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WOL welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno X, Numero 5, Luglio 2014
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Foto di Marco Biondi In questo numero: “Bilanci comunali e spesa sociale” di Francesco Montemurro - pag. 2 “I campi etnici di Roma Capitale” di Vanessa Compagno - pag. 6 “Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2014” a cura di Maria Paola Nanni e Franco Pittau, con la collaborazione dell’équipe di IDOS - pag. 11 Le nostre rubriche: “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine - pag. 10
Associazione Nuovo Welfare
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Bilanci comunali e spesa sociale Incremento delle entrate tributarie e da tariffe, riduzione della spesa corrente per il welfare e crollo degli investimenti. Sono i principali risultati della lettura dei consuntivi approvati negli ultimi quattro anni (2009-2012) dalle amministrazioni comunali, che si pongono come le conseguen-ze della parziale e tortuosa applicazione del federalismo municipale e dei recenti indirizzi per la finanza locale. Esemplificativo è, a questo proposito, il commento della Corte dei Conti alla recente evoluzione della finanza pubblica (Corte dei Conti, 2013): il punto di debolezza più forte andrebbe rintracciato nel processo di transizione al federalismo fiscale e municipale, caratterizzato allo stesso tempo dall’accelerazione sul lato delle entrate (si legga taglio dei trasferimenti) e dai forti ritardi che hanno invece interessato il lato delle spese (fabbisogni standard, finanziamento delle funzioni fondamentali). In conseguenza, il livello complessivo della pressione fiscale è in effetti cresciuto in modo considerevole, anche a fronte degli spazi di autonomia tributaria concessi alle autonomie locali in attesa del completamento del federalismo fiscale. Tutto ciò si è verificato in assenza di un’equa distribuzione del prelievo fra livelli di governo e, dunque, della compensazione fra fisco centrale e fisco locale. La verifica empirica degli effetti del “nuovo corso” della finanza locale è stata realizzata dall’Ires Lucia Morosini per conto del Sindacato dei Pensionati della CGIL (SPI)1, attraverso la lettura di circa 7.200 certificati di consuntivo inviati dai Comuni al Ministero dell’Interno. Solo con l’esame attento dei bilanci dei Comuni è possibile valutare gli effetti delle recenti scelte legislative adottate dallo Stato in materia di finanza locale, nonché i principali orientamenti delle politiche locali: sensibilità verso il welfare, spesa per l’auto-amministrazione e gli organi politici, tassazione nei confronti dei cittadini e del sistema imprese; elementi di progressività fiscale, orientamento agli investimenti, etc. Va però sottolineato come negli ultimi anni il bilancio (previsionale e consuntivo) dei Comuni si sia trasformato, impoverendosi di dati e informazioni. Il fenomeno va posto in relazione 1
Con il Coordinamento di Ivan Pedretti, della Segreteria nazionale dello SPI CGIL.
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con il forte ricorso dei Comuni alle esternalizzazioni dei servizi e, più in generale, con lo sviluppo delle esperienze di gestione associata di funzioni e servizi; si tratta di fattori che determinano la fuoriuscita di risorse in entrata e in uscita dal bilancio comunale, oppure maggiori attribuzioni di risorse pubbliche a Comuni “capofila” e, viceversa, minori attribuzioni agli enti convenzionati con quei Comuni. Dunque, sotto il profilo della capacità esplicativa delle politiche di bilancio, la lettura dei documenti finanziari dei Comuni può perdere parte del suo valore. In conseguenza, dati, informazioni e indicatori di bilancio vanno utilizzati con molta prudenza e ad essi va attribuita soprattutto una funzione “segnaletica”. In particolare, nell’effettuare confronti tra enti locali è necessario fare molta attenzione, poiché le amministrazioni e le rispettive comunità prese in considerazione sono naturalmente molto diverse tra loro. In sostanza, i Comuni presentano innumerevoli particolarità. Inoltre, le differenze nella presenza delle attività terziarie, del turismo e delle seconde case influiscono su varie voci di bilancio relative alle entrate e alle spese (ad esempio sul gettito Iuc, sul gettito della addizionale sull’energia elettrica, etc.). Tuttavia, il trend dei consuntivi comunali consente di individuare alcune tendenze importanti. Ormai i vincoli alle manovre locali introdotti dal Patto di Stabilità Interno hanno scardinato l’assunto finanziario in base al quale fino a qualche anno fa l’andamento delle spese correnti era strettamente correlato a quello delle entrate ordinarie. Quella relazione statistica oggi ha perso di significato e le dinamiche di bilancio manifestano invece un forte andamento positivo delle entrate (nei documenti contabili ufficiali è più visibile quello relativo ai tributi mentre il trend delle entrate extra-tributarie, che riguarda la componente tariffaria, risulta meno evidente a causa della forte evoluzione delle esternalizzazioni di servizi), finalizzato dunque al recupero e al miglioramento degli equilibri di bilancio piuttosto che all’adeguamento della spesa e dei servizi. La spesa corrente totale pro-capite impegnata dai Comuni italiani è pari nel 2012 a 928,9 euro, circa il 5,2% in più (in valori nominali) degli 882,7 euro impegnati nel 2009 (tabella 1).
welfare on line Tabella 1. Spese Correnti, impegni pro-capite. Per regione di appartenenza, area geografica e dimensione demografica dei Comuni. Valori in Euro. Fonte: Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno. Rendiconti Comunali var. % 2009/2012
var. % 2011/2012
871,2 1.693,3 917,7 1.298,6 734,9 1.139,6 1.145,0 874,1 937,6 867,6 855,5 1.425,0 916,5 890,4 824,9 682,5 802,5 734,8 861,3 1.122,6
3,5% 6,1% 10,1% 2,5% 2,0% 4,2% 6,2% -0,3% 4,5% 3,5% 3,8% 22,5% 11,4% 6,7% -7,9% 4,9% 6,6% -0,8% -3,1% 3,8%
-0,7% 3,9% 0,5% 0,4% -0,3% -1,2% 1,5% 1,5% 2,6% -0,1% 2,4% 7,0% -5,1% 1,1% -2,2% 0,4% 1,8% -1,5% -4,6% 1,4%
1.132,7 1.125,7 1.160,1 1.172,5 834,9 847,6 860,0 876,1 743,2 753,8 757,0 763,5 675,0 684,9 688,4 694,0 688,7 701,9 702,8 710,5 746,8 768,3 764,5 760,7 1.141,4 1.160,7 1.228,0 1.237,3
3,5% 4,9% 2,7% 2,8% 3,2% 1,9% 8,4%
1,1% 1,9% 0,9% 0,8% 1,1% -0,5% 0,8%
7,8% 1,5% 13,3% -0,7% -1,0%
0,4% 0,3% 4,7% -1,6% -2,7%
5,2%
0,7%
2009
2010
2011
2012
Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino-Alto Adige Veneto Friuli-Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna
841,8 1.596,2 833,7 1.266,5 720,4 1.093,7 1.077,8 876,4 897,1 838,1 824,4 1.163,0 822,7 834,6 895,8 650,8 753,2 740,5 888,5 1.081,6
855,7 1.608,6 890,8 1.286,5 742,3 1.106,4 1.131,1 882,5 918,7 888,1 824,0 1.072,6 996,7 868,0 862,0 699,7 745,2 722,8 900,0 1.110,8
877,1 1.629,4 912,7 1.293,5 737,3 1.153,8 1.127,7 861,1 914,1 868,1 835,3 1.331,7 965,8 880,8 843,6 679,5 788,6 745,7 902,8 1.107,0
Fino a 1.000 Abitanti 1.001 - 3.000 Abitanti 3.001 - 5.000 Abitanti 5.001 - 10.000 Abitanti 10.001 - 20.000 Abitanti 20.001 - 50.000 Abitanti Oltre 50.000 Abitanti Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole
866,6 862,2 998,2 786,0 942,2
911,1 930,1 933,8 876,9 872,7 875,5 970,0 1.079,6 1.130,8 804,1 792,7 780,4 958,5 958,9 933,1
Italia
882,7
898,5
922,2
928,9
Il dato interessante è che al trend in aumento della spesa corrente non ha corrisposto l’incremento delle risorse destinate agli interventi socio-assistenziali (tabella 2). Infatti, la quota della spesa corrente destinata ai servizi sociali in senso stretto (impegni iscritti nella funzione 10 della classificazione di bilancio al netto delle spese cimiteriali e delle esternalizzazioni), pari nel 2012 a 139,4 euro pro-capite, diminuisce di circa l’1,5% nel quadriennio considerato, un ridimensionamento che risulta più marcato nei bilanci dei Comuni del Mezzogiorno (-12,1%) e del Nord Ovest (4,1%) e al quale si contrappone un incremento della spesa sociale tra i Comuni del Centro
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(+5,9%) e quelli delle Isole (+1,2%). Osservando l’anda-mento della spesa sociale limitatamente all’ultimo biennio (2011/2012), si nota che il decremento delle risorse impegnate riguarda tutte le aree geografiche, con un calo complessivo rilevato nel 2012 rispetto all’anno precedente pari al 2,5%. A nostro parere, le cause di tale fenomeno vanno rintracciate soprattutto nel progressivo ridimensionamento dei fondi sociali nazionali e nell’atteggiamento prudenziale di spesa messo in mostra da numerose amministrazioni comunali, a fronte del progressivo inasprimento dei vincoli del Patto di Stabilità e delle incertezze che ormai caratterizzano la finanza locale. Ad ogni modo, se esaminati ulteriormente attraverso approfondimenti qualitativi, tali dati possono aiutare a capire se la riduzione di questa voce di spesa sia da mettere in relazione anche con una certa rigidità rilevata nell’offerta e nella programmazione dei servizi sociali erogati, specie per quanto riguarda la capacità dei Comuni di leggere e interpretare i bisogni sociali
della popolazione. Peraltro, la spesa complessiva destinata ai servizi socio-assistenziali (si parla delle risorse gestite sia dai Comuni sia dagli enti gestori titolari dei Piani di zona) appare caratterizzata da livelli di integrazione (tra fonti di finanziamento diverse e a livello di settori d’intervento) ancora non pienamente soddisfacenti. Si fa riferimento, da una parte, alla non adeguata integrazione tra interventi socio-sanitari e politiche abitative e per l’inserimento lavorativo, dall’altra, alla separazione tra interventi comunali e quelli attivati dagli altri enti preposti alle politiche sociali. Basti pensare che, nel 2012, i circa 7.200 consuntivi comunali esaminati
welfare on line 211,6 del Trentino Alto Adige, riproponendo non solo lo storico spartiacque geografico tra Nord e Sud, ma anche l’anacronismo della specialità degli var. % var. % 2009 2010 2011 2012 statuti, che garantisce alle 2009/2012 2011/2012 cinque regioni autonome la Piemonte 134,2 136,3 135,3 131,4 -2,1% -2,9% gestione di quote di risorse Valle d'Aosta pubbliche molto più elevate riLombardia 156,0 154,8 155,8 149,4 -4,2% -4,1% spetto alle regioni ordinarie. Trentino-Alto Adige 209,5 218,5 218,0 211,6 1,0% -2,9% Anche la chiave di lettura della Veneto 118,3 117,5 119,3 118,3 0,0% -0,8% dimensione demografica risulFriuli-Venezia Giulia 289,2 301,7 315,6 317,3 9,7% 0,5% Liguria 147,7 142,5 139,6 135,7 -8,1% -2,8% ta molto esplicativa dell’andaEmilia-Romagna 193,9 199,1 189,9 182,5 -5,9% -3,9% mento della spesa sociale, viToscana 143,3 152,0 149,2 147,2 2,7% -1,4% sto che, mediamente, sempre Umbria 108,9 111,5 101,5 96,4 -11,5% -5,0% nel 2012 i Comuni con meno Marche 150,5 145,3 145,6 145,1 -3,6% -0,3% di 5mila abitanti impegnano Lazio 173,9 182,1 195,0 196,8 13,2% 0,9% circa 85 euro pro-capite, menAbruzzo 141,4 206,3 147,8 117,3 -17,0% -20,6% tre nei Comuni più grandi (con Molise 52,6 66,7 64,6 62,5 18,9% -3,3% popolazione superiore ai Campania 83,9 67,0 64,4 66,7 -20,5% 3,6% 50mila abitanti) tale impegno Puglia 73,1 110,6 78,7 76,6 4,8% -2,7% di spesa sfiora i 200 euro per Basilicata 80,9 88,7 90,4 81,0 0,1% -10,4% cittadino (198,8 euro). Calabria 55,6 46,2 49,6 40,8 -26,6% -17,9% Sicilia 100,5 108,8 104,7 97,8 -2,6% -6,6% In generale, la spesa sociale Sardegna 280,8 295,5 289,0 296,5 5,6% 2,6% in senso stretto mostra impegni pro-capite più bassi nei Fino a 1.000 Abitanti 81,9 82,7 83,5 83,7 2,2% 0,2% Comuni delle regioni del Sud, 1.001 - 3.000 Abitanti 81,8 85,0 83,9 84,7 3,6% 1,0% pari a 72,4 euro nel 2012, 3.001 - 5.000 Abitanti 89,7 92,8 92,3 90,0 0,4% -2,5% cioè circa la metà di quanto 5.001 - 10.000 Abitanti 101,5 102,1 101,4 99,9 -1,5% -1,5% impegnato complessivamente 10.001 - 20.000 Abitanti 116,5 119,7 116,9 115,0 -1,3% -1,7% dai Comuni delle Isole (152,2 20.001 - 50.000 Abitanti 130,1 137,0 128,7 124,5 -4,3% -3,3% euro), del Nord Ovest (141,9 Oltre 50.000 Abitanti 200,2 207,7 205,2 198,8 -0,7% -3,1% euro), del Nord Est (171,7) e del Centro (164). Per poter Nord-Ovest 147,9 147,2 147,3 141,9 -4,1% -3,7% abbozzare qualche giudizio Nord-Est 172,8 176,5 175,2 171,7 -0,6% -2,0% Centro 154,8 160,7 164,4 164,0 5,9% -0,3% sull’efficienza ed efficacia dei Sud 82,5 93,6 77,1 72,4 -12,2% -6,1% bilanci comunali, occorre teneIsole 150,6 160,6 155,4 152,4 1,2% -1,9% re conto dell’incidenza della quota di spesa sociale sul toItalia 141,5 146,5 143,0 139,4 -1,5% -2,5% tale della spesa corrente. Al Sud, la percentuale di spesa hanno impegnato complessivamente circa sociale impegnata sfiora nel 2012 il 10% 7,466 miliardi di euro per le spese sociali in (9,3%) della spesa corrente totale, mentre si senso stretto, mentre si stima che i Piani socia- innalza fino al 19,6% nei Comuni del Nord Est. li di zona abbiano gestito risorse complessive Le tendenze del welfare locale sono rintracciaper circa 2,8 miliardi di euro, pari al 37,5% bili anche in un altro indicatore della spesa cordelle risorse totali. rente, cioè la spesa pro capite per il welfare alForti sono inoltre i divari territoriali nell’erog- largato. Tale indicatore dà conto degli impegni azione della spesa sociale in senso stretto, e le per i servizi sociali in senso stretto, per la culdifferenze osservate appaiono così marcate da tura, per l’istruzione e per lo sport e il tempo lasciare pensare che in Italia i diritti sociali si libero. In questo caso, negli ultimi quattro anni applicano in modo ineguale. (2009-2012) gli impegni di spesa complessivi A livello di spesa pro-capite, gli impegni comu- conoscono un andamento alterno, mostrando nali per questa voce di spesa oscillano nel comunque un riduzione progressiva dal 2010 al 2012 tra i 40,8 euro rilevati in Calabria e i 2012, da 280 a 270,5 euro pro-capite. Si conTabella 2. Spesa Corrente per il Sociale (servizio necroscopico e cimiteriale escluso), impegni pro-capite. Per regione di appartenenza, area geografica e dimensione demografica dei comuni. Valori in Euro. Fonte: Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno. Rendiconti Comunali.
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welfare on line fermano comunque i forti divari territoriali rile- ennio considerato, infatti, sono soprattutto i vati in precedenza: al Sud gli impegni comunali Comuni del Nord-Ovest (+17,8%) e quelli più pro-capite per il welfare allargato sono pari a grandi, con più di 50mila abitanti (+17,1%) a 141,4 euro, mentre nel Nord Est tali voci di far registrare gli incrementi maggiori in termini spesa raggiungono i 332,7 euro. di accertamenti pro-capite delle entrate corSui livelli di efficienza ed efficacia della spesa renti. sociale pesano anche gli effetti della forte Ad ogni modo, gli effetti dell’andamento positiframmentazione istituzionale e le diverse capa- vo delle entrate correnti si leggono immediacità amministrative messe in mostra dai Co- tamente nell’indicatore che dà conto muni. Nel 2012 le risorse impegnate a favore dell’equilibrio finanziario o saldo economico dell’auto-amministrazione (spese generali per della parte corrente. il governo del territorio, costi della politica e L’equilibrio della “situazione corrente” fa rifecioè spese per il funzionamento degli organi di rimento al Testo Unico degli Enti Locali (articogoverno e dei consiglieri), nei Comuni più pic- lo 162, comma 6, D.lgs 267/2000), il quale coli (con popolazione compresa tra i mille e i prescrive che “Il bilancio di previsione è delibetremila abitanti) assorbono mediamente il rato in pareggio finanziario complessivo”. 37,5% della spesa correnTabella 3. Entrate Correnti, accertamenti pro-capite. Per regione di appartenenza, te, sette punti percentuali area geografica e dimensione demografica dei Comuni. Valori in Euro. Fonte: Elaborazioni su dati Ministero dell’Interno. Rendiconti Comunali. in più rispetto alle prestazioni osservate nei Covar. % var. % 2009 2010 2011 2012 muni “medio-piccoli”, con 2009/2012 2011/2012 popolazione compresa tra Piemonte 882,9 912,3 918,3 945,5 7,1% 3,0% i 10 e i 20mila abitanti. Le Valle d'Aosta 1.799,0 1.839,7 1.912,6 1.988,5 10,5% 4,0% diseconomie di scala asLombardia 866,5 930,1 954,7 1.073,9 23,9% 12,5% Trentino-Alto Adige 1.488,9 1.512,1 1.540,5 1.557,2 4,6% 1,1% sorbono risorse cospicue; Veneto 765,9 806,3 794,4 826,8 7,9% 4,1% queste, se gestite in moFriuli-Venezia Giulia 1.227,3 1.238,5 1.301,1 1.269,0 3,4% -2,5% do più efficace attraverso Liguria 1.144,1 1.216,7 1.206,4 1.295,3 13,2% 7,4% un maggior ricorso alla Emilia-Romagna 907,6 924,5 915,4 973,4 7,2% 6,3% gestione associata oppure Toscana 949,4 976,1 980,3 1.045,6 10,1% 6,7% in seguito all’adozione di Umbria 873,7 929,4 923,1 940,4 7,6% 1,9% scelte istituzionali coragMarche 866,7 872,3 882,2 923,3 6,5% 4,7% giose e innovative (come Lazio 1.203,1 1.079,8 1.318,2 1.470,5 22,2% 11,6% ad esempio la fusione dei Abruzzo 876,3 1.063,4 1.050,6 1.005,8 14,8% -4,3% Comuni), potrebbero in Molise 876,0 973,8 939,9 956,4 9,2% 1,8% parte essere liberate e Campania 934,6 913,6 901,8 918,1 -1,8% 1,8% Puglia 692,8 749,3 725,0 752,6 8,6% 3,8% destinate ad interventi di Basilicata 804,8 840,4 841,4 877,1 9,0% 4,2% maggiore utilità sociale. Calabria 792,3 801,1 811,6 815,0 2,9% 0,4% Nonostante le forti riduSicilia 933,0 965,5 968,5 957,6 2,6% -1,1% zioni ai trasferimenti corSardegna 1.190,5 1.238,9 1.221,0 1.255,2 5,4% 2,8% renti, nel 2009-2012 le entrate correnti dei CoFino a 1.000 Abitanti 1.258,8 1.266,4 1.317,1 1.328,7 5,6% 0,9% muni italiani (tabella 3) 1.001 - 3.000 Abitanti 910,4 930,4 955,3 972,1 6,8% 1,8% crescono mediamente del 3.001 - 5.000 Abitanti 798,2 813,6 828,0 833,3 4,4% 0,6% 10,9% (accertamenti pro5.001 - 10.000 Abitanti 726,7 750,2 747,3 769,0 5,8% 2,9% capi-te), grazie soprattut10.001 - 20.000 Abitanti 729,2 761,5 754,3 780,1 7,0% 3,4% to all’introduzione del20.001 - 50.000 Abitanti 787,7 816,1 815,1 838,8 6,5% 2,9% l’Imu avvenuta nel 2012. Oltre 50.000 Abitanti 1.185,0 1.207,6 1.270,1 1.387,8 17,1% 9,3% È interessante notare coNord-Ovest 906,4 961,4 977,5 1.068,2 17,8% 9,3% me sussistano differenze Nord-Est 925,3 952,1 953,2 987,0 6,7% 3,6% significative, in funzione Centro 1.042,3 1.002,7 1.107,5 1.202,9 15,4% 8,6% della classe demografica Sud 829,8 863,4 850,7 863,2 4,0% 1,5% e dell’area geografica dei Isole 1.004,6 1.041,4 1.037,9 1.039,4 3,5% 0,1% Comuni, relativamente all’andamento delle enItalia 931,3 955,6 978,0 1.033,0 10,9% 5,6% trate correnti. Nel quadri-
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welfare on line In sostanza, l’indice misura la capacità dell’ente di finanziare la gestione corrente senza far ricorso alle entrate straordinarie. Quando il valore è superiore a 100 (pareggio del bilancio per la parte corrente) significa che il Comune, avendo assicurato gli equilibri di bilancio, ha margini di manovra per il finanziamento delle spese per gli investimenti, oppure può agire sulla riduzione delle entrate correnti (alleggerimento della pressione fiscale, potenziamento della progressività fiscale); vi è anche la possibilità di operare sulla spesa corrente (ad esempio per il potenziamento dei servizi alla persona) compatibilmente con i vincoli di spesa imposti dal Patto di Stabilità Interno. Nel 2012 il valore dell’indice di equilibrio di parte corrente è cresciuto ben al di sopra del pareggio (mediamente è pari a 105), un risultato che solo in parte può essere messo in relazione con l’impossibilità di superare tetti di spesa sempre più rigidi. Come detto, in linea generale, saldi economici di parte corrente particolarmente positivi indicano che i Comuni possono calibrare meglio le scelte di entrata e di spesa in ordine alle esigenze della popolazione e del territorio. Tale considerazione è legittimata dai risultati dei bilanci comunali in ordine all’indicatore dell’avanzo di amministrazione. Il risultato contabile di amministrazione è il dato di sintesi dell’intera gestione finanziaria dell’ente e rappresenta, in termini puramente finanziari, la somma al termine dell’esercizio delle giacenze di cassa (+), dei crediti (+) e dei debiti (-). Il risultato di amministrazione scaturisce dall’effetto combinato della gestione di competenza (risparmi conseguiti durante l’esercizio finanziario) con le risultanze degli esercizi precedenti (dinamica dei residui). L’avanzo di amministrazione è definito dalla Corte dei Conti come “risparmio pubblico, ovvero eccedenza di risorse sottratte ai contribuenti e agli utenti, rispetto alle previsioni di
spesa per i servizi da erogare” (Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo della Lombardia, 61/PAR/2009). Nel caso sia superiore alle percentuali fisiologiche rapportate alle entrate correnti (quota che in genere viene fissata al 4/5%), “può rappresentare un sintomo di eccessivo prelievo fiscale, non coerente con le reali esigenze di spesa dell'ente locale” (Corte dei Conti, cit.). L’avanzo potrebbe essere anche un segnale di inefficienza dell’ente, segno di “un eccesso di pressione tributaria e tariffaria rispetto ai bisogni reali per finanziare i servizi comunali”. Va inoltre sottolineato che l’avanzo di amministrazione non può essere considerato una somma “certa”, in quanto esso si compone anche di poste che presentano un margine di aleatorietà, riguardo alla possibile sovrastima dei residui attivi e alla sottostima dei residui passivi, vale a dire voci di bilancio oggetto di periodici riaccertamenti, che incidono consistentemente sull’ammontare dell’avanzo. Se si esaminano i dati dei consuntivi rilevati presso i Comuni italiani è facile intuire che in molti casi la soglia fisiologica dell’avanzo viene ampiamente superata, fino a raggiungere nel 2012 il 14,6% a livello medio nazionale, con percentuali più elevate vicine al 20% rilevate mediamente nei Comuni delle Isole e del Nord Ovest. Si tratta di dati interessanti, che mostrano come l’andamento dei bilanci comunali debba essere messo in relazione non solo con l’evoluzione del Patto di Stabilità Interno ma anche e piuttosto con le scelte politiche e le capacità amministrative espresse dagli enti locali. Francesco Montemurro ∗ *
Direttore Ires Lucia Morosini.
I campi etnici di Roma Capitale Il Consiglio d’Europa stima che la presenza in Italia di rom, sinti e camminanti sia tra 120.000 e 180.000 persone, costituendo circa lo 0,25% della popolazione italiana1; di questi meno di un quarto vive nei campi. 1
Consiglio d’Europa, Estimates and officialnumbers of Roma in Europe, luglio 2012.
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Il 21 maggio 2008, l’allora capo del governo Silvio Berlusconi, firma il decreto “Dichiarazione dello Stato di Emergenza” in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia. Alle prefetture di Napoli, Roma e Milano vengono riconosciuti “poteri straordinari per il supera-
welfare on line mento dell’emergenza”. Un anno dopo, il 28 maggio 2009 si decide di prorogare lo “stato di emergenza” - sempre per decreto - ma allargandolo a Piemonte e Veneto2. I provvedimenti d’urgenza adottati dal governo Berlusconi vengono poi in parte annullati nel luglio del 2009 dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. Il Consiglio di Stato, il 16 novembre 2011, conferma la sentenza del Tar, respingendo il ricorso avanzato dalla Presidenza del Consiglio e sancendo la “assoluta carenza di presupposti di fatto idonei a legittimare una declaratoria di emergenza”3. Il 23 aprile 2013 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Governo italiano contro la sentenza del Consiglio di Stato sancendo la chiusura della stagione emergenziale. Tuttavia il Governo non ha previsto nulla per rimediare alle violazioni dei diritti umani occorse durante il periodo emergenziale, cristallizzando, di fatto, un’Apartheid dei rom che rende l’Italia “il paese dei campi”4 dove vivono discriminati ed esclusi. I cosiddetti campi nomadi sono strutture ben circoscritte, sorvegliate e recintate. Non sono dei “campi sosta” destinati a coloro che si spostano perché sono “nomadi” (come si crede o si vuol far credere definendo i rom, sinti e camminanti “nomadi”), sono realtà dell’abitare per sole persone e famiglie appartenenti alle comunità rom. Il campo non deve essere erroneamente associato ai rom, sinti e camminanti, bensì alle scelte politiche fatte ad hoc per questi: popolazioni che non scelgono di vivere nei campi, ma vi sono trasferite anche con la forza. “La capitale è la città che più delle altre ha investito risorse umane ed economiche nella realizzazione del “sistema campi”, attraverso lo spostamento forzato di comunità rom associato alla costruzione e alla gestione di spazi abitativi assegnati su base etnica alle stesse comunità”5. Ogni giunta comunale ha utilizzato il suo “gergo”: esiste il campo “tollerato” (termine utilizzato dal sindaco Francesco Rutelli nel 1994 e
poi ripreso nel Piano Nomadi della giunta Alemanno nel 2009), il campo “attrezzato” (espressione nata a metà degli anni Novanta che definisce uno spazio con unità abitative fisse e servizi essenziali come acqua ed elettricità), infine il villaggio che, a seconda delle giunte, può essere “della solidarietà” (centro-sinistra) o “attrezzato” (centro-destra) e che rappresentano l’evoluzione del “campo attrezzato”. I villaggi sono quelli creati intorno al 2007 con il primo patto di sicurezza, con l’amministrazione Veltroni e il coinvolgimento dell’allora governo Prodi. Infine, ci sono i “centri di raccolta rom” realizzati a partire dal 2009. I costi sociali di questa segregazione sono elevati ma, purtroppo, il “sociale” interessa poche persone: pochi sono interessati a sapere che nell’anno scolastico 2012/2013 gli alunni rom e sinti hanno raggiunto il numero di iscritti più basso degli ultimi sei anni6. Forse poco interessa che ad incidere “sui bassi livelli di scolarizzazione e sull’elevata dispersione scolastica contribuiscano le stesse condizioni abitative precarie degli insediamenti nonché la loro marginalizzazione spaziale”7. Forse interessa di più il costo economico. Probabilmente interesserà sapere che il Comune di Roma nel solo 2013 per mantenere il sistema campi volto a “segregare le comunità rom negli 8 villaggi attrezzati della capitale, concentrarle nei 3 centri di raccolta rom, allontanarle attraverso le 54 azioni di sgombero forzato che si sono succedute nell’anno di riferimento”8 ha speso 24.108.146 euro. Gli otto “villaggi della solidarietà” del Comune di Roma sono caratterizzati da un isolamento fisico e relazionale, precarie condizioni igienico-sanitarie (solo due di essi hanno un presidio sanitario), abitazioni con una o due stanze, a volte prive di cucina e bagno. In media, proprio perché sono “villaggi di solidarietà” distano più di 2 km dalla prima fermata di autobus, oltre 3 km dalle poste e dal mercato più vicino. Sono carenti o non hanno spazi riservati ai bambini. Raccolgono, accolgono, segregano 4.391 persone.
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http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php ?intId=4257. 3 Ibidem. 4 ERRC (Centro europeo dei diritti dei rom), Il paese dei campi. La segregazione razziale dei rom in Italia, serie “Rapporti nazionali”, n. 9, ottobre 2000. 5 Associazione 21 luglio, Campi Nomadi S.P.A.. Segregare, concentrare e allontanare i rom. I costi a Roma nel 2013, giugno 2014, p. 5.
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MIUR, Gli alunni stranieri nel sistema scolastico italiano – A. S. 2012/2013, ottobre 2013, p. 23. 7 CRC, 7° Rapporto di aggiornamento 2013-2014, I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, p. 161. 8 Associazione 21 luglio, Campi Nomadi S.P.A.. Segregare, concentrare e allontanare i rom. I costi a Roma nel 2013, giugno 2014, p. 5.
welfare on line Ma quanto si spende? Con i dati forniti dalla ricerca Campi Nomadi S.P.A.. Segregare, concentrare e allontanare i Villaggi della Solidarietà
rom. I costi a Roma nel 2013 si è costruita la seguente tabella riepilogativa.
Spese anno 2013 EURO
Anno nascita
Distanza dal centro (KM)
Lombroso
2000
12,3
150
30
Candoni
2000
12,4
820
164
Gordiani
2002
7,3
253
51
Cesarina*
2003
12,7
172
34
Camping River
2005
18
527
105
Castel Romano
2005
31,7
989
198
Salone
2006
16,4
900
180
La Barbuta
2012
14,5
580
116
N. abitanti
Nuclei familiari
Minori
110 di cui: 98 iscritti a scuola (9 alle superiori) 450 di cui 326 iscritti a scuola (4 alle superiori) 100 di cui 75 iscritti a scuola (0 alle superiori) 85 di cui 68 iscritti a scuola (0 alle superiori) 280 di cui 194 iscritti a scuola (1 alle superiori) 520 di cui 411 iscritti a scuola (3 alle superiori) 480 di cui 375 iscritti a scuola (2 alle superiori) 300 di cui 252 iscritti a scuola (0 alle superiori)
Procapite annuale 2.297 (mensile 191) 2.919 (mensile 243) 2.732 (mensile 228) 3.533 (mensili 294) 4.183 (mensile 349) 5.414 (mensile 451) 3.212 (mensile 268) 2.960 (mensile 247)
Gestione
Scolarizzazione
Inclusione sociale
Sicurezza
250.861
93.755
0
0
1.105.735
513.104
18.000
756.860
384.472
73.130
0
233.519
349.970
257.635
0
0
1.365.472
352.470
0
486.421
3.785.616
654.962
0
914.210
1.409.900
650.598
0
830.700
800.107
381.557
0
535.340
* Il 16 dicembre 2013 gli abitanti di Cesarina sono stati trasferiti per consentire il rifacimento del villaggio. Dopo il trasferimento l’area è stata posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria per inquinamento da amianto.
Circa il 60% della spesa è destinata alla gestione dei villaggi di solidarietà, il 23% sono i costi indirizzati per la sicurezza e quasi nulla (0,2%) ad attività di inclusione sociale. Le spese di scolarizzazione sono, in media, il 19% dei costi totali, ad eccezione del villaggio di solidarietà di Cesarina (42,4%) che dedica a questa voce molte delle sue risorse a differenza degli altri. I villaggi che spendono meno in scolarizzazione sono: il villaggio di solidarietà Gordiani (10,6%), il villaggio di solidarietà Camping River (16%) e il villaggio di solidarietà di Castel Romano (12%). Il Comune di Roma nel 2013 ha scelto di spendere 16.360.219 euro per il mantenimento e la segregazione su base etnica di 878 nuclei familiari. A questi costi si devono aggiungere quelli dei tre “centri di raccolta rom” dove risiedono 680 rom per un totale di 136 nuclei familiari e un costo complessivo di 6.202.869 euro, di cui quasi il 95% destinato alle spese di gestione, il
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3,3% alla scolarizzazione e l’1% all’inclusione sociale. Ovviamente ai costi sostenuti nel 2013 per i tre centri di raccolta rom vanno aggiunti quelli destinati ad altre strutture provvisorie riservate all’accoglienza di famiglie rom (849.372 euro). A questi dati bisogna poi aggiungere i numeri sugli sgomberi forzati: nel 2013 ben 54, che hanno coinvolto circa 1.231 persone per un costo totale di 1.545.058 euro. Si fa riferimento agli sgomberi messi in atto senza rispetto delle tutele procedurali previste dal diritto internazionale, senza adeguato preavviso o notifica formale, quasi a voler negare il diritto riconosciuto di ricorrere per vie legali a favore di coloro per i quali non sarà offerta alternativa alloggiativa adeguata. Quindi, invece di intraprendere percorsi di inclusione reale per le famiglie rom, sinti e camminanti con progetti rivolti alla casa, all’istruzione e al lavoro, nel 2013 si è preferito spendere: 16.360.219 euro in villaggi di solidarietà (che di solidarietà han-
welfare on line no solo il nome); 6.202.869 euro in centri di raccolta; 1.545.058 in azioni di sgombero. Ossia 24.108.146 euro, di cui il 63% utilizzati per la gestione, il 23,3% per la sicurezza, il 13,2% per la scolarizzazione e solo lo 0,4% per l’inclusione sociale. Il Comune di Messina ha dato la possibilità di riconvertire ad uso abitativo delle strutture di proprietà comunale (alloggi di edilizia residenziali in stato di incuria per 9 famiglie e una scuola abbandonata per le rimanenti) coinvolgendo gli stessi rom nella ristrutturazione, facendo fare loro un corso di formazione per ottenere la certificazione necessaria a lavorare in un cantiere. Ad oggi vi abitano 14 famiglie, gli alloggi rimangono del Comune e tra 5 anni i rom inizieranno a versare un affitto agevolato (il Comune ha tenuto conto del lavoro svolto dai rom a titolo gratuito). La spesa totale è stata di 145.683,21 euro ossia 10.406 a famiglia, il progetto attuato dal Comune di Messina per l’autorecupero ha un costo annuale di gestione pari a 0 euro. Il campo attrezzato La Barbuta a Roma, a titolo esemplificativo, è costato 9.444.448 euro ossia 81.418 euro per famiglia e ha un costo di gestione annuale di 1.717.004. Quello di Messina è solo un esempio di “inclusione reale” perché ce ne sono, seppur pochi, altri in Italia10, ma è un esempio concreto per 10
Il Comune di Falconara Marittima (An) ha dato in concessione un’area ad una cooperativa i cui soci sono persone rom per la realizzazione di un’attività turistico ricettiva. Nel 2006 a Genova è stato chiuso un campo autorizzato del centro che ospitava 122 bosniaci, parte dei quali sono stati trasferiti in case popolari e ci sono stati interventi di mediazione nei confronti dei nuovi “vicini di casa”, per garantire l’inclusione nel nuovo contesto. Il Comune di Padova, con un finanziamento ministeriale, ha spostato 32 persone a vivere in 11 appartamenti, realizzati con l'autocostruzione, mediante il lavoro di 8 sinti che hanno seguito un percorso di formazione. L’affitto si paga in base al reddito. A Torino, il Comune ha attivato il progetto “Abit-azioni” che ha permesso a 21 famiglie rom l’accesso ad un appartamento con un regolare contratto di affitto.
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superare il sistema campi, un sistema di disagio abitativo che diventa causa della marginalità spaziale ed esclusione sociale dei rom, sinti e camminanti. “Nella città di Roma gli immobili abbandonati occupano complessivamente un’area di 1.200 ettari e, considerando che all’interno dei “villaggi attrezzati” una percentuale di popolazione si compone di famiglie con regolare reddito, una proposta di superamento dei “villaggi attrezzati” non può non prendere in considerazione l’autorecupero a fini residenziali del patrimonio esistente”11. Casa, lavoro, istruzione e salute: sono i quattro pilastri per l’inclusione delle comunità rom secondo l’Unione Europea. Un obiettivo collegato, per la prima volta, direttamente alla crescita della UE per il 2020. Secondo la Banca mondiale, un’integrazione completa dei rom, sinti e camminanti potrebbe garantire un incremento di circa 0,5 miliardi di euro l’anno per le economie di alcuni Paesi, permettendo di aumentare la produttività, tagliare le spese sociali e aumentare le entrate fiscali12. Se non si è interessati a dare a tutti l’opportunità di vivere con dignità, si potrebbe ragionare sul fatto che l’inclusione reale aiuta a risparmiare. Al contrario, alcuni comportamenti delle istituzioni nazionali e delle amministrazioni cittadine autorizzano molti a credere che questo genere di risparmio non venga considerato un valido argomento elettorale. Vanessa Compagno
*
11
Ibidem, p. 72. http://www.parlarecivile.it/argomenti/rom-esinti/campi-nomadipaese-dei-campivillaggiattrezzati.aspx.
12
* Sociologa, si occupa di ricerca legata al pregiudizio e agli stereotipi, con particolare attenzione ai migranti e alle differenze di genere.
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Cineforum a cura di
Matteo Domenico Recine
Io e te Tratto da un breve romanzo di Niccolò Ammaniti, Io e te è l’ultimo film realizzato da Bernardo Bertolucci. Il protagonista è Lorenzo, adolescente romano con consistenti difficoltà a relazionarsi con il prossimo, in particolare con i propri compagni di scuola. A causa dell’imminente gita in settimana bianca della sua classe, il ragazzo decide di nascondersi in cantina, per evitare l’esperienza e anche di dover dare spiegazioni ai propri genitori. Convinto di passare in totale tranquillità le giornate che lo attendono, Lorenzo si scontra invece con un’intensa esperienza di vita condivisa, a causa della sorellastra Olivia (che il padre ha avuto anni prima da una donna di Catania) e che, di passaggio a Roma, ha bisogno di un riparo per la notte. Superati gli scontri e le asperità iniziali, i due fratellastri cominciano non solo a ritrovarsi, ma anche a curarsi vicendevolmente le ferite dell’anima, dimostrando(si) che se è vero che le colpe dei padri ricadono sui figli (Lorenzo affetto da un disturbo narcisistico della personalità, Olivia da una tossicodipendenza all’eroina), è altrettanto vero che i legami di sangue possono contribuire a ripulire il passato dalle scorie dell’ostilità, dando a entrambi modo di trovare un po’ di conforto. Per Lorenzo, questa esperienza condivisa sembra essere l’occasione di dare sostanza alla propria umanità, mostrando empatia e apertura verso l’altro (in modo estemporaneo, oppure no). Per Olivia, forse (se si vuole credere al lieto fine), un passo importante verso la liberazione dall’eroina. Girato in massima parte nello spazio angusto di una cantina, a sottolineare la dimensione altrettanto angusta in cui sono sospesi i due protagonisti, Io e te è un film meno esile rispetto al corrispondente romanzo, dal quale si discosta per diversi motivi. Bertolucci preferisce suggerire, lasciando allo spettatore il compito di stabilire cosa accadrà ai ragazzi, se avranno modo di non perdersi di vista e di diventare una vera famiglia, o se tutto sarà vanificato. Dal punto di vista concettuale, la narrazione descrittiva e non giudicante lascia spazio allo spettatore anche in un altro senso: il disagio dei figli deriva dai traumi familiari? L’unico elemento di difficoltà, nella costruzione della storia, sembra essere stato il personaggio di Lorenzo, che come protagonista non risulta una figura particolarmente viva – a differenza di Olivia. Tanta freddezza costringe Bertolucci alle scene più descrittive e didascaliche, che non trasmettono vera empatia verso il personaggio. Più interessante e tragica (brava Tea Falco a trovare il giusto tono) la figura della sorellastra. A livello tecnico, interessante la sequenza metanarrativa in cui il personaggio descrive il lavoro fotografico dell’attrice (anche fotografa), a sua volta un veicolo verso suggestioni allargate. Un film di Bernardo Bertolucci. Con Jacopo Olmo Antinori, Tea Falco, Sonia Bergamasco, Pippo Delbono, Veronica Lazar. Drammatico, durata 97 min. - Italia 2012. – Medusa, uscita giovedì 25 ottobre 2012.
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Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2014 Il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2014 completa il panorama delle pubblicazioni annuali sull’immigrazione straniera in Italia con uno studio dedicato all’inserimento nel mondo imprenditoriale. A realizzarlo è stato il Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con Unioncamere, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, Camera di Commercio Industria e Artigianato di Roma, MoneyGram e con il supporto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e di esperti di altre strutture. Nel volume l’imprenditorialità immigrata viene presentata a tre diversi livelli (europeo, nazionale e regionale), a partire da dati statistici aggiornati alla fine del 2013. L’analisi statistica è corredata da molteplici approfondimenti, non solo di natura quantitativa, che consentono di delineare e valutare lo specifico apporto della componente immigrata al tessuto imprenditoriale e, quindi, al sistema economicoproduttivo nazionale. Il quadro europeo. Secondo i dati più aggiornati della Labour Force Survey di Eurostat, nel 2013 il lavoro autonomo-imprenditoriale, che nel 70% dei casi riguarda lavoratori maschi, incide per circa un settimo sull’occupazione complessiva nell’Ue a 28, in uno scenario nel quale l’Italia si evidenzia per essere il Paese con la maggiore presenza di imprenditori (quasi un sesto dei 30,5 milioni attestati dall’indagine campionaria di Eurostat, che non considera tutti i settori, escludendo per esempio quello agricolo). Seguono la Germania e il Regno Unito, entrambi con una quota di circa un ottavo, e, quindi, la Spagna. Gli imprenditori di origine immigrata, che, sempre secondo la rilevazione di Eurostat, incidono per circa un quindicesimo sull’insieme e in quasi la metà dei casi sono originari di un Paese non comunitario, si concentrano invece soprattutto in Germania (nella misura di quasi un quarto del totale), seguita dal Regno Unito, la Spagna e, quindi, l’Italia, con una quota di circa un settimo. I principali settori di attività trascendono dagli ambiti
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tradizionali delle cosiddette “nicchie etniche”, ovvero non dipendono dalle esigenze specifiche, commerciali o di servizio, delle stesse collettività immigrate, ma sono ambiti analoghi a quelli in cui operano gli imprenditori autoctoni. Secondo i dati Ocse, in Europa si tratta innanzitutto dell’edilizia (18%), delle attività professionali, scientifiche e tecniche (8%) e della manifattura (6%). La stessa Commissione Europea, nel Piano d’Azione Imprenditorialità 2020, ha attribuito agli imprenditori migranti un ruolo importante per il rilancio dell’Unione e del suo sistema economico-produttivo, riconoscendo e sottolineando, per la prima volta, l’importanza del loro contributo all’imprenditorialità. Il panorama italiano. Secondo i dati di Unioncamere, al 31 dicembre 2013, sono complessivamente 6.061.960 le imprese in Italia (incluse anche quelle promosse da immigrati), in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente (6.093.158), per lo più a seguito delle profonde difficoltà dell’artigianato, alle prese con molteplici problematiche, accentuate dall’attuale fase di crisi e attestate dal costante calo, dal 2009, delle imprese del settore (1.407.768 aziende nel 2013, quasi un quarto del totale). Nel dettaglio dei singoli comparti di attività, i dati degli ultimi anni attestano una evidente tendenza al ridimensionamento in edilizia e nella manifattura, come pure nelle attività agricole, mentre è migliore e orientato alla crescita l’andamento del terziario e, in particolare, del commercio e delle attività di alloggio e ristorazione. A riprova del tradizionale “nanismo” del tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato dalla presenza dominante di imprese con meno di 10 dipendenti, oltre la metà delle imprese registrate negli elenchi camerali sono ditte individuali (54,2% del totale). Proprio queste ultime, d’altra parte, sono in tendenziale diminuzione, come le società di persone (18,3%). Le società di capitali (23,8%) e le altre forme societarie (essenzialmente società cooperative e forme consortili: 3,6%), al contrario, risultano in risultano in crescita.
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A differenza degli autoctoni, gli imprenditori immigrati hanno raggiunto esiti positivi in termini di bilancio tra imprese avviate e imprese la cui attività, invece, è cessata anche nel corso degli ultimi anni, così pesantemente segnati dalla crisi economica, e nonostante le maggiori difficoltà che devono affrontare sul piano burocratico, di accesso al credito e di inserimento nel mercato interno. Tra la fine del 2011 e la fine del 2013, le imprese a guida immigrata registrate negli elenchi camerali sono aumentate del +9,5% (e del 4,1% nell’ultimo anno), a fronte di una lieve diminuzione di quelle facenti capo ai nati in Italia (-1,6%). Un tale andamento induce a confidare nella possibilità (oltre che nell’opportunità) di un loro ulteriore supporto al sistema economico-produttivo italiano (e dei Paesi di origine). A seguito di questi andamenti, alla fine del 2013 sono 497.080 le imprese condotte da cittadini immigrati, con un’incidenza dell’8,2% sul totale.
Analogamente a quanto visto per l’insieme delle imprese, il dinamismo che la componente immigrata continua a dimostrare anche in questi anni di crisi si lega anche a una crescente capacità di aprirsi a forme di impresa più complesse, come le società di capitali, per quanto le esperienze tecnologicamente avanzate, innovative e ad alto valore aggiunto restino ancora poco diffuse.
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Si tratta, infatti, in larga maggioranza di imprese individuali (400.583, l’80,6% del totale) e, anche in conseguenza di ciò, di attività a esclusiva conduzione immigrata (94,0%). Ne consegue che circa un ottavo delle ditte individuali registrate alla fine del 2013 è intestata a un lavoratore di origine straniera (12,2%). Sono le società di capitali (49.507, 10,0% delle imprese immigrate) e le cooperative (8.514, 1,7%), però, a distinguersi per i ritmi d’aumento più marcati, avendo fatto registrare, solo nell’ultimo anno, una crescita di circa il 7% (3 punti al di sopra della media del +4,1%) e, rispettivamente, del 13,7% e del 15,9% se si considera il biennio 2011-2013. Le società di persone (37.538, pari al 7,6%), come le ditte individuali, invece, si attestano su percentuali d’aumento più contenute (rispettivamente +6,8% e +9,1% nel biennio 20112012). Residuale, ad oggi, il numero di consorzi (240) e di altre forme societarie (698). I contesti territoriali più evoluti sul piano economico-produttivo mostrano una diminuzione dell’incidenza delle imprese individuali, il cui valore scende al 71,0% in Trentino Alto Adige (e al 66,1% nella P.A. di Bolzano), al 74,7% nel Lazio e al 75,4% in Lombardia (nelle province di Milano e di Roma lo stesso valore si attesta, rispettivamente, al 69,4% al 74,0%). La nota prevalenza delle micro, piccole e medie imprese, tipica del nostro Paese, ma caratterizzante l’intero quadro comunitario, implica una maggiore debolezza nell’attuale contesto di globalizzazione, specialmente dopo l’imporsi della crisi economica, come attesta la già richiamata diminuzione delle imprese artigiane degli ultimi anni. Da una parte, la prevalente dimensione familiare è di sostegno al momento della creazione e del primo avvio dell’impresa, dall’altra, può funzionare da freno per la sua espansione. Da ostacolo all’ampliamento delle dimensioni aziendali fungono anche le maggiori difficoltà di accesso al credito bancario che gli imprenditori immigrati devono affrontare, cui si tende a rispondere soprattutto tramite l’autofinanziamento e il sostegno delle reti parentali e comunitarie, che si accentua nel caso di certe collettività, come quella cinese.
welfare on line Il coinvolgimento imprenditoriale femminile è stato in questa fase di crisi un significativo fattore d’aumento delle attività imprenditoriali immigrate. Nell’ultimo anno le imprese condotte da donne di origine straniera (117.703) sono aumentate del 5,4% e, alla fine del 2013, incidono per quasi un quarto sul totale di quelle a guida immigrata (23,7%), un valore che sale oltre il 30% in Molise (35,6%), Basilicata (33,5%) e Abruzzo (31,5%). A Roma e Milano, le due principali aree provinciali per numero di imprese immigrate, quelle condotte da donne incidono per il 22% e tra tutte le imprenditrici quasi 1 ogni 10 è nata all’estero. Sul piano territoriale, il panorama regionale è frastagliato, a partire dalla stessa distribuzione delle imprese, con una maggiore concentrazione delle attività imprenditoriali nel CentroNord, caratteristica che si accentua nel caso delle imprese a conduzione immigrata rispetto a quelle facenti capo a nati in Italia (78,0% vs 66,2%). Più nel dettaglio, il Nord raccoglie poco più della metà delle imprese immigrate (30,4% nel Nord Ovest e 21,3% nel Nord Est), il Centro oltre un quarto (26,3%) e il Meridione oltre un quinto (22,0%). Prima regione per numero di imprese immigrate è la Lombardia (oltre 94mila, il 19,0% del totale), che si distingue anche per essere l’unica regione del Nord Ovest con un saldo positivo tra imprese (immigrate e non) iscritte e cancellate nel corso del 2013 (al netto delle cancellazioni d’ufficio). Seguono il Lazio, con oltre 60mila (12,2%), la Toscana (48mila, 9,7%) e, quindi, due regioni del Nord Est, Emilia Romagna (46mila, 9,2%) e Veneto (circa 42.500, 8,6%). Cinque regioni che, da sole, raccolgono quasi 6 imprese immigrate ogni 10 (58,7%). Sono la Toscana, la Liguria e il Friuli Venezia Giulia a distinguersi, invece, per un impatto delle imprese a conduzione immigrata sul totale superiore al 10% (un valore sostanzialmente raggiunto anche in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio). Le province predilette dall’imprenditoria immigrata sono quelle di Roma (51mila, 10,3%) e Milano (42mila, 8,4%). Nel primo caso, si evidenzia la forte concentrazione sul territorio capitolino dell’insieme delle attività operative sul territorio laziale (84,2%), mentre il maggiore dinamismo del tessuto imprenditoriale lombardo si riflette in una maggiore distribuzione delle imprese immigrate sul territorio re-
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gionale, con Milano che ne accentra poco meno della metà (44,5%). Si distinguono per un numero di imprese superiore alle 10mila unità anche le province di Torino (circa 22.500, 4,5%), Firenze (15mila, 3,1%), Brescia (12mila, 2,5%) e Napoli (12mila, 3,4%), prima provincia del Mezzogiorno. Prato (24,4%), Firenze (14,1%) e Trieste (13,7%), invece, sono i contesti provinciali in cui le imprese a conduzione immigrata incidono maggiormente sul tessuto produttivo locale (a Roma e a Milano l’incidenza è, rispettivamente, dell’11,0% e dell’11,8%). Nel Nord Est – dove nel 2013 solo il Trentino Alto Adige ha fatto registrare un saldo positivo per le imprese complessive – si rendono particolarmente evidenti gli effetti negativi della crisi sulla fitta rete delle PMI locali, in particolare su quelle di più ridotte dimensioni, attive nella subfornitura, meno specializzate e meno aperte ai mercati esteri. Anche in quest’area, in ogni caso, rispetto alla diminuzione del numero delle imprese guidate da italiani (-1,4% nel 2013), le imprese degli immigrati sono cresciute del 2,9%, per quanto con crescenti difficoltà nella manifattura e nell’edilizia. Analogamente, anche nel Nord Ovest aumentano le imprese a conduzione immigrata (+3,3% nell’ultimo anno) e diminuiscono quelle facenti capo a nati in Italia (-1,2%). Migliore risulta l’andamento generale nel Centro – e nel Lazio in particolare – e nel Sud, dove si evidenzia soprattutto la tendenza alla crescita delle attività imprenditoriali in Campania. In entrambi i casi, alla sostanziale stagnazione del volume delle imprese guidate da italiani (0,3% nel Centro e -0,7% nel Sud nel 2013) si affianca l’incremento di quelle a conduzione immigrata (+5,4% e +5,5%). Più problematica è la situazione delle Isole (-1,0% nel 2013 tra le imprese italiane e +3,3% tra quelle immigrate). Gli imprenditori di origine straniera seguono per lo più logiche di ricambio degli imprenditori autoctoni in settori facilmente accessibili, che non richiedono grandi investimenti iniziali e con margini di crescita e di profitto ridotti, segnatamente nel commercio e nell’edilizia, due settori che raccolgono oltre 6 imprese ogni 10. Prevale il commercio (oltre 175mila imprese, 35,2% sul totale), seguito dalle costruzioni (126mila, 25,4%). Seguono, a distanza, le attività manifatturiere (41mila, 8,3%), le attività
welfare on line di alloggio e ristorazione (36mila, 7,2%) e i servizi di noleggio, agenzie di viaggio e altri servizi alle imprese (4,7%). Il primo settore di attività è l’edilizia in molte regioni del Centro e del Nord, mentre il commercio prevale nella Provincia Autonoma di Bolzano, nelle Marche, nel Lazio e in tutte le regioni meridionali. Pur denominate spesso imprese “etniche”, i prodotti e i servizi che offrono sono destinati in prevalenza a clienti italiani, per quanto non manchi l’attenzione ai bisogni delle collettività immigrate, come attestano non solo i negozi di prodotti tipici dei Paesi di origine, ma anche specifiche imprese di servizi. Numerosi sono, ad esempio, i casi di piccole realtà editoriali-giornalistiche (i cosiddetti giornali “etnici”), di servizi di assistenza legale e burocratica (disbrigo pratiche), di carattere sociale (come gli asili nido) o altro (agenzie viaggio, call center). Rilevante anche il contributo al settore artigiano, in cui molti mestieri, prima praticati diffusamente dagli italiani, vengono “salvaguardati” per il fatto che sono gli immigrati a farsene carico. Nell’insieme, si tratta di attività controllate in oltre i tre quarti dei casi da lavoratori nati oltre i confini dell’Unione Europea (384.318 imprese, 77,4% del totale), mentre i Paesi di origine che si segnalano per un maggior numero di titolari di ditte individuali sono Marocco (61.177, 15,3%), Romania (46.029, 11,5%), Cina (45.043, 11,2%), Albania (30.376, 7,6%), Bangladesh (20.705, 5,2%) e Senegal (16.894, 4,2%). I diversi gruppi nazionali si distribuiscono diversamente nei vari settori di attività. Si delineano, infatti, delle specifiche dinamiche di concentrazione settoriale per le quali quasi la metà dei titolari di imprese individuali nati all’estero e attivi nella manifattura è cinese (48,9%), quasi un terzo di quelli attivi nel commercio è marocchino (29,2%), oltre un quarto di quelli attivi nell’edilizia è romeno (28,0%) e un altro quinto albanese (20,8%), quasi un quarto di coloro che scelgono le attività di alloggio e ristorazione è cinese (24,0%) e uno su nove è egiziano (11,0%). Tra gli immigrati titolari di ditte di noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese, invece, oltre un quarto è di origine bangladese (18,6%) o egiziana 7,5%). Secondo i dati del CRIBIS, gli immigrati hanno inciso per l’11% sulla richiesta di crediti finanziari nel 2013. Ai primi posti si collocano i romeni, gli albanesi e i marocchini, mentre i
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cinesi si posizionano “solo” al 29° posto, un dato che riflette l’attitudine della collettività a ricorrere in primis al supporto delle reti parentali e comunitarie. Nel complesso, gli immigrati preferiscono ai prestiti finalizzati quelli personali (che coprono il 40,3% di tutte le richieste da loro avanzate), in quanto, pur comportando tassi più alti, richiedono meno garanzie e pongono meno vincoli. In generale, la propensione a ricorrere alle banche è in crescita, anche grazie alle strategie più mirate attuate dal sistema creditizio. Su queste dinamiche bisogna insistere e vigilare con attenzione, per evitare che emergano situazioni di sovra-indebitamento e per arginare il ricorso a canali di finanziamento meno controllabili. Peraltro la rischiosità media degli imprenditori immigrati, per quanto riguarda la regolarità nei pagamenti, è più elevata rispetto a quella degli italiani ed è andata aumentando nell’ultimo triennio, in particolar modo nel caso delle imprese di più piccole dimensioni (analogamente a quanto si osserva tra gli italiani). Certamente sussiste la necessità di interventi più efficaci, che ne sostengano maggiormente l’accesso al credito, innanzitutto rispetto ai tempi necessari per l’erogazione e alle garanzie richieste. È questo, infatti, un ambito nel quale le difficoltà degli imprenditori immigrati si acuiscono notevolmente rispetto agli omologhi italiani, non potendo loro esibire, nella maggior parte dei casi, le garanzie solitamente richieste dagli istituti bancari. In questo senso, una funzione molto positiva viene svolta dalle associazioni di categoria che
welfare on line si sono adoperate per la costituzione di consorzi finalizzati ad ottenere dei fidi sulla base di garanzie collettive (Confidi). In Provincia di Roma, ad esempio, la Camera di Commercio e i Confidi convenzionati sul territorio arrivano a garantire il 60% dei finanziamenti concessi dalle banche alle start-up costituite da immigrati e il 55% di quelli erogati alle imprese già costituite. L’ambito prevalente è quello del microcredito, associato a servizi di tutoraggio, adeguato a sostenere anche i soggetti che altrimenti non verrebbero considerati bancabili. In questo modo viene conseguita una maggiore efficacia rispetto agli interventi diretti delle Regioni, che sembrano soffrire di un’eccessiva burocratizzazione delle procedure e di un rilevante tasso di insolvenza. Il nuovo Rapporto guarda al futuro e, attraverso un’attenta analisi dei dati statistici attuali e della loro evoluzione, richiama l’attenzione sui numerosi fattori che possono rafforzare il peso delle imprese immigrate (tanto in termini quantitativi che qualitativi) e sciogliere gli attuali nodi problematici, per lo più analoghi a quelli che devono affrontare le imprese condotte da italiani. Tra questi, l’elevato tasso di mortalità e la netta prevalenza di imprese di ridotte e ridottissime dimensioni. La scelta imprenditoriale ha costituito, e spesso continua a costituire, stante la crisi, una strategia di autoimpiego e una concreta possibilità di avanzamento sociale, tanto più in un Paese dalla mobilità “bloccata” come l’Italia e in particolare nel caso dei cittadini di origine straniera. Col tempo, poi, è emerso anche un forte legame (e per certi aspetti una certa fun-
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zionalità) rispetto ai meccanismi della subfornitura, del subappalto o nei servizi alle imprese. Oggi, perché l’imprenditorialità immigrata sviluppi appieno le potenzialità richiamate anche dalla Commissione Europea nel Piano di Azione Imprenditorialità 2020, appare importante superare le logiche della sopravvivenza al ribasso, soprattutto nei distretti in difficoltà, e supportare l’espansione e l’evoluzione di qualità delle iniziative attuali e future (al pari di quelle avviate dagli italiani). Pertanto, oltre a dedicare maggiore attenzione agli imprenditori che vengono dall’estero e agli investimenti diretti esteri, va sostenuta la diffusa rete dei lavoratori di origine immigrata che continuano a passare dal lavoro dipendente a quello autonomo imprenditoriale e che già assicurano un non trascurabile fattore di sostegno alla nostra economia, producendo il 6,1% del valore aggiunto. Non va sottovalutato, inoltre, il ruolo degli immigrati imprenditori come fattore di internazionalizzazione del sistema imprenditoriale italiano. Secondo una recente indagine del Cnel, il 16% delle imprese immigrate intrattiene contatti con i Paesi di origine degli imprenditori coinvolti e queste potenzialità andrebbero meglio sfruttate anche per unire più saldamente immigrazione e co-sviluppo. Incrementarne il numero e l’impegno è un bisogno e un’opportunità del sistema Paese. Maria Paola Nanni Franco Pittau con la collaborazione dell’équipe di IDOS
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Hanno collaborato a questo numero Centro Studi e Ricerche IDOS, Vanessa Compagno, Francesco Montemurro, Anna Paola Nanni, Franco Pittau, Matteo Domenico Recine, Foto Marco Biondi Redattore Zaira Bassetti Impaginazione Zaira Bassetti Redazione Piazza Campitelli, 2 - Roma
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