotto in Grecia su una popolazione con una dieta particolarmente ricca di olio d’oliva, si è anche visto come tale dieta peculiare possa ridurre l’incidenza dell’artrite reumatoide, grazie all’elevato contenuto in vitamina E, uno degli antiossidanti naturali più conosciuti (un cucchiaio da tavola d’olio extra vergine d’oliva fornisce l’otto per cento della dose giornaliera raccomandata di vitamina E) ed all’elevato contenuto di polifenoli. Queste ultime sostanze da un lato proteggono l’olio stesso dall’ossidazione da parte dell’ossigeno mentre, contemporaneamente, attuano una forte azione antiossidante anche sul nostro organismo. Concludo con una frase riportata nel lavoro precedentemente descritto: “L’olio d’oliva è uno dei migliori amici delle articolazioni. E’ un potente anti-infiammatorio che previene il dolore e blocca la progressione dell’osteoartrosi e dell’artrite reumatoide. Mangiane un pò tutti i giorni, a partire da oggi…”
26
27
Interviste di FABRIZIO SCIARRETTA
Intervista al Dr. Pierluigi Bartoletti
Presidente Bartoletti, FIMMG Lazio ha in queste settimane presentato la sua proposta per una nuova “sanità territoriale” nella Regione Lazio la quale si pone anche l’obiettivo di far si che la manovra di contenimento della spesa sanitaria regionale non intacchi il diritto alla salute dei cittadini. Ce ne spiega i contenuti e le modalità di attuazione? Per spiegare cosa abbiamo in mente dobbiamo anzitutto partire da un assunto: non potrà mai esistere un sistema ospedaliero efficace ed efficiente se non esiste contemporaneamente un sistema territoriale che lo sia altrettanto e si deve trattare di un sistema territoriale realmente in grado di farsi carico di tutte le esigenze di salute dei cittadini che non siano di specifica spettanza dell’ospedale. Nel Lazio, invece, veniamo da anni di programmazione sanitaria sbagliata, fortemente ospedalecentrica, che ha portato dove siamo oggi, cioè in una situazione dove la spesa sanitaria destinata al mantenimento degli ospedali è talmente ingente da far si che non vi siano risorse residue per attivare un sistema territoriale. Noi proponiamo una logica diversa, che definiamo “di filiera”, ovvero basata sull’idea di costruire sul territorio una filiera assistenziale in grado di farsi carico di tutte le patologie non specificamente ospedaliere integrando tutte le “risorse” già oggi presenti ed attive. In altre parole: gli ospedali
28
andranno dedicati agli acuti, possibilmente caratterizzandosi per una forte specializzazione per patologia, mentre medici di famiglia, distretti delle ASL, poliambulatori privati-accreditati e cooperazione dovranno soddisfare tutta l’assistenza necessaria tanto ai pazienti non acuti quanto al post acuzie. Procediamo per gradi: FIMMG Lazio ha presentato un’ipotesi che vede attiva un sistema a più livelli fatto da ambulatori di zona, centri intermedi ed ospedali di zona. Ce lo descrive anche nei rapporti tra i vari livelli? Partiamo dagli ambulatori di zona. Oggi operano nel Lazio circa 4.800 medici di famiglia e 800 pediatri di libera scelta. Circa 3.860 sono già oggi raccolti nelle cosiddette Unità di Cure Primarie e circa il 50% di questi colleghi appartengono ad UCP operanti in un’unica sede e quindi particolarmente adatte ad offrire ai pazienti orari di servizio prolungati. Per la precisione, a Roma e provincia operano circa 220 UCP in sede unica mentre altre 160 sono presenti nelle restanti provincie laziali. Questi sarebbero gli “ambulatori di zona”. Che dovrebbero arrivare ad essere 600 in tutto il Lazio e per i quali procederemo a definire più compiutamente le attività da effettuare e gli standard assistenziali da garantire. Comunque, dovranno essere attrezzati in modo da poter fare un primo livello di diagnosi anche se non
Pierluigi Bartoletti, Segretario Regionale per il Lazio della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG) ha recentemente annunciato le proposte FIMMG per la riorganizzazione del Servizio Sanitario Regionale. SalutePiù lo ha incontrato per approfondire l’argomento. specialistica e risolvere i problemi più immediati, immaginiamo un tappo di cerume. Il secondo livello sarà rappresentato dai distretti delle ASL e dai laboratori e poliambulatori privati-accreditati o anche del tutto privati dove il paziente potrà accedere a servizi di diagnostica e di specialistica diciamo così di “2° livello”. Fin qui siamo ancora nel mondo dell’ambulatorio, cioè dove non è prevista la degenza. Il passo successivo è quello dell’ospedale di zona dove può certamente esservi anche la diagnostica di 2° livello ma dove in primis verrà localizzato il day surgery e, soprattutto, la degenza post acuzie. In altre parole, il paziente dimesso dall’ospedale per acuti (che potremmo chiamare di 1° livello) verrà ricoverato per la convalescenza o la riabilitazione in un ospedale di zona dove, mediamente, la degenza costa 1/6 di quanto verrebbe a costare in un ospedale per acuti. Parliamo di un risparmio importantissimo, che potrebbe anche servire per finanziare il sistema territoriale. Esattamente. Ma guardi che non le sto raccontando il libro dei sogni. Basta mettere a confronto Londra e Roma. Londra ha 9 ospedali, quasi tutti altamente specializzati, Roma 29, cioè venti di più, quasi tutti generalisti. Londra ha una rete ospedaliera fondata sull’altra specializzazione e per poi inviare il paziente verso strutture focalizzate sulla fase di post acuzie. Noi tutto il contrario. Mi faccia dire una cosa con chiarezza, senza diplomazia: se il sistema ospedaliero non cambia, parlare di territorio vuol solo dire illudere la gente, perché il drenaggio di fondi effettuato dal sistema sarà totale non lasciando alcuno spazio ad un vero sistema territoriale.
Guardi, faccio un altro esempio, altrettanto macroscopico: nel Lazio ci sono 28 Pronto Soccorso, 20 DEA di 1° livello (Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione, ndr), 5 DEA di 2° livello. I problemi di queste strutture li leggiamo purtroppo sui giornali, quindi non me li invento io. Il punto è che i cittadini ricorrono al pronto soccorso perché non trovano sufficiente assistenza sul territorio: se la trovassero, noi potremmo ridurre il numero di queste strutture e portare a casa un ulteriore grande risparmio. Dottor Bartoletti, un ultima domanda: lei, parlando della vostra proposta, ha chiamato a raccolta tutte le forze presenti sul territorio. E’ finalmente giunto il momento di superare gli steccati oggi ancora esistenti e, probabilmente, del tutto illogici. Si, credo proprio sia venuto il momento e proprio perché sono del tutto illogici. Perché il sistema del territorio funzioni non possiamo continuare con le vecchie frammentazioni. Medici di famiglia, strutture pubbliche, strutture private, sistema delle cooperative devono tutti lavorare insieme dando il meglio delle loro competenze e senza preconcetti. Ma dobbiamo anche portare sul territorio gli specialisti ambulatoriali degli ospedali in modo che possano venire a visitare presso i centri di 2° livello portando sia la loro competenza che una naturale capacità di integrazione verso l’ospedale. Quello che conta è innalzare il livello di servizio offerto ai cittadini e, in più, portarlo sempre più vicino alle loro case.
Intervista al Dr. Giancarlo Sforza In un momento nel quale, con l’avvio dell’attività della Giunta Zingaretti, si confrontato proposte e punti di vista sull’evoluzione del Sistema Sanitario Regionale, SalutePiù ha incontrato Giancarlo Sforza, Presidente di ANISAP Lazio (Associazione Nazionale Istituzioni della Sanità Ambulatoriale Privata), la maggiore rappresentanza di categoria della sanità ambulatoriale privata-accreditata regionale, per discutere del punto di vista della sua associazione su questo delicatissimo tema.
Presidente Sforza, il Governatore Zingaretti, nel suo discorso di avvio della legislatura regionale, ha affermato come prioritario l’avvio di un “nuovo sistema di sanità territoriale, per riportare l’assistenza e le cure vicino ai cittadini e affrontare lo squilibrio che oggi caratterizza il rapporto tra Roma e le province”. ANISAP Lazio di che avviso è? Mi lasci dire che se fossi stato io al posto dell’Onorevole Zingaretti avrei affermato la stessa identica priorità con le medesime parole. Non può che esservi identità di vedute tra la strategia individuata dal nostro Governatore e la posizione di ANISAP Lazio: bisogna superare una situazione che vede gli ospedali generalisti come riferimento principale per soddisfare la domanda di salute della popolazione ed affermare una visione che esalta appunto il ruolo del territorio creando uno stretto coordinamento tra tutte le risorse lì presenti: medici di famiglia, distretti delle ASL, strutture ambulatoriali private-accreditate, quali le nostre, organizzazioni che si occupano di assistenza domiciliare. L’ospedale deve essere il luogo della cura del paziente acuto,
cioè che necessita di terapie chirurgiche, non un luogo di degenza o di effettuazione di visite e diagnostica ambulatoriali. Se queste sono le linee generali, temo però che lei sia un po’ meno d’accordo con il Governatore quando si passi alle modalità di attuazione. In prima battuta, l’On. Zingaretti ha affermato di puntare sullo strumento delle Case della Salute, da aprire fin da subito e che fungano anche da presidi ospedalieri del territorio attivi come punti di primo soccorso e cure rapide nonché centri ambulatoriali? Conosco ovviamente bene le dichiarazioni a cui lei fa riferimento ma credo che esistano importanti spazi di ottimizzazione e che la Giunta Zingaretti sia aperta al dialogo con le parti sociali. Il nostro punto è semplice: da sempre esistono i distretti ASL che sono, diciamo così, delle strutture poliambulatoriali che possono benissimo anche svolgere funzioni di primo soccorso, così come esistono ospedali per i quali è stata valutata la chiusura e potrebbero utilmente essere riconvertiti. Se vogliamo indicare queste
strutture con il termine di Case della Salute, io proprio non ho nulla in contrario. Il mio punto è un altro. Come cittadino, prima ancora che come rappresentante della mia categoria, io dico che la Regione ha il dovere di valorizzare le strutture di cui già dispone sul territorio, ad iniziare, appunto, dai distretti a dagli ospedali da riconvertire. Dico però anche che sarebbe incomprensibile ed anzi dannoso per le finanze pubbliche e per l’assistenza sanitaria se dimenticasse che nel Lazio già oggi operano per conto della Regione 610 strutture ambulatoriali privateaccreditate che sono proprio quei centri specialistici territoriali di cui l’On. Zingaretti parla. Io credo fermamente che noi possiamo rappresentare, insieme ai medici di famiglia ed alle organizzazioni dell’assistenza domiciliare gli snodi su cui fondare la riforma della sanità laziale che il Governatore propone. Mi scusi se insisto, ma qualche mese fa, in un’altra intervista che lei ha rilasciato a SalutePiù, lamentava come proprio l’ambulatorietà privata-accreditata fosse la “cenerentola” della programmazione sanitaria. Ci sono novità in proposito? Ricordo cosa le dissi e temo che le mie convinzioni non siano da allora mutate: l’ambulatorietà privata-
accreditata è senz’altro la cenerentola ignorata dalla programmazione sanitaria ed il nuovo tariffario nazionale promulgato dal Ministro Balduzzi contiene tariffe così basse da far si che, se venissero effettivamente applicate, anche la carrozza si trasformerebbe in zucca e la stessa sopravvivenza del sistema ambulatoriale privato-accreditato sarebbe a rischio. Credo anche però, come accennavo prima, che l’On. Zingaretti sia persona aperta al dialogo e credo anche che la nostra proposta di valorizzare il ruolo delle nostre strutture sia inoppugnabile: noi siamo già capillarmente presenti sul territorio, offriamo già tutti i servizi sanitari necessari prontamente e di altissima qualità. Storia ben diversa sarebbe se la Regione intendesse aprire nuove case della salute in quanto dato il notevole impegno finanziario richiesto per la loro apertura e data la severa congiuntura economica attuale, si troverebbe sicuramente in un secondo momento costretta a tagliare le prestazioni sanitarie ai cittadini. Ecco perché le dico che se la Regione si dimenticasse di noi commetterebbe una follia.
29
Ipertensione e sale ma quanto ne dobbiamo usare? Dott. Antonio Saponaro Specialista in Cardiologia Poliambulatorio Specialistico Lab. Cl. Nomentano
Secondo il nostro Ministero della Salute, gli italiani consumano molto più sale di quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (ovvero meno di 5 grammi al giorno), con valori medi di 12 grammi per gli uomini e 9 grammi per donne (con valori più elevati per le regioni del Sud). Inoltre i soggetti ipertesi consumano solo un 1 grammo al giorno in meno della media della popolazione, contrariamente alle raccomandazioni mediche che invitano gli ipertesi a ridurre decisamente il consumo di sale. Nei bambini il consumo di sale aumenta progressivamente con l’età attestandosi su valori elevati già all’età di 9 anni (8 grammi al giorno). Per modificare questo stato di cose, il Ministero della Salute si è mosso stipulando accordi con le industrie alimentari che hanno determinato la riduzione del quantitativo di sale in diverse tipologie di pani, di paste fresche e primi piatti pronti surgelati. Per consentire ad ognuno di noi di fare scelte oculate ed adottare uno stile di vita il più possibile sano, è certamente utile comprendere a cosa serva il sale per il nostro organismo e quali siano le conseguenze – positive e negative – della sua assunzione. Partiamo dal fatto che il nostro organismo ha bisogno di una sostanza – il Sodio – che aiuta a regolare la pressione sanguigna, il controllo del bilancio idrico (quantità di liquidi ingeriti - quantità di liquidi espulsi con urine, sudore, respiro, etc...) e mantiene le condizioni adatte al funzionamento dei muscoli e dei nervi. In media in un uomo adulto sono presenti circa 90 g di sodio di cui la metà si trova nel sangue, circa un terzo nelle ossa e il resto all’interno delle cellule. Ciò detto, quella sostanza che comunemente chiamiamo Sale altro non è, in chimica, che il Cloruro di Sodio (NaCl) il quale viene utilizzato dai tempi antichi per conservare e insaporire gli alimenti ed è inoltre è presente naturalmente in tutti i cibi: una volta scarsissimo, il sale era prezioso come l’oro. Adesso con la moderna tecnologia è ampiamente di30
sponibile ed a bassissimo prezzo. Il sale svolge per l’essere umano, esattamente la stessa funzione del sodio e quindi non è di per sé dannoso ma anzi necessario: il problema sta nelle quantità che se ne assumono. A tal proposito, come guida approssimativa, è utile tener presente a 1g di sodio equivalgono 2,5g di sale. L’apporto giornaliero medio di sodio non dovrebbe superare i 5 grammi al giorno, sebbene negli adulti lo stato di salute possa essere mantenuto con meno di 0,5 g al giorno. I fabbisogni aumentano quando le perdite sono alte come durante il periodo mestruale, la lattazione o in caso di sudorazione eccessiva. Ma perché il sale è così amato dagli italiani che ne consumano in media 12 grammi per gli uomini e 9 grammi per le donne, specialmente nelle regioni meridionali in cui se ne consuma anche di più, e così tanto osteggiato dai medici al punto che il Ministero della Salute ha emesso un nuovo recente comunicato stampa in cui rende note tutta una serie di iniziative volte a ridurre la quantità di sale nella dieta degli italiani? Proviamo a spiegarlo in maniera semplice. La capacità del rene di espellere o conservare il sodio rappresenta il fattore chiave per la regolazione della pressione sanguigna. La maggior parte degli studi dimostrano che una riduzione dell’apporto di sale riduce la pressione sanguigna, in modo particolare nei soggetti ipertesi, in quelli obesi e negli anziani. La risposta alla riduzione dell’apporto di sale varia però enormemente tra gli individui e potrebbe non portare dei benefici misurabili alle persone che rientrano nei range di normalità (quelli cioè che hanno normali valori pressori). Al contrario, la riduzione della pressione sanguigna è correlata a un aumentato apporto di potassio, molto probabilmente per la capacità del potassio di aumentare l’eliminazione del
sodio e per il suo effetto vasoattivo selle arterie. Un consumo eccessivo di sale può favorire l’instaurarsi dell’ipertensione arteriosa, soprattutto nelle persone predisposte. Nelle ricette è classico trovare nell’elenco degli ingredienti l’acronimo qb (che sta per quanto basta) per la quantità di sale da cucina da usare. Il “quanto basta” però è una misura soggettiva e per noi italiani, abituati ai piatti saporiti, si traduce in consumo di sale di molto superiore al fabbisogno giornaliero. In media consumiamo più di 10 grammi a testa al giorno che sono, decisamente, troppi se il nostro obiettivo è prevenire problemi di pressione arteriosa. Un consumo eccessivo di sale può favorire l’instaurarsi dell’ipertensione arteriosa, soprattutto nelle persone predisposte. È infatti dimostrato che elevati apporti di sodio (che è contenuto nel sale) aumentano il rischio per alcune malattie del cuore, dei vasi sanguigni e dei reni, sia attraverso l’aumento della pressione arteriosa sia indipendentemente da questo meccanismo. L’evidente collegamento dietetico tra il sale e la pressione sanguigna è stato rivisto in modo esaustivo dalla letteratura scientifica nelle ultime due decadi e le relative implicazioni di sanità pubblica sono state attentamente considerate da commissioni di esperti in tutti i Paesi del mondo, compresi il Regno Unito e gli Stati Uniti. Poiché non ne sono necessarie quantità elevate, si raccomanda di assumere non più di 5-6g di sale (22,4g di sodio) al giorno. Inoltre è importante consumare 5 porzioni di frutta e verdura al giorno in quanto possiedono molti effetti benefici per la salute compreso quello di aumentare l’apporto di potassio.
50 euro
31
GALILEO FABRIZIO SCIARRETTA
32
33
2
1
• nel 966 viene eletto Abate Giovanni III che rimane in carica trent’anni consentendo a Farfa di tornare quella di un tempo. Nel 996 l’imperatore Ottone III la visita e successivamente (sotto l’Abate Ugo) le concede il privilegio di eleggere autonomamente il proprio abate. Farfa torna ad essere pienamente Abbazia Imperiale • l’XI secolo è caratterizzato dal conflitto tra impero e papato intorno alla cosiddetta “lotta per le investiture”. Quando Enrico V riconferma (come erano soliti fare gli imperatori quando salivano al trono) nel 1118 all’Abbazia le sue proprietà, questi si estendono in numerose aree dell’Italia Centrale • nel 1122 il Concordato di Worms segna una tregua nel conflitto tra papato ed impero ma anche dell’autonomia di Farfa ed il suo passaggio sotto il controllo di Roma • il XII e XIII secolo sono un periodo non felice nella storia dell’Abbazia dovuto anche agli attacchi che il suo patrimonio subiva da parte delle famiglie aristocratiche romane in continua lotta tra di loro • nel 1400 Papa Bonifacio IX istituisce per Farfa la figura dell’Abate Commendatario, il quale aveva la gestione del patrimonio dell’Abbazia. In tale ruolo, si alternarono prelati provenienti da casate di prima importanza: nel 1496, il Cardinale Giovan Battista Orsini completa il restauro dell’Abbazia • nel 1567, Farfa entra a far parte della Congregazione Cassinese • nel 1798 Farfa è saccheggiata dalle truppe napoleoniche e, nel 1861, viene confiscata, in quanto bene ecclesiastico, dallo stato italiano. Superati anche questi momenti, dal 1921 l’Abbazia con appartiene alla comunità benedettina di S. Paolo fuori le Mura • nel 1928, a testimonianza del suo valore storico, artistico e spirituale, l’Abbazia di Farfa è dichiarata Monumento Nazionale
34
35
36
37
Davide Granieri: la Città Eterna prima testimonial dell’olio DOP Sabina David Granieri – Presidente di Coldiretti Roma e Lazio – è un “Sabino DOC”: infatti è di Nerola e nel territorio di questo comune ha anche sede la sua azienda agricola. Lo abbiamo incontrato per fare il punto sulle ultime iniziative di Coldiretti a supporto dello sviluppo dell’agricoltura regionale e sabina.
Presidente Granieri, ha avviato un progetto finalizzato a trasformare ed accrescere la competitività del settore agrituristico regionale, di che si tratta? Inizio con una premessa: fare agriturismo nella regione dove si trova Roma e tutt’altro che facile perché la Capitale tende a monopolizzare l’interesse dei turisti e gli agriturismi sono sempre a rischio di essere considerati i posti del “cibo a buon mercato”. In altre regioni, invece, non è così: pensiamo alla Toscana dove nel 2012 il 50% degli ospiti degli agriturismi è stato italiano ed il 50% straniero e dove per il 2013 l’obiettivo è di far lievitare la percentuale dei turisti stranieri addirittura al 65%. Nel Lazio, per contro, 38
l’attenzione a questo tema è così ridotta che neanche conosciamo il valore di queste percentuali. Il punto è che noi dobbiamo qualificare la nostra offerta agrituristica tenendo innanzitutto ben presente che perché un agriturismo sia tale esso deve avere un’azienda di produzione agricola alle spalle, se no è un’altra cosa, perfettamente lecita ma diversa. Coldiretti ha avviato un progetto in tal senso che parte dai principi generali: nel Lazio – dove il fatturato complessivo del settore è di 60 milioni di euro all’anno – abbiamo una legge specifica ma non il regolamento attuativo e, dunque, la legge non è applicabile. Stimiamo che circa il 50% degli agriturismi
non sarebbero in grado di ottemperare alla normativa qualora entrasse in vigore. E Coldiretti come si sta muovendo? Da un lato chiediamo alla Regione che il regolamento attuativo venga emanato e che l’esistenza delle condizioni che consentano ad un agriturismo di essere tale sia verificata attraverso il “fascicolo aziendale” che è quello strumento elettronico che già oggi raccoglie tutti i dati relativi a ciascuna azienda agricola. Poi, abbiamo attrezzato il nostro ufficio tecnico in modo tale da essere in grado di dare supporto a tutti quegli imprenditori del settore che vogliano far evolvere la loro azienda ed incamminarsi su un percor-
so che porti ad una chiara certificazione della loro qualità. Qui sta il fatto qualificante della nostra azione: da un lato, finalmente, è stato reso operativo il sistema di classificazione della qualità offerta dagli agriturismi ispirato al metodo delle “stelle” che nel nostro caso sono diventate “girasoli” e, dall’altro, il Ministero delle Risorse Agricole ha registrato il marchio “Agriturismo Italia”. Il nostro obiettivo è far si che gli agriturismi del Lazio, con il supporto di Coldiretti, possano, per passi successivi, ottemperare alla legge, fregiarsi dei “girasoli” ed ottenere l’utilizzo del marchio “Agriturismo Italia”. L’agriturismo, quello vero, deve divenire sinonimo di qualità nell’ospitalità sia per i turisti italiani che stranieri. Venendo a temi geograficamente più vicini, quali sono le iniziative di Coldiretti a supporto dell’agricoltura “sabina”? Credo che per la Sabina Condiretti abbia avviato un’iniziativa di forte impatto soprattutto se teniamo presente come in Sabina “agricoltura” significhi in primis “oleicoltura”. Da circa un anno e mezzo, infatti, è operativa la prima Organizzazione dei Produttori nel Lazio, denominata OP Lazio, la quale si occupa specificamente della commercializzazione dell’olio d’oliva e delle olive da tavola. Partiamo da quest’ultimo argomento che è una vera novità. Infatti, in Sabina, la produzione di oliva leccina può essere certamente molita come si fa da sempre ma risulta anche ottima come oliva da tavola. Noi ci stiamo impegnando per venderla come tale con un duplice obiettivo: creare una nuova fonte di reddito
per i coltivatori ma anche consentire una vendita più agevole dell’intera produzione di olive destinandone una certa quota anche all’oliva da tavola. Abbiamo poi avviato un progetto con l’obiettivo di far utilizzare l’olio d’oliva extravergine DOP Sabina come olio da sala a 600 ristorato-
ri romani entro il 2013 e ad oggi abbiamo superato quota 150. Si tratta di olio fornito direttamente dal Consorzio del DOP Sabina ed il quale reca inoltre il marchio FAI (Firmato dagli Agricoltori Italiani, ndr), ovvero dell’organizzazione di Coldiretti per la commercializzazione dei prodotti agricoli a filiera
corta. Inoltre, stiamo partecipando al bando di gara per rifornire con l’olio della OP le mense scolastiche romane. Il nostro obiettivo è che la Città Eterna sia il primo “testimonial” dell’olio DOP Sabina. GFS
LABORATORIO CLINICO
NOMENTANO
Centro di Diagnosi e Cura dell’Infertilità (PMA) I livello Resp. Dott.ssa Manuela Steffè - Ginecologa L’infertilità colpisce il 15-20% delle coppie, ovvero 60.000 delle 300.000 coppie che si formano ogni anno in Italia. Il NOMENTANO fornisce le giuste indicazioni per risolvere nel modo più adeguato il vostro problema.
Un figlio non è un diritto, ma è un diritto di tutti cercare di averlo!
Via dello Stadio 1 Monterotondo
T 06 90625576
www.laboratorionomentano.it www.salutepiu.info 39
40
41
42
43
44
45
Chi vive in terra Sabina ha un legame talmente stretto con gli olivi, che quasi non ci fa più caso; come in una famiglia, si cresce e vive vicino ai propri cari che ci si accorge della mancanza soltanto nel momento del distacco. Ebbene si, i Sabini e l’olivo sono intimamente connessi e collegati. Ma la storia dell’olivo è ancora più lontana; profondamente legata a quella dell’umanità.
L
e origini di questo prezioso albero si intrecciano tra storia e mitologia, fino a confondersi. Comparsa per la prima volta probabilmente nell’Asia occidentale, la pianta dell’olivo si diffuse in tutta l’area mediterranea, dove il suo culto fu consacrato da tutte le religioni. Fin dai tempi più remoti l’olivo venne considerato un simbolo trascendente di spiritualità e sacralità. Sinonimo di fertilità e rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, simbolo di pace e valore, l’olivo rappresentava nella mitologia, come nelle religioni, un elemento naturale di forza e di purificazione. A conferma della millenaria storia dell’olivo ricordiamo come la tradizione pone di fronte all’antica Gerusalemme il “Monte degli Ulivi”, o come la bellezza di questa pianta sia cantata spesso nell’“Antico Testamento” (vedi libro del profeta Osea dove il Dio d’Israele è paragonato alla bellezza dell’olivo; cfr. Os. 14,7). In Grecia esistevano molti e fiorenti oliveti; particolarmente ricca ne era l’Attica e soprattutto la pianura vicina ad Atene. D’altra parte l’olivo era la pianta sacra alla dea Atena ed era stata lei che, in gara con Posidone per il possesso dell’Attica, aveva vinto 46
Dott. Oliviero Riggi
facendo nascere l’ulivo dalla sua asta vibrata nel terreno. In suo onore si celebravano le feste dette Panatenee, durante le quali gli atleti vincitori delle gare ricevevano anfore contenenti olio. L’olio attico era considerato tra i migliori; ma si apprezzavano molto anche gli olii di Sicione, dell’Eubea, di Samo, di Cirene, di Cipro e di alcune regioni della Focile. Le olive costituivano inoltre la ricchezza della pianura di Delfi sacra ad Apollo. Le zone della Magna Grecia dove più florida era la coltura dell’olivo erano quelle di Sibari e di Taranto; nell’Italia centrale, si segnalavano in primo luogo il territorio di Venafro, quindi la Sabina e il Piceno. Le evidenze linguistiche, letterarie ed archeologiche permettono di affermare che, già fra l’VIII e il VII sec. a.C. non solo la coltivazione dell’olivo era praticata, ma esistevano colture organizzate che, grazie al clima mediterraneo, ben presto permisero la formazione di un surplus destinato agli scambi. L’olivo fu considerato da sempre un albero di profondo valore sacrale, gli antichi
lo sapevano bene, visto che non solo lo accostavano a questa o quella divinità, ma offrivano alcuni di questi alberi al sacrum-facere. Alcuni olivi venivano consacrati e il raccolto con il relativo olio veniva usato esclusivamente per il culto; a testimonianza di ciò sottolineiamo quanto scritto da un oratore greco antico, Lisia (Atene 445 a.c.; 380 a.c.) a proposito di un olivo sacro. Questo autore racconta, in una sua orazione, di un piccolo proprietario terriero incolpato di aver sradicato un olivo sacro dal proprio terreno, un’accusa grave ed infamante, che prevedeva (secondo la legge rimasta in vigore fino a IV secolo a.C.) la morte per chi avesse abbattuto o sradicato un olivo sacro anche se secco. La conduzione degli olivi era controllata dai vigilantes che segnalavano eventuali infrazioni. LISIA - VII Areopagitico - Discorso di difesa sull’olivo sacro Cose antiche, si potrebbe pensare, ma non è così. Affascinante sapere che la religione cristiana continuava in qualche modo l’usanza di consacrare alcuni olivi. Probabilmente come retaggio di culti pagani, alcuni olivi venivano donati da privati alla chiesa per usufruire dell’olio che se ne produceva per il culto; ci si facevano gli olii sacri, e si usava per mantenere accesa la lampada del Santissimo Sacramento o i vari lumi degli altari secondari delle chiese parrocchiale o dei monasteri. Interessante trovare nella visita del Card. Andrea Corsini del 1786 l’esistenza di questi alberi sacri. Nel tomo riguardante Corese (Corese Terra – frazione del comune di Fara in Sabina Rieti) si parla di svariati alberi esistenti su vari terreni privati destinati a tale scopo; “alberi sacri che a memoria d’uomo non si ricorda chi li avesse donati”. Particolarmente interessante scoprire che questi albe-
ri erano contrassegnati per uno scopo unico (ad esempio quelli destinati al lume dell’altare della Croce aveva scolpito sul tronco una croce). In alcune lettere dell’archivio parrocchiale di Corese Terra, si ritrova la presenza di questi alberi ancora esistenti negli anni trenta del secolo scorso (il parroco chiedeva il permesso alla curia diocesana di poter venderne alcuni, ai proprietari dei terreni dove erano ubicati, per poter risanare i conti della parrocchia). Entusiasmante è ritrovare ancora in vita uno di questi alberi che nonostante sia stato abbandonato per decenni, nonostante le intemperie dei secoli passati, nonostante i proprietari del terreno che lo ospita siano cambiati, lui è li; distrutto, derelitto, ma vivo. Questo albero è presente su un terreno privato, in località Franzoni, lungo la strada che collega Corese Terra a Borgo Quinzio, salvato per un soffio dalla realizzazione di una pista ciclabile (che in quel punto ha subito una piccola deviazione). Solitario (dalla visita Corsini risultavano su quel pezzo di terra cinque olivi destinati a tal fine), abbandonato (ma non per molto visto la sensibilità dimostrata dai nuovi proprietari) segno indelebile di un legame profondo tra lui, l’uomo e la cultura Sabina.
www.salutepiu.info
47
Il bollino sulla confezione garantisce al consumatore qualità, origine ed un olio SABINA DOP fruttato, aromatico e vellutato. Tutto l’olio SABINA DOP proviene da oliveti, frantoi e impianti di imbottigliamento ubicati in Sabina e ritenuti idonei dalla Camera di Commercio di Roma.
SABINA SABINA DOP, DOP, DA DA 2600 2600 ANNI ANNI RIEMPI RIEMPI DI DI QUALITÀ QUALITÀ LA LA VITA. VITA.
Il Consorzio SABINA DOP, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e la Camera di Commercio di Roma vigilano e controllano la filiera Sabina Dop con analisi e verifiche su tutto il processo produttivo fino al punto vendita finale. P.S.R. LAZIO 2007-2013 MIS. 133
REGIONE LAZIO Sostegno alle Associazioni di produttori per le attività di promozione informazione riguardanti i prodotti che rientrano nei sistemi di qualità alimentare cod. Agea 8475903244
48CONSORZIO SABINA DOP