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welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno VIII, Numero 3, Marzo-Aprile 2012
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Foto di Marco Biondi In questo numero: “Cresce il welfare, cresce l’Italia. Una sintesi” di Emiliano Monteverde – pag. 2 “L’Italia vista dal QUARS” di Chiara A. Ricci e Duccio Zola – pag. 3 “Quali strategie per il Welfare 2020. Analisi dei questionari somministrati nel corso degli Stati generali del welfare della Provincia di Roma” di Zaira Bassetti – pag. 5 “Agenda 22. Un piano partecipato per le politiche sulla disabilità” di Stefano Bucari, Andrea Tonucci, Daniela Bucci, Pierangelo Cenci – pag. 8 Le nostre rubriche: “LibrInMente” a cura di Silvia Spatari – pag. 8 “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine – pag. 12
Associazione Nuovo Welfare
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Cresce il Welfare, cresce l’Italia. Una sintesi
L’1 e il 2 marzo scorsi si è tenuta a Roma la Conferenza Nazionale “Cresce il Welfare, cresce l’Italia”, una importante due giorni di incontro e discussione sul futuro del welfare promossa da più di 50 organizzazioni, tra cui l’Associazione Nuovo Welfare. Un’iniziativa di confronto tra esponenti del terzo settore, forze sindacali, centri studi, attori politici, sociali ed economici per riportare il welfare al centro del dibattito. Un welfare che non può e non deve essere considerato un mero costo, ma al contrario rappresentare uno strumento per la crescita delle persone e delle comunità. La due giorni ha offerto l’occasione per discutere su quale idea di sviluppo, quali regole e quali strumenti servano per uscire dalla crisi. Di fronte infatti alla complessità sociale, la risposta non può che essere quella di disegnare un welfare più inclusivo, superando l’approccio risarcitorio e spostando l’asse sulla rete dei servizi territoriali. Battersi per un welfare universalistico significa oggi combattere il drastico ridimensionamento delle risorse destinate al sociale, ma significa anche ragionare insieme per ridisegnare il modello del XXI secolo, dando vita a un grande patto per il welfare come strumento di sviluppo, come paradigma per la ripresa economica e per restituire alle persone l’opportunità di costruire autonomamente il proprio progetto di vita. Più di settecento persone hanno preso parte all’iniziativa. Le discussioni in plenaria, così come i sette gruppi di lavoro e di approfondimento, hanno visto il succedersi di numerosi interventi da parte di esponenti di organizzazioni del terzo settore, del mondo sindacale, delle istituzioni. Hanno offerto il loro contributo alla due giorni costituzionalisti come Stefano Rodotà, sociologi ed economisti come Chiara Saraceno e Paolo Leon, esponenti del Governo come Maria Cecilia Guerra. Un dibattito serio e stimolante di cui si sentiva il bisogno. Le domande di fondo alle quali si è iniziato a dare risposta sono: come rilanciare il modello sociale che ha caratterizzato l’Europa di questi anni? Come rilanciare un’idea di welfare tenendo conto dei cambiamenti sociali,
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demografici ed economici che hanno caratterizzano questa epoca? La consapevolezza che coesione sociale, solidarietà e redistribuzione delle risorse siano strumenti e opportunità per la crescita, e non interventi riparatori, ha accomunato gli interventi nei due giorni di dibattito, durante i quali si è cercato di ragionare attorno alle proposte e ai mezzi attuabili per il rilancio di una strategia di sviluppo e di uscita dalla crisi che tenga conto delle nuove domande sociali, delle esigenze di innovazione e di efficacia/efficienza degli interventi, riconoscendo alla cultura del welfare il ruolo di volàno per lo sviluppo del Paese. Non è l’inizio di un lavoro, che viene invece da lontano e da tanti rivoli diversi, non è la fine di un cammino, che sarà lungo e complesso, ma è certamente una tappa importante di questo percorso. In due giorni si sono confrontati mondi che non si frequentano quanto dovrebbero e si sono cercate risposte a domande che coraggiosamente vanno oltre gli schemi di superamento o difesa dell’esistente. I protagonisti del welfare, della rete dei servizi, dell’advocacy e della tutela del lavoro si sono confrontati con il mondo dell’economia e della politica per immaginare insieme un progetto comune, innovativo e includente. Per discutere di un modello sociale che sia strumento irrinunciabile per uno sviluppo solido, includente, equo. La rete delle organizzazioni che ha promosso l’iniziativa ha deciso di continuare questo suo lavoro di tessitura a partire da nuovi appuntamenti, nuovi incontri dei gruppi di lavoro, occasioni di confronto e di proposta. È una buona notizia. Al seguente indirizzo è possibile trovare tutti i materiali della Conferenza (le relazioni, i documenti dei gruppi di lavoro, gli interventi). http://www.nuovowelfare.it/nuovoWelfare/ww w/applications/frontEnd/index.php Emiliano Monteverde* *
Presidente Associazione Nuovo Welfare.
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L’Italia vista dal QUARS Che il PIL sia uno strumento inservibile per misurare il benessere e la qualità della vita, è un fatto acclarato. Lo si sapeva bene, in realtà, già alla fine degli anni ‘60, quando Bob Kennedy dichiarava agli studenti dell’Università del Kansas che il PIL “misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta” e due illustri economisti, William D. Nordhaus e James Tobin, davano alle stampe un saggio importante, provocatoriamente intitolato Is Growth Obsolete? E lo si sa ancor meglio oggi, mentre assistiamo al fiorire di iniziative da parte di governi, istituzioni internazionali, reti della società civile globale (per un’utile ed esaustiva rassegna in merito, si veda il numero monografico dedicato a «Il benessere oltre il PIL» de La Rivista delle Politiche Sociali, n. 1, 2011) destinate a individuare indicatori in grado di cogliere le molteplici dimensioni che concorrono a determinare la stato di salute di un territorio e della popolazione che lo abita, partendo da ciò che per le persone davvero conta: un ambiente pulito, la tutela del lavoro, dei diritti e della salute, servizi e istruzione di qualità e per tutti, un tessuto sociale coeso e solidale. Proprio su questi temi è impegnata la campagna Sbilanciamoci!: grazie alla pubblicazione del Rapporto QUARS – Indice di qualità regionale dello sviluppo1, Sbilanciamoci!, dal 2003, si pone l’obiettivo di stimolare il dibattito nell'opinione pubblica e di catturare, ove e per quanto possibile, l’attenzione e la sensibilità della politica, a partire dalla convinzione che la correlazione tra ricchezza economica, da un lato, e benessere sociale e sostenibilità ambientale, dall’altro, non sia affatto scontata e che sia invece urgente assumere un approccio scientifico e culturale diverso per misurare questi fenomeni nella loro complessità. Il QUARS, giunto quest’anno alla nona edizione, offre un monitoraggio della qualità sociale e ambientale dello sviluppo nelle regioni italiane, prendendo in esame sette dimensioni (Ambiente, Economia e lavoro, Salute, Diritti e citta1
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dinanza, Istruzione e cultura, Pari opportunità, Partecipazione) al cui interno sono distribuiti 41 indicatori statistici. I dati raccolti vengono quindi elaborati allo scopo di stilare classifiche di rendimento che sintetizzano i comportamenti più o meno virtuosi delle regioni italiane nelle sette dimensioni considerate, e la media tra i risultati conseguiti all’interno di questi domini dà luogo, infine, a una vera e propria graduatoria generale. Con la crisi che stiamo attraversando, peraltro, la pubblicazione del QUARS assume un’attualità, se così si può dire, ancora più stringente: di fronte a un sistema insostenibile dal punto di vista economico (le continue crisi finanziarie, la dipendenza dalla volatilità dei mercati), sociale (a pagare sono in primo luogo le categorie più deboli, giovani, donne, precari, immigrati, lavoratori a basso reddito) e ambientale (si pensi agli effetti dei cambiamenti climatici), emergono con chiarezza tanto i limiti di politiche indirizzate esclusivamente alla crescita economica quanto la necessità di definire nuovi obiettivi di sviluppo e nuovi indicatori a essi correlati. Il Rapporto QUARS 2011 registra puntualmente le difficoltà che la crisi economica, con l’ingente taglio dei trasferimenti, ha riversato sugli enti locali. Le riduzioni alla finanza locale hanno significato meno investimenti, meno servizi, meno prestazioni per i cittadini, e tutto ciò ha indubbiamente inciso sul benessere delle comunità locali. Questo vale in particolare per le regioni del Mezzogiorno, incapaci – a causa di ritardi endogeni e strutturali, di una cronica scarsità di risorse, di inefficienti gestioni politiche e amministrative – sia di sostenere i costi sociali della crisi, sia di recuperare lo scarto che le distanzia da quelle del centro e del nord. Così, il quadro che emerge dalla classifica generale del QUARS (tabella 1) attesta l’approfondimento del divario tra le “due Italie”: medaglia d’oro al Trentino-Alto Adige, argento all’EmiliaRomagna, bronzo all’Um-
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bria. Seguono, nell’ordine, Valle d'Aosta, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Marche, Lombardia, Piemonte, Liguria e Lazio. Nella parte bassa della classifica compaiono tutte le regioni del centro-sud, Abruzzo, Molise, Sardegna, Basilicata, Puglia; agli ultimi tre posti, Calabria, Sicilia e Campania. La figura 1 mostra il gap tra le regioni italiane. Lazio (con un punteggio nella classifica del QUARS 2011 pari a 0,02) e Abruzzo (con un punteggio di -0,02) segnano lo spartiacque tra territori al di sopra e al di sotto della media italiana: i primi si trovano tutti al centro e al nord, i secondi, invece, nel Mezzogiorno. Le dimensioni in cui si registra con maggiore nitidezza questa spaccatura sono tre. Innanzitutto Economia e lavoro, con una forte polarizzazione dei redditi e un alto tasso di povertà delle famiglie e di precarietà nel mercato occupazionale in tutto il sud Italia; in secondo luogo, nell’ambito della Partecipazione, il coinvolgimento della popolazione alla vita civica e politica dei territori appare molto più ampio e articolato al centro e al nord rispetto al Mezzogiorno (particolarmente significativo è il dato sulla presenza di organizzazioni di volontariato); la dimensione Pari opportunità, infine, evidenzia una marcata criticità da parte delle regioni del sud nella realizzazione di politiche e servizi rivolti alla promozione di una vera uguaglianza di genere, specialmente in merito alla presenza delle donne sul mercato del lavoro. Rispetto al quadro appena descritto, le dimensioni Diritti e cittadinanza, Istruzione e cul-
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tura, Salute e Ambiente fanno registrare risultati meno scontati. In particolare, nella classifica relativa a Diritti e cittadinanza, Lazio e Toscana aggiungono i propri risultati decisamente negativi a quelli di Calabria, Puglia, Sicilia e Campania, a testimonianza del fatto che la tutela dei diritti e l’inclusione sociale delle fasce di popolazione più deboli e marginalizzate (innanzitutto i migranti) continuano a rappresentare un vulnus che accomuna trasversalmente le regioni italiane. Lo stesso discorso vale per l’Ambiente, ambito in cui il divario centronord-sud non solo si attenua, ma sembra in alcuni casi ribaltarsi: regioni come Lombardia, Lazio e Liguria presentano risultati altamente insoddisfacenti, soprattutto per quel che riguarda la promozione di indirizzi ecologicamente sostenibili da parte delle amministrazioni locali. È particolarmente indicativo, inoltre, confrontare i risultati della classifica generale del QUARS con quella costruita in base al PIL procapite (tabella 2). Alcune regioni presentano infatti ampi scarti tra le due graduatorie: ciò avviene per esempio per Lazio e Lombardia, che perdono rispettivamente sette e sei posizioni nella classifica QUARS rispetto a quella del PIL; opposto è invece il caso dell'Umbria, che guadagna ben nove posizioni. Tutto ciò rende evidente il fatto che alla ricchezza economica non necessariamente corrispondano orientamenti e investimenti in grado di garantire un effettivo benessere sociale e ambientale, e viceversa. Il PIL,
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del resto, riflette un certo modello di produzione (e di società), e solo cambiando questo modello – produttivistico, quantitativo, energivoro, consumistico – nuovi indicatori potranno affermarsi, sostituendosi a esso. Occorre pertanto un nuovo paradigma che ci dica se preferiamo più posti di lavoro, e di quale tipo, o più tutela del paesaggio, più servizi o meno tasse, più Stato o più mercato, che ci indichi le innovazioni e le produzioni su cui investire e come affrontare il tema dei beni pubblici o la crescente finanziarizzazione dell’economia. Vi è quindi la necessità di legare, come ha sempre fatto Sbilanciamoci!, le iniziative per cambiare, qui e ora, le politiche economiche e l’uso della spesa pubblica con l’impegno indirizzato a modificare radicalmente questo modello di sviluppo, il cosa e come produrre e consumare.
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Un’economia fondata sulla sostenibilità ambientale, la qualità e l’equità sociale, la conoscenza e la sobrietà, prospetta una nuova idea del benessere in cui si trovino al centro i beni comuni, i diritti, le relazioni e la coesione sociale, la tutela dell’ambiente. È questo il paradigma di un’economia diversa e di un nuovo modello di sviluppo, ed è questa una sfida per le istituzioni e le politiche pubbliche: gli indicatori di benessere non sono mai stati considerati da Sbilanciamoci! soltanto un tema di dibattito scientifico e culturale, ma costituiscono un modo per orientare le politiche pubbliche e le scelte istituzionali.Si tratta di una partita da vincere, per costruire un'Italia capace di futuro. Chiara A. Ricci * Duccio Zola **
Ricercatrice della campagna Sbilanciamoci!, dottoranda in Economia politica presso «Sapienza – Università di Roma». ** Ricercatore della campagna Sbilanciamoci!, dottorando in Filosofia politica presso «Sapienza – Università di Roma». *
Quali strategie per il Welfare 2020
Analisi dei questionari somministrati nel corso degli Stati generali del welfare della Provincia di Roma
Tre giorni di lavoro che hanno visto fianco a fianco tutti gli attori protagonisti del territorio: sindaci, assessori e consiglieri dei vari livelli istituzionali, presidenti di municipio, responsabili e operatori dei vari organismi del terzo settore, dei servizi sanitari e sociali del territorio, ordini professionali, sindacati e forze sociali. Sono gli “Stati generali del welfare” della Provincia di Roma, un’iniziativa dal titolo “Una società unita”, organizzata dalla Provincia di Roma, tramite l’Assessorato Provinciale alle Politiche Sociali e alla Famiglia, tenutisi lo scorso 12-13-14 dicembre, presso il Parco regionale dell’Appia Antica. I temi all’ordine del
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giorno erano molteplici: il ruolo del terzo settore e i rapporti con gli enti pubblici, l’integrazione socio-sanitaria, la disabilità, il disagio mentale, la governance e l’immigrazione. “Un grande cantiere” – li ha definiti l’assessore provinciale di Roma, Claudio Cecchini, promotore dell’iniziativa – “un grande coinvolgimento degli amministratori del territorio, delle forze sociali, del mondo del terzo settore per mettere in campo iniziative e proposte per rilanciare il modello di welfare”. Un nuovo modello di welfare che coniughi sviluppo sostenibile e coesione sociale, per una capitale metropolitana dei diritti e della solida-
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rietà. Un’iniziativa per discutere e approfondire varie tematiche in un momento di crisi in cui, lo sostiene ancora l’assessore provinciale, all’aumento del livello di domanda di protezione sociale non è corrisposto un adeguamento dell’offerta di interventi e prestazioni che, seppur a volte iniqua e limitata, è rimasta stabile. A fronte dell’inaugurazione di una “stagione del razionamento delle risorse”, la sfida, dunque, è quella di mantenere un sistema di welfare inclusivo, pur dovendo fare i conti con un vincolo di bilancio, all’interno di un contesto in cui si fa sempre più strada la cultura del dono e della capacità della comunità di svolgere una funzione diffusa di aiuto. Questo non deve significare, tuttavia, si legge nelle parole di Cecchini, la distorsione del principio di sussidiarietà che, così come definito dalla riforma del Titolo V della Costituzione, va inteso come collaborazione tra i cittadini e le Amministrazioni pubbliche e non può significare il venir meno delle responsabilità delle istituzioni di proteggere chi è escluso. Al contrario, proprio in questo momento di crisi, la risposta delle istituzioni deve essere una assunzione di piena responsabilità, di riaffermazione di un sistema pubblico di interventi come bene universale riconosciuto. Allo scopo di avviare quel cantiere di lavoro che contribuisca a delineare le “strategie per il welfare 2020”, durante la tre giorni di lavoro, l’Associazione Nuovo Welfare ha somministrato a coloro che hanno preso parte all’iniziativa un questionario tramite il quale raccogliere opinioni, proposte e punti di vista in merito alle tematiche oggetto dell’evento. Il campione dei partecipanti che ha accettato di rispondere alle domande è composto da 155 persone, per lo più donne (65,81%), mediamente poco più che 45enni. Come era immaginabile, in considerazione anche dell’ente promotore dell’iniziativa, è il Lazio il territorio più rappresentato, per lo più il Comune di Roma (circa l’82%) e la provincia di Roma (10% circa); a seguire, in misura nettamente inferiore, le altre province laziali (3,8%) e le province di altre regioni (poco meno del 2%). In base alla composizione del campione, la tre giorni di lavoro è stata animata soprattutto da rappresentanti del terzo settore (57,42%) e della pubblica amministrazione (26,45%), aventi posizioni di rilievo, quali presidente/vicepresidente oppure dirigente/funzionario. Entrando nel vivo dei contenuti, alla domanda su come si dovrà intervenire nell’immediato di fronte all’attuale taglio delle risorse nel settore
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sociale, gli intervistati non hanno dubbi: in primo luogo, effettuando delle scelte sulle priorità di intervento (120 risposte)2, ma anche aumentando la compartecipazione alla spesa da parte degli utenti in base al reddito (65 risposte). Altra possibile soluzione, secondo le indicazioni pervenute dagli intervistati, potrebbe essere quella di conferire agli enti locali la gestione dei trasferimenti monetari al singolo e alla famiglia (oggi di competenza dell’INPS) (42 risposte). In particolare, nell’ambito del territorio provinciale, secondo gli intervistati occorrerà intervenire in via prioritaria su specifiche aree di utenza, “con uno sguardo rivolto al futuro” tramite azioni di promozione sociale per i giovani (63 risposte) e asili e altri interventi per la prima infanzia (53 risposte). Senza tuttavia trascurare le iniziative per l’inclusione delle persone con disabilità (43 risposte). A coloro che hanno preso parte agli Stati generali del welfare, è stato anche chiesto di fornire una propria opinione in merito ai possibili modelli di sussidiarietà cui dovrebbe tendere il welfare 2020. Anche in questo caso sembra vi siano pochi dubbi: gli intervistati intravedono uno scenario all’interno del quale il pubblico si riappropria di un forte ruolo di presa in carico dell’utente attraverso la regia delle funzioni di programmazione e valutazione degli interventi, esercitate in un’ottica di rete e di condivisione di responsabilità con il privato sociale. Lo sostiene quasi la metà degli intervistati (49% circa). I partecipanti sono stati chiamati anche a esprimersi circa il principio di libertà di scelta dell’utente, di cui si parla molto, utilizzandolo in riferimento ad aspetti molteplici. In particolare, secondo gli intervistati l’ente pubblico dovrà garantire la libertà di scelta del cittadino soprattutto circa l’ente erogatore da cui ricevere il servizio (33,5%) e rispetto alle modalità di fruizione del servizio, come per esempio gli orari e la durata (22,5%). Quali le possibili soluzioni da adottare per favorire l’effettiva integrazione tra le politiche e gli interventi (sociali, sanitari, della formazione e del lavoro, della casa...)? Vincono su tutti gli accordi di programma e i protocolli di intesa tra Comune, Asl, Scuole, Servizi per l’Impiego, ecc. (soluzione indicata in 78 risposte), ma anche la cartella sociale informatizzata, in cui il Alcune domande del questionario prevedevano la prossibilità di fornire più risposte.
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progetto individuale dell’utente sia accessibile e aggiornabile in rete (attraverso modalità di accesso protette) da parte di tutti gli enti erogatori (53 risposte). Meno incisiva, ma comunque indicata come una possibile strada da perseguire, è la costruzione di spazi polivalenti in cui si concentrino una pluralità di attori, professionalità e servizi (48 risposte). In considerazione dell’ambito di provenienza delle persone che hanno risposto al questionario, non c’è da sorprendersi se esse abbiano le idee molto chiare in merito al ruolo del terzo settore. Oltre il 65% degli intervistati pensa che “il ruolo dell’associazionismo nel sistema territoriale delle politiche sociali debba essere attivo sia nella programmazione che nella pianificazione delle politiche e dei servizi sociali”. Riguardo le posizioni in merito al ruolo del privato for profit, il 50,9% sostiene che esso debba essere coinvolto in forme di partenariato pubblicoprivato sperimentali e/o innovative (per es. nella fornitura di interventi complessi che vedano la possibilità per l’utente di acquistare quantità o qualità aggiuntive di servizio). Poco più del 20,9% ritiene che il privato for profit debba essere coinvolto nella programmazione, gestione e valutazione del sistema degli interventi e servizi sociali, mentre di contro solo una minoranza pari al 6,45% è convinto che esso debba essere coinvolto solo nell’erogazione degli interventi e servizi sociali. Il 47,7% di coloro i quali hanno risposto al questionario è convinto che, per guardare al welfare di domani, l’ente pubblico dovrà affidare la gestione dei servizi ai soggetti erogatori sulla base della definizione di standard di qualità dei servizi e verificandoli attraverso un sistema di controllo basato su indicatori di efficienza, efficacia e impatto. A tal proposito vi è anche un 21,9% ritiene che per perseguire questo obiettivo sia utile procedere attraverso il sistema di accreditamento, per favorire trasparenza e standardizzazione delle procedure e degli interventi. Il sistema di welfare del territorio presenta dei limiti ed è stato chiesto su quale di questi si dovrà intervenire con decisione. In maniera prioritaria, è stata indicata l’assenza di un disegno politico di medio e lungo termine (tale problematica si riscontra in 46 risposte). Altra
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problematica è stata intravista nello scarso sistema di monitoraggio e valutazione degli interventi e dei servizi erogati (39 riposte), così come nel divario in termini di quantità e qualità tra aree geografiche appartenenti allo stesso territorio provinciale (31 risposte). L’ultima domanda del questionario mirava a raccogliere le opinioni degli intervistati in merito alla legge 328/2000, in particolare in merito a eventuali suoi aggiornamenti, integrazioni e/o modifiche. In primo luogo, è interessante notare come dalle parole degli intervistati emerga una sorta di malcontento diffuso circa la (non)attuazione della legge, nonostante siano trascorsi oltre dieci anni dal suo concepimento. Sono in molti, infatti, coloro che sostengono che per il bene della legge 328/2000 prima ancora che criticarla o elogiarla sarebbe sufficiente e utile “semplicemente” applicarla. Un altro aspetto su cui insistono gli intervistati è la necessità di individuare le modalità di una reale e maggiore integrazione socio-sanitaria, non solo dal punto di vista dell’offerta dei servizi ma anche da quello dei finanziamenti degli stessi. Alcuni intervistati parlano addirittura di fallimento della legge, nonostante i buoni propositi e le potenzialità in essa contenuti, a causa della mancata individuazione e definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali. Inoltre, si evidenzia la necessità di un’analisi dei bisogni costante e ripetuta nel tempo, come base per offrire servizi puntuali e customizzati sulle reali esigenze degli utenti. A latere di quanto indicato, occorrerebbe predisporre un vero e proprio sistema di monitoraggio valutazione e verifiche, da effettuare con sistematicità e serietà soprattutto sulla qualità e sull’efficienza de servizi erogati. Infine, ma non certo per importanza, gli intervistati auspicano una maggiore partecipazione, in primis del terzo settore a cui dovrebbe essere consentito lo svolgimento di una effettiva funzione di coprogettazione, per esempio attraverso l’organizzazione di tavoli di lavoro e di ascolto che vedano la cooperazione e la collaborazione di tutti gli attori del territorio.
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Zaira Bassetti
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LiBrInMenTe Suttree di
Silvia Spatari
Cornelius “Buddy” Suttree sopravvive pescando sulle sponde limacciose del fiume Tennessee; come dimora una baracca galleggiante, come compagni i residui umani del quartiere più degradato di Knoxville: un’incredibile e assai pittoresca torma di alcolizzati flatulenti e puttane sifilitiche, mendicanti, ex galeotti rissosi, perdigiorno e debosciati di ogni genere. Suttree non è nato lì, tra miserabili e decadenti: viene da una colta e agiata famiglia dell’alta borghesia, ma ha scelto di mollare tutto, privilegi e moglie e figlio, per fluire con il fiume. Scopriremo poco altro di lui, ad esempio che nei suoi gesti e nelle sue giornate affiorano costanti un dolore sordo e un fatalismo consapevole, ma tanto basta per condividere la sua anomalia. Siamo nel 1951, nell’America greve delle discriminazioni razziali e delle sperequazioni sociali ed economiche, e McCarthy riesce a sublimare questo mondo di contrasti nella dignità con cui il suo protagonista attraversa un’esistenza sempre al limite dell’abiezione e solo all’apparenza insensata; a fare da cornice solo la maestosità asfittica del grande fiume, metafora dello scorrere inesorabile del tempo, o forse della storia stessa dell’umanità, costantemente in bilico tra abissi e redenzioni. McCarthy ci offre un libro imperdibile, denso e profondo e dalla stupefacente qualità visiva, narrato con un linguaggio asciutto eppure pieno di lirismo. Esemplari le quattro pagine di prologo, che ci introducono come una specie di allucinazione al mondo controverso di Suttree e già da sole valgono l’intero libro. Cormac McCarthy 2011, Einaudi € 15,00 ebook - € 6,99
Agenda 22. Un Piano partecipato per le Politiche sulla Disabilità
L’articolo di seguito proposto è stato pubblicato integralmente sul nr. 6 – 2011 di “Welfare Oggi”, che ringraziamo per la gentile concessione. Per scaricare la rivista o per avere maggiori informazioni: http://www.periodicimaggioli.it Agenda 22: princìpi e obiettivi Cos’è Agenda 22? Agenda 22 è un metodo con cui l’Istituzione
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(locale, territoriale o nazionale) definisce un Piano per le Politiche sulla Disabilità (PPD) fondato su prassi ed azioni inclusive e rispettose
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dei diritti umani. È un metodo partecipato: l’Istituzione pubblica, nel definire gli obiettivi e le misure da mettere in campo, si avvale dell’esperienza e della specifica competenza delle Associazioni che tutelano i diritti delle persone con disabilità, in qualità di partner paritari. L’individuazione delle azioni da attuare per colmare il gap esistente tra le risorse presenti (interventi e servizi) e le esigenze delle persone con disabilità deve fondarsi su condizioni di pari opportunità per tutti, favorendo il passaggio dal concetto di “bisogno” (discrezionale) a quello di “diritto” (esigibile). Le azioni inserite nel PPD devono essere misurabili nella loro efficacia, efficienza ed appropriatezza rispetto al raggiungimento degli obiettivi prefissati ed al godimento dei diritti umani. Come e quando nasce Agenda 22 ed a cosa si ispira? Agenda 22, che nasce in Svezia tra il 1996 ed il 1999, definisce un quadro di collaborazioni tra le Associazioni e le Istituzioni pubbliche per monitorare il rispetto dei diritti umani nelle politiche locali. Il nome nasce dall’unione di “Agenda”, termine usato per la pianificazione di azioni politiche, e “22”, il numero delle Regole Standard delle Nazioni Unite per l’Eguaglianza di Opportunità delle Persone con Disabilità (1993), che individuano 22 aree di vita in cui le politiche pubbliche dovrebbero agire per includere le persone con disabilità, definendo lineeguida per l’azione dei governi. Le Regole Standard non limitano l’intervento politico ai soli àmbiti di cura ed assistenza, ma prendono in considerazione tutte le aree di vita in cui l’assenza o la non adeguatezza di politiche determina discriminazioni e violazioni dei diritti umani (mainstreaming1). Le Regole Standard affermano che la mancanza di pari opportunità è causata dalla difformità di trattamento che la comunità riserva alle persone con disabilità rispetto agli altri cittadini. Qual è lo scopo di Agenda 22 e cosa prevede? Agenda 22 indica linee-guida per le azioni dei governi locali al fine di assicurare che i processi decisionali, programmatori ed attuativi delle politiche sulla disabilità siano conformi alle Regole Standard e rispondenti ai diritti/bisogni Mainstreaming significa alla lettera «corrente principale di un fiume», ma qui indica il carattere non residuale delle politiche sulla disabilità ed invita ad abbandonare la dicotomia tra le politiche “per la disabilità” (politiche speciali) e quelle “per la normalità” (politiche ordinarie), per adottare politiche valevoli per tutti.
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delle persone con disabilità. Agenda 22 prevede: 1) la realizzazione di un PPD che includa qualsiasi politica da attuare con progetti incentrati sulla disabilità e che contenga obiettivi specifici a lungo termine ed un metodo di valutazione-revisione; 2) il coinvolgimento delle Associazioni come referenti/consulenti privilegiati delle Istituzioni per ciò che riguarda la vita delle persone con disabilità; 3) la realizzazione di due monitoraggi (la “fotografia” dell’attuale stato dei servizi e delle politiche territoriali e la “mappatura” dei bisogni delle persone e dell’eventuale presenza/assenza di servizi pubblici appropriati) ed un’analisi del gap esistente tra i due “inventari”, da colmare attraverso le azioni da inserire nel PPD. Agenda 22 a Terni: work in progress Perché è stata scelta Terni per sperimentare Agenda 22? In occasione del progetto internazionale Mainstreaming Disability in Local and Regional Policies del 2005 cui partecipò la FISH nazionale, fu accolta la candidatura di Terni a diventare “laboratorio sperimentale” di Agenda 22 in Italia. Elementi favorevoli furono: 1) la comune volontà delle Associazioni ternane, dell’Amministrazione e della ASL di sperimentare una pianificazione condivisa di politiche e servizi in favore delle persone con disabilità; 2) un movimento associativo, i cui leader2 furono formati ad hoc dalla FISH nazionale e dal Centro servizi per il volontariato di Terni per investire sulle proprie conoscenze e competenze, capace di partecipare con proposte attuabili3; 3) la presenza del Centro per l’Autonomia umbro4 in grado di garantire, mediante il proprio team multidisciplinare di professionisti, una risorsa ed un valore aggiunto alla praticabilità propositiva delle Associazioni. Come si è articolata l’esperienza di Agenda 22? In due momenti: dal 2005 è stata avviata la sperimentazione del metodo, con lo scopo di accrescere la qualità della partecipazione delle Associazioni ai processi decisionali e di dare Ricomprende le Associazioni facenti parte della Federazione Italiana Superamento Handicap dell’Umbria (FISH Umbria, sez. Terni) e della Federazione Associazioni Nazionali Disabili (FAND Umbria). 3 Progetto EmpowerNet (ex legge n. 383/2000). 4 È un progetto dell’Associazione Vita Indipendente Umbria (già Associazione paratetraplegici della Provincia di Terni), nodo della rete dei Centri Empower-Net, che supporta la persona con disabilità nel definire il proprio progetto di vita (www.cpaonline.it). 2
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avvio a confronti responsabili con le Istituzioni; ivi espressi ed a coniugare la ratifica della dal 2010, dopo un processo di maturazione Convenzione con la realizzazione del PPD di delle parti ed una maggiore volontà politica, Agenda 22. Diventa strategico, perciò, il virtuAgenda 22 è entrata nella decision-making del oso processo ciclico previsto da Agenda 22: Comune di Terni. per ogni nuova politica, servizio o necessità, si Come si è articolata l’esperienza del 2006 e valuta e si analizza la situazione, si elabora (o quali sono stati i risultati? rielabora) una proposta progettuale, la si asLa FISH nazionale ha sostenuto la sperimenta- sume come decisione politica ed, infine, si reazione mettendo a disposizione i propri esperti lizzano gli interventi (immagine 1). per il necessario supporto metodologico: in Il naturale turnover di interlocutori politici e particolare, l’Associazione Nuovo Welfare5 ha tecnici ha rafforzato l’esperienza di Agenda 22, coordinato attività essenziali quali la formazio- includendola in modo stringente nella decisionne delle Associazioni e delle Istituzioni sul te- making del Comune di Terni: ossia nel Piano ma della progettazione partecipata; la defini- strategico e nel Piano Regolatore del Sociale zione degli obiettivi sulla base del gap tra l’of- (PRS), strumenti per definire princìpi e lineeferta comunitaria ed i bisogni delle persone con guida che andranno a formare il Piano Sociale disabilità; l’individuazione delle criticità. Seb- di Zona. Il Comune istituisce dei tavoli di lavobene i risultati del monitoraggio (che ha regi- ro: uno interistituzionale per dettare linee di strato gap in merito all’accessibilità, alla mobi- indirizzo; uno interno all’Ente per definire gli lità ed alla mancanza del Progetto Individuale) obiettivi strategico-operativi, gli strumenti ed i e la costituzione di tavoli tematici per affronta- metodi di lavoro e per ri-elaborare la proposta re le singole criticità abbiano portato alla defi- progettuale; e tre gruppi di lavoro tematici per nizione di un percorso strutturato, la sperimen- la formulazione di proposte operative rispetto tazione, tuttavia, ha visto venir meno “la forza” alle aree dell’accessibilità, della mobilità, dei di trovare compimento (se non in modo e- servizi alla persona e dell’inclusione scolastica stemporaneo), anche a causa dell’assenza di (nuova priorità emersa). una concreta volontà politica. I risultati più Agenda 22 si pone in continuità con la sussitangibili sono stati le delibere comunali per diarietà prevista nel nostro Paese? La legge 328/2000 conformalizzare accordi referisce al terzo settore lativi ai temi critici. Tali Immagine 1 – Il processo di Agenda 22 un ruolo nella decisionatti hanno comunque making locale, codificato avuto il merito di spingenei Piani Sociali di Zona. re il Comune a ri-pensare A Terni questo è stato il proprio modus operandi con lo spirito di Agenrealizzato proprio grazie ad Agenda 22: nel 2005, da 22. Come e perché Agenda quando la FISH Umbria propose Agenda 22 alle 22 è ripresa nel 2010? Istituzioni, riprese quanLa collaborazione tra le to previsto dal Piano SoAssociazioni e le Istituciale di Zona zioni prosegue anche dopo il 2006 per individua2000-2002 di Terni; ad re strumenti innovativi e oggi, è lo stesso Comune condivisi nel campo della di Terni che ha incluso presa in carico. Agenda 22, tra gli assi Ma la svolta è la ratifica portanti del PRS. della Convenzione delle A fronte dell’urgenza delNazioni Unite sui Diritti le scelte e della gravità delle Persone con Disabidelle azioni per contralità da parte dell’Italia stare la crisi economica (Legge 18/2009), che internazionale, in che spinge il Comune di Terni a far propri i princìpi modo può trovare spazio nel PRS la sussidiarietà in un’ottica di mainstreaming? 5 L’Associazione Nuovo Welfare di Roma è esperta in proLa crisi impone cambiamenti di prospettiva e di getti legati alle politiche sociali (www.nuovowelfare.it). rotta. Il welfare non sopravviverà senza un ri-
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pensamento delle priorità, della governance, dei sistemi di finanziamento e delle regole di accesso ai servizi. Al contenimento dei costi vanno abbinati un approccio unitario di problem solving e risposte strutturate. Il PRS, ponendosi come strumento di programmazione sociale integrata, volto a definire indirizzo e priorità delle politiche pubbliche, è un processo di riforma aperto, che si arricchisce nella sua implementazione e valutazione, attivando network professionali e civici. Agenda 22 ha dimostrato che, in luogo di azioni “riparative”, le politiche integrate di welfare consentono di agire direttamente su aspetti di coesione e di inclusione sociale e, indirettamente, su azioni volte a gestire il mutamento di variabili, fattori e processi. Punti di forza di Agenda 22 Agenda 22 è una buona prassi locale? Agenda 22 ha inciso nel modus operandi della politica locale in modo irreversibile: ha dato avvio ad una modalità partecipativa che è diventata patrimonio di Istituzioni ed Associazioni; ha ottenuto l’approvazione del governo cittadino (al di là della durata delle sue Giunte); ha dato avvio ad un percorso di collaborazione paritaria tra le Associazioni e le Istituzioni sui temi dell’accessibilità, della mobilità e sull’individuazione di strumenti condivisi per la presa in carico delle persone con disabilità. Agenda 22 permette la realizzazione dell’empowerment comunitario? Agenda 22 è un metodo innovativo con il quale gli stessi beneficiari delle politiche partecipano alla definizione di obiettivi, priorità e metodi della decision-making del welfare, agendo in modo pro-attivo mettendo a disposizione le proprie risorse. Agenda 22 “fa bene” alle Associazioni? Nella fase di identificazione di priorità e bisogni, le Associazioni hanno accresciuto la propria capacità di analisi e di problem solving, passando dalla protesta alla definizione di proposte partecipate (in primis all’interno della stessa rete associativa). Nella fase attuale, le Associazioni si assumono la responsabilità di portare avanti le proposte e di misurarne l’impatto nella qualità della vita delle persone con disabilità. Ciò è un elemento di contrattazione politica e di rivendicazione mature da parte delle Associazioni: non accettano più una governance calata dall’alto, ma chiedono una piena ed attiva partecipazione.
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Agenda 22 “fa bene” alle Istituzioni? Durante la sperimentazione, analizzando il gap tra i servizi offerti ed i princìpi delle Regole Standard, le Istituzioni hanno conosciuto una nuova visione della disabilità. Con la definizione delle delibere hanno riconosciuto il ruolo delle Associazioni come essenziale nella decision-making partecipata. Infine, oggi, hanno assunto la concertazione con esse come prassi operativa specifica. Si può pensare ad Agenda 22 come prassi innovativa per affrontare la crisi? Con la crisi, le Istituzioni locali sono costrette a ripensare l’attuale offerta di servizi sociosanitari, con scelte politiche molto nette: Agenda 22 offre gli strumenti per affrontare un cambiamento che, pur comportando drastiche scelte di natura politica, economica e finanziaria, rende sostenibile il pieno rispetto delle pari opportunità e quindi dei diritti umani. Criticità di Agenda 22 La crisi impone scelte basate sull’emergenza. Non c’è il rischio di compromettere le ragioni di Agenda 22? La “politica dell’emergenza” costituisce un rischio per Agenda 22 solo laddove vanifichi il processo diritti-bisogni-azioni, facendo prevalere l’urgenza dell’agire su quella del rispetto dei diritti, in virtù di un “pragmatismo” volto alla difesa degli equilibri (in primis di bilancio), anziché alla costruzione di un futuro inclusivo. La crisi obbliga a soluzioni “pesanti” per i cittadini con disabilità. Agenda 22 può renderle più accettabili? La crisi mette alla prova la maturità politica delle Associazioni: se da un lato è difficile pensare che queste possano accettare interventi come quelli che si stanno delineando, dall’altro, il poterli ricondurre dentro il percorso di Agenda 22 garantisce che la richiesta di sacrifici si collochi all’interno di una migliore e più credibile prospettiva futura. La produzione di atti formali da parte del Comune ha avuto poche ricadute pratiche sull’assetto dei servizi e dell’urbanistica. Ciò non porta ad una sfiducia da parte delle persone con disabilità verso Agenda 22? La logica con cui si è mossa Agenda 22 è stata quella di incidere sul modus operandi della politica locale. È vero che, per ora, la quantità di atti prodotti (dovuta anche al cambio, nel tempo, dei referenti tecnici e politici) non ha determinato un’equivalente ricaduta in termini di impatto
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sulla vita dei cittadini. Tuttavia, se questo è stato il “prezzo da pagare” per partecipare a pieno titolo e con continuità alle scelte della politica, ben vengano tali atti! Stefano Bucari* Andrea Tonucci** Assessore alle Politiche sociali del Comune di Terni dal 2009. Ha introdotto il Piano Regolatore Sociale del Comune di Terni. Ha rilanciato Agenda 22 inserendola all’interno dello stesso e del Piano Strategico del Comune. ** Vicepresidente della FISH Umbria e presidente dell’Associazione Vita Indipendente Umbria. Ha coordinato la sperimentazione di Agenda 22 nel 2006. È membro del Tavolo di lavoro interistituzionale per le linee di indi*
Daniela Bucci*** Pierangelo Cenci****
rizzo e del tavolo di coordinamento interno all’Ente di Agenda 22. *** Sociologa, dirige l’Associazione Nuovo Welfare e collabora, prima come consulente e poi come dipendente, con la FISH nazionale. Supporta metodologicamente Agenda 22 dal 2006. **** Assistente sociale presso il Centro per l’Autonomia Umbro. Ha partecipato ad Agenda 22 nel 2006 e fa parte del tavolo tecnico sui servizi alla persona di Agenda 22.
Cineforum a cura di
Matteo Domenico Recine Quasi amici Quasi amici, di Nakache e Toledano, narra di Philippe, tetraplegico milionario, e Driss, immigrato dal Senegal col sussidio di disoccupazione, una situazione familiare disastrata e precedenti problemi con la legge. Quando Driss (per mantenere il sussidio) si presenta al colloquio per il posto di assistente di Philippe, viene da questi scelto perché nel suo approccio istintivo e senza filtri è l’unico candidato a trattarlo da persona e non da malato. In lui non c’è alcuna forma di pietismo. Nel corso della loro conoscenza, entrambi apprendono qualcosa: Driss comincia ad avvertire il peso – positivo – delle responsabilità; Philippe a non dare per finite le proprie capacità fisiche ed emotive. A causa di problemi di famiglia per Driss, i due amici si separano, non perdendosi però del tutto di vista fino a quando Driss, chiamato dalla segretaria di un Philippe sempre più infelice, prova a scuoterlo in modo radicale e organizza per lui un incontro che gli cambierà la vita. Su questo finale si chiude il film, strutturato in modo semplice, per singoli microepisodi più o meno collegati. La piacevolezza della pellicola è sostenuta principalmente dalle due prove recitative di Cluzet e Sy, splendidi protagonisti durante tutta la sua durata. Quasi amici è un film pienamente riuscito nella forma e nei contenuti: il fatto che un film con un tetraplegico per protagonista produca effetti comici senza aver bisogno di edulcorare o ridicolizzare la realtà testimonia l’approccio peculiare e il risultato raggiunto. Per ottenere ciò, gli autori hanno lavorato molto sulla semplificazione: solo Philippe, tra i vari personaggi, presenta caratteristiche completamente reali, umane; persino Driss è complessivamente un personaggio monodimensionale, i cui lati negativi, dichiarati all’inizio del film, si dissolvono lasciando apparire un personaggio estremamente positivo, ma non del tutto reale. Piuttosto semplici risultano anche gli altri personaggi, poco più che maschere. Il film, in sostanza, sviluppa un tema basato su fatti veri abbandonando completamente la verosimiglianza, a favore del coinvolgimento emotivo dello spettatore. Tutto ciò ha il merito di proporre il tema delle persone con disabilità sotto una veste diversa, vitale e per nulla consolatoria, pur essendo positiva. Ciò che si segnala in negativo è invece il titolo italiano, senza alcuna attinenza né rispetto al film, né rispetto al titolo originale. Un film di Olivier Nakache, Eric Toledano. Con François Cluzet, Omar Sy, Anne Le Ny, Clotilde Mollet, Audrey Fleurot, titolo originale Intouchables. Commedia, durata 112 min. - Francia 2011. - Medusa uscita venerdì 24 febbraio 2012.
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Hanno collaborato a questo numero Zaira Bassetti, Daniela Bucci Stefano Bucari
Andrea Tonucci, Pierangelo Cenci Chiara A. Ricci, Duccio Zola Matteo Domenico Recine Silvia Spatari Foto
Marco Biondi Redattore
Zaira Bassetti
Impaginazione Zaira Bassetti Redazione
Piazza del GesĂš, 47 - Roma Potete inviarci le vostre osservazioni,
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ai quali volete ricevere la nostra webzine alla nostra e-mail: info@nuovowelfare.it
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