CARVR We Are Disagyo
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Carvr è una progetto di Fabrizio Festa. Con il contributo di Irene Lumpa Rossi e Alice Cannava. Tutte le foto sono di Irene Lumpa Rossi, tranne pag 4 di Ilaria Cannava I testi sono di Irene Lumpa Rossi e Alice Cannava
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CARVR We Are Disagyo
◊ Irene Lumpa Rossi Web editor di Zero.eu e coeditrice di Occulto, insieme ad Alice Cannava e blogger segreta. Ha fatto un po’ di Dams ad imperia, poi voleva fare la giovane fotografa, poi ha fatto motli lavori, e infine è approdata nel seminterrato più dinamico di Milano (!). L’ultimo progetto in cui si è lanciata è We Are Disagyo, con Onga Boring Machine, Alice, Fabrizio Festa, Federica Nuzzo e Barnaba Ponchielli, in cui organizzano house party molto intimi nell’ex abitazione di Lumpa, e cura un blog dal titolo “Posso smettere quando voglio”, all’indirizzo lumpa23.tumblr. com.
∆ Alice Cannava “Non aver tentato una vera e propria carriera in nessuno dei campi di cui mi sono occupata mi si addice ma non è stata una scelta sempre consapevole: c’è stata una buona parte di indecisione, dispersione, insicurezza e pigrizia. Se il risultato è che mi trovo in un ex-orfanatrofio a pensare la prossima mostra della AC e il prossimo numero di Occulto, e non, per esempio, in uno studio pubblicitario del centro di Milano a disegnare banner per gli epilatori elettrici, ebbene, allora ringrazio l’insicurezza giovanile, e mi faccio una ragione dell’assenza di bonifici ingenti in arrivo sul mio conto”.
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◊ Alice perchè hai scelto berlino - che a tutti sembra quanto di più scontato per aprire un tuo spazio?
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∆ Ci sono due luoghi comuni su Berlino che vengono ripetuti ogni volta che si parla della città: costa poco e vi accadono molte cose. Lo ammetto, sono entrambi veri. Sono arrivata qui dopo parecchi anni a Milano con due pause viennesi. Non mi era mai capitato un periodo così intensivo di scambi con altre persone che fanno cose, occasioni di discutere il mio lavoro e quello altrui, visite nel mio spazio da cui a volte nascono collaborazioni, possibilità di vedere ogni giorno nuove mostre ed eventi che vanno dal vernissage super lussuoso di tre enormi personali di grandi nomi in una galleria in centro, fino alla collettiva tirata in piedi con 100 euro in una cantina di Neukölln. Mi sono trasferita a Berlino nel seguente modo: un mio amico aveva affittato lo studio dove ora si trova la AC Galerie e stava per lasciarlo e tornare in Italia. La vicina di studio era ed è un’artista italiana, Elenia Depedro, che mi ha proposto di affittarlo. Sono arrivata qui a vederlo il giorno del mio compleanno, il 31 gennaio 2009. Faceva freddissimo e un vento molto forte mi buttava in faccia della pioggia ghiacciata che non oserei definire neve. I dintorni e anche lo spazio dentro sembravano a prima vista desolati e lontani da tutto, e assomigliavano al set di Lasciami Entrare che avevo appena visto al cinema. La mia risposta è stata sì, lo prendo. A quel tempo avevo un lavoro in una bella galleria, una casa e una vita a Milano, e non sapevo bene quando e come sarei venuta qui, o cosa avrei fatto precisamente. Ho pagato l’affitto a vuoto per alcuni mesi e riflettutto sul da farsi. Ho deciso che il bizzarro studio avrebbe anche fatto mostre ed eventi pubblici. Era un momento abbastanza folle per iniziare una cosa simile sia per la situazione economica sia per la mia situazione personale. Una delle poche persone che ha appoggiato subito quest’idea sei stata tu, e pochi mesi dopo mi hai detto:
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◊ Racconta cos’era l’AC Galerie prima che arrivassi tu. Che tipo di quartiere è quello che hai scelto?
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perchè non facciamo una nostra rivista, in parte legata alla programmazione dello spazio? Occulto e AC Galerie erano nate. ∆ Il palazzo si trova in Talstrasse 3, al confine tra Pankow, Weissensee e Prenzlauerberg, nel cuore di Berlino Est. È un isolato molto tranquillo, pieno di verde, abitato da famiglie. Gli affitti sono ancora molto economici e fanno sembrare quelli di Kreuzberg una follia. Allo stesso tempo è una zona ricca di storia e, secondo me, bellissima. Esattamente sulla punta di Weissensee (Weissensee Spitze) si trova la Brotfabrik, un cinema-teatro-spazio-locale storico che conserva un archivio di cinema d’avanguardia della Germania Est (di cui sentirete parlare di nuovo presto). Lì vicino si trovavano gli studi cinematografici dove Marlene Dietrich ha debuttato nel cinema e dove è stato girato Il gabinetto del dottor Caligari. Un po’ più a nord-est c’è un piccolo lago (chiamato appunto Weisser See) che amo molto. Una casa da quelle parti è nei miei piani futuri e le esclamazioni soffocate di sgomento e perplessità che questa mia intenzione scatena nelle persone mi divertono sempre. Qualcuno mi ha addirittura detto: “Perchè vuoi andare lì? È inutile!”. Questo mi interessa molto: inutile rispetto a cosa? Lavorare qui vuol dire per me anche non vivere (solo) nel “limbo” della comunità internazionale di artisti, creativi e affini, in cui si parla solo inglese e si conoscono solo determinate parti della città. Naturalmente vado a molte mostre e concerti e mi interessa quello che accade nella scena artistica berlinese, però non mi basta. Credo che i due periodi a Vienna mi abbiano insegnato qualcosa da questo punto di vista: lì la scena è bella ma meno internazionale e più piccola, gli amici e gli artisti con cui ho avuto a che fare erano soprattutto austriaci e mi hanno spiegato molte cose
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◊ Io penso che l’errore di molti spazi piccoli e più o meno indipendenti sia quello di comportarsi in tutto e per tutto come le gallerie private, o che anzi, spesso la scelta dell’essere piccoli/indipendenti serva come modo per legittimarsi e diventare vere e proprie gallerie, piuttosto che come modo per presentare un approccio diverso e di rottura rispetto alla pratica curatoriale. Insomma, penso che gli spazi indipendenti - che conosco - non siano affatto diversi da quelli che invece, da privati, si comportano come piccole aziende. Cosa mi dici di questo? Qual è l’atteggiamento dell’AC Galerie?
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sulla cittá e sul paese spaziando tra storia ufficiale, band locali e cinema underground austriaco, mentalità e abitudini delle persone, e molto altro ancora. Penso che trasferirsi all’estero senza fare questo tipo di ricerche e senza provare a parlare la lingua del posto sia un’occasione sprecata. Secondo i racconti dei vicini di studio il palazzo dell’AC era una sorta di orfanatrofio-comunità. L’architettura, le rifiniture e i colori sono quelli tipici degli edifici a uso pubblico della DDR. Il palazzo dell’AC è un blocco di cemento parzialmente abbandonato a se stesso, e, come dicevo prima, col tempo metereologico giusto può risultare un po’ spettrale sia fuori che dentro. Da qui sono nate alcune leggende di bambine fantasma che infesterebbero il luogo facendo accadere fenomeni di Poltergeist. Di fatto la AC è stata imbiancata a nuovo con rifiniture in smalto grigio chiaro e di giorno prende una luce favolosa dalle due grandi finestre. Con le bambine ormai ho un ottimo rapporto di amicizia, tengono compagnia, non sporcano e mi hanno anche suggerito un paio di idee per la futura programmazione. ∆ Lavorare senza soldi è brutto e faticoso. Vendere e guadagnare non fa schifo a nessuno. Detto questo. Qualcosa nelle gallerie tradizionali e in un certo tipo di carriera “canonica” nel mondo dell’arte (che sia quella di un’artista, di un curatore, di un gallerista o di un critico) ha dimostrato di non funzionare più del tutto, o perlomeno di essere a volte un po’ noioso e non sempre lungimirante. Uno spazio piccolo e atipico non dovrebbe essere solo una soluzione temporanea in attesa dell’arrivo del denaro. La differenza a volte sta soprattutto nell’offrire molto meno agli artisti: non ti produciamo i lavori e non abbiamo un grosso giro di collezionisti internazionali, ma tu hai una
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â—Š Come pensi che dovrebbe finanziarsi uno spazio indipendente (no profit)?
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mostra da mettere nel CV e agli opening viene un casino di gente. E se per caso vendi magari pretendiamo pure che ci lasci giù qualcosa! Ecco, la AC ha pochi soldi ma non vuole essere questo. Principalmente voglio curare un lavoro di ricerca e mettere in piedi tante collaborazioni con artisti ma anche studiosi, scrittori, musicisti. L’evento pubblico o la realizzazione di una piccola pubblicazione arrivano quando c’è abbastanza materiale. Tutti gli accordi, inclusi quelli economici, vengono discussi coi diretti interessati, mai imposti. Il budget basso e l’estraneità ai giri ufficiali sono da sempre un’occasione di lavorare in modo anticonvenzionale e di fare scoperte interessanti. è anche l’occasione di avere un seguito inizialmente limitato ma composto da persone davvero interessante e coinvolte. Mi spaventano un po’ certi opening affollati per inerzia, dove nessuno parla della mostra. ∆ La parte finanziaria è al momento una nota un pochino dolente. Fondamentalmente non disdegno di mettere soldi di tasca mia, e tu Lumpa non disdegni di metterne di tasca tua, ma ovviamente sui tempi lunghi non può bastare. Una prima soluzione per me è cercare ingaggi per lavori extra da freelance, i cui guadagni vadano quasi tutti a finire nell’AC, ma dati i tempi duri non è una cosa su cui si possa contare troppo. Senza contare che una giornata dura 24 ore e io ho solo un cervello e due mani. I budget degli eventi AC sono molto bassi e punto su finanziamenti piccoli di istituzioni scelte in modo mirato, e di privati interessati a supportare anche con cifre molto contenute .Come nei b-movies, non c’é spazio per sprechi e buchi nella AC, ogni euro viene usato e si vede. Penso che con una mezza
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â—Š Che tipo di rapporto hai con gli artisti con cui lavori? In che modo li scegli?
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tangente del cantiere più sfigato dell’Expo di Milano ci farei una stagione di sei mostre. Trovo cafoni gli eventi troppo dispendiosi, e spero di riuscire a creare un piccolo modello dal profilo basso, spartano e intelligente, che attiri l’attenzione e funzioni. ∆ Sono partita con in mente un piccolo gruppo composto soprattutto da persone che stimo da molto tempo e di cui conosco bene il lavoro, ma anche in parte da persone che conosco un po’ meno il cui lavoro mi ha colpito e con cui mi sono capita immediatamente, tra gli altri Alessio delli Castelli, Verena Dengler, Matteo Bertini, Armin Lorenz Gerold, Bea de Giacomo. La prima mostra, la personale di Alessio delli Castelli Books, Books Grew of Themselves ha iniziato a nascere un pomeriggio in cui lui mi ha mostrato il suo lavoro. L’ho trovato stupendo e da lì lui ha iniziato a raccontarmi di una serie di sue opere in corso di realizzazione connesse in vari modi coi libri, e altre ne sono nate dopo. Il piccolo gruppo iniziale ora sta crescendo grazie ai nuovi incontri avvenuti in questi mesi a Berlino. Faccio anche molta ricerca online. Sto preparando una collettiva che sarà anche un piccolo statement sui miei criteri nella scelta degli artisti: persone intelligenti che leggono molti libri e mostrano spirito critico e autonomia nel loro lavoro e nel loro stile di vita. Persone con competenze e conoscenze trasversali, parecchio aldilà del cliché dell’artista che esce dall’accademia affamato di gallerie e contatti, e si vergogna di dire che si deve guadagnare da vivere in altri modi. Ho con gli artisti un continuo scambio di mail, idee, immagini e affetto. Offro tutto quello che so e che sono in grado di fare: ho un po’ di esperienza come grafica, ho realizzato lavori come artista e preso parte a mostre. L’esperienza da assistente di galleria da Emi Fontana mi ha insegnato
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◊ Se hai aperto uno spazio tuo significa che nutri ancora delle speranze nei confronti dell’umanità. A parte l’attività che svolgi all’AC e quelle che svolgiamo insieme (Occulto, Sie leben...), quali cose conosci o hai visto nell’ultimo anno che ti hanno fatto pensare che non sprofonderemo tutti in un buco nero di entropia?
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parecchio. Per via di queste esperienze spero e credo di riuscire a discutere con gli artisti a vari livelli e senza distacco. ∆ Per fortuna ne ho viste e conosciute molte. Mi piace molto lo spazio di General Public e in particolare il lavoro come curatore e artista di Shintaro Miyazaki, che fa parte del loro gruppo, soprattutto la mostra ”ubiquitous oscillations² or about rhythmic structures of media” che ho visto lì questo inverno, e al sito collegato algorhythmics.com. Ho visto svariate cose interessanti a una mostra di studenti della sezione di Sound Art dell’UDK, realizzata durante l’ultima edizione di Transmediale, in particolare l’installazione di Christof Wenta, mi è piaciuta molto l’idea di luce verde aliena e diffusione di una playlist degli artisti partecipanti diffusa nei bagni. L’ultimo opening della DAAD, la personale di Agnieszka Brzezanska, è stata una bellissima scoperta, e attendo di avere la mia copia del suo catalogo monografico per conoscere meglio il suo lavoro. Appena arrivata a Berlino ho rivisto Michael Smith, che avevo conosciuto in occasione della sua ultima personale a Milano. C’è stato uno screening curato da lui di video di altri artisti nello spazio temporaneo (ora chiuso) di e-flux, e una sua piccola personale da Homie in Stargarder Strasse, dove ho visto un suo recente video in cui il suo alter ego Mike si iscrive a un corso a distanza del MIT. Ho anche conosciuto o rivisto persone che gestiscono (o lavorano per) spazi espositivi “atipici“ in altre città: penso soprattutto a Cripta 747 a Torino, a Lucie Fontaine a Milano e a P38 a Lucca. Qui a Berlino c’é una programmazione intensa di musica sperimentale in piccoli club come il Madame Claude e l’Ausland. Non disdegnerei di organizzare eventi musicali bizzarri dentro l’AC in futuro. Altre cose belle che mi vengono in mente: il Planetario Zeiss, la piscina dell’Europa Sport Park a Landsberger Allee, Spectrum (un museo che è una raccolta di esperimenti scientifici), il ristorante Frau Mittenmang, l’enorme negozio di Humana a Frankfurter Allee e le conferenze e pubblicazioni del Max Planck Institut für Wissenschaftsgeschichte. Mi fermo qui. 15
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