WOL - Welfare On Line, N. 7, Dicembre 2011

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welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno VII, Numero 7, Dicembre 2011

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Foto di Marco Biondi In questo numero: “Disegniamo il Welfare di domani:una proposta di riforma dell’assistenza attuale e fattibile” di Emanuele Ranci Ortigosa – pag. 2 “Il libro nero sul welfare italiano” di Giulio Marcon – pag. 7 “Cittadini costruttori di welfare” di Anna Lisa Mandorino – pag. 11 Le nostre rubriche: “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine – pag. 11 “LibrInMente” a cura di Silvia Spatari – pag. 14

Associazione Nuovo Welfare


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Disegniamo il Welfare di domani:una proposta di riforma dell’assistenza attuale e fattibile Ragioni e criteri per una riforma Riforme e innovazioni sono spesso prodotte dalla volontà di affrontare problemi alimentati e drammatizzati da tempi e congiunture critiche, che non consentono di procedere linearmente, per inerzia, dando semplicemente di più di quello che si è sempre dato, perché risorse ulteriori più non ci sono. E allora si è spinti a riesaminare quello che si è sempre fatto, a rivedere pensieri e strategie, impegnare la propria creatività ma anche la propria capacità di ascolto, di interazione, di combinazione di pensieri, azioni, risorse prima ignorate, non interpellate, non coinvolte. Se le risorse sono poche rispetto alla fragilità, alle attese, ai bisogni cui voglio dare ascolto e rispondere con azioni positive, di cura, di accompagnamento, di promozione, devo usarle bene, con buon esito, quindi con efficacia, e devo usarle in modo equo, cioè più dando a chi ha più bisogno e non ha risorse proprie o familiari che l’aiutino a fronteggiarle. L’impostazione è l’universalismo, quindi dare a tutti, e dare con interventi efficaci, cioè che riducano o risolvano i problemi, aiutino a gestirli o a uscirne, a superarli. L’efficacia è quindi una chiave di verifica e, nel caso di riforma, di riprogettazione a tutti i livelli. L’efficacia è l’esito dell’appropriatezza e dell’adeguatezza, che vanno perseguite su indirizzi tecnici, metodologici, ma si specificano solo sul caso concreto. La massimizzazione dell’efficacia si ha sul territorio, dove l’intervento può essere progettato e attuato su misura del beneficiario, individuo, famiglia, gruppo sociale. Non solo per il contenuto erogato, ma anche per la relazionalità e il coinvolgimento del contesto che il territorio consente. Ma in tempi di crisi le ridotte risorse finanziarie a disposizione, rendono difficile dare a tutti (universalismo) interventi su misura, quindi efficaci. E qui allora occorre far ricorso ad un ulteriore criterio, l’equità, che integra l’universalismo con la selettività. Perché si possano dare a tutti aiuti, sostegni, stimoli efficaci, si deve assicurarli gratuitamente a chi è in condizioni economiche disagiate, mentre spesso si deve chiedere a chi è benestante, o anche ricco, di essere solidale, di concorrere alla copertura del costo di quei servizi. Equità è perseguire l’eguaglianza fra persone di diseguale

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condizione. Questi criteri (universalismo – efficacia – equità), insieme a quelli di chiamata e valorizzazione di tutte le risorse della persona, delle famiglie, delle organizzazioni, delle aziende, del contesto sociale, ecc., siano elementi essenziali per il Nuovo Welfare. I criteri ora richiamati sono alla base della proposta di riforma dell’assistenza (meglio delle politiche sociali) che con un gruppo di esperti ha elaborato e presentato il settembre scorso, e ora pubblicato su “Prospettive Sociali e Sanitarie 2011, n.20/22”. Una proposta che riparte dall’interrotto percorso avviato dalla 328 e poi abbandonato, cestinato, se non per Regioni e Comuni che la programmazione sociale l’hanno, con varia qualità, attivata1 La definizione del campo e l’individuazione delle criticità sociali e del sistema assistenziale Partendo da una ricognizione dei bisogni sociali crescenti si passa ad una rilevazione dei limiti e delle criticità attuali dell’assistenza sociale, così riassumibili: • è priva di un approccio universalistico e integrato alla popolazione e ai suoi bisogni, in quanto costruita non in base ad una visione complessiva, ma per stratificazioni successive di interventi e politiche, che quindi risultano settoriali, categoriali, frammentate e poco efficaci; Su iniziativa di Prospettive Sociali e Sanitarie un gruppo qualificato di esperti dell’Irs e di alcune Università ha elaborato una proposta di riforma delle politiche assistenziali incisiva, realistica, agibile, che è stata presentata a Milano, nel convegno “Disegniamo il welfare di domani” del 29 settembre 2011, al Sindaco di Milano, al Presidente della Regione Emilia Romagna e della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, al Portavoce nazionale del Forum Terzo Settore e Presidente nazionale Acli, e a più di 500 partecipanti al convegno. Il gruppo che ha redatto la proposta è stato coordinato da Emanuele Ranci Ortigosa (Pss, Irs) e composto da Paolo Bosi e Maria Cecilia Guerra (Capp, Università di Modena e Reggio Emilia), Francesco Longo (Cergas, Università Bocconi), Valerio Onida (Presidente emerito della Corte Costituzionale), Alberto Zanardi (Università di Bologna), e dai ricercatori dell’Istituto per la Ricerca Sociale, Ugo De Ambrogio, Daniela Mesini, Sergio Pasquinelli, Manuela Samek, Stefania Stea. Il testo integrale è pubblicato su Prospettive Sociali e Sanitarie, 2011, n.20/22.

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tratta condizioni uguali spesso in maniera differente, lasciando anche vuoti di protezione; • eroga prevalentemente prestazioni monetarie (circa il 90% della spesa), non controllandone l’utilizzo; • presenta una netta prevalenza di programmi governati dal centro (86% della spesa complessiva); • non offre sufficienti e ben distribuiti servizi, non accompagna l’emersione del bisogno; • ottiene mediocri effetti distributivi e una selettività molto imperfetta; • presenta dunque problemi di appropriatezza, efficacia ed equità delle politiche e degli interventi. Su queste valutazioni critiche gli autori si chiedono se è possibile fare una riforma generale delle politiche socio assistenziali, assumendo per realismo come vincolo il fatto che nel prossimo futuro non si potrà contare su risorse aggiuntive, ma occorrerà preservare tutte le risorse attualmente disponibili contro i continui tentativi di falcidiarle ulteriormente. L’impostazione e i contenuti della proposta La proposta muove dalla individuazione dell’oggetto considerato, il campo socio assistenziale, i cui confini vengono posti molto oltre quelli considerati dal federalismo fiscale e quelli inafferrabili del ddl di delega in esame. La tabella 1 evidenzia l’estensione del campo, a ben 62 miliardi, pari a quasi 4 punti del Pil. L’impostazione della riforma proposta è quella anticipata in apertura, e in sintesi è la seguente: 1 la funzione delle politiche sociali, oggi non adeguatamente svolta, è di sostenere le persone e le famiglie in difficoltà. Per impostare allora e implementare correttamente la riforma di tali politiche occorre ripartire dalla base, e cioè dai bisogni e dai problemi che concretamente affliggono la condizione di vita delle persone, delle famiglie, delle aggregazioni sociali che abitano un territorio. 2 Per cogliere tempestivamente tali bisogni e problemi, analizzarli nella loro specificità e poter progettare e attivare risposte effettive e appropriate, e quindi efficaci, occorre che le funzioni e le risorse assistenziali siano presenti e operanti sul territorio, sui singoli territori. Per migliorare l’efficacia delle poli-

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tiche e degli interventi sociali è allora necessario rimettere in discussione e riformare le attuali misure nazionali, che ingessano il sistema e impediscono ogni sviluppo, e decentrare le loro funzioni e risorse (56,5 mld di euro), per unirle alle risorse di Comuni e Regioni già operanti sul territorio (8,5 mld), con un radicale ribaltamento dell’attuale distribuzione. Tale radicale decentramento risponde al dettato costituzionale, che riserva la materia assistenziale per la funzione legislativa alle Regioni, per quella amministrativa ai Comuni, e avrebbe dovuto essere effettuato con il federalismo fiscale, che si è limitato invece a riprodurre la attuale distribuzione di funzioni e risorse. Per fronteggiare le condizioni di bisogno e di sofferenza di tutti è necessario assumere come criterio generale di accesso ai benefici l’universalismo selettivo: considerazione dei bisogni socialmente rilevanti di tutti, ma, data la ristrettezza delle risorse, rinuncia alla gratuità generalizzata nell’uso dei servizi. Introduzione quindi di selettività sulle condizioni reddituali e patrimoniali. Chi più può è chiamato a concorrere alla copertura dei costi degli interventi, perché tutti coloro che sono in situazione di difficoltà possano essere sostenuti. Data la distribuzione attuale dei beneficiari, poco equa in termini di selettività sulle condizioni economiche, tale criterio offrirà la possibilità di avere risorse per riqualificare le forme di sostegno, offrire risposte più appropriate ed efficaci a un target di utenza che a seconda della propria condizione economica ne beneficerà gratuitamente o sarà chiamata a concorrere alla copertura dei costi degli interventi. Sul territorio sarà possibile effettuare una analisi della situazione e una progettazione degli interventi appropriati discutendone e negoziandone con i beneficiari o loro persone di sostegno. Si potrà così riconoscere e valorizzare le risorse dei beneficiari stessi, delle loro famiglie, del contesto sociale, delle presenze associative e di volontariato, attivando competenze e disponibilità aggiuntive sulle singole situazioni e arricchendo una cultura e stimolando comportamenti generosi e solidaristici delle popolazioni abitanti quei territori.


7 Il progressivo abbandono delle erogazioni nazionali pone dei rischi e suscita delle ansietà nei destinatari che debbono essere attentamente considerate. Ragioni di solidarietà, ma ancora prima di equità sociale, dovrebbero tuttavia prevalere sui “diritti acquisiti” che non siano fondati su contribuzioni previdenziali o assicurative precedentemente versate. Naturalmente la transizione è delicata, va declinata processualmente, e senza mettere a brusco repentaglio gli equilibri economici delle famiglie. 8 Per garantire i diritti civili e sociali dei cittadini su tutto il territorio nazionale, la legislazione di riforma dovrà normare i livelli essenziali delle prestazioni sociali, che la Costituzione stessa, come la legislazione ordinaria, dalla l. 328/00 alla l. 42/09 sul federalismo, pongono a presidio di quanti si trovano in una situazione di fragilità e bisogno. Nella tensione inevitabile tra livelli essenziali, cioè adeguati al nostro livello di sviluppo civile, sociale, economico, e limitatezza delle risorse disponibili, sarà necessario assumere i livelli essenziali come obiettivo, verso cui convergere a partire dalle situazioni esistenti, con tutte le risorse disponibili. Tale impostazione vale per i livelli essenziali definiti sia in termini di diritti soggettivi esigibili (anche questi articolati nel tempo) che in termini di standard (di servizi, di operatori, di risorse, ecc.). La definizione nazionale dovrà consentire a Regioni e Comuni margini di autonomo adattamento alle situazioni territoriali. 9 Sono ipotizzabili anche percorsi a velocità differenziate per le diverse Regioni e entità locali, a secondo della loro preparazione a gestire le diverse nuove misure. Così non si abbassa l’obiettivo “essenziale” e l’impegno a perseguirlo, ma realisticamente lo si fa in un arco certo di tempo con le risorse che ci si impegna concretamente ad acquisire. Breve annotazione e rinvio sul Governo, la produzione, il rapporto tra pubblico e privato La proposta prevede l’attuazione del dettato costituzionale: allo Stato la definizione dei livelli essenziali che potrebbe essere accompagnata dalla quantificazione di un fondo per le

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politiche sociali, ovviamente nel quadro del federalismo fiscale non vincolante nelle entità di spesa previste né per Regioni né per Comuni, chiamati a rispondere però del rispetto dei livelli essenziali. Normativa, programmazione e impegno di risorse aggiuntive sono compiti delle Regioni, mentre l’amministrazione nelle sue diverse articolazioni è compito dei Comuni, che devono esercitarla integralmente unitariamente, singoli o associati, comunque a scala di ambito, analoga a quella dei distretti sanitari, assumendo le forme istituzionali più adeguate al compito. Sulla distribuzione delle cospicue risorse oggi gestite dall’Inps. In linea di massima gran parte delle risorse potrebbe andare ai Comuni, ma una quota funzionale all’efficacia della loro funzione normativa e programmatoria dovrebbe andare alle Regioni, per essere utilizzata anche come incentivazione a sostegno dei propri indirizzi. Su ulteriori aspetti del sistema istituzionale, sull’organizzazione della produzione dei servizi sul territorio, sul rapporto pubblico-privato non posso qui per ragioni di spazio diffondermi e rinvio quindi il lettore interessato a consultare il testo integrale di Prospettive Sociali e Sanitarie. Le risorse finanziarie Con questa impostazione gli autori ritengono che si possano e si debbano riformare le politiche sociali e che questo possa essere fatto con le risorse oggi disponibili, difendendole dagli ulteriori tagli, aumentandone la resa in termini


di efficacia, migliorandone l’equità. A tal fine gli autori prendono le mosse dalla evidenziazione della scarsa efficacia redistributiva della attuale spesa assistenziale, dipendente anche dal cattivo disegno dei meccanismi di selettività utilizzati in molti programmi di spesa sociale e in particolare dal fatto che non sempre si fa riferimento ad una valutazione della condizione economica che tenga conto adeguatamente di ogni fonte che alimenta il reddito disponibile e della condizione dell’insieme del contesto familiare all’interno del quale vive il beneficiario dei trasferimenti pubblici. Se analizziamo la distribuzione per decili di reddito familiare equivalente dei percettori dei benefici di tre dei più importanti programmi di spesa assistenziale: pensioni sociali, assegni familiari e indennità di accompagnamento (non è purtroppo possibile effettuare elaborazioni analoghe per l’istituto delle pensioni integrate al minimo), che nel loro insieme rappresentano più di un terzo della spesa di assistenza sociale, ne risulta che il 58% della spesa per indennità di accompagnamento è percepito da beneficiari che vivono in famiglie con reddito superiore alla mediana. E ciò non sorprende in considerazione del carattere non selettivo rispetto al reddito di tale istituto. Ma è invece sorprendente che alla metà più ricca delle famiglie affluisca il 34% degli assegni familiari e il 24% delle pensioni e degli assegni sociali, misure di integrazione del reddito condizionate in vario modo alla situazione economica dei beneficiari. È infatti legittimo attendersi che almeno le misure finalizzate all’integrazione del reddito e finanziate dalla fiscalità generale concentrino i loro benefici sui decili di famiglie a reddito equivalente più basso, e pensare allora di rivedere le attuali misure che distribuiscono i benefici ben al di là dell’area del bisogno economico. Questo potrebbe infatti liberare risorse per riformare e integrare il nostro sistema assistenziale nel senso che presto verrà chiarito. Per indicare l’ordine di grandezza di tali risorse, se in via ipotetica per questi tre programmi si azzerasse la spesa pubblica destinata ai beneficiari dei tre decili superiori, si renderebbero disponibili quasi 4 miliardi di risorse (di cui 1,5 relativi a pensioni e assegni). Ancora, se si azzerasse la spesa pubblica per pensione ed assegno sociale con riferimento ai decili di reddito familiare equivalente superiori alla mediana (pari a oltre 19.000 euro annui), si libererebbero risorse per quasi 2 mld di euro; se si considerasse nel computo anche il

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34% della spesa per assegni al nucleo familiare attualmente percepita dalla metà più ricca di famiglie, si recupererebbero altri 1,7 mld di euro. Si verrebbe così a disporre di circa 3,7 mld di euro. Se si trattassero allo stesso modo le integrazioni al minimo, per le quali non disponiamo purtroppo della distribuzione per decili di reddito e dobbiamo quindi ricorrere a stime anche grossolane, si potrebbero recuperare risorse per aggiuntivi 3 mld di euro2. Su queste analisi la risposta degli autori alla domanda se è possibile fare una riforma generale delle politiche socio assistenziali assumendo per realismo come vincolo il fatto che nel prossimo futuro non si potrà contare su risorse aggiuntive, è positiva: la crisi economica e sociale richiede riforme urgenti, e queste nel campo considerato possono essere fatte anche senza risorse ulteriori a quelle presenti. Naturalmente l’attuazione della riforma proposta implica delicati problemi di consenso e di equità che devono essere trattati con una transizione graduale che non determini seri contraccolpi sul tenore di vita delle persone e delle famiglie, ma che comunque affermi come prioritari criteri di uguaglianza di trattamento a fronte di condizioni di fragilità personale e familiare o di onerosità di carichi assistenziali. La revisione delle diverse politiche sociali: alcuni esempi La proposta avanzata viene articolata e declinata su alcune delle maggiori politiche per target di popolazione (politiche per le famiglie, per i giovani, di contrasto alla povertà, interventi per i non autosufficienti e per i disabili), su un’impostazione di fondo unitaria e coerente, quella sopra esposta: garantire una maggiore selettività sulla condizione economica dell’accesso agli interventi, per assicurare una maggiore copertura alla popolazione più “bisognosa”, prevedendo risorse aggiuntive nulle o minime per il bilancio pubblico. Sarà infatti la revisione dei criteri di accesso, attraverso anche lo strumento dell’Isee riformato, di cui gli autori tracciano un indirizzo, che libererà le risorse necessarie ad introdurre le riforme auspicate. Consideriamo qui di seguito alcune delle politiche considerate. 2 Analisi circa gli effetti non adeguatamente redistributivi anche di più recenti misure (social card, bonus famiglia, bonus elettrico) sono contenute in CIES, Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, 2010.


Per il sostegno monetario alle famiglie con figli oggi lo Stato spende 17 mld di euro. Per mantenere la spesa a questo livello si dovrà sempre più caratterizzare in modo selettivo le attuali prestazioni, quali l’assegno sociale, le integrazioni al minimo e così via. Si propone l’istituzione di un assegno alle famiglie con minori, non categoriale, erogato sulla base di un Isee riformato. Le risorse da assegnare alla compensazione economica non devono però andare a scapito dell’offerta decentrata di servizi, politiche di conciliazione dei tempi di lavoro e cura e politiche per la casa. Queste infatti possono risultare più efficaci, sia in termini redistributivi e di contrasto alla povertà, sia in termini di sostegno alle responsabilità familiari. In quest’ottica, la razionalizzazione dei trasferimenti alle famiglie, in forma di detrazioni fiscali e assegni al nucleo, che viene proposta, libererà risorse per il potenziamento degli asili nidi e delle scuole materne. Con riferimento all’area degli anziani non autosufficienti si propone di: • riformare l’indennità di accompagnamento: superare la logica “a pioggia” dell’indennità di accompagnamento e introdurre una misura, “la dote di cura”, che preveda fasce distinte in base al livello di gravità, al reddito e alla capacità di spesa dell’anziano (ma anche in parte della sua famiglia), e una gestione non più centralizzata ma regionale e locale, senza alcun aggravio per la finanza pubblica; La simulazione effettuata articolando l’entità della dote di cura per diversi livelli di non autosufficienza, per chi sceglie la soluzione cash e chi sceglie la soluzione care, e infine per la condizione economica dei beneficiari indica che tale riforma può essere effettuata senza ulteriori risorse rispetto a quelle attuali dell’indennità di accompagnamento ((13,2 mld di euro). • potenziare la rete dei servizi (domiciliari, residenziali e territoriali); • defiscalizzare gli oneri per le badanti per la regolarizzazione dei contratti e la qualificazione del lavoro professionale. Con riferimento alle politiche di contrasto alla povertà, l’obiettivo nel medio periodo è l’introduzione del “Reddito minimo di attivazione” misura universalistica che contempla sia integrazioni economiche alle famiglie che servizi di inserimento. Il costo per tale riforma è di 5,7 mld (4 mld solo integrazioni), che possono essere recuperati

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attraverso l’unificazione degli istituti attuali e l’attuazione dell’universalismo selettivo. Considerando solo le due misure di stretto contrasto alla povertà, e cioè pensione sociale ed integrazione al minimo, oltre che Social Card, Bonus famiglia e Bonus elettrico, le ipotesi suddette ci consentirebbero di disporre di oltre 4 mld di euro, il costo per una misura di reddito minimo stimato dalla CIES. Allargando il campo anche agli assegni al nucleo familiare che, come già ricordato, hanno anche degli effetti di contrasto alla povertà delle famiglie, si potrebbero liberare risorse per ben 5,7 mld di euro, verosimilmente sufficienti a finanziare sia i trasferimenti monetari di una nuova misura universalistica, sia i costi di gestione per l’avvio e la messa a regime del nuovo sistema, oltre che a offrire risorse per ulteriori servizi che si renderebbero necessari per la compiuta realizzazione della dimensione di inserimento e promozione sociale della misura. La ridistribuzione delle risorse fra le diverse politiche Le riforme delineate comportano esclusivamente redistribuzioni interne alle diverse aree delle politiche sociali o tra queste diverse aree. Fa eccezione la politica per la non autosufficienza, per la quale si prevede di gravare le pensioni di un modesto prelievo grazie al quale ogni pensionato assicura a se stesso e a tutti gli anziani, al verificarsi della non autosufficienza, un sistema di servizi più adeguato a gestire questa situazione di particolare fragilità e di accentuato fabbisogno assistenziale. Nel loro insieme le proposte avanzate implicano un forte sviluppo dei servizi sociali finanziabile destinando a tale obiettivo una significativa quota dei 54 mld di euro ora assorbiti dai trasferimenti monetari gestiti dall’Inps e che dovranno passare a Regioni e Comuni. L’incremento dei servizi così finanziato è esplicitamente evidenziato trattando le politiche e gli interventi per la prima infanzia, per la formazione e l’inserimento lavorativo dei giovani, per l’assistenza agli anziani non autosufficienti, per il contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, e più in generale prospettando la costruzione su tutti i territori di sistemi integrati e articolati di servizi. Lo sviluppo dei servizi crea occupazione, posti di lavoro, in particolare per le donne, e determina anche l’emersione di lavoro informale e con la dote di cura per gli anziani. Le riforme dell’attuale sistema proposte vanno quindi viste non solo nella loro dimensione assistenzia-


le, ma anche nella loro dimensione di politiche occupazionali e di sviluppo Conclusioni Come autori della proposta sopra illustrata riteniamo che vada riesaminato e ristrutturato l’insieme del sistema assistenziale, perché disfunzionale rispetto alle finalità, inefficace rispetto agli obiettivi, inefficiente nel suo operare. Non potendo far conto su risorse aggiuntive esterne, occorre ottimizzare l’uso delle risorse tuttora disponibili, superando barriere di norme obsolete, di settorializzazione dell’utenza, di parcellizzazione degli interventi e delle prestazioni. Occorre allora andare ben oltre la difesa dell’esistente, per sviluppare una proposta di riforma, cogliendo anche nel caso l’occasione del ddl n.4566 di delega al governo. Non ci nascondiamo le grandi difficoltà e resistenze che si oppongono ad iniziative volte ad un effettivo cambiamento, ma proprio la crisi impone di non rassegnarsi all’attuale sistema e però anche di non scivolare su pretese oggi velleitarie. Il nostro obiettivo è promuovere la riforma delle politiche sociali per sostenere i cittadini e le famiglie, sopratutto quelle più in difficoltà, per aiutare a crescere e diffondersi una cultura e

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pratiche di equità, promozione sociale e solidarietà umana, per valorizzarne l’apporto allo sviluppo sociale e anche economico, in particolare creando nuove opportunità di lavoro finanziate investendo nella costituzione di servizi parte delle risorse oggi spese nelle erogazioni monetarie.

Emanuele Ranci Ortigosa* È direttore scientifico dell’Istituto per la Ricerca Sociale, (Irs) dal 1988 e direttore dell’area di ricerca sulle politiche sociali e sanitarie dello stesso Irs dal 1973. È direttore della rivista Prospettive Sociali e Sanitarie e della collana “Politiche sociali” edita da Franco Angeli. Ha insegnato Politiche sociali alle Università di Siena (1982-1987), Venezia (1995-2007) e Politecnico di Milano (Master di secondo livello in programmazione sociale 2006 – 2008). Svolge dal 1971 attività di ricerca, consulenza, formazione in campo sociale e sanitario sulle politiche nazionali, regionali e locali; la programmazione; lo sviluppo organizzativo dei servizi; la valutazione delle politiche e degli interventi; il contrasto alla povertà; il finanziamento e la spesa. Ha promosso e diretto la costituzione e l’attività di Welforum, forum per i dirigenti regionali delle politiche sociali. È autore di numerose pubblicazioni: volumi, saggi ed articoli. *

Il libro nero sul welfare italiano

Lo scorso mese di novembre la campagna Sbilanciamoci e la campagna I diritti alzano la voce hanno presentato al Senato il Libro nero sul Welfare italiano: insieme una radiografia degli effetti dei tagli delle ultime manovre ed in generale dei provvedimenti di spesa pubblica del nostro Paese sul livello della spesa pubblica, delle prestazioni e dei servizi sociali in Italia e un quadro di proposte alternative per finanziare la spesa sociale con una politica di giustizia fiscale e tagli alla spesa militare e alle grandi opere. In particolare il rapporto prende in esame le conseguenze dei tagli agli enti locali sui servizi sociali e gli effetti negativi derivanti dall'applicazione della legge delega in materia fiscale ed assistenziale. Nello, specifico il rapporto propone poi una serie di interventi per difendere ed ampliare il welfare, obiettivo che soprattutto in questa fase, è assolutamente necessario per far fronte alla crisi ed affermare un vero universalismo dei diritti. Queste proposte sono poi state ricomprese nel Rapporto sulla spesa pubblica presentato dalla campagna Sbilanciamoci il 24 novembre scorso. Attualmente il Rapporto viene presentato in molte iniziative locali ed è la base della mobilitazione di molte organizzazioni del terzo settore per difendere la spesa sociale ed il welfare. Presentiamo qui una sintesi del Rapporto che può essere scaricato integralmente dai siti delle due campagne: www.sbilanciamoci.org e www.idirittialzanolavoce.org. L’impatto dei tagli agli enti locali sui servizi sociali Minori trasferimenti statali, più tasse locali e pochi servizi pubblici per i cittadini. Questi gli effetti principali della doppia manovra correttiva estiva sulla finanza dei Comuni per il 2012 e il 2013. Effetti che si aggiungono a una pressione tributaria locale che risulta molto alta già nel 2011, e all’insufficiente copertura della

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domanda sociale assicurata oggi dai servizi pubblici. Le disposizioni sul patto di stabilità appena introdotte (varate prima con il dl. 98, convertito nella legge 111/2011, poi con il dl. 138, convertito nella legge 148/2011) sono ancora incerte; senza dubbio, però, esse sono tese al superamento definitivo dell’attuale assetto dei trasferimenti statali, in coerenza con


quanto previsto dalla manovra correttiva dello scorso anno (dl. 78/2010). In particolare, dopo le misure restrittive varate nel 2010, con la legge 148 si dispone che gli enti territoriali concorrano agli obiettivi del Patto di stabilità interno, per ulteriori 6 miliardi di euro per il 2012 e per ulteriori 3,2 miliardi per il 2013. Ai Comuni è chiesto un miglioramento dal 2012 di 1,7 miliardi di euro e di 2 miliardi dal 2013. Pertanto, considerando le misure già introdotte con la manovra correttiva dello scorso anno, il contributo alla manovra in termini finanziari ammonta per il 2012 a 2 miliardi e 700 milioni di euro. Un’ecatombe, da cui si salveranno, però, solo gli amministratori più virtuosi. Tagli che potranno essere annullati, subire riduzioni oppure aumenti, a seconda dei risultati raggiunti dai Comuni (e dagli altri enti locali) in ordine a 10 parametri di tipo finanziario ed economico (tra questi, l’incidenza della spesa di personale sulla spesa totale e il numero dei dipendenti sulla popolazione, gli investimenti finanziati con risorse proprie rapportati alla spesa corrente, l’effettiva partecipazione alla lotta all’evasione fiscale, ecc.). Pur distinguendosi rispetto al passato per l’introduzione di criteri virtuosi nella gestione comunale, tuttavia il provvedimento non ricalca il filone delle premialità adottato ormai da anni a livello comunitario. L’articolo 1 della legge 148 è infatti finalizzato a punire i Comuni meno virtuosi, obbligandoli a sopportare tutto il peso finanziario della manovra correttiva. Con conseguenze drammatiche per la popolazione e il territorio amministrato. Per i Comuni del Sud, che dovranno competere con tutti gli altri per evitare le penalità, le previsioni non sono rosee. Se si utilizzassero i criteri adottati per il primo taglio ai trasferimenti statali varato nel dicembre 2010, il prossimo anno, ad esempio, i Comuni di Napoli, Palermo e Bari perderebbero risorse pari rispettivamente a circa 210 milioni, 110 milioni e 35 milioni. Con l’entrata in campo dei parametri virtuosi tali somme potrebbero però azzerarsi oppure subire ulteriori incrementi. Per ora, l’unica certezza è che il conto totale per cittadini sarà salato. Infatti, la riduzione delle risorse varata per il 2011 dal dl. 78/2010 (1.500 milioni in meno per tutti i Comuni con popolazione superiore ai 5mila abitanti), se da una parte (i Comuni più

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virtuosi) ha avviato un processo di razionalizzazione delle spese finalizzato all’eliminazione degli sprechi, dall’altra (i Comuni meno virtuosi o con gravi difficoltà finanziarie) ha già innescato significativi aumenti di tributi e tariffe (specie per quanto riguarda il prezzo della tassa sui rifiuti solidi urbani, dell’asilo nido, della mensa scolastica, dei servizi domiciliari, ecc.). La delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale (ddl 4566) In una situazione di crisi profonda, non solo per i mercati, ma anche e soprattutto per le famiglie e per i singoli cittadini, ci si attendeva un intervento deciso di sostegno e di rassicurazione a favore degli stessi. Questo intervento sarebbe stato vieppiù motivato dai pesanti tagli a tutti i fondi sociali avvenuti negli ultimi anni. Al contrario le due “manovre” (leggi 111 e 148/2011) approvate impongono sui cittadini e sulle famiglie il carico maggiore del sacrificio, un sacrificio che in molti non saranno in grado di affro ntare e che costituirà ulteriore causa di marginalità, impoverimento, esclusione. Il disegno di legge C. 4566 di delega fiscale e assistenziale aumenta tale pressione sia attraverso misure di “riforma” fiscale sia comprimendo drasticamente gli interventi nel comparto sociale, il che significa riduzione dei servizi e retrazione dei sostegni economici diretti ed indiretti. Il disegno di legge riserva al Governo due anni di tempo (con la lettera al Consiglio Europeo l'impegno è stato anticipato al 31 gennaio 2012) per legiferare su tre ambiti, invero piuttosto indefiniti e maldestramente articolati: • riqualificazione e integrazione delle prestazioni socio-assistenziali in favore dei soggetti autenticamente bisognosi; • trasferimento ai livelli di governo più prossimi ai cittadini delle funzioni compatibili con i principi di efficacia e adeguatezza; • promozione dell’offerta sussidiaria di servizi da parte delle famiglie e delle organizzazioni con finalità sociali, secondo regolazioni definite in base ad alcuni principi e criteri direttivi. Il disegno di legge delega sottolinea che i servizi e le prestazioni sociali devono sottostare rigidamente alla disciplina di bilancio e, quindi, sono condizionati dalle esigenze di cassa, dalla pianificazione finanziaria, dal contenimento della spesa pubblica, dal risanamento dei conti.


Nella sostanza i diritti civili e sociali sono compressi dai vincoli di bilancio. Secondo questa indicazione, lo stesso articolo 38 della Costituzione (assistenza agli inabili e a chi non è in grado di produrre reddito) sarebbe condizionato alla disponibilità (concetto alquanto discrezionale) di bilancio. Inoltre la legge delega separa “il dovere fiscale” dall'”assistenza”. Che significa? Secondo il disegno di legge da una parte deve sussistere in modo consolidato il “dovere fiscale” cioè l’obbligo al pagamento delle imposte e delle tasse. Dall’altro il “diritto” all’assistenza sociale. L’assistenza sociale o, per usare i termini adottati dal disegno di legge, il bisogno, non possono essere compensati o affrontati diluendo o diminuendo il “dovere fiscale”. Per fare un esempio: le deduzioni per l’assunzione di una badante, potrebbero essere incompatibili con un contributo pubblico per l’aiuto personale o con l’assegno di cura o con la stessa indennità di accompagnamento. Nel disegno di legge delega c’è l’assenza completa di riferimenti alla definizione dei livelli essenziali delle prestazione e questo rende evidente l’affermazione che quella che il disegno di legge profila non è una riforma, ma una serie di misure di contingentamento della spesa senza alcuna garanzia per i cittadini, ancorchè “autenticamente bisognosi”. Ma in assenza di una precisa individuazione dei livelli essenziali di assistenza (non certo intesi in termini di “categorie”, ma di standard e diritti soggettivi), qualsiasi riforma o intervento rimane privo di garanzie per il cittadino. Vediamo sinteticamente di seguito quali saranno gli effetti immediati sulle famiglie al cui interno viva una persona disabile e/o non autosufficiente, seguendo il principio del taglio lineare del 5% nel 2012 e del 20% nel 2013 dei “regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all’allegato C-bis” previsto dall’articolo 40, comma 1 ter della legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché dei tagli agli enti locali previsti dalla stessa norma e dalla legge 148/2011. • Riduzione detrazioni su ausili. • Riduzione detrazioni sulle spese sanitarie. • Riduzione detrazioni su veicoli. • Riduzione deduzioni oneri badante. • Riduzione detrazioni su retribuzione badanti. • Riduzione detrazioni per figlio con handicap. • Riduzione deduzioni per assistenza medica. • Vivenza a carico: dal 2013 possono verificarsi effetti fortemente distorsivi. I titolari di pensione, indennità e assegni di cura (o

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altro), potrebbero perdere la vivenza a carico di un familiare (che non può più operare detrazioni e ottenere assegni familiari). • Indennità, assegni, pensioni per sordi, ciechi, invalidi civili, assegni di cura, contributi vita indipendente non sono più totalmente esenti da Irpef. • ISEE: parte delle provvidenze assistenziali finiscono nell’Irpef. L’Irpef viene conteggiato nell’ISEE. L’ISEE aumenta e può comportare compartecipazione maggiore. • Servizi sociali alla persona: a causa dei tagli dei trasferimenti (circa un miliardo in meno sul sociale) alle Regioni, diminuiranno i servizi sociali garantiti ai Cittadini oppure verrà aumentata la partecipazione alla spesa a carico dei singoli o della famiglia. Sono considerati Comuni virtuosi quelli che prevedono una maggiore copertura dei costi dei servizi con la compartecipazione dei Cittadini (art. 20, legge 111/2011). A questi effetti negativi, si aggiungono tutti quelli che gravano anche sulle famiglie senza persone disabili o anziani non autosufficienti. Vediamo di seguito quali saranno gli effetti dopo l’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla legge delega sulla riforma fiscale e assistenziale. Nel formulare queste concrete ipotesi ci si rifà alle indicazioni del disegno di legge 4566 (AC) ed in particolare: a) articolo 2, commi 2 e 3; b) articolo 10, comma 1 lettere a), b) e c) e cioè: • eliminazione o riduzione dei regimi di favore fiscale (agevolazione); • separazione fra dovere fiscale e diritto all’assistenza; • considerazione della situazione reddituale e patrimoniale per l’accesso all’indennità di accompagnamento e delle altre prestazioni sociali monetarie e non; • revisione dell’ISEE e del suo ambito di applicazione. Proposte per un nuovo welfare: direttrici Sosteniamo, come oramai sembra finalmente acquisito da tutti – con la sola esclusione del Governo del nostro Paese – che limitarsi a successive manovre economiche tutte centrate sulla riduzione della spesa e sull’aggravamento della pressione fiscale produce un effetto depressivo che colpisce soprattutto le cittadine, i cittadini e le famiglie che vivono di lavoro. Ma, soprattutto, stiamo assistendo a un progressivo e drammatico impoverimento che colpisce ora non solo i settori più marginali della società, ma anche buona parte del ceto medio, il cui


potere d’acquisto scende inesorabilmente verso il basso. Sempre più impellente diventa, allora, la necessità di assumere decisioni finalizzate a incentivare il benessere, lo sviluppo della qualità della vita, a partire dalle fasce più povere della popolazione, con un mix di provvedimenti che permettano di aumentare la dotazione di risorse a disposizione dei cittadini e di consentire loro di usufruire di servizi di cittadinanza su base locale e di qualità adeguata. Oggi, infatti, a seguito dei pesanti tagli decisi dal Governo nelle ultime manovre finanziarie, questi servizi languono in uno stato di sofferenza anche nei territori nei quali la loro presenza era divenuta un dato acquisito, una risorsa imprescindibile per le comunità locali. Le proposte che da vari anni andiamo formulando hanno sempre trovato la politica assente non tanto sul versante della manifestazione di consenso, quanto piuttosto sul piano delle decisioni operative e ciò è avvenuto sia in presenza di governi di centro sinistra che di centro destra, a dimostrazione che la questione sociale e i diritti di cittadinanza non rientrano tra gli interessi e gli obiettivi prioritari della politica del nostro paese. Ovviamente, la responsabilità pesa maggiormente sulle spalle di chi in quest’ultimo decennio ha governato quasi ininterrottamente, con una possibilità di incidere sui processi molto elevata. Ma non per questo ci rassegniamo. Torniamo ancora una volta e richiamare la politica, ma anche le forze sociali alla responsabilità che necessariamente oggi impone di scegliere e decidere. Noi riteniamo che questa responsabilità sia in capo sia allo Stato centrale che alle autonomie locali, siano esse Regioni o Comuni, proprio in forza delle modifiche apportate al titolo V della nostra Costituzione che prevede delle competenze esclusive e altre condivise tra i vari livelli istituzionali. Torniamo con risolutezza a chiedere al Governo la definizione, da tradurre in un atto d’intesa Stato-Regioni, dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LIVEAS) così come previsto dalla legge 328 tuttora in vigore, in assenza dei quali qualsiasi ipotesi di fissazione dei cosiddetti costi standard rischierebbe di aumentare i divari territoriali e geografici relativi alla garanzia dei diritti di cittadinanza e far crescere le diseguaglianze sociali. A questo proposito crediamo debba essere recuperato il lavoro di elaborazione già iniziato da parte di organizzazioni del privato sociale, dal Forum del Terzo Settore e dal coordinamento degli assessori al

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sociale delle Regioni. La definizione dei Liveas dovrà essere accompagnata da misure volte a garantire un flusso finanziario a beneficio delle Regioni finalizzato a ripristinare il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, ormai sostanzialmente azzerato, che necessita di una dotazione tale da poter garantire la sussistenza del sistema dei servizi territoriali fondamentali oggi presenti in molte Regioni e avviarne la costituzione nelle Regioni che ne sono prive. Per un corretto funzionamento del sistema di intervento, riteniamo poi cruciale la determinazione dei profili delle professionalità sociali, come previsto sempre nella legge 328, che permetterebbe di rendere più solido e qualificato il quadro organizzativo e delle risorse umane che sovrintende agli interventi. La riforma fiscale è il secondo anello della catena capace di rilanciare sviluppo e benessere: essa va contestualizzata nel quadro dell’attuazione di quel federalismo più volte invocato, ma attivato esclusivamente nel senso della individuazione delle competenze esclusive assegnate alle autonomie locali. Manca a oggi un contemporaneo trasferimento di risorse capaci di dare attuazione a un vero decentramento e a una autonoma determinazione sulla quantità e qualità dei servizi resi ai cittadini sulla base dei bisogni del territorio, con la costituzione di Fondi Regionali per le politiche sociali, per l’infanzia e l’adolescenza, per la non autosufficienza e per le politiche a favore delle famiglie, in applicazione ai Piani nazionali di settore. Dalla riforma del fisco dovrebbe essere ricavato anche quanto serve per rendere operativo anche in Italia un meccanismo di contrasto alla povertà – che interessa quasi un milione e 200mila famiglie in condizione di povertà assoluta e oltre due milioni e 700mila famiglie in povertà relativa – che, per sola opportunità, continuiamo a chiamare Reddito Minimo di Inserimento, strettamente connesso a progetti di inserimento socio-occupazionale capaci di attivare anche la responsabilità dei singoli o dei nuclei familiari interessati. Giulio Marcon*

Presidente dell’associazione Lunaria fino al 2009. È stato tra gli ideatori e fondatori della campagna Sbilanciamoci! che dal ‘99 unisce 47 organizzazioni della società civile a favore di un’economia di giustizia e di un nuovo modello di sviluppo. Esperto di politiche per la pace e risoluzione dei conflitti inter-

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welfare on line nazionali, tema che ha trattato in numerosi saggi e volumi.

Cineforum a cura di

This Is England

Matteo Domenico Recine

Ambientato nell’Inghilterra degli anni ’80, il film ha per protagonista il dodicenne Shaun. Orfano di padre, militare morto durante il conflitto anglo-argentino per le Falkland, Shaun ha una madre completamente assente e numerosi problemi, soprattutto con i compagni di scuola che lo prendono di mira per la maniera di vestire passata di moda e per la sua condizione di orfano. Tutto cambia quando Shaun si imbatte in Woody e negli amici skinhead di quest’ultimo, i quali lo accolgono nel gruppo. Ed è proprio il gruppo che diviene il centro nodale della sua vita di Shaun, a livello di affetti, di esperienze, persino di stile nel vestire e che gli offre l’opportunità di crescere in maniera meno solitaria e rancorosa. Ma successivamente, quando torna in libertà dal carcere Combo, violento e iroso ex leader del gruppo, gli equilibri mutano: Woody si fa da parte, in contrasto con il modo di essere dell’ex amico, mentre Shaun e gli altri ragazzi sono influenzati dai suoi discorsi sulla guerra, sull’infelicità, sul futuro e progressivamente guidati verso posizioni e comportamenti sempre più apertamente di stampo razzista. Il film si conclude con la follia violenta di Combo, la cui frustrazione è implacabile e ormai pronta a esplodere. Questo episodio servirà ad allontanare Shaun dalle posizioni razziste cui era via via approdato: egli si ritrova solo, ma cresciuto e pronto ad affrontare l’adolescenza con una accresciuta consapevolezza. “This is England” ricorda per temi, ma non per rigore, “Il ragazzo con la bicicletta”, rispetto al quale risulta complessivamente meno convincente, ma in ogni caso solido e piacevole. Il film chiede allo spettatore di scendere a patti, accettando alcune evidenti incongruenze e discontinuità da una parte, ma assicurando in cambio freschezza e sincerità, nonchè la riproposizione dell’atmosfera del periodo, trasmessa in modo convincente. Thomas Turgoose, che all’epoca del film era un esordiente, risulta davvero molto bravo (tanto da diventare successivamente attore a tutti gli effetti dopo questa prima prova). Regia pulita ed essenziale, anche se i filmati sulla guerra per le Falkland stridono con il resto del film sia a livello di narrazione che di atmosfera. Un film di Shane Meadows. Con Thomas Turgoose, Stephen Graham, Jo Hartley, Andrew Shim, Vicky McClure, Joe Gilgun, Rosamund Hanson, Andrew Ellis, Perry Benson, George Newton, Frank Harper. Drammatico, durata 101 min. - Gran Bretagna 2006. - Officine Ubu uscita venerdì 26 agosto 2011.

Cittadini costruttori di welfare

Lo scorso mese di novembre Cittadinanzattiva, attraverso l’analisi delle segnalazioni che giungono al suo Tribunale per i diritti del malato,

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ha pubblicato il consueto rapporto annuale sullo stato della sanità in Italia, dandogli il titolo, emblematico e parlante, di “Diritti al taglio”.


Infatti, tutta l’azione politica degli ultimi anni, caratterizzata dalla riduzione della spesa ma basata sul “non-criterio” di tagli indiscriminati e lineari, ha segnato enormi passi indietro del nostro sistema di welfare, ma, soprattutto, ha inciso pesantemente sui capisaldi, anche ideali, sui quali esso si fondava tradizionalmente e, in ultima analisi, ha attentato alla sua stessa sopravvivenza. Prosciugati il fondo per la non autosufficienza come quello per l’integrazione delle persone migranti, ridotti all’inverosimile i fondi per le politiche sociali, per le politiche giovanili e per le pari opportunità, contratti, in ragione dei tagli agli enti locali, i fondi per il trasporto pubblico, assottigliati con periodicità i fondi per la sanità, l’Italia, se si escludono le pensioni, è scivolata agli ultimi posti in Europa per la spesa socio-assistenziale. E questo dal punto di vista dei numeri e dei conti. Ma ciò che colpisce particolarmente, nel corso di tutta l’attività dello scorso Governo, non particolarmente ispirata alla coerenza su altri fronti, è la continuità e l’approccio sistematico con i quali, specie attraverso gli interventi dell’ex ministro Sacconi, si è rimesso mano al welfare, considerato evidentemente mera spesa e non investimento o, tanto meno, volano di crescita. Dal libro verde al libro bianco, dall’attacco mediatico sferrato ai “falsi invalidi” divenuti paradigma degli invalidi tout court ai tentativi di legittimare ciò che stava avvenendo in Italia alla luce del dibattito sulla big society in Gran Bretagna, tutto è sembrato rivelatore di una strategia volta a stravolgere il welfare per come fino ad allora inteso. Nuovi concetti e nuove espressioni sono stati formulati in sostituzione dei precedenti o utilizzati con una consapevole forzatura di significato: prima l’ossimoro della “universalità selettiva” ha sostituito l’idea del welfare universale, poi la sussidiarietà - che l’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione propone come un circolo virtuoso di competenze ed energie, fra istituzioni e cittadini, finalizzato alla cura dell’interesse generale - è stata piegata in direzione di uno Stato che abdica da responsabilità, impegni economici e azioni, delegandoli a enti locali od organizzazioni della cittadinanza attiva per disinteressarsene definitivamente. Sintesi di questa strategia è stato, in fine, il di-

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segno di legge per la riforma fiscale e assistenziale, all’esame delle Commissioni parlamentari nel momento in cui il governo Berlusconi ha lasciato il testimone al governo Monti: il disegno di legge, per come è concepito, stabilisce, a priori, che la spesa socioassistenziale dovrà essere ridotta di 20 miliardi l’anno con le modalità già indicate nella delega al governo; il provvedimento definitivo deve essere emanato entro il settembre 2012, pena l’applicazione di un sistema predeterminato di tagli lineari. Definire “riforma” un testo il cui unico obiettivo dichiarato è la riduzione della spesa è un primo paradosso. Per riforma si deve intendere un processo da compiere, per il quale, in vista di un obiettivo migliorativo, si stabiliscono strategie e priorità, si definiscono linee di azione e si alloca no risorse. Ma quale processo implica l’applicazione ragionieristica di tagli, per quale cittadino questo provvedimento comporta un miglioramento, quali sono le strategie che persegue, con quali azioni, con quali risorse? Bisognerebbe render chiaro, per esempio, a che fine, vantaggioso per i cittadini, si tratta insieme la materia fiscale e quella assistenziale, quale nesso virtuoso si vuole istituire fra i due ambiti. Forse che a tagli dall’una parte corrispondono benefici fiscali dall’altra? Nulla di tutto questo. Perché, anzi, quello che colpisce del testo è l’idea stessa di cittadino che ne traspare: è un cittadino “parassita” quello a cui il disegno di legge fa riferimento, contro il quale lo Stato interviene con intento moralizzatore, poiché si approfitta di quello che non gli è dovuto e sottrae ad altri quello che a lui non spetta: la crisi di fiducia, vicendevole, fra lo Stato e i suoi cittadini, fra i cittadini e le loro istituzioni, che ha rischiato, negli ultimi mesi, di minare alla radice la coesione interna al nostro Paese, è qui addirittura teorizzata. Di contro - ed è un secondo paradosso - come se fossero formati da cittadini diversi, cattivi i primi buoni questi, colpisce l’idea che le organizzazioni dei cittadini possano fare, ora, tutta una serie di cose di competenza dello Stato, e farle, ovviamente, senza il sostegno delle istituzioni ma al posto di esse. Viene loro chiesto, addirittura, di erogare, come fa un bancomat, una delle poche forme di assistenza ancora riconosciute, la social card, sfruttando le loro reti territoriali, quindi senza altro criterio se non


quello della conoscenza diretta di chi può essere bisognoso. È quella formula, stravolta, di sussidiarietà alla quale si faceva riferimento prima, unita a un’idea di welfare assistenzialista e caritatevole, elemosinante, che non si cura del benessere di tutti i cittadini, che non investe sui beni comuni come presupposto di una crescita equa e omogenea e come antidoto all’ingiustizia e al disordine sociale, ma trascura i più rivolgendosi, in modo residuale, solo ai soggetti “autenticamente bisognosi”. Resta un mistero chi, e secondo quale criterio, definisce chi siano questi soggetti e quando il bisogno può ritenersi autentico. Cosa di questa sedicente riforma recupererà il governo Monti è da verificare. La manovra proposta dal nuovo esecutivo sembra riprenderne alcuni punti, per esempio rispetto all’utilizzo dell’ISEE, l’indicatore della situazione economica delle famiglie, anche per l’attribuzione di benefici, come è ora l’indennità di accompagnamento per gli invalidi, per l’erogazione dei quali l’elemento reddituale è ininfluente. Il testo della manovra precisa anche che i risparmi così ottenuti potranno essere riallocati per la non autosufficienza, e a favore di giovani, donne e famiglie numerose. Ma, a questo punto, più che il dibattito di merito sui singoli punti, interessa a organizzazioni come Cittadinanzattiva che ad essere accantonata, definitivamente, sia quella idea di welfare, l’idea di un welfare da asciugare sin quasi a distruggerlo. Così come interessa superare il teorema in base al quale, finché la crisi passa, non si possa fare altro che tagliare per far quadrare i conti, e tagliare sull’assistenza, sulla scuola, sulla giustizia, sulla salute piuttosto che cercare altrove sprechi, allocazione illogica delle risorse e centri di costo infruttuosi: per esempio nei costi della politica, nelle inefficienze della burocrazia, nelle spese militari, nella follia di pagare, e tanto, per i disastri piuttosto che investire, poco, per la sicurezza e la manutenzione dei territori. Se queste idee, e questo teorema, fossero superati, il dibattito sul welfare, e su come tenerne insieme qualità e sostenibilità, potrebbe essere ripreso con altra pregnanza ed efficacia, seguendo nuovi assi strategici. Alessio Terzi, presidente di Cittadinanzattiva, ne ha definiti alcuni, tre dei quali qua riportati. Il primo viene dal legame indissolubile esistente fra cittadinanza attiva, beni comuni e sussidiarietà, che trova nella questione del welfare

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una rappresentazione emblematica. Il tentativo di ridurre il welfare all’assistenza caritatevole per i “soggetti autenticamente bisognosi” è un radicale rinnegamento dell’universalità, con un salto all’indietro di quasi centocinquanta anni. Il punto di partenza da assumere è che, grazie ad un grande processo storico, il welfare è diventato un elemento fondante delle società che hanno come obiettivo del loro agire la dignità dell’uomo e la centralità dei diritti, e quindi un motore di sviluppo umano. È andato oltre il perimetro tradizionale della protezione sociale e della salute, includendo la cura delle risorse umane e la sicurezza del territorio. Grazie a ciò, i cittadini non sono più sudditi né semplici utenti, ma agenti della costruzione e della tutela dei beni comuni. La sussidiarietà, quindi, non è il semplice ritiro dello Stato, ma la costruzione di un regime di governo che impegna tutti gli attori (istituzioni di vario livello, comunità locali, cittadini, professionisti e amministratori) ad esercitare un livello di responsabilità più qualificato e più elevato. Queste considerazioni possono sembrare ingenue e idealistiche ma, se si pensa al potenziale distruttivo della crisi, investire su un welfare capace di mettere in campo nuove risorse e di favorire la coesione sociale potrebbe essere un elementare atto di saggezza. Il secondo asse è il rafforzamento della interlocuzione con un governo che, in assenza di una investitura elettorale, deve legittimarsi sulla propria capacità di operare. Non sappiamo ancora quale attenzione il nuovo esecutivo riserverà alla cittadinanza attiva, ma possiamo certamente individuare due ambiti di intervento da sostenere con la massima determinazione, con una grande mobilitazione e, se necessario, con azioni di lotta. Uno riguarda la necessità di fare valere un punto di vista civico nei criteri di allocazione e di reperimento delle risorse, sulla scia di quanto è già stato fatto, per esempio, con il “Libro nero del welfare” prodotto dal network “I diritti alzano la voce” che comprende varie importanti organizzazioni civiche, fra cui Cittadinanzattiva. La nuova situazione richiede un ripensamento generale del bilancio dello Stato sia in termini di distribuzione fra i capitoli di spesa, sia per la capacità di accogliere e contabilizzare nuove risorse, come quelle della sussidiarietà. Bisogna anche riconoscere che nell’ambito della cittadinanza attiva possano nascere proposte originali, come quella di prevedere una tassazione dei patrimoni temperata dalla detrazione delle imposte sul reddito,


che andrebbe a gravare, per questo, sugli evasori, con il recupero di almeno 25 miliardi l’anno. L’altro ambito è la progettazione e la realizzazione delle “politiche a costo zero” che dovrebbero favorire la crescita: semplificazione e trasparenza delle amministrazioni, introduzione e implementazione di sistemi di monitoraggio e valutazione, giustizia civile, conciliazione dei conflitti. In tutti questi ambiti la cittadinanza attiva ha già dato ampia prova di sé ed è, forse, l’unica risorsa in grado di impedire che, ancora una volta, la burocrazia e le corporazioni affossino i tentativi di riforma. Una terza linea di azione riguarda la mobilitazione e l’empowerment delle comunità locali, a partire dalla piena utilizzazione degli strumenti previsti dalle leggi (piani sociali di zona, piani di attività dei distretti sanitari, piani di protezione civile, piani di trasparenza delle amministrazioni, strumenti urbanistici e altro ancora).

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Sono tutti ambiti in cui la cittadinanza attiva può apportare nuove e importanti risorse, può assumere, ai sensi dell’art. 118 u.c. della Costituzione, una propria autonoma iniziativa ma può e deve, anche, imparare a chiedere conto alle amministrazioni inadempienti o, comunque, chiuse su sé stesse. Si tratta, come è ovvio, di un approccio molto più complesso e sofisticato alla questione del welfare, ma anche dell’unico in grado sia di contrapporsi al suo smantellamento sia di coniugarne qualità e sostenibilità, riconoscendo ai cittadini il ruolo non di passivi destinatari, ma di attivi costruttori di nuovo ben-essere sociale. Anna Lisa Mandorino* *

Vicesegretario generale di Cittadinanzattiva.

LiBrInMenTe Proleterka di

Silvia Spatari

“Sono passati molti anni e questa mattina ho un desiderio improvviso: vorrei le ceneri di mio padre.” Inizia così lo straordinario monologo di una donna, che nel ricordo torna ai luoghi e ai volti della sua infanzia ormai sepolti nelle scaglie del tempo. Nei suoi occhi di bambina sfilano il tedio di una scuola indecifrabile e le giornate passate con Octavia, nonna dall'affetto glaciale, ma soprattutto vive il ricordo di quel suo strano genitore distante, mai papà ma solo Johannes, che non può e non sa farle da padre. È solo un uomo, Johannes, che non le dedica mai uno sguardo né una parola eppure spesso la porta con sé: a pranzo nel ristorante della sua Corporazione e in crociera sulla Proleterka, un'oscura nocchiera del senso che solca il Mediterraneo e insieme la metafora dell'esistenza. E nulla di quello che la protagonista scoprirà nel futuro potrà mai cambiare l'intensità di quei ricordi segreti. L'autrice esplora il mistero arcaico degli affetti, che resistono ai silenzi e alle rivelazioni, e continuano a sopravvivere avidi anno dopo anno, distacco dopo distacco. In quella bambina silenziosa, già stranamente adulta e severa, in Johannes, che ancor prima di essere padre è uomo sconfitto e sofferente, in tutti i personaggi anonimi e racchiusi solo in parte in inquieti legami familiari, si rinnovano il peso eterno della Storia e la lealtà innata dell'infanzia. La completa estraneità tra padre e figlia sublima così in un legame segreto, viscerale, mentre ogni pagina comprime la furia dei sentimenti dietro una raffinata quiete mitteleuropea. Perché “forse è solo questo, alcuni bambini hanno la grazia del distacco”, quella che pochi adulti riescono a conservare. Fleur Jaeggy 2001, Adelphi € 14,00

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Hanno collaborato a questo numero Anna Lisa Mandorino, Giulio Marcon,

Emanuele Ranci Ortigosa, Matteo Domenico Recine, Silvia Spatari Redattore

Zaira Bassetti

Impaginazione

Zaira Bassetti, Marco Biondi Redazione

Piazza del Ges첫, 47 - Roma Potete inviarci le vostre osservazioni,

le critiche e i suggerimenti, ma anche gli indirizzi e i recapiti

ai quali volete ricevere la nostra webzine alla nostra e-mail: info@nuovowelfare.it

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