37 le "grandi bellezze" riflessioni sul padiglione italia alla biennale di venezia
Silvia Ferrari Lilienau
le "grandi bellezze" riflessioni sul padiglione italia alla biennale di venezia Codice Italia, il padiglione della Biennale di Venezia curato da Vincenzo Trione, ospita quindici artisti italiani in dialogo con la storia dell’arte nazionale, e tre ospiti stranieri – Peter Greenaway, William Kentridge, Jean Marie Straub – altrettanto impegnati in una rivisitazione del passato artistico del nostro Paese. Da un lato giovani e meno giovani interpreti di una cifra nostrana, dall’altro la conferma di quella cifra da parte dello sguardo esterno: un omaggio multimediale di Greenaway all’arte italiana nei secoli del suo splendore, di Kentridge un tributo a Pasolini, un’installazione derivata dal film di Straub Lezioni di Storia (1972), in cui il passato dell’Italia riemerge,
Peter Greenaway, In the beginning was the image.
insieme con la corruzione che già lo caratterizzava. Anche La grande bellezza di Paolo Sorrentino, vincitore nel 2013 dell’Oscar per il miglior film straniero, accendeva riflettori sulle meraviglie artistiche di Roma, l’incanto dei luoghi antichi a fronte della decadenza dei costumi contemporanei. Il padiglione italiano, quasi prolungando l’invocazione alla bellezza del film di Sorrentino, induce ora a una riflessione sul bisogno di legittimarsi riandando a un passato glorioso. Vien da pensare all’eclettismo ottocentesco, che sui palazzi urbani più rappresentativi rinverdiva momenti dell’architettura passata. In Italia era soprattutto il Rinascimento a riemergere, pur
Silvia Ferrari Lilienau in una declinazione materica moderna, nell’impiego frequente di materiali industriali quali il vetro e il ferro. Dunque la modernità dei tessuti epidermici era riconoscibile, come nella copertura ingegneristica della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, ma il rivestimento intendeva denunciare la continuità con il passato. Concetto ribadito dallo stesso Greenaway quando, intervistato sul suo In the beginning was the image per il Padiglione Italia, sostiene che c’è una linea ininterrotta che va da Leonardo da Vinci a Jeff Koons. Al di là delle singole opere, sorvolando anche sulla loro qualità eventuale, ciò che colpisce in questo momento storico è questo tornare alla bellezza antica per avere conferma di sé. L’Italia postunitaria lo faceva alla ricerca di una propria identità nazionale, la cultura italiana odierna sembra farlo mentre quell’identità si perde, non solo per il venir meno di confini – che in sé aprirebbe a orizzonti più ampi –, ma per un disorientamento più profondo che la crisi economica ha finito per scoperchiare. Allora la bellezza prodotta in passato diventa un serbatoio cui attingere per reinventarsi nel confronto con il resto del mondo, e però nell’ hortus conclusus dell’arte. Nel quotidiano, infatti, quella bellezza non sembra in grado di incidere sulla qualità della vita, né è poi così valorizzata, se l’occhio straniero è soprattutto propenso a cogliere l’inadeguatezza italiana, nel momento in cui viene per esempio richiesto di un parere sull’evento attuale di maggior risonanza, Expo. Come ha di recente sottolineato Stefano Citati per “Il Fatto Quotidiano”, riferendo i commenti tutt’altro che entusiastici di Roger Cohen, editorialista del “New York Times” per l’occasione in viaggio a Milano: il vecchio, consolidato ritornello del luogo impossibile per lavorarci, delizioso per trascorrerci del tempo. Tutti dunque concordi nell’attribuire all’Italia la palma dell’eccellenza artistica passata, a cui si desidera riandare come alla fonte della vita. E poi? La storia come continua? La bellezza artistica dell’Italia è ormai un fossile encomiabile nello spazio dell’artificio, e invece irrilevante nello scorrere più complesso del contemporaneo? Qualcosa cui si concede il plauso in padiglioni veneziani o festival cinematografici pur prestigiosi, per poi rimanere materia inerte di solo intrattenimento, incapace di connettersi al nuovo per troppa lontananza temporale e disparità qualitativa? E, ancor più, prescindendo dalle aspettative altrui: a noi, questo può bastare? William Kentridge, Triumphs and Laments. Peter Greenaway, In the beginning was the image.
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