tesi di laurea

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CANDIDATO &ABRIZIO &ESTA RELATORE 3TEFANO #ARDINI

Il gatto di schrodinger e l’editoria periodica Analisi dell’esistente e una proposta progettuale per una rivista contemporanea

CANDIDATO &ABRIZIO &ESTA RELATORE 3TEFANO #ARDINI

Il il gatto di schrodinger



Politecnico di Milano FacoltĂ del Design c.l. Design della Comunicazione

Editoria Periodica.

Analisi dell’esistente e una proposta progettuale per una rivista contemporanea relatore: Stefano Cardini candidato: Fabrizio Festa, matricola 720103 anno accademico 2008/2009

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a Silvia

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indice

indice Capitolo 01 Lo spirito di un’epoca

pag.8

Capitolo 02 Un lungo cammino

pag.10

Capitolo 03 La forma è sostanza

pag.32

Capitolo 04 Anatomia di una rivista

pag.44

Capitolo 05 Pubblicità, prezzi e costi

pag.52

Capitolo 06 On-line

pag.60

Capitolo 07 Nuove tecnologie

pag.68

Capitolo 08 Il gatto di Schrodinger*

pag.80

Capitolo 09 Piccoli e forti

pag.112

Capitolo 10 La carta stampata non morirà

pag.126

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capitolo 1

lo spirito di un’epoca

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capitolo 01

Quando venne introdotta l’automobile il cavallo smise di essere l’unico mezzo di trasporto. Questo però non volle dire che il cavallo venne abbandonato definitivamente, dovette solo essere ripensato. Resistette per esempio nelle campagne per gli usi agricoli, oppure nelle corse, nell’equitazione, nelle escursioni. Dove il suo uso non era una scelta obbligata ma dettato da una precisa volontà. I prodotti editoriali sono come i cavalli. Quando nacquero i giornali erano l’unico mezzo di distribuzione di massa delle notizie, quando arrivò la televisione rimasero il mezzo privilegiato, soprattutto per quella galassia che sono le opinioni, avendo dalla propri parte una storica tradizione di autorevolezza e serietà. Con l’avvento di internet, però, i giornali hanno nuove questioni da affrontare, trovandosi di fronte ad un mezzo che è potenzialmente in grado di sostituirli per intero. Le prospettive sono piene di variabili, ed è quindi molto difficile fare delle previsioni che vadano oltre il vaticinio. Le riviste nascono con uno spirito e uno scopo diverso Walter Benjamin, dall’introduzione alla rivista Angelus Novus dai quotidiani. Risalendo lungo l’albero genealogico di questo media che sembra così giovane si scoprono ascendenti ancestrali, oltre a numerosissimi discendenti illustri. Oltre a imbattersi in curiosi e inattesi scambi di ruolo. Ovviamente fare una rivista nell’epoca di internet è diverso che farlo negli anni 50. Ma è stato anche diverso all’epoca delle Rank Xerox, dei fax, etc.. È necessario fare i conti con queste tecnologie, e come per i cavalli, capire quali ruoli possono essere interpretati, meglio, da questi nuovi attori, e quali invece sono ancora adeguati alla rivista.

“ La vera destinazione di una rivista è rendere noto lo spirito della sua epoca”

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capitolo 2

un lungo cammino

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capitolo 02

REVIEW, EXAMINER e SPECTATOR

Nel 1704 esce a Londra “The weekly review”. è composto da 8 pagine sulle quali trovano spazio i fatti più importanti della cronaca cittadina accompagnati da un articolo di fondo che li commenta. Dal giugno del 1705 lo accompagna un supplemento, “The Little Review”, che ospita una rubrica fissa di risposte ai lettori chiamata “Advice From the Scandal Club”. Anima del nuovo periodico è un trentenne che ha alle spalle una vita tormentata. Si chiama Daniel Foe, ma al colmo del successo procuratogli dal suo romanzo “Robinson Crusoe” aggiunge un De al cognome per identificarsi come rifugiato fiammingo elisabettiano e protestante. A vent’anni ha aperto, grazie alla dote della moglie un negozio di calzetteria, poi si è imbarcato in una impresa di una fabbrica di tegole ma è fallito. Per debiti è andato in carcere e ha subito l’umiliazione della gogna pubblica, ma i suoi buoni uffici presso la corte gli hanno valso una sovvenzione con la quale stampa il “Review”, che è oggi considerata la prima rivista come la intendiamo oggi. Defoe è un realista moderato, ma le sue opinioni vivono di una conoscenza profonda e sofferta della società inglese, che egli vede con gli occhi nuovi del borghese commerciante e imprenditore. La sua vocazione pu-

Nel 1702 nasce a Londra il primo quotidiano. Si chiama Daily Courant. Esce tutti i giorni, ma è ben lontano da una tempestività informativa davvero giornaliera. Sotto la direzione di Samuel Buckley pone per la prima volte alcune questioni che diverranno fondamentali: credibility and fairness. È la prima formulazione di una deontologia professionale del giornalista, che nel tempo andrà a formalizzarsi nell’assunto “i fatti separati dalle opinioni”. Viene anche a delinearsi la cultura della notizia ancorata alle “cinque W”: who (chi), where (dove), when (quando), what (cosa), why (perché). Accanto a questa progressiva affermazione della cultura della notizia – che l’approdo alla frequenza quotidiana reca con sé – la stampa inglese dei primi del settecento vive un secondo processo in qualche modo contraddittorio e divergente rispetto al primo. Si tratta del cosiddetto “nuovo giornalismo”, legato ai nomi di Defoe, Swift, Addison: un approccio più lontano dall’informazione di attualità e più ispirato al genere del saggio culturale con intenzioni moralistiche e pedagogiche.

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ritana all’insegnamento si nutre di una aderenza disincantata alla realtà della vita e sono sempre fatti concreti gli spunti da cui trae alimento la sua vena polemica. Il “Review” nasce come raffinato pulpito da cui gli uomini di cultura esprimono i propri punti di vista, tramite saggi o satire. Lo scopo è quello di creare un luogo dove i letterati possano offrire i propri commenti, le critiche e le opere satiriche con lo scopo di influenzare l’opinione pubblica. Il pubblico è composto dalla stessa scena sociale che è il soggetto di molti degli scritti contenuti nella rivista. Nel corso del tempo, i lettori diventano “dipendenti” dalla regolarità del suo punto di vista. Il modulo di “Review” è l’archetipo del modulo del giornalismo britannico: quattro piccole pagine, contenuto molto denso, poche illustrazioni (a parte qualche ornamento o lettering a incisione) lasciando l’attrattiva solo all’arguzia e sarcasmo del testo.

Jonathan Swift, autore de “i Viaggi di Gulliver”, è un pastore anglicano di origine irlandese che negli ultimi anni del secolo si trasferisce da Dublino a Londra. Dall’agosto 1710 è direttore del settimanale “Examiner”. Per quanto la sua collocazione politica sia vicina a quella tory di Defoe, la sua critica della società inglese è esattamente antitetica a quella dell’autore di “Robinson Crusoe” e si fonda sulla rivalutazione dell’aristocrazia terriera contro la nuova borghesia dei traffici e degli affari. Nonostante le divergenze politiche i due condividono lo spirito di pamphleteer fustigatore che prende spunto dalla vita quotidiana. Ancora li accomuna lo sforzo di un rinnovamento della lingua che, con sempre maggiore spregiudicatezza, contamina la forma aulica “alta” della letteratura col genere “basso” e prosaico del giornalismo (Giovanni Gozzini, “Storia del giornalismo”). Nell’aprile 1709 l’ex soldato Richard Steele fonda “The Tatler”, un trisettimanale al costo di un penny, che ricalca la formula del Review di Defoe, e non esita a criticare i vizi dei gentiluomini londinesi, come duelli, giochi d’azzardo, prostituzione, etc.. Dopo quasi due anni, nel 1711, rinnova il giornale, ribattezzandolo “The Spectator”. Nel farlo si avvale della collaborazione di un parlamentare whig, Joseph Addison. Rispetto ai periodici precedenti “the Specta-

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breve inglese, questo genere sarà il modello, e lo è tuttora, del giornalismo di opinione anglosassone. “The Spectator” dura tre anni, ma centinaia di altre testate nascono calcandone le orme. Quello di Addison e Steele rappresenta un vero e proprio nuovo genere di testata, a metà tra giornalismo e letteratura. Nella seconda metà del 18 secolo i coloni americani fondano i loro magazine ricalcando lo stesso modulo. Dopo Addison molte personalità di spicco nell’arte e nella letteratura usano la rivista come uno dei mezzi più accessibili per i propri punti di vista. Le riviste che creano spesso non raggiungono la famose ma, altrettanto spesso, si rivelano molto influenti. Le rivoluzioni americana e francese sono precedute dalla pubblicazione di numerosissimi opuscoli e pamphlet, di orientamento rivoluzionaro o meno, che introducono un nuvo formato di rivista, una sorta di “giornalismo agitatorio”, che ha come caratteristica quella di configurare le riviste come nuclei di opinione, anche se seguiti da poche persone e dalla durata effimera.

tor” enfatizza la parte letteraria dell’impresa giornalistica . Ogni fascicolo è monografico e ruota intorno alla finzione di un dialogo, in un caffè, con scenario e personaggi fissi. Da una media iniziale di 3 mila abbonati, si arriva a punte di 20 mila copie, ma si valuta che ogni copia sia letta da almeno 20 persone (Harris Lee, “The Press in …”). “The Spectator”, il più famoso dei protogiornali britannici, si presenta esattamente come i quotidiani dell’epoca, ancora piccoli caratteri, ancora nessuna illustrazione e saltuariamente una mezza colonna di inserzioni pubblicitarie. Gli storici considerano “The spectator” una rivista poiché pubblica commenti invece che notizie. Ogni numero è scritto interamente da Addison e Steele, e occasionalmente da amici. Addison, nella sua rivista, introduce il saggio breve informale nella storia della letteratura

1890-1930 ESPLODE LA PUBBLICITA’! Il pubblico cui si rivolgono i periodici è cresciuto lentamente, con i ritmi della progressiva alfabetizzazione e del miglioramento

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delle condizioni di vita. Il pubblico si è ampliato notevolmente dopo le rivoluzioni, ed è nata quella che possiamo considerare l’opinione pubblica moderna, estesa a fasce della popolazione che finora erano state escluse. Per queste persone giornali e riviste sono diventati un’esigenza vitale.

il resto della Francia, ampliando così il proprio pubblico di riferimento. “Le Journal” va molto bene, così bene che vale a Girardin un posto in parlamento, e gli permettono di lanciarsi in un novo e ambizioso progetto: un quotidiano che costi 10 centesimi. Per fare ciò ha un’intuizione che cambierà per sempre la storia dell’editoria, ma anche quella del commercio. Il prezzo del giornale non è più pagato interamente dal lettore ma viene suddiviso con gli introiti di investitori esterni che utilizzano il giornale come mezzo di promozione. Nasce la pubblicità. Il basso prezzo del giornale attira un pubblico ancora più numeroso. La strategia di Girardin non piace ai suoi colleghi tanto che da valergli una sfida a duello da un altro giornalista, del quotidiano tradizionalista “Le National”. Duello vinto (anche simbolicamente) da Girardin che afferma quindi il proprio modello di giornalismo.

Emile de Girardin è un giovane editore francese che nel 1828 pubblica un giornale, chiamato “Le Vouler” (“il ladro”) che si limita a collezionare e ri-pubblicare, raccogliendo per argomento, articoli apparsi in precedenza su vari altri periodici, inventando di fatto la rassegna stampa. Nel 1829 crea un’altra rivista pioneristica, “La Mode”: un femminile dedicato espressamente alla provincia in cui vengono illustrate le maniere eleganti, il gusto e il decoro della buona società parigina. Nel 1831 fonda “Le Journal Des Connaissances Utiles”, settimanale di 32 pagine che si occupa principalmente di suggerimenti pratici per l’agricoltura, ma anche di invenzioni, leggi, norme igieniche, etc.. È di fatto il prototipo di un giornalismo che rifugge in modo aperto e deciso gli orizzonti che ne hanno delimitato fin qui la storia (informazione politica, divulgazione dalla cultura alta, commento, opinione, etc..) per puntare sull’utilità della notizia. Girardin ha inoltre come esplicito scopo quello di accorciare le distanze tra Parigi e

L’apporto economico portato dalla pubbli-

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cità porta in breve tempo all’abbattimento dei prezzi, tanto che in America il costo dei giornali si stabilizza intorno al prezzo di 1 penny. Il costo molto basso attira un numero elevato di pubblico, questo interesse porta a sua volta l’aumento dell’offerta di giornali (riviste e quotidiani) che presto saturano il mercato. Giornalisti ed editori iniziano a ricercare tratti di unicità, spesso scadendo negli espedienti più bassi, come l’abbassamento dei toni, uno scarso controllo sulle fonti a favore della velocità della pubblicazione, toni populistici e così via. In questo periodo si polarizzano molto scopi e i toni dei giornali. Esistono anche esempi virtuosi, come il “nobile” “Times” newyorkese, in cui la cultura della notizia si fa più ferrea, si instaura un ruolo di supporto alla trasparenza e alla democrazia della carta stampata, e si introduce una figura nuova che è quella del reporter, un corrispondente fisso, regolarmente pagato che ha lo scopo di ricercare informazioni e notizie secondo criteri precisi. Altri quotidiani, come “The Sun”, ricorrono invece a mezzi diversi, come quelli dell’uso del criterio dell’”Human interest”, ovvero l’attenzione a fatti personali, alle singolarità, alla carica emotiva delle situazioni etc.. La stampa scopre la cronaca, in tutte le sue sfumature di colore. Nel 1859 “Tribune” inaugura un nuovo genere giornalistico: l’intervista. Ovvero la creazione di uno “pseudo-evento”,

fatto apposta per essere raccontato. Da sempre i magazine hanno avuto una forte attrattiva per la pubblicità. Prima del cambio di secolo, anche i magazine più famosi hanno solo una piccola quota di quella che noi oggi chiamiamo pubblicità, e spesso era di dimensioni ridotte. Ma dopo qualche resistenza, l’ultima delle quali morì negli anni 30, i magazine di mass market iniziano a dipendere tutti dalla pubblicità per sopravvivere. Questo cambia radicalmente le riviste: non vengono più vendute informazioni e intrattenimento al pubblico, ma procurato un pubblico interessato e partecipativo agli investitori. La pubblicità esplode, ma non solo a causa dei magazine. Gli stati erano uniti da ferrovie, con una rete di distribuzione molto più capillare. Le nuove tecnologie manifatturiere (figlie del Taylorismo) rendono possibile la produzione di massa di beni in quantità prima di allora inimmaginabili. L’invenzione delle finestre con lastre di vetro, al cambio di secolo, rende possibile l’espansione delle vetrine, che rende a sua volta possibile la nascita di grandi magazzini, e sono proprio questi i primi big spender nella pubblicità. Ma la co-evoluzione di pubblicità e mass media è molto importante, l’advertising rese possibile vendere i magazine al di sotto dei costi di produzione, ciò vuole dire che il costo al

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lettore scende ulteriormente, accrescendo il pubblico dei periodici rendendoli ancora più appetibili agli investitori. Gli investitori scoprono che con pagine intere, e grazie ai nuovi linguaggi del design, vi è posto per immagini, slogan, headline e per i simboli della persuasione. Il graphic design diviene molto più sofisticato per massimizzare il proprio impatto. Le agenzie di pubblicità nascono intorno al 1890. Sviluppano la ricerca e la spinta alla circolazione, come gli sconti per gli abbonati, e incrementano lo sforzo per catalogare il pubblico di un giornale così da poter vendere meglio gli spazi. Poiché ogni pubblicità tabellare viene usata da molti magazine, le pagine acuisiscono un formato standard, e già da allora i magazine con formati insoliti o irregolari hanno vita dura. Poiché ad un certo punto cominciano ad essere le pagine della rivista a dover competere per l’attenzione dei lettori con le pubblicità, all’interno dei giornali i dipartimenti grafici iniziarono ad utilizzare un tipo di grafica simile alla pubblicità. I maggiori magazine designer sono spesso ex-artisti di pubblicità. Essi riprendono gli slogan e dei precetti della pubblicità per i magazine, nascono quindi i vari espedienti per catturare l’attenzione dei lettori, come titoli, sottotitoli, occhielli, grassettatura, etc.. Gli art director ed editori hanno così la possibilità di introdurre il colore, poiché gli inser-

zionisti sono disposti a finanzialo. Reinventano la forma della rivista per portare i lettori più vicini alla pubblicità. Il processo di stratificazione della stampa per generi e per pubblici diversi si intensifica, l’influsso esercitato dalla crescita in quantità e qualità del fenomeno pubblicitario spinge, negli ultimi decenni dell’Ottocento, a prendere confidenza con i concetti di target e feed-back. Come la pubblicità comincia a fare, così anche la stampa si abitua ad articolare e modulare i messaggi informativi in forme e contenuti diversi a seconda del grado di benessere e del livello culturale della parte del pubblico cui si rivolge. La pubblicità trova un sostegno e un punto di riferimento, insieme teorico e concreto, nella nascente psicologia, da cui trae gli strumenti di lettura della realtà. Il nuovo sapere pubblicitario sottolinea la forza cogente a livello sia individuale che collettivo della tradizione, delle abitudini, della monotonia della vita quotidiana. La pubblicità sviluppa per tutta la seconda parte dell’Ottocento un crescendo nel perfezionamento delle tecniche per “impressionare” il pubblico. Tratto distintivo del mercato europeo è il fatto che anche artisti, come il francese Toulouse Lautrec, partecipino in prima persona alla produzione di opere destinate esclusivamente alla pubblicità, mentre negli Stati Uniti si vanno a delineare i ruoli separati di art director e del copy writer.

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PULITZER E HEARST

Con il “Nuovo giornalismo” degli anni 80 dell’Ottocento la stampa anglosassone si divide stabilmente in due settori. Resiste una stampa d’élite, inprontata all’austerità del vecchio “Times” britannico e una stampa popolare che guadagna lettori nei ceti operai e nelle classi sociali meno ricche, più sensibili ad una logica commerciale e quindi più disponibile a lasciare spazio agli annunci pubblicitari e alle illustrazioni. La stampa, in tutte le sue manifestazioni, diviene il contesto nel quale la gente vive, lavora e pensa; ma anche il contesto dal quale deriva la propria percezione del mondo esterno, nella maggior parte dei casi in modo del tutto nuovo. Due trasformazioni della vita quotidiana, come la villeggiatura al mare e le vendite a rate trovano nella stampa periodica il proprio veicolo di comunicazione principale: la cultura di massa diventa strumento di omogenizzazione delle mentalità e dei comportamenti.

Nel 1883 un giovane immigrato ungherese arriva a New York da St.Louis, Missouri, dove, giovanissimo, ha acquistato e gestito due quotidiani per cinque anni. La sua politica editoriale si può riassumere come “accuracy, accuracy, accuracy”, ovvero stretta attinenza ai fatti. Il suo nome è Joseph Pulitzer. A New York, poco più che trentenne acquista il quotidiano in decadenza “the World” e grazie ad una accorta linea editoriale ed economica (2 cent per 8 pagine) diventa rapidamente il punto di riferimento culturale degli immigrati della città, di prima e seconda generazione. La scelta si dimostra così azzeccata che il World passa dalle 15 mila copie del debutto a 60mila alla fine dello stesso anno. Le caratteristiche che determinano il successo del World sono la sua attenzione agli articoli di human interest (la componente emotiva

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delle notizie) e l’attitudine alla mobilitazione: “il giornale che fa, non parla soltanto” è lo slogan di Pulitzer. Così facendo il giornale diventa un canale di rappresentanza utilizzato dai lettori. Con il successo del giornale Pulitzer decide di ampliare anche l’offerta di contenuti, inserendo reportage di viaggio, feuilleton, inchieste (la prima viene affidata provocatoriamente ad una donna). Dal 1890 è affiancato da un inserto domenicale, il Sunday World di 48 pagine, su cui compare una sezione di 8 pagine dedicata ad un nuovo media, il fumetto, nello specifico si tratta di Yellow Kid, di Richard Outcault; il successo è tale che il tipo giornalismo che caratterizza il periodo di World prende il nome di Yellow Press. Il successo di World è tale che alla fine del secolo è letto da quasi metà della popolazione di New York, impiega 1300 dipendenti per un volume di affari di 2 milioni di dollari annui. Parallela all’ascesa di Pulitzer è la carriera di

un altro aspirante editore. William Hearst è il figlio unico di un miliardario arricchitosi con la febbre dell’oro della fine degli anni 40 dell’800. Nel 1887 il giovane Hearst si trova alla guida del quotidiano si San Francisco “the Examiner”, di proprietà del padre, il “passatempo” in breve però appassiona il rampollo che decide di investire le proprie energie nella professione. Ripercorre le orme di Pulitzer sulla costa Ovest, ottenendo un discreto successo, toccando nel 1893 una tiratura che si aggira intorno alle 72 mila copie. Questo successo fa decidere a Hearst di spostarsi nella città simbolo del giornalismo: New York. Vi approda nel 1895 acquistando, proprio da Pulitzer, il “the Morning Journal”. Lo scopo di Hearst è quello di rilanciare la testata sottraendo forze allo stesso Pulitzer, ingaggiando per il proprio giornale l’ex direttore del Sunday World e il disegnatore Outcault. La strategia di guerra è chiara anche nello slogan della testata che

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è “mentre gli altri parlano, il Journal fa”. La strategia di Hearst è spietata, è sostenitore del “manifest destiny”, il presunto destino degli Stati Uniti a portare la civiltà della democrazia nel mondo, sostiene l’immagine autonoma di ogni testata che può trattare una notizia in un ottica di convenienza: “È notizia ogni cosa che dà fastidio - sostiene Hearst - tutto il resto è pubblicità”. La sfida per guadagnare il titolo di testata più venduta di New York continua fino alla morte di Pulitzer nel 1911. Entrambe le figure passano alla storia, ma in modo radicalmente diverso. Pulitzer, nei suoi ultimi anni, dedica la sua attività alla salvaguardia del giornalismo “puro”, disinteressato, tanto che a lui viene intitolato l’omonimo premio, la più prestigiosa onorificenza nazionale per il giornalismo, successi letterari e composizioni musicali, che viene amministrato dalla Columbia University di New York. L’avidità e la spregiudicatezza di Hearst fa si che la sua figura controversa venga presa a modello da Orson Welles per il suo “Citizen Kane”.

ne definita jazz journalism, per attitudine energica dei contenuti e per l’eleganza del layout delle nuove testate. La circolazione giornaliera dei quotidiani vede un aumento dai 24 milioni di copie del 1910 a poco più di 41 milioni nel 1940. Parallelamente aumentano anche le foliazioni, in particolare delle edizioni domenicali, che raggiungono le 250 pagine, la motivazione è l’apprezzamento da parte dei lettori, come dimostrano le tirature, che passano nel corso degli anni 20 da 17 a 32 milioni di copie ogni domenica. L’andamento crescente non è però costante, la crisi del ‘29 pone una significativa contrazione alla raccolta pubblicitaria delle testate, che cala del 50% circa, per poi ristabilizzarsi nel 37. L’aumento delle tirature e del favore di pubblico va però di pari passo con una diminuzione del numero delle testate, e soprattutto ad una tendenza inversa alla concentrazione delle testate che era in atto prima del 29. A incidere su questa inversione di tendenza è soprattutto la caduta dell’impero del gruppo Hearst. L’editore concentra la propria attenzione alla difficile situazione europea, imponendo una linea di stampo filonazista alle proprie testate, scelta destinata a isolare l’editore nell’opinione pubblica americana. Nel corso degli anni trenta si sgretola l’impero composto da cinquanta quotidiani, due agenzie di stampa, sei riviste, una casa di produzione cinema-

TERZA ONDATA Negli Stati Uniti quella successiva alla Grande Guerra è considerata la terza stagione del giornalismo di massa, dopo penny press e yellow journalism, questa nuova ondata vie-

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tografica, miniere, alberghi e teatri. Nel 1937 Hearst cede ciò che ne resta alle banche e si ritira definitivamente a vita privata. Lo spazio lasciato dalle testa del gruppo Hearst non rimane vuoto a lungo. A New York vedono la luce tre nuovi quotidiani: L’illustrated Daily News (perderà l’aggettivo Illustrated l’anno successivo), Il Daily Mirror, fondato dallo stesso Hearst nel 1924 e ceduto dopo poco, e il Daily Graphics. In tutti e tre i casi la linea editoriale prosegue la tradizione di attenzione prevalente per le cronache di human interest. Anche la struttura e l’aspetto li accomuna. Escono in formato tabloid, a otto colonne, con la prima pagina occupata interamente da una foto; il Daily Graphics in particolare dedica metà del proprio spazio alle fotografie. Il dato più significativo della stagione del giornalismo americano è il ritorno massiccio del settimanale, tendenza che si inaugura negli anni 30 e rimane incontrastata fino alla fine degli anni 60. Nel 1925 apre la serie il prestigioso “The New Yorker”, nuovo settimanale letterario diretto da Harold Ross. Nel 1932 è la volta del Reader’s Digest, un’antologia mensile di articoli apparsi su altri organi di stampa, priva di pubblicità. La novità del Digest sta nel formato ultraridotto che viene ribattezzato “pocket” e anticipa di qualche anno i libri dello stesso formato (un quarto di tabloid) con la copertina rigida: i famosi

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Penguins Book che appaiono nel 1935 a Londra. Il Diagest va incontro ad un inaspettato successo di pubblico, arrivando a oggi ad essere pubblicato in 60 paesi vendendo un totale di 30 milioni di copie. Nel marzo del 1923 vede la luce il primo numero di Time, fondata da Henry Luce, che ottiene un veloce e duraturo successo. Nel corso degli anni 30 Luce diversifica i propri investimenti in programmi radiofonici e cinegiornali, nel 1930 lancia Fortune, il settimanale di informazioni economiche stampato a Chicago, e nel 1936 Life, settimanale pionieristico che


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Robert Capa. Nel 1947, insieme al maggior artista della fotografia novecentesca, Henry Cartier Bresson, Capa fonda l’agenzia Magnum Photo. Nel 1938 Time acquista il Reader’s Digest, arricchendo ulteriormente l’impero di Luce. A fargli concorrenza rimangono Newsweek (settimanale fondato nel 1933) e U.S.News, settimanele di documentazione politica che pubblica discorsi e documenti parlamentari. Il grande successo che i settimanali americani incontrano nel corso degli anni 30 è strettamente collegato alla comparsa dell’informazione sonora e cinematografica. Radio e cinegiornali determinano una stasi della stampa quotidiana, bruciata sul tempo e sulla spettacolarità dei nuovi mezzi di comunicazione. Viceversa la formula del magazine è quella che meglio risponde alle esigenze di approfondimento e analisi meditata degli eventi che radio e cinema non possono soddisfare. Il periodico, più del quotidiano, appare in grado di rispondere alle esigenze dall’interpretative reporting: una chiave per leggere la complessita del mondo moderno. L’interpretative reporting è quel modo di fare giornalismo di stampo statunitense, che afferma la necessità di andare oltre la cronaca, per fornire una interpretazione degli eventi, superando la tradizionale separazione tra fatti e opinioni. È su questa ondata che sui quotidiani

inaugura il genere del fotoreportage. Nell’economia di Life, infatti, la fotografia passa dalla funzione accessoria di commento e appendice esemplificativa degli articoli a quella centrale di supporto informativo diretto; l’articolo invece retrocede, riducendosi a semplice didascalia delle immagini, che si suppone parlino da sole all’intelligenza del lettore. Nel 1945 la foto dei soldati che piantano la bandiera americana nel terreno di Iwo Jima conquista il Pulitzer. Nella redazione di Life comincia la carriere del giovanissimo

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americani compare la figura del columnist, un editorialista di prima pagina che tiene una rubrica a frequenza regolare, dedicata all’illustrazione di un punto di vista specifico.

FORTUNE Probabilmente la rivista più importante d’America è stata Fortune, negli anni ‘30. Creata da Henry Luce, il quale con Britton Hedden fondò Time negli anni 20, e in seguito la corporation che avrebbe prodotto negli anni tabloid come Life, Sport Illustrated, Money e People. Time è stato il primo news magazine, Life fu progettato da una serie di consulenti alla ricerca della formula perfetta, ma Fortune negli anni 30 era quasi un’opera d’arte. Luce era deciso a creare un magazine di qualità per coloro che egli chiamava “l’aristocrazia della nostra società capitalista”, e con questo intendeva gli artisti, scrittori e fotografi più bravi e rispettati - tra questi Dwight Mac Donalds, Rockwell Kent, Marr-

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garet Bourke -White, e Thomas Cleland, il quale progettò il formato originale di Fortune. Molti dei più apprezzati fotografi di Life iniziarono da qui. Luce sviluppò il proprio magazine dalle pagine economiche di Time. Sebbene più tardi sarebbe stato ricordato per le proprie idee conservatrici, negli anni 30 il suo magazine aveva fama di avere uno stile investigativo e liberale, se non addirittura comunista. Per parlare del mondo industrializzato i fotografi e i designer di Fortune crearono un magazine dall’aspetto e dalla cura artigianale. Fu uno dei primissimi giornali ad essere stampato con illustrazioni a colori di alta qualità; e il primo a cercare di narrare delle storie principalmente tramite le immagini, così come avrebbe fatto Life successivamente. Era stampata su carta spessa e opaca con inchiostro costoso. Includeva le foto all’interno di vari tipi di cornici e venivano stampate con lastre molto dettagliate, tanto da risultare con un livello di dettaglio parago-


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LA II GUERRA MONDIALE

nabile all’originale. La certezza di mr. Luce e dei suoi editor che stavano lavorando a qualcosa di qualità è evidente da ogni pagina di Fortune. Alla fine degli anni ‘40 la qualità divenne troppo dispendiosa (ironicamente era sopravvissuta alla 2°guerra mondiale), e soprattutto, probabilmente, l’idea di uomo d’affari come membro di un’elite che fosse anche una forza sociale era cambiata radicalmente. Non esisteva più quel tipo di persone che erano disposte a pagare un prezzo alto per una pubblicazione di alta qualità. L’editore e l’editor di Fortune cambiarono il magazine nel 1948. Portarono il formato ad uno più tradizionale (la carta divenne patinata) e li-

La diffusione della radio modifica i rapporti tra informazione e potere politico. La svolta si verifica con i democratico Franklin Delano Roosvelt, e la sua concezione pedagogicoeducativa della politica, che incentiva l’apertura di un flusso informativo privilegiato tra potere e stampa. Alla base di questo ritrovato rapporto con la stampa di trova la consapevolezza di dover contrastare l’uso efficace e spregiudicato dei media messo in atto dai regimi dittatoriali europeri. Un’informazione pluralistica e fondata sul contraddittorio si qualifica come tratto distintivo rispetto alla propaganda monocorde e a senso unico dei sistemi politici totalitari. Le caratteristiche del sistema informativo si ritrovano a sottolineare le differenze tra vecchi e nuovo continente. Anche da questa diversità trae origine la tendenza isolazionista dell’opinione pubblica statunitense. Anche quando l’America entra in guerra la vicinanza tecnica e politica tra stampa e potere non si interrompe, e si potenziano le funzioni di propaganda. La fame di notizie determinata dalla guerra compensa gli effetti negativi determinati dalla rapida diffusione della radio e la carta stampata riguadagna quote di mercato. La radio non riesce ad attrarre altrettanti investimenti pubblicitari come i giornali e paral-

mitarono i contenuti a quelli che sono normalmente considerati contenuti economici.

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lelamente il giornalismo diventa negli Stati Uniti materia di un dibattito civile appassionato. Se ai suoi esordi settecenteschi, il mito dell’opinione pubblica ha rappresentato la bandiera con cui la stampa ha conquistato la propria libertà e contribuito a sviluppare le democrazie, nel Novecento quel mito impallidisce, fino a mutare di segno. L’opinione pubblica diventa un deposito incoerente di pregiudizi e stati d’animo che ognuno può interpretare a modo suo (Ortoleva, 1991). L’esito di queste riflessioni conduce ad una critica radicale dell’equazione giornalismoopinione pubblica, così che il giornalismo può rappresentare solo se stesso e i risultati delle proprie convinzioni o delle proprie ricerche. L’informazione non è mai verità, ma solo una sua approssimazione raggiunta sulla base di fonti che devono essere esplicitati e sottoposti a verifica costante (Giovanni Gozzoni, “storia del giornalismo”).

L’ITALIA IN GUERRA La nomina di Mussolini a presidente del consiglio ha ripercussioni immediate sul mondo della carta stampata. Vengono introdotte norme che limitano fortemente la libertà di stampa, conferendo ai prefetti la facoltà di intervenire direttamente sui responsabili dei periodici che si macchino di delitti contro l’“ordine pubblico”. Il Corriere della Sera e

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La Stampa si oppongono apertamente, così come la Federazione Nazionale Della Stampa. La situazione rimane tesa fino all’omicidio di Matteotti, nel ‘25, pretesto per il quale La Stampa viene sospesa e il proprietario costretto a vendere alla famiglia Agnelli. Pochi mesi dopo il direttore del Corriere Albertini si dimette. In dicembre dello stesso anni il decreto che dal 23 garantiva facoltà speciali ai prefetti diventa legge e in Italia non esiste praticamente più la stampa libera, anche se formalmente lo stato non controlla nessun giornale. Nel 1925 Mario Borsa scrive: “Il pubblico ha avuto appena una vaga e imperfettissima idea di ciò che è avvenuto. Le botte, l’olio di ricino, le spedizioni punitive trovano mala pena spazio nella stampa italiana.” Nella seconda parte degli anni venti l’aumento del dazio sulla carta contribuisce al declino della stampa in Italia, le foliazioni scendono


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a 6 pagine, con conseguente riduzione dello spazio per le notizie. Diminuisce lo spazio dedicato alla cronaca nera, aumenta quello dedicato allo sport. Per quanto riguarda l’aspetto dei quotidiani è tempo di cambiamento. Dai quotidiani straneiri quelli italiani mutuano la titolazione a tutta pagina ma non le foto. Le prime telefoto compaiono nel 1934 sulle colonne di Stampa Sera. Nei dieci anni successivi alla legge lo sforzo delle redazioni si concentra sulla terza pagina deidicata alla cultura, alla ricerca di un prestigio letterario e scientifico che sopperisca alla piattezza informativa. Nell’aprile del 1937 esce Omnibus, diretta da Leo Longanesi per Rizzoli, sospeso nel ‘39 e sostituito da Oggi, e nel 1939 esce Tempo, diretto da Alberto Mondadori, che si avvale della collaborazione di Montanelli. Il riferimento per entrambi è Life, stampa in rotocalco e foto a tutta pagina. Questo periodo è un periodo relativamente fertile per i periodici in itlalia, anche perché è qui che si formano molti dei giornalisti di spicco del dopoguerra. Nascono anche molti dei periodici destinati a grande successo, sono i femminili Grazia, Amica, Annabella, Gioia.

della velocità delle comunicazioni, e l’ansia, talvolta anche la necessità, di pubblicare con tempi ristrettissimi le notizie instaura meccanismi difficili da estirpare. Inoltre “la corsa contro il tempo fa a pugni con la precisione del mestiere, il riscontro accurato delle fonti e la verifica incrociata delle informazioni. Una rettifica sembra meno ignominiosa di un’assenza e nel testo degli articoli si preferisce far ampio uso del condizionale, piuttosto che ritardare la copertura di una notizia” (G.Gozzoni, op.cit.) Negli anni successivi il rapporto tra i giornalisti, le fonti e i lettori si modifica radicalmente, incalzato dal fattore tempo. Il giornalista, che dovrebbe essere testimone di un evento, assume un ruolo attivo. La comunicazione assume una forma triangolare di rapporto tra soggetti autonomi e indipendenti: i protagonisti della notizia, i giornalisti e l’opinione pubblica. Quest’ultima relegata ad una posizione passiva rispetto al rapporto simbiotico tra gli altri vertici del triangolo, sempre più interdipendenti. (Carey, 1969). Si instaura così una logica dei media che si sovrappone alla realtà, creando numerosi paradossi, come politici che programmano i propri interventi in concomitanza con le edizioni dei telegiornali. Un dibattito sul tema si apre in Italia, ad esempio, sull’opportunità di pubblicare o meno i comunicati delle Brigate Rosse nel corso del rapimento Moro.

IL DOPOGUERRA Durante la guerra si instaurano consuetudini destinate a caratterizzare i decenni a venire, ovvero la corsa alle notizie. L’aumento

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Il riconoscimento del ruolo pubblico assunto dal quarto potere impone una deontologia professionale che trae alimento da una doppia lealtà esterna nei confronti della realtà oggettiva e dell’opinione pubblica (Hutchins, 1947). L’idea che si instaura negli Usa è la connessione tra stampa e “servizio pubblico”, inteso come tutela dei valori fondanti della comunità popolare. Il modello della stampa libera e responsabile si impone cos’ sugli altri modelli emersi nella storia: quello totalitario (controllo statale sui mezzi di comunicazione), quello sovietico (subordina i mezzi di comunicazione ad un obiettivo politico), quello libertario (si accontenta del concetto di libertà come assenza assoluta di vincoli). A ribaltare questo stato di cose interviene negli Stati Uniti la nascita del advocay

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journalism, il giornalismo militante, che si sviluppa in parallelo all’emergenza bellica del vietnam. Influenzati dai movimenti controculturali, molti giornalisti prendono coscienza del proprio ruolo, e decidono di sviluppare con forza quella che è una moltiplicazione delle voci nella stampa indipendente. I giornalisti si pongono come parte integrante di una controcultura che sostituisce al mito dell’obiettività l’ideologia dell’impegno politico. Nel giro di pochi anni, nascono negli USA poco meno di trenta riviste che si occupano esclusivamente di giornalimo, l’approccio comune a molte di esse è la “controinformazione”, intesa come l’antidoto dal basso al news management operato dall’altro. Nel 75 Umbreto Eco scrive a riguardo: si approfondisce anche il modo di porre le notizie, mettendo in discussione il riduzionismo


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matematico, delle teorie di comunicazione degli anni 40. Le parole e le immagini sono significanti, i cui significati dipendono dalle diverse culture e dalle diver- se comunità interpretative: il processo informativo è sempre un processo culturale, che si svolge a diversi livelli. Una foto o un titolo posti a corredo di un articolo possono impressionare il lettore e modificare la sua interpretazione del testo. Il mito dell’obiettività impallidisce di fronte al pluralismo e alla complessità della società moderna. Come dimostrerà il caso Watergate, anche il giornalismo cosidetto ufficiale non resta immune dalle ricadute dell’advocacy journalism. Per le redazioni dei quotidiani, come per il resto della società si tratta di un trapasso generazionale che porta alla ribalta i baby boomers, i figli del boom demografico che si verifica alla fine della guerra. Nel 1962 uno studio dell’università di Princeton conia il neologismo di “società dell’informazione”. È dell’anno successivo

il saggio “Understanding Media: The Extensions of Man”di Marshall McLuhan in cui compare l’espressione villaggio globale con cui intende un mondo divenuto piccolo, delle dimen- sioni di un villaggio, all’interno del quale si annullano le distanze fisiche e culturali e dove stili di vita, tradizioni, lingue, etnie sono rese sempre più omogenee e internazionali. Per la baby boom generation protagonista del ‘68 la società dell’informazione e il villaggio globale rappresentano prerequisiti indispensabili, senza i quali i movimenti di quel periodo non sarebbero stati possibili. È del 68 il caso Adams, che diventerà simbolo del potere dei media nel nuovo mondo che si sta globalizzando, e in cui Tv e stampa convivono, parallele e convergenti. Nel febbraio del 1968 il fotoreporter della Associated Press Eddie Adams ritrae il capo della polizia di Saigon per la strada mentre spara alla testa di un civile appena arrestato. Tutte le reti televisive Statunitensi, e mondiali, trasmettono immediatamente la foto,

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così come tutti i giornali del mondo la pubblicano il giorno successivo. La foto raffigura la degenerazione di un presunto regime democratico che gli Stati Uniti sono andati a difendere, e la quasi totalità dell’opinione pubblica si rivolta contro l’intervento in Vietnam. Quello che non è riuscito a quasi un decennio di editoriali e coraggiose inchieste giornalistiche riesce quasi istantaneamente ad una foto prima, e ad una ripresa video dopo, in modo quasi istantaneo. Come sottolinea McLuhan “Nel villaggio globale la guerra entra in salotto e non permette di rimanere neutrali”.

SOVRAPPRODUZIONE INFORMATIVA Questo episodio rappresenta un segnale della sovrabbondanza dei mezzi di comunicazione di massa. Negli anni successivi immagini e filmati di guerra e di altri tipi di catastrofi si moltiplicano fino a perdere la loro singolarità e la loro capacità di impressionare. LA ridondanza dei mezzi di comunicazione produce quello che è stato definito un’eccesso di informazione, che spesso di riduce a “rumore di fondo”, una sorta di “opacità sociale” che alla fine impedisce di scorgere anzichè attirare l’attensione. (Bechelloni, 1981). Alla ricerca di un momento di attenzione agenzie di stampa, uffici stampa, addetti alle pubbliche relazioni etc.. tendono a imporre

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al giornalismo un processo di contrazione della notizia che tenga conto più degli interessi ci chi produce la notizia piuttosto di quelli che sono poi i fruitori. Nel loro saggio “media worlds in the postjournalism era” Altheide e Shaw avvertono che - il giornalismo corre il rischio di trasformarsi in un post-giornalismo, che si limita a trattare e riciclare informazioni prodotte da altri, senza muoversi dalla propria scrivania, rinunciando ad un ruolo attivo di inchiesta, conoscenza, approfondimento e interpretazione”. Il risultato è un appiattimento dei contenuti, in cui la pluralità dei media non rappresenta il pluralismo delle interpretazioni. La prima a subire gli effetti negativi di questa tendenza è la carta stampata, mezzo di comunicazione più antico e più soggetto all’obsolescenza. Nel giro di mezzo secolo i gornali sono sbalzati da un mercato monopolistico ad una posizione di nicchia, con conseguente flessione degli investimenti pubblicitari che si spostano su altri media, principalmente la televisione, che registra un incremento verticale, arrivando ad essere negli anni 80 il primo distributore di notizie, e il più seguito.

ITALIA In Italia persiste, anche nel dopoguerra, il proprio tratto distintivo, cioè una congenita


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e perdurante ristrettezza del mercato dei lettori di stampa quotidiana. La riconquista della libertà però infonde fiducia al mercato e si assiste ad una rinascita della stampa quotidiana e periodica. Capofila è ancora il Corriere Della Sera. Tra i settimanali si afferma una nuova testata, L’Europeo, diretto da Arrigo Benedetti, che riprende la formula di Omnibus e Oggi, con una vocazione particolare alle inchieste. Per la testata scriveranno importanti voci della cultura italiana, da Bocca alla Fallaci. Negli anni 50 nascono numerose testate che vanno, almeno in parte, a occupare lo spazio di una stampa popolare assente tra i quotidiani. In testa c’è La Domenica Del Corriere, nato nel 1899 e popolarissimo fino al 1989.

Seguono Oggi, Tempo, Epoca. Nel 53 L’Europeo viene acquistato da Rizzoli, e il vecchio direttore Benedetti si dimette e fonda L’Espresso, con i capitali di un imprenditore illuminato che produce macchine da scriver: Adriano Olivetti. Negli anni 60 Mondadori crea una testata per contrastare il potere de L’Espresso, nasce così Panorama, fondato su una cultura della notizia aggressiva e orientata al giornalismo newsgatherer (che cerca la notizia). Durante tutti gli anni 70 le due testate si contenderanno il merito di settimanale più venduto in Italia. Accanto alle testate politiche il panorama italiano è costellato da settimanali non politici. Primo tra tutti Famiglia Cristiana, delle edi-

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zioni Paoline, lo seguono Oggi, magazine di cronaca, e il suo analogo Gente, che avrà poi un picco di vendite durante gli anni 80. Dalla metà degli anni 50 in poi l’editoria italiana è caratterizzata dall’ingresso in scena di un alto numero di editori non puri, per cui cioè l’editoria è solo una delle aree di investimento. Così Enrico Mattei dell’Eni fonda il Giorno, il petroliere Attilio Mondi acquista Nazione e Resto Del Carlino, la famiglia Agnelli, già proprietaria de la Stampa, entra nel consiglio di amministrazione del

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Corriere Della Sera insieme al petroliere Angelo Moratti, nel 73. Gli anni 70 segnano anche l’ingresso di numerose testate più o meno direttamente riconducibili a movimenti di sinistra parlamentare o extra parlamentare. Nascono Il Manifesto (‘71), Lotta Continua (‘72), il Quotidiano dei Lavoratori (‘74). Nello stesso periodo è registato un timido tentativo di ritorno all’editoria “pura” da parte di due giornalisti Indro Montanelli (storica firma del Corriere) e Eugenio Scalfari (collaboratore di Mondo ed Espresso) che fondano Il Giornale Nuovo (‘74), il primo, e La Repubblica (‘76) il secondo. Questo periodo florido per l’editoria italiana è destinato a durare poco. Nella seconda metà degli anni settanta il gruppo Rizzoli conosce un esplosione abnorme del fatturato, ma anche un aumento dei debiti. La situazione si complica quando entra nel gruppo Il Banco Ambrosiano, propio per risanare questi debiti. Ad operare la transizione è Roberto Calvi. L’immissione di questi capitali si accompagna alla penetrazione ai vertici dell’azienda e del Corriere Della Sera di oscuri personaggi legati alla loggia massonica P2, diretta da Licio Gelli. Questo periodo coincide con uno dei più bui ed oscuri della storia d’Italia. Nell’81 Calvi è arrestato per esportazione illegale di capitali e pochi mesi dopo viene trovato cadavere a Londra, morto “suicida” in circostanze


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quantomeno misteriose. Nello stess periodo viene affidata a Maurizio Costanzo, membro della loggia P2, la direzione de L’Occhio, tabloid scandalistico sul modello del Sun, che si risolve in un fallimento e che procura un aumento dei debiti di Rizzoli. Alla fine di questa lunga e travagliata transizione la Rizzoli viene acquistata da una holding finanziaria di Fiat, la Gemina, nel 1984. Il successo di Repubblica ha intanto eroso la solida base del Corriere, che perde circa 100mila copie. Gli anni 80 vedono inoltre l’ingresso nello scenario dell’economia e dell’editoria italiana di un altro personaggio destinato a cambiare tutti gli equilibri, si tratta di Silvio Berlusconi, nel 1984 il governo Craxi permette con un decreto all’imprenditore di porre le basi per un impero televisivo, diventando di fatto proprietario di 3 delle 7 emittenti nazionali, accendendo una forte competizione tra i canali pubblici e quelli privati, erondendo di fatto gli investimenti nella carta stampata. Nel 1989 è la volta di quella che passa agli onori della cronaca come la “guerra di segrate” che vede l’ingresso di Berlusconi e De Benedetti nel consiglio di amministrazione di Mondadori. Altro attore che si affaccia alle scene durante gli anni 80 è un quotidiano economico espressione dell’imprenditoria italiana, Il Sole 24 Ore, che si pone ben presto ai vertici

delle vendite, mentre Repubblica e il Corriere si contendono il primo posto a colpi di inserti e gadget. Nel 1993 il totale dei lettori si aggira intorno ai 6 milioni. Metà delle vendite appartengono ad un pool di otto quotidiani. Quattro generalisti: Corriere, Repubblica, Stampa, Messaggero. Tre sportivi: Tuttosport, Corriere dello Sport e Gazzetta dello Sport. Uno economico: Il Sole 24 Ore. Paragonata a quella Americana la stampa italiana mostra un più alto livello culturale, una maggiore influenza dei comitati di redazione, un grado più elevato di politicizzazione, una scarsa mobilità professionale, una scrittura più complessa che mette in evidenza la mancanza di un copy editor, figura professionale dedita alla riscrittura degli articoli. Ma il suo più importante carattere di fondo rimane la separazione tra una stampa quotidiana sostanzialmente d’élite e una stampa settimanale tendenzialmente popolare. (G.Gozzoni, op.cit.)

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capitolo 3

la forma è sostanza

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I LE PRIME COVER Nel corso del tempo le copertine delle riviste sono cambiate radicalmente. Ai tempi della nascita del media, nella metà del 1700, i primi magazine non hanno nulla di simile a quello che consideriamo una copertina. Molti dedicano la pagina iniziale a un titolo o a una tabella di contenuti, utilizzando lo stesso tipo di impaginazione e la stessa carta degli interni, rifacendosi a una tradizione giornalistica. Quando invece le prime riviste utilizzano delle copertine, inteso in senso moderno, queste somigliano più a un frontespizio, di tipo librario. Vengono riportati solamente il titolo e la data di pubblicazion e . Rar a -

mente sono presenti testi che fanno riferimento a cosa si possa trovare all’interno del magazine. La copertina di “American Magazine of Useful and Entertaining Knowledge” del 1835, ad esempio, mostra un layout centrale con una piccola illustrazione che appare con un proposito puramente decorativo, più che volto a illustrare il contenuto.

Mother’s Magazine, del 1844, è un esempio di un terzo tipo di copertine diffuse comunemente nei primi 2 secoli di riviste, vale a dire una copertina simbolica. Viene utilizzata un’illustrazione generica per evocare lo spirito della pubblicazione, senza rivelare nulla sul contenuto

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specifico del numero. L’illustrazione può essere vista come un modo di comunicare al lettore di “Mother’s” lo spirtio della rivista - viene utilizzata una simbologia condivisa, come pilastri, archi, fontane, relativi all’ambito familiare - tutte queste implicazioni oggi possono apparirci come congetture, ma và considerato che i lettori del tempo erano abituati a questo tipo di simbologia e ad una familiarità con i racconti e le raffigurazioni bibliche, che rimandano appunto a questo vocabolario simbolico. Cover generiche di questo tipo appaiono per lungo tempo. Non solo la mancanza di occhielli o richiami al conenuto non era affatto un fatto raro, ma spesso i magazine non avevano neanche una copertina. Come i quotidiani iniziavano con il primo articolo in prima pagina. Una vera e propria testata iniziò a comparire verso la fine dell’800. Cosmopolitan del 1893 rap-


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presenta un tipico esempio di magazine del tempo, che utilizza il sommario come copertina, un paio di strilli sono presenti al di sopra della testata e si inizia a definire l’identità visiva del magazine, la caratteristica C e la banda rossa. “Reader’s Digest” utilizza il sommario come copertina dal 1922 al 1998, uso ancora in voga per molti magazine letterari.

II le cover-poster, mmagini che non hanno bisogno di parole. Dal 1890 agli anni 60 del 900, a dominare sulle altre tipologie di copertina è una in particolare: la “poster-co-

ver”. Si affermano molti illustratori professionisti alla fine del’800, molti imparano il mestiere dalla tradizione cartellonistica dell’art nouveau, tradizione che a sua volta è strettamente connessa alla nascente disciplina del design di interni. Il loro lavoro, tradotto in pagina con l’aiuto di abili incisori, domina il graphic design, anche se già esiste eccellenti fotografi e sia possibile riprodurne le immagini. All’inizio del 900, molti illustratori, come Charles Dana Gibson e Maxfield Parrish, diventano molto famosi; il loro lavoro non appare solo sulle copertine, ma anche all’interno dei magazine. Questo tipo di cover prende il nome dal grande formato e dal fatto che le illustrazioni sembrano create per essere appese al muro piuttosto che usate come copertine. Uno standard dell’epoca vuole che le cover siano caratterizzate da “assenza di strilli o richiami al contenu-

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to, e l’immagine in genere non è coperta dalla testata. L’immagine non dev’essere necessariamente legata ad una storia presente all’interno. Piuttosto deve descrivere il mood generale del magazine che va a ricoprire” (Johnson, Sammye, & Prijatel, Patricia. (2000). Magazine Publishing. Lincolnwood, IL: NTC/Contemporary). Ovviamente questa definizione è più rigida di quello che è la consuetudine, che include copertine nelle quali la testata va a coprire o ad essere coperta dall’immagine, o nelle quali appaiono piccoli strilli e righe di testo che richiamano i contenuti. Ma la prevalenza dell’illustrazione rimane, così come la grandezza del formato, che su-


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pera molto quelli a cui oggi siamo abituati. Magazine come “the Munsey”, “The ladies’ home Journal”, “Vogue” o “Vanity Fair” utilizzano largamente questa tipologia di cover. La cover di Vogue del 1917 mostra le caratteristiche tipiche di una poster-cover. La sensazionale illustrazione rimpicciolisce il reso della cover, inclusa la testata. Nell’angolo in alto a sinistra un carattere leggero annuncia “Spring Millenery Number” (numero sulla sartoria primaverile”. Un’altra piccola etichetta appare in basso al centro. La scintillante illustrazione (e il lettore del tempo avrebbe riconosciuto che era del famoso copertinista Dryden) dice tutto il resto.

A Vanity Fair, sotto la direzione dell’art-director M.F. Agha, vengono prodotte una serie di poste-cover da incorniciare, durante gli anni 30, le cui tematiche sono le più varie, dalla critica sociale alla politica.

Quando Henry Luce lancia Fortune, nel mezzo della depressione del 1930, lo fa scegliendo un formato enorme e un’alta foliazione, l’arrogante bellezza delle copertine emana un dinamico ottimismo – una successione di rappresentazioni moderniste che celebrano l’industria e il progresso – senza una sola riga di testo in copertina oltre alla dicitura sottostante la testata “Un dollaro a copia,

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dieci dollari all’anno”. La cornice introno alle immagini – che dà l’impressione di guardare fuori da una finestra – è parte del concept creato per Fortune da T.M. Cleland. Poster-cover apparvero su diverse tipologie di magazine. Come Outdoor life, che presenta dipinti dettagliati di animali, che anticipa di decenni l’uso delle fotografie ultra-dettagliate di soggetti simili, comuni nelle riviste naturalistiche. Spesso le immagini erano racchiuse all’interno di cornici caratteristiche della tipologia di copertina, ed erano presenti piccolissime righe di testo nel fondo della pagina. “Asia”, magazine di viaggi,


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presenta un altro splendido esempio di utilizzo tra gli anni 20 e 30, prima che i suoi viaggi venissero fermati dalla 2° guerra mondiale. Le cover spesso non presentavano alcun testo se non la testata, ma gli indizi sulle tematiche erano suggeriti dalla copertina.

potente fotografia in bianco e nero, incorniciata dal logo “Life” e dalla data di pubblicazione. Nelle rare occasioni in cui compare altro testo è molto piccolo. In Life le immagini costituiscono la principale attrattiva, e la copertina riflette questa attitudine.

Luce portò la concezione di cover di Fortune anche nel suo magazine successivo, Life, quando lo fondò nel 1936. Sin dall’inizio Life è caratterizzato dalla presenza di una enorme, coraggiosa,

L’uso delle “poster-cover” và successivamente perdendosi, a favore della presenza di strilli in copertina, a parire dagli anni 60, ma il suo uso persiste in alcuni casi quando si vuole dare particolare enfasi ad un evento o ad un immagine. Ad esempio Rolling Stone nel gennaio del 2001 volle omaggiare George Herrison in occasione della sua scomparsa, e presentò ai lettori una cover in

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cui compariva la sola faccia del musicista, la testata e null’altro. L’uso delle cover poster di è attestato come un modo, in particolati condizioni e da parte di particolari tipologie di riviste di affermare “Non abbiamo bisogno di dirti cosa ci sarà all’interno, ci conosci, sai che oltre a questo ci saranno molti altri articoli che ti interesseranno”. La fiducia nel proprio rapporto con il pubblico porta al maggiore o minore utilizzo di questa tipologia di cover, il quale presenta un singolo focus, e deve poter reggere il confronto con decine e decine di altre cover simili per catturare l’attenzione del lettore.

III PAROLE SPOSATE AL TESTO Abbiamo tracciato finora la storia delle “poster-cover” durante il 20° secolo . Ma c’è una seconda storia parallela. Mentre molti ma-


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gazine preferivano una cover riccamente illustrata, altri si affidarono largamente all’uso di testi in copertina per mostrare ai lettori i contenuti del magazine in modo più dettagliato di quanto potesse fare una copertina artistica. Non è chiaro quando gli strilli iniziarono ad apparire, ma è testimoniato che fu molto presto nella storia del media. Dalla fine dell’800 gli strilli furono comuni, così come nei primi del 900, gli strilli instaurarono un dialogo con il lettore. Due numeri di “Mc.Lurès” suggeriscono il tipo di svolta di cui stiamo discutendo. La cover del numero di giugno 1898 è ancora una “poster-cover”: una grande e tradizionale immagine simbolica, che rimanda a tematiche inerenti la festa americana del 4 di Luglio, e non vi è traccia di strilli. Il numero del 1916 rappresenta un esempio di una cover “integrata” - una in cui testo e immagine hanno rag-

giunto un rapporto simbiontico. Ma questa cover è stata progettata utilizzando molti dei metodi che sarebbero stati ri-inventati durante il 20° secolo per integrare testi e immagini_

• parti della figura (spesso volti) coprono in parte la grande testata • la modella quasi a figura intera (spesso è utilizzato un piano americano) • una modella presentata in una posizione non comune ed espressiva • linee di testo su entrambi i lati, accuratamente posizionati Si può notare la presenza di due livelli di testo, uno principale e uno secondario. Il

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primo è la lista che inizia con Robert Hichens, e continua con tutti i collaboratori del testo, e una secondo livello, più importante visivamente, che appare a fondo pagina, e contrasta per carattere e dimensioni. Può per questi motivi considerato un ottimo esempio di capostipite, datato 1916, poiché gli elementi presenti sono gli stessi che si possono trovare nelle cover fino agli anni 90 e a oggi. Questa tipologia di copertine nonostante tutto rimase secondario rispetto alle “poster-cover” e non giunse alla popolarità dino agli anni ‘70 del 900.

In Cosmopolitan del 1932 è visibile l’alta capacità dell’il-


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lustratore nel creare una cover perfettamente integrata. La C del logo è richiamata dal cerchio intorno al prezzo, e anche dal tondo bianco che fa da sfondo alla figura. Il testo accompagna il movimento dinamico della modella suggerendo un’idea di dinamismo e divertimento. Nei decenni seguenti apparvero molti tipi di copertine, creando numerosi esperimenti sul posizionamento del testo.

mostrano originali accostamenti, che spesso trovavano espendienti nuovi aggirando alcuni limiti della stampa. Le riviste di moda in generale hanno sempre puntato ad una tipologia di copertina che potesse rispecchiare il tipo di fermento e di ricerca che caratterizzava il proprio mercato di riferimento. La ricerca comunque tendeva ad una ricerca di armonia ed equilibrio.

Tra gli anni 40 e 50 i principali magazine nazionali tentarono diverse vie, anche osando molto, per collocare strilli e richiami sulle copertine delle riviste. Alcuni Cosmopolitan di quegli anni

Verso la fine degli anni 60, invece, la tipografia delle maggiori riviste, iniziò a rompere la tranquilità cui aveva abituato, iniziando un tipo di comunicazione più varia e urlata.

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Vogue fu interprete di questo cambiamento e dalla fine degli anni 60 iniziò a proporre un formato maggiore della rivista, e anche i caratteri che componevano i testi i copertina iniziarono a farsi più grandi, più vari, colorati e composti con font più incisivi e in dimensioni differenti tra loro. I testi iniziarono ad intersecare le immagini in modo nuovo e più indipendente. Grande innovatore in questo senso è stato Herb Lubalin, parole posizionate coraggiosamente fino a diventare elementi artistici e predominani, tanto che presto diventarono gli elementi centrali del cover-design, prendendo vita insieme alle immagini. La fotografia giocò un ruolo


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molto importante in questo cambiamento rinnovandosi sul fronte della composizione, dando vita ad un genere di foto da copertina. Nel corso degli anni i titoli si fecero sempre più aggressivi, sia a livello contenutistico che tipografico, sperimentando diversi tipi di variazione di corpo e carattere del testo, arrivando a sottolinea-

re con diversi colori diverse parole. Negli anni ‘80 sembrava che i testi in copertina cercassero di descriver l’intero conenuto sulla copertina. Fino ad arrivare al caos completo negli anni 90 con l’ondata di innovazioni tecnologiche che rivoluzionarono completamente il modo di produrre

e concepire le riviste. Contemporaneamente i magazine indipendenti svilupparono linguaggi grafici post-moderni che sfruttavano appieno i mezzi del proprio tempo, magazine come ad-buster, wired o emigre proponevano font creati adhoc, utilizzo ibrido di tecniche digitali e manuali.

IV LA GRAFICA POST-MODERNA the machine is the medium La metà degli anni ‘80 segna l’arrivo sulla scena mondiale di un nuovo protagonista. Il computer. Per la precisione l’Apple Machintosh, computer rivoluzionario dalla vocazione popolare. Ovviamente le

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macchine che comparivano sul mercato non erano neanche lontanamente paragonabili a ciò a cui siamo abituati ora. Grafica Bitmap, pochissimi colori, capacità di calcolo risibile, ma il cui impatto fu devastante creando un nuovo modo di concepire la grafica editoriale, l’estetica e l’intero processo progettuale.

La designer californiana April Greiman, early adopter della cgi, sostenne che il computer fosse un nuovo paradigma, una nuova “lavagnetta magica” capace di spalancare nuove opportunità per i progettisti. Greiman capisce subito che, nonostante molti grafici “tradizionali” avrebbero prote-


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stato e avrebbero tentato di opporsi, il computer avrebbe cambiato radicalmente il processo di design. In questo senso, come sostenne lei stessa, il computer non è solo un’altra matita. Una matita crea dei segni fisici e anche qualora questi segni vengano cancellati ne rimane qualche traccia, così come per tutti gli altri strumenti da disegno (pennarelli, pastelli a cera, tempera, etc..) lasciano tracce anche più profonde. Di contro la funzione “undo” del computer permette a qualunque segno di sparire immediatamente, senza alcuna traccia. La possibilità

di cancellare conferisce ad ogni aspetto del design un valore di estemporaneità, di precarietà della qualità. Non esiste più un senso di ciò che è corretto e ciò che non lo è, essendo tutto editabile all’infinito. Questa sensazione di incertezza e instabilità si estende all’intero processo di design. In uno spazio digitale nulla è mai davvero completo. Le opzioni sono infinite, tanto che talvolta possono essere lasciate al caso, senza che nessuna conseguenza possa essere mai definitivamente negativa. Questo tipo di sperimentazione trova il proprio terreno fertile nel campo dell’editoria periodica, che ne condivide

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l’aspetto di precarietà. Una rivista che esce ogni mese può permettersi degli errori, che possono essere corretti nel numero successivo, senza che nulla resti punto fermo, ma parte di un flusso. Dalla Califonia occidentale, terra natale dei personal computer, arrivano le innovazioni più forti, tra i primi utilizzatori vi sono Rudy VanderLans e Zuzana Licko, soci fondatori di Emigre,


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fonderia digitale e prolifica casa editrice di una rivista, Emigre, che ha come scopo principale sondare i limiti del progetto e dell’estetica post-moderna. Vander Lans e la Licko citano Piet Zwart definendosi “nuovi primitivi di un era neo teconologica”, immaginando che le immagini bitmap sarebbero state la base di una nuova estetica del computer. Nell’articolo apparso su Emigre, scritto con un font bitmap disegnato apposta per il Mac mostrano la nuova estetica in atto, affermando che ogni resistenza alla nuova estetica crollerà “non appena una nuova generazione di designer inizierà la professione. Cresciuti con in computer a casa e a scuola, questi nuovi designer avranno assimilato la teconologia digitale all’interno della comunicazione visiva così come avrà pervaso tutta la vita di ogni giorno”. Dal personal computer a internet il passo è breve, anche in termini temporali. Così come l’evoluzione del pen-

siero e dell’estetica. Dal 1993 esiste il World Wide Web, che trova una sottocultura in fermento pronta ad accogliere l’innovazione. Nel 1993 l’editor ed editore Louis Rossetto lancia Wired. Sotto la direzione di Kevin Kelly e la direzione artistica di John Plunkett, Wired lascia profondamente scioccati i lettori del

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tempo. Nel primo numero le parole “the medium is the massage” di McLuhan fluttuano al di sopra di una nube di collage digitale ed immagini generate dal computer. Dopo di chè ogni pagina di Wired e stampata utilizzando nuove tecnologie di rotativa a 5 o 6 colori, che permettono di inserire colori ultravividi e


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fluorescenti mostrando qualcosa di mai visto prima di allora. Wired offre al lettore una esperienza di intossicazione visiva che è metafora dell’immersione nel mondo digitale ed immateriale di internet. Il futuro di Wired è subito roseo. Col la crescita della bolla del dotcom e con la colonizzazione del web da parte dell’e-commerce l’interesse verso il web cresce vertiginosamente in tutto

il mondo, tanto che l’editrice Condè Nast si interessa nell’acquisto della testata. Il personaggio di maggior spicco all’interno della grafica post-moderna è senza dubbio David Carson, che fu durante gli anni 90, il designer che più si impegnò a “popolarizzare” questo tipo di approccio. Per molti giovani designer di allora il suo lavoro con “Ray Gun” dal 92 al 95, supportato da lunghi cicli di workshop, permise una libertà intellettuale di sperimentare in questa direzione. Dall’altro lato i buoni successi di vendita di Ray Gun ersero Carson a portabandiera della cultura giovanile della “generazione x”. Carson mira a rivolu-

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zionare il modo di concepire la pagina e il media rivista stesso, frammentandolo, rendendone la scansione frenetica e anti-lineare. Avverso soprattutto al classicismo rifugge qualunque tentazione citazionista e punta alla creazione di uno stile il cui principale scopo è la novità, oltrepassando le concezioni di bello e brutto, giusto o sbagliato, e via dicendo.

V CONTEMPORANEITà è sempre difficile rapportarsi con l’analisi della contemporaneità, tanto più dopo il 2000, dopo la democratizzazione della progettazione


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grafica e l’abbattimento delle barriere culturali seguito alla diffusione del web. Tra le tematiche principi del primo decennio del nuovo millennio il tema della globalizzazione è sicuramente quello più sentito. Scompare gradualmente la figura del designer di professione, e si afferma una tendenza ben sintetizzata dal titolo del libro dello Studio Kluif: Purist are Boring. I linguaggi continuano la loro contaminazione e l’approccio post-moderno è alla base della filosofia di molti designer. Le regole tipografiche ed editoriali sempre più spesso sono rotte, o aggirate, tramite un perscorso di interiorizzazione

del processo progettuale. La grafica dei magazine del 2000 riflette tutte queste tendenze. Fince Frost è uno dei più brillanti tra i “giovani” designer figli della “generazione x”, gioca con le regole editoriali, costruisce gabbie rigide che poi elude, mescola fotografia e tipografia in un modo che farà scuola. L’altra tendenza caratteristica degli “anni 0” è rappresentata dalle sperimentazioni di Stefen Segmeister, che segna un forte ritorno

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ad un’approccio istintivo ed istintuale alla progettazione. Celebre il suo manifesto per AIGA, in cui incide l’intero programma sualla sua pelle. L’impatto di questo approccio è visibile nel forte ritorno all’uso della tipografia handmade in molte pubblicazioni e nella personificazione tra il designer e il proprio lavoro, in cui pone una forte impornta personale.


capitolo 4

anatomia di una rivista

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capitolo 04

Ogni rivista è caratterizzata, oltre dagli argomenti di cui tratta, dal modo in cui vi si approccia, anche dal modo in cui li struttura, organizza e presenta ai propri lettori. La maggior parte delle riviste ha una struttura divisa in quattro parti. Nella prima, più breve, c’è una “porta di accesso” in cui la rivista presenta sè stessa. È presente quindi il colophon, un sommario, e un’editoriale. Quindi tre parti che descrivono chi fa la rivista, di cosa si parlerà e una breve chiave di lettura su un tema specifico o generale, o una nota di commento. A seguire è solitamente presente una parte di rubriche fisse, articoli di fondo e brevi news. Questa parte è spesso fondamentale per consolidare il rapporto con il lettorate. Le rubriche spesso sono tenute da columnist fissi o trattano di argomenti fissi. La parte di news serve a costruire una base comune di conoscenze e aggiornamenti da cui partire per portare avanti la discussione, così come gli articoli di commento segnano punti di affinità, divergenza o dialogo su quelli che sono gli argomenti comuni tra lettorato e redazione.

Una terza parte, più larga, è quella che costituisce il vero cuore della pubblicazione. A seconda del genere della rivista e delle sue caratteristiche peculiari il tipo e il genere degli articoli proposti cambierà, ma sostanzialmente possono essere racchiusi e semplificati in interviste, reportage, servizi e servizi fotografici, qualunque siano gli argomenti e le modalità. Per questo in un giornale di attualità sarà più facile trovare un reportage di guerra mentre in un giornale di moda un serizio fotografico, magari con modelli e fotografi celebri. Non esistono però regole ferree, e neanche consuetudini generali che li regolino, è proprio dell’identità della rivista decidere come e cosa trattare, poiché è proprio questo che conferisce il carattere e l’unicità della rivista. Nella quarta parte della maggior parte dei magazine, lo spazio viene riservato ad una sorta di commiato e sguardo verso il futuro. Così è facile trovare all’interno della maggior parte delle riviste recensioni, a seconda del tipo di rivista, previsioni e anticipazioni per eventi futuri, che siano uscite editoriali/discografiche/etc.. oppure eventi

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come fiere, mostre, etc.. Inoltre molte riviste, specialmente quelle a periodicità ridotta o ad argomento vario presentano “contenuti extra” spesso orientati all’intrattenimento, come fumetti, racconti, articoli di costume, oroscopo, etc.. o comunque contenuti che variegano il tono della rivista e la “aprono” verso l’esterno. Questa struttura può variare, anche considerevolmente, ma una struttura interna di una rivista serve come base per la costruzione del rapporto tra coloro che la scrivono e coloro che la leggono. È come la geometria di una casa o l’allestimento di una mostra. Viene influenzata sia dalle intenzioni di chi la costruisce che dal tipo di pubblico che dovrà “frequentarla”. Ogni editore (in senso più ampio del termine) decide il tipo di rivista che vuole creare, con che scopo, quale tipo di rapporto vuole istaurare e quale tipo di reazione di aspetta dal suo lettore. Una struttura e un’impostazione grafica rigorosa e chiara tende a mettere a proprio agio il lettore e a farlo orientare comodamente all’interno della rivista, e non crea nessun grado


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di sorpresa con il susseguirsi dei numeri. Se al contrario un editore decide di creare una rivista che sconvolga e reimposti il rapporto di volta in volta può stravolgere formato, struttura e grafica ad ogni numero. Esistono pochi esempi di riviste che aspirino a tanto e ancora meno di riviste che possano permettersi un rapporto così “schizofrenico”. Una di queste è la rivista letteraria McSweenyes che sconvolge se stessa, dalla base, ad ogni uscita. Così come vi sono poche riviste che riescano a funzionare e mantenere un rapporto vivo restando pressochè immutate di numero in numero, sono spesso grandi riviste di carattere in-

formativo e di approfondimento, come Times, Internazionale, Die Zeit, etc.. La maggior parte delle riviste si colloca in una via di mezzo, proponendosi con un atteggiamento “amichevole” ma innovativo di volta in volta. Esempio di vicinanza alla tendenza della “sorpresa” è Wired, che pur mantenendo una struttura ordinata e riconoscibile, sconvolge(va) le proprie pagine di volta in volta, con lo scopo di colpire e sorprendere il lettore.

LA FUNZIONE DEI GENERI È normale che, quando qualcuno s’introduce in un campo che non conosce, la prima cosa che

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fa è tentare di capire le regole del gioco. Alcune volte queste regole sono molto rigide e la loro violazione può provocare la comminazione di sanzioni. In altre attività, le regole sono modi di comportarsi, consolidatisi nella pratica, che permettono di riuscire con efficacia e di risparmiare tempo ed energia. La loro inosservanza non prevede necessariamente delle sanzioni. Ciò che si trasmette agli altri, quando manca quest’adeguamento, è un non essersi saputo adattare alle esigenze. In molti casi quest’atteggiamento manifesta dilettantismo, mancanza di professionalità. Le forme espressive che si utilizzano nei mezzi di comunicazione s’inquadrano nel secondo gruppo: sono frutto della pratica professionale, che le ha adattate con l’obiettivo di facilitare la loro produzione e ricezione. Si potrebbe dire che la società ha cristallizzato molte di queste regole in forma di generi. Introdursi nella sfera di un determinato ambito umano presuppone dominare i generi che la caratterizzano, qualcosa che fa parte della competenza


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linguistica di coloro che partecipano a quest’attività: sappiamo che genere usare per ciascuna circostanza. Come dice il linguista Bakhtin, “parliamo in generi senza esserne coscienti, senza immaginare nemmeno che esistano. Sono come una madrelingua che usiamo anche prima ancora di conoscere la sua grammatica”. I generi sono i prodotti culturali che hanno codificato convenzionalmente le maniere in cui si esprimono certi significati. Quando non si segue la convenzione può accadere perché uno è incompetente (non sa usare i generi) o perché vuole trasmettere altri significati. Che un professore dica ai genitori di un alunno che il loro figlio è uno “studente che si applica”, risulta un elogio; però la stessa frase scritta in un tipo di genere chiamato “lettera di raccomandazione” (in cui si suole esagerare le qualità del raccomandato), sembra più un insulto: sarebbe come dire che il raccomandato “non è molto intelligente”. Leggendo, classifichiamo automaticamente un testo. Per esempio, lo leggiamo come una

notizia e non come un racconto letterario, e questa decisione è fondamentale per l’interpretazione che ne facciamo. È più facile osservare ciò in un testo scritto, però si potrebbe dire lo stesso dei generi audiovisivi:

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non è lo stesso un talk show che un documentario informativo, né vediamo con la stessa disposizione un film di azione “hollywoodiano” che un adattamento cinematografico di una tragedia di Shakespeare.


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Come l’interpretazione di un testo dipende in gran parte dal suo genere, dobbiamo mantenere, nello scrivere, le convenzioni generiche. Il genere crea aspettative forti nel lettore. Esiste un “patto di lettura” tra redattore e lettore che bisogna

rispettare. Si potrebbe quasi affermare che, in buona misura, capiamo quello che ci dicono perché “sappiamo” quello che ci stanno per dire. È normale che sedendoci al tavolo di un ristorante il cameriere si avvicini e ci offra il menù e ci chieda 48

cosa desideriamo mangiare. Anche se non capiamo la lingua, “sappiamo” cosa ci sta dicendo. I generi sono le risposte strutturali e stilistiche alle differenti necessità espressive degli


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uomini, e i generi giornalistici soddisfano le necessità espressive del giornalismo e facilitano la comprensione dei testi. Svolgono una funzione imprescindibile nell’attività giornalistica, semplificano il processo dello scrivere, offrendo modelli, formule, in cui il professionista versa l’informazione di cui è in possesso. Nell’attività professionale, i generi operano come punti di riferimento.

I GENERI L’attività giornalistica si avvale di generi, i quali cambiano e si adattano alle necessità ed alle circostanze di ciascun’epoca. Nei generi informativi ci si preoccupa di riferire gli elementi essenziali di fatti nuovi, che è necessario diffondere oggi: se si offrono domani è già tardi. Notizia: – dimensioni ridotte informazioni essenziali, riadattamneto di un dispaccio di agenzia.

– offre al lettore dettagli e approfondimenti esclusi dalla semplice notizia ( > 20-30 righe). Nei generi complementari, prevale il fattore esplicativo, oppure si tratta di presentare aspetti della realtà che non è necessario che vengano comunicati oggi al lettore: sono più durature, possono aspettare. Cronaca: narrazione diretta e immediata di un evento: – Nera (avvenimenti violenti) – Rosa (mondanità) – Sportiva – Corrispondenza (resoconto di avvenimenti lontani).

Breve: – sotto un titolo di rubrica, poche parole.

Inchiesta: indagine che ha l’obiettivo di scoprire verità nascoste, fatti e interpretazione dei fatti. – conoscitiva, mette a fuoco alcuni aspetti della società andando oltre il semplice dato di cronaca. – investigativa, indaga un fatto preciso, in genere una verità nascosta o occultata (caso Watergate).

Servizio:

Intervista:

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servizio giornalistico realizzato attraverso una serie di domande, l’avvenimento è l’intervista – intervista volante, raccolta di testimonianze e pareri del passante che servono ad arricchire la cronaca di un avvenimento appena accaduto; – intervista tematica, cioè un intervista su un preciso argomento di cui l’intervistato è esperto o testimone privilegiato – intervista personale, è l’intervista fatta spesso ad un personaggio di pubblica rilevanza di cui l’intervistatore deve riuscire a catturare la fiducia – intervista pilotata, intervista sollecitata dall’intervistato il quale fornisce risposte tramite il suo addetto stampa. Reportage: – pezzo realizzato da un unico giornalista su un fatto noto di cui verranno approfonditi alcuni aspetti, dilatandone contorni e prospettive. Fogliettone: – dal francese feuilleton, indica una collocazione (il taglio basso della pagina) che definisce un genere. È concepito come un genere in cui volutamente si mescolano cronaca e commen-


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to. Resoconto: – cronaca lineare di un avvenimento: dibattiti parlamentari, discorsi politici etc. Pastone: – articolo che riassume le principali notizie politiche della giornata. Articolo di colore: – articolo che con toni leggeri e un punto di vista soggettivo, descrive ambienti, umori, sensazioni di eventi di cui cerca di svelare i retroscena. Coccodrillo: – articolo biografico di commiato, dedicato ad un personaggio importante in occasione della sua morte . In quelli di opinione si offre invece una valutazione del significato e delle possibili conseguenze degli eventi e delle situazioni delle quali, generalmente, si ha già dato notizia; l’autore tenta di convincere il lettore della bontà delle proprie posizioni. Fondo: – commento autorevole, un

– articolo a metà strada tra la descrizione, il commento e il giudizio su un fatto di cultura. La pratica professionale assoEditoriale: – commento che esprime la li- cia questa divisione ad alcune nea editoriale del giornale, scrit- osservazioni riguardo lo stile e to dal direttore o da un membro la struttura dei testi. I manuali dello staff direttivo, spesso non insegnano che quando si scrive una notizia si deve usare un firmato. linguaggio impersonale, evitare valutazioni esplicite, cercare di Trafiletto: – riflessione breve su un fatto mettere le affermazioni, ogni di attualità, una sorta di “edito- volta che ciò sia possibile, in bocca di qualcuno (la fonte) ed riale minore”. evidenziare nel primo paragrafo l’aspetto più rilevante. I generi Corsivo: – pezzo scritto in “corsivo”, di complementari concedono più costume, di tono satirico o pole- libertà espressiva, così come quelli di opinione, che fanno mico, editoriale minimo. uso di ricorsi esplicitamente persuasivi, anche se adattaRubrica: – spazio affidato ad un opinio- ti alla comunicazione sociale nista autorevole che non espri- (per esempio, la brevità obbliga me necessariamente l’opinione ad omettere i diversi momenti del giornale e si interfaccia con dell’argomentazione). il pubblico. Fin qui la divisione tuttora vigente, con alcune varianti, nelElzeviro: – articolo delle pagine culturali la gran parte dei manuali di dedicato alla critica o alla lette- giornalismo. Se domandiamo dove sta la differenza tra generi ratura in genere. di informazione e di opinione, buona parte dei professionisti Commento: – affianca un articolo che sotto- ci risponderà che nei testi informativi si presenta la realtà nuda pone a osservazioni e critica. e cruda, senza alcun commenRecensione: tempo esclusiva del direttore della testata.

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to, mentre in quelli di opinione si manifestano liberamente le idee dell’autore. Questo concetto è descritto dalla famosa, e ambigua, frase di colui che fu intelligente direttore del “Manchester Guardian”, Charles Prestwitch Scott (18721929): “i fatti sono sacri; le opinioni sono libere”. Cui fa eco Norberto GONZÁLEZ GAITANO che nel suo “Hechos y valores en la narración periodística informativa” si chiede se questa frase di Scott debba essere considerata un fatto o un opinione. Questo tipo di spiegazione ha qualcosa di vero, però è incompleta. Bisogna ribadire che se il giornalismo è un’attività interpretativa, anche la “pura informazione” contiene un’opinione sull’importanza dei suoi contenuti. Se una notizia viene pubblicata e merita, per esempio, di essere inserita nella prima pagina di un giornale, lo ottiene in virtù di un giudizio di valore che viene espresso sui suoi contenuti. Si deve dedurre, pertanto, che nei testi informativi esiste, quanto meno, un’interpretazione implicita; a volte, possono contenere anche un’interpretazione esplicita, che si converte

Gruppi incontrollati lanciano sassi per provocare la polizia

be anche dire che comunicare un’opinione sopra un determinato fatto è un modo di offrire informazione. Per esempio, l’opinione di un critico letterario che merita fiducia la posso considerare come un’informazione utile che mi porta ad acquistare un determinato libro.

Anche se si tratta di una notizia, e non di un articolo di opinione, nello stesso titolo si offrono già due diverse interpretazioni (possibilmente entrambe legittime e vere). Non c’è dubbio che queste prospettive influiscono, in modo quasi opposto, nella conclusione che il lettore trarrà a proposito dell’intervento della polizia.

Forse possono essere sufficienti queste osservazioni per porre in rilievo che esistono diversi generi giornalistici, ma che il criterio sul quale basare la divisione non può essere la presenza o l’assenza di opinione, come si fa abitualmente. È preferibile basarsi sulla funzione o finalità che rivestono i testi e sul ruolo dell’autore.

in parole. Lo possiamo verificare nei seguenti titoli che si riferiscono al medesimo fatto: La polizia ferisce dieci persone al caricare contro i manifestanti

Questo ingrediente interpretativo si riferisce in molte occasioni alle intenzioni delle azioni sui quali si informa. È facile distinguere tra “cane” e “topo”, però è più difficile interpretare un atto linguistico: per esempio, distinguere tra “avvertire” e “minacciare”. Nei generi informativi, pertanto, ci sono “opinioni”, però anche nei generi di opinione c’è informazione. Si potreb-

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capitolo 5

pubblicitĂ prezzi e costi

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I lettori non pagano per le notizie. Non l’hanno mai fatto. Il problema dell’editoria quotidiana è esclusivamente questa: il collasso del suo modello di business. Il modello è sempre stato, in parole povere, fare soldi - un sacco di soldi, a volete oceani di soldi - consegnando pubblicità sui giornali nelle case della gente. Gli acquirienti non pagavano le notizie, lo facevano gli inserzionisti. Gli editori spendevano dei soldi per creare contenuti originali per dare una ragione ai lettori di acquistare i giornali e di farsi recapitare in casa la pubblicità. Certo, a molte persone in realtà interessavano davvero le notizie, ed erano convinti di pagare per esse. E molti giornali spendevano più soldi di quello strettamente necessario per avere notizie e contenuti di livello alto. Ma questi non sono parametri che influenzano un modello di business. I giornali non stavano vendendo le notizie. Stavano tenendo un monopolio informativo basato su una convenzione sociale attraverso la quale erano autorizzati ad avere un approccio privilegiato ai lettori in modo da potergli consegnare queste pubblicità. Che il modello sarebbe cambiato era ovvio da molti decennni, ben prima dell’avvento di internet. I giornali si stavano accorgendo che i loro lettori stavano diventando sempre più vecchi, di anno in anno, e non ogni abbonato che moriva veniva rimpiazzato da

uno più giovane. Già nel 1984 il giornalista Steven Levy pubblicò Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica in cui si raccontava della sottocultura che non solo aveva creato il personal computer, e che in seguito avrebbe creato internet, ma anche una speciale etica sociale ad esso legata. Tra i sette principi dell’etica degli hacker elencati da Levy uno in particolare avrebbe influenzato il modo di fruire contenuti e servizi negli anni a seguire, il terzo, che enuncia: “Tutta l’informazine dev’essere libera”. Ora, questa non è che la vulgata di questo principio, esso risale infatti a molti anni prima, al 1959 quando venne formulato da Peter Samson del TMRC del MIT. Il Tech Model Railroad Cub, letteralmente club del modellismo ferroviario, era esattamente quello che dice di essere, un club di modellismo ferroviario. Era una comunità proto-geek. La pagina di wikipedia su di loro (http:// en.wikipedia.org/wiki/TMRC) dice che: “erano divisi in due gruppi, il primo si occupava della ricostruzione dei modelli di treni e delle ambientazione [..] l’altro dei circuiti per far muovere i treni” “questo secondo gruppo rese famoso il termine hacker”.

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Quest’ultimo si interessò ai primi mainframe (l’ibm 704) il cui accesso era assolutamente interdetto, ripiegando sul TX-0, un computer da 3 milioni di dollari presso il Lincoln Laboratory, il cui accesso era più semplice, ma comunque molto limitato. Da qui il problema dell’accesso alle informazioni. Molti anni dopo, nel 1983, Stewart Brand e Kevin Kelly (che 10 anni dopo sarebbe diventato editor di Wired) organizzarono, per il 1984 una convention che riunisse le 3 generazione di Hacker per definire un etica comune e condivisa. In questa occasione Brand riformulò questo concetto in:

Steward Brand in un immagine degli anni 70.

“Da un lato l’informazione vuole essere costosa, perché ha molto valore: l’informazione giusta nel posto giusto cambia la vita. D’altro canto l’informazione vuole essere gratuita, perché produrla sta diventando sempre più economico. Quindi queste due tendenze sono in rivalità”. La questione del valore delle informazioni è molto antica, già Thomas Jefferson (che fu tra le altre cose anche il padre dei brevetti) affermava che: “Chi riceve un’idea da me ricava conoscenza per

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se non una riorganizzazione di informazioni unica e personalizzata [..] ?”, riformulandola in:

sè senza diminuire la mia; come chi accende la candela dalla mia riceve luce senza lasciarmi al buio”.

La frase di Brand è stata una delle più frain- “L’informazione abbondante vuole essere libera. tese dell’economia moderna, anche poiché L’informazione scarsa vuole essere costosa”. ne viene spesso riportata solo una parte: Intende con “abbondante” e “scarso” in ter“L’informazione vuole essere libera”. mini di costi marginali per la produzione e la distribuzione delle informazioni. ChioIl fraintendimento è di due tipi, il primo è sando poi il tutto con un esempio: che viene riportata a metà, tralasciando la seconda parte della “forbice”, la seconda è che “Quindi potete scaricare gratuitamente una coquando Samson formulò la sua frase con pia di questo libro (informazione come merce= libera (free) si riferiva all’accesso fisico alle abbondante), ma se volete che io venga nella vomacchine con cui accedere, mentre Brand stra città a fare una conferenza personalizzata l’ha intesa come “gratis”, senza scambio di sulle possibili applicazioni del gratis alla vostra denaro. Inoltre il termine “vuole” ha una azienda, ne sarei ben felice, ma dovreste pagarconnotazione diversa da “deve”, meno poli- mi per il mio (scarso) tempo. Ho cinque figli e il tica, più naturale, come fosse una tendenza college costa caro”. inevitabile. Su questo argomento si è espresso però anChris Anderson, attuale editor di Wired ri- che lo stesso Brand, interrogato da Anderformula il concetto nel suo libro “Gratis” in: son, sostenendo che la sua formulazione aveva come scopo quello di spostare l’atten“L’informazione come merce (tutti ottengono zione dal soggetto che osserva il fenomeno una stessa versione) vuole essere gratuita. L’in- al fenomeno stesso, rilevando una tendenza. formazione personalizzata (ottieni qualcosa di Quando Brend usa la parola “informazione” unico e significativo per te) vuole essere costo- intende “informazioni codificate in digitale”, sa.” per cui i bit hanno un valore, il loro significato un altro. La diffusione di bit ha un valore Per poi riformularla poche righe dopo, os- così infinitesimale da poter essere approssiservando che “cos’è una riceca con Google mato allo 0, mentre il loro valore, una volta

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capitolo 05

decodificati, può andare da “quasi nullo” a ciso, selezionate, e con traduzioni di buon incommensurabile, a seconda di chi lo rice- livello. ve. Chiarifica con un esempio: Questo coinvolge anche una equazione tempo/denaro non sottovalutabile. Ad esem“Il gestore telefonico non vende conversazioni, a pio, se siete ragazzini probabilmente avrete loro non interessa cosa ci diciamo l’un l’altro: molto tempo libero per ricercare file mp3 vogliono che paghi la bolletta per far funziona- su piattaforme p2p, in modo da trovare gli re il telefono, e i minuti di conversazione, il co- album completi, di buona qualità, ricercanenuto è irrilevante. Altro esempio sono i Pub, re informazioni sui brani, le copertine, etc.. puoi stare lì gratis quanto vuoi, ma fa pagare la Se siete più adulti probabilmente avrete un birra. Devi trovare qualcos’altro da farti pagare, lavoro e meno tempo da dedicare a questa che siano i boccali di birra, la linea libera, o lo operazione, e l’atto di spendere 99 centesispazio per mettere l’inserzione accanto ad un mi per risparmiare quel tempo e quella “fatiarticolo. Finisci sempre per farti pagare qualco- ca” sembrerà meno gravoso. Così come non sa di diverso dalle informazioni.” avrete tempo di fare lunghi percorsi a piedi per trovare un bancomat che non applichi commissioni etc.. Quindi è vero che potreste seguire i siti internet di tutta una serie di testate (il che presuppone che voi abbiate conoscenza di molte lingue e della situazione editorale mondiale) in modo da selezionare voi stessi gli articoli Questo sistema rende comprensibile il suc- che vi interessano. Ma per 3 euro a settimacesso di una rivista come Internazionale, na (o 99 all’anno) perché farlo? che propone informazioni che si trovano Forse a vincere in questo caso è, oltre alla (spesso) liberamente su Intenet, o comun- qualità intrinseca del prodotto, è anche l’atque non sono esclusive della testata, ma il tenzione al lettore, e il rispetto per questi, a lettore paga un (piccolo) prezzo per avere un risultare vincente. La testata poi contiene prodotto in cui vengono raccolte notizie, ar- anche una buona dose di advertising, ma la ticoli, informazioni, secondo un criterio pre- strategia di costruzione del rapporto con il

se siete ragazzini avrete tempo per ricercare file mp3 su piattaforme p2p. Se siete più adulti l’atto di spendere 99 centesimi sembrerà meno gravoso.

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Chris Anderson, autore di “La coda lunga”, “Gratis” ed editor di Wired Magazine, 23 Maggio 2008

lettore ha portato a un sistema che è vicino all’”ad-sense” di Google, l’editore conosce, cioè, così bene il proprio lettore da proporgli pubblicità che spesso può essere percepita quasi come un contenuto, più che come un disturbo nella lettura. Questo esempio di quanto un editore conosce le esigenze del lettore non è esclusivo di questa testata, ma è diffusa, ad esempio, nelle testate di moda o lifestyle, allo stesso modo accade che i lettori di Vogue, i-D, Vice, Abitare, etc.. siano interessati alle inserzioni 57

quasi come lo sono agli articoli redazionali. Le nostre prcezioni sul gratis sono relative, non assolute. Se qualcosa un tempo costava soldi e ora è gratuito tendiamo a correlare questo cambiamento con un calo di qualità. Ma se non è mai costata denaro non ragioniamo allo stesso modo. È per questo che i lettori sono spesso diffidenti verso i siti dei quotidiani ma non lo sono verso, ad esempio, Google e la sua galassia di servizi, reputandoli meno validi solo perché non sono a pagamento. Nel mercato dei media la psicologia del gratuito è un po’ più sfumata di così. Per fare un esempio: una rivista mensile patinata. Si può ottenere in vari modi, che sono sostan-


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zialmente riconducibili a 3. Una versione gratuita on-line, acquistandola in edicola ad un dato prezzo o in abbonamento ad un prezzo che è di solito di molto inferiore al prezzo unitario x12. Come si stabiliscono i 3 prezzi? Il prezzo del web (0) è il più semplice. Ha un

cartacea. Il prezzo dell’edizione cartacea è quasi altrettanto semplice da ricostruire. Mettiamo che il prezzo sia di 5 euro. L’edicola ne trattiene circa la metà, il resto va all’editore che ricava da ogni copia un euro o 2, tolti i costi di stampa etc.. C’è da dire che però in media la metà delle riviste distribuite torna indietro all’editore che è costretto a mandarle al macero. Perché quindi gli editori continuino a distribuire i giornali in edicola è semplice: è un buon modo per trovare nuovi abbonati, che possono testare il prodotto. Inoltre gli editori traggono profitti dalla pubblicità inserita dagli inserzionisti nelle copie che effettivamente vendono. Fin qui i prezzi sono definiti dall’economia. Ma come si definisce il prezzo dell’abbonamencosto marginale della fornitura di contenuti to (poniamo sia 10 euro)? In questo caso è così basso che l’editore lo arrotonda per di- interviene la psicologia. Il costo reale della fetto a zero, posiziona in media 2 inserzioni stampa e della spedizione di 12 numeri costa in ogni pagina, vendute ciascuna ad una cifra circa 15 euro, se aggiungiamo la spesa necesdata, solitamente tra i 5 e i 20 euro per ogni saria per convincere i lettori ad abbonarsi mille visite. Il costo per fornire la pagina è si può arrivare quindi a 30 euro l’anno per di frazioni di centesimi, ma queste fruttano abbonato. Eppure la spesa è di 10 euro. La un utile di qualche centesimo a visita (da 1 differenza sta nella pubblicità. Quei 10 euro a 4). I contenuti comportano però dei costi, di ricavo sono integrati dagli inserzionisti. che vengono distribuiti su tutto il pubblico, La pubblicità rende redditizio un modello di e sono comunque già presenti nell’edizione abbonamento basato sulla strategia dell’arti-

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colo civetta. E, se l’abbonato rimane tale per un giusto lasso di tempo vengono recuperati anche i costi di acquisizione, rendendo l’abbonamento davvero redditizio. Ma perché 10 euro? Se l’editore può coprire i costi con la pubblicità perché non rende gratuito il giornale? La risposta sta nel fatto che l’atto di compilare un assegno, un bollettino o digitare un numero di carta di credito, a prescindere dalla cifra, è un atto di volizione da parte del consumatore, che cambia il modo in cui l’inserzionista vede un lettore. Eseguire una trasizione economica di qualsiasi cifra significa che il lettore vuole davvero la rivista, la leggerà e presumibilmente la conserverà. Quindi gli inserzionisti sono disposti a pagare fino a cinque volte tanto per far parte di questa relazione, rispetto a quanto pagherebbero per una pubblicazione gratuita che il lettore potrebbe percepire come posta indesiderata. Il prezzo dei 10 euro, infine, è calcolato considerando una fondamentale questione psicologica. È la somma più bassa possibile, che non risulti però così bassa da svalutare il prodotto. Una somma inferiore avrebbe avvantaggiato gli abbonati, ma una somma più alta avrebbe avvantaggiato gli inserzionisti, per i quali un prodotto ha più valore quanto più un consumatore paga per averlo. Quindi 10 euro è abbastanza basso da far abbonare molte persone, ma non troppo da svalutare il prodotto agli occhi degli inserzionisti.

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Un esempio intermedio è quello della circolazione controllata: giornali destinati a persone considerate importanti. I lettori di queste riviste “certificano” di fare parte del target che gli inserzionisti vogliono raggiungere (ad esempio buyer di aziende o “tastemaker” per quanto riguarda il lifestyle), dunque la rivista può chiedere più soldi agli inserzionisti per fare parte di questa relazione, e raggiungere queste persone, che hanno compilato un modulo affermando di volere la rivista compensando agli occhi di inserzionisti il fatto di non aver pagato nulla di concreto. Un tipo analogo di circolazione mirata è quella delle riviste come Vice: distribuita gratuitamente nelle caffetterie, nei negozi di dischi, nelle boutique, etc.. Vice consentiva agli inserzionisti di mettersi in contatto con un pubblico appetibile che altrimenti non avrebbero potuto raggiungere.


capitolo 6

on-line

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capitolo 06

Agli albori di Internet un’alta percentuale di utenti era composta da quelli che gli americani chiamano geek, un termine che comprende le accezioni di asociale, secchione, appassionato di computer, tecnologie, fantascienza o giochi di ruolo. Il termine “geek” era associato all’immagine di una persona solitaria, imbranata e socialmente goffa. Tutte queste persone che erano abituate a relazionarsi con zine di diverso tipo, dalle fanzine alle autoproduzioni, e a tutto l’apparato e il “movimento” che ruotava intorno ad esse. Questo portò allo slittamento di molti modi di interagire e di relazionarsi con le persone, gli argomenti e il mezzo stesso: dalla carta, al fax, alla mail, alla chat, etc. Un evidente risultato di questa commistione è ciò che viene definito web-zine. Una web-zine è essenzialmente un sito internet. È gestito da una redazione e si comporta come se fosse una rivista. Ha una sua periodicità, spesso ridotta, i suoi columnist, le sue rubriche e una ricerca di completezza “giornalistica” del contenuto. Alcune riviste e fanzine cartacee scelsero di convertirsi in web-zine poiché questo media consentiva un abbattimento dei prezzi e una diffusione maggiore. Esempio di questo processo è Boing Boing, nata su carta, decise poi di trasferirsi sul web. Molte altre invece videro la luce direttamente sul web e il fenomeno raggiunse il suo apice verso la fine degli anni 90. Durante quel periodo nacquero molti altri progetti che durano fino ad oggi, ad esempio Pitchfork, web-zine di Chicago che nacque nel 94 e crebbe fino a diventare faro di un’intera generazione di musicisti e ascoltatori.

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Pitchfork nacque nel 1995 a Minnapolis, nel Minnesota (usa) ad opera di Ryn Schreiber, all’epoca neo diplomato. Influenzato dalle fanzine locali e dalla radio del college ,Schreiber, il quale non aveva precedenti esperienze di scrittura, puntava a creare un punto di riferimento on line per la musica indipendente che fosse aggiornato con regolarità. All’inizio il sito si chiamò Turntable, veniva aggiornato mensilmente con interviste e recensioni, fino a che, nel maggio 1996, cambiò il proprio dominio in pitchforkmedia.com. All’inizio del 1999 Schreiber si trasferì a Chicago portando con sè la sua creatura. Fino ad allora il sito si era espanso fino a presentare quattro recensioni di LP al giorno, oltre a saltuarie interviste, interventi e rubriche. Era inoltre diventato un punto di riferimento per gli appassionati di musica underground, non solo per l’approfondimento e la selezione degli argomenti trattati, ma anche per il suo stile di scrittura, che spesso andava al di là dei canoni comuni del giornali62

Scott Plagenhoef, Ryan Schreiber, and Chris Kaskie, leaders of pitchforkmedia. com, at their Chicago office. © Anne Ryan/Polaris One might expect an e-publication with an esoteric take like Pitchfork’s to be run by a group of snarky, self-satisfied music geeks. But Pitchfork is, in fact, a company that means business. Its leadership is three-pronged (pun intended): Ryan Schreiber, 32, is the founder, publisher, and e


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smo su carta. Nell’ottobre di quell’anno il sito aggiunse una sezione di aggiornamenti e news musicali quotidiane. Negli anni l’influenza e la popolarità di Pitchfork continuarono ad aumentare fino a trasformarlo in una sorta di barometro culturale sulla scena indipendente anche agli occhi dei media tradizionali e dei canali mainstream, e spesso le citazioni del sito venivano usate come strilli sui cd. Molti sono gli artisti la cui carriera è stata influenzata positivamente da buone recensioni del sito, come gli Arcade Fire, Broken Social Scene, Clap Your Hands Say Yeah e Modest Mouse, e più di recente gran parte della scena avant-rock ha avuto come punto di riferimento PF, come Animal Collective, Grizzly Bear, Fuck Buttons, così come il sottobosco di nuova musica da club inglese dubstep e grime. Uno dei luoghi comuni vuole che il sito sia facilmente influenzabile dai vari Hype (montature/mode) e che risenta dei limiti di vedute del giornalismo indipendente. Nonostante le critiche la web-zine è cresciuta fino ad avere anteprime su album, video, singoli, aver dato vita ad una web-tv (pitchfork.tv), e agendo nell’organizzazione di eventi musicali insieme all’agenzia inglese di booking ATP. All’inizio del 2009 il sito ha subito un radicale restyling e un nuovo cambio di dominio in Pitchfork.com.

Uno dei luoghi comuni vuole che Pitchfork sia facilmente influenzabile dai vari Hype e che risenta dei limiti di vedute del giornalismo indipendente.

Il modello di business delle web-zine è simile a quello delle fanzine e delle zine comuni. Si basa su una volontà individuale di espressione e condivisione e le (poche) spese, spesso, vengono coperte da piccoli banner pubblicitari. Il fenomeno delle web-zine inizia a declinare con i primi

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Napster nasce nel 1999, creato dall’allora adolescente Shawn Fenning è il primo programma di peer-to-peer (programma per la condivisione dei file “tra pari”). Pur non essendo un sistema di peer-to-peer puro, in quanto utilizzava un sistema di server centrali, ha dato il via ad una concezione nuova della rete, per molti è la nascita della “pirateria informatica”, per altri è la nascita del web moderno, in quanto permette la condivisione di informazioni direttamente tra computer in rete.

I blog nascono come diari on-line, presto diventano uno spazio di espressione, commento e condivisione di informazioni.

anni del 2000, quando fanno la loro comparsa le prime avvisaglie di web2.0, i blog, e con l’aumento della capacità di delivery di allegati dei servizi di posta elettronica. I blog, nascono come “diari on-line”, ovvero mini siti in cui gli utenti possono generare, usufruire e condividere contenuti sul web, senza la necessità di programmare e senza acquistare domini o spazi su server. La semplicità e l’agilità del media consente lo slittamento di gran parte dei contenuti “amatoriali” verso questa forma, tanto che oggi non è raro trovare blog associati ai siti internet. Esempio di questo passaggio di testimone è nuovamente Boing Boing, che da web-zine si converte in Group Blog, 64


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cioè un blog non più personale ma collettivo, in cui i singoli redattori gestiscono il proprio canale, o la propria rubrica, in modo autonomo e contemporaneamente coordinato con la “redazione”. Boing Boing (in origine bOING bOING) è una testata che nacqe come zine, per poi trasformarsi in e-zine fino a diventare un group blog. Nacque nel 1988 fondata da Mark Frauenfelder e Carla Sinclair. Presto si unirono come associate editor Gareth Branwyn, Jon Lebkowsky e Paco Nathan. Insieme a Mondo2000, Boing Boing è stato molto influente nello sviluppo della cultura Cyberpunk. I temi trattati sono i più vari, dalla tecnologia, alla fantascienza, la proprietà intellettuale, gadget, cartoon e politica (orientata decisamente a sinistra). La rivistà proseguì così per 15 numeri, per poi trasferirsi sul web prima come web-zine (1995) poi come blog il 21 Genna65


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io del 2000. Tutti i fondatori ad eccezione della Sinclair che abbandonò il progetto, sono diventati, negli anni, contributor a vario titolo di Wired. La diffusione dei programmi di grafica digitale e formati di interscambio leggeri (sopra a tutti .pdf di adobe) permisero la nascita e la diffusione di un altra tipologia di zine: l’e-zine, si tratta sostanzialmente di una rivista non stampata, ma distribuita direttamente in formato digitale. Questo particolare tipo di zine presenta molte affinità con le riviste tradizionali, l’unidirezionalità, la periodicità e la “finitezza” del numero. Il fenomeno delle e-zine non è mai realmente esploso e non ha mai avuto momenti di particolare picco. Una delle cause è che la possibilità di creare riviste dal numero di pagine virtualmente infinito ha spesso tenuto molto basso il livello dei contenuti e la selezione è stata di solito molto blanda, non essendo limitata da limiti fisici o di costi, com’è sulla carta. Questo non vuol dire che sia un mezzo poco potente, poiché una buona selezione e un’idea redazionale intelligente può portare alla creazione di e-zine interessanti e apprezzabili. Caratteristiche peculiari delle web-zine sono innanzitutto la settorializzazione degli argomenti e la profilazione dei contenuti in base al target. I media digitali hanno infatti compreso da subito che una vocazione enciclopedica nei contenuti è poco funzionale in un mercato di larga concorrenza come il web. I siti che producono contenuti che funzionano meglio sul web sono quelli che si dedicano i maniera costante ed approfondita alla ricerca e all’approfondimento su un tema specifico. Per questo il “popolo” delle fan-zine che è migrato sul web ha trovato terreno fertile. Altri punti di forza dei contenuti su web sono le webzine che si occupano di fare da “radar” nella rete, non in forma

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di aggregatori ma con un’apparato redazionale che ricerca e rilancia i contenuti ritenuti migliori, in modo coerente e contestualizzato, anche spostandosi in maniera orizzontale tra gli argomenti e le fasce di target. Esempio di web-zine a tutti gli effetti che si comporta in questo modo è “itsnicethat. com”, che ha di recente pubblicato il 3° numero della sua incarnazione cartacea, il sito propone contenuti non originali (link, immagini e video) accompagnati da un breve contenuto redazionale, incarnando così un particolare tipo di gusto e di approccio ai temi trattati e aggregando intorno a se una comunità di lettori che ne condivide gli intenti, che segnala e propone link e materiali interessanti alla redazione.

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nuove tecnologie

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Il libro stampato, il cui procedimento è rimasto sostanzialmente immutato dai tempi di Gutemberg, ha mantenuto il monopolio di veicolo di conoscenza, cultura e informazioni per 5 secoli dalla sua invenzione, andando a scalzare i libri redatti a mano. Così come le sue “varianti” periodiche rivista e quotidiano. Questi monopoli hanno iniziato a incrinarsi con l’avvento di quelli che consideriamo mass-media moderni, radio in primis. La nascita del libro, va di fatto a sopperire ad una mancanza della tradizione orale, ciò la necessità di una compresenza spaziale e temporale di autore/narratore (mittente) e ascoltatore (destinatario), queste carenze vengono colmata dalla nascita di telegrafo, telefono e l’associazione delle due tecnologie: la radio. Questi mezzi risolvono il problema della compresenza spaziale, mentre la nascita dei supporti per la registrazione, dischi fonografici (1888) e nastri magnetici (1927) risolve anche i limiti della mancanza di compresenza temporale. Il media libro definisce, nel tempo, un proprio linguaggio, presupponendo che la modalità di fruizione possa essere non lineare, dettata da ritmi propri del lettore, che si possa tornare a rileggere parti già lette, saltare da un punto all’altro, etc.. Il libro permette quindi di concepire e realizzare testi molto complessi sia strutturalmente che in termini di linguaggio, è per questo che è divenuto il supporto per eccellenza del sapere. Il fatto che il testo, una volta stampato, rimanga immutato ha fatto si che questo si affermasse anche come garante dell’ufficialità del messaggio, se adeguatamente autenticato. Così tutti i documenti, gli atti ufficiali, etc.. sono sempre stati scritti, e questa tradizione di ufficialità ha portato alla nascita dei fogli di notizie e in seguito di giornali e riviste.

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Con la nascita della radio, il flusso delle notizie si è rapidamente spostato su questo media dalle pagine dei giornali. Percorso che è proceduto parallelo per oltre 2 decenni, fino alla nascita della televisione, che ha sostituito, in parte il ruolo dei giornali nella diffusione delle notizie. Il rapporto tra libri e nuovi media non è mai stato conflittuale, per i motivi sopra citati, anche se i percorsi si sono spesso incrociati.

AUDIOLIBRI Un audiolibro è la registrazione audio di un testo letto ad alta voce da uno o più attori, speaker o da un motore di sintesi vocale. Il testo registrato può essere la versione integrale di un libro, un testo scritto appositamente per vivere esclusivamente come audiolibro, una riduzione o una sceneggiatura (originale o non) scritta appositamente per la registrazione audio. Gli audiolibri possono presentare anche musica o ricostruzioni sonore, anche se generalmente l’audiolibro prevede la sola voce che legge il testo. Nel 1931 il Congresso degli U.S.A avviò il programma “talking-book” (libri parlanti) con lo scopo di aiutare gli adulti non vedenti ad avere accesso ai libri. Il programma fu chiamato, senza alcuna originalità, “Books for the adult blind project”. L’”American foundation for the Blind” sviluppò il primo “libro parlante” nel 1932, e un anno più tardi iniziò la produzione su larga scala. Nel 1933 l’antropologo J.P.Harrington attraversò tutto il continente nord americano per registrare i racconti orali dei Nativi Americani su dischi di alluminio utilizzando un giradischi a batteria, questi audiolibri sui generis hanno

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La Dott.ssa Mary Vermillion è stata, insieme al Dott. Harriett Shurrager la principale attivista all’interno del progetto per la creazione di standard e nel progetto del sistema per la distribuzione di audiolibri per la persone non vedenti.


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contribuito a preservare una tradizione orale che rischiava di scomparire, contribuendo inoltre ad attestare la validità del mezzo come depositario di cultura, per persone che non potevano avere accesso ai libri, o perché ciechi o perché analfabeti. Nel 1935 il Congresso approvò la distribuzione gratuita via posta di audiolibri a tutti i cittadini ciechi che ne avessero fatto richiesta. Nel 1992 grazie al network dell’NLS (national library Service dor the blind and physically handicapped) risultavano in circolazione milioni di libri per più di 700mila ascoltatori con handicap. Gli audiolibri iniziarono a raggiungere una certa popolarità anche presso le persone normodotate quando iniziò a diffondersi l’utilizzo di dischi in vinile da 33 giri all’interno delle scuole, prima, e delle librerie, poi, all’inizio degli anni 70. Il successo economico nel mercato anglosassone però si raggiunse con l’affermazione del suporto dell’audio cassetta grazie all’introduzione come equipaggiamento di serie nelle auto di fabbricazione giaponese, che si affermarono a seguito della crisi petrolifera del ‘79. Il mercato quindi accettò l’introduzione del formato come nuovo standard per la riproduzione della musica, specie in mobilità. Nei primi anni ottanta ancora però molti autori rifiutavano che i propri libri venissero commercializzati in questo modo e nacque quindi un mercato di testi scritti appositamente per questo formato. Intanto il mercato degli audiolibri aveva preso piede in alcuni settori, come quelli di testi educativi e di auto-aiuto (molto diffusi nel mercato anglosassone). Dalla metà degli anni 80 la richiesta crebbe a tal punto che l’industria fatturava molti milioni di dollari. Nel 1986 la “audio Publisher Associatio” riuniva 6 delle principali aziende che promuovevano l’utiliz-

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zo di questo formato. Il mercato crebbe a tal punto in volume e qualità che nel 1996 vennero istituiti gli “Audie Awards”, una sorta di Oscar per gli audiolibri. Il mercato di audiolibri su cassetta resistette anche all’imposizione del cd come nuovo formato della musica, tanto da non venirne quasi scalfito e resistere fino all’avvento di internet e all’affermarsi del formato MP3 e dei dispositivi mobili (come l’iPod), quando il mercato si spostò dalla vendita dei supporti magnetici alla possibilità di sottoscrivere abbonamenti per il download dei contenuti. Questo spostamento incoraggio il proliferare di audiolibri gratuiti di un grande numero di testi di pubblico dominio letti da volontari, o da motori di sintesi vocale che negli anni hanno avuto un miglioramento esponenziale a livello qualitativo.

RADIO DRAMA Parallelamente alla nascita degli audiolibri il mercato anglosassone, ma non solo, si appassionò ai “radio drama”, gli sceneggiati radio, la cui popolarità ebbe il suo punto di massimo negli anni 40 e 50.

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Orson Welles durante la diretta del radio-drama “la guerra dei mondi”. L’accurata esecuzione e le innivative idee del futuro regista, come la realizzazione di “teaser” inseriti all’inteno dei radiogiornali, furono così efficaci e realistiche che la trasmissione suscitò il panico tra gli ascoltatori che credettero che realmente i marziani stessero sbarcando sulla terra.

Un Redio Drama è una forma di narrazione audio trasmessa via radio, inizialmente trasmessa in diretta. Le rappresentazioni hanno come modello di riferimento le rappresentazioni teatrali ma, dovendo sopperire alla ovvia mancanza di una componente visiva, ricorrono ad un uso narrativo di musica ed effetti solori. Gli sceneggiati radio furono “inventati” dai produttori di apparecchi radiofonici per, stando alle parole del vicepresidente della RCA degli anni 20 David Sarnoff, “fare in modo che gli acquirenti di radio RCA possano avere qualcosa da ascoltare sui loro apparecchi”. Sin dai primi anni 20 gli sceneggiati radio crebbero in popolarità e quaità, fino a diventare negli anni 40 una delle principali forme di intrattenimento popolare. Uno degli sceneggiati radiofonici più famoso fu “La guerra dei mondi” di H.G.Welles interpretata da Orson Welles, diventato famoso grazie all’inventiva del 23enne che utilizzò dei metodi incredibilmente moderni per l’epoca, come il teaser e una sorta di proto-viral, che scatenarono il panico per il loro incredibile realismo e per la ricostruzione di suoni ed effetti così accurata da sembrare vera alle orecchie degli ascoltatori dell’epoca che credettero che una delegazione di marziani fosse davvero sbarcata nel New Jersey. Le tematiche e gli autori coinvolti nella realizzazione di sceneggiati fu altamente variegata, dai classici come Moriere e Welles, a opere scritte ad hoc. La popolarità dei “radio drama” però precipitò a seguito dell’introduzione della televisone, si fa risalire la fine dell’epoca del “radio drama” allo spettacolo “Yours Truly, Johnny Dollar” che terminò il 30 settembre del 1962.

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L’eredità dei radio drama venne però raccolta dalle sit-com e dalle telenovelas degli anni a seguire, che attinsero a piene mani agli autori e agli espedienti narrativi dei radio drama per creare suspanse e quindi fidelizzazione degli ascoltatori. I radio drama non morirono del tutto, rimasero come produzioni marginali, con alcuni picchi qualitativi nel corso degli anni, per prodotti che non erano realizzabili in tv a causa dei costi elevati (la maggior parte dei quali trattavano argomenti fantascientifici), come “la guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams, che venne proposta a partire dal 1978 sulla BBC Radio 4 prima che sottoforma di libro. L’abitudine ad ascoltare e seguire storie, anche complesse, in questo modo pone le basi per il successo sia degli sceneggiati in televisione che degli audiolibri.

EBOOK Un eBook (anche chiamato e-book oppure ebook) o libro elettronico è un libro in formato elettronico (o meglio digitale). Il termine deriva dalla contrazione delle parole electronic book, viene utilizzato sia per indicare la conversione in digitale di una qualsiasi pubblicazione sia il dispositivo con cui il libro può essere letto. Nel caso ci si riferisca al dispositivo di lettura sarebbe più corretto riferirsi ad esso come eBook reading device (dispositivo di lettura di eBook) oppure eBook reader, termine con il quale si intende sia il dispositivo hardware su cui l’eBook viene letto sia il software che permette la lettura sul dispositivo fisico.

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Interfaccia di Pagemaker, uno dei primi software a rendere il desktop publishing possibile, permette di creare file eps e postscript.


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Il concetto di E-Book nasce all’interno dell’ambito del Progetto Gutemberg. Project Gutenberg, noto anche con l’acronimo PG, è un’iniziativa avviata da Michael Hart 3el 1971 con l’obiettivo di costituire una biblioteca di versioni elettroniche liberamente riproducibili di libri stampati, oggi chiamati eBook. Il progetto Gutenberg è la più antica iniziativa del settore. I testi disponibili in questa biblioteca libera sono per la maggior parte di pubblico dominio, o in quanto mai coperti da diritto d’autore o da copyright, o in quanto decaduti questi vincoli. Sono disponibili anche alcuni testi coperti da copyright ma che hanno ottenuto dagli autori il permesso alla nuova forma di pubblicazione. Per quanto riguarda la produzione di E-book con contenuto originale questi erano inizialmente, e lo sono tutt’ora, limitati principalmente ad un audience limitato e ad argomenti di settore, spesso di ambito tecnologico. I formati di E-Book si moltiplicarono molto in fretta, supportati da grandi aziende, come Adobe con il suo file di interscambio PDF, altri supportati da programmatori indipendenti o nell’ambito di progetti open source.

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E-READER Oggi il mercato editoriale si sta preparando a fare i conti seriamente con gli ebook, poiché alcune aziende stanno investendo in questo campo. Tutto è iniziato poco più di 2 anni fa, nel 2007, quando Amazon lancia il suo Kindle, il primo e-book reader che riesce a far parlare di se. Prima di allora il termine e-book evocava una sorta di esperimento mezzo fallito lasciato in un cassetto di qualche università. Nel 1997, nei Media Lab del MIT di Boston alcuni ricercatori annunciarono la creazione di quello che chiamarono EINK (inchiostro elettronico). L’”e-ink” è una tecnologia di display progettata per imitare il comportamento dell’inchiostro sulla carta. La tecnologia prevede l’utilizzo di sfere di dimensione molto ridotta all’interno dello schermo, queste sfere sono polarizzate, la semisfera caricata positivamente è colorata di nero, mentre quella negativa è caricata di bianco. Tramite piccole scariche elettriche possono essere orientate in modo da comporre immagini come uno schermo normale, con la particolarità però di non richiedere

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Foto promozionale di Kindle 2.0

una retro-illuminazione e di avere un aspetto opaco. Così facendo lo schermo risulta opaco e interagisce con la luce presente nell’ambiente, esattamente come un foglio di carta normale. I vantaggi della tecnologia sono notevoli. Le particelle, una volta caricate, rimangono nella posizione in cui sono, finchè non vengono stimolate nuovamente. Questo permette di utilizzare pochissima energia, poiché una pagina, una volta visualizzata, non necessita energia per rimanere tale. L’invenzione fece molto scalpore all’interno di alcuni ambiti, ma l’attenzione scemò lentamente e per quasi dieci anni restò un’ipotesi per “il futuro della stampa”, “il futuro dell’ufficio”, etc.. risultando, in concreto, un nulla di fatto. Questo finchè il principare distributore di libri on-line, Amazon, non decise di investire sulla ricerca e sviluppo nell’ambito della lettura digitale. Visti i buoni risultati di dispositivi portatili come iPod, la copertura, ormai mondiale, di internet e l’abbassamento generale dei costi di produzione, decise di scommettere sulla tecnologia dando alla luce Kindle. La prima versione viene accolta tiepidamente, accusata di fare troppo poco e costare troppo. Complice di questo insuccesso è anche la scelta di Amazon di non aprire il device a formati non proprietari, banalmente kindle non permette la lettura dei file Pdf, fino a quel momento standard della diffusione degli E-book. Questa scelta è però condizionata dal fatto che gli editori non accettano di buon grado che i propri titoli vengano distribuiti in questo modo, temendo che kindle faccia all’editoria ciò che iPod ha fatto alla musica. Il timore è in realtà che Kindle faccia all’industria editoriale quello che iPod ha fatto all’industria musicale, quindi lederla in termini economici e di importanza come intermediario. Nel 2009 esce Kindle 2, aggiornato nel design e nelle funzionalità.

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Alla fine dell’anno il prodotto è disponibile in tutto il mondo, anche se il formato dei documenti rimane proprietario (per farvi convertire un documento word o pdf dovete spedire il documento ad amazon che, previo micropagamento, ve lo restituirà in formato inteleggibile da kindle). Kindle 2 Introduce anche una nuova variabile nella questione. Amazon infatti decide di lanciare Kindle in due formati, uno riconducibile al formato paperback (formato tascabile reso celebre da Penguin) e l’altro in formato tabloid, per i quotidiani. Il fallimento di questo secondo formato è inevitabile, date le enormi dimensioni e i modi di utilizzo quasi inesistenti. Questo lancio però rivela un’intuizione notevole da parte di Amazon e sposta leggermente la questione. L’idea non è propriamente nuova. “La “Microsoft” di Silicon Valley, che domina il mercato del software per i computer e la “Dow Jones”, che determina gli indici della Borsa di New York ed è proprietaria del “Wall Street Journal”, hanno annunciato un progetto comune per la creazione del primo “personal journal” nazionale. Un quotidiano con varie edizioni che verra’ distribuito elettronicamente in tutta l’ America. Esso sara’ spedito via telefono (con o senza fili) ai modem dei “personal computer” da tavolo e di quelli tascabili, e quindi leggibile sui loro schermi. Questi piccolissimi calcolatori, non a caso chiamati “notebook”, utilizzano un nuovo tipo di software che connette insieme computer, fax, telefoni, stampanti.” Masini Giancarlo Pagina 32 (17 ottobre 1993) - Corriere della Sera Ma l’accoppiamento con il nuovo device fisico e la tecnologia dell’e-ink aprono, almeno all’apparenza, una nuova fetta di

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mercato. Nonchè scenari di progettazione notevoli. All’inizio del 2010 Apple lancia il suo I-pad, un net book iper evoluto che si propone di innovare la concezione di portable device. Nasce come e-reader, nelle intenzioni, ma integra al suo interno le principali funzionalità delle maggiori killerapp dell’azienda di Jobbs, dall’ipod all’iphone, permette di scaricare applicazioni, di navigare in rete, ascoltare musica, etc.. Ma in particolare si presenta come “modo nuovo” di concepire i magazine, lasciando notevoli spazi di progetto e integrazione multimediale delle riviste. Il breve lasso di tempo trascorso dalla sua comparsa non permette ancora di valutare il suo impatto sull’editoria, se ne avrà e di che portata, si moltiplicano però in rete demo-version dei maggiori periodici internazionali.

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il gatto di schrodinger*

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* Il paradosso del gatto di Schrodinger è un gioco mentale. Immaginando di chiudere un gatto all’interno di una camera d’acciaio assieme ad un contatore Geiger e ad una piccola quantità di una sostanza radioattiva, nell’intervallo di un’ora, se uno degli atomi decade il contatore genera una scarica e attraverso un relay libera un martello che frantuma un piccolo recipiente di vetro che contiene dell’acido prussico, il che provoca la morte del gatto. Questo genera un paradosso poiché, finchè il contenitore non viene aperto si può considerare la condizione di vita e quella di morte del gatto contemporanee. Il gatto è al contempo vivo e morto. Per l’editoria contemporanea si verifica una condizione simile, di estrema vitalità e di morte, contemporaneamente, l’unico modo per accertarsene è aprire la scatola

Un megazine esite perché c’è qualcuno, da qualche parte, che ha bisogno che esista. [...] E vogliono qualcosa di più della semplice condivisione, vogliono stimolare altre persone a fare lo stesso, di modo che cresca e diventi universale. Questo si rafforza ad ogni numero di ogni nuova rivista che esce.[...] Nella sua forma meglio riuscita un magazine è contemporaneamente effimero e duraturo, capace di suscitare familiarità e sorpresa ad ogni nuovo numero. Per milioni di persone leggere una rivista è un piacere, per chi le fa è una droga.

dall’introduzione di “We Make Magazines, Inside the Independents” di Andrew Losowsky

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internazionale

COM’È INIZIATO TUTTO? Internazionale è un settimanale italiano d’informazione fondato nel 1993. Esce ogni venerdì. Pubblica articoli della stampa straniera tradotti in lingua

TEMA

Antologia di settimanali e quotidiani

PERIODICITÀ

Settimanale (venerdì)

FONDAZIONE

1993

FORMATO

202 x 270 mm

LINGUA

Italiano

STAFF

(direttore) Giovanni De Mauro (editore) Internazionale srl (progetto grafico) Mark Porter

SITO WEB

www.internazionale.it

NAZIONALITÀ

Italiana

PREZZO

3 euro

italiana ed è diretto da Giovanni De Mauro. Può contare su un pubblico di circa 105.000 lettori, di cui 21.550 copie in abbonamento[1], e 98.500 in edicola. Ha un sito web con newsletter quotidiane d’informazione e una raccolta 82

dei link ai giornali di tutto il mondo. Il settimanale è anche disponibile in una versione integrale (e attualmente gratuita) per iPhone, scaricabile da App Store.


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COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? Ogni numero del settimanale è composto da 100 pagine. La struttura è stata recentemente rinnovata in occasione del restyling che 83

ha rinnovato il giornale. La caratteristica principale della testata è quella di proporre traduzioni di articoli apparsi durante la settimana su settimanali/quotidiani/mensili stranieri, integrando questi materiali con altri prodotti ad hoc per la testata, interventi su blog o siti internet e rubriche curate da personalità illustri. Il giornale si affida alla propria struttura per permettere al lettore di orientarsi facilmente, anche in una lettura parziale. Nelle prime pagine (circa un terzo) sono presenti rubriche fisse, come la posta, editoriale, fondi illustri, rubriche quali “italieni” in cui viene presentata una selezione di articoli stranieri che parlano di tematiche relative all’italia, collezioni tematiche di stralci con lo stesso principio ma su temi vari, brevi notizie, rubriche fisse (come quella di yoani sanchez su Cuba), e tre grandi foto di reportage in doppia pagina proposte come apertura della sezione. A seguire nella parte centrale, sono proposti tre o quattro lunghi servizi che formano il corpo centrale della rivista, e un portfolio fotografico. Questa sezione presenta articoli di reportage o brevi saggi di argomento scientifico,


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economico, sociale, etc.. È la sezione che maggiormente si distacca dall’attualità. Separata da una doppia pagina di fumetti di reportage (graphic journalism) denominata “Cartoline” inizia una terza parte, più eterogenea, in cui sono presenti le rubriche di recensioni, suddivise in Musica, Libri, Cinema, TV e Ristoranti. A seguire si trova il contenitore Pop, dedicata alla saggistica “leggera”, illustrata da firme importanti del panorama italiano (gipi, ale&ale, scarabottolo, etc..). Questa è a sua volta seguita da una serie di trafiletti di costume e curiosità. A chiudere il giornale si trovano le tre pagine che maggiormente creano affezione verso il giornale, che sono le strisce a fumetti (tra le quali le celebri Mr. Wiggles e Red Meat), l’oroscopo di Rob Brezsny, e una selezione di vignette tratte da quotidiani e magazine di tutto il mondo, tra cui quelle del celebre NewYorker. Il progetto grafico del giornale è stato recentemente rinnovato da Mark Porter, che ha deciso per una via “all’inglese” per il giornale, riducendo il numero dei font a uno ed eliminando tutto quel bagaglio di fondini colorati che si erano stratificati

nel tempo, ingabbiando rigidamente il testo in una griglia sottolineata da filetti neri. I disegni di Anna Keen, che andavano a rompere la gabbia qua e là, son stati riportati entro zone progettate ad hoc, così come i ritratti dei 84


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un pubblico abituato alla rete, ma che ricerca una bussola per orientarsi nella vastità di informazioni reperibili. RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’ Ospita prevalentemente inserzioni di altre testate o prodotti editoriali o eventi culturali. Nell’ultimo anno la presenza di inserzioni è molto diminuita, ma il giornale riesce a reggersi sulle proprie gambe grazie ai bassi costi di produzione (quasi esclusivamente per le traduzioni) e alla fedeltà dei propri lettori ed abbonati. SEGRETO DEL SUCCESSO

columnist. Persiste il largo uso di servizi fotografici acquistati e di illustrazioni realizzate ad hoc. CHI SONO I LETTORI Il target di Internazionale è

piuttosto vasto, sia per fascia di età che per cultura che per reddito. L’unica caratteristica che accomuna è l’interesse per un certo modo di considerare la notizia e il giornalismo, e la ricerca di voci diverse su argomenti conosciuti e non. È 85

Il giornale istaura una relazione di familiarità con i lettori, riuscendo ad avere una voce propria anche se sono molti pochi gli articoli e le rubriche scritte ad hoc per la testata. L’accurato lavoro di ricerca e selezione dei contenuti, il buon livello delle traduzioni e di editing rendono Internazionale una lettura piacevole anche quando le tematiche dei contenuti non sono propriamente di largo interesse.


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i-D

COM’È INIZIATO TUTTO? i-D è una rivista britannica dedicata al mondo della moda e dell’intrattenimento. Il magazine viene fondato da Terry Jones, ex direttore artistico di Vogue, nel 1980. Il primo numero,

TEMA

Fashion intelligente

PERIODICITÀ

Mensile

FONDAZIONE

1980

FORMATO

230 x 300 mm

LINGUA

Inglese (uk)

STAFF

(editor in chief) Terry Jones (editor) Ben Reardon (art director) Kate Law (publisher) Terry Jones e Tricia Jones

SITO WEB

www.i-dmagazine.com

NAZIONALITÀ

Inglese

PREZZO

5 £ - 10.99 $ - 9 euro

rilegato a mano ed edito con una comune macchina da scrivere, fu pubblicato sotto forma di fanzine. Negli anni la pubblicazione ha acquistato grande popolarità fino a diventare una delle più note riviste di moda a livello internazionale. 86

COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? La struttura di i-D si inserisce nella tradizione dei mensili di moda. Così è possibile trovare una prima sezione dedicata ad articoli brevi, aggiornamenti,


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dedicata all’approfondimento culturale su tematiche varie, dal cinema, alla musica, agli appuntamenti. L’impaginazione e lo stile della testata sono abbastanza di ricerca, sia nelle strutture che nell’organizzazione degli spazi, proponendo immagini a tutta pagina e contrasti di pienovuoto originali, inaspettati e contrastanti. Tipografia e fotografia seguono la stessa direzione proponendo idee forti e variabili, alla ricerca di un’identità che passa anche dall’adattarsi ai tempi. CHI SONO I LETTORI

profili, brevi interviste. Segue una sezione dedicata ad articoli più lunghi, spesso interviste a fotografi, stilisti, musicisti etc.. questa costituisce una delle due parti centrali del magazine anche come importanza editoriale. Di

estensione simile è la terza parte del magazine nella quale vengono affidati estesi servizi di moda a fotografi di fama o che si stanno affermando, ad alto budget, con styling ricercato e modelle internazionali. A chiudere si trova una sezione 87

I-D è sicuramente rivolto al mondo della moda, proponendo riflessioni e approfondimenti a tematiche di attualità. Lo scopo della rivista non è di alfabetizzare il lettore, ma di proporre un punto di vista originale sui temi proposti, quindi si rivolge a lettori che hanno familiarità con gli argomenti. Spesso però le tematiche proposte vanno oltre ai temi collegati al mondo della moda, ma sono di più vasto interesse, questo spiega la popolarità della rivista, che può essere fruita con interessa anche da un lettore esterno, interessato alla modalità di comunicazione


capitolo 08

magazine ai marchi indipendenti ed in ascesa. L’originalità della comunicazione di questi marchi “minori” dà un apporto importante al posizionamento e alla qualità dei contenuti del magazine stesso. SEGRETO DEL SUCCESSO

scelta dal magazine. RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’ Il magazine è piuttosto affermato e la raccolta pubblicitaria è di fascia medio alta. Quasi un

quinto del magazine è occupata dalla pubblicità, come le più importanti testate di moda, divisa tra campagne internazionali di brand affermati e brand minori come portata commerciale, ma non come contenuto di stile, segnale di un’apertura del 88

I-D h avuto la forza di proporre una propria visione originale all’interno di una tradizione consolidata e ricca di consuetudini e stilemi. Ai suo inizi ha mostrato di saper cogliere le sfumature nei cambiamenti in corso nell’editoria e nella società del periodo, rendendone da prima una “istantanea” in tempo reale, poi affermandosi come voce di un modo nuovo di fare magazine, di approcciarsi alla moda e all’editoria di moda in particolare. Il successo e una serie di intuizioni e investimenti indovinati hanno consentito al magazine di contare su credibilità e budget sempre maggiori per poter produrre conenuti innovativi e di livello molto alto, specie per quanto riguarda l’analisi critica del momento in evoluzione.


capitolo 08

monocle

COM’È INIZIATO TUTTO? Monocle è una rivista internazionale uscita per la prima volta nel febbraio del 2007. Ideata dallo stesso fondatore di Wallpaper*, Tyler Brulè, parla principalmente di

TEMA

Global affairs, business, culture & design

PERIODICITÀ

10 numeri l’anno

FONDAZIONE

2007

FORMATO

200 x 265 mm

LINGUA

Inglese (uk)

STAFF

(editor in chief) Tyler Brulé (editor) Andrew Tuck (art-director) Ken Leung (publisher) Pamela Mullinger

SITO WEB

www.monocle.com

NAZIONALITÀ

Inglese

PREZZO

5 £ - 10 $ - 10 euro

politica, business, cultura e design con un taglio editoriale ricercato, con un occhio particolare verso l’innovazione, il design e la qualità.

89

COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? I temi che vengono trattati all’interno di Monocle sono divisi in cinque categorie: Affairs, Business, Culture, Design e Edits.


capitolo 08

I contenuti vengono prodotti da diversi redattori sparsi in 15 città del mondo, e coordinati da quattro redazioni dislocate a okyo, Sydney, Zurigo e New York e da una sede centrale a Londra. Il team si avvale anche di numerosi collaboratori esterni e contributors d’eccellenza. I generi giornalistici principalmente usati nella rivista sono il reportage, gli articoli di opinione (chiamati briefing) e la recensione. Tutta l’ultima sezione (Edits) è dedicata a classifiche e recensioni estremamente eterogenee, da locali, ad alberghi, a compagnie aeree, a mercati tradizionali, accuratamente recensiti e catalogati dalle redazioni. Molto spazio è dedicato all’aspetto figurativo, dall’illustrazione alla fotografia (con servizi realizzati spesso ad hoc. L’impaginazione è sobria e razionale, impreziosita da piccole decorazioni ricorrenti, filetti e variazioni nei corpi e nei toni del grigio dei testi, concedendosi però il lusso di rimanere briosa, grazie alla gabbia variegata e spesso rotta da fotografie ed illustrazioni. L’unico rischio di questa elegante esuberanza visiva,

è che il giornale risulta a volte convulso ed è poco adatto ad essere sfogliato in modo casuale. Questo è però un atteggiamento accuratamente controllato, che prepara il lettore a quella che è l’abbondanza e la 90


capitolo 08

adulti, situati in ogni parte del mondo e abituati a spostarsi in ogni parte del mondo, o almeno che hanno questo tipo di aspirazione. Sono professionisti, economisti, persone che tengono allo stile e che vi sono abituati. Hanno una disponibilità economica buona e l’abitudine ad usufruirne, solo, però, per beni e prodotti ritenuti meritevoli. La tendenza politica del giornale è dichiaratamente Liberal ed indipendente, orientata all’ecologia e alla multiculturalità, così quella dei lettori. RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’

stratificazione dei contenuti, richiedendogli l’attenzione che il giornale crede di meritarsi. CHI SONO I LETTORI I lettori di Monocle sono relativamente adulti o giovani 91

Il rapporto tra Monocle e la pubblicità è molto complesso e sfaccettato. Il magazine infatti presenta inserzioni tradizionali altamente profilate, accessori, abbigliamento, enti del turismo, compagnie aeree, etc.. Oltre a queste inserzioni classiche sono presenti anche inserzioni realizzate ad hoc per la testata e pubbliredazionali. Monocle ha inoltre, di recente, aggiunto una sezione shop all’interno del magazine, nella quale sono presenti, come in un catalogo, numerosi prodotti


capitolo 08

potenziale di spesa e gli interessi del proprio target, i suoi gusti e i suoi bisogni. Sono infatti quasi esclusivamente prodotti maschili, o tutt’al più unisex. Si va dalla cura del corpo (profumi, creme), all’abbigliamento (sciarpe, giacche), alla cancelleria agli accessori (borse, da uomo, cellulari, etc..). Questo inserto ha avuto un’evoluzione propria, prendendo sempre maggior spazio all’intenro del giornale, fino a diventare un inserto del giornale e ad avere un’incarnazione fisica in diversi store in alcune città di riferimento, Londra in primis, poi Los Angeles, e presto a Stoccolma. SEGRETO DEL SUCCESSO

risultanti dal co-branding tra monocle e alcuni marchi di eccellenza (da Blackberry a Woolrich, da Aspesi a Comme Des Garcons), la sezione ha una forte valenza, poiché posiziona precisamente la testata, dichiarando il 92

Il magazine ha individuato precisamente il proprio target, sia per quanto riguarda il lettorato, che per quanto riguarda gli inserzionisti, riuscendo così a combinare qualità e successo economico. È anche diventato, in breve tempo, un vero e proprio status simbol per una fascia di pubblico che in esso si riconosce e si identifica con i suoi valori.


capitolo 08

foam

COM’È INIZIATO TUTTO? Il magazine nasce per iniziativa di Foam, il museo della fotografia fondato ad Amsterdam nel 2001, insieme a Vandejong, un’agenzia di comunicazione di base

TEMA

Fotografia internazionale

PERIODICITÀ

Trimestrale

FONDAZIONE

2001

FORMATO

230 x 300 mm

LINGUA

Inglese

STAFF

(editor in chief) Marloes Krijnen (editors) Marcel Feil/ Pjotr de Jong/ Tanja Wallroth/ Sara Despres (art director) Vandejong, Amsterdam (publisher) Foam Magazine

SITO WEB

www.foammagazine.nl

NAZIONALITÀ

Olandese

PREZZO

12,50 euro

anch’essa ad Amsterdam. E in particolare ad opera di Marloes Krijnen, direttore di Foam e Pjotr de Jong, direttore di Vandejong. L’idea su cui poggia la rivista è quella di creare una piattaforma di alta qualità 93


capitolo 08

per la fotografia, come fosse uno spazio espositivo extra per il museo, ma in formato magazine. Il Foam Museum ha sempre provato ad guardare al di fuori delle proprie mura organizzando progetti al di fuori del proprio edificio, come le grandi istallazioni di JR nel 2007 che invasero tutto il centro storico. Un magazine è risultato perfettamente calzante con queste esigenze, può vaggiare lontano e arrivare a persone che non avranno mai la possibilità di visitare il museo, e stimola la discussione sulla fotografia. Il primo numero fu pubblicatò nel dicembre 2001, in occasione dell’apertura del museo, e servì da catalogo della mostra, così come il secondo numero. A partire dal numero 3 il magazine acquisì il proprio formato attuale basato sui 6 portfolio. Sebbene la relazione con il museo sia evidente, a partire dal titolo, la selezione dei temi e dei portfolio non è più legata all’attività espositiva. Possono esserci delle sovrapposizioni occasionali, ma sono da considerarsi coincidenze. La questione della stampa è sempre stata un media provilegiato per la presentazione del lavoro dei

fotografi, quindi Foam rimane un media eccellente per diffondere il lavoro dei fotografi ad un ampio audience.

94


capitolo 08

articoli che introducono il tema, che cambia di numero in numero. L’ultima parte del giornale è riservata alle recensioni di materiali connessi alla fotografia (mostre, libri, istallazioni, etc..). Ogni portfolio è stampato in grande formato e a colori, ognuno è stampato su una carta diversa, scelta apposta per far risaltare le caratteristiche del progetto. Il resto del giornale è impaginato in maniera piana ed ordinata, ariosa e mai rigida. Non vi sono concessioni ad estetismi o ricercatezze nella semplice gabbia a due colonne, salvo per le titolazioni dei portfolio in cui il lettering è realizzato a mano, utilizzando i metodi più vari, poi fotografato e impaginato all’interno della gabbia. Spesso per separare nettamente i contenuti i testi di accompagnamento vengono stampati su carta colorata. COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? Un numero di Foam è caratterizzato dalla presenza di 6 portfolio di 16 pagine. preceduti da un testo di accompagnamento del

portfolio. Questa parte costituisce il nucleo principale del magazine, che è a sua volta preceduto e seguito da altri contenuti redazionali. La prima ventina di pagine è composta di interviste e brevi 95

CHI SONO I LETTORI Ovviamente il target principale è quello degli amanti della fotografia contemporanea. Ma Foam risulta essere un giornale che piace a molte tipologie di lettori, di fascie di età,


capitolo 08

eventi legati al tema del magazine. Le inserzioni sono poche, curate e strettamente tematiche. SEGRETO DEL SUCCESSO

istruzione, impiego, nazionalità anche molto diverse. RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’ Foam è finanziato in parte dal museo della fotografia di

Amsterdam, e in larga parte dal prezzo di copertina piuttosto elevato (variabile da numero a numero). All’interno del magazine sono presenti alcune inserzioni, di produttori di apparecchiature per la fotografia oppure di 96

Oltre all’indubbia freschezza e qualità dei portfolio proposti, a rendere ampio lo spettro dei lettori è la chiarezza e la piacevolezza dei testi che accompagnano i portfoli, che, cercando di rivolgersi ad un pubblico così variegato, affrontano temi “per addetti ai lavori” in modo piano e piacevole da leggere, senza abbandonare la serietà e la complessità dei temi trattati ma anche senza perdersi in vezzi autoriali o linguaggio da nicchia. La presentazione dei materiali, la ricerca sulla produzione e la stampa dei porftolio rende il magazine appetibile anche a coloro che sono interessati ai magazine in generale, a coloro che cercano ispirazione su questi temi, etc..


capitolo 08

vogue italia

COM’È INIZIATO TUTTO? Vogue è una rivista mensile statunitense di moda fondata da Arthur B. Turnure nel 1892 e acquistata dal gruppo Condé Nast nel 1909. Oggi è considerata la più

TEMA

Moda

PERIODICITÀ

Mensile

FONDAZIONE

1965

FORMATO

207 x 275 mm

LINGUA

Italiano

STAFF

(direttore responsabile) Franca Sozzani (caporedattore) Lella Scalia (art-director) Luca Stoppini (editore) Edizioni Condè Nast S.p.A.

SITO WEB

www.vogue.it

NAZIONALITÀ

Italiana

PREZZO

5 euro

autorevole rivista di moda al mondo. L’attuale direttrice è Anna Wintour, mentre quella dell’edizione italiana è Franca Sozzani. Oggi Vogue annovera undici edizioni in diversi paesi, e riviste satellite come L’Uomo 97

Vogue, Vogue Gioiello, Vogue Bambini. L’edizione italiana è stata creata nel 1965. Specializzata proprio per l’alta moda, raccoglie le firme più prestigiose e i fotografi più famosi.


capitolo 08

COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? Ogni numero di Vogue Italia è composto da un numero variabile di pagine e da una struttura quanto mai eclettica. A grandi linee si può dividere ogni numero in due macro aree, la prima in cui sono presentati articoli relativi a vari ambiti culturali (arte contemporanea, design, cinema, libri, teatro, etcc..) e una dedicata alla moda. Nella sezione dedicata alla moda sono a loro volta identificabili delle aree di interesse, come il make up e la cura del corpo, i reportage dalle sfilate, articoli riguardanti la moda, le ultime tendenze, etc.. e una nutrita parte di servizi fotografici. L’aspetto visivo di Vogue è estremamente curato, per quanto riguarda l’aspetto iconografico, l’impaginazione segue esattamente lo spirito del giornale, la gabbia flessibile e frammentata permette di impaginare qualsiasi tipo di contenuto, mantenendo comunque una gerarchia della pagina molto lineare. Gli aspetti che saltano all’occhio sono l’uso di due caratteri (uno per i testi, uno per titoli, occhielli, numeri di pagina,

etc..), affiancati da altri due esclusivamente alle didascalie delle foto. L’impaginazione così frammentata, pur sempre leggibile, rende le pagini tutte simili tra loro, non permettendo una fruizione a sfoglio della rivista, almento 98


capitolo 08

disposizione, anche sulla doppia pagina. CHI SONO I LETTORI Il pubblico di Vogue Italia è decisamente vasto. Oltre ad essere il punto di riferimento del mondo della moda, e di tutti gli studenti e gli operatori del settore, è anche letto da persone seplicemente interessate agli articoli e al piacere estetico della lussureggiante sezione fotografica. Vogue Italia è l’unico magazine italiano che, pur essendo completamente in itliano, ha una ampia diffusione all’estero. Quindi il pubblico è molto più vasto di quello che si possa immaginare. RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’

nella prima parte degli articoli, poiché non c’è nulla che realmente colpisca l’occhio. Questo non è necessariamente un difetto, poiché la rivista richiede, nella prima parte, una certa concentrazione da parte del lettore, visti i temi

trattati. La seconda parte, invece, non presenta quasi per nulla interventi di grafica, se non occasionali passepartout, titolazioni e didascalie, lasciando ampio spazio alle grandi foto che occupano spesso tutto lo spazio a 99

Vogue è, come tutti i giornali di moda, è in gran parte composto di pubblicità, e presenta alcune parti di pubbliredazionale e consigli per l’acquisto di prodotti cosmetici e per la cura del corpo. Pero il posizionamento molto alto della testata permette di avere sono il meglio dell’adv internazionale.


capitolo 08

Questo peculiare rapporto con la pubblicità permette al giornale di coprire interamente tutte le spese senza gravare eccessivamente con il lettore, inoltre la pubblicità, essendo estremamente profilata e selezionata, finisce per essere

parte del contenuto stesso del magazine. SEGRETO DEL SUCCESSO Vogue Italia è considerato da bibbia delle bibbie della moda. Questo è dovuto all’approccio, 100

che sin dagli anni 60, lo caratterizza e lo distingue dalle altre edizioni. È ritenuta l’edizione meno commerciale della testata, quella più libera nell’espressione e indipendente dal mercato della moda, ma concentrata sui contenuti della moda, sul valore sociale ed estetico delle tendenze e del lifestyle più che su quello economico. I servizi di moda sono indubbiamente il punto forte del giornale, sono ciò che stabilisce l’eccellenza della pubblicazione. La scelta e l’abbinamento di fotografi, modelle/i e abiti puntano ad imporre una visione forte dell’ambiente della moda, a creare tendenze e stili, piuttosto che alla mera interpretazione. Vogue Italia ha una forte relazione con la città di Milano, e ne condivide l’aspetto territoriale orientato all’internazionalità, così come è la moda a Milano. Vogue Italia si è imposto come trend setter per la sua decisa direzione di promuovere una visione globale della moda, orientata la lifestyle più che ai singoli capi o marchi.


capitolo 08

the believer

COM’È INIZIATO TUTTO? The Believer è un mensile letterario americano fondato da Dave Eggers e Vendela Vida nel 2003. Nelle sue pagine si alternano interviste, brevi saggi, fumetti, recensioni varie (di libri,

TEMA

Letteratura, interviste, cultura

PERIODICITÀ

10 numeri l’anno

FONDAZIONE

2003

FORMATO

217 x 255 mm

LINGUA

Inglese (usa)

STAFF

(editor) Heidi Julavits, Ed Parker, Vendela Vida (publisher) McSweeney’s Publishing LLC

SITO WEB

www.believermag.com

NAZIONALITÀ

U.S.A.

PREZZO

10 £, 10 $, 10 euro

ma anche di bambini, attrezzi, motel ecc.), in cui si parla, tra l’altro, di una faida tra lesbiche e trans, della privatizzazione del self-help, di come la saga del giovane Superman sia allo stesso tempo socialista e cristiana.

101

COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? Un numero di The Believer è composto da un numero di pagine che si aggira intorno alle 92/100. La struttura del giornale è eclettica, non segue strutture


capitolo 08

definite, è concepita come un flusso, ma anche come una serie di contributi isolati tra di loro. Tra gli articoli non vi è nessuna correlazione, nè stilistica, nè di contenuto, nè linguistica, ma al contempo hanno sono legati da un approccio comune nel taglio, nella scelta degli argomenti, nel modo di relazionarsi all’intervistato, etc.. Le tipologia privilegiate di contenuti sono il saggio, l’intervista e la recensione. Spesso i generi si mischiano, creando, ad esempio, dei saggi a due voci, frutto di ibridazione con l’intervista, le recensioni brevi (una pagina) hanno toni da racconto o da testo umoristico, e così via. I contenuti redazionali sono separati dal resto del giornale e sono collocati in posizioni ben riconoscibili. Colophon e sommario sono in quarta di copertina, in 1° pagina sono presenti le note, nella 2° la rubrica della posta, nella penultima sono presenti brevi note sui contributors e in ultima pagina ci sono le anticipazioni per il numero successivo. Il resto del giornale è occupato escusivamente dai contenuti. Il rapporto tra The Believer e il inguaggio figurativo è molto particolare, visivamente la rivista risulta piuttosto piana e modulare, due moduli a 2 e 3

colonne si alternano a seconda che l’articolo sia un’intervista (2 colonne) o un altro tipo di contenuto (3 colonne), l’uso esclusivo del Garamond e la pesante cornice colorata che incornicia la pagina conferisca un’aspetto bicromatico e scarno 102

alla pubblicazione, in realtà la rivista propone, come nella tradizione della rivista “alta” americana, molti interventi di illustrazione, fotografia, fumetti e vignette all’interno degli articoli. A partire dai ritratti dei columnist curati tradizionalmente da


capitolo 08

a prescindere dalla forma in cui sono esposti. Questo genera un’ampia variegazione all’interno del pubblico per interessi, età, istruzione (comunque mediamente alta) e così via. RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’ The Believer è privo di pubblicità e si sostenta col solo prezzo di copertina. SEGRETO DEL SUCCESSO

Charles Burns e Tony Millionaire. CHI SONO I LETTORI I lettori di the Believer sono persone interessate all’approccio del magazine, l’eterogeneità degli argomenti impedisce di

definire il lettore tipo, se non come qualcuno interessato alle cose interessanti. Ovvero un tipo di persona che è disposto a leggere di qualsiasi cosa, purchè sia scritta bene. Il progetto di The Believer è sicuramente incentrato sui contenuti, ma mai 103

The Believer, come tutti i prodotti di Dave Eggers, è curato maniacalmente sin nei più piccoli dettagli. Questo approccio genera prodotti molto particolari, dotati di un carattere definito, che quindi generano reazioni contrastanti, ma sempre forti. La qualità dei contenuti di The Believer è indiscutibile, la scelta di contributors, di argomenti, di toni, ne fa una rivista dotata di un forte carattere con cui si instaura un rapporto quasi interpersonale, che porta quindi ad un’affezione o ad una repulsione netta. Ma il buon bilanciamento tra detrattori e ammiratori ne decreta sicuramente una chiave di successo.


capitolo 08

il (intelligence in lifestyle)

COM’È INIZIATO TUTTO? IL magazine nasce nel 19 settembre 2008 da un’idea di Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole24Ore, che punta ad ampliare il lettorato della testata principale ad un nuovo tipo di

TEMA

Approfondimento, economia, design, lifestyle.

PERIODICITÀ

Mensile

FONDAZIONE

sjnfnf

FORMATO

235 x 285 mm

LINGUA

Italiano

STAFF

(direttore) Walter Mariotti (direttore responsabile) Gianni Riotta (art-director) Francesco Franchi (editore) Il Sole 24 ORE S.p.A.

SITO WEB

www.ilsole24ore.com

NAZIONALITÀ

Italiana

PREZZO

0,50 euro

pubblico, proponendo contenuti di carattere culturale e relativo al lifestyle, con un impostazione redazionale “figlia” di quella della testata principale. La creazione della testata è stata affidata ad una redazione autonoma e ad un reparto 104

produttivo dedicato, l’età media di chi lavora alla testata è piuttosto bassa. I contenuti sono “tagliati” per un pubblico preciso ma che può interessare anche un pubblico più ampio.


capitolo 08

COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? La struttura della rivista è suddivisa in 3 parti. Nella prima sono presenti news e trafiletti di “aggiornamento” e rubriche di opinione e costume (spesso si

fondono). La parte centrale, la più ampia ed articolata, propone contenuti quali interviste, reportage, e piccole inchieste, di argomento vario, dal costume, alla società, ad argomenti economici di Macroeconomia. Questa parte 105

è riccamente illustrate tramite accurati ed estesi servizi fotografici. È a sua volta suddivisa in sezioni “Storia di copertina” - come da titolo riporta l’argomento principale del numero, è composta da articoli e contributi di diverse firme, di vario genere e taglio, alla ricerca di una visione quanto più possibile completa e sfaccettata, con tanto di contraddittorio, di un fatto o di un fenomeno. , “Incontri” è dedicata alle interviste, anche questa è composta da diversi contributi di diverse firme. “Valori”,si occupa di reportage e di servizi fotografici ibridi tra il racconto di un personaggio e servizi di moda, con tanto di elenco di abiti indossati, i temi sono i più vari, focalizzati sul lifesyle e stile, spaziano da un reportage sull’utopia di Brazilia ai modi di allacciare le scarpe. “Tendenze” approfondisce le tematiche di moda e lifestyle, focalizzandosi però più sugli aspetti di design e styling. “Emozioni” infine propone racconti o reportage di alleggerimento, come racconti di viaggi o inchieste su tematiche leggere. La terza parte propone un calendario di eventi (mostre, uscite cinematografiche, festival)


capitolo 08

in tutta Italia selezionati dalla redazione. A chiudere il magazine un editoriale a cura del direttore. La maggior parte dei contenuti (tutti quelli scritti, quasi tutte le foto) sono prodotti internamente ed in esclusiva per la testata. Le sezioni sono separate visivamente da una diversa impostazione grafica. Nella prima l’impostazione è vicina a quella di un quotidiano, particolarmente della stampa inglese, riccamente suddivisa in moduli accuratamente gestita, il richiamo alla testata madre è evidente ed è reso più esplicito dall’applicazione di un fondinno salmone caratteristico della carta del quotidiano. La seconda si rifà di più ad una testata di carattere economico e di lyfestile. La struttura è simile a quella della 1° parte, basata su moduli molto piccoli ed elastici, ma scompare il fondo rosa e titolazione e decorazione (filetti e capilettera) si moltiplicano per numero e varietà. La ricerca nelle immagini è molto accurate ed efficace. La terza parte è gemella della prima ma con una suddivisione dello spazio più “a pattern” trattandosi di una agenda/ calendario.

CHI SONO I LETTORI Il direttore di IL, Walter Mariotti, descrive il proprio prodotto come “ Un magazine maschile per un uomo nuovo, contemporano, cosmopolita, curioso”. Il magazine non si rivolge solo 106

agli uomini, ma ha anche un vasto lettorato femminile, che si attesta a quasi un terzo. “Si rivolge ad un’élite” continua il direttore “Che prima di essere un elite economica o di stile di vita, è un élite di spirito, di pensiero”. Se Il Sole è il punto di riferimento


capitolo 08

prevalentemente di vestiti, accessori e servizi bancari o assicurativi. Il target delle inserzioni non è perfettamente allineato a quello che la rivista vorrebbe avere, così come le sezioni di publi-redazionale, causando qualche piccola incertezza nel posizionamento della testata. SEGRETO DEL SUCCESSO

sulla creazione di valore sul lavoro, IL diventi punto di riferimento fuori dal mondo del lavoro. quando si è finito l’ufficio, si vivano i consumi culturali, le tendenze, la produzione materiale, i protagonisti, le emozioni e quant’altro.

RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’ Il magazine, essendo l’allegato de Il Sole 24 Ore, si basa su una solida base per la raccolta pubblicitaria. Attira inserzionisti che si occupano 107

IL è un magazine generazionale. Tratta argomenti che interessano agli che si avvicinano ai 30 anni, o che li hanno superati da poco. Attira la tipologia di persone che si sta avvicinando, per motivi professionali o di interesse personale, ai temi e al mondo trattati dal quotidiano “padre”, ma che ha (o ritiene di avere) uno sguardo più moderno e giovane. Per questo i temi trattati sono spesso più leggeri, o sono trattati con toni più leggeri. Il mensile cerca inoltre di coagulare introno a se uno stile di giornalismo e un lifestyle post-yuppie e postgiovanilista che interessa ad una classe che aspira ad affrancarsi dalla etichetta di “giovani”, in un paese di eterne “promesse” (del giornalismo, del pensiero)s, e che vuole proporsi come nuova classe dirigente, ma soprattutto come nuova intelligentia del paese e del mondo culturale.


capitolo 08

032c

COM’È INIZIATO TUTTO? Il magazine nasce a Berlino nel 2000 ad opera di Joerg Koch e Sandra von MayerMyrtenhain, i quali decidono di creare una sinergia tra creativi di diversa natura, affermati ed

TEMA

Cultura contemporanea, arte, moda e politica

PERIODICITÀ

Semestrale

FONDAZIONE

2000

FORMATO

200 x 270 mm

LINGUA

Inglese

STAFF

(editor) Jeorg Koch, Victoria Camblin (art director) Mike Meirè (publisher) 032c workshop

SITO WEB

www.032c.com

NAZIONALITÀ

Tedesca

PREZZO

10 euro (de), 12 euro (eu), 19,90 $

emergenti, insieme, invitandoli a confrontarsi su un argomento proposto di volta n volta.

108


capitolo 08

personaggi celebri), servizi di moda (da 8 a 50 pagine) e una rubrica chiamata select (selezione segnalazione recensioni). In tutto ciò la grafica è poco invadente ma accuratamente progettata e realizzata con cura e attenzione. L’impostazione grafica del magazine affonda le proprie radici nella grafica post-moderna degli anni ‘90 americani, integrandola con l’approccio austero caratteristico della grafica del nord europa, e aggiornandola con una sensibilità tutta nuova e iper moderna che fa propria la tendenza post-moderna del gusto per l’errore, nel rifiuto delle convenzioni classiche dell’editoria, non come semplice gesto di rivolta (come poteva essere un Carson) nè tanto meno per il gusto di “si può fare” (tendenza diffusa nella grafica californiana anni 90) ma come precisa scelta progettuale, alla ricerca di limiti e stratificazioni di consuetudini. COME VIENE REALIZZATO OGNI NUMERO? Ogni numero è composto da articoli brevi, articoli lunghi (approfondimento culturale/ artistico, interviste/reportage sui personaggi, interviste tra 109

Tanto che ALICE RAWSTHORN nel blog dedicato alla grafica editoriale, che tiene sul blognetwork del New York Times (http://www.nytimes.com/ indexes/2008/03/09/style/t/ index.html#pagewanted=0&


capitolo 08

pageName=09Rawsthorn&) scrive: Gli ultimi due numeri di 032c sono semplicemente brutti. [...] tipografia stretchata. Contrasti cromatici stridenti. Immagini tagliate in modo folle. C’è tutto. Il tutto sapendo di rompere le regole che (Mike) Meiré [art director della testata n.d.r.] e i suoi ex-fan hanno imparato alla scuola di design. [...] tanto che molti blogger hanno definito il suo nuovo “stile” il nuovo brutto”. Lo stesso Meiré risponde alle accuse puntualizzando laconico che “esistono diversi tipi di bellezza, sono spaventato da quanto questi designer possano essere limitati”. CHI SONO I LETTORI 032c si rivolge ad un pubblico trasversale, interessato a confrontarsi con un approccio alle tematiche, e al media magazine, del tutto particolare. I temi sono i più disparati, dalla geopolitica, alla finanza, all’arte, alla moda, non è una rivista tematica, ma ogni tema, come ogni pagina, rispecchia l’approccio della rivista. Il lettore tipo ha interessi eclettici e unamentalità aperta, oltre alla tendenza a mettersi in discussione. 110


capitolo 08

RELAZIONE CON LA PUBBLICITA’ La pubblicità su 032c è presente in maniera molto ridotta e concentrata nella prima parte del magazine. Le inserzioni sono però di brand molto affermati nel campo della moda (da Prada a Tom Ford a Dior) e le creatività proposte sono di altissimo livello. SEGRETO DEL SUCCESSO La cura meticolosa e la visione d’insieme del progetto ne fanno un prodotto unico ed estremamente contemporaneo, di diffusione limitata ma di gradimento molto elevato. Nell’editoriale del numero 18 del magazine il direttore Joerg Kock scrive: “[…] (la corrida portoghese) È un’esperienza collettiva. È un miscuglio di commedia, tragedia e di imprevedibilità completa – un trittico adorato qui a 032c. Negli ultimi mesi, così tanto è stato detto a favore del fare MENO. Noi optiamo per il DI PIU’: più ambiziosi, più spericolati – ma anche più contenuto, più pagine. Anche se non ci siamo ancora iscritti ad un corso per toreri […] siamo comunque alla ricerca di un’esperienza collettiva […]”.

111


capitolo 9

piccoli e forti

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capitolo 09

ZINE Una Zine è una pubblicazione di piccola circolazione contenente testi e immagini originali o “presi in prestito” da altre pubblicazioni o media. Più in generale si riferisce ad una pubblicazione autoprodotta di interesse specifico, tradizionalmente riprodotta tramite l’utilizzo di fotocopie e fogli colorati. Il termine non ha un origine precisa, ma le testimonianze più diffuse del suo utilizzo risalgono agli anni 70 del 900. Il “MerriamWebster Dictionary” data la parola al 1965. Deriva dalla contrazione della parola inglese “magazine” (= rivista), il suo utilizzo compare in associazione al termine “fan” (= appassionato) a formare il termine “fanzine”. La definizione tradizionale si riferisce a pubblicazioni la cui tiratura sia inferiore alle 5000 copie, anche se la maggior parte di esse non supera le 100 copie, e in cui la vendita non sia il principale intento della pubblicazione.

zine?”, cosa spinge a produrre questi oggetti: “Le Zine non sono un’idea nuova. Ci sono sempre state, con nomi diversi (chapbooks, pamphlet, volantini). Persone con idee indipendenti si sono sempre espresse in questo modo, stampando carta. È una splendida sensazione tenere in mano le copie della tua rivista, bisogna andare avanti, non c’è un modo sbagliato!”. Per quanto riguarda la produzione delle Zine i metodi sono i più svariati. A partire da testi e immagini composti e impaginati a computer, a fumetti, a testi scritti a mano. La stampa rimane il metodo principale di produzione delle Zine, ricorrendo spesso a fotocopie, quando si prevede una circolazione limitata. Gli argomenti trattati sono i più disparati, dalle fanfiction, ad argomenti politici, arte, design, giornalismo personale, teorie sociali, argomenti specifici, fino ad arrivare a contenuti di carattere sessuale, spesso specifici, molto lontani da ciò che è consentito pubblicare in ambienti più mainstream e di solito non accettati nei media tradizionali (“Piss-zine”, “Butt”, “Fecalove”).

Le Zine non sono un’idea nuova. Ci sono sempre state. Le idee indipendenti si sempre espresse in questo modo, stampandole su carta.

Mark Todd, noto illustratore, nonchè appassionato conoscitore del movimento Zine, riassume, ne suo “Whatcha mean, what’s a

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capitolo 09

Le Zine di piccola circolazione spesso non sono esplicitamente coperte da Copyright e c’è spesso la forte convinzione in coloro che le producono che i materiali possano e debbano circolare liberamente. L’aspetto economico delle zine è quasi sempre connesso alla copertura delle spese di stampa e distribuzione, che spesso avviene a mano partecipando a fiere ed eventi dedicati o a concerti musicali. Negli ultimi anni il numero delle Zine fotocopiate è diminuito, sostituite da altri mezzi di produzione, come la stampa professionale, dato l’abbassamento generale dei prezzi, cosa possibile ad esempio tramite tipografie on-line che garantiscono un risultato di alta qualità a prezzi accessibili, o alla stampa “ondemand”. Inoltre molti di coloro che hanno la spinta a realizzare una zine preferiscono dirottare i loro sforzi sul web dando vita a webzine o blog. Alcune riviste di ampia circolazione di oggi hanno iniziato a essere prodotte come zine, come Dazed&Confused, Giant Robot, Bust, etc..

Thomas Paine pubblica nel 1776 un pamphlet che diviene estremamente popolare al tempo, intitolato “Common Sense”. Pubblicato durante la Rivoluzione americana, il testo propone i temi di carattere patriottico che Paine vuole trasmettere al popolo delle colonie americane per giustificare l’indipendenza dal Regno di Gran Bretagna. Paine è considerato uno dei primi editori indipendenti e “zinester” (= autore ed editore di zine), a buon diritto, ma va tenuto presente che i mass media, così come li conosciamo ora, non esistevano. Un consistente numero di sconosciuti e di importanti figure letterarie è ricorso nei secoli all’autoproduzione delle proprie opere.

STORIA

Lo stile della piccola editoria e dell’autoproduzione vanta esempi tra scrittori illustri come Virginia Woolf, Walt Withman e Mark Twain, i quali in vari momenti della propria carriera ricorrono all’autoproduzione per il proprio lavoro. La tradizione ha origini ancora precedenti, può essere fatta risalire alla

Dall’invenzione della stampa - se non da prima - i cittadini dissidenti ed emarginati per le proprie convinzioni, hanno utilizzato la formula del pamphlet e del volantino per diffondere le proprie idee e opinioni.

Nei primi anni 50 del 18° secolo secolo Benjamin Franklin inizia una rivista letteraria per pazienti psichiatrici al Pennsylvania Hospital, che viene distribuita tra i pazienti e il personale della struttura. Viene spesso considerata la prima Zine, poiché cattura e interpreta perfettamente lo spirito e la filosofia del media.

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tradizione degli editori “pushcart”, i quali nel 19° secolo erano soliti pubblicare libricini e chapbooks e venderli direttamente al pubblico sulla strada utilizzando bancarelle mobili, detti per l’appunto “pushcart” (= carrelli a spinta). Il concetto di Zine ha ascendenti nel movimento delle pubblicazioni amatoriali (argomento cui H.P.Lovecraft dedica numerosi saggi), che ha la sua maggiore espressione nella sub-cultura degli appassionati di fantascienza negli anni 30 del 900. Durante la Grande Depressione, gli editori delle riviste “pulp” dedicate alla Fantascienza iniziarono a essere sommersi da lettere che indicavano tutte le inesattezze scientifice e gli aspetti impossibili delle storie che pubblicavano. Alcuni iniziarono quindi a pubblicare raccolte di queste lettere, complete degli indirizzi dei mittenti. I fan iniziarono presto a utilizzare questi indirizzi per creare mailing list a cui spedivano le proprie pubblicazioni autoprodotte, è qui che si fa comunemente nascere il termine e il concetto di “fanzine”. Queste pubblicazioni permisero ai fan di scrivere e pubblicare le loro storie, un consistente numero di autori di tematiche Sci-Fi e Fantasy ha mosso i propri primi passi proprio in questi ambienti e ne è stato influenzato, tra cui Frederik Pohl e Isaac Asimov. Ben presto i temi iniziarono a variegarsi,

La science-fiction come fenomeno letterario di massa nasce con la pubblicazione negli Stati Uniti del primo numero di Amazing Stories, il 5 aprile del 1926 da un’idea di Hugo Gernsback,

estendendosi a temi più generali sulla fantascienza, prima, sul fandom in generale, fino ad assumere connotati di autoespressione dando vita alle per-Zine, zine personali, che possono essere considerati antesignane dei blog dei primi anni del 2000, i cosiddetti diari on-line. Un fenomeno simile, ma di diversa natura, si sviluppa nell’Unione Sovietica e nei paesi sotto la sua influenza (Cecoslovacchia, Polonia, ecc.) tra la fine degli anni 50 e i primi

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anni 60. Prende il nome di “Samizdat” (самиздат) che in russo significa “edito in proprio”. Indica un fenomeno spontaneo che consiste nella diffusione clandestina di scritti ritenuti illegali, censurati dalle autorità o in qualche modo ostili al regime sovietico. In tale periodo, quello che era un fenomeno spontaneo e irregolare fa un salto qualitativo e diviene una sorta di canale di distribuzione alternativo. È il principale “strumento” (e quasi l’unico) di cui il nascente dissenso si appropria al punto che talvolta è identificato con esso. Negli anni 70 del 900 il movimento punk fece proprio, come parte integrante, il mezzo della “fanzine”, dando origine alle Punk-Zine. Il movimento naque parallelamente sia in USA che Inghilterra ma dopo il ‘77 si propagò in moltissimi altri stati. Il basso prezzo delle fotocopie e l’estetica DIY permise a chiunque fosse in grado di fare il manifesto di una band di creare delle Zine. Durante gli anni 80 del 900 la rivista Factsheet Five, edita originariamente da Mike Gunderloy, iniziò a catalogare sistematicamente ogni Zine o piccola pubblicazione che

riceveva per posta. Così facendo si affermò come centro di un vero e proprio network di autori, editori e lettori di Zine – che spesso coincidevano. Iniziò ad emergere il concetto di Zine come forma d’arte distinto dal movimento fanzine, e di “zinester” come membri appartenenti ad una stessa sottocultura. Le Zine di questo periodo spaziavano tra tutti gli argomenti e i formati che gli “editori” riuscivano ad immaginare, coprendo (quasi) ogni tema, ogni opinione e ogni argomento, costituendo un sapere ed un immaginario condiviso che poi sarebbe migrato in parte sulle prime pagine web. Le pubblicazioni autoprodotte vengono vendute all’interno di numerose fiere e festival dedicati. Durante questi incontri il pubblico spesso stabilisce un rapporto diretto con l’editore/autore o con i librai che si occupano del genere i quali spesso fanno da aggregatori e indirizzano i lettori. Gli editori spesso si riuniscono in piccoli o grandi gruppi per organizzare reading o per convincere gli organizzatori di grandi eventi a inserire i loro prodotti all’interno delle fiere e negli eventi artistici “ufficiali”. Questi scambi portano all’allargamento delle mailing list e della diffusione dei materiali

Le Zine costituiscono un sapere ed un immaginario condiviso che è poi migrato sulle prime pagine web

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e contribuiscono a creare un’atmosfera non competitiva. Gli editori spesso affiancano questa l’attività a lavori più tradizionali, come insegnanti di scrittura o letteratura all’interno di college o università e utilizzano le strutture e le risorse scolastiche per promuovere altri autori o piccoli editori di altri paesi o città, e per promuovere il movimento stesso. Alcuni autori ed editori si uniscono per formare società cooperative allo scopo di dividere i costi di composizione, stampa, rilegatura e distribuzione. Le organizzazioni di editori formatesi in questi contesti hanno come scopo ulteriore quello di promuovere le pubblicazioni “small press” ai rivenditori, alle biblioteche e al pubblico. Inoltre sponsorizzano programmi che mirano a distribuire libri a fasce deboli della popolazione o a enti pubblici come biblioteche, scuole e prigioni. I gruppi di editori lavorano insieme per garantire che i singoli fossero adeguatamente rappresentati all’interno dei festival e degli altri eventi, e per cercare di convincere i sa-

Estetica precaria e contenuti violenti sono alla base di quella che è comunemente considerata l’estetica delle fanzine. Nasce come necessità, la mancanza di fondi e di stumenti professionali, ma diventa presto un segno distintivo, cosicchè chi si avvicina ad una fanzine sa a che cosa sta andando incontto.

lotti intellettuali a riconoscere al movimento la giusta dignità letteraria. Si impegnano anche perché venga riconosciuto il contenuto artistico nella realizzazione dell’oggetto libro, considerando parte integrante dell’espressione artictica scelta della carta, modalità di rilegatura estampa. La “small press” è stata quindi considerata più un movimento artistico a se stante che un reale business. Spesso i loro autori si creano una vera e

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propria carriera all’interno dell’ambiente della micro editoria, partecipando a convegni, dibattiti, insegnando, aprendo dei bookstore, diventando grafici o stampatori. Nei primi anni ‘90 il movimento “Riot Grrrl” adottò il formato Zine come mezzo di espressione concentrandosi su tematiche più grezze ed esplicite, orientate ad una affermazione della parità sessuale nel movimento dato che fino ad allora gli Zinester erano stati principalmente uomini. A seguito di questa ondata di rivendicazioni interne il movimento Zine godette di un momento di attenzione da parte dei media tradizionali e molte Zine furono raccolte e pubblicate sotto forma di libri, come Kooks Magazine di Donna Kossy che venne pubblicato con il nome di “Kooks” da Feral House. L’attenzione per le Zine scemò gradualmente alla fine degli anni ‘90. Le ragioni del declino sono facilmente intuibili, primo tra tutti l’avvento e la diffusione di Internet, delle pagine personali e, in seguito, dei blog a sostituire i campi di interesse e gli argomenti

delle fanzine, che comunque ne costituirono l’ispirazione e le modalità espressive. Alcune Zine si trasformarono in Web-Zine per tenere il passo con i tempi, come Boing Boing. Le zine, dalla metà degli anni 90 contribuirono anche a formare e ad alimentare l’immaginario e le argomentazioni delle riviste tradizionali. Le Zine continuano comuque ad essere popolari. Attualmente sono parte integrante del movimento DIY (Do It Yourself). Recentemente sono anche state alimentate da nuovi temi, come la globalizzazione, la contro informazione etc.. Le Zine non sono da confondere con quelle pubblicazioni che vengono definite semplicemente come “magazine indipendenti”, anche se spesso le strade si incrociano e le differenze si assottigliano, ma è lo spirito che le differenzia, più che il formato, la confezione, la cura o il tipo di stampa, che si avvicinano sempre di più, fino a toccarsi o sovrapporsi.

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LE FANZINE SI RIFIUTANO DI MORIRE Al giorno d’oggi i blog sono il luogo dove molti aspiranti giornalisti si allenano per giocare nella serie-A e dare sfogo a tutte le loro opinioni. I blog hanno enormi vantaggi rispetto alle fanzine: non costano niente e sono enormemente più facili da produrre, la loro distribuzione è virtualmente infinita, e invece dei lunghi lassi di tempo tra un numero e un altro possono essere aggiornati costantemente, in particolare i nuovi sistemi di microblogging come Tumblr e Twitter. Sono anche molto più interattivi delle fanzine, permettono di linkare ed essere linkati da altri blog simili entrando a fare parte di un network. La possibilità di avere un’area per i commenti molto facile da gestire permette lo sviluppo di discussioni, litigi, dibattiti, alcuni angoli della blogosfera sono a tutti gli effetti delle comunità (con tutti i problemi dei villaggi veri, compreso lo scemo, il matto, i saputelli, gli stalker, etc..). È comprensibile quindi che molti aspiranti critici facciano il loro appren-

distato sui blog, magari con un “master” intermedio sulle webzine, come “The Quietus”, “Pitchfork”, “Rockit”, etc.. Il problema è che le pubblicazioni on-line non pagano molto, anzi spesso non pagano per nulla i loro collaboratori, ma permettono visibilità, accesso ad un vasto pubblico, una buona dose di libertà di espressione, stilistica e di opinione, e quando questi elementi sono correttamente sfruttati, anche credibilità.

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Nell’era di Blogger, Live Journal e tutti gli altri formati online per i commentatori musicali non professionisti, le fanzine dovrebbero essere al loro ultimo respiro, una reliquia di un’altra era, antiquate come le macchine da scrivere elettroniche. Invece, stranamente, le fanzine mantengono il terreno, c’è gente che ancora le produce, e non si tratta di vecchi veterani duri a morire, fermi all’epoca d’oro delle fanzine, ma ragazzi


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giovani che non hanno mai conosciuto il mondo senza e-mail. E questo perché c’è gente disposta a leggerle, a comprarle, a collezionarle o a scambiarle. È difficile quantificare il fenomeno, ma pare che le fanzine vivano un vero e proprio risveglio, alla faccia della cultura digitale (o meglio grazie anche ad essa), proprio come un altro formato analogico: il vinile. Le fanzine nel Regno Unito si legarono nella maggior parte al movimento Punk (spendendo la maggior parte delle loro energie dibattendo su quale fosse lo spirito che il movimento avrebbe dovuto avere e scagliandosi contro coloro che seguivano altre correnti). Lo spirito di molti scrittori e editor delle fanzine era molto competitivo e spesso ostile, verso i vertici dell’indu-

stria musicale che non riconoscevano e pienamente convinti della giustezza delle proprie idee e del proprio gusto. Però ogni fanzinaro ambiva e credeva di meritare un posto più in vista e un pubblico maggiore. Oggi c’è una forte differenza, i blog offrono ad ogni opinionista petulante la possibilità di condividere le proprie perle di saggezza con il resto del mondo in modo veloce ed economico, dando l’impressione di avere un pubblico infinito, quindi l’idea di realizzare una fanzine è diventata una scelta consciamente opposta al mainstream, è più la ricerca di un piccolo e solido pubblico di spiriti affini. Così molti autori di fanzine spesso trasformano la propria rivistina in una freezine o la vendono ad un prezzo irrisorio, volto spesso a coprire a malapena i costi di stampa. Molti non si aspettano di portare la tiratura al di sopra delle 1000 copie, altri ancora optano per tirature ancora inferiori, spesso serie limitate con importanti inserti di artigianato, scrittura e disegni a mano, rilegatura artigianale, gadget, etc.. come a “benedire” personalmente ogni copia. Produrre una fanzine è oggi

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spesso finalizzato al fatto stesso di produrla, e di avere un rapporto diretto con l’acquirente. Questo può essere visto come una sorta di reazione all’immaterialità del web, il quale ha inoltre liberato le fanzine dagli elementi di urgenza di contro informazione, per la quale è molto più efficace e veloce, e ha permesso alle fanzine di divenire veri e propri oggetti d’arte. Parallelamente a questo approccio artigianale, che rende le fanzine dei piccoli tesori, si è sviluppato un culto per le fanzine del passato, che vengono rispolverate, ricercate e collezionate, alla stregua di vinili rari, attribuendo a queste pubblicazioni un aura da talismano, che connette idealmente l’acquirente con il movimento o l’ambiente che le generò.


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Ciò che è avvenuto è ciò che in ambito accademico viene definito come “sviluppo di un aura”. Fu Walter Benjamin a teorizzare che ogni singola opera d’arte, dipinto o scultura possegga un aura, che si perde nell’era della riproduzione meccanica. La cultura digitale ha completamente azzerato questo concetto rendendo tutto immateriale, eterno e riproducibile realmente all’infinito. Nell’era delle webzine e degli MP3, sono gli artefatti culturali solidi, come vinili, mixtape, riviste ingiallite, ad aver recuperato la loro attrattiva in quanto oggetti. Le fanzine vintage sono uno degli articoli più ricercati a causa della loro fragilità e delle limitate tirature. Le fanzine di oggi si confrontano spesso con il concetto di aura, anche perché sono spesso l’espressione di singoli autori o di piccoli gruppi che esprimono se stessi, i loro entusiasmi e le loro frustrazioni. Inoltre le fanzine tendono spesso a ricercare materiali esclusivi, disegni, scritti, fumetti, foto, che non sono nè ufficializzati nè sparsi ai 4 venti dal web, trovando in ciò la loro ragione di esistere e la loro forza di contro cultura.

Nell’ambito dell’editoria indipendente e autoprodotta i materiali vengono progettati e concepiti in modo da non essere in alcun modo simili ai libri mainstream di modo che risultassero subito riconducibili alla “small press”. Questo è stato dato sopratutto dalla natura controversa o politica e spesso fraintesa delle pubblicazioni. Scegliere un prodotto “small press” nel 1976 era una decisione specifica poiché il contenuto sarebbe stato significativamente diverso da quello di un libro Random House (o di un’altra grossa casa editrice). La distinzione tra piccolo e grande editore è andata confondendosi la definizione di “small press” è oggi molto più pragmatica. La definizione di “small press” è oggi meglio descritta con l’etichetta più moderna di “editoria indipendente”. Un editore indipendente è una compagnia che non appartiene ad un’altra compagnia o corporation. Virtualmente tutte

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quelle che consideriamo grandi editori, e molti degli editori “medi”, sono di proprietà di mega-corporation, come AOL Time Warner, Viacom, Fininvest, e via dicendo. Spesso queste corporation sono così diversificate che non è possibile stabilire quale sia la loro principale occupazione. Spesso hanno interessi nella comunicazione, intrattenimento, trasporti, banche, sport, e alla fine della catena alimentare c’è l’editoria, quasi come vezzo. Quando l’editore non è proprietà diretta della corporation è di proprietà di una società che è a sua volta controllata dalla corporation. Il blogger conosciuto come “Lauthing Bear”, esperto appassionato di microeditoria descrive in modo pittoresco la questione dell’editoria pura e spuria: “Il modo in cui l’editoria funziona nel 21° secolo è a grandi linee questo: se l’editore A ha una scelta di titoli di successo e un buon numero di scrittori stabili (einaudi ad esempio)


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In quest’ottica si comprende meglio l’interesse odierno per questi oggetti e le spinte collezionistiche.

o un sistema di distribuzione molto efficiente (messaggerie musicali) l’editore B, invece di tentare di competere, acquista A (mondadori con einaudi, feltrinelli con messaggerie, etc..). Può capitare che a questo punto B, che è cresciuto e ha acquisito potere nel mercato si unisca anche con C a formare D. Non è raro che la corporation E, a questo punto, che produce succhi di frutta, equipaggiamenti militari, farmaci, mutante e sigarette, e che possiede magari un network di televisioni, una compagnia aerea e una catena di fast food in Argentina, assorba D. Così, mentre A continua ad apparire con un editore indipendente, e succede spesso che di fatto lo sia, per quanto riguarda linea editoriale o scelte artistiche, in realtà non sia che una piccola parte dell’impero di E. Le piccole realtà editoriali odierne non sono certo meno avventurose o creative di ciò che erano prima dell’avvento del personal computer e del

desktop publishing. Infatti nel competere con i “ragazzi grandi” dell’editoria (L.B) nel clima attuale dov’è molto difficile avere la giusta attenzione per il proprio libro, o ottenere un contratto decente con un distibutore, i piccoli editori devono diventare più creativi e scaltri, rischiando molto più di prima. Ma l’attenzione e il motivo del successo, o dell’insuccesso, è spesso spostata dall’aspetto artistico alla capacità negli affari. Inoltre il mercato editoriale si è molto amlpiato e diversificato, sorge quindi il problema di definire cosa sia da considerare un editore. Ad esempio, è da includere nel numero dei piccoli editori gli editori “on demand”? Può un e-book essere annoverato tra i libri, in questo contesto, a se si, lo è anche un documento elettronico messo in circolazione sul web?

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È all’interno del non-movimento delle fanzine che si trovano le sperimentazioni più interessanti nell’ambito della distribuzione, ad esempio. Il movimento fanzine moderno potrebbe essere ribattezzato ironicamente movimento Paypal, poiché il sistema di pagamento elletronico senza spese permette di gestire in modo molto semplice lo scambio di denaro e l’ordine dei singoli prodotti. Questi negozi virtuali sono una sorta di Amazon “dal basso” che non comporta nessun tipo di spese di mantenimento per chi li gestisce nè per chi acquista, se non piccole spese di trasferimento del denaro e spese di spedizione. • SAMU www.samu.co.uk è un sito creato da David Z Greene, per creare uno spazio virtuale all’interno del quale è possibile trovare una selezione di Zine, fumetti, T-shirt, stampe serigrafiche, etc.. provenienti prevalentemente dalla Gran Bretagna, che spedisce i pro-


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dotti in tutta Europa. I prodotti sono accuratamente selezionati e accompagnati da una scheda tecnica, una recensione e link di riferimento. Il servizio è molto rapido e, all’interno dei pacchettini rigidi di cartone color Havana, è facile trovare piccoli regali, fanzine fotocopiate extra o spille. • PAPERdinosaur (paperdinosaur.wordpress.com) è un servizio analogo Di base ad Hackney, quartiere industriale di Londra. Il servizio è più rudimentale, ma che punta su una selezione molto accurata incentrata sul servizio di selezione, ricerca e catalogazione del materiale proposto. •MICROCOSM (microcosmpublishing.com) publishing nasce come casa editrice indipendente nel 1996, a Portland, ed è cresciuta negli anni implementando una fitta rete di raccolta e distribuzione specializzata in Zine e produzioni indipendenti, si occupa anche di editoria, prodotti artigianali dei più vari (toppe, cd, magliette). • MOTTO (www.mottodistribution.com) Con lo scopo di

creare un network e un sistema di distribuzione alternativo per zine e riviste indipendenti nel 2007 nasce a Zurigo Motto Distribution. Il servizio nasce come nodo di raccordo tra domanda-offerta nel mercato dell’editoria indipendente, creando dei “temporary bookstore” itineranti, passando per Amsterdam, Mosca, Vancouver, Atene e altre città nel mondo, dino a fermarsi a Berlino, nel quartiere di Kreuzberg, dove diventa una delle più attive ed importanti librerie specializzate in magazine d’Europa. Ha anche uno shop on-line altrettanto

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fornito ed efficiente. • Kaleidoscope (www.thekaleidoscope.eu) Con uno spirito simile nasce a Milano, nell’ex spazio Lima Kaleidoscope. è un magazine free-press dedicato all’arte contemporanea, che dedica due piani della propria redazione ad una piccola ma accuratissima selezione di editoria indipendente e magazine. Il formato fanzine rimane lo spazio privilegiato per la sperimentazione artistica e culturale, molti autori si dedicano alla produzione, praticamente no-


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profit, di fanzine. • LITTLE BROWN MUSHROOM (littlebrownmushroom.wordpress.com) è un collettivo di artisti e “intellettuali” di vario genere (tra cui Alec Soth). Il sito fa da piccolo aggregatorie di contenuti di terze parti, tipicamente mostee o pubblicazioni, e ha un piccolo shop di materiale prodotto dal collettivo. • HUH È un freepress Londinese che si occupa di arte, design e lifestyle, e ha un piccolo ma fornitissimo shop che propone zine di vario genere di argomento prevalentemente fotografico o di illustrazione, poster e stampe fotografiche Sono molte le web-zine che si propongono come bussola nell’affollatissimo ed eterogeno mondo dell’editoria indipendente, il loro servizio diventa spesso indispensabile per reperire, acquistare e scegliere i prodotti. Questo è sicuramente un caso che ribalta l’adagio per cui internet nuoce alla carta, ne diventa anzi il principale alleato. Oltre a questo sistema di micro pagamento diretto, molti collettivi o singoli produttori di

fanzine si sono sbizzarriti nella creazione di sistemi di distribuzione originale.

inviate ad una selezione casuale di aspiranti lettori, che cambiano di volta in volta.

• APPLEJACK è una fanzine musicale nata da una ragazza francese trapiantata a Newcastle-upon-Tyne, UK, che produce la propria rivista artigianalmente in poche copie numerate, cucite a mano e corredate di cd-r con una selezione del materiale proposto. Il sistema di scambio architettato dalla giovanissima “editrice” si basa sul baratto, in pratica richiede a chi vuole una copia del suo prodotto di spedirle “qualcosa” in cambio, affidandosi alla fantasia, alla generosità, alla disponibilità dei lettori, ricevendo spille, cd, biscotti con tanto di ricette, accessori, altre fanzine e così via.

• STACK È un servizio che permette di sottoscrivere un abbonamento ad un servizio che recapiterà a casa degli abbonati un numero di riviste concordato (da 6 a 12) scelte dalla redazione del sito tra un’enorme numero di testate internazionali, a prezzo fisso che è spesso di molto inferiore all’acquisto delle singole edizioni. Il sito è accompagnato da un blog che fornisce aggiornamenti, news e interviste sul mondo dell’editoria periodica indipendente.

• BAT La francese Bat-Edition, oltre ad avere un logo splendido, produce un foglio di informazione artistica di nome FAN (Free Art News) che presenta brevi saggi di attualità sul mondo dell’arte e che viene distribuita gratuitamente. FAN viene stampata in 100 copie e l’unico modo per ottenerla è iscriversi alla new-sletter e sperare di riceverne una copia che vengono

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la carta stampata non morirĂ

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EGGERS

2009. L’annuncio prosegue così:

Nel maggio del 2009 compare sul blognetwork newyorkese Gawker un annuncio “Presto pubblicheremo sul sito di McSweeney’s un’anticipazione del prossimo progetto, che uscirà destinato a far discutere. sotto forma di quotidiano. Vogliamo dimostrare che, con le dovute correzioni, il giornale di carta può “Do you fear that Print Is Dead? Allow America’s ancora funzionare e avere successo. most venerable human, Dave Eggers, to assure Siamo convinti che per garantire un futuro ai you—via email—that it is not.” giornali bisogna mettere a punto un modello che stia in piedi, e i giornalisti devono essere pagati “Pensi che la stampa sia morta? Permetti all’essere bene. umano più venerabile d’America, Dave Eggers, di Per prima cosa, quindi, deve essere un giornale a assicurarti - via mail - che non è così”. pagamento. Per convincere la gente a comprarlo, (http://gawker.com/5264393/dave-eggers-makes- però, deve essere un oggetto che esalti la bellezza della carta stampata, lasciando spazio al giornafutile-gesture) lismo d’inchiesta, alla fotografia, alla grafica e ai fumetti. Chi ha risposto all’annuncio inviando a Eggers una e-mail ha ricevuto una risposta Dobbiamo mettere nelle mani dei lettori qualcosa che non troveranno mai su internet: solo così che inizia così: saranno disposti a spendere un dollaro a copia. E quel dollaro, insieme ai ricavi di un po’ di pubblici“ Caro lettore bisognoso di conforto, grazie per aver tà, terrà l’impresa a galla.” voluto condividere con me le tue preoccupazioni sul (http://gawker.com/5277281/dave-eggers-reassuresfuturo della carta stampata. Non starò a elencare us-that-print-lives-via-email tradotto da “internatutti i motivi per cui vale la pena battersi per la zionale” il 19 giugno 2009) sopravvivenza di libri e giornali di carta. Ma vorrei dire alcune cose. [...] Vorrei rassicurare le Questa missiva/manifesto riassume in persone come te che amano la carta stampata: per ogni notizia scoraggiante ce n’è sempre una buona.” poche battute pagine e pagine web di discus-

sioni sul futuro della carta stampata, con un taglio molto particolare.

L’annuncio è una trovata di Eggers per il lancio del numero 33 della sua rivista letteraria “McSweenyès”, uscita poi nel dicembre Per comprendere la natura d questo an-

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sto già dando da fare per mettere in insieme qualcosa che affronti tutto questo, che ispiri ad alte mete milioni di persone, e che con alcuni amici del liceo, Moodie e altri due, Flagg e Marny, stiamo mettendo in piedi qualcosa che farà piazza pulita di tutti gli equivoci che ci circondano, [...], (le spiego) come spingeremo milioni di individui a vivere esistenze d’eccezione e (alzandomi in piedi per una maggiore enfasi) a fare cose eccezionali [...]. - E come farete tutto ciò -vuole sapere. - Con un partito politico? Una manifestazione? Una rivoluzione? Un colpo di stato?- Con una rivista”.

La biografia semi veritiera di Eggers ha subito un enorme successo, raccontando dell’uomo che sta dietro a quello che è uno dei casi editoriali più importanti degli ultimi anni ‘90, ovvero “Timothy McSweeney’s Quarterly Concern”, rivista letteraria a suo modo rivoluzionaria, che anticipa di quasi un decennio temi che sono diventati di scottante attualità negli ultimi mesi. McSweeney’s (nome con cui è meglio conosciuta la rivista) è una pubblicazione che si propone di individuare e pubblicare i migliori talenti letterari contemporanei. Ha una caratteristica che colpisce subito l’attenzione di addetti ai lavori e non: ogni numero ha una forma diversa. Si presenta una volta sottoforma di elegante libro rilegato e arricchito da raffinatissime “ [...] Le dico quanto è buffo che si parli di tali faccende, illustrazioni di stile retò, un’altra volta come dal momento che proprio in questo momento io mi necessaire da viaggio (con tanto di pettine, nuncio è necessario conoscere Dave Eggers. È un personaggio decisamente controverso, capace di suscitare tanta simpatia e ammirazione, quanta indifferenza e irritazione. La sua carriera “ufficiale” inizia nel 2000 quando pubblica la propria autobiografia dal provocatorio titolo: “L’opera struggente di un formidabile genio”. Un Eggers trentenne racconta del proprio passaggio dall’adolescenza all’età adulta, del rapporto con il fratello Toph e della morte dei propri genitori. In questo racconto formativo dai toni ironicamente epici, una svolta importante dell’esperienza di Eggers è rappresentata dalla creazione della rivista “Might”.

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forbicina per le unghie e scatola in cartone rigido), un’altra volta come pacco di posta indesiderata (una confezione di cellophane racchiude una pila di fogli eterogenei e opuscoli dalla grafica stridente su cui sono pubblicati i racconti), e così via. Il primo numero propone una copertina diventata simbolo di un modo di fare grafica che fa da spartiaque tra la cosiddetta grafica postmoderna e la nuova grafica Sulle pagine della rivista pubblicano i migliori talenti degli “anni 0” della narrativa e del fumetto (che spesso sono alla loro prima pubblicazione) come Zadie Smith, David Foster Wallace, Ivan Brunetti e Daniel Clowes. Alcuni numeri sono curati da guest Editor d’eccesione come Chris Ware e Michael Chabon. E presto la piccola testata si pone come promotrice insieme futurista e ultra-conservatore (editorialmente parlando) producendo pagine e pagine di saggi sulla lettereatura breve, sull’editoria e sul concetto stesso di rivista.

Eggers prosegue la sua carriera come scrittore pubblicando numerosi romanzi e saggi, riadatta la favola “nel paese delle creature selvagge” per la sceneggiatura del film di Spike Jonze, carriera che si affianca all’insegnamento nella scuola per giovanissimi aspiranti scrittori “Valencia 826”, situata nel retrobottega di un surreale negozio di articoli per pirati. Intanto prosegue la sua carriera di “creatore di riviste” fondando The Believer e Wholphin. Entrambe le riviste vengono accolte con entusiasmo da lettori e critica, affermandosi entrambe come punti di riferimento, sia nel bene che nel male. The Believer propone un giornalismo colto e divertente, di stampo tipicamente americano, fatto di interviste, reportage e recensioni. Wholphin è invece una video-rivista visiva sperimentale su dvd.

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L’interesse di Eggers per l’editoria ha motivazioni teoriche precise, alla propria attività editoriale attiva, affianca da sempre una attività di saggista e conferenziere iperprolifica, come testimonia l’annuncio sopra riportato.

RIVISTA OGGETTO Uno degli aspetti più interessanti di McSweeney’s è l’attenzione che la casa editrice pone sulla dimensione fisica dell’oggetto rivista. I lettori di riviste, e i lettori in generale, danno molta importanza all’oggetto che tengono in mano. Le pressochè infinite combinazioni di formati e carte producono oggetti unici che generano esperienze sensoriali uniche. Ogni rivista ha il proprio peso specifico, dà una sensazione tattile diversa, ha un odore preciso e produce così un’esperienza a sè. La carta patinata e leggera di un rotocalco scandalistico ricorda l’esperienza rilassante della spiaggia d’estate. Un lussuoso numero di FOAM regala sorprese ad ogni pagina, variando spessori e trattamenti dei supporti.

PANORAMA L’uscita di Panorama è seguita da numerose interviste rilasciate da Dave Eggers. In quella concessa a Tim Mosenfelder per A.V. Club, afferma: “È facile fare di tutta l’erba un fascio e affermare:– Oh, la stampa sta morendo”, e ignorare i 104 milioni

di soli statunitensi che leggono un quotidiano ogni giorno. È facile fare queste generalizzazioni senza basi concrete. [...] La stampa è in un periodo di assestamento, questo è certo, ma è tutt’altro che morta.”

Mentre il giornalismo si affanna per ridefinire se stesso sul web, Eggers continua a sostenere che “la stampa è un media più calmo, e forse più civilizzato”. E cerca di dimostrarlo con Panorama. Eggers ritiene il proprio Panorama un successo, basandosi sull’assunto che un lettore che compa una pubblicazione stia implicitamente dichiarando “apprezzo quel che fate, ecco il mio dollaro” (fonte citata). La questione della correlazione tra accesso ad un contenuto e il pagamento è una delle più dibattute, nell’era della comunicazione digitale. I due direttori storici di Wired, Kevin Kelly e Chris Anderson, hanno a lungo affrontato la questione. Anderson formalizza la propria teoria in un famoso articolo di Anderson apparso su Wired nell’ottobre 2004, in cui il giornalista propone quella che prenderà il nome di “Teoria della coda Lunga”. La teoria destive alcuni modelli economici e

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commerciali. “L’espressione è stata coniata dal direttore di Wired, Chris Anderson, in un articolo pubblicato nel 2004 e diventato poi un libro, La coda lunga (Codice 2007). Anderson spiega la strategia economica di alcune società, come Netflix o Amazon, che hanno successo grazie ai mercati di nicchia: vendere anche solo poche copie al mese di migliaia di titoli, spesso introvabili, è più redditizio che vendere migliaia di copie di pochi titoli. Il gruppo di persone che compra questi prodotti di nicchia rappresenta la coda lunga.” (internazionale)

Riprendendo questo concetto Kevin Kelly attualizza la teoria al mondo dell’arte.

e fa abbassare i prezzi. A meno che gli artisti non diventino a loro volta aggregatori del lavoro dei loro colleghi, non hanno molte alternative alla palude tranquilla delle microvendite. Cosa possono fare quindi, oltre a sperare di avere successo? Una soluzione è trovare mille ammiratori sfegatati. Un fan al giorno per tre anni Immaginiamo che ognuno dei vostri fan spenda ogni anno cento dollari per comprare le vostre creazioni (è una media, perché gli ammiratori più affezionati spendono molto di più). Moltiplicato per mille fa centomila dollari all’anno che, al netto delle spese, è un reddito niente male. Mille non è un numero irraggiungibile: aggiungendo un fan al giorno ci vogliono tre anni. Inoltre lavorare per chi vi ammira sul serio dà una grande soddisfazione e vi permette di concentrarvi sulle vostre qualità migliori. La cosa importante, però, è fare in modo che queste persone possano sostenervi direttamente: potrebbero venire a sentirvi suonare a casa vostra, ordinare le vostre stampe su Pictopia o comprare un dvd direttamente dal vostro sito. L’ideale sarebbe riuscire a trattenere l’intero importo del loro contributo: oggi è possibile grazie alla tecnologia.”

La teoria della “microcelebrità” è applica“La teoria della coda lunga funziona perfettamente bile solo in parte alle riviste. Poiché, come per due gruppi: pochi fortunati aggregatori come derivazione della teoria della coda lunga, Amazon e Netflix, e sei miliardi di consumatori. presuppone che con il passare del tempo i costi di produzione diventino così piccoli da [...] Per gli artisti, invece, la coda lunga è una fortuna diventare trascurabili, cosa non vera per un solo a metà: non solo non fa aumentare molto le media che si basa su carta e inchiostro. vendite, ma aggiunge una concorrenza spietata

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Può però essere adattata concettualmente. Una rivista che aspira ad un grande pubblico ha l’esigenza di trattare numerosi argomenti e di mantenere la forbice del proprio target molto ampia. Ha quindi bisogno di enormi risorse economiche, alte tirature per garantirsi un’alta distribuzione (il che comporta un alto numero di resi) e così via. L’alba della comunicazione di massa (stampa e radio agli inizi del secolo scorso, e in seguito la TV) ha visto un’opportunità senza precedenti e l’ha sfruttata scientificamente: il costo marginale di raggiungere l’enne + 1-esimo utente/ spettatore una volta raggiunto l’ennesimo è praticamente zero. Cosa vuol dire? Che fare un programma televisivo ha lo stesso costo di produzione sia che lo vedano 1.000 persone, sia che lo vedano in 100.000. Chiaramente i ricavi nel secondo caso saranno 100 volte maggiori. Come faccio quindi a massimizzare il guadagno? Faccio un programma che la maggior parte degli spettatori voglia vedere, andando a colpire il minimo comune multiplo, la più ampia intersezione dei gusti personali. Di riflesso questo porta alla nascita della cultura di massa. La scelta limitata nello spazio (numero di canali televisivi) e nel tempo (la giornata di 24 ore) ha schiacciato il valore della diversificazione. Questo fenomeno è conosciuto come il fenomeno degli hits, dei blockbuster, dei best seller. (Marco Catani on http://www.10people.net/ blog/index.php/

2007/11/15/the-long-tail-chris-andersen-amilano/). Alcune riviste hanno però escogitato strategie alternative.

VICE La canadese Vice, ad esempio, ha fatto della propria natura “di nicchia” il proprio punto di forza. Il magazine tratta una serie limitata di argomenti per un pubblico selezionatissimo con uno stile preciso e connotato. Il punto di forza della rivista è stato, ai suoi esordi, quello di distribuire il magazine gratuitamente in alcuni punti selezionati, come caffetterie, negozi di vestiti, librerie,

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locali, etc.. frequentati da una specifica tipologia di persone, attirando così inserzionisti interessati ad arrivare in modo diretto a quel preciso target. L’alta qualità dei contenuti, lo stile accattivante e il costo zero hanno fatto si che il giornale diventasse dalla seconda metà degli anni novanta un cult per il sottobosco artistico e culturale canadese, prima, statunitense poi. Con il cambio di secolo il network di Vice si è esteso a tutto il mondo con un alto numero di edizioni estere, una web tv, una radio on-line e un’etichetta discografica.

Zero si occupa di “mandare la gente a divertirsi”, segnalando gli eventi più interessanti in alcune delle principali città italiane, dividendoli in categorie e approfondendo quelli ritenuti più meritevoli. Il target è composto da giovani e giovani adulti urbani che ricercano un’orientamento nella sterminata proposta di eventi nelle città. Il successo di Zero è dovuto alla sfacciata strategia commerciale, grazie alla quale riesce a garantire una puntuale (quasi!) e capillare distribuzione del giornale nei luoghi di interesse per il proprio taget. Il magazine è distribuito gratuitamente dal 96, le spese vengono coperte dagli inserzionisti. Altro aspetto che ha garantito il successo di Zero è il rapporto diretto e costante con il proprio pubblico,che diventa spesso produttore di contenuto oltre che lettore. La politica commerciale del giornale permette a coloro che producono i contenuti di rimanere assolutamente liberi da vincoli di tipo commerciale, di vendite e quant’altro, facendo si che il giornale abbia una propria voce precisa e decisa, così da generare reazioni forti, di apprezzamento o meno. Questo che garantise al giornale un target solido e in costante espansione. Il rapporto di fiducia tra ZERO il lettore e il giornale funziona da garanzia della bontà degli investimenti pubblicitari, e Più o meno contemporanea alla nascita di l’evidenza delle inserzioni permette al lettore Vice è la nascita di un caso analogo in Italia, di fare “i conti in tasca” al giornale, così da il magazine milanese Zero. fugare ogni dubbio sull’integrità editoriale

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della redazione.

“rispettosa” dell’animale a fini alimentari, con un’allevamento etico e una macellazione razionale, tesa al rispetto minimo dell’animale e alla diminuzione degli sprechi. Questo movimento ha come fulcro quella California col mito del Chiantishire, dei tour delle cantine, del Cabernet. Le due fondatrici, ex vegetariane ri-convertite, affrontano tutto questo con il tono leggero e divertito di chi si trova a proprio agio a disossare un coniglio, mettendo insieme una rivistina agile e colorata che non ha alcuna aspirazione enciclopedica. Il successo della rivista risiede proprio nella scelta di concentrarsi su un’argomento molto specifico, rinunciando a qualunque ambizione generalista. Le vendite sono basse, ma la distribuzione intelligente e lo MEATPAPER store sul web permettono una diffusione sufficente a garantire introiti per permettere Meatpaper è una rivista indipendente ca- al magazine di uscire 4 volte l’anno senza liforniana che si propone come una rivista inserzioni pubblicitarie. sulla cultura della carne, in tutte le sue forme, privilegiando l’aspetto alimentare, spaziando dalla macellazione, all’aspetto economico dell’allevamento, a quello sociale della convivialità, alla tassidermia. Si rifà ad un neo-carnivorismo di stampo americano, che affonda le sue radici nei movimenti dei diritti degli animali, e si ibrida con i movimenti di tutela e riscoperta dei cibi di matrice europea (à la Slow Food, per fare un esempio), che propone una visione

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bibliografia

Eggers D., L’opera struggente di un formidabile genio, Mondadori, Milano 2000.

testi

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ringraziamenti: Ai miei genitori e a Fabio. A Silvia, per aver sopportato tutto questo. Stefano C per la corsa matta. A Lumpa, Alice, Andrea Pagano (i wish i was), Arianna, Zagor e Ruben Camillas (in contumacia). Ai miei colleghi, Andrea, Stefano, CC e i miei fardelli, al disagyo. A Silvio Mancini, perchÊ si. Allascimmia per quello che è stato. Ad Allah per avermi fatto cosÏ bello.

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