Documenta 14 • Atene : Kassel = Pavimento : Muro - Nuova Meta 39

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39 documenta 14 ATENE : KASSEL = PAVIMENTO : MURO

Matteo Binci


documenta 14 ATENE : KASSEL = PAVIMENTO : MURO Lois Weinberger, Ruderal Society: Excavating a Garden, installation, 2017.

Fridericianum, Documenta Halle, Naturkundemuseum im Ottoneum, Peppermint, Königsplatz, Orangerie, Karlsaue, Palais Bellevue, Neue Galerie, Cinestar, Museum Für Sepulkralkultur, Grimmwelt Kassel, Hessisches Landesmuseum, Torwache, Leder Meid-Apartment, Friedrichsplatz, Gloria-Kino, Stadtmuseum Kassel, Lutherplatz, former underground train station, Bali-Kinos,Neue Neue Galerie, Gottschalk-Halle, Narrowcast house, Kulturzentrum Schlachthof, NordstadtparK, Weinberg-terrassen, Kunsthochschule Kassel, Filmladen Kassel, Henschel-Allen, Glas-Pavillons e Giesshaus. Sono questi tutti i numerosissimi luoghi dell’arte che si possono esplorare a Kassel, tra libertà diffuse ma anche molta confusione. L’intenzione era quella di creare una convergenza collettiva di differenti conflitti multiformi. Accordare una tonalità che rispettasse la pluralità delle singole voci. Ma ne fuoriesce un generale appiattimento nel quale si corre il rischio di percepire solo l’egemonia di alcuni suoni. Nonostante questo, minime frequenze vibrano liberamente grazie all’abilità sonora di singoli artisti. È ad esempio il caso di Cristopher D’Arcangelo che, dal nascosto dei suoi archivi, emette duraturi richiami: When you look at a painting, where do you look at that painting? What is the difference between a painting on the wall and a painting on the floor? When I state that I am an anarchist, I must also state, that I am not an anarchist, to be in keeping with the (_ _ _ _) idea of

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anarchism

long live anarchism 8 Marzo 1978, ore 12:00, Cristopher D’Arcangelo si trova al Louvre e rimuove dal muro un dipinto di Gainsborough intitolato Conversation in a Park raffigurante una signora e un signore, in abiti settecenteschi, seduti su di una panchina e contornati da un

Cristopher D’Arcangelo, Binder A (collected between 1965-2003) e Archival material related to Functional Constructions (with Peter Nadin, 1965-1979).

verde parco all’inglese. Lo ricolloca a terra con il retro inclinato e appoggiato al muro. Al suo posto viene affissa alla parete una copia del testo riportato. La dimostrazione/questione si prolunga per circa 30 minuti dopo i quali il dipinto viene riposizionato al suo posto. La persona responsabile del gesto non viene identificata e lascia in tranquillità l’edificio. Un fotografo presente nella sala viene interrogato e le autorità cercano di confiscargli le riprese, ma con esito negativo. D’Arcangelo voleva individuare i rapporti del potere, sottolinearne le sue debolezze e aprire nuove possibilità. A tal fine poneva delle domande alle quali chiunque poteva e può tutt’ora rispondere poiché le risposte non dovevano e non devono provenire, ancora una volta, da un sistema univoco e monodirezionale. Di conseguenza il museo utopico che D’Arcangelo suggerisce è un luogo nel quale le persone possano approcciare l’arte a un livello personale e anticonvenzionale, nel quale i valori non siano già stati dedotti e imposti. Inoltre l’omissione del nome e il tentativo di creare significato nonostante l’ellissi (_ _ _ _) costituiscono una necessità di ripensamento delle ottiche costrittive che si fondano sulla compiutezza. In un sorta di giardino affine, Lois Weinberger scopre materialmente le pretese di stabilità dell’ordine umano, opponendo loro quella che egli definisce “Ruderal society”. La sua poetica di “Ruderals” racchiude le sottospecie di piante spontanee sempre pronte a irrompere nelle superfici di ogni città. Le


meta esposizioni

Matteo Binci piante normalmente estirpate e ignorate ostacolano la patina dell’ordine umano e l’intrinseca volontà di normalizzazione. Weinberger interviene scavando, quasi fosse un archeologo, il prato curato e appena tagliato. Il luogo diventa terreno fertile per la crescita spontanea delle specie organiche già mescolate al terreno e per tutte quelle che vi arriveranno trasportate dal vento o da altri fenomeni. Si configura così un “luogo / dove il vivente rivela se stesso oltre l’ordinato”. La libertà di sviluppare il loro ciclo vitale, al di là di ogni controllo, attiva un’insorgenza incontrollabile di piante eterogenee che pone anche interrogativi sulla necessità di una traduzione della medesima insorgenza nella sfera sociale umana. Khvay Samnang nell’opera Preah Kunlong (2017) lavora sul concetto di limite, interrogandosi se vi siano forme alternative al tracciare limiti mediante una linea di demarcazione che inevitabilmente solca sia la carta che la terra. I Chong, popolazione che vive nell’ultima grande foresta della Cambogia, mappano la terra attraverso una pratica incarnata che si fonda su storie orali e ancestrali. Molti di questi racconti sono basati sulla presenza di spiriti animali che vivono la foresta. L’azione si basa sull’incorporamento di alcune di queste storie performate attraverso una ritualità animale. La zona dove i Chong vivono è un confine instabile, continuamente e violentemente minacciato dallo sviluppo geopolitico, ma che mantiene, in aggiunta al patrimonio naturalistico, differenti politiche di possesso della terra e un senso di appartenenza non vincolato dalla demarcazione lineare. Il video I, Soldier (2005) di Köken Ergun è la prima parte di una serie che affrontano il problema del controllo dello Stato sulle cerimonie nazionali. Il video è stato girato durante il “National Day for Youth and Sports” che si svolge il 19 Maggio, giorno di commemorazione dell’inizio della Guerra di indipendenza turca sotto la leadership di Mustafa Kemal Ataturk nel 1919. Negli stadi più capienti vengono messe in scena, dagli allievi delle accade-

Khvay Samnang, Preah Kunlong, three-channel video installation, colour, sound, 25 min.

Köken Ergun, I, Soldier, two-channel video projection, color, sound, 7:14 min.

mie militari, coreografie e sfide ginniche. La musica di accompagnamento è una musica hip-hop dalle influenze nazionalistiche che sottolinea l’aggiornamento dell’immaginario ritualistico dei nazionalismi del XX secolo. In alcuni accadimenti considerati a volte minoritari e irrilevanti anche a causa della loro apparente inattualità, si possono nascondere germi che infettano la nostra contemporaneità. Iniziò e si concluse con un conflitto bellico e in un contesto politico ben preciso anche l’attività artistica di Ruth Wolf-Rehfeldt. Tra gli anni ’70 e il 1989, la mail-art fu per lei un modo di restare in contatto con il mondo al di fuori della Repubblica Democratica Tedesca. Durante il suo impiego, all’interno del Dipartimento per le Esposizioni all’Accademia di Belle Arti di Berlino, inventò quella che lei stessa chiamò “Signs fiction”. Consiste nell’utilizzo della macchina da scrivere per creare grafiche, inserendosi nella tradizione della poesia visiva Fluxus. Dopo la caduta del Muro di Berlino decise volontariamente di porre fine alla creazione di opere poiché non sentì più necessario il suo coinvolgimento. A sottolineare come l’arte e la storia, intesa come narrazione di fatti presenti, non siano dimensioni tra loro distaccate bensì entrambe generate dai gesti di un’unica matrice: l’uomo. Quell’uomo dell’arte e della storia che deve necessariamente continuare a domandarsi: “When you look at a painting, where do you look at that painting? What is the difference between a painting on the wall and a painting on the floor?”

Ruth Wolf-Rehfeldt, Thirty-one typewriting and carbon copy works, various media including zincography, collage, drawing and stamps, 1970-1980.


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