Il poeta dilata i vocaboli. Intorno al libro come oggetto d'arte - Nuova Meta 39

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39 il poeta dilata i vocaboli intorno al libro come oggetto d'arte

Bruno Bandini


ilintornopoeta dilata i vocaboli al libro come oggetto d'arte Allora, il “libro d’artista” che cos’è? Perché, come un rizoma, questo oggetto d’arte riemerge di fronte ai nostri occhi e scardina la definizione che in precedenza gli era stata attribuita? La formalibro che è, in sé, un oggetto d’arte in realtà si presenta come détournement costante: una “deriva” situazionista che finisce col modificare oggetti estetici già dati: testi, immagini, suoni. Ma che cosa unisce le Canzoni dell’Innocenza e dell’Esperienza raccolte da William Blake tra il 1789 e il 1794, dove testo e immagine si fondono in modo inesorabile come inesorabili sono i colpi inferti all’immaginazione dagli eventi che la storia scandisce, con il Coup de Dés di Stephane Mallarmé, la variante tipografica che, un secolo dopo, traduce in modo radicale il clima della décadence generato dal trionfo dall’età della tecnica? E, ancora, che cosa hanno in comune il “libro imbullonato” Dinamo Azari composto nel 1927 da Fortunato Depero e le solitarie immagini fotografiche che nel 1963 realizza Ed Ruscha per le sue 26 Gasoline Stations? O, ancora, le tavole parolibere di F.T.Marinetti o la sua raccolta Litolatta del 1936 e La città nuda e le “psicogeografie” che Guy Debord realizza sul finire degli anni Cinquanta? O, per concludere, le poesie fonetiche di Velimir Chlebnikov, il “poeta dei poeti” come lo commemorò in occasione della morte Vladimir Majakovskij, e le pratiche testuali dei concettuali americani Lawrence Wiener, Joseph Kosuth, Douglas Huebler e Robert Barry? Forse è

Fortunato Depero, Dinamo Azari, Milano, 1927.

la stessa parola “libro” e, con essa, il contenuto che viene in essa custodito. Allora, la locuzione di Hermann Keyserling “il poeta dilata i vocaboli” acquista un senso sorprendente, nonostante l’errore di traduzione che Isidore Isou compie, nel 1942, confondendo “vocaboli” con “vocali”. È l’errore di nascita del Lettrismo, dell’ Oulipo – dell’Officina di letteratura potenziale di Queneau, Perec, Calvino – della “meca-estetica” – dove ogni superficie è idonea ad ospitare la creazione poetica. È, quello di Isou, l’incunabolo che produrrà effetti non solo sulle “derive” situazioniste di Debord, ma anche sul cinema della Nouvelle vague e sul teatro underground americano. Sempre di forme si tratta, ma cambia il loro contenuto, o, meglio, la loro accessibilità, la loro consistenza semantica. Non che una di esse sia più complessa, sofisticata o seduttiva dell’altra. La loro complessità dipende dal contesto culturale in cui si definiscono: dalla “volontà artistica” - si sarebbe detto un tempo – che le anima, dal “valore espositivo” che sono in grado di manifestare. Dissolta l’integrità della forma, ormai testimonianza di una tradizione che necessariamente subisce “tradimenti”, di fronte a torsioni estetiche e funzionali non preventivabili, anche la nostra relazione con la “natura”, madrematrigna, sperimenta nuove logiche di ibridazione, dando origine a comunioni insondabili se non come libera espressione di lacerti che si ricompongono lasciando emergere solo pallide tracce dei


meta interpretazioni

Bruno Bandini “modelli” che le avevano viste nascere. Lo spazio della “pagina bianca” è tutto da reinventare e quello che conta non sono i “dati”, le “cose”, la “vicenda”: quelle sono apparenze. Quello che conta è la funzione che si istituisce, le leggi che regolano il movimento, la “quantità di energia” che si immette nella battaglia con quello spazio da comporre e non solo da riempire. Se la fantasia erra alla ricerca della propria forma, delle nuove leggi che regolano le relazioni tra soggetto ed oggetto, l’immaginazione definisce questo linguag-

gio, pone l’immagine formata. Come dire: la relazione tra soggetto e “realtà” ha subito un trauma irreversibile che la fantasia esprime, “presenta” o “rappresenta”, in forma elementare, istintiva; mentre l’immaginazione cerca di porsi come sistema, strutturazione del trauma avvenuto. La forma-libro è un modello, perverso, attraverso il quale l’immagine del mondo si dispiega secondo modalità, declinazioni, fascinazioni, capaci di accogliere i turbamenti che scandagliano le relazioni tra fantasia e immaginazione.

Filippo Tommaso Marinetti, "Guido Guidi. Parole in libertà", 1916.


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