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WOL welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno VI, Numero 7, Novembre
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Foto di Marco Biondi In questo numero: “Finanziaria 2011: fine delle politiche sociali?” di Antonio Misiani – pag. 2 “Gli effetti della manovra correttiva sulle politiche sociali” di Francesco Montemurro e Daniele De Pretto – pag. 5 “Indagine sugli interventi e i servizi sociali dei Comuni: principali cambiamenti tra il 2004 e il 2007” di Roberto Fantozzi – pag. 8 “Le disabilità oltre l’invisibilità istituzionale” di Carla Collicelli – pag. 10 “Verso l’Economia del Ben-Essere” a cura dell’Ufficio stampa Aiccon – pag. 12 “News&Anticipazioni” a cura dell’Associazione Nuovo Welfare –pag. 4 Le nostre rubriche: “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine – pag. 7 “LibrInMente” a cura di Silvia Spatari – pag. 10
Associazione Nuovo Welfare
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Finanziaria 2011: fine delle politiche sociali?* Tratto da www.nens.it Il drastico ridimensionamento deciso con la manovra finanziaria per il 2011 dei fondi statali di carattere sociale potrebbe segnare la fine di importanti politiche socio assistenziali. È uno dei dati più eclatanti che emerge dai numeri del Disegno di legge di stabilità 2011 (A. C. 3778) e del Bilancio di previsione 2011 dello Stato (A. C. 3779). Il taglio più significativo riguarda il Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS), isti-
tuito dall’art. 59, comma 44 della Legge 449 del 1997. La configurazione del Fondo è stata ridefinita dall’art. 80, comma 17 della Legge finanziaria 2001 e dall’art. 20, comma 8 della Legge 328 del 2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”). Da ultimo, l’art. 2, comma 103 della Legge finanziaria 2010 ha stabilito che gli oneri relativi ai diritti soggettivi (agevolazioni a genitori di handicappati, assegni di maternità, assegno ai nuclei familiari, indennità per i lavoratori affetti da talassemia major) in precedenza finanziati dal riparto del FNPS, sono finanziati tramite appositi capitoli di spese obbligatorie iscritti nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le risorse del FNPS, che rappresenta la principale fonte di finanziamento statale degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, contribuiscono in misura decisiva al finanziamento della rete integrata dei servizi sociali territoriali attraverso la quota del Fondo ripartita tra le regioni (che a loro volta attribuiscono le risorse ai comuni, che erogano i servizi ai cittadini in conformità ai Piani sociali di zona). Al netto delle risorse dedicate ai diritti sogget-
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tivi gli stanziamenti del Bilancio di previsione dello Stato relativi al FNPS – destinati in gran parte alle regioni – erano pari a 939,3 milioni nel 2008. Nel biennio successivo il governo Berlusconi ha deciso una prima, drastica riduzione fino ai 435,3 milioni previsti per il 2010. Per il 2011 si prospetta, di fatto, lo smantellamento del Fondo con uno stanziamento ab-battuto a 75,3 milioni di euro (-82,7% rispetto al 2010). Poiché tale somma basterà a malapena a coprire l’attribuzione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dal 2011 le risorse destinate alle regioni (progressivamente diminuite, come evidenzia un recente Dossier della Conferenza delle regioni, dai 670,8 milioni del 2008 ai 518,2 milioni del 2009 fino ai 380,2 milioni del 2010) verranno azzerate, compromettendo dieci anni di lavoro di costruzione della rete territoriale dei servizi sociali. La manovra di bilancio per il 2011 cancella ogni stanziamento per il Fondo per la non autosufficienza, istituito dall’art. 1, comma 1264 della Legge finanziaria 2007 e finalizzato a garantire su tutto il territorio nazionale l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore delle persone non autosufficienti. Le risorse destinate al Fondo, pari nel 2007 a 100 milioni (di cui 99 attribuiti alle regioni), erano salite a 300 milioni nel 2008 (di cui 299 alle regioni) e a 400 milioni nel 2009 (di cui 399 alle regioni) e nel 2010 (di cui 380 alle regioni). La cancellazione del Fondo è un passo indietro molto negativo, in un * Rispetto al momento in cui è stato scritto questo articolo, lo stanziamento di 75,3 milioni di euro relativo al Fondo Nazionale Politiche Sociali previsto per il 2011 è stato incrementato di 200 milioni di euro, facendo registrare una riduzione del 36,8% rispetto al 2010 e del 70,4% rispetto al 2008. Si vuole inoltre segnalare il taglio dei fondi destinati al cinque per mille, ridotti da 400 a 100 milioni di euro.
welfare on line Paese dove – come ricordato da una recente Ricerca promossa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – a fronte di almeno 2,6 milioni di persone non autonome nello svolgere le normali funzioni quotidiane le risorse pubbliche destinate a sostenere le disabilità e la non autosufficienza sono assolutamente esigue in rapporto a quanto accade nel resto d’Europa. Il Fondo per le politiche della famiglia, istituito dall’art. 19, comma 1 del Decreto legge 223 del 2006, era destinato a finanziare il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, l’elaborazione del Piano nazionale per la famiglia, il sostegno delle adozioni internazionali, le iniziative di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, il fondo di credito per i nuovi nati e alcuni interventi relativi ad attività di competenza regionale. Se nel 2008 il Fondo poteva contare su 346,5 milioni, nel biennio successivo gli stanziamenti sono stati dimezzati (186,5 milioni nel 2009 e 185,3 milioni nel 2010). Nel 2011 le risorse destinate al Fondo verranno ridotte del 71,3% rispetto al 2010, scendendo a 52,5 milioni. Con buona pace di tanta retorica sulla necessità di un welfare più orientato verso le famiglie. Il Decreto legge 223 del 2006 aveva anche istituito (art. 19, comma 2) un Fondo per le politiche giovanili finalizzato al finanziamento di progetti per la promozione del diritto dei giovani alla formazione culturale, professionale e all’inserimento nella vita sociale (attraverso interventi riguardanti il diritto all’abitazione e l’accesso al credito). Nel 2008 il Fondo era stato finanziato con 137,4 milioni, poi scesi a 79,8 milioni nel 2009 e 94,1 milioni nel 2010. Nel 2011 gli stanziamenti saranno ridotti a 32,9 milioni (-65% rispetto all’anno precedente). Molto significativo è il pesante ridimensionamento del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, previsto dall’art. 11, comma 1 della Legge 431 del 1998. Obiettivi del Fondo sono la concessione, ai conduttori aventi i requisiti minimi richiesti, di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione nonché il sostegno delle iniziative intraprese dai comuni tese a favorire la mobilità nel settore della locazione attraverso il reperimento di alloggi da concedere in locazione per periodi determinati. Nel 2008 il Fondo aveva ricevuto risorse per 205,6 milioni. Nel biennio successivo gli stanziamenti erano stati ridotti a 161,8 milioni nel 2009 e a 143,8 milioni nel 2010. Nel 2011 il Fondo sarà praticamente cancellato, con la riduzione delle ri-
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sorse disponibili a 33,5 milioni (-76,7% rispetto al 2010). Nello stesso anno dovrebbe essere introdotta, nelle intenzioni del governo (art. 2 dello schema di Decreto legislativo sul “federalismo municipale”), la cosiddetta “cedolare secca sugli affitti” con la previsione di un’aliquota unica del 20% per la tassazione dei canoni di locazione relativi agli immobili ad uso abitativo. La cedolare secca comporterebbe, elaborando i dati della Relazione tecnica del decreto, un risparmio per i proprietari immobiliari pari a ben 852 milioni annui. Sono stati azzerati negli anni scorsi il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, istituito dall’art. 1, comma 1267 della Legge finanziaria 2007 (i 100 milioni stanziati nel bilancio di previsione 2008 sono stati cancellati dal Decreto legge 93 del 2008. Nessun finanziamento è stato previsto negli anni successivi) e i fondi destinati al Piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio educativi per la prima infanzia previsto dall’art. 1, commi 1259-1260 della Legge finanziaria 2007 (finanziato con 446 milioni nel triennio 2007-2009, di cui 100 milioni nel 2009, dal 2010 non è stato più rifinanziato). Quasi del tutto smantellato è anche il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, istituito dall’art. 19, comma 3 del Decreto legge 223 del 2006: dai 64,4 milioni stanziati nel 2008 si è passati ai 30 del 2009, ai 3,3 del 2010 e ai 2,2 dal 2011. Il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, introdotto dall’art. 1 della Legge 285 del 1997 e destinato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale a favore dell’infanzia e dell’adolescenza è invece rimasto sostanzialmente invariato: 43,9 milioni nel 2008 e 2009 e 40 milioni nel 2010 e seguenti. Sono stati drasticamente tagliati, infine, gli stanziamenti destinati al Fondo nazionale per il servizio civile degli obiettori di coscienza, istituito dall’art. 19 della Legge 230 del 1998. Dai 299,6 milioni del 2008 si è scesi a 171,4 milioni (2009) e 170,3 milioni (2010). Dal 2011 le risorse per il Servizio civile nazionale (SCN) verranno abbattute a 113 milioni (33,6% rispetto al 2010). Dopo il picco toccato nel 2006 (4.100 progetti finanziati e 45.890 volontari avviati), il SCN ha registrato negli ultimi anni un progressivo ridimensionamento. Nel 2009 sono stati finanziati 2.154 progetti con l’avviamento di 30.377
welfare on line volontari. Dei 29.878 volontari avviati in Italia 18.238 (il 61% del totale) sono stati impiegati nel settore dell’assistenza. Il taglio dei finanziamenti è destinato a produrre un ulteriore, forte calo delle attività di valenza sociale promosse dal SCN. Conclusioni I dieci Fondi a carattere sociale presi in esame (quattro dei quali istituiti nel 1997-1998 e sei nel 2006-2007) potevano contare, nel 2008, su stanziamenti complessivamente pari a 2 miliardi e 520 milioni nel Bilancio di previsione dello Stato. La diversa scala di priorità del nuovo governo di centrodestra, insieme alla crisi dei conti pubblici, ha dato luogo ad un netto calo delle risorse statali destinate alle politiche sociali, scese ad 1 miliardo e 851 milioni nel 2009 (-30,5%) e 1 miliardo e 472 milioni nel 2010 (-15,9%). La manovra di bilancio per il 2011 ha segnato un ulteriore, drastico taglio, abbassando gli stanziamenti di bilancio a poco
più di 349 milioni. Una riduzione di tali proporzioni (-86,1% tra il 2008 e il 2011) avrà come inevitabile conseguenza la cancellazione o il ridimensionamento di una moltitudine di iniziative e servizi, molti dei quali gestiti da enti territoriali a loro volta colpiti duramente dalla manovra di finanza pubblica. È una prospettiva decisamente negativa per un Paese colpito dalla crisi occupazionale e sociale peggiore del dopoguerra. Antonio Misiani∗
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L’articolo è stato pubblicato sul sito dell’Associazione NENS - “Nuova Economia Nuova Società”, fondata da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco, con Nicola Rossi, Giulio Sapelli, Giuseppe Farina e Paolo Ferro Luzzi, nell’estate del 2001. Lo scopo è quello di dar vita a un centro di studi, dibattiti, ricerche e pubblicazioni, nel quale liberamente la cultura riformista possa confrontarsi al suo interno, e all’esterno, con altre culture, sui cambiamenti economico-sociali che si stanno verificando.
News&Anticipazioni
GLI EFFETTI DEL FEDERALISMO SULLE POLITICHE SOCIALI MERCOLEDÌ 24 NOVEMBRE 2010 ORE 10.00 - 13.00 Provincia di Roma, Palazzo Valentini - Sala “Peppino Impastato” Via IV Novembre, 119/A – Roma
PROGRAMMA 10.00
Accoglienza e apertura dei lavori
10.15
Saluto delle istituzioni Massimiliano Smeriglio Assessore alle Politiche del Lavoro e Formazione Provincia di Roma Claudio Cecchini Assessore alle Politiche Sociali e per la Famiglia e ai Rapporti Istituzionali Provincia di Roma
10.30
Definizione dei LEP, modelli di finanziamento, costi e fabbisogni standard Andrea Tardiola Dirigente Presidenza del Consiglio dei Ministri
10.50
Bisogni informativi nel sociale e monitoraggio dei servizi e degli interventi Margherita Brunetti Esperta di Politiche sociali
11.10
Il punto di vista regionale Anna Maria Candela Dirigente Servizio Programmazione sociale e Integrazione socio-sanitaria Regione Puglia
11.30
Il punto di vista locale Franco Pesaresi Direttore Asur 4 di Senigallia; Presidente Anoss
11.50
Federalismo: un’idea alla prova dei fatti Nereo Zamaro Ricercatore
12.10
Dibattito
12.45
Conclude Giulio Marcon Presidente Comitato Scientifico Scuola del Sociale
Modera Emiliano Monteverde Presidente Associazione Nuovo Welfare Per maggiori informazioni: info@nuovowelfare.it oppure 06-83393772.
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Gli effetti della manovra correttiva sulle politiche sociali Il drastico ridimensionamento deciso con la manovra finanziaria per il 2011 dei fondi statali di carattere sociale rischia di ridimensionare fortemente il sistema di welfare locale, specie nella qualità delle prestazioni erogate. Tanto più che, in attesa dell’avvio della riforma del federalismo fiscale, per il 2011 e 2012 la manovra estiva cosiddetta correttiva (d.l. 78 convertito con modifiche nella legge 122/2010) ha approvato una riduzione di ben 8 miliardi di euro al sistema dei trasferimenti erariali alle autonomie regionali. Complessivamente, la riduzione delle risorse gestite dal governo locale costituisce, in termini finanziari, più della metà della manovra: il 56,21%. Il fattore destabilizzante di questo taglio è costituito dall’incerta prospettiva del federalismo fiscale (l’entrata a regime è prevista infatti per il 2016) e dalla mancata individuazione delle fonti di entrata per Regioni ed enti locali, come la compartecipazione al gettito di tributi nazionali e i tributi propri. Sulla necessità della manovra, pochi sono coloro che affermano che non serve, anche perché è bene ricordare che il Paese si trova in una situazione complessa, sotto il profilo del debito pubblico. Tuttavia, sulla iniquità sociale della manovra non ci sono dubbi: le risorse destinate alle politiche sociali “allargate” (servizi sociali in senso stretto, istruzione, cultura, sport e tempo libero) subiranno un ulteriore ridimensionamento. Per valutare almeno in parte i possibili effetti della manovra correttiva estiva sui bilanci
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degli enti locali, Legautonomie ha realizzato un agile sondaggio presso un piccolo ed eterogeneo campione di 15 Amministrazioni comunali. Hanno risposto al questionario alcuni grandi Comuni (Genova, Napoli) e un gruppo di Comuni di medie dimensioni demografiche, rappresentanti dell’intero territorio nazionale (Bagno a Ripoli (Fi), Battipaglia (Sa), Castel Maggiore (Bo), Cinisello Balsamo (Mi), Cosenza, Grottaferrata (Rm), Imola (Bo), Lamezia Terme (Cz), Lodi, Nardò (Le), Nuoro, Pisa, Trento). Il questionario è composto da sei domande, quasi tutte a risposta chiusa, ma con la possibilità da parte dell’intervistato (Assessore alle politiche sociali o Sindaco) di aggiungere le proprie considerazioni. È proprio questa peculiarità a rendere interessante il lavoro, stante il poco valore statistico dei dati più propriamente quantitativi. Con la prima domanda si chiede agli amministratori qualche informazione in merito alla situazione antecedente alla manovra correttiva. Più nello specifico si chiede quali siano le condizioni in cui le Amministrazioni si trovano ad operare, sia a livello complessivo che sotto il profilo finanziario, per quanto concerne i servizi sociali. Pur tenendo conto delle problematiche legate alla scarsa numerosità del campione sopra richiamate, emerge da questa domanda una situazione chiara, con larga parte dei Comuni coinvolti che vede le condizioni in cui operare poco o per niente adeguate, soprattutto sotto il profilo finanziario. Guardando la situazione
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complessivamente, invece, cresce la quota di risposte “abbastanza adeguate”, e si registra un caso di “molto adeguate”, segnale forse che gli amministratori ritengono possibile una buona organizzazione dei servizi sociali, anche con fondi limitati. Dalle annotazioni a margine della domanda, emerge, in alcuni casi, una forte preoccupazione per il futuro. In un caso, infatti, si afferma che “la crisi economica impoverisce sempre di più le famiglie. Dai Comuni ci si aspetta un sostegno più incisivo e più efficace (Nardò)”; in un altro “siamo molto preoccupati rispetto alla tenuta del sistema sociale messo in campo nel precedente mandato (2005-2010) che ci ha visti aumentare la spesa sociale del 21% come precisa scelta politica. Oggi i bisogni sociali stanno drammaticamente aumentando a fronte del venir meno di risorse disponibili e stiamo quindi affrontando difficoltà sul piano delle risposte. Per la prima volta in 5 anni e mezzo ci stiamo ponendo il problema della formazione della lista di attesa per l'accesso ai servizi sociali (Lodi)”. C’è anche chi afferma che si tratta di una problematica più ampia, difficilmente inquadrabile nelle domande codificate del questionario: “La domanda di politiche sociali nel nostro territorio è in continua crescita anche a causa degli effetti sulle fasce più deboli della popolazione della crisi economica degli ultimi anni. L’Amministrazione Comunale, in questo contesto di accresciute condizioni di disagio sociale, in cui le nuove fasce di povertà si aggiungono a quelle già esi-
welfare on line stenti e le fasce sociali più deboli vivono condizioni di maggiore emarginazione ed esclusione, ha costantemente incrementato negli anni i livelli di spesa, che oggi sono tra i più alti in Calabria (Lamezia Terme)”. Da questi commenti è possibile capire il senso delle preoccupazioni delle diverse Amministrazioni che vedono diminuire i fondi a loro disposizione per le politiche sociali a fronte di una domanda da parte dei cittadini in crescita. Successivamente, il questionario si concentra maggiormente sugli effetti della manovra correttiva sulle politiche sociali dei diversi Comuni. È particolarmente indicativo della percezione delle diverse Amministrazioni il fatto che tutte le risposte prospettino un ridimensionamento del sistema di welfare e la razionalizzazione di alcune spese, con solo due risposte che fanno riferimento alla necessità di aumentare le tariffe e/o i tributi per garantire la stabilità. In un caso, si afferma che “procedere alla razionalizzazione e all'ottimizzazione delle risorse è sempre doveroso, soprattutto in ambito sociale, dove alcune economie possono permettere sia una maggiore fruizione in termini quantitativi che l'attivazione di progetti innovativi (Grottaferrata)”. L’unica alternativa al taglio dei servizi sociali sarebbe quella di “ridurre altre spese per servizi, ridimensionandoli (Pisa)”. La riduzione del sistema di welfare, in ogni caso, recherebbe con sé “il rischio di vanificare il lavoro fatto con la cooperazione sociale e il Terzo Settore per le prestazioni innovative (grave emarginazione) oltre a stoppare alcuni
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progetti per i minori e le famiglie (Lodi)” . La quarta domanda chiede agli amministratori se ritengono che le misure previste dallo schema di decreto attuativo del federalismo fiscale riguardante il fisco municipale, approvato il 4 agosto 2010 dal Consiglio dei Ministri (ad es. Cedolare secca, quota comunale di recupero dell’evasione pari al 50%, ecc.), alimenteranno in modo adeguato la dotazione finanziaria destinata dal suo Comune alle spese correnti e in modo particolare ai servizi sociali. Ne emerge, da parte di tutti gli amministratori, la considerazione che le risorse non saranno in alcun modo sufficienti a compensare i tagli ai trasferimenti erariali previsti per il 2011. A specificare la risposta, c’è anche chi afferma che “nella sostanza, per il 2011, il decreto non serve a compensare alcunché (Pisa)”. Con la quinta domanda si vogliono andare ad indagare gli orientamenti dei diversi Comuni circa le manovre di bilancio, tenendo conto degli effetti della manovra, sia per quanto riguarda il 2010, che per il 2011. Con riferimento all’anno corrente, a livello di assestamento e di previsioni iniziali, quasi tutti i Comuni si ripropongono una razionalizzazione delle spese correnti, sia per quanto riguarda l’amministrazione generale e il governo del territorio, sia per welfare, cultura e tempo libero. In alcuni casi (Nuoro, Nardò, Bagno a Ripoli, Imola e Grottaferrata) diminuiranno anche gli investimenti, mentre a Castel Maggiore, oltre alla razionalizzazione delle spese correnti, sarà necessario intervenire sulle ASP (Aziende Pubbliche di Servizi alle Per-
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sone). In un altro caso, “la discussione è ancora aperta. In effetti si stanno vagliando varie azioni possibili che riguardano sia l’aumento delle entrate che la razionalizzazione delle spese (Cosenza)”. Per quanto riguarda gli stanziamenti per il 2011, le risposte sono simili a quelle date per il 2010, con una generalizzata razionalizzazione delle spese correnti e riduzione degli investimenti, a cui, in alcuni casi, si andranno ad aggiungere aumenti alle tariffe dei servizi sociali (Grottaferrata), e aumenti Tarsu (Pisa e Castel Maggiore). Il questionario si chiude con una domanda aperta, nella quale si chiede agli amministratori di descrivere la strategia che intendono adottare per sviluppare il sistema dei servizi sociali per il 2011 e il 2012. Rispetto alle strategie future, quello che emerge è innanzitutto una situazione di instabilità e incertezza, è “difficile parlare di strategia per i servizi senza avere un quadro di riferimento chiaro sul quale modellare l’intervento più generale dell’offerta del welfare (Cinisello Balsamo)”. Per alcuni, addirittura, “non esiste una strategia volta allo sviluppo, ma si cerca di limitare i danni della manovra correttiva (Castel Maggiore)”, oppure “non abbiamo ancora ideato alcuna strategia in quanto l’attenzione attuale è rivolta ad alcuni interventi di grossa natura per rientrare nel patto di stabilità. A seconda dell’obiettivo raggiunto, definiremo i nostri interventi futuri. Stiamo lavorando per mantenere i servizi sociali essenziali (Lodi)”. Per quanto riguarda le iniziative e le strategie dei diversi Comuni, c’è chi si è già mosso, con “sviluppo e razionaliz-
welfare on line zazione di iniziative già avviate nel 2009 e 2010: assegno di cura per i più indigenti, centro di accoglienza per lavoratori extracomunitari, ammodernamento sistema scuolabus. Rimodulare i servizi sociali alla luce delle mutevoli esigenze dei cittadini, sforzandosi di venire incontro alle esigenze delle famiglie, senza appesantire ulteriormente il bilancio comunale e senza gravare ulteriormente sulle famiglie (Nardò)”. Per quanto riguarda il Comune di Napoli, di fronte al rischio concreto che dal 2011 il Fondo
Nazionale per le Politiche Sociali dei Comuni venga di fatto azzerato, l’Amministrazione comunale punta a una strategia, innanzitutto, di razionalizzazione delle spese dedicate a strutture e servizi per rispondere in particolar modo alle situazioni di maggiore emergenza sociale e a rispondere agli obblighi di legge che impongono ai Comuni di erogare servizi, quali ad esempio l'assistenza domiciliare ad anziani, l’assistenza anche scolastica ai disabili, l’accoglienza presso centri specialistici di minori a rischio, gli interventi
a favore delle fasce di popolazione più disagiata. Si tratta di situazioni sempre cogenti nella difficile realtà sociale di Napoli. “Tutto ciò nell’amara consapevolezza che a pagare maggiormente il prezzo dei tagli saranno le politiche di prevenzione del disagio, atte a rimuovere i fattori di esclusione sociale, strada fondamentale per vere politiche di inclusione sociale”. Francesco Montemurro Daniele De Pretto
Cineforum a cura di
Matteo Domenico Recine Tra le nuvole Ryan Bingham è un tagliatore di teste a domicilio: le aziende in crisi che devono licenziare, ma non sono in grado di farlo direttamente, si rivolgono alla sua società. La sua vita è scandita dal continuo viaggiare, e si muove tra aeroporti e alberghi sempre uguali. Sempre in movimento, Bingham si è convinto della necessità di rendere più essenziale il proprio stile di vita, senza orpelli, né concreti (gira con un solo trolley e la sua casa è perennemente vuota) né metaforici (gli affetti sono ridotti al minimo) – la teoria dello zainetto, che utilizza anche nelle sue attività di conferenziere. Questa sua convinzione è però minata da tre fattori concorrenti: l’incontro con Alex, una donna sempre in viaggio come lui; il matrimonio della sorella minore; l’arrivo di Natalie, una collega più giovane e con idee rivoluzionarie sul lavoro e un approccio meno cinico alla vita. Un evento drammatico e la scoperta che Alex non nutre nei suoi confronti lo stesso tipo d’interesse faranno vacillare le convinzioni dell’uomo, che torna così alla sua vita abituale, ma con un diverso approccio alla vita e al viaggio. Il film di Reitman, sempre attento a temi sociali attuali nei suoi film, affonda a piene mani nel periodo di crisi che da qualche anno affligge le economie occidentali. I volti che scorrono durante il film, quelli delle persone via via licenziate, lasciano pensare con preoccupazione a quanto saranno profondi gli effetti di questa crisi. La teoria dello zainetto di Ryan Bingham, su quanto sia più facile vivere senza alcun vincolo, ricorda – rovesciandone l’approccio ma non la logica – quella di Into the wild, evidenziando non solo la stessa conclusione (no man is an Island, direbbe John Donne), ma un aspetto centrale dei non luoghi, in cui ciascuno è in massima parte solo. Quello che forse manca al film è il coraggio di essere più autentico. La regia si difende dal realismo dei temi mascherandosi dietro un eccesso di trattamento digitale (tranne nelle scene del matrimonio) e ciò impedisce allo spettatore di entrare fino in fondo nelle tematiche affrontate. George Clooney, in scena sostanzialmente per tutto il film, è invece davvero ispirato. Un film di Jason Reitman. Titolo originale Up in The Air. Commedia, durata 109 min. - USA 2009. - Universal Pictures uscita venerdì 22 gennaio 2010.
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Indagine sugli interventi e i servizi sociali dei Comuni: principali cambiamenti tra il 2004 e il 2007 Con la pubblicazione dell’indagine sugli interventi e i servizi sociali offerti dai Comuni1 vengono presentati risultati in grado di fornire una panoramica sulle attività socio-assistenziali realizzate e gestite a livello locale. Grazie a questi dati è quindi possibile delineare un quadro di welfare (in senso stretto) all’interno del quale si colloca il cittadino che riceve, da un lato, le prestazioni sanitarie e, dall’altro, i servizi offerti dai Comuni (attività socio-assistenziali e contributi economici di varia natura). Nell’indagine in questione la spesa totale è stata ripartita in sette aree di utenza: famiglia e minori, disabili, dipendenze, anziani, immigrati, disagio adulti, multiutenza2. Le informazioni ad oggi disponibili permettono di effettuare alcune considerazioni in merito alla riforma federalista e di condurre allo stesso tempo anche un’analisi spazio temporale. Di recente, infatti, la Copaff (Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale) ha messo insieme le «prime basi informative» sui costi standard sanitari. A prescindere dai risultatati del tutto indicativi derivanti dall’indagine – alcuni aspetti potrebbero ancora essere rivisti mentre i conti veri si faranno nel 2013 in base ai risultati del 2011 – emerge che la Liguria è
la Regione che perderebbe di più, con (teorici) 103 euro a testa in meno per ogni cittadino, mentre con 36 euro pro-capite in più (teorici) la Sicilia è la Regione che avrebbe il maggior guadagno. I dati presentati, pur riguardando solo la sanità, fanno emergere una diversa ripartizione futura dei fondi, che per alcune realtà regionali significherà una riduzione delle proprie disponibilità. E, in alcuni casi, questa diminuzione potrebbe ricadere anche sui servizi sociali offerti dai Comuni. Nel 2007 dall’indagine risulta che, del totale della spesa impegnata dai Comuni, il 76,9 per cento è finanziata dai Comuni stessi, il 10,5 per cento è corrisposto come compartecipazione dagli utenti, mentre il 12,6 per cento proviene dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Pertanto, se le stime del Copaff saranno confermate, alcuni Enti locali potrebbero dover sopportare uno sforzo economico maggiore per poter garantire i livelli di assistenza attuali. L’indagine Istat ha rilevato che nel 2007 la spesa per l’assistenza sociale erogata a livello locale è stata pari a 6,4 miliardi di euro, in crescita del 7,5 per cento rispetto al 2006 (circa 6,0 miliardi di euro). Le Regioni in cui si è concentrato l’incremento
Tabella 1 - Variazione percentuale (2006-2007) e incidenza sul totale della spesa servizi sociali dei comuni per area di utenza e per Regione
P iemo nte Valle d'A o sta Lo mbardia
Famiglie e mino ri
A nziani
P eso % sul Var. % to tale spesa 2006-2007 anno 2007
P eso % sul Var. % to tale spesa 2006-2007 anno 2007
Disabili Var. % 2006-2007
P eso % sul to tale spesa anno 2007
Disagio adulti
Immigrati
P eso % sul Var. % to tale spesa 2006-2007 anno 2007
P eso % sul Var. % to tale spesa 2006-2007 anno 2007
Dipendenze Var. % 2006-2007
P eso % sul to tale spesa anno 2007
M ultiutenze
To tale
P eso % sul Var. % to tale spesa 2006-2007 anno 2007
P eso % sul Var. % to tale spesa 2006-2007 anno 2007
3,3
36,4
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24,0
12,6
22,5
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5,6
20,2
3,3
-37,6
0,2
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8,0
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100,0
-27,8
25,2
-24,3
71,4
-91,0
0,9
-80,9
1,9
-98,0
0,0
-100,0
0,0
146,3
0,5
-33,9
100,0
-1,4
21,9
12,2
21,2
42,6
6,9
-16,8
10,7
41,2
28,9
2,7
0,6
9,8
Trentino - A lto A dige
9,3
21,2
-12,6
23,1
12,0
36,9
53,5
11,2
1,9
2,3
29,7
1,2
16,3
4,1
7,8
100,0
B o lzano - B o zen
17,0
8,6
-29,1
21,3
17,7
46,9
82,6
16,6
2,0
4,1
30,6
2,6
-
0,0
5,5
8,4
9,9
100,0
100,0
Trento
7,7
31,5
4,9
24,6
5,1
28,7
16,2
6,8
1,5
0,9
-32,5
0,0
16,3
7,5
7,3
100,0
Veneto
3,6
28,9
-6,7
24,5
-9,7
26,4
14,6
5,8
52,9
3,2
-27,3
2,0
-10,1
9,2
-3,4
100,0
Friuli - Venezia Giulia
-5,2
25,5
-5,0
27,7
-8,7
26,7
9,0
8,1
5,7
3,8
-10,0
0,3
17,7
7,8
-3,3
100,0
Liguria
39,1
45,7
13,1
26,7
9,8
12,9
21,3
6,3
67,3
1,7
-22,4
0,9
-72,3
5,7
3,7
100,0
Emilia - Ro magna
7,4
47,9
9,8
21,6
13,4
15,8
5,5
3,6
10,0
2,9
3,0
0,7
13,6
7,5
9,3
100,0
To scana
5,8
38,8
14,2
22,7
12,4
17,2
12,2
9,3
19,1
3,4
0,6
0,5
5,4
8,2
9,7
100,0
Umbria
5,8
49,5
-14,8
14,7
11,4
16,8
12,0
6,0
-22,0
4,1
-53,4
1,4
23,9
7,6
1,2
100,0
M arche
8,1
34,6
6,2
17,2
4,0
25,8
4,9
4,3
14,8
2,5
3,1
0,6
20,3
15,1
8,3
100,0
Lazio
6,2
43,0
7,4
17,0
16,0
21,4
14,3
9,8
24,0
5,3
-4,8
0,9
17,0
2,7
10,1
100,0 100,0
A bruzzo
7,2
45,2
0,2
22,0
4,0
22,2
67,6
4,8
4,8
0,9
-58,6
0,5
6,8
4,5
5,8
M o lise
11,0
38,5
-6,2
24,0
-1,0
19,3
14,0
12,4
65,2
1,3
-45,4
1,3
92,8
3,1
4,7
100,0
Campania
18,3
41,2
24,6
21,4
34,0
13,8
13,6
13,4
13,3
1,0
-12,5
0,9
5,4
8,2
19,2
100,0
18,3
61,8
P uglia
19,3
26,5
12,9
22,5
11,1
2,4
-63,6
7,9
19,7
100,0
B asilicata
-14,9
28,9
12,8
12,8
31,1
16,6
612,6
35,8
87,0
2,2
44,0
1,2
-4,6
2,5
47,8
100,0
Calabria
-2,8
38,6
46,0
25,3
20,1
17,3
10,1
16,1
3,9
21,5
85,7
38,8
2,8
0,0
1,3
1,4
-37,2
2,5
4,7
100,0
Sicilia
0,9
42,6
-14,1
21,9
2,9
22,0
-21,3
7,5
19,7
1,1
-14,5
0,7
9,5
4,2
-4,0
100,0
Sardegna
14,2
29,6
8,0
20,5
42,6
32,5
8,8
10,6
48,2
0,9
25,1
1,0
49,8
5,0
21,8
100,0
IT A LIA
8 ,0
3 8 ,9
2 ,5
2 1,9
9 ,9
2 1,2
18 ,4
7 ,9
2 2 ,0
2 ,9
-2 1,0
0 ,8
1,6
6 ,4
7 ,5
10 0 ,0
Elaborazione Nuovo Welfare su dati Istat 1
Istat “Interventi e i servizi sociali nei Comuni singoli o associati” Anno 2007 del 3 settembre 2010 www.istat.it 2 Come precisato nell’indagine, la suddivisione adottata è stata effettuata tenendo conto anche delle indicazioni della legge quadro sull’assistenza (L. 328/2000).
8
WOL / numero 7, novembre 2010
maggiore della spesa sono state, in ordine, la Lombardia, il Lazio e l’Emilia-Romagna che hanno contribuito alla crescita complessiva rispettivamente per l’1,7 per cento, l’1,1 per
welfare on line cento e l’1,0 per cento. Analizzando, invece, su base nazionale la ripartizione della spesa per aree di utenza (cfr. tabella 1) emerge come l’82,0 per cento di questa si concentri negli interventi per la famiglia e minori (38,9 per cento), per gli anziani (21,9 per cento) e per i disabili (21,2 per cento). Il restante 18,0 per cento viene impiegato per il disagio adulti (7,9 per cento), per le multiutenze (6,4 per cento), per le politiche a favore degli immigrati (2,9 per cento) e per le dipendenze (0,8 per cento). Dall’analisi della spesa, inoltre, è possibile evidenziare i contributi che le singole aree di utenza hanno apportato alla crescita totale (7,5 per cento). Emerge, quindi, che l’apporto principale viene fornito dall’area famiglia e minori (3,1 per cento) seguita dall’area dei disabili (2,0 per cento), disagio adulti (1,3 per cento), immigrati e anziani (0,6 per cento), multiutenze (0,1 per cento). Contribuisce negativamente, invece, l’area dipendenze (meno 0,2 per cento). Incrementi o decrementi di spesa non rappresentano tuttavia né pregi né virtù delle singole Amministrazioni Locali. Quello che bisognerebbe verificare, in realtà, è più che altro la qualità della spesa sostenuta e gli effetti prodotti dalle singole politiche adottate. Potrebbe risultare, infatti, che il taglio di un determinato intervento non abbia necessariamente prodotto effetti negativi, così come l’adozione di nuove politiche non abbia necessariamente raggiunto gli obiettivi prefissati fornendo risposte diverse
rispetto agli effettivi bisogni degli individui. Ferme restando queste considerazioni, osservando il grafico 1 in cui è riportato l’andamento della spesa media pro-capite nelle diverse Regioni italiane, è possibile vedere che, nel 2007, su base nazionale si è registrata una spesa media pro-capite pari a 107,8 euro, in aumento del 6,7 per cento rispetto al 2006 (101,0 euro). Confrontando poi il dato del 2007 con i 90,2 euro del 2003, si evince che la variazione totale registrata è stata del 19,4 per cento, pari ad un incremento medio annuo del 4,9 per cento. Inoltre, dall’indagine emerge un’Italia profondamente divisa in due. Nei Comuni del NordOvest e del Nord-Est la spesa media pro-capite ammonta rispettivamente a 125,4 euro e 148,7 euro – ben al di sopra della media nazionale – mentre nei Comuni delle Regioni del Sud il valore in esame è di appena 51,6 euro. È utile comunque sottolineare che i Comuni del Sud, tra il 2006 e il 2007, hanno fatto registrare l’incremento di spesa pro-capite maggiore (17,4 per cento) rispetto alle altre macro aree. Osservando nel dettaglio, nel 2007, il Trentino Alto-Adige con 250 euro pro-capite risulta la Regione con la spesa più alta, mentre la Calabria – con soli 26,2 euro – è quella con la più bassa spesa pro-capite. Dal grafico emerge, inoltre, come dal 2003 in Calabria la spesa pro-capite sia rimasta pressoché invariata. Per completare il quadro risulta utile condurre l’analisi della spesa pro-capite non solo su base regionale ma anche per Grafico 1 - Spesa dei Comuni per servizi sociali: valori medi pro-capite per Regione singola area di utenza. anni 2003-2007 400,0
350,0
300,0
250,0
200,0
150,0
100,0
50,0
0,0
2003
2004
2005
2006
Elaborazione Nuovo Welfare su dati Istat
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WOL / numero 7, novembre 2010
2007
Su base nazionale i disabili rappresentano l’area con spesa procapite più elevata pari, nel 2007, a 2.401,2 euro, con un massimo di 20.162,5 in Trentino Alto Adige – nella provincia autonoma di Bolzano la spesa è stata pari a 24.882 euro – e un minimo di 334,6 euro nella Valle D’Aosta. Al contrario, agli anziani vengono destinati solo 118,1 euro pro-capite, con un massimo di 820,5 euro in Valle d’Aosta e un minimo di 24,4 euro in
welfare on line Calabria. Dunque, osservando l’andamento tra il 2003 e il 2007, almeno in termini di spesa, il persistente divario tra il Nord e il Sud dell’Italia non sembra ridursi, anzi in alcuni casi sembra aumentare. Quello che bisogna ora approfondire è quali saranno gli effetti del federalismo su questa disparità e quanto questo divario di
spesa si rifletta poi in termini di bisogni non soddisfatti della popolazione: sono soprattutto le esigenze delle persone disagiate a dover essere soddisfatte, e non solamente i meri equilibri contabili. Roberto Fantozzi
LiBrInMenTe Handicappato e carogna di Silvia Spatari
Chi pensa che le persone con disabilità siano vittime disgraziate di un fato avverso dovrebbe davvero leggere il libro di David Anzalone, che rivela alcune basilari verità finora taciute. Capirebbe finalmente il vero dilemma esistenziale dei disabili e la loro crisi di identità sociale, quanto la loro presenza sia vitale nelle metropoli motorizzate e l’importanza maieutica di un ginecologo fascista e per giunta avanguardista. Scoprirebbe le delizie criminose dell’etilismo da cannuccia; che il termine paramedico è un bieco trucco semantico per camuffare i paramilitari della sanità, e che le vere discriminazioni sono quelle impunemente perpetrate a vantaggio dei borghesi dell'handicap, quelli carrozzati. Anzalone è tetraplegico e fa il comico, ma sulla carta d’identità "alla voce professione mi ci hanno scritto: handicappato! Segni particolari: nessuno!". Se l’interpretazione cognitiva dell’altro è autonoma e, spesso, risibile, allora nel suo mondo personalissimo Anzalone sarà pure un handicappato DOCG, ma è soprattutto una carogna impudente che si diverte a irridere il buonismo intellettualoide e gli stereotipi sul buon selvaggio handicappato, innocente e disgraziato. Ribaltando con incredibile verve la dialettica stantìa della contrapposizione tra “abilità” e “disabilità”.
David Anzalone, Alessandro Castriota Mondadori, 2008 € 13,00
Le disabilità oltre l’invisibilità istituzionale Non vi è dubbio che le trasformazioni del modello tradizionale di società, a partire dagli anni 70, abbiano contribuito a far emergere una serie di “diversità” precedentemente nascoste, tra cui in primo luogo le disabilità fisiche e psichiche, fino a quel momento chiuse nel guscio
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WOL / numero 7, novembre 2010
della protezione familiare. I diversi si sono affacciati sulla realtà, la malattia mentale non si lascia più nascondere nelle mura di casa o degli istituti, gli “handicappati” reclamano di poter uscire per strada, di vivere accanto agli altri, di lavorare. È nello stesso periodo che la
welfare on line sanità pubblica inizia a prevedere, tra i propri compiti, quello di assistere e riabilitare i disabili. Anche se è solo nel corso degli ultimi due decenni che vengono emanate norme specifiche sulle garanzie per i disabili e le loro famiglie (L. 104/1992) e sull’integrazione sanitaria e il progetto individuale di cura anche domiciliare (L. 328/2000 e Piano sanitario 20102012). Ma i tempi del cambiamento sono davvero molto lenti e lunghi, se ancora oggi dobbiamo constatare una disattenzione nei confronti del fenomeno e gravi carenze nei servizi di riferimento. La ricerca del Censis, condotta per conto della Fondazione Cesare Serono, e presentata a Roma il 20 ottobre scorso con il titolo “Le disabilità oltre l’invisibilità istituzionale”, è proprio volta a verificare la percezione diffusa, le conoscenze e le valutazioni in materia di disabilità nella popolazione italiana. In particolare ci si è chiesti se queste conoscenze siano accompagnate da sentimenti positivi o negativi, quali siano le disabilità più temute o problematiche (se quelle a carattere motorio o cognitivo), e quali le esigenze di intervento. Il quadro che ne esce è sconcertante, sia per le dimensioni del fenomeno rilevate, ma soprattutto per l’immagine distorta, per la sommarietà e la superficialità delle conoscenze. Dall’indagine emerge innanzitutto che sarebbero 4,1 milioni le persone disabili che vivono in Italia, pari al 6,7% della popolazione, dunque ben al di sopra di quanto sia possibile stimare a partire dalle indagini dell’Istat (circa il 4,7% della popolazione). Ma soprattutto la maggioranza degli italiani ha un’immagine della disabilità esclusivamente in termini di limitazione del movimento (62,9%), solo il 15,9% pensa a una disabilità intellettiva (ritardo mentale o demenza) e il 2,9% a una disabilità sensoriale (sordità o cecità). Il 68,7% degli intervistati associa la disabilità motoria negli adulti alle conseguenze di un incidente, il 14,2% la riconduce a una malattia congenita, mentre l’ipotesi di una malattia neurologica viene menzionata solo dall’11,1%. Tra quanti affermano di conoscere la sindrome di Down, il 55,7% è convinto che nella maggior parte dei casi le persone che ne sono affette muoiano giovani, che non superino i 40 anni di età (in realtà l’aspettativa di vita media per queste persone è oggi superiore ai 60 anni). E appare molto diffuso il luogo comune, ai limiti del razzismo, secondo il quale le persone con sindrome di Down “si assomigliano tutte tra lo-
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WOL / numero 7, novembre 2010
ro”, sia esteticamente che come carattere, considerato vero da 2 intervistati su 3 (pari al 66%, il dato raggiunge il 75,6% tra i soggetti meno scolarizzati e rimane comunque maggioritario anche tra i laureati, che lo ritengono vero nel 60,5% dei casi). Per quanto riguarda il morbo di Parkinson, il 93,2% di quanti affermano di conoscerlo sa che causa una serie di disturbi e difficoltà del movimento, ma quasi 2 intervistati su 3 (il 61%) lo confondono con l’Alzheimer, nella convinzione che i primi sintomi del Parkinson siano le perdite di memoria e il disorientamento nel tempo e nello spazio. Per quanto riguarda la sclerosi multipla, se l’87,6% di chi afferma di conoscerla sa che è una malattia che colpisce il sistema nervoso centrale, il 62,7% pensa però che le persone che ne sono colpite perdano rapidamente la mobilità e finiscano presto sulla sedia a rotelle. Il 74,6% ha l’errata convinzione che le persone affette da questa patologia abbiano un’aspettativa di vita molto inferiore alla media e il 60,7% pensa che non sia possibile vivere una vita normale. A proposito dell’autismo, il 90,8% di quanti affermano di conoscerlo crede correttamente che le persone che ne sono affette soffrano di gravi difficoltà nel comunicare e stabilire relazioni con gli altri, ma è duro a morire il luogo comune circa la presunta genialità di queste persone nella matematica, nella musica o nell’arte, che è condiviso da quasi 3 intervistati su 4 (il 73%). Secondo l’indagine i sentimenti che vengono provati nei confronti della disabilità sono in gran parte di solidarietà, ma molto spesso anche di paura e preoccupazione, sia per quanto riguarda la difficoltà a rapportarsi ad un fenomeno che appare ancora oggi sconosciuto ed almeno parzialmente sommerso; sia per la sensazione della solitudine in cui vengono abbandonate le famiglie che ne sono interessate, con scarsi, ed in qualche situazione nulli, aiuti da parte delle istituzioni. Le persone disabili suscitano in gran parte degli italiani sentimenti come la solidarietà (per il 91,3%), l’ammirazione per la loro forza di volontà e la determinazione che comunicano (85,9%), il desiderio di rendersi utili (82,7%). La metà (50,8%) afferma di provare tranquillità, di fronte a una situazione ritenuta “normale”. Ma sono diffusi anche sentimenti controversi, quali imbarazzo e disagio. Il 54,6% degli italiani prova paura, per l’eventualità di potersi trovare un giorno a dover sperimentare la disabilità in prima persona o nella propria famiglia. Poi c’è
welfare on line il timore di poter involontariamente offendere o ferire la persona disabile con parole e comportamenti inopportuni (34,6%). Il 14,2% degli italiani afferma di provare indifferenza, perché il problema della disabilità non li tocca minimamente. In altre parole, con sentimenti che oscillano tra la partecipazione umana e la paura, costruire una relazione con le persone disabili è difficile. Due terzi degli intervistati (66%) ritiene che soprattutto le persone con disabilità mentale siano accettate solo a parole dalla società, ma nei fatti vengano spesso emarginate. Quasi un quarto del campione (23,3%) ha un’opinione ancora più negativa, ritenendo che non c’è nessuna accettazione sociale, perché la disabilità intellettiva fa paura e queste persone si ritrovano quasi sempre discriminate e sole. Solo il 10,7% degli intervistati ritiene che invece siano accettate pienamente e che nei loro confronti ci sia disponibilità all’aiuto e al sostegno. Uno dei risultati principali dell’indagine condotta sembra essere quello per cui ad una riscoperta della diversità, non programmata e non incasellata, si affianca spesso l’ansia della diversità. Questo significa che le politiche verso la diversità dovranno soprattutto spingere nella direzione della comprensione, accettazione e condivisione delle differenze, per costruire una coesione sociale di tipo nuovo e spazi di convivenza innovativi. Ciò è stato sostenuto da tutti i partecipanti alla tavola rotonda di presenta-
zione dell’indagine; dal Sottosegretario Martini, che detiene la delega per le disabilità e la riabilitazione, all’assessore agli Affari sociali del Comune di Genova, a quello della Regione Liguria, solo per citarne alcuni. Inoltre, accanto a ciò va ripensata una politica di sistema, che è stata ampiamente definita a livello normativo nel corso dei decenni, come ben esposto dal prof. Elio Guzzanti durante la presentazione, ma che ha trovato ancora oggi applicazioni del tutto parziali, anche a causa della incapacità di convogliare sul settore adeguate risorse. L’auspicio emerso dallo studio e dall’incontro di discussione che ne è seguito è che, nonostante i problemi della finanza pubblica e della crisi economica, l’Italia sia in grado di recuperare un approccio positivo e costruttivo nei confronti delle disabilità, mentali e fisiche, dei giovani come degli anziani. Ciò può accadere solo attraverso l’attivazione di alcune leve fondamentali: la collaborazione tra tutti i livelli istituzionali interessati, in un’ottica di concentrazione degli sforzi e di integrazione dei servizi; la centralità delle persone con disabilità e delle loro famiglie nel progetto di intervento integrato e la lotta alla eccessiva burocratizzazione; il superamento degli stereotipi e della segregazione sociale e lavorativa delle persone con disabilità. Carla Collicelli
Verso l’Economia del Ben-Essere Si è svolta lo scorso 8 e 9 ottobre 2010 la decima edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile di AICCON, l’appuntamento che mette a confronto i maggiori esponenti del mondo accademico e dei rappresentanti più autorevoli dell’economia civile in Italia, quest’anno dedicato al tema dell’Economia del Ben-Essere. Il dibattito articolato ha affrontato temi importanti dedicati alle tendenze più rilevanti del settore non profit e dello scenario economico in Italia. Il titolo di questa edizione è “Verso l’Economia del Ben-Essere”, un tema sempre più presente sui giornali internazionali e nel dibattito politico. L’evento si è aperto con il contributo che Claudio Gagliardi, Segretario Generale Unioncamere, ha inviato alle Giornate in cui ha rilanciato il ruolo delle Camere di Commercio nello svilup-
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po dell’impresa sociale in Italia: si stima che le imprese sociali impieghino circa 357mila dipendenti, quasi tutti concentrati nelle imprese dei servizi (96%), tra il 2003 e il 2009 l’incremento occupazionale è stato di oltre il 60%, largamente superiore a quello di tutte le imprese italiane, pari al +9% circa. Inoltre Gagliardi ha annunciato la nascita dei Comitati per l’imprenditorialità sociale che saranno istituiti presso le Camere di Commercio anche grazie alla collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico e con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Si è entrati quindi nel vivo del dibattito con la sessione di apertura “Verso una nuova metrica dell’economia del ben-essere: come misurare l’immisurabile?” che ha visto la partecipazione di Stefano Zamagni - Università di Bologna, Enrico Giovannini - Presidente Istat, Chiara Sa-
welfare on line raceno - Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino e Ermete Realacci – Presidente Fondazione Symbola. Il presidente dell’Istat Enrico Giovannini ha annunciato che “il Parlamento ha approvato il finanziamento per la realizzazione del censimento sul non profit in Italia previsto per il 2011”. Nel suo intervento, Stefano Zamagni ha sottolineato come la questione della misurazione sia antica: “da Cartesio in poi ci si è posti il problema. La prima cosa che si è cercato di misurare sono stati gli attributi quantitativi: da un po’ di tempo a questa parte, si tenta di misurare la qualità. Non è impossibile, solo ci vuole una metrica diversa! Il senso di questa edizione delle Giornate di Bertinoro è quello di muovere verso la presa d’atto della possibilità di misurare la qualità.” Perché è cosi importante un confronto sulla ricerca di una metrica adeguata per la misurazione dell’economia del ben-essere? “Perché il modello di welfare state, ereditato dal passato, ha delle difficoltà: l’acquisto di prestazioni di servizi sul totale della spesa sociale da parte dei comuni capoluogo è crollato. L’ente pubblico sta rinunciando al proprio ruolo, perché sono puramente utenti/clienti di ciò che il privato offre”. Una delle sessioni più importanti delle Giornate di Bertinoro è stata quella dedicata al tema
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WOL / numero 7, novembre 2010
“Dare credito alla fiducia: la domanda di finanza del Terzo Settore” che si è aperta con l’intervento di Giorgio Gobbi (Banca d’Italia, titolare della Divisione struttura e intermediari finanziari) che ha presentato alcuni dati sulla dimensione e struttura del mercato del credito per il Terzo Settore. A giugno 2010 circa 4.700 istituzioni ed enti ecclesiastici e religiosi hanno ricevuto 2,1 miliardi di euro di finanziamenti da banche e società finanziarie; il dato si alza se consideriamo le altre 13.000 istituzioni senza scopo di lucro (istituzioni ed enti con finalità di assistenza, beneficenza, istruzione, culturali, sindacali, politiche, sportive, ricreative e simili) che hanno ricevuto 7 miliardi di euro di finanziamenti; mentre 4.100 cooperative sociali hanno ottenuto circa 1,6 miliardi di euro. L’intero Terzo Settore a giugno 2010 ha ottenuto circa 11 miliardi di euro di finanziamenti da banche e società finanziarie. Le banche maggiori hanno il 50% delle organizzazioni del Terzo Settore come clienti (in questa percentuale la quota di mercato più alta è delle istituzioni senza scopo di lucro, seguite dalle istituzioni ecclesiastiche e dalle cooperative sociali). A seguire le banche grandi e medie (per una quota di mercato che supera il 20%) e le piccole (attorno al 7%). In
welfare on line particolare il sistema delle BCC è intermediario per il Terzo settore nel circa 12% dei casi, e i principali clienti sono le cooperative sociali. “I prestiti agli operatori del terzo settore – ha concluso Gobbi - rappresentano una quota piccola, ma in rapida crescita (più delle imprese non finanziarie e della Pubblica Amministrazione), i dati dimostrano che negli ultimi 10 anni l’indebitamento del Terzo Settore è più che raddoppiato. Accanto a numerosi operatori le cui esigenze finanziarie ammontano a poche decine di migliaia di euro, vi sono organizzazioni il cui indebitamento raggiunge dimensioni tipiche di quelle che si riscontra nelle piccole e medie imprese. Le caratteristiche del mercato del credito al terzo settore non si discostano in misura significativa da quelle del mercato dei prestiti alle imprese per prestiti agli operatori per tipologia degli intermediari, forme tecniche, tassi di interesse e rischiosità.” Approfondimento: sul ruolo delle Organizzazioni Non-Profit in un’economia che persegue la felicità delle persone L’economia può incidere sulla felicità e sul benessere delle persone, e in periodi di crisi come quello che stiamo vivendo è particolarmente evidente quanto la sfera economica possa divenire una minaccia per la serenità degli individui. Eppure, come una serie di studi ha dimostrato nel corso degli ultimi 30 anni, non è la variazione della ricchezza il determinante principale delle variazioni della felicità individuale riportata dalle persone. L’influenza dell’economia sul benessere individuale, inoltre, non si esaurisce con la produzione di ricchezza, ma interessa sempre più le mutate dinamiche di produzione del valore tipiche dei sistemi economici contemporanei (definiti post-moderni) in cui la dimensione identitaria diviene centrale3. Per lungo tempo, lo studio dell’economia ha fatto riferimento a un concetto di felicità e benessere interamente identificabile e caratterizzabile in termini di aumento della ricchezza individuale4. Parallelamente, a livello macro, la “società del benessere” incarnava l’idea per cui l’aumento della ricchezza economica e dei livelli di consumo si sarebbe tradotto nell’aumento del grado di felicità degli individui e 3
Sacco e Viviani (2003). Si rimanda all’analisi svolta da Bruni e Zamagni (2004) per evidenziare l’attenzione dedicata alla “felicità pubblica” dagli economisti politi italiani del settecento.
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WOL / numero 7, novembre 2010
dell’intera società. Dagli anni ‘70, tuttavia, una serie di studi ha evidenziato nelle economie avanzate la presenza di mancanza di appagamento pur nell’abbondanza di beni5. Paradossalmente, l’aumento dei redditi individuali che si era registrato in tutte le economie occidentali dal secondo dopoguerra in poi e la possibilità degli individui di soddisfare un sempre maggior numero di bisogni non si erano tradotti in un aumento della felicità individuale. Questo fenomeno, identificato come “paradosso della felicità”, fu messo in luce per la prima volta nel 1974, da Richard Easterlin. Egli documentò come, all’aumentare del reddito, il livello di felicità riportato dagli individui aumenta fino a un certo punto oltre il quale comincia a diminuire. Una serie di studi successivi ha confermato che la felicità delle persone dipende poco da variazioni di reddito mentre appare notevolmente più legata ad altri fattori come le relazioni personali con familiari e amici, la partecipazione in organizzazioni e associazioni, le comparazioni relative, etc.6 Accanto al filone di studi sulla felicità, va ricordato il contributo di Amartya Sen che, unendosi alle crescenti critiche sull’utilizzo del PIL e di altre variabili economiche come unici indicatori del benessere degli individui, ha analizzato i concetti di libertà e sviluppo definendoli in termini di funzionamenti e capacitazioni (capabilities). I funzionamenti indicano le esperienze effettive (di essere o di fare) che l'individuo ha deciso liberamente di vivere giacché gli attribuisce valore. Le capacitazioni sono invece le alternative di scelta, ossia l'insieme dei funzionamenti che un individuo può scegliere7. Il dibattito sulla definizione e la misurazione del benessere individuale che si è sviluppato negli ultimi anni ha raggiunto pieno riconoscimento con la creazione, nel 2008, da parte del presidente Nicolas Sarkozy della “Commissione sulla Misurazione della Performance Economica e del Progresso Sociale” con l’obiettivo di evidenziare i limiti dell’utilizzo del PIL quale indicatore del benessere e formalizzare un set di indicatori e linee guida per la misurazione del
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Questa definizione è tratta da Sacco e Viviani (2003) che a loro volta rimandano a Cross (1998). 6 In molti studi sulle determinanti della felicità, oltre ai beni relazionali, anche l’età e l’istruzione sembrano avere un impatto positivo e significativo sulla felicità al pari della salute e del grado di democrazia. Inflazione e disoccupazione hanno invece effetti negativi. 7 Sen (2000).
welfare on line benessere da utilizzare nel momento di policy design e policy evaluation. La ragione per cui la scienza economica sia recentemente tornata ad interessarsi di felicità e benessere è da riscontrarsi nei caratteri delle società contemporanee8. Oltre alla povertà dovuta alla scarsità di risorse materiali, nelle società contemporanee si osservano casi di c.d. povertà relazionale. Diversi autori, infatti, hanno evidenziato la tendenza delle società in cui viviamo a sostituire le relazioni interpersonali con i beni posizionali, legati cioè allo status relativo di chi li possiede9. Mentre una relazione richiede un alto rischio iniziale e “manutenzione”, i beni posizionali rispondono alla necessità di affermare il proprio status in un gruppo di riferimento aumentando l’isolamento sociale per il fatto di essere posseduti ma anche perché richiedono elevati ritmi di lavoro per essere acquistati e – una volta che il loro potenziale gratificatorio si è esaurito – sostituiti. Il tempo sottratto alle relazioni sociali non fa che isolare l’individuo, e le conseguenze estreme di tali dinamiche sono le c.d. “trappole di povertà relazionale”. La marginalità sociale nelle società contemporanee non è necessariamente legata alla scarsità delle risorse materiali10. In presenza di simili rischi si coglie l’importanza delle organizzazioni non-profit (ONP, in seguito) nelle nostre società: essendo la produzione di beni relazionali la loro cifra distintiva, esse fungono da antidoto alla creazione di trappole di povertà relazionale indicendo positivamente sul benessere degli individui. A livello macro, le ONP favoriscono processi di accumulazione del capitale sociale presente sui territori rafforzando la fiducia interpersonale di cui il mercato si nutre senza esserne produttore11. Uno studio molto interessante sul legame tra felicità e capitale sociale è stato realizzato uti-
lizzando dati relativi alla società statunitense12. Partendo dall’evidenza che, negli ultimi trent’anni, il declino del grado di felicità riportato dagli individui statunitensi si accompagna ad una riduzione del capitale sociale relazionale13 (misurato con riferimento a: i contatti sociali con i vicini, gli amici e i parenti, la fiducia negli individui, l’appartenenza a gruppi e organizzazioni e lo status maritale), l’analisi statistica realizzata evidenzia che la diminuzione della felicità individuale e quella del capitale sociale vanno di pari passo. Si individua, infatti, l’esistenza di una correlazione significativa tra gli indicatori di capitale sociale a livello individuale e le misure del grado di well-being riportate dagli individui. Sebbene sia difficile evidenziare la direzione del nesso di causalità tra capitale sociale e felicità (ossia quale dei due andamenti influenzi l’altro), è evidente che la dimensione del benessere individuale richiama quella sociale e ciò che unisce le due dimensioni è costituito dalle relazioni sociali. Gli approcci economici “tradizionali” non ammettendo motivazioni diverse dal self-interest alla base del comportamento economico, considerano simili evidenze come paradossali. La prospettiva di analisi dell’Economia Civile, offrendo una visione più complessa dell’agire economico individuale, è in grado di superare quelli che nella visione economica tradizionale sono definiti paradossi e ossimori: si pensi alla finanza etica, la mancanza nell’abbondanza, al c.d. paradosso della felicità. L’Economia Civile, inoltre, offre una lettura non residuale dell’esistenza delle ONP, rintracciando la loro cifra distintiva nella capacità di fornire beni relazionali, piuttosto che come risposta ai fallimenti dello Stato e del Mercato14. Ufficio stampa Aiccon 12
Bartolini, Bilancini e Pugno (2009). Gli autori distinguono il capitale sociale in “relational social capital”, facendo riferimento alle componenti del capitale sociale che riguardano “non-market” relations. Il non-relational social capital fa riferimento alle componenti del capitale sociale che esprimono delle credenze verso le istituzioni (es. fiducia verso le istituzioni, etc). 14 Bruni e Zamagni (2004). L’economia comportamentale è una branca dell’economia che si pone l’obiettivo di integrare nei modelli economici delle assunzioni psicologiche e dei fattori legati alle emozioni degli agenti con il fine di dotare la scienza economica di un set di assunzioni più realistiche. Una branca dell’economia comportamentale si è concentrata sullo studio dell’eterogeneità delle motivazioni economiche diverse dal self interest: altruismo, reciprocità, avversione alla disuguaglianza, etc. (cfr. Camerer, e Loewenstein, 2003). 13
8 Come rilevano Sacco e Viviani (2003) “lo sviluppo economico ha modificato radicalmente le variabili da cui dipende il benessere individuale” e di conseguenza “le condizioni di scarsità che il soggetto deve affrontare”. 9 Putnam (2004). 10 Zamagni (2005). 11 Antoci, Sacco e Vanin, (2004). Il capitale sociale indica “la trama di relazioni fiduciarie fondate sul principio di reciprocità, il cui fine specifico è la fraternità”, Zamagni (2009). Esso svolge un ruolo essenziale per il funzionamento dei mercati, garantendo il substrato di fiducia necessario alle transazioni economiche, favorendo la creazione di social network che stimolano la reciprocità e la cooperazione.
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WOL / numero 7, novembre 2010
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Hanno collaborato a questo numero Aiccon, Carla Collicelli, Daniele De Pretto, Roberto Fantozzi, Antonio Misiani, Francesco Montemurro, Matteo Domenico Recine, Silvia Spatari
Redattore Zaira Bassetti Impaginazione Zaira Bassetti, Marco Biondi Redazione Piazza del Ges첫, 47 - Roma
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