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Inside man Inside man, ultima produzione di Spike Lee, è un cosiddetto film su commissione. Laddove alcuni registi si limitano a gestire simili pratiche in maniera banale e poco personale, altri utilizzano i vincoli come una sfida, per realizzare in ogni caso un risultato che abbia il proprio marchio personale ben impresso. Un caso tipico di quest’atteggiamento è proprio questo lungometraggio. Il regista, infatti, riesce, partendo da un soggetto classico, forse fin troppo abusato, a realizzare un film nei suoi termini e rispettando la propria cifra stilistica. La trama del film, infatti, è piuttosto semplice, e riguarda una rapina in banca conclusa felicemente sia per i rapinatori che per le forze di polizia. Ciò che doveva essere rubato, infatti, è contenuto in una cassetta di sicurezza segreta e il proprietario (peraltro il proprietario della banca stessa) non vuole e non può dichiararne il contenuto. Entrano quindi in gioco poteri forti, che nulla possono contro l’ingegno della squadra di rapinatori, che solo alla fine rivela la vera posta in gioco anche agli spettatori. Diamanti, ma non solo, documenti dell’epoca nazista (e qui subentra l’identità dell’inside man). Il negoziatore coinvolto nel caso riesce a venire a capo dell’enigma sul furto (pur non riuscendo a fermare i rapinatori), ma individuando così il vero colpevole finale. La regia risulta di altissimo livello sia dal punto di vista tecnico che contenutistico, con la consueta attenzione alle tematiche sociali e razziali, e gli attori sono a loro volta in gran forma, con una menzione particolare per Denzell Washington e Willem Defoe.
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In una sonnolenta “regione di gente per lo più in mezzo lutto e sempre col naso sudato” due anziane zittelle trascorrono un’esistenza quieta e disperante, oppressa nei confini dell’assenza: di emozioni, di fantasia, di legami, di ambizioni. Nessun evento sembra in grado di sradicarle dalla passiva accettazione di una vita sempre uguale a sé stessa. Comprimari del caustico ritratto sono una madre malata, quasi totemica nella sua perfidia, un’anziana governante ed una scimmia, Tombo, l’unico maschio della casa. Eppure anche la sua strabiliante ed incongrua presenza è fagocitata senza scampo nello squallore esistenziale delle padrone, ed appiattita, piuttosto che arricchita, dal confronto con gli umani. L’unico sfogo vitale, l’unica fonte di libertà, è per Tombo fuori dalla casa, ma la sventurata bestia adotta dei mezzi che, una volta scoperti, saranno considerati intollerabili dalle due pie sorelle. E solo una tale trasgressione, ignara ed estrema, incrinerà questo microcosmo immobile, fino a farlo letteralmente esplodere in modi orribili e sanguinosi. Landolfi, con il suo stile inconfondibile, lieve solo all’apparenza, propone una riflessione fulminante contro il bigottismo, che è soprattutto religioso, ma non solo, e contro le più bieche e malriposte fiducie antropocentriche che ne derivano. E, perché no, esplora gli effetti perversi di una femminilità compressa entro misere convenzioni sociali e culturali: due zittelle, appunto. Tommaso Landolfi Adelphi, 2004 7,00
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