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Le recenti polemiche contro il celeberrimo Codice da Vinci, che potremmo definire (fuor di metafora) oscurantiste, richiamano alla mente un altro libro che certo non ottenne l’imprimatur ecclesiastico: Il vangelo secondo Gesù Cristo. Nessuna fantasiosa ricostruzione a cavallo tra filologia e mito per questo libro di Saramago, ma solo la stupefacente ed insieme ordinaria vita di un uomo. Una biografia nota a ciascuno di noi, che non ha bisogno di esser raccontata, ma letta, per provare l’incanto e lo sbigottimento di (ri)scoprire “che ciascun essere umano ha davanti a sé, in ogni momento della vita, cose belle e cose brutte, queste appresso a quelle, appresso al tempo, il tempo”. In questo tempo che insegue sé stesso, terribilmente concreto ed insieme astorico, si dipana la vita lenta e greve di un ragazzo solitario, dominata dal deserto e dalla sottile inquietudine di fragili legami metafisici. La tensione tra umano e divino si spezzerà infine con l’epifania di un Dio che non si rivela padre, ma signore degli uomini. A questo Dio il pastore Gesù, suo figlio prediletto, tenterà di sfuggire, cercando con dolorosa tenacia il sapore ed il senso della propria vita, fino all’ultimo, terribile inganno che si consumerà sulla croce. Il Vangelo ruota intorno ad un cronotopo universale, che riesce a proiettare fino a noi, intatto, il significato della libertà e della colpa, e attraverso il ritratto umanissimo e straziante di un pastore ci aiuta a ricomporre il nostro destino. José Saramago Einaudi, 2002 - € 11,20
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Maghi e viaggiatori Maghi e viaggiatori, film diretto da Khyentse Norbu, regista bhutano alla sua seconda prova di ampio respiro, è una sorta di favola, di apologia orientale sul recupero delle tradizioni, del locale rispetto al metropolitano e al moderno. Una riflessione sul confronto tra piccolo e grande, tra novità e routine, tra tendenza alla fuga e recupero delle tradizioni considerate più vecchie e apparentemente senza più fascino e concretezza. La vicenda - che ruota essenzialmente intorno a Dendup, un giovane funzionario di un villaggio del Bhutan, e alla sua intenzione di lasciare il proprio paese per seguire il desiderio di vivere negli Stati Uniti - narra di un viaggio compiuto tra le montagne da un gruppo di persone, partite per motivi differenti e riunite nell’attesa di un mezzo che permetta loro di raggiungere la città. Grazie alla presenza di un anziano viaggiatore, durante questa vicenda la narrazione vira da una dimensione realistica a una più propriamente onirica, e alla prima – e principale – trama s’innesta una sottotrama che funge da parabola, da apologo. L’anziano racconta, infatti, le vicende di un giovane apprendista mago, che si ritrova improvvisamente in un altrove, dove una donna lo porta a compiere un delitto di cui rapidamente, e inutilmente, si pente. Attraverso questa narrazione (realizzata in maniera efficace a livello stilistico, con l’uso di neri di seppia e di una fotografia suggestiva), si osserva il giovane mutare intenti, fino alla conclusione, che il regista lascia volutamente aperta all’interpretazione del fruitore del film.
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