WOL - Welfare On Line, N. 4, Maggio-Giugno 2010

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WOL welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno VI, Numero 4, Maggio-Giugno 2010

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Foto di Marco Biondi In questo numero: “Misurare il benessere, oltre il PIL. L’uso degli indicatori di qualità sociale e ambientale nelle politiche pubbliche” di Emiliano Monteverde – pag. 2 “Il capitale sociale degli anziani. Stime sul valore dell’attività non retribuita” di Beppe De Sario – pag. 3 “Politiche locali di accoglienza e integrazione. Analisi di quattro Municipi romani” di Flavia Ginevri – pag. 8

Le nostre rubriche: “LibrInMente” a cura di Silvia Spatari – pag. 7 “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine – pag. 12

Associazione Nuovo Welfare


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Misurare il benessere, oltre il PIL L'uso degli indicatori di qualità sociale e ambientale nelle politiche pubbliche La Campagna Sbilanciamoci! ha promosso lo scorso 7 aprile, presso la Provincia di Roma, il primo incontro del tavolo di consultazione della società civile con le istituzioni per avviare una discussione sull’introduzione degli indicatori di qualità sociale e ambientale nelle politiche pubbliche. Il PIL e gli altri indicatori macroeconomici sono insufficienti a misurare il benessere e la qualità dello sviluppo di un Paese, è questa la tesi di partenza dei promotori e dei soggetti che hanno preso parte alla discussione: servono indicatori alternativi, capaci di dare una fotografia più esauriente e congiunta della situazione economica, sociale e ambientale, in grado di svolgere la funzione di indirizzo delle politiche e della spesa pubblica. Le critiche alla crescita economica (e quindi alla crescita del PIL) come unico motore di sviluppo sono state accompagnate dalla contestuale ricerca sistematica di misure del benessere e della sua sostenibilità in grado di superare i limiti del PIL. In altre parole, se benessere, sviluppo e progresso sostenibili sono gli obiettivi da raggiungere, allora devono essere supportati da un cambiamento degli indicatori utilizzati1. Come è possibile determinare e valutare lo sviluppo di un Paese senza tenere conto di fattori fondamentali per la crescita qualitativa della vita dei suoi cittadini? È ancora pensabile misurare un Paese solo in base al Prodotto Interno Lordo (PIL)? Queste domande, sino a non molto tempo fa, circolavano in ambienti ancora troppo ristretti ma nel giro di un paio di anni la rotta sembra essersi decisamente invertita. Per prima la Commissione europea si è posta il problema di risolvere i limiti del PIL consistenti nella mancanza di attenzione ai “risultati” della produzione dei nostri redditi, poi il Governo francese ha varato una Commissione affidata a 1

http://www.sbilanciamoci.org/benessere/documento_7_ aprile.pdf

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premi Nobel come Stigliz, Sen e Fitoussì per studiare e proporre correzioni agli “indicatori della crescita”. In questi giorni l’allargamento del dibattito e lo ”scavalcamento” dell’ambito specialistico caratterizzano la discussione in tutta Europa. Un nuovo protagonista ha fatto il suo ingresso nel dibattito politico: l’indicatore. È chiaro a tutti che far irrompere la qualità della vita nell’idea di Prodotto Interno Lordo è sfida complessa quanto oramai inevitabile ed è altrettanto chiaro che la discussione sulla definizione scientifica, statistica e politica degli indicatori ruota attorno all’idea di sviluppo di un Paese. Si pensi ad esempio che gli interventi di risanamento ambientale, causati dall’inquinamento, sono investimenti economici, determinano produzione di “materiali” e posti di lavoro, incidono quindi positivamente sul PIL. Ma possono essere realmente considerati fattori di crescita e di benessere sociale? La Commissione francese ha allargato e approfondito i termini del dibattito. La prima questione, infatti, è se aggiungere indicatori a quelli utilizzati sinora oppure costruirne uno grande e nuovo; la seconda è se lo sviluppo del PIL inteso in senso classico sia una precondizione per lo sviluppo di indicatori di qualità della vita o, piuttosto, se le due concezioni siano oramai indissolubilmente legate tra loro da non poter prevedere la realizzazione dell’una senza tener conto dell’altra. Infine è necessario riflettere anche su come individuare gli indicatori per la qualità della vita stessa. Alla fine, la Commissione francese ha promosso 12 raccomandazioni che sottolineano l’importanza della sicurezza e della vulnerabilità dei singoli, la necessità di valutare i servizi non in base ai costi ma in base al loro impatto sociale, il valore degli indici di sostenibilità. Soprattutto si invita alla produzione di statistiche e studi in grado di cogliere proprio il tema della qualità della vita. Nel nostro Paese il confronto non parte da zero. In molti, spesso inascoltati, in questi anni

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welfare we lfare on line hanno lavorato attorno a questi argomenti: associazioni, centri studi, amministrazioni locali, università, istituzioni. In una giornata intensa e caratterizzata da moltissimi interventi, lo scorso 7 aprile si sono poste le basi per un percorso comune, a partire dalle proposte avanzate dalla stessa Campagna Sbilanciamoci!, proposte da indirizzare al Governo, al Parlamento, agli Enti locali e all’Istat: approfondire e investire sulla ricerca e sull’Istat, recepire le raccomandazioni della Commissione varata dal Governo francese, dare vita a un patto basato su parametri di sostenibilità sociale e ambientale, utilizzare indicatori di natura sociale e ambientale nella definizione della programmazione economica, introdurre nel settore pubblico la contabilità ambientale, il bilancio di genere e il bilancio sociale2. Per ognuna delle proposte elaborate e scaturite dalla discussione ci sarebbe molto da approfondire, scrivere, discutere, ma tutte sono caratterizzate dalla forte inversione di approccio alla misurazione dello sviluppo che si comincia a respirare in giro per il mondo. La Provincia di Roma ha dichiarato la sua disponibilità a farsi ospite fisso e interlocutore attivo di questo processo. L’Istat ha incoraggiato l’approccio e lo sforzo comune su questo tema a partire anche dall’impegno dell’Istituto stesso ad affrontare seriamente il tema dei nuovi indicatori. Questo è il momento in cui si possono veramente stimolare la politica ad abbandonare l’idea della misurazione unicamente quantitativa, gli statistici e gli studiosi ad accettare la sfida della conoscenza complessa che si con2

fronta con la qualità dello sviluppo, l’associazionismo a confrontarsi seriamente con la cultura della valutazione d’impatto, con la misurazione dei risultati. L’assunto di base che ha guidato il dibattito svoltosi è che superare il PIL sia più che altro un processo culturale e politico e non una semplice questione metodologica. Per questo lo sviluppo degli indicatori non dovrebbe essere solo frutto di un lavoro tecnico-scientifico, ma, piuttosto, di un processo politico garantito da un dibattito aperto in grado di dare rappresentazione statistica alle priorità (preferenze e valori) di una collettività e con essa maggiore forza politica ai nuovi strumenti3. È perciò importante sottolineare che all’incontro oltre al Presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, fossero presenti i rappresentanti di oltre 25 università e istituti di ricerca, di Enti locali e dei Ministeri dell’Economia e Finanze, dello Sviluppo Economico, esponenti di oltre 30 organizzazioni della società civile. L’Associazione Nuovo Welfare non poteva mancare. I lavori dell’incontro, che ha fatto da apripista a un processo di consultazione permanente tra società civile e istituzioni, proseguiranno nei prossimi mesi allo scopo di approdare alla definizione di proposte concrete da sottoporre a Governo e Parlamento. Emiliano Monteverde∗

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Ivi. Presidente Associazione Nuovo Welfare.

Ivi.

Il capitale sociale degli anziani. Stime sul valore dell’attività non retribuita Introduzione Notoriamente l’aumento demografico e il miglioramento delle condizioni di salute della popolazione anziana hanno indirettamente contribuito a suscitare orientamenti politici e culturali secondo cui le persone mature e anziane4 4

La definizione di “persone mature e anziane” è stata utilizzata in termini non generici; difatti, le elaborazioni sono state effettuate focalizzando l’attenzione su due gruppi di età: le persone mature con età compresa tra i 55 e i 64 anni, e le persone anziane over 64 (oltre a considerare, naturalmente, diverse altre variabili di stratificazione

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dovrebbero incrementare il contributo al benessere economico e sociale, sia partecipando più a lungo alla vita lavorativa sia accettando di dare il proprio contributo nelle attività volontarie di tipo solidaristico, sociale e culturale. In realtà già oggi la popolazione degli over 54 è quella che dà il maggiore contributo in termini di partecipazione associativa (il 36,8% del totale dei volontari in organizzazioni di volonsociale, come l’occupazione, il sesso e il grado di istruzione).

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welfare we lfare on line tariato) e di impegno nell’aiuto informale a parenti, amici e vicini (il 36% del totale delle persone che hanno prestato almeno un aiuto); tale dato risulta essere più che proporzionale rispetto a quello della popolazione complessivamente intesa o ad altri gruppi di età. Le motivazioni di questo orientamento implicano uno spettro complesso di elementi esplicativi; la sola disponibilità di tempo liberato dagli impegni di lavoro non è il solo fattore in gioco, né risulta lineare e aproblematico. Difatti, laddove vi sono a disposizione dati comparabili (ad esempio per le attività di volontariato e per l’informal care, vedi Share project 2008) viene in evidenza come Paesi europei che hanno tassi di occupazione – in particolare per la componente femminile della popolazione – decisamente più alti di quelli italiani mostrano percentuali di persone mature e anziane altrettanto (se non più) attive nell’aiuto informale e volontario. Questo dato chiama in causa due dimensioni di fattori che influenzano rispettivamente le capacità e le attitudini all’aiuto: da una parte la sua valorizzazione in un sistema di welfare inclusivo e plurale, che promuova un’offerta diversificata e l’integrazione dell’aiuto informale e associativo nel sistema dei servizi; dall’altra, gli elementi culturali, di tradizione nazionale e quindi di esperienza soggettiva pregressa nel campo del volontariato. Valore, benessere e interdipendenza La ricerca Ires “Il capitale sociale degli anziani. Stime sul valore dell’attività non retribuita”5 si è concentrata su due direttrici principali. La prima, di tipo teorico, ha interrogato tradizioni di studio e di ricerca che hanno tentato una valutazione organica e non riduzionista del valore dell’attività non retribuita di aiuto e di cura (Polany 1974, Ruffolo 1985, Paci 2005) e in generale dell’attività gratuita extramercato (Offe e Heinze 1997); dall’altra, si è proceduto alla determinazione di un ammontare monetario equivalente di tale attività, considerando fondamentalmente i “costi di servizio” che l’eventuale sostituzione di questo contributo gratuito con servizi di mercato, o equiparabili prestazioni lavorative, avrebbe comportato per i beneficiari. 5

La ricerca si è conclusa nel marzo 2010; è stata realizzata da un’équipe Ires attiva nell’area Welfare e diritti di cittadinanza composta da: Beppe De Sario (ricercatore), Alessia Sabbatini (ricercatrice), Maria Luisa Mirabile (supervisione e coordinamento scientifico, nonché responsabile dell’area).

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Tale equivalenza è stata messa in relazione con l’approccio teorico, e non intende fornire una riduzione del valore dell’attività di cura gratuita erogata dai cittadini maturi e anziani a un puro e semplice salario potenziale. Ovviamente non è auspicabile – né probabilmente è possibile – organizzare le attività gratuite come se fossero attività di tipo economico, dal momento che incorporano un plus relazionale, comunicativo, affettivo e simbolico non reperibile altrimenti, e facilmente degradabile se collocato fuori dal campo della gratuità e dell’informalità. La pura e semplice “mercatizzazione” delle attività sociali non retribuite sarebbe pertanto incapace di tenere in debita considerazione l’attività gratuita nel complesso dei rapporti sociali nei quali è implicata, così come il suo ruolo di ambiente e risorsa per il capitale sociale (Putnam 1993, Sabatini 2007). Anzitutto va riconosciuto il fatto che le attività sociali gratuite, di aiuto e cura informale e non retribuita, non sono affatto marginali rispetto ai servizi erogati dallo Stato e dal Mercato. In un’economia ad alto tasso di “intensità relazionale”, il valore delle attività umane si genera in un rapporto – la cui qualità è determinata anche dalla valorizzazione dei soggetti attivi in esso – basato sull’interdipendenza. Il “valore” dell’attività gratuita si pone al crocevia di campi di attività che, da una parte, sono recalcitranti a rientrare nei rapporti di mercato – che invece sono definiti in base a uno scambio lineare tra prestazione e retribuzione/compenso – mentre, d’altra parte, mettono in evidenza un sistema complesso di azioni e retroazioni per le quali l’attività gratuita genera valori positivi e/o negativi in relazione al modo in cui essa viene prodotta, erogata. E, a seconda del modo in cui si colloca entro il sistema di servizi di welfare, entro le dinamiche del mercato del lavoro e all’interno delle relazioni di prossimità che generano capitale sociale e mettono in gioco “capacità” e “funzionamenti” degli individui (secondo i concetti definiti da Amartya Sen). Stime sul valore delle attività gratuite delle persone mature e anziane I campi di applicazione di tale impostazione teorica sono stati due: quello dell’attività di cura nelle reti familiari e di prossimità, e quello delle attività di volontariato di interesse collettivo, in particolare laddove i soggetti intervengono nella produzione sociale di benessere. La stima è stata elaborata sulla base di una serie di opzioni e di calcoli fondati su selezioni di dati Istat ed elaborazioni sulle quantità di tempo uti-

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welfare we lfare on line lizzato dagli anziani per gli aiuti informali e volontari; ciò è stato messo in relazione con costi orari per prestazioni equivalenti6. Le attività gratuite di aiuto e cura informale degli anziani rappresentano una dimensione di grande rilievo, sia in assoluto sia in termini relativi ovvero rapportati al contributo sociale di altri gruppi di età. Difatti, gli over 54 impegnati nell’aiuto gratuito sono circa 4.701.000 (su circa 13 milioni di italiani impegnati in aiuti informali; dati 2003: Istat, Parentela e reti di solidarietà, 2006), e garantiscono ogni quattro settimane circa 150 milioni di ore d’aiuto. Queste rappresentano oltre il 50% dell’intero monte ore dell’aiuto informale e gratuito erogato dai cittadini italiani (nel complesso circa 300 milioni di ore, nel corso di quattro settimane). Con una particolare concentrazione nell’aiuto rivolto a bambini e minori (circa l’80% delle ore dedicate a questi destinatari), e con una forte presenza anche nell’aiuto ad altri adulti (circa il 40% dell’aiuto complessivo in questa categoria). Il valore di queste attività (al netto dell’aiuto rivolto ai bambini, considerato invece nelle stime dell’aiuto dei nonni destinato ai nipoti) può essere paragonato a un monte retribuzioni di circa 348.660.984 euro per 4 settimane, ovvero 4.183.931.808 euro/anno. L’impegno più rilevante – e decisivo – delle persone mature e anziane è destinato ai nipoti. Dai dati emerge che in Italia sono presenti circa 6.911.000 nonni. Di questi, 963.000 non si prendono mai cura dei nipoti, mentre 5.948.000 lo fanno, in misura e modalità diverse. Le stime proposte suggeriscono che l’attività dei nonni possa essere quantificata tra i 103 e i 194 milioni di ore ogni quattro settimane. Il valore del “lavoro dei nonni” – in termini di equivalente retributivo – potrebbe ammontare a una cifra compresa tra 566.600.094 (minimo) e 1.063.541.378 di euro (massimo) per quattro settimane, ovvero fino a un massimo di 13.826.037.914 euro/anno. Se inoltre si considera il risparmio assicurato dal lavoro dei nonni nella cura dei nipoti, ad esempio consentendo alle famiglie di non ricorrere a 6

Dati Istat delle indagini Parentela e reti di solidarietà (2006), Vita quotidiana di bambini e ragazzi (2008) e Le organizzazioni di volontariato in Italia (2006). I “prezzi di servizio” sono stati tratti dai CCNL delle cooperative sociali (per le attività socio-sanitarie e assistenziali equivalenti prestate in organizzazioni di volontariato) e dal CCNL sulla disciplina del lavoro domestico (per le attività di cura e assistenza prestate in modo informale e gratuito all’interno della famiglia e di reti amicali e di vicinato).

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servizi di accudimento per i bambini – asili nido e baby-sitting – esso si può quantificare in una cifra compresa tra i 495.600.000 euro e i 1.321.600.000 euro annui7. Per quanto riguarda l’attività di volontariato, le persone con un’età uguale o superiore ai 55 anni sono 304.355, su un totale di circa 826.000 volontari (dati 2003: Istat, Le organizzazioni di volontariato in Italia, 2006). Di questi, i volontari “sistematici”8 rappresentano il 57,3%, e nelle Opca9 la loro presenza è ancora più marcata (63,7%). Da ciò si deduce il fatto che l’impegno complessivo delle persone mature e anziane – quantificato in ore di volontariato – è certamente superiore alle altri classi di età dei volontari10. Tale impegno, se considerato al netto delle attività di volontariato non associabili al campo socio-sanitario e assistenziale e valutando esclusivamente l’impegno dei volontari sistematici, porta a una stima di 41.189.772 ore/anno di volontariato, che possono essere associate a una cifra di circa 308.923.264 euro/anno. Come detto, l’equivalenza reddituale del “lavoro degli anziani” non è la sola dimensione del contributo delle generazioni mature al benessere sociale. Tuttavia, proprio per l’enfasi spesso posta nel discorso pubblico – politico e mediatico – sulle classi di età mature in quanto “generazioni in debito” con quelle successive e nel saldo contributi-benefici nei confronti del welfare, anche il solo dato economico proposto rappresenta un elemento di riflessione. Difatti, tra l’attività di aiuto informale, il sostegno ai carichi familiari in quanto nonni e l’impegno in organizzazioni di volontariato, gli anziani contribuiscono – secondo la pur timida stima risultante dalla ricerca – ogni anno fino a 18,3 miliardi di euro. Considerando il valore del PIL 2009, che ammonta a circa 1.520 miliardi di euro, si può sostenere che l’attività gratuita degli anziani corrisponda all’1,2% del PIL. Si tratta di una cifra nient’affatto irrilevante, specie se paragonata ad altre grandezze di solito 7

A partire da dati sulla spesa media per servizi di accudimento proposta da Cittadinanza attiva (2009). 8 Secondo la definizione Istat: i volontari che prestano il proprio impegno associativo in modo organizzato e continuativo. 9 Ovvero quelle organizzazioni nelle quali il numero di volontari maturi o anziani risulta superiore al 50% dei volontari complessivi (nostra definizione, a partire dall’aggregazione dei dati Istat). 10 Secondo dati Fivol per le classi di età mature e anziane l’impegno medio settimanale risulta di 5,2 ore (Fivol, 2001).

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welfare we lfare on line considerate impropriamente “a debito” degli anziani. Qui di seguito ne sono indicate alcune, solo allo scopo di fornire un dimensionamento relativo delle entità di riferimento: il Fondo nazionale per la non autosufficienza per il 2009 è stato finanziato con soli 400 milioni di euro; il Fondo nazionale per le politiche della famiglia vede uno stanziamento di 185 milioni (137 milioni previsti per 2010); le pensioni di anzianità erogate dall’Inps ai lavoratori dipendenti (2 milioni 233 mila pensioni) nel 2009 ammontavano a circa 45,12 miliardi di euro (dati Inps, Osservatorio sulle pensioni 2010). Senza contare che il valore delle prestazioni pensionistiche assistenziali erogate dall’Inps (pensioni invalidi civili, pensioni e assegni sociali, indennità di accompagnamento, pensioni di guerra) hanno raggiunto la cifra, nei dati 2008, di 20,4 miliardi di euro (Nvsp 2009). Avanzamenti ulteriori: l’attività gratuita in un sistema di produzione di benessere Sia nel caso delle attività di aiuto informale che in quello del volontario il significato di “lavoro” è stato articolato in un senso più ampio di quello generalmente utilizzato nella letteratura economica, in cui invece prevalgono le dimensioni classiche di mercato e di merce. Ciò in primo luogo perché queste attività si sottraggono a un riconoscimento economico proporzionale alla natura della prestazione e al tempo dedicato al loro svolgimento, dal momento che esse non sono, per definizione, retribuite e retribuibili, ma vengono in vario modo ricompensate. La ricompensa è semmai riferibile al tipo di riconoscimento sociale attribuito alla specifica attività e può assumere forme diverse di compensazione delle attività prestate. Le modalità di concettualizzazione di questo stato di relazioni sono le più varie: da quelle che si concentrano sulle determinazioni del “reddito esteso” degli individui e delle famiglie entro i sistemi di riproduzione sociale (“extended income”, in Picchio 2003), alla definizione dei confini sfrangiati nei quali si muovono le “attività ad alto contenuto relazionale” (Ruffolo 1985, De Vincenti e Montebugnoli 1997), alla valorizzazione di vere e proprie “economie associative” (Paci 2005). All’interno di queste dimensioni – e in controluce rispetto al calcolo del valore monetario equivalente dell’attività degli anziani – è risultato evidente come il lavoro delle donne delle classi di età centrali sia sostenuto in modo decisivo dall’aiuto gratuito dei nonni. E anche il sostegno degli anziani non autosufficienti sia

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spesso a carico di coniugi anziani o dei figli (a loro volta in età matura). Tali sostegni risultano essenziali in taluni casi – consentendo l’occupazione femminile – e in altri offrono un non meno indispensabile contributo economico indiretto, ad esempio attraverso il risparmio ottenuto non ricorrendo a servizi altrimenti reperibili sul mercato, come quello di accudimento e custodia dei figli minori. E questo senza contare i vantaggi non monetari di cui gli stessi anziani fornitori di aiuto beneficerebbero in quanto soggetti attivi, potendo contare su migliori condizioni di salute, occasioni di informazione e formazione, maggiori capacità di autotutela e protagonismo sociale, avvantaggiando di conseguenza la società intera e i conti pubblici. Infine, le economie esterne generate dall’attività degli anziani non si limitano a quelle attivate nei circuiti di riproduzione sociale – rapporti familiari tra generazioni diverse, genitorialità, relazioni di prossimità – ma potrebbero concatenarsi fondamentalmente ai sistemi dell’economia dei servizi sociali. Tuttavia, va sottolineato che le economie esterne possono risultare sia positive che negative, essendo determinate da un sistema complesso di relazioni. Ad esempio, a lungo termine l’impegno delle “nonne” mature o anziane a favore dell’accudimento dei nipoti, sebbene tradotto in una maggiore occupabilità femminile, potrebbe controbilanciarsi con una più breve e/o più difficoltosa vita lavorativa per le stesse donne mature. Queste oggi sostengono per buona parte l’assistenza dei nipoti – fino al sopraggiungere del pensionamento del coniuge maschio – anche per via di tassi di occupazione femminili nella fascia di età tra i 55 e i 64 anni che raggiungono oggi (Istat, media sul 2009) il 25,4% contro il 46,7% degli uomini, mentre per il futuro potrebbero essere, auspicabilmente, più alti. La via per formulare calcoli meno unidimensionali di quelli basati su una pura e semplice traduzione dell’attività non retribuita in punti o frazioni percentuali di PIL risiede pertanto nell’esplorazione di tre dimensioni teoriche e di studio: la prima, socio-demografica, al fine di complessificare il soggetto di cui ci si occupa (articolare le generazioni e le coorti di età anziane nelle loro differenze specifiche attuali e future, nelle diverse modalità e gradi del dare/ricevere aiuto e cura, specie alla luce di una crescita tendenziale della non autosufficienza, vedi Micheli 2004).

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welfare we lfare on line La seconda, sociologico-istituzionale, va nella direzione di collocare la posizione sistemica dell’attività non retribuita di cura e aiuto all’interno dei sistemi di welfare e di un ampio set di indicatori di sviluppo sociale e benessere11 (i tassi di occupazione femminili, la disponibilità di servizi sociali, la partecipazione sociale e politica, i gradi di fiducia/civicness e capitale sociale); la terza, maggiormente soggettivista, è orientata a valutare i flussi e i bilanci di risorse, capacità e funzionamenti (nei termini di A. Sen) nei quali agiscono gli individui protagonisti – caregiver e carereceivers – delle

attività di cura e aiuto non retribuite (vedi Addabbo e Caiumi 2003). Di conseguenza, per rendere meno impressionistico – e semplicistico – il raffronto tra il “bene” prodotto nell’attività gratuita delle persone mature e anziane e il suo valore esteso – in termini di ricadute e valorizzazione sociale – occorrerà instaurare un circolo virtuoso tra nuovi sguardi sulla realtà, nuovi concetti e la valorizzazione di risorse riemergenti e non marginali all’interno della società. Beppe De Sario∗

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Tra i tentativi di definire indicatori di sviluppo più ampi e meno rigidi del PIL si segnala, per l’Italia, l’indice Quars, realizzato dalla campagna Sbilanciamoci!, la quale ha anche promosso il recente documento “Misurare il benessere e la sostenibilità. L’uso degli indicatori di qualità sociale e ambientale nelle politiche pubbliche”.

Beppe De Sario è ricercatore presso l’Area Welfare e diritti di cittadinanza dell’Ires Cgil di Roma. Si è occupato di partecipazione sociale e associativa delle persone mature e anziane, e delle attività di contrattazione di natura sociale e territoriale del sindacato.

LiBrInMenTe Il fiore oscuro. Sessualità e disabili di Silvia Spatari

Nell’immaginario del titolo è racchiuso il senso di questa breve lettura, a metà tra il saggio e la riflessione autobiografica. In natura non esiste nessun fiore oscuro: i fiori splendono, e vengono oscurati solo nelle menti di chi, pur osservando, non vuole vedere. Ed è frequente ignorare la sessualità di una persona disabile. Come se non fosse uno dei molti aspetti della complessità umana. Tra i più segreti, certo, ma sempre uno fra i molti. Come se una persona con disabilità non avesse diritto agli istinti e ai bisogni dell’affettività. Perché è nella metafisica dei corpi che si esprime la natura più profonda degli umani, quella che dona la libertà e il caos creativo che ci insegnano fin da subito a temere. Specie se non si possono riportare ad un paradigma noto. Ed ecco allora che in queste pagine spesso incontreremo rifiuto, violenza e scherno. Ma anche tenerezza e crescita, e consapevolezze nel corpo e nei sentimenti ottenute a dispetto della diffidenza altrui. Quando l’Occidente si compiace di essere iperemancipato dimentica a volte che la sua è un’emancipazione alla conformità. E che solo l’alterità conforme ai modelli dominanti viene accolta di buon grado. Tutto il resto, tutto ciò che non è apice fisico, sociale o emotivo, scompare anonimo nella pulizia quotidiana delle coscienze, preparate così ogni giorno ad accogliere solo i paradigmi identitari più onnipotenti, e per questo, mai raggiungibili. Adriana Belotti, Nunzia Coppedé, Edoardo Facchinetti 2005, Sensibili alle foglie Editore € 10,00

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Politiche locali di accoglienza e integrazione. Analisi di quattro Municipi romani Come è noto l’Italia è da molti anni direttamente coinvolta dall’arrivo di migliaia di cittadini stranieri che presentano domanda d’asilo. Nel 2008 le domande di protezione internazionale inoltrate al nostro Paese da chi è in fuga da guerre e persecuzioni sono state 31.097. Nel 2007 sono state 14.000, 10.000 nel 2006 (Fonti Unhcr e Consiglio italiano per i rifugiati). Nel 2008 il 122% in più rispetto al 2007. infatti, l’Italia nel 2008 ha registrato il più alto incremento di richieste fra tutti i Paesi più industrializzati e oggi si colloca al quarto posto tra le mete prescelte dai rifugiati, dopo Stati Uniti, Canada e Francia. Nell’ultimo decennio l’evoluzione di un sistema spontaneo di tutela e servizio verso i Richiedenti Asilo e Rifugiati Umanitari (RARU) è stata accompagnata dallo sviluppo di un sistema istituzionale denominato “Servizio di protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR)” che ha visto negli Enti Locali, già coinvolti dal crescente sviluppo del welfare locale, la titolarità dei progetti di accoglienza. Alla luce di questi dati siamo ben consapevoli quanto possa essere di interesse sociologico, inteso sia come studio dei processi sociali glocali che come comprensione interpretativa dei fenomeni moderni delle migrazioni, indagare il ruolo degli Enti Locali nell’accoglienza. Nel nostro caso di ricerca, l’analisi si è concentrata sulla città di Roma. L’impianto teorico vede due grandi temi centrali. Il primo riguarda i processi di cambiamento dei sistemi di welfare nella duplice direzione dell’affermazione delle strategie di welfare mix e di welfare locale che appaiono funzionalmente collegate. In questo senso il focus della discussione è rappresentato dalla questione se il welfare locale si sia sviluppato “in seguito” e “grazie a” la messa in opera della strategia di welfare mix, di cui si è ampiamente dibattuto nel corso degli anni ‘90. La crisi del welfare attualizza la classica contrapposizione tra “Stato” e “Mercato”, un dualismo che nei moderni sistemi di welfare sembrava fosse stato superato, ma che la crescente crisi di integrazione sociale da cui sono interessate le società moderne ripropone in tutta la sua rilevanza. È in questo contesto che il welfare mix fornisce un possibile modello teori-

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co di tutela del benessere della collettività, conservando nello Stato le proprie prerogative di programmazione e finanziamento delle politiche sociali, e affidando alle organizzazioni no profit la gestione diretta dei servizi. Organizzazioni no profit attive soprattutto a livello locale. Pensando al ruolo del terzo settore all’interno del welfare locale è possibile parlare di welfare municipale, ossia a un ridisegno del welfare che trova nelle autonomie locali il suo centro politico. Ci troviamo di fronte a una nuova “generazione di politiche sociali”, basate su processi di nuova istituzionalizzazione in cui il terzo settore ha assunto un ruolo primario proprio a livello locale. Nel campo delle politiche e dei servizi di welfare italiani, specificatamente quelli socio-sanitari, la dimensione locale, municipale è sempre più il fulcro del sistema stesso. Le norme introdotte nel corso degli anni ’90, (vedi la legge 142/90 di riforma degli Enti Locali e la legge 328/00 di integrazione delle politiche socio-sanitarie) hanno accentuato tale dimensione locale. Il secondo tema, affrontato con specifico riferimento alle questioni dei richiedenti asilo e dei rifugiati si rifà alla sociologia delle migrazioni, nazionali e internazionali, e all’analisi dello specifico fenomeno dell’accoglienza di queste persone. Tutto ciò lo abbiamo ritrovato nel pregevole lavoro di Ambrosini12. Abbiamo così potuto ricordare i principali modelli di riferimento delle politiche migratorie, sia a livello nazionale che locale, e approfondire il concetto di cittadinanza, il diritto di asilo e la possibilità di ingresso per ragioni umanitarie. Dopo aver affrontato la crisi del welfare state e la nascita e lo sviluppo del welfare mix, vista l’importanza cruciale giocata dal terzo settore, siamo approdati all’analisi della dimensione locale delle politiche pubbliche. A fianco del modello di protezione sociale classico e ai suoi pilastri, ossia il sistema pensionistico e quello sanitario, l’assistenza ha assunto sempre più un ruolo predominante, nel campo delle politiche e dei servizi di welfare italiani. Più specificatamente i servizi socio-sanitari, ove la dimensione locale sempre più appare cardine del sistema stesso. 12

Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Bologna, Il Mulino, 2005.

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welfare we lfare on line È già verso la metà degli anni ’70 che, attraverso una serie di importanti riforme sociali, vengono a crearsi le basi per la costituzione di un primordiale welfare locale. Tutto ciò ha portato nel nostro Paese a una riscontrata “differenziazione territoriale” nell’erogazione dei servizi socio-sanitari che la Zincone (cit. in Campomori 2005) - che si occupa da più di un ventennio di diritti di cittadinanza - ha tradotto in “localismo dei diritti”. È proprio seguendo le elaborazioni della Zincone13 che abbiamo ricostruito i fattori responsabili di tali innovazioni e le conseguenti differenziazioni locali dovute in particolar modo al ruolo delle associazioni di volontariato e alle loro relazioni con gli amministratori locali. Diversi studi compiuti negli ultimi anni sull’erogazione dei servizi a favore degli immigrati hanno evidenziato una differenziazione locale nelle politiche. Differenziazione evidenziabile nel campo dei servizi socio-sanitari rivolti anche ai cittadini stranieri e specificatamente ai richiedenti asilo e ai rifugiati14. Abbiamo quindi fatto nostre la teorizzazione della Zincone condividendo l’ipotesi secondo cui ci troviamo di fronte a ciò che lei definisce “localismo dei diritti”. Tale ricerca riguarda le sfide future del welfare locale. Prendendo come assunto il “localismo dei diritti”, abbiamo studiato il modello locale 13

Zincone, G. & T. Caponio (2004), Immigrant and immigration policy-making. The case of Italy, country report presented at the first IMISCOE General Conference, Coimbra, 3-4 December 2004; Zincone G., T. Caponio & L. Di Gregorio (2004), The multilevel governance of migration. State of the art, paper presented at the first IMISCOE General Conference, Coimbra, 34 December 2004.; Zincone, G. (a cura di) Rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, 2000 e 2001. 14 Secondo l’art. 2 c. 1 della L. 328/00 “hanno diritto di usufruire delle prestazioni (…) i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all’Unione europea ed i loro familiari, nonché gli stranieri”, individuati ai sensi dell’articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. “Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza”, di cui all’articolo 129, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Inoltre secondo il comma 3 sempre dell’art. 2 della L. 328 “i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

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nel Comune di Roma attraverso un’analisi in profondità dei Piani di Zona e dei centri di Accoglienza attivi nella Capitale, nelle Municipalità. Le teorizzazioni pensate per le politiche per l’immigrazione tout court possono essere valide anche per una categoria specifica come quella dei richiedenti asilo e rifugiati umanitari? Due sostanzialmente le domande di ricerca che ci siamo posti: • Perchè il processo di policy su una identica issue è così sensibile alle variazione territoriale? Quali variabili la determinano? • Quali sono diritti per i richiedenti asilo e rifugiati umanitari a livello locale? Per dare risposta a tali quesiti riteniamo di poterci riferire, insieme alla Zincone, al “localismo dei diritti”, a una cittadinanza locale, legata cioè più al territorio che non allo status di rifugiato. Per “localismo dei diritti” (Zincone, 1994, 1999) si intende una riscontrata variabilità territoriale nei provvedimenti e nell’erogazione di servizi a favore degli immigrati, ovvero in tutte quelle politiche di integrazione per gli immigrati che mirano a rendere fruibili i diritti sociali garantiti dalla legislazione nazionale. Ne sono un esempio gli sportelli di consulenza legale; l’interpretariato; la formazione; l’attivazione di corsi di lingua; il mediatoriato culturale; l’accompagnamento ai servizi sociosanitari presso Asl e ospedali. Tale variabilità territoriale era, nella nostra ipotesi, riscontrabile anche a una dimensione di scala microterritoriale. Superando le analisi comparative fin qui compiute su scala nazionale, abbiamo voluto mettere a confronto le realtà municipali che in una città come Roma, date le sue dimensioni e il suo ruolo di Capitale, variano sensibilmente. La strategia interpretativa che abbiamo adottato, invece, prende le mosse dal lavoro di ricerca condotto dalla Campomori15. Sul territorio del Comune di Roma sono state individuate e già preliminarmente studiate e analizzate quattro realtà come casi di studio: il primo, il terzo, il quindicesimo e il ventesimo Municipio. 15

Campomori F., Immigrazione e cittadinanza locale, La governance dell’integrazione in Italia, Roma, Carocci, 2008.

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welfare we lfare on line Nel primo e nel terzo Municipio operano realtà da tempo impegnate nella accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati: la Caritas Diocesana di Roma, l’Associazione Centro Astalli. Nel ventesimo e nel quindicesimo c’è una forte presenza di immigrati, mentre pochi e non strutturati sono i servizi e/o i progetti e/o le strutture indirizzati a questi. Si è preso in esame l’arco temporale che va dalla stesura del primo Piano Regolatore Sociale alla seconda riedizione dello stesso. Si tratta di due trienni di elaborazione e implementazione dei Piani che vanno dal 2002 al 2008. La fase di rilevazione empirica è stata avviata nel 2009 attraverso l’individuazione degli attori da intervistare e tramite l’attivazione di contatti sui territori oggetto di indagine: referenti amministrativi e responsabili delle organizzazioni del terzo settore operanti sul territorio, assessori e consiglieri municipali, personale tecnico-amministrativo dei Municipi e operatori sociali. Per raccogliere i dati abbiamo utilizzato come strumento di rilevazione uno schema di intervista in profondità. In generale è possibile affermare che ci troviamo di fronte a sfide future del welfare locale, tra le quali ampio spazio stanno assumendo le politiche migratorie e i diritti di cittadinanza. Pur nella indeterminatezza del livello nazionale e/o regionale è indubbio che il livello comunale assuma sempre più centralità in materia di politiche per l’immigrazione. Tale centralità ha avuto inizio anche grazie all’avvio dei Piani sociali di Zona, momento in cui per la prima volta viene inserito all’interno di un Piano Regolatore Sociale di una metropoli, come quella di Roma, l’allora Piano Nazionale Asilo, ora SPRAR. Seppur siano passati poco più di cinque anni e ben due triennalità dei Piani, per molti aspetti siamo di fronte a interventi per così dire incompleti e sperimentali. Per quanto riguarda l’accesso ai servizi di accoglienza e protezione sociale dobbiamo ricordare che questo è subordinato ai diritti collega-

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ti allo status del migrante, che vede una classificazione variegata e complessa: regolare con permesso di soggiorno, regolare con carta di soggiorno, regolare stabilizzato, richiedente asilo, rifugiato, irregolare, clandestino. Ognuna di queste “etichette” è in qualche modo collegata a un pacchetto specifico di diritti. Negli ultimi anni la sociologia ha posto un forte accento sulla dimensione sovranazionale dei fenomeni migratori, empiricamente riscontrabili, mentre meno attenzione è stata riservata alle implicazioni locali nel godimento dei diritti, ossia alla dimensione locale della cittadinanza. È questo il livello di analisi che abbiamo voluto scegliere, ritenendo che, se la titolarità dei diritti è effettivamente collocabile nel livello sovranazionale, l’esigibilità dei diritti dipende fortemente dai contesti locali: comunali o addirittura micro-comunali. Vogliamo, cioè, mettere a fuoco l’esistenza di uno squilibrio lampante tra i diritti che i migranti hanno sulla carta e quelli concretamente fruibili16. Le variabili esplicative che abbiamo ritenuto intervenissero nel produrre diversità rilevanti nei processi di politica pubblica analizzati su scala micro-municipale, vale a dire quelle che caratterizzano il riscontrabile localismo dei diritti, sono: • il ruolo giocato dal terzo settore; • l’orientamento politico dei decisori. Dalla ricerca emerge come le politiche locali per gli immigrati non sono il prodotto dell’azione isolata di Comuni o Municipi, ma si caratterizzano per l’azione di una molteplicità di attori, quali organizzazioni di volontariato, altre istituzioni pubbliche (come scuole e servizi sanitari) e associazioni di immigrati. Nei primi tre casi analizzati la presenza di amministrazioni di centro-sinistra e di reti di policy forti e strutturate tra queste e il terzo set16

Pugliese E., L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Bologna, Il Mulino, 2006.

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welfare we lfare on line tore sembrano aver favorito l’attivazione di progetti di accoglienza e integrazione, che invece sembrano del tutto assenti, o quasi, nel ventesimo Municipio, ove l’amministrazione è di centro-destra e il ruolo del terzo settore è marginale. Inoltre, abbiamo notato come nel passaggio dalla prima stesura dei Piani di Zona all’ultima, tempo in cui si è verificato un sostanziale cambiamento politico che ha visto il passaggio dalla Giunta Veltroni (centro-sinistra) alla Giunta Alemanno (centro-destra), si possa registrare una forte discontinuità nella quantità ma anche nella qualità dei servizi erogati per gli immigrati e per i RARU, in tutti e quattro i Municipi oggetto di indagine. La politica è quindi uno dei fattori di contesto, al pari della rete degli attori coinvolti, che fornisce il terreno fertile per l’avvio o la modifica delle politiche di accoglienza e integrazione. Per quanto riguarda il primo, il terzo e il quindicesimo Municipio, siamo di fronte a un terzo settore il cui ruolo ha determinato la costruzione stessa di un “laboratorio sociale”. Analizzando il quale abbiamo potuto focalizzare lo stato della situazione, sia per quel che riguarda le capacità delle organizzazioni no profit di essere protagoniste di tali processi, sia per quanto riguarda la capacità e le risorse dell’istituzione municipale di programmare, coprogettare e gestire “insieme” alle organizzazioni che si occupano da decenni di diritti di cittadinanza (come il Centro Astalli e la Caritas Diocesana) i servizi e le prestazioni, le convenzioni e i protocolli, i progetti sperimentali e quelli pilota. Per quanto riguarda il ventesimo Municipio, in particolare, possiamo affermare che la man-

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canza di rapporti consolidati con le organizzazioni presenti sul territorio è ciò che determina la forte mancanza di scelte cognitive orientate all’accoglienza e all’integrazione da parte dell’amministrazione stessa. Possiamo concludere, dunque, affermando che in certi sistemi i diritti possono precedere o addirittura prescindere dalla cittadinanza piena. I diritti sociali sono di uso quotidiano, e vanno dal poter usufruire dell’istruzione scolastica all’assistenza sanitaria. È proprio nel campo dei diritti sociali che gli Enti Locali hanno maggiore possibilità non soltanto di attuazione ma anche di definizione delle politiche. Ci sembra di poter affermare che sempre più ci troviamo di fronte a una cittadinanza locale, legata cioè al territorio in cui i cittadini si trovano a vivere, e legata in particolare alla realtà politico-istituzionale e a quelle associative e di terzo settore ivi presenti. Flavia Ginevri∗

Phd in Sistemi sociali, Organizzazione e Analisi delle Politiche Pubbliche presso la Facoltà di Sociologia, Dipartimento Innovazione e Società - Dies, Università degli Studi di Roma “Sapienza”. Ha collaborato con la stessa Università e con il Dipartimento di Contabilità Nazionale e Analisi dei Processi Sociali sui temi delle politiche sociosanitarie. Ha svolto attività di consulenza per l’OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, nell’ambito del Programma Nazionale Asilo e Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Partecipa a progetti di ricerca nazionali e internazionali interessandosi soprattutto di politiche sociali, sviluppo locale e pari opportunità.

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Cineforum a cura di

Matteo Domenico Recine Happy family Questa volta faccio uno strappo alla regola e non scrivo di un film degno di nota, bensì di un film da non vedere. L’opera in oggetto è l’ultimo lavoro di Gabriele Salvatores: Happy family. Accostato a modelli nobilissimi quali Pirandello, Woody Allen e i Tenenbaum di Wes Anderson, il film in questione manca in realtà di sostanza, e si limita a citazioni formali che indicano ottimi gusti di base, ma una non altrettanto approfondita e ragionata gestione della materia narrativa a disposizione. La trama narra di uno scrittore – Ezio – che scrive un romanzo corale, basato sulle vicende di due famiglie, collegate dalla relazione dei due figli sedicenni, pronti a sposarsi. Le linee portanti sono due: la malattia terminale di Vincenzo (Fabrizio Bentivoglio) e la forte amicizia che ne scaturisce con l’altro capofamiglia interpretato da Abatantuono, l’attrazione tra la figlia maggiore di quest’ultimo, Caterina e un giovane scrittore – alter ego letterario dello stesso Ezio. Intorno, ruotano altri personaggi, interpretati tra gli altri da Margherita Buy e Carla Signoris. Trama complessivamente esile, nonostante gli artifici registici e i copiosi intrecci, in cui tutto viene affrontato in modo superficiale, senza un’analisi né individuale né sociale. In altre parole è un film del tutto slegato dalla contemporaneità. Una scelta assolutamente plausibile, a livello d’autore, ma altrettanto legittimamente criticabile, sia per la particolarità del contesto italiano (e non solo) di questo periodo storico, che richiederebbero ben altra ambizione e analisi. La recitazione è complessivamente poco ispirata e di tipo televisivo anche negli attori più capaci (spicca, in positivo, il solo Abatantuono), mentre a livello registico spicca la scena dedicata alla Milano notturna, sulle note del pianoforte suonato da Caterina. Per contro, un paio di scene risultano piuttosto volgari e di basso livello. Un film di Gabriele Salvatores. Con Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Carla Signoris, Valeria Bilello, Corinna Agustoni, Gianmaria Biancuzzi, Alice Croci, Sandra Milo. Commedia, durata 90 min. - Italia 2010 - 01 Distribution Uscita venerdì 26 marzo 2010.

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Hanno collaborato a questo numero Beppe De Sario, Flavia Ginevri, Emiliano Monteverde, Matteo Domenico Recine, Silvia Spatari Redattore Zaira Bassetti Impaginazione Zaira Bassetti, Marco Biondi Redazione Piazza del Ges첫, 47 - Roma

Potete inviarci le vostre osservazioni, le critiche e i suggerimenti, ma anche gli indirizzi e i recapiti ai quali volete ricevere la nostra webzine alla nostra e-mail: info@nuovowelfare.it

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