Una bottiglia di Ichnusa sul fondo della piscina. Autori: Christopher Arcuri, Fabrizio Bovo Anno: 2005 Luogo: San Sperate (CA) Formato dell’opera: cm.200x100 ca. Tecnica: idropittura al quarzo per esterni su pavimento smaltato. Quell’anno fummo ospitati in una casa isolata leggermente fuori dal paese circondata da aranceti. Il proprietario si chiama Anselmo, un personaggio che alla prima impressione appare ruvido e scontroso ma che si è rivelato col tempo discreto e premuroso. Spesso la sera si presentava con una bottiglia di vino e si fermava con noi a chiacchierare davanti al camino acceso. Il suo modo affabile e gentile, nonostante le apparenze, ha conquistato gli studenti che lo guardavano con sempre maggiore curiosità e rispetto. Ci è piaciuto pensare ad Anselmo come un divo di Hollywood, nella sua villa festa, donne e via-vai per tutta la notte. E quella vasca per la raccolta di acqua destinata all’irrigazione si è trasformata nella nostra immaginazione in una lussuosa piscina. Da qui è nata come per scherzo l’idea di fargli trovare una sorpresa: sul fondo della piscina una bottiglia di Ichnusa semivuota, rimasta lì a testimoniare l’ennesima folle notte di festa. Un lavoro veloce e istintivo, eseguito in clandestinità dentro quelle quattro pareti a cielo aperto. Fabrizio Bovo
Nella foto, Anselmo osserva il dipinto completato.
“Il Murales dell’albero di limoni” Coordinamento artistico: Prof. Carmelo Violi Anno 2007 Luogo: San Sperate (CA) Formato dell’opera: cm 350x 700 Tecnica: Idropittura per esterni su muro a secco Allievi classe XI (3° Ist.d’Arte) : Luca Chiaramonti, Giacomo Sigona, Simone Lattanzio, Elisabetta Sisti, Giorgia Natale, Arianna Orozco, Maria Gradnic, Rowena Benigni, Francesca Bogani, Federica Falcone. Quei giorni a San Sperate il sole primaverile si alternava al vento e a qualche sporadica pioggia. In quella meravigliosa località avremmo dovuto realizzare per il terzo anno consecutivo un intervento di pittura murale con una nuova classe. Alloggiammo in una casa coloniale fra alberi di agrumi e pesche, frutti tipici della produzione di questo territorio. Durante i primi giorni ci dedicammo al restauro di un murales (formiche) realizzato qualche anno prima da una classe del nostro istituto ed in seguito cominciammo a riflettere sulla scelta del muro da decorare. Era quasi pomeriggio inoltrato quando tornando verso casa per la cena si vide un muro completamente bianco affacciato su una delle strade che portavano al centro del paese. Esso si articolava in due parti diverse e asimmetriche, separate da un cancelletto che accedeva al cortile. Rimasi fermo per un po’ ad osservare, suggerendo ai ragazzi che forse sarebbe stato proprio quel muro, il “nostro muro”. Dal cortile interno si scorgevano timide le foglie e i rami densi di giallo e di verde. Si trattava di un albero di limoni, ma riuscivamo a vederne solo la parte superiore della chioma, poiché quel muro si poneva di fronte e sembrava di vedere una grande tela bianca non ancora dipinta. Il verde delle foglie di quell’albero, appariva più verde del reale, perché esso spiccava nitidamente accostato al bianco del muro. Le proprietarie della casa ci accolsero con entusiasmo e riuscimmo a persuaderle dei nostri buoni propositi e del fatto che la loro casa avrebbe assunto un tono diverso con all’esterno un bel dipinto murale. Nei due giorni successivi i ragazzi si occuparono del progetto, presero le misure dello stato di fatto e ognuno cercò un’idea da proporre agli altri. Bisognava prestare attenzione a due aspetti: la strada a senso unico percorsa principalmente da macchine permetteva una visibilità dell’ipotetico murales da sinistra verso destra. Suggerii loro di progettare osservando il muro, poiché solo in quella condizione si poteva respirare il luogo e definire un’immagine in linea con il contesto. Come da mia richiesta, tutti o quasi, tennero in considerazione la presenza dell’albero di limoni, molti lo rappresentarono verticalmente ben saldo alla terra e diedero continuità alla parte già visibile della chioma; alcuni accanto all’albero disegnarono finestre dalle quali si scorgevano gli interni delle case, simulando pittoricamente elementi architettonici illusori. Ma questo tipo di temi erano già diffusissimi a San Sperate, e molti pregevoli pittori del luogo come lo stesso Angelo Pillone erano stati bravi nell’illustrarli. Sfogliando fra i vari bozzetti, dal tema di Francesca Bogani, vidi qualche cosa di interessante; l’albero rappresentato mostrava le sue radici ormai fuoriuscite dal terreno, ma era ancora un albero timido che non si appropriava pienamente del suo spazio e la sua inclinazione era solo accennata. Avevamo a disposizione dodici metri di muro ed era giusto che questo albero diventasse protagonista della scena. Tornammo davanti al muro e sollecitai all’osservazione alcuni ragazzi, misi in evidenza l’immagine delle radici, che avrebbero potuto rivestire gran parte della zona sinistra separata dal cancelletto. Sollecitai ad osare, andando al di là dell’immaginazione e del consueto. Disegno dopo disegno, le traiettorie che simulavamo sul muro con la fisicità dei nostri gesti venivano tradotte su foglio e finalmente, riuscirono tutti a vederne quell’immagine mae-
stosa che conquistava il nostro pensiero in quel momento. I ragazzi finirono i progetti al secondo giorno e si votò per quest’ultima idea dell’albero sradicato. Cominciammo a dividerci i compiti, qui coinvolsi i più adatti graficamente e fu interessante notare come anche altri ragazzi meritevoli il cui progetto non era stato votato, lavorarono attivamente al disegno della compagna per apportare dei miglioramenti. In questo caso, il disegno di riferimento fu semplicemente uno spunto di partenza, poiché l’albero da dipingere consentiva una maggiore elasticità interpretativa sul muro. Tutto o quasi si concentrava in quel cambio di asse, da verticale a orizzontale, che il tronco dell’albero doveva assumere. Si partì disegnando la struttura del tronco e dei rami con qualche paura di sbagliare, forse dettata anche dall’emozione che questi ragazzi avevano nel confrontarsi con una situazione nuova. Vi erano difficoltà oggettive poiché, solo allontanandosi costantemente dal muro, si poteva vedere realmente cosa stessimo facendo. Fu Luca Chiaramonti, Giacomo Sigona e Arianna Orozco a trainare il gruppo in questa fase iniziale del lavoro, presero in mano il bozzetto preparatorio e carboncino alla mano, mossero i primi tracciati di questo tronco e di queste radici. Dopo i primi segni di carboncino lasciati sul muro si prendeva sempre più fiducia nelle proprie azioni. Il resto dei ragazzi si attivarono con loro. Si passò quasi subito alle masse di colore e facilitati dal rullo per imbianchini non mancarono episodi di particolare evasione.. Già dal secondo giorno, l’albero prendeva forma riscuotendo interesse e ammirazione da parte degli abitanti di San Sperate. Anche il maestro Sciola, che di volta in volta passava per qualche valido suggerimento, apprezzò questo tipo di intervento pittorico. Al pomeriggio del terzo giorno di lavoro il murales era ormai terminato. Le foglie dai variegati verdi, sono mosse dal vento, ancora sospese in quell’interminabile confine tra la vita e la morte, in un eterno gioco irrazionale della rappresentazione pittorica. Alcuni limoni sono caduti, altri sono ancora appesi ai loro rami. Il tronco dell’albero tiene legate con sé due parti di muro così architettonicamente irregolari tra loro che solo la presenza del dipinto può ora giustificarle. Tutto sembrava così chiaro, ai nostri occhi: nessun altro soggetto poteva avere la stessa sintesi e la stessa integrazione con il contesto come fu invece per questo albero di limoni. In quel pomeriggio un po’ magico, il vento soffiava dal verso giusto come a giustificare il perché l’albero fosse caduto proprio da quel lato… Carmelo Violi
La foto in alto mostra il muro prima dell’intervento. Nella foto in basso, particolare del murales completato.
In questa pagina, studenti al lavoro nella fase di abbozzo del dipinto. Nella pagina accanto, la foto in alto mostra un particolare dell’albero. Nell’immagine in basso, foto di gruppo a conclusione dell’opera.
Nella foto, murales ormai concluso.
“Il murales della sedia celeste” Autori: Luca Chiaramonti, Carmelo Violi Anno 2007 Luogo: San Sperate (CA) Formato dell’opera: cm 350x500x350 Tecnica: Idropittura al quarzo per esterni su muro a secco Il murales della sedia celeste merita un discorso a parte nel ventaglio di opere che sono state raccolte in questo libro. Spesso si è parlato di murales da intendersi come lavoro di gruppo, ma in alcune occasioni, San Sperate ha rappresentato un primo e significativo banco di prova personale per alcuni allievi. E’ stato il caso del lavoro che Luca Chiaramonti ha voluto realizzare autonomamente e nel quale ho accettato con piacere la sua richiesta di collaborazione. Sotto esplicita richiesta di Anselmo, il proprietario della casa nell’agrumeto dove alloggiavamo, si decise di intervenire con un dipinto murale nelle due pareti di una piccola struttura edilizia adiacente al caseggiato principale. La scelta raffigurativa nacque in tempi limitatissimi, nella leggerezza dei significati da comunicare, con la spensieratezza di chi giovane vuole esprimere il proprio talento e svelare le proprie emergenze creative. A Luca in quel momento, poteva andare bene qualsiasi soggetto da dipingere, purchè si potesse fare della sana pittura. Per realizzare questo murales, si dedicò il tempo delle pause di quella gita e le ore dopo cena. Non si stette a pensare troppo poiché per completare il lavoro c’erano a disposizione al massimo sei ore. Suggerii a Luca di studiare gli elementi che realmente si trovavano attorno a quel contesto. Lì si potevano trovare tutti i soggetti a disposizione da inserire nella composizione. L’idea rappresentata sul murales è nata su un foglio di carta occasionale, mentre disegnando con un pastello colorato Luca riassumeva in immagine i suggerimenti nati dalle nostre conversazioni davanti al muro. La stanza interna era una grande sala da pranzo e si pensò di riportare sul muro l’immagine del tavolo costruita attorno al rettangolo delineato dalla finestra. Davanti a questo tavolo nella parte inferiore, una rappresentazione prospettica delle cassette di agrumi appena raccolti, arance e limoni. Di fianco al tavolo una grande sedia ritratta dal vero, la stessa sedia sulla quale tutti i ragazzi almeno per una volta si erano seduti in quelle giornate. Questo murales si ricorda per la grande sedia celeste dipinta da Luca, che l’aveva dipinta in un tale breve tempo da non accorgermi neppure di vederla iniziata. Fu infatti tornando da un sopralluogo con il resto della classe per dei piccoli ritocchi finali del murales dell’albero, che vidi con sorpresa la sedia celeste già dipinta quasi per tre quarti della sua forma, un tempo record. Continuammo assieme a dipingere il resto degli elementi fino a terminare il murales con la spensieratezza di chi voleva giocare consapevolmente con l’arte… Carmelo Violi
Nella foto accanto, l’edificio non ancora dipinto. In basso, gli autori dell’opera al lavoro nelle fasi finali di definizione dei dettagli.
Luca Chiaramonti in posa davanti al dipinto murale.
L’intervento definitivo fotografato da una angolazione diversa mostra le due pareti in cui è stato effettuato il lavoro pittorico.
Una classe, due murales. Sole, nuvole, arance, galline, colori e pennelli… Ed eccoci ormai tornati da tempo: ciò che ci rimane sono delle piccole macchie di colore…ops…di ricordi! Il professor Violi, tanto incerto nell’andare in bici, quanto sicuro nel destreggiare i colori; la prof Fantini, che ai fornelli scola chili e chili di pasta, i ragazzi che fanno la guerra con le arance marce, le arance e lo spray al peperoncino che finisce per ridurre in agonia l’intera classe, le galline starnazzanti, l’odore intenso dei fiori di arancio, l’incomprensibile dialetto sardo degli anziani… E poi i muri: bianchi, lisci, invitanti, quasi desiderosi di una nostra idea che fosse speciale. La classe viene divisa in due gruppi per realizzare due murales: ore e ore passate in strada davanti al proprio muro e il piacere a sera di ritrovarsi e di conoscersi e riconoscersi in un tutt’uno. Ora non abbiamo più le mani sporche di vernice, ma qualcosa ci ha colorato dentro, grazie all’atmosfera di un piccolo paese d’arte, grazie ai suoi generosi e calorosi abitanti, grazie agli odori di una terra aspra, abbiamo capito che non si può dipingere solo a parole: l’arte va vissuta sulla propria pelle! (gli studenti della classe XI Ist. d’Arte R. Steiner, 16 maggio 2007)
“Il murales del contadino” Coordinamento artistico: Prof. Carmelo Violi Anno 2007 Luogo: Aula San Sperate (CA) Formato dell’opera: cm 600x220 Tecnica: Idropittura per interni su muro a secco Allievi classe XI (3° Ist.d’Arte) : Lorenzo Colombo, Irene Petrelli, Anna Rietti, Alessandro Pallecchi, Nicole Moller, Lorenzo Gentilini. Alcuni ragazzi ascoltarono il muro per sentirne la vita, poiché quel contadino ormai sembrava esistere dentro i colori intensi e robusti che i ragazzi avevano dipinto. L’uomo aveva il volto chino coperto da un berretto e un piccone appoggiato sulla spalla con le braccia possenti e rosse dal sole dei campi. Si è scelto di raccontare attraverso questo murales la storia di un contadino che dal lavoro dei campi trae ispirazione nell’arte. Due parti narrative caratterizzano l’immagine complessiva; nella parte sinistra si evidenzia il primo piano rappresentato dal contadino che ritorna dal lavoro dei campi, attività diffusa in questo territorio. In secondo piano di spalle un pittore del luogo con al capo un berretto che dipinge le case di San Sperate a sottolineare le principali attività di questo paese. Non fu semplice studiare questo intervento, le pose delle figure e la variazione cromatica dei piani costituivano un banco di prova notevole per i ragazzi. Ancor più complessa fu la scelta di unire le architetture dipinte con la figura centrale del pittore e quella laterale del contadino. Dietro la realizzazione di questo murales si cela un tempo di condivisione sull’idea molto intenso in cui l’apertura al confronto e verso il cambiamento hanno creato le condizioni necessarie per garantire il completamento del dipinto. Un cambiamento avvenuto in una fase avviata del dipinto murale, quando ci si rese conto che il progetto su carta non essendo perfettamente esaustivo accentuò alcuni limiti compositivi sul grande formato del muro. Questi incidenti di percorso sono abbastanza comuni, ed è proprio in queste situazioni che si concretizza la riflessione progettuale davanti al muro. L’essenza del murales estemporaneo sta proprio nella possibilità di can-
cellare e rifare con una franchezza ragguardevole. Non fu semplice persuadere i ragazzi di modificare il lavoro a murales avviato. Di fatto l’immagine dopo le correzioni su muro cambiò notevolmente. Si ridisegnarono tutti i tracciati, si alzò la linea dell’orizzonte all’altezza del riguardante. Si spostò il disegno della figura del pittore avvicinandola e sovrapponendola in parte a quella del contadino così da accentuare il rapporto spaziale e il legame tra le parti. La scelta coraggiosa riuscì a migliorare il lavoro e fu più semplice dare un seguito al murales. Per rispondere ad una coralità nella resa stilistica, i ragazzi lavorarono simultaneamente: la figura del contadino impostata doveva cercare dei richiami con il cielo e con gli altri elementi presenti. In una fase ormai avviata paesaggio, figure e architettura si integrarono perfettamente dentro un’unica atmosfera. Quanto più l’immagine del murales prendeva forma e coralità, quanto più rilevavo nei comportamenti dei ragazzi una maggiore unità d’intenti. Non ci fu un momento di tregua, tutti si attivarono affinché il lavoro potesse essere terminato nei tempi giusti, molti dei ragazzi si fermavano a dipingere fino all’imbrunire, osservando i colori del sole all’orizzonte poiché era proprio un cielo al tramonto che bisognava dipingere. E poi, le strutture delle case in linea con quelle originali e l’impegno profuso per raggiungerne la verosimiglianza. La costante collaborazione nel realizzare e stampare foto necessarie per documentare la raffigurazione pittorica. Tutto questo fu parte di quello che avvenne. In un momento di grande concitazione mi resi sempre più conto che l’arte non si può fermare al pensiero, poiché il pensiero si evolve in azione. Da quella azione, il contadino prendeva vita. Quando ormai l’ultimo colore fu steso a completare il lavoro il sole era quasi rosso all’orizzonte e il cielo del dipinto sembrava confondersi con quello reale. Nella giornata conclusiva ci concedemmo una pausa. I proprietari della casa che avevano da sempre dimostrato grande gentilezza ci offrirono nell’ultima giornata un regalo graditissimo: torta alla panna con l’immagine commestibile del murales terminato. Carmelo Violi
In alto, le fasi di ridefinizione dei tracciati dell’architettura in funzione delle modifiche apportate al lavoro. In basso, la fase conclusiva dopo le modifiche nei caseggiati.
In questa pagina, l’immagine monumentale del contadino ormai completato.
Nella foto, il murales non ancora completato, questa visione angolare evidenzia la presenza plastica in primo piano del contadino e la continuitĂ della linea che separa il cielo dalla terra.
“Il murales della fiat 500” Coordinamento artistico: Prof. Carmelo Violi Anno 2007 Luogo: San Sperate (CA) Formato dell’opera: cm 1500x200 Tecnica: Idropittura al quarzo per esterni su muro a secco Allievi classe XI (3° Ist.d’Arte) : Guido Borso, Selene Crippa, Angelica Salinari, Simona Manuli, Isotta Dell’Orto, Francesco Garuti. Non sapevamo che a pochi mesi di distanza dal nostro dipinto a San Sperate ci sarebbe stato un raduno di fiat 500 e neppure che nel terreno dove era stata costruita la casa di Paolo ci fosse in passato un luogo di rottamazione delle auto. Finalmente avevamo trovato la parete disposta ad accogliere il progetto che tutti desideravano fare e per una serie di combinazioni si realizzò proprio lì, in quella parete. Tutto era iniziato girando per il paese, quando uno dei due gruppi trovò un muro da dipingere collocato in una via chiusa. Ci sembrava tutto troppo semplice, l’operaio uscì da un’officina che si trovava proprio in prossimità del muro e ci diede il consenso per realizzare il murales. Non passarono neppure due minuti e dalla geniale intuizione di Isotta Dell’Orto emerse un suggerimento condiviso immediatamente dal gruppo: “Perché non dipingere dei pezzi meccanici che escono dal portone dell’officina attraverso una macchina dal motore aperto? Si dedicarono due giorni alla condivisione e alla definizione delle idee su disegno, ma, nel momento in cui ci si decise che era il momento di iniziare, scoprimmo che il muro nel quale volevamo realizzare il dipinto non era solo di proprietà dell’officina meccanica, ma anche condiviso da altri proprietari i quali ci informarono che avevano in progetto di aprire in prossimità di quella parete un grande passo carrabile e il dipinto murale avrebbe subito delle inevitabili cancellazioni e privazioni di spazio. Appena informati di questa notizia si alimentò un’atmosfera cupa e sfiduciata nel proseguo del lavoro. Non ci lasciammo prendere dallo sconforto alimentati dalla passione per la pittura. Cominciammo a girare per cercare dei muri che potessero soddisfare le nostre esigenze e dei proprietari di case disposti in tal senso ad accogliere un progetto al quale tutti tenevano, che era quello già sviluppato. Scegliemmo la parete perimetrale della casa di Paolo Concu, una caro amico, appassionato di natura e arte che avevamo conosciuto negli anni precedenti e più volte aveva mostrato la sua grande collaborazione e disponibilità. Lui che aveva sempre visto e partecipato alla realizzazione degli altri murales in giro per il paese, finalmente avrebbe potuto vantare un dipinto anche all’esterno della sua abitazione. La sua casa era adornata da piccole sculture a cimeli di vario genere. Paolo è una persona creativa e con il gusto degno di un primitivo per la scultura e la pittura. La sua casa con giardino è divenuta nel tempo una piccola isola di colori e oggetti scolpiti con pietra e terre naturali. All’inizio nel nostro lavoro ci fu qualche inevitabile difficoltà poiché quello realizzato su carta era un progetto definitivo studiato per una parete dalla forma completamente diverse. Si iniziò a disegnare sul muro con assoluta elasticità, garantendo ad ogni forma di assumere una sua importanza all’interno dello spazio del racconto. La macchina era il punto di attivazione del racconto. I pezzi meccanici dovevano fuoriuscire dal motore, seguire una disposizione ad imbuto estesa diagonalmente verso l’alto e dilatarsi nelle dimensioni. Trattandosi di parete estesa in larghezza, si concepì la lettura del murales con una sequenza di immagini simile alla pellicola cinematografica da sinistra verso destra. Il murales narra di una fiat 500 che per schivare un carretto di colori và a scontrarsi contro un massiccio albero di ulivo. Un connubio tra ironia e irrealtà. Lo scontro provoca la fuoriuscita dei pezzi meccanici portando con sé piccoli pezzi di foglie e olive verdi. Fu dunque una rivoluzione rispetto al progetto iniziale.
Il palo della luce posizionato al centro della parete divenne parte attiva del dipinto. Nel rappresentare l’episodio dell’incidente automobilistico il palo fu trasformato pittoricamente in albero di ulivo e divenne l’oggetto dello scontro. Nella scena si ha la percezione di un cambiamento spazio temporale poiché gli elementi meccanici raffigurati tendono ad ingigantirsi in primo piano nell’estremità destra del muro e a ridursi nel punto in cui si genera l’incidente. Mentre si lavorava alle gigantografie degli elementi meccanici si determinava una nuova ed interessante visione dell’operare artistico. Un aspetto interessante nella pratica dei murales si verifica quando chi dipinge prende coscienza del suo lavoro allontanandosi e osservando la traccia dei colori lasciati sul muro, riscoprendo una visione d’insieme totalmente diversa rispetto a quella che immaginava dipingendo a ridosso dell’opera. Fu un lavoro anche questo coinvolgente, in cui poter giocare sul rapporto tra realtà e finzione. All’interno del gruppo si divisero i ruoli. Anche Guido Borso pur non rinunciando a tenere appesa al collo la sua macchina fotografica contribuiva attivamente al lavoro pittorico in tutte le sue parti. Il coinvolgimento fu collettivo anche da parte delle persone del paese, ci fu chi persino mise a disposizione la propria fiat 500 originale parcheggiata in prossimità del dipinto affinchè si potesse rappresentare seguendo un modello dal vero. Alcuni ci procurarono degli oggetti meccanici veri che noi avevamo intenzione di incastonare sulla parete assieme agli elementi dipinti. E così, dallo specchietto laterale della macchina ci si poteva realmente specchiare, la maniglia della portiera era originale e anche alcuni pezzi meccanici che tra foglie e ulivi volavano nello spazio erano oggetti reali. Questo è stato in parte ciò che è accaduto, in un lavoro nel quale ho percepito grande autonomia da parte dei ragazzi, in cui ogni forma, ogni colore, ogni ombra e luce, venivano sapientemente pensate e rappresentate. Un murales in cui tra l’altro, anche lo spettatore è diventato parte attiva del lavoro, dove ho potuto percepire palesemente quanto l’arte dei murales sia comunicativa entrando in contatto con la collettività. Carmelo Violi