38 sulla pittura dell'ignoto colloquio tra casiraghi e raciti, museo della permanente
Claudio Cerritelli
sulla pittura dell'ignoto colloquio tra casiraghi e raciti, museo della permanente
Opere di Roberto Casiraghi, Museo della Permanente, Milano, febbraio 2016.
* Le ricerche pittoriche di Mario Raciti (1934) e di Roberto Casiraghi (1957) sconfinano dai luoghi del visibile per inoltrarsi nell’esperienza dell’ignoto, nella dimensione del continuo accadere della forma oltre sé stessa, nell’incontro tra lo spazio dell’esistenza e la parte assente che ne dichiara il senso. Il colloquio sollecita reciproche risonanze tra i loro modi di sentire la pittura come linguaggio dell’altrove, viaggio errante tra le luci e le ombre del conoscibile, oscillazione perpetua dentro e fuori le certezze del pensiero, esplorazione persistente della sostanza misteriosa dell’immagine dipinta. Le loro storie individuali hanno radici diversamente articolate nel corso del tempo, tuttavia emerge un’analoga inclinazione verso la luce del bianco come leggerezza e incanto dello sguardo, stato di sospensione delle forme che appaiono e svaniscono nei fondali mutevoli della superficie pittorica. Un altro aspetto che avvicina il loro modo di intendere lo spazio è l’atto di perdersi nell’indistinto apparire delle ombre, nelle segrete voci del silenzio, seguendo tracce visionarie e inevitabili, frammenti d’identità in bilico tra le profondità di mondi sotterranei e altezze immaginative colme di stupore. Nelle qualità cromatiche di Raciti e Casiraghi si possono riconoscere altre affinità, in special modo l’impulso al disorientamento delle forme, al palpito dei segni e dei colori che transitano sul velo della memoria, scie luminose e lievi gesti d’astrazione che si dilatano nel vuoto, perdutamente.
Non dissimile è la ricerca di equilibrate dissonanze dei corpi cromatici, diafani bagliori e linee musicali, ritmi sonori e misurate estensioni, vibrazioni e intermittenze della materia, pause necessarie al fluire conturbato dei segni. * La continuità persistente del dipingere pone i nostri autori lontano dalle oscillazioni degli stili imposti dall’attualità, la visione si sottrae alle codificazioni del linguaggio, prevale la necessità di interrogarsi sul valore dell’immagine come continuo slittamento tra ciò che persiste e ciò che si dissolve nell’evento del suo farsi, estrema soglia della coscienza che si dissolve. Questo flusso esistenziale è il mistero stesso della pittura, condizione della sua utopica purezza, sintomo di un’inquietudine felice che perdura come naturale destino del fluire enigmatico delle forme. Senza il quale l’atto creativo rischia di essere imitazione di sé stesso, ripetizione di alfabeti cristallizzati, non più esperienza capace di aleggiare tra effluvi interiori e fantasie illimitate. La totalità del visibile sta nelle forme del dubbio che Raciti e Casiraghi vivono senza alcuna garanzia conoscitiva, sogno consapevole di una meta mai raggiungibile, non essendovi alcuna identità possibile che non appartenga allo stato provvisorio dell’immagine, alla precarietà dello sguardo errante. Le misure soggettive del pensiero visionario trasformano ogni scelta intenzionale nel desiderio di abbandonarsi alle vertigini del colore, alle orme
meta osservatorio
Claudio Cerritelli rarefatte dei segni visibili e invisibili, all’avventura potenziale dell’immagine che prende corpo attraverso le trasmutazioni della materia. Tutto ciò che da essa nasce non si manifesta mai compiutamente, rimane sempre la presenza del non detto, la misteriosa forza del nascosto che viene allo scoperto in modi estranei alla logica, con enunciati irrazionali che sono i percorsi dell’immaginazione. * La visione di Raciti presenta traiettorie sfuggenti, fantasie balenanti, trasalimenti inquieti, ambivalenze di mondi vicini e lontani, tracce e frantumi che si stratificano nell’attesa di svelare altre apparizioni, presenze e assenze congiunte nello stesso processo di rivelazione, dimensione non definibile. Nel presente si avvertono i sedimenti di sempre: vortici di luce, seduzioni fugaci, itinerari stralunati, gesti volanti, lievi affioramenti, avvistamenti devianti: tutto è fissato dal rapinoso flusso dei segni che trapelano dal bianco. Visioni inafferrabili si sprigionano dalle antinomie dell’inconscio, smarrimenti di forme corrose dal nero, luminose creature sospese nell’aria oppure oscuri presagi d’oltretomba, brame poetiche disseminate nei bagliori dell’assenza, sentieri inaccessibili che incrinano ogni fatua speranza di certezze. La pittura scava dentro il proprio divenire, interroga le forme dello spaesamento, insegue i fantasmi del profondo, provoca le immagini del cuore a rivelarsi nei fremiti corporei della luce. Nel vuoto
indicibile dell’ignoto appaiono figure conturbate, gesti afferrati nell’atto del disfacimento, segni vitali immaginati come dardi che trapassano l’epidermide del mondo con la passione inevitabile del dipingere. * Di Roberto Casiraghi colpisce la sensibilità germinativa dello spazio, la pienezza di un sentire pittorico che rifiuta di lasciarsi intaccare dagli stereotipi dell’astrazione, preferisce concentrarsi nelle profondità della meditazione. Affioramenti d’ombra si congiungono ai bagliori della luce attraverso memorie e presentimenti d’immagine, movenze e metamorfosi che infondono all’immagine un senso di enigmatica visione, implicita complessità custodita nelle impronte del colore. I moti istantanei del vuoto sono animati dal respiro del colore che deborda da sé stesso, velate trasmutazioni evocano luminose lontananze, sembianze di corpi primigeni, risonanze di pensieri in controluce. D’altro lato, Casiraghi si lascia condurre da immagini di volo, nuclei di forme che spostano lo sguardo verso i bordi, punti di vista vaganti in continuo stato di sospensione, sempre sul punto di dissolvere gli equilibri provvisori. La purezza dei mezzi inventa continue intermittenze tra le cangianze del bianco e l’inquieto fluire dei segni, palpiti emotivi e luminose trasparenze, scintille di fantasia e stupori di silenzio, oscure densità della memoria e filamenti del pensiero in cerca dell’invisibile, varco verso l’ignoto che nasce dalle fibre dell’inconscio.
Opere di Mario Raciti e Roberto Casiraghi, Museo della Permanente, Milano, febbraio 2016.