Colore Inquieto. Sulla mostra di Claudio Granaroli a Marbella - Nuova Meta 39

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39 colore inquieto Sulla mostra di Claudio Granaroli a Marbella

Claudio Cerritelli


colore inquieto Sulla mostra di Claudio Granaroli a Marbella

Claudio Granaroli. Foto Paolo Biava.

Concetto inquietante N°2, dittico, 2011/2016, acrilico su tela, cm 260x340.

Nel suo percorso in sintonia con la pittura Claudio Granaroli ha mostrato un’invidiabile coerenza nell’affrontare cicli di ricerca rispondenti al suo sentire, consonanze tra stati d’animo esistenziali e gesti creativi liberi di articolarsi nelle fluide trasmutazioni di un’immagine nell’altra, sequenza di forme che affiorano dai tracciati dell’immaginazione. L’evocazione del paesaggio è uno dei temi persistenti fin dagli anni Settanta, quando le movenze del colore stabilizzano le forme tumultuose inseguite nel decennio precedente, attraverso nette campiture che si stagliano inglobando le trame inquiete della scrittura cromatica. Il rapporto con le morfologie del paesaggio prosegue negli anni Ottanta alternando pensieri poetici e sonorità luminose in perpetua mutazione, con accenti figurali legati al divampare degli intrichi lineari. Analoga tensione caratterizza il percorso metamorfico del colore che Granaroli indaga ininterrottamente dagli anni Novanta fino ai giorni nostri, utilizzando molteplici tecniche di espansione cromatica. Olii, acrilici, tempere, acquarelli, inchiostri sono trattati per vaste campiture e reciproche contaminazioni, oscillando dalle carte alle tele con la medesima energia propulsiva, sintesi tra densità e leggerezza del colore, confluenza irripetibile di contrapposte emanazioni della luce. La vibrazione dell’immagine fissata nel divenire del suo evento caratterizza l’arte di Granaroli nel recente periodo di ricerca, il passato e il presente si sovrappongono e s’intrecciano esprimendo il primato assoluto della pittura, la sua insaziabile e perpetua invadenza sul campo della superficie.

Il senso liberatorio del colore è talmente connaturale alle fluttuazioni del desiderio pittorico da risultare sempre audace nell’aprire nuovi squarci del visibile, fluidi bagliori entro cui lo sguardo cerca varchi nel groviglio dei segni, soprattutto slanci e sconfinamenti verso le latitudini dell’altrove. Il riferimento al paesaggio non è mai da considerarsi come un vincolo figurale, rispecchiamento di un retorico naturalismo, esso è piuttosto un puro referente immaginativo, evocazione del grembo originario della forma, genesi dello spazio che attinge alle fonti primarie del segno e del colore per sperimentare le dinamiche fluenti del gesto in dialogo con l’impossibile. In questo viaggio verso luoghi immaginari le forme nascono e svaniscono per sorgere di nuovo e continuamente svaporare, Granaroli riconquista ogni volta il dominio sul campo del colore, sta dentro le trame del segno fino a identificarsi con la materia in transito sulla soglia del visibile. Ogni opera scaturisce da nessi generativi che sviluppano andamenti esplorati nel passato per agganciarsi alle attuali movenze del colore, senza altro scopo che di manifestarsi nella flagranza del loro istantaneo rivelarsi. L’espressività delle immagini è conseguente al corpo permutante del colore che scorre rovesciando gli equilibri da un punto all’altro dello spazio, dal basso verso l’alto, dai perimetri laterali verso il centro, attraverso sospensioni gravitazionali e magnetismi imprevedibili. I dipinti scelti per quest’occasione espositiva restituiscono in modo esemplare la sintesi tra la fisicità tattile del colore e il sogno dello sconfinamento, la coincidenza tra pensiero e immaginazione, libera intuizione di forme vissute come pura fisiologia creativa. Inquietanti, espansive, esplodenti sono le colate di colore che il gesto sospinge oltre i punti in cui si depositano, sempre al di là dei procedimenti esecutivi che altrimenti rischierebbero di imitare i loro stessi automatismi. In realtà Granaroli, pur coltivando le frenesie del gesto e le eccedenze del dripping, non si stabilizza su questi caratteri formali ma si avventura in territori dove la scioltezza cromatica crea vertigini spaziali, apparizioni animate da un fervore quasi panico, momenti di sgomento e smarrimento. Si tratta di stati fisici e mentali con cui il pittore allenta il controllo delle forme, lasciandosi possedere dall’energia torrenziale del colore, dal ritmo che aggredisce la superficie favorendo il suo necessario arbitrio. Secchiate di liquida materia, così Granaroli definisce le plaghe di colore sulle quali agisce, mo-


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Claudio Cerritelli dificandone l’estensione con energici tracciati, striature veloci, segni macroscopici che dialogano con zampilli e spruzzi, automatismi liberi di interferire con masse circoscritte entro ampi ritmi. Il temperamento esecutivo è aggressivo e persino animalesco, si potrebbe dire quasi “belvico”, se non fosse che tale parola non esiste, esistono tuttavia valori selvaggi, sommovimenti e ritmi convulsi, incontenibili e debordanti, talvolta assordanti come suoni cromatici in tempesta. Il colore entra in scena da ogni lato, si dilata e si rapprende, si protrae oltre i perimetri o si rinserra entro precisi limiti, comunque s’impone a tutto campo mentre segni imprevedibili emergono dal profondo lasciando affiorare figure astratte, presenze prorompenti dell’inconscio. La direzione preferita è quella trasversale, l’obliquità è in perenne lotta con equilibri improbabili, forze centriche e vorticose fanno pensare a movimenti cosmici, vaste campiture fluttuano verso atmosfere immaginarie. In realtà, Granaroli non pensa ad altro che alle concrete movenze del colore, capta risonanze nelle cangianze della luce, usa il rosso come

energia lavica, il giallo come espansione solare, l’azzurro come aria celestiale, il grigio come tono intermedio tra l’incanto del bianco e la potenza del nero entro cui si disvelano oscurità silenti, impercettibili parvenze della memoria. La pittura è per Granaroli linguaggio della vita che reagisce alla fissità della rappresentazione, è processo d’invenzione che trasforma le forme corporee nei grovigli e nelle pulsazioni che animano la scrittura spazio-cromatica. La tensione fondamentale sta nel seguire le insorgenze della materia nel divenire dei suoi processi possibili, antica e sempre attuale esigenza di infrangere l’immobilità rassicurante del linguaggio, suscitando la potenza metamorfica del colore in dialogo con il suo stesso trascendersi. Se di fronte alle opere recenti riconosciamo la persistenza di gesti già osservati nei dipinti del passato è perché la visione di Granaroli attinge sempre alla preistoria di sé stesso, mantiene attivo l’istinto originario, quell’impulso del gesto che si avventura senza alcuna certezza ai confini di ciò che è possibile esprimere, con lo stupore e l’incanto del primo atto. Anche se questi fondamenti creativi sono impos-

Concetto inquietante N°3, 2016, acrilico su tela, cm 340x260.


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Concetto inquietante N°4, 2005, acrilico su tela, cm 150x190.

sibili da decifrare, le parole possono servire per avvicinarsi alla nuda verità dei dipinti suggerendo il desiderio di perdersi negli inquieti affioramenti dello spazio. L’espressività astratta è raggiunta attraverso la naturalità del colore che l’artista vive dall’interno, partecipe degli umori contrapposti che si alternano tra superficie e profondità, luce e oscurità, fisicità ed evanescenza. Nella maggior parte delle opere domina il nero, la sua ubiquità provoca sensazioni di cecità, barriere insormontabili per lo sguardo che insegue

forme nascoste nel velo luminoso dell’ombra, oscurità splendente. Talvolta il nero crea grandi masse unificate, in altri casi si disperde creando strisce che sfuggono dalle campiture circoscritte, si sovrappongono ad esse come una ritmi corporei che danzano nel vuoto, sempre in procinto di fissare nel bianco i percorsi intriganti del segno. Entrando nel vivo dei dipinti scelti per questa mostra si avvertono variabili consistenze del nero, le ombre della memoria sono generate dal vissuto, tracce del pensiero che interroga il fondo dello spa-


meta osservatorio zio sotto i nostri occhi. Descrivere la pittura non coincide mai con la complessità del suo volto, permette soltanto di sfiorare i significati racchiusi nelle opere, è comunque un modo per colmare la distanza dalle immagini che stiamo guardando. Due diverse colate di nero stringono d’assedio un’onda di giallo aggredita da segni urtanti e graffianti, schegge primordiali evocano macrocosmi immaginari, in questo caso il bianco è luce sospinta ai margini del tutto. In un’analoga tela, la visione invadente del nero morde lo spazio e lo travolge senza ritegno, lasciando che la leggerezza aurorale del rosa si disperda a dismisura sulle ali di una brezza vaporosa, persino profumata. Con un andamento ancor più tagliente, la struttura tellurica del nero soverchia con la forza del suo impatto un orizzonte pervaso d’azzurro, la luce si diffonde lieve come un cielo che si riflette in un velo d’acqua. In altre opere, il nero regna assoluto evocando stati ancestrali e memorie sedimentate nel corso

del tempo, il colore ha la densità discontinua del petrolio che lascia tracce e impronte all’interno dello stesso nucleo. In un grande trittico appare una montagna immersa nella solitudine di un luogo drammatico e inquietante, al centro dell’immagine sta un segno rosso che risveglia i sensi, attira lo sguardo verso il culmine della visione, come un monito a seguire le ragioni dell’emozione e i ritmi del cuore. Quando il protagonismo del nero si attenua o tace del tutto, entra in gioco una luminosità polifonica accompagnata dal fervore dei verdi e dei gialli, blu e rossi, azzurri e viola, colori che si intrecciano e si amplificano generando un alfabeto che esplode con tratti filanti e traiettorie da brivido. Così Granaroli sorprende ancora sè stesso, non si stacca dall’eccitazione del gesto, continua a immettere passione nell’ardore del colore, non perde di vista il piacere di fare pittura come libero e umano sentire, per questo coltiva con intatto entusiasmo quella visione poetica dell’arte di cui si avverte spesso l’assenza nel mercimonio dell’attualità.

Concetto inquietante N°9, 2016, acrilico su tela, cm 160x170.


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