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welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno VII, Numero 3, Aprile-Maggio 2011
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Foto di Marco Biondi
In questo numero: “Rapporto su enti locali e terzo settore” di Francesco Montemurro – pag. 2 “La lotta alla povertà e all’esclusione sociale: un impegno per l’UE e per gli Stati membri. Sintesi ragionata” di Giovanni Bartoli e Giuditta Occhiocupo – pag. 5 “Uguaglianza del lavoro: una sfida continua” di Zaira Bassetti – pag. 8 Le nostre rubriche: “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine – pag. 7 “LibrInMente” a cura di Silvia Spatari – pag. 11
Associazione Nuovo Welfare
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Rapporto su enti locali e terzo settore I tagli inferti ai trasferimenti statali ai Comuni, la progressiva riduzione dei Fondi sociali, nonché le nuove misure restrittive introdotte nel pubblico impiego, hanno provocato conseguenze importanti nelle strategie per lo sviluppo dei servizi sociali adottate dagli enti locali per il 2011. Il punto di partenza è la manovra della scorsa estate varata con il d.l. 78, che ha tagliato trasferimenti alle autonomie territoriali per 14,8 miliardi di euro per i soli anni 2011 e 2012 (2,5 miliardi a regime per i Comuni al di sopra dei 5mila abitanti). Inoltre, i Fondi nazionali per gli interventi sociali (compreso il Fondo per le politiche sociali – Fnps – che per anni ha finanziato la rete dei servizi sociali e i piani di zona partecipati da associazioni e imprese sociali) hanno perduto circa il 63% dei 1.472 milioni stanziati nel 2010. Infine, sollecitate dal Patto di Stabilità, le amministrazioni comunali hanno ormai intrapreso la strada del progressivo dimagrimento degli organici pubblici. La ricerca In questo contesto, l’indagine realizzata da Auser sul rapporto tra enti locali e terzo settore individua alcune tendenze preoccupanti nell’ambito della gestione dei servizi sociali. Per il 2011 le strategie comunali in materia di programmazione di bilancio si sono indirizzate non tanto verso la riqualificazione della spesa (obiettivo condivisibile e auspicabile), quanto piuttosto verso il progressivo impoverimento dei servizi pubblici, oppure in direzione dell’innalzamento delle tariffe dei servizi e del ricorso alla leva tributaria (Tarsu, Addizionale Irpef e tributi minori). Le assunzioni Nel periodo 1 gennaio 2010 - 31 marzo 2011, abbiamo potuto osservare come le procedure di assunzione attivate dai Comuni più grandi (con popolazione superiore ai 5mila abitanti, dunque tenuti all’applicazione del Patto di Stabilità) per l’erogazione di servizi socioassistenziali siano state indirizzate soprattutto al reclutamento di dipendenti con contratti a termine o “flessibili”: tempo determinato, collaborazioni coordinate e continuative, contratti di somministrazione di manodopera e altre
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forme “anomale”. A fronte di 186 procedure di assunzione esaminate (riguardanti il settore dei servizi sociali), si è visto come solo in 24 casi siano state previste assunzioni a tempo indeterminato; 53 sono stati i contratti a tempo determinato, ben 112, invece, le procedure avviate per l’assunzione di co.co.co. Va sottolineato come, in 37 casi, i contratti co.co.co posti in essere dalle amministrazioni comunali abbiano riguardato figure professionali basilari o “indispensabili” ai fini dell’erogazione delle prestazioni sociali, quali: assistente sociale (24), psicologo (8), educatore (5). A quest’ultima tipologia contrattuale hanno fatto ricorso sia i piccoli Comuni, sia le amministrazioni comunali più grandi, come Cagliari (dove di recente sono state attivate le procedure concorsuali per il reclutamento di decine di co.co.co nei ruoli di assistente sociali e di altre figure professionali importanti) e Venezia. La “flessibilizzazione” del lavoro pubblico negli enti locali è una realtà ormai consolidata, tuttavia oggi le norme sollecitano le amministrazioni comunali ad abbandonare la strada del progressivo inquadramento negli organici di queste figure professionali. Esemplificativo, sotto questo profilo, è il percorso normativo intrapreso dalla Provincia autonoma di Trento. Con una delibera del febbraio scorso, che ha emanato indirizzi ai Comuni per le politiche del personale, sono state congelate per due anni le graduatorie scadute per l’assunzione di personale a tempo indeterminato, precludendo in questo modo la possibilità di accesso al posto pubblico a molti giovani aspiranti. Si è limitata fortemente, inoltre, la possibilità per i Comuni di assumere personale di ruolo (le assunzioni a tempo indeterminato potranno avvenire solo per sostituire dipendenti che hanno dato le dimissioni per motivi diversi dal pensionamento) e a tempo determinato (per quest’ultima forma contrattuale complessivamente i Comuni possono assumere fino a 65 unità nel 2011). Dalla lettura della delibera si ha, infine, l’impressione che le amministrazioni comunali del Trentino potranno assumere con relativa facilità solo a condizione che applichino le forme contrattuali più flessibili, come ad esempio i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
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Il rapporto tra enti locali e terzo settore: progressiva riduzione delle risorse pubbliche, le procedure di gara per l’affidamento dei tenuto conto che le associazioni si avvalgono servizi sociali di norma di prestazioni volontarie e graRelativamente al periodo settembre 2010 – tuite dei propri soci; mentre, come è noto, marzo 2011, sono state esaminate le procedu- le cooperative sociali e le imprese profit re di gara (112) e le determinazione dirigen- utilizzano manodopera retribuita. ziali (96) pubblicate dai Comuni appartenenti Osservando la composizione percentuale delle al medesimo campione di riferimento, per procedure di affidamento dei servizi sociali, si l’affidamento all’esterno di servizi sociali. ha che l’affidamento diretto viene scelto soSi tratta di selezioni pubbliche e “ristrette” prattutto al Sud e nelle Isole (con percentuali (cioè con procedure negoziate e a licitazione che superano il 30%), meno nelle aree del privata) e di “affidamenti diretti”, in base alle Nord–Ovest (18%). quali i Comuni hanno poi trasferito alle imprese Si stima che, su un totale di 93 euro pro capite sociali e alle associazioni di volontariato la ge- impegnati nel 2009 dai Comuni capoluogo di stione dei servizi alla persona (quali, ad esem- provincia e con più di 50mila abitanti per pio, l’assistenza domiciliare e l’educativa terri- l’acquisto di prestazioni sociali, circa il 25% toriale, l’asilo nido e la mensa, ecc.) e di altri delle risorse vengano impiegate attraverso afservizi sociali, per una spesa totale prevista di fidamenti diretti a cooperative sociali e ad as6,5 milioni di euro. sociazioni, in assenza di gare ad evidenza pubGli stanziamenti di spesa risultano assai fram- blica e di selezioni o procedure negoziate (con mentati: la spesa media per bando (per un to- la conseguente mancata applicazione dei printale di 5,8 milioni relativamente alle 112 pro- cipi di concorrenza ed equità introdotti dalla ricedure di gara attivate) è pari a 51.800 euro forma dell’assistenza - legge 328/2000). circa, al netto dei ribassi ottenuti dai Comuni Sulla base dell’analisi dei bandi, dei capitolati nella fase di aggiudicazione, con una forte va- di appalto e di ulteriori dati rilevati presso i riabilità territoriale. Comuni, la gestione della spesa sociale comuParticolarmente significativo è il numero degli nale affidata all’esterno risulta principalmente affidamenti diretti, pari a 88 (per un importo a favore delle cooperative sociali, soprattutto medio di circa 8.100 euro ciascuno), di cui ben nel Nord-Ovest Italiano (79%). Le associazioni 64 sono rivolti alle associazioni di volontariato di volontariato risultano affidatarie dei servizi per la gestione di servizi sociali cosiddetti inte- sociali principalmente al Sud (28%) e nelle grativi. Pur non potendo operare un confronto Isole (26%). diretto e omogeneo tra le ri- Indagine campionaria Auser. Spesa sociale affidata a cooperative sociali e levazioni effet- associazioni – settembre 2010/marzo 2011. Totale importo a base d’asta tuate negli ul- 112 procedure - totale 5,8 milioni di euro timi tre anni, si (valori in milioni di euro) ha l’impressione come ne1,8 gli ultimi mesi 1,7 sia cresciuto in 1,6 1,6 modo conside1,4 1,4 revole il ricorso alle organizza1,2 1,1 zioni di volon1 tariato da parte 0,8 delle amministrazioni pub0,6 bliche locali. 0,4 Ciò probabilmente allo sco0,2 po di contenere 0 la spesa sociale Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud a fronte della
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Le cooperative sociali gestiscono in particolare ni dispongono di un albo delle sole organizzaservizi di assistenza domiciliare agli anziani, in- zioni di volontariato (lista dei fornitori e dei terventi assistenziali di base (gestione di centri soggetti con cui essi hanno un rapporto fiducon ospiti residenziali) e servizi all’infanzia, ciario e su cui le amministrazioni possono conspecie quelli a carattere educativo e ricreativo. tare per specifici interventi). A tali albi speciaAlle associazioni di volontariato i Comuni affi- lizzati occorre aggiungere quelli “generalisti”, dano in particolare la gestione di servizi cosiddetti innovativi e inte- Procedure di affidamento, per tipologia e ripartizione geografica grativi, di supporto agli interventi “complessi”. Occorre poi osservare che la breve durata degli incarichi (le convenzioni con durata non superiore ad un anno sono pari al 34% delle 112 procedure di gara rilevate, una quota che supera il 40% nel Sud) costituisce elemento di forte incertezza nelle prestazioni di efficienza e di efficacia della spesa sociale. Inoltre, circa il 15% delle gare sono state indette sulla base del criterio di aggiudicazione al cioè comprensivi di tutte le organizzazioni non prezzo più basso determinato mediante mas- profit che realizzano interventi o gestiscono simo ribasso sull’elenco delle offerte. Questa servizi sociali. formula è volta a premiare esclusivamente i ri- Tuttavia, solo una minoranza tra i Comuni cabassi proposti dalle imprese sociali rispetto alla poluogo ha istituito una Consulta del volontabase d’asta o prezzo base progettato dal Co- riato (1 Comune esaminato su 4). Si tratta di mune, ignorando, in definitiva, le componenti una prassi che riguarda in modo particolare le tecniche e qualitative delle offerte. regioni del Centro, alcune Province del Nord Tale prassi è adottata ancora dai Comuni no- (Cuneo, Treviso, Varese, Como) e del Sud (Banostante che la legge 328/2000 e le norme re- ri, Taranto, Cosenza, Palermo). gionali di settore sollecitino, ormai da anni, le Questi dati confermano che al centro delle reamministrazioni pubbliche ad abbandonarla. Va lazioni tra enti locali e terzo settore c’è un esottolineato che il fenomeno risulta molto più norme paradosso. consistente al Sud, con una percentuale di A fronte del rilevante apporto che associazioni bandi interessati al criterio di aggiudicazione e imprese sociali forniscono alla gestione dei del massimo ribasso pari al 36%, e nelle Isole servizi sociali, le amministrazioni pubbliche lo(25%). cali sono ancora inadempienti nella creazione L’indagine ha poi preso in esame le relazioni di regole davvero efficienti e trasparenti per tra i Comuni e la componente del terzo tettore consentire al terzo settore di erogare servizi di costituita dalle associazioni di volontariato. qualità alla cittadinanza, e di giocare un ruolo Tra i Comuni capoluogo di provincia 8 ammini- importanti nella programmazione sociale e in strazioni su 10 riconoscono in modo esplicito o termini di sussidiarietà orizzontale. argomentato nel loro Statuto la funzione e il valore del volontariato; tuttavia, solo il 55% Francesco Montemurro* dei Comuni ha confermato con specifiche linee guida per gli operatori comunali il ruolo e la funzione del volontariato. * Direttore Ires CGIL Piemonte “Lucia Morosini”. Per quanto riguarda le regole per la certificazione degli organismi, quasi la metà dei Comu-
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La lotta alla povertà e all’esclusione sociale: un impegno per l’UE e per gli Stati membri. Sintesi ragionata Di recente, nell’ambito della sezione “Diritto comunitario e comparato” della Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, è stato pubblicato un contributo dal titolo “La lotta alla povertà e all’esclusione sociale: un impegno per l’UE e per gli Stati membri”1. Ideato nel corso del 2010 (designato “Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale” dalla Decisione n. 1098/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio) l’articolo si è basato sulla consapevolezza che la lotta alla povertà e all’esclusione sociale debba essere posta al centro delle politiche necessarie per la costruzione di un’Unione europea più inclusiva. Tale consapevolezza deriva anche dalla lettura ragionata della Strategia Europa 2020, secondo la quale le azioni degli Stati membri dovranno, ancora una volta, fare riferimento in primo luogo alla dimensione comunitaria delle politiche2. Ad essa l’articolo ha riservato un approfondimento specifico, dando altresì spazio alla necessità di sviluppo di un adeguato sistema di governance delle politiche che sia tale da coinvolgere tutti i soggetti responsabili degli interventi, nonché gli operatori delle politiche di settore e gli attori dell’economia e della società civile, nella duplice consapevolezza della dimensione comunitaria delle azioni da mettere a punto e della necessità di porre in essere interventi integrati e di lungo periodo. Del resto, la crisi economica e finanziaria che ha colpito anche l’Europa in questi ultimi anni se, da un lato, ha rappresentato un momento di arresto nel conseguimento degli obiettivi e delle finalità della Strategia di Lisbona, dall’altro ha evidenziato la necessità per l’Europa di agire “in modo collettivo”, al fine di uscire dalla crisi e di trasformare l’Unione europea in “un’economia intelligente, sostenibile G.Bartoli, G.Occhiocupo, La lotta alla povertà e all'esclusione sociale: un impegno per l'Unione Europea e per gli Stati membri, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, Parte terza, Diritto Comunitario e comparato, 4/2010, Giuffrè, pp. 369-385. 2 Sulla necessità di fare riferimento alla dimensione comunitaria delle politiche inerenti al raggiungimento degli obiettivi di competitività economica e di coesione sociale, si veda, tra gli altri, G. Occhiocupo, Il contesto europeo della formazione permanente, in FOR – Rivista per la formazione, Franco Angeli, n. 81, ottobre-dicembre 2009, pp. 85-91. 1
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e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale”3 . La lotta alla povertà e all’esclusione sociale è dunque da collocare nell’ambito della terza priorità, denominata “crescita inclusiva”, indicata dalla Strategia Europa 2020 e per il cui effettivo conseguimento l’Europa e gli Stati membri dovrebbero porre in essere misure destinate ad incidere in una pluralità di ambiti d’intervento interconnessi tra loro da un legame di carattere consequenziale. Infatti, la Strategia fa riferimento ad azioni volte a modernizzare e a potenziare le politiche in materia di occupazione, istruzione e formazione, nonché i sistemi di protezione sociale, cercando sia di aumentare la partecipazione al mercato del lavoro sia di ridurre la disoccupazione strutturale sia, infine, di rafforzare la responsabilità sociale delle imprese. Nell’articolo ci si sofferma sull’analisi del Documento quadro strategico “Priorità e orientamenti per le attività dell’Anno Europeo 2010”, nonché sulle Direttive, azioni ed interventi posti in essere nel contesto italiano in merito alla lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Il Documento quadro strategico, adottato nel 2008 dalla Commissione europea - DG Occupazione, Affari sociali e Pari opportunità - in attuazione della Decisione n. 1098/2008/CE, richiama gli ambiti strategici prioritari definiti nella Decisione che, nel menzionarli, aveva tenuto presente la natura multidimensionale della povertà e dell’esclusione sociale e l’ottica di integrazione di tali fenomeni con le altre politiche. Il Documento strategico ha quindi fissato le priorità per la realizzazione delle attività dell’Anno europeo, invitando ciascuno Stato membro a predisporre il rispettivo Programma Nazionale, da sottoporre alla valutazione e all’approvazione della stessa Commissione. L’Italia, ovvero il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel 2009 ha elaborato il documento “Programma nazionale per il 2010” nel quale sono state delineate azioni strategiche e direttive che, in linea con i principi della 3 In merito, si vedano la Comunicazione del 3.3.2010 del-
la Commissione “Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, COM (2010) 2020, le Conclusioni del Consiglio Europeo (25 e 26 marzo 2010) e le Conclusioni del Consiglio europeo del 17 giugno 2010.
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Commissione europea, con la strategia nazionale di inclusione sociale formalizzata nel “Piano nazionale d’inclusione sociale 2008-2010” e con gli orientamenti del “Libro Bianco sul futuro del modello sociale La vita buona nella società attiva”, hanno posto l’accento anche sulle leve della partecipazione sociale4. L’articolo si conclude con alcune considerazioni accomunate dalla considerazione che il fenomeno della povertà si presenta caratterizzato da una certa complessità dovuta a fattori di diversa natura. Lo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali, partendo dal presupposto ormai consolidato per cui la povertà, in quanto espressione del cambiamento della nostra società, rappresenta una realtà che muta continuamente e che, come tale, è difficilmente riconducibile ai soli indicatori di reddito, accoglie la definizione di povertà assoluta acquisita dall’ISTAT: “una spesa mensile minima necessaria per acquisire un determinato paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, sono considerati essenziali a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile”5. Del resto, il contesto socio economico di riferimento appare definito da un aumento della complessità sociale, progressivamente riconosciuta anche nell’evoluzione normativa, che ha generato l’accrescimento e la diversificazione sia delle variabili da considerare in fase decisionale sia delle sfide poste agli interventi pubblici (cofinanziati o meno dai Fondi Strutturali). Il contesto istituzionale è a sua volta rappresentato da un assetto piuttosto articolato, nel quale le relazioni tra gli attori istituzionali e le riforme costituzionali intervenute in questi ultimi anni nel nostro Paese paiono essere state ispirate al principio di sussidiarietà verticale. Correlativamente, i rapporti tra attori istituzionali e soggetti del terzo settore sembrano invece essere improntati al principio di sussidiarietà orizzontale, principio che richiede una partecipazione non formale alla definizione delle scelte, all’attuazione delle politiche e alla valutazione dei risultati. 4 Per un’ipotesi di leve a supporto del modello sociale, si veda, tra gli altri, G.Bartoli-C.Ranieri, Una leva per l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati, in Servizi sociali oggi, Maggioli Editore, n.2-2009, pp. 65-68. 5 Definizione tratta dal discorso di apertura dell’Anno Europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, tenuto a Milano il 15 febbraio 2010 dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali on. Maurizio Sacconi presso l’Opera Cardinal Ferrari Onlus, op. cit.
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Peraltro, è stato evidenziato come alla povertà siano collegati una serie di fattori di carattere relazionale e materiale, quali: la solitudine e l’inattività di lungo periodo, la povertà alimentare, il problema dell’alloggio, da contrastare mediante un adeguato programma di edilizia sociale, la mancanza di lavoro e di efficaci realtà educative che si affianchino alle famiglie in difficoltà. Questi ultimi due fattori evidenziano la necessità di promuovere politiche del lavoro, formative e sociali che consentano a giovani e adulti di esprimere il proprio potenziale e di difendere la propria dignità di persone. Obiettivi da raggiungere sia mediante l’accesso e il mantenimento del lavoro, nelle sue varie forme e tipologie contrattuali, sia attraverso la valorizzazione di legami tra la scuola, il lavoro e le associazioni di volontariato sia, infine, mediante il rafforzamento di servizi socio-sanitariassistenziali territoriali (centri per l’ascolto, sportelli informativi, servizi di orientamento e accompagnamento) in grado di intercettare effettivamente le situazioni di bisogno e/o di prevenirne l’aggravamento, costituendo, insieme all’opera caritatevole dei privati (singoli o associati), una “rete protettiva” cui fare riferimento. Si prefigura quindi uno scenario nel quale sarà di fondamentale importanza lo sviluppo di un sistema di governance delle politiche (comprese quelle per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale) caratterizzato da significativi processi innovativi di carattere politico, istituzionale e normativo a livello comunitario, statale e regionale. In tale contesto affiora anche l’importanza di coinvolgere le parti sociali e la società civile organizzata per conseguire gli obiettivi che l’Unione europea si è prefissata, specie con riferimento ai settori delle riforme socioeconomiche e dello sviluppo sostenibile6. Giovanni Bartoli* Giuditta Occhiocupo In merito, la Dichiarazione finale “Il coinvolgimento delle parti sociali e della società civile organizzata nell’ambito della strategia Europa 2020” adottata a Bruxelles il 16 settembre 2010 dai Presidenti e Segretari generali dei Consigli economici e sociali (CES) degli Stati membri e del Comitato economico e sociale europeo.
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Giovanni Bartoli. Ricercatore ISFOL, Area risorse strutturali e umane dei sistemi formativi. Si occupa di politiche attive del lavoro, in particolare dal punto di vista
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welfare on line dei profili di protezione sociale, come l’inserimento dei soggetti svantaggiati nel mercato del lavoro, attraverso strumenti legislativi, e delle misure di lotta alla povertà e all’esclusione. Ha inoltre svolto attività scientifica e di supporto tecnico nella costruzione di partenariati formativi internazionali, sul versante della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Giuditta Occhiocupo. Ricercatrice di ruolo presso l'ISFOL, in comando presso il CNEL. In questi anni ha svolto
una costante attività di ricerca e di consulenza tecnica in vari ambiti di attività tra i quali: i sistemi di finanziamento alla formazione, con particolare riguardo agli interventi cofinanziati dal FSE; i riflessi del decentramento, del federalismo e della Legge 3/2001 di riforma del Titolo V della Costituzione e, più in generale, i sistemi di governance di livello comunitario, statale e regionale delle politiche formative, del lavoro e sociali.
Cineforum a cura di
Matteo Domenico Recine Non lasciarmi Film tratto da un romanzo di Kazuo Ishiguro intitolato Never let me go. La storia si divide in tre quadri distinti. Il primo è ambientato nel collegio in cui i tre protagonisti (Kathy, Tommy e Ruth), ancora ragazzini, crescono, si formano, apprendono il loro destino di cloni e provano le prime pulsioni amorose. Nel secondo, ormai cresciuti, i tre ragazzi escono dal collegio e vanno a vivere in campagna, dove lavorano, vivono una parvenza di vita normale e si preparano al proprio destino. I rapporti si saldano in modo ambiguo, Ruth e Tommy hanno una relazione ma non sembrano particolarmente affiatati, mentre Kathy è innamorata di Tommy. L’ultimo quadro è quello che vira più sul “patetico”. Se, infatti, la condizione di clone è accettata passivamente fin dall’inizio (sono, piuttosto, alcuni degli insegnanti umani a viverla con più disagio), la prospettiva, per chi è innamorato, diviene improvvisamente insopportabile. Lasciatisi Ruth e Tommy, quest’ultimo e Kathy riescono a stare insieme, ma solo per un tempo brevissimo. Nonostante ciò, non si palesa nessun atto di vera ribellione e la morte è attesa come una necessità. Il film risulta piuttosto discontinuo: inizio molto interessante, secondo quadro statico, un po’ troppo melodrammatico l’ultimo. Ciò che muove la narrazione è l’uso funzionale, quasi scontato nel tessuto sociale – e perciò assai sorprendente e crudele – che si fa della clonazione. Allo stesso tempo plausibile e inconcepibile. A livello allegorico, ciò che il film sembra suggerire è un tema più “alto”: i cloni sono un pretesto per ragionare sui criteri che definiscono tale un essere umano. Pulsioni artistiche, ad esempio, oppure sentimenti e speranze, persino laddove sembrerebbe non esserci più alcuno spazio. Il rischio, secondo Ishiguro, è che si arrivi a non vedere più l’umanità degli esseri umani, se il fine utilitaristico dovesse richiederlo come sacrificio per un presunto vantaggio comune. Per quanto riguarda la recitazione, risultano più bravi gli attori giovani rispetto alle star del film. Regia didascalica e fotografia assai suggestiva. Un film di Mark Romanek. Con Carey Mulligan, Andrew Garfield, Keira Knightley, Isobel Meikle-Small, Ella Purnell, Charlie Rowe, Charlotte Rampling, Sally Hawkins, Nathalie Richard, Andrea Riseborough, Domhnall Gleeson, Hannah Sharp, Lydia Wilson, Oliver Parsons, Gareth Derrick, Kate Bowes Renna, Christina Carrafiell, Luke Bryant, Fidelis Morgan, Damien Thomas, David Sterne, Anna Maria Everett, Monica Dolan, Chidi Chickwe. Titolo originale Never Let Me Go. Drammatico, durata 103 min. - USA, Gran Bretagna 2010. - 20th Century Fox uscita venerdì 25 marzo 2011.
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Uguaglianza nel lavoro: una sfida continua Presentato a Ginevra lo scorso maggio, il nuovo Rapporto globale dell’ILO (International Labour Organization) sui principi e diritti fondamentali nel lavoro, dal titolo “Uguaglianza nel lavoro: una sfida continua”1, fornisce un quadro dinamico delle tendenze registratesi negli ultimi quattro anni in fatto di discriminazione nel lavoro, nonché degli obiettivi e delle azioni future che l’ILO vorrà intraprendere per fronteggiare tale problematica. In primo luogo, l’ILO evidenzia una situazione generale in cui la crisi economica e finanziaria mondiale si sono tradotti in una grave crisi dell’occupazione, all’interno della quale la discriminazione in materia di impiego e di professione a livello mondiale presenta aspetti positivi e negativi, allo stesso tempo. Da un lato, la legislazione si è sviluppata con maggiori iniziative istituzionali e, più in generale, si percepisce una crescente consapevolezza della necessità di lottare contro la discriminazione nel lavoro. Tuttavia, dall’altro lato, gli strumenti non sono al passo della volontà politica e la prolungata recessione economica mette in luce debolezze strutturali, aggravando il problema della discriminazione. A ciò si aggiunge la continua diversificazione delle discriminazioni che fanno emergere continuamente nuove e ulteriori sfide, quando quelle esistenti sono risolte solo parzialmente. http://www.ilo.org/ilc/ILCSessions/1 00thSession/reports/reportssubmitted/WCMS_154779/lang-it/index.htm 1
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In generale, il Rapporto sostiene che “la discriminazione è frutto delle azioni dei datori del lavoro, della legislazione e della prassi nazionale, di fattori socio-culturali e delle diverse percezioni delle cause delle difficoltà economiche e sociali. Pertanto, il nesso fra la non discriminazione e la stabilità sociale è particolarmente rilevante in un periodo di avversità economica”2. Infatti, alcune misure adottate per mitigare gli effetti della crisi hanno indirettamente e involontariamente contribuito ad accrescere la discriminazione contro alcune categorie di lavoratori poiché, di fronte a questioni prioritarie come la mancata crescita e la disoccupazione, la discriminazione rischia di cadere in secondo piano rispetto a politiche economiche e occupazionali di breve e medio periodo. Secondo quanto affermato dall’ILO, invece, solo affrontando fattori di vulnerabilità economica e sociale quali la discriminazione etnica e di genere e “ponendo il diritto fondamentale, di tutti gli uomini e le donne, alla nondiscriminazione in materia di impiego e di professione al centro delle politiche di ripresa e della lotta alla povertà sarà possibile ottenere una crescita più sostenibile e delle società più giuste”3. L’obiettivo è arduo e la strada in salita: per garantire ciò, sostiene l’ILO, sono necessari lo sviluppo della legislazione, il rafforzamento delle istituzioni, la sensibilizzazione, l’azione volontaria delle parti sociali e 2 3
Vedi pag. 2 del Rapporto. Vedi pag. 3 del Rapporto.
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il cambiamento nei comportamenti attraverso l’istruzione. Aspetti positivi e negativi Nonostante il contesto di crisi economia diffusa, si possono annoverare numerosi aspetti positivi nelle politiche e nella legislazione contro la discriminazione, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Innanzitutto, le leggi su uguaglianza e non discriminazione sul lavoro integrano un numero sempre maggiore di motivi di discriminazione e garantiscono una protezione più completa. Ad esempio, sono stati compiuti rapidi progressi per quanto riguarda il divieto di discriminazione in base alla disabilità e all’età; inoltre, etnia e genere sono i due motivi di discriminazione espressamente inclusi in quasi tutte le leggi su uguaglianza e nondiscriminazione nel lavoro. Tuttavia, evidenzia il Rapporto, vi è un certo ritardo per quanto riguarda il riconoscimento esplicito di altri motivi di discriminazione come l'origine nazionale, l’estrazione sociale e le opinioni politiche. In tutto il mondo, poi, sono state introdotte nuove leggi o le legislazioni vigenti sono state modificate per vietare la discriminazione fondata sull’età, la maternità e lo stato coniugale, la disabilità, lo stile di vita. Sono stati implementati interventi legislativi inerenti politiche di sostegno alla famiglia come, ad esempio, i congedi parentali, la protezione della maternità e l’allat-tamento, o politiche per la formazione continua dei lavoratori in età avanzata e l’introduzione di quote riservate alle donne negli incarichi dirigenziali.
Disporre di leggi e istituzioni che vietano la discriminazione nel lavoro e offrono dei meccanismi di ricorso non è sufficiente. L’applicazione della legge richiede che queste istituzioni funzionino efficacemente Molte di esse devono affrontare la carenza di risorse umane e finanziarie, la mancata coerenza delle politiche adottate a livello nazionale e locale. Inoltre l’insuf-ficiente sinergia e cooperazione con le altre istituzioni interessate possono compromettere seriamente la capacità delle istituzioni di impedire che la crisi economica si traduca in un aumento della discriminazione e della disuguaglianza. Infine, a ciò si aggiunge la mancanza di dati affidabili che rende difficile monitorare e valutare l’impatto delle misure adottate. Se le statistiche sono insufficienti o inattendibili, la reale portata delle pratiche discriminatorie resta sconosciuta; in particolare, le comparazioni internazionali risultano incomplete e imprecise. Tipologia delle discriminazioni Negli ultimi decenni sono stati compiuti degli importanti passi in avanti in termini di uguaglianza di genere nel mondo del lavoro. Tuttavia, nonostante le politiche e le legislazioni nazionali siano migliorate, le donne continuano a subire discriminazioni in termini di opportunità di accesso a posizioni di responsabilità, remunerazione, condizioni di lavoro. Nel mondo 829 milioni di donne vivono in povertà (gli uomini sono 522 milioni) e nonostante i progressi raggiunti dalle donne in termini di istruzione, il divario salariale, in gran parte dovuto alla se-
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gregazione settoriale e professionale, esiste ancora. Si pensi che le donne continuano ad essere maggiormente impiegate in lavori mal retribuiti e guadagnano in media il 70-90 per cento degli uomini. Secondo quanto riportato nel Rapporto, esempio quotidiano di discriminazione strutturale è la scarsa disponibilità di servizi per l’infanzia accessibili. Essi rappresentano un prerequisito necessario per partecipare pienamente alla vita lavorativa e per garantire il proprio sostentamento. La mancanza di questi servizi pone i lavoratori in una condizione di svantaggio e riduce la gamma delle opportunità di impiego a cui possono accedere. Ancora diffusa è la discriminazione legata alla gravidanza e alla maternità: l’accesso delle donne a determinati posti di lavoro può essere limitato a causa della loro funzione riproduttiva. In tutto il mondo si è assistito ad un aumento della discriminazione nei confronti delle donne per motivi legati alla maternità, mentre allo stesso tempo, sono state introdotte nuove disposizioni legislative per proteggere le donne contro i licenziamenti e la discriminazione legata alla gravidanza, lo stato coniugale, le responsabilità familiari o il congedo di maternità. Le molestie sessuali rimangono un problema significativo nei luoghi di lavoro. I gruppi maggiormente esposti a tale pericolo sono le giovani donne, non autonome finanziariamente, single o divorziate, e le lavoratrici migranti. Fra gli uomini i più vulnerabili sono per lo più i giovani, gli omosessuali e i membri delle minoranze etniche. Nonostante siano stati compiuti alcuni progressi, la ne-
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cessità di combattere il razzismo continua ad essere fondamentale poiché in molti campi i risultati sono ancora insufficienti o nulli. Secondo quanto emerge dal Rapporto sono necessari una combinazione di norme, politiche e altri strumenti, per la rimozione degli ostacoli che impediscono la parità di accesso al mercato del lavoro. I più colpiti da queste difficoltà sono le persone di origine africana o asiatica, i popoli indigeni e le minoranza etniche, sopratutto le donne. Tutti gli studi segnalano una generalizzata discriminazione nei confronti dei lavoratori migranti (che rappresentano dall’8 al 20 per cento della forza lavoro) per quanto riguarda l’accesso all’impiego e in molti casi anche nel lavoro. I lavoratori migranti sono stati colpiti duramente dalla crisi economica in termini di riduzione delle opportunità di lavoro e di possibilità di migrazione, di episodi di xenofobia, di peggioramento delle condizioni di lavoro e di atti di violenza nei loro confronti. Spesso sono anche esclusi dai sistemi di protezione sociale. Secondo quanto riportato dal Rapporto, in concomitanza all’inquietudine determinata dalle migrazioni dei lavoratori in un momento di incertezza economica e sociale, è cresciuto il numero delle donne e degli uomini che hanno sperimentato episodi di discriminazione per motivi religiosi. Per quanto riguarda la discriminazione fondata sulle opinioni politiche, essa tende a verificarsi in particolare nel settore pubblico, dove l’appartenenza alle idee politiche del governo in carica può influire nell’accesso all’impiego.
Pur riconoscendo l’importante passo in avanti della normativa nell’ambito della disabilità grazie all’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, il Rapporto fa notare la persistenza di un dato preoccupante secondo cui la discriminazione nel lavoro nei confronti delle persone con disabilità si rende visibile tramite un limitato accesso all’istruzione, alla formazione professionale e al reinserimento, fino alle più evidenti differenze salariali rispetto al resto della popolazione attiva e all’esclusione da alcune professioni. Secondo i dati dello studio condotto, circa il 10 per cento della popolazione mondiale, ossia 650 milioni di persone, presenta una disabilità motoria, sensoriale o intellettiva e relazionale. Di questi, oltre 470 milioni sono in età lavorativa, il cui tasso di occupazione è molto più basso rispetto alle persone che non hanno disabilità. Altra tipologia di discriminazione rilevata dall’analisi è quella che viene esercitata nei confronti di persone con HIV. Essa può manifestarsi attraverso l’imposizione di analisi obbligatorie o in cui la volontarietà è solo apparente o la confidenzialità dei risultati non è garantita. Altra forma di discriminazione evidenziata dal rapporto è quella basata sull’orientamento sessuale. Infatti, l’omosessualità in molti Paesi è ancora considerata come un crimine: le persone lesbiche, omosessuali, bisessuali e transessuali si trovano spesso sul posto di lavoro o durante
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la ricerca di un impiego a dover affrontare violenze, molestie, discriminazione, esclusione, stigmatizzazione e pregiudizi. Secondo alcuni studi, la differenza salariale tra omosessuali ed eterosessuali varia dal 3 al 30 per cento. inoltre, le coppie composte da individui dello stesso sesso, così come d’altra parte quelle cosiddette “di fatto”, non sempre godono degli stessi vantaggi delle coppie sposate, e il diritto di includere il compagno all’interno dei piani di assicurazione sanitaria e di altri benefici connessi all’attività lavorativa non sempre viene garantito. Risposte e proposte La questione della discriminazione, dunque, deve essere affrontata a livello nazionale dai governi con interventi politici, legislativi e amministrativi, e attraverso il dialogo sociale, al fine di garantire la parità sul lavoro. Un’azione mirata è necessaria anche sui posti di lavoro, con il coinvolgimento diretto delle parti sociali. Nello specifico, per quanto concerne l’azione dell’ILO, negli ultimi quattro anni sono state adottati e attuati nuove politiche e piani d’azione per la parità, sia a livello nazionale che sui posti di lavoro. In tal senso è da registrare la prosecuzione dell’attività di adattamento delle legislazioni nazionali alle Convenzioni dell’ILO più importanti, mentre gli strumenti dell’ILO sono stati utilizzati sempre più regolarmente: i giudici hanno sempre più spesso fatto riferimento alle Convenzioni
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dell’ILO nelle proprie decisioni e coloro che vi aderiscono sono più consapevoli dei propri diritti. Il Rapporto, nel raccomandare una serie di misure per contrastare la discriminazione, ha identificato e propone quattro aree di intervento prioritarie per il futuro: a) promozione della ratifica e applicazione universale delle due Convenzioni fondamentali dell’ILO sull’uguaglianza e la non discriminazione; b) sviluppo e condivisione delle conoscenze relative all’eliminazione della discriminazione in materia di impiego e di professione; c) sviluppo della capacità istituzionale dei costituenti dell’ILO affinché realizzino in modo efficace il diritto fondamentale alla non discriminazione nel lavoro; d) rafforzamento dei partenariati internazionali con i principali attori impegnati nella promozione dell’uguaglianza. La ratifica delle due Convenzioni fondamentali dell’ILO — La Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione, 1951 (n. 100), e la Convenzione sulla discriminazione (impiego e professione), 1958 (n. 111) — sono state ratificate rispettivamente da 168 e 169 Stati, su un totale di 183 Stati membri dell’ILO. Quando il numero delle ratifiche supererà il 90 per cento, l’obiettivo della ratifica universale sarà a portata di mano, precisa il Rapporto. Zaira Bassetti
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LiBrInMenTe Io cammino in fila indiana di
Silvia Spatari
“C’era una volta un piccolo paese”. Uno in cui la cosa pubblica era equamente divisa tra il Partito dei mafiosi e il Partito dei corrotti e a scuola si insegnava l’unica materia davvero necessaria: la fila indiana; in cui i poveri si erano venduti tutto, la fame, la sete, la rabbia e anche la povertà, e i ricchi le avevano acquistate per assaporarle a proprio piacimento, come un Barolo d’annata; in cui gli anarchici e i rivoluzionari facevano quietamente anticamera per decenni nell’attesa di buttare la propria bomba di indignazione nel palazzo del potere, e intanto invecchiavano e vedevano le molotov svaporare. Un piccolo paese in cui Dio faceva la fila alla cassa del supermercato vestito da Paperinik, e rideva del mondo che aveva creato. “C’era una volta un piccolo paese. Ci viveva un piccolo popolo governato da un piccolo governo”. Forse è tutta qua la nostra Italia, sviscerata e poi confezionata a foggia di brevi parabole, in parte didascaliche e in parte corrosive, che denunciano le brutture e le collusioni della storia recente con l’amara gaiezza di una fiaba illividita. Attingendo a un’immaginaria zona franca tra Esopo e Kafka l’autore costruisce un gioco dell’oca iperreale, con il percorso scandito da disinformazione, egoismo e indifferenza. E noi lanciamo i nostri dadi con tanta dedizione da non vedere che il gioco è truccato, e che in qualche modo veniamo sbattuti sempre indietro alla casella di partenza. Una volta che il grottesco e l’iperbole nei racconti di Celestini sfumano via, rimane sì un senso di amarezza rabbiosa, ma anche il desiderio di riappropriarsi del proprio destino. C’era una volta un piccolo paese. Ma è davvero così piccolo questo nostro piccolo Paese? Ascanio Celestini 2011, Einaudi € 18,50
€ 16,00
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Hanno collaborato a questo numero Giovanni Bartoli, Zaira Bassetti,
Francesco Montemurro,
Matteo Domenico Recine, Giuditta Occhiocupo, Silvia Spatari Redattore
Zaira Bassetti
Impaginazione
Zaira Bassetti, Marco Biondi Redazione
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