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welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno VII, Numero 5, Settembre 2011
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Foto di Marco Biondi
In questo numero: “Politiche sociali e manovre economiche: un’analisi” di Emiliano Monterverde – pag. 2 “Il futuro degli interventi e dei servizi sociali nei Comuni” di Roberto Fantozzi – pag. 4 “Giovani con disabilità che «imparano facendo»” a cura di Superando.it – pag. 7 Le nostre rubriche: “LibrInMente” a cura di Silvia Spatari – pag. 3 “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine – pag. 6
Associazione Nuovo Welfare
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Politiche sociali e manovre economiche: un’analisi
Cercare di fare un’analisi su “politiche sociali e manovre economiche” è sempre più difficile. È raro, infatti, trovare provvedimenti che si riferiscano direttamente a questo fondamentale settore delle politiche pubbliche. Ma ci si imbatte sempre più spesso in interventi di carattere generale che finiscono con l’incidere profondamente sul nostro sistema di welfare. Partiamo dall’ultimo decreto varato ad agosto e convertito in legge nei primi giorni di settembre. A prima vista non si rintracciano interventi diretti sul sistema delle politiche sociali. Ma, a ben vedere, come potremmo giudicare diversamente gli enormi tagli ai trasferimenti verso gli Enti Locali? Nell’immaginario collettivo, le risorse per le amministrazioni territoriali equivalgono troppo spesso a sprechi o a progetti che non riguardano la vita quotidiana di tutti noi. Al contrario, le istituzioni di prossimità, come i Comuni, utilizzano una parte significativa delle loro risorse per fornire servizi fondamentali alle nostre vite: asili nido, progetti per l’inclusione sociale, servizi per le persone con disabilità, programmi di prevenzione… In ogni atto di questo Governo è possibile leggere una cultura dell’intervento sociale che ci porta decenni indietro nell’elaborazione e realizzazione della rete integrata degli interventi e servizi sociali. La cultura della prevenzione, delle pari opportunità per tutti, dei progetti individuali è finita in una ghettizzazione delle politiche sociali, che non sono più considerate uno strumento per lo sviluppo del territorio, anche dal punto di vista economico, ma un mero interevento residuale ed emergenziale, rivolto, quando più possibile economicamente, ai casi più estremi di disagio o di povertà. Prevenzione, benessere, cittadinanza, partecipazione sono parole scomparse dal vocabolario dell’intervento governativo molto prima dell’avvio dei tagli e degli interventi per la crisi. Se partiamo da questa chiave di lettura dell’attività del Governo, comprendiamo molto più chiaramente molte delle scelte degli ultimi anni. • Tra i decreti attuativi del Federalismo fiscale continua a mancare la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni. • Nel disegno di legge delega per la riforma fiscale e assistenziale, l’unico ele-
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mento chiaro della proposta di riqualificazione e riordino della spesa in materia sociale, anticipata da una strumentale campagna mediatica sui falsi invalidi, è una previsione di taglio di 20 miliardi di euro; • L’azzeramento del Fondo per la non autosufficienza e di quello per l’immigrazione si affiancano alla riduzione al lumicino del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (fissato a 70 milioni di euro per il 2012 e a 44,6 per il 2013) e ai ritardi nei trasferimenti delle risorse destinate alla Legge 285/97 sull’infanzia e l’adolescenza. • I ripetuti tagli dei trasferimenti agli Enti Locali (realizzati in varie manovre) consistono in 7,4 miliardi di euro l’anno di minori risorse a partire dal 2014. Voglio essere chiaro. Il sistema di rete dei servizi e degli interventi sociali immaginato dalla Legge 328/2000 necessita di essere seriamente riformato alla luce delle trasformazioni sociali ed economiche del nostro Paese. Credo sia, non solo possibile, ma anche necessario aprire una discussione sulle criticità emerse in questi 11 anni dal varo della normativa quadro: dalla riforma degli emolumenti ai sistemi di accreditamento, dalla funzione del terzo settore ai compiti dell’Amministrazione Pubblica, dai Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali ai modelli di finanziamento della rete dei servizi, dalla partecipazione degli utenti alla spesa ai diritti dei lavoratori del sociale. Si può e si deve avviare una riflessione comune e condivisa. C’è bisogno di una nuova fase costituente del sociale, che parta dall’integrazione sociosanitaria, mai realizzata, e arrivi a includere nella rete soggetti e bisogni finora non considerati. Tale sfida ha bisogno di coraggio e di tutti i soggetti in campo, per evidenziare problematiche e limiti, criticità e aspetti da valorizzare, necessarie modifiche e integrazioni, e per suggerire proposte e visioni, individuare soluzioni condivise, non solo realizzabili ma capaci di migliorare la qualità della vita delle persone, proprio come si fece quando venne varata la Legge 328/2000, che arrivò dopo oltre cento anni dalla prima legge sull’assistenza. Tutto questo lavoro, però, non può non tenere conto dell’assalto al finanziamento governati-
vo, che arriva fino all’azzeramento di ogni risorsa per il settore, senza idee e senza proposte, con l’obiettivo, nemmeno troppo celato, di dividere il terzo settore, attraverso offerte mirate e relazioni esclusive. Né può realizzarsi concependo il sistema delle politiche sociali come un intervento residuale da social card, redditi di ultima istanza e poco più, allo scopo di ritirare l’impegno pubblico da questo settore e delegare tutto alle famiglie, sempre più piegate dal peso della crisi. È il momento del coraggio, di aprire una nuova fase nel dibattito per le politiche sociali. È il momento di riaprire una stagione di partecipazione e di innovazione che sappia disegnare la strada per andare oltre questa crisi, nata nel
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mondo finanziario ma che colpisce duramente proprio nel settore delle politiche sociali. Competenze e protagonisti del sociale, amministratori e legislatori, dirigenti del terzo settore e operatori devono stringere un nuovo patto. Tra loro e con i cittadini, com’è già stato fatto in passato, per rilanciare un’idea moderna di servizi, inclusivi, per tutti, volàno di uno sviluppo economico e sociale nuovo che porti fuori il nostro Paese da questa forbice, ogni giorno più larga e insopportabile, che allontana cittadini da cittadini, regioni da regioni, esistenze da esistenze. Emiliano Monteverde
LiBrInMenTe La legge del fiume di
Silvia Spatari
Dopo anni di viaggi infruttuosi alla ricerca della madre scomparsa, Conor torna in Irlanda da suo padre. Spera forse di trovare delle risposte, ma “il vecchio” è diventato il fantasma di sé stesso: emarginato in una baracca in riva al fiume, scontroso, abbrutito di sudiciume e malattia. Tra i due si instaura una convivenza ambigua, che si nutre di affetti avviliti e commoventi silenzi, e, soprattutto, dei ricordi di Conor. Perché del matrimonio tra i genitori, un fotografo irlandese visionario e irrequieto e una giovanissima messicana imbevuta del vento e dei misteri del deserto, sembra non essere rimasto nulla, se non qualche vecchia fotografia. Primo libro del prodigioso irlandese trapiantato negli States, La legge del fiume è un romanzo virato nei toni del seppia, una struggente riflessione sulla memoria e sull'inerzia del cambiamento; sulle rive di un fiume denso e lento di scarti industriali McCann comprime la massima eraclitea del panta rei nella fissità dei gesti reiterati, nelle ossessioni lunghe decenni, nelle fotografie ingiallite che (de)compongono il fulcro emotivo del passato. Tutto scorre, è vero, ma a volte rallenta fin quasi a stagnare sotto il peso della polvere di anni, e secoli. Proprio come l'immagine sbiadita di una vecchia fotografia. Colum McCann 2002, il Saggiatore € 8,00
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Il futuro degli interventi e dei servizi sociali nei Comuni
Nelle recenti manovre di finanza pubblica gli La spesa media per abitante, passando dai 90 Enti Locali hanno subito una notevole riduzione euro pro capite del 2003 ai 111 euro del 2008, dei trasferimenti da parte dello Stato. Come è aumentata di circa 20 euro a prezzi correnti più volte denunciato dagli Enti stessi, una ridu- e di circa 8 euro pro capite a prezzi costanti. La zione di trasferimenti implica una diminuzione spesa media pro capite maggiore si è registradei servizi. Quali saranno i servizi maggior- ta con 280,50 euro nella provincia di Trento mente colpiti dipenderà dalle scelte delle sin- (grafico 1), mentre il valore più basso, pari a gole Amministrazioni. 30,30 euro, in Calabria. In questo lavoro concentreremo l’attenzione Le regioni del Sud, dove si usufruisce in genesugli interventi e i servizi sociali che i Comuni1 rale di una spesa sociale pro capite mediamenerogano, provando a immaginare come una ri- te più bassa rispetto al resto d’Italia, presentaduzione dei Grafico 1 - Spesa dei Comuni per servizi sociali: valori medi pro-capite menti possa incidere per regione anno 2008 su parte di questi vizi. I dati che no analizzati, infatti, si riferiscono all’anno 2008 e, non risentendo ancora degli effetti delle recenti manovre, rappresentano un benchmark per tracciare alcuni scenari futuri. Nel 2008 i Comuni italiani, in forma singola o associata, hanno destinato agli interventi e ai servizi sociali 6 miliardi e 662 milioni di euro. Considerando questa spesa al netto delle compartecipazioni degli utenti e del SSN Elaborazione Nuovo welfare su dati Istat (pari al 23,5 per cento del totale), i Comuni finanziano con risorse no una quota maggiore di risorse assorbite dalproprie il 62,5 per cento della spesa comples- le politiche di contrasto alla povertà e all’esclusiva2. sione sociale: il 12,3 per cento (con un picco La spesa per l’assistenza sociale erogata a li- del 24 per cento in Calabria), contro il 6,5 per vello locale nel 2008 è aumentata del 4,1 per cento del Nord Italia. Di contro, nel Nord c’è cento rispetto al 2007. Nell’arco dei sei anni di- una maggiore concentrazione di risorse verso sponibili (2003-2008), si rileva un aumento le persone anziane e con disabilità. complessivo del 28,2 per cento a prezzi cor- Quando si osserva la spesa sociale e si eserenti, che valutato a prezzi costanti (valori de- guono confronti spazio-temporali è sempre opflazionati) risulta pari al 13,5 per cento. portuno ricordare che incrementi o decrementi di spesa non rappresentano comunque né pregi né virtù delle singole Amministrazioni Locali. 1 Istat: “Gli interventi e i servizi sociali dei Comuni singoli Quello che bisogna verificare, infatti, è la qualie associati” - Anno 2008 del 19 Aprile 2011 www.istat.it. 2 Le stime sono state effettuate sulla base delle risposte tà della spesa sostenuta e gli effetti reali prodate dai Comuni e dagli altri enti di rilevazione ai quesiti dotti dalle singole politiche adottate. sulle fonti di finanziamento e si riferiscono al 74% della spesa complessiva.
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Dell’intero ammontare della spesa sociale è denaro (25,4per cento) e di costi di gestione utile osservare anche la ripartizione fra le di- per le strutture (24,1per cento). verse aree destinatarie degli interventi (grafico Le politiche per povertà, disagio adulti e senza 2). fissa dimora costituiscono il 7,7 per cento della Il 40,3 per cento della spesa complessiva è spesa totale, con una spesa pro capite di soli impegnata nell’area famiglia e minori, di cui il 14 euro. Gran parte di questa spesa riguarda i 56 per cento è assorbito dai costi di funziona- trasferimenti in denaro verso le famiglie (56,8 mento delle strutture, tra le quali gli asili nido per cento) e principalmente i contributi ecorappresentano la componente principale. nomici per l’alloggio e quelli a integrazione del La seconda area di utenza è rappresentata da- reddito familiare. Un’altra componente signifigli anziani con il 21,2 per cento della spesa cativa è data dal servizio sociale professionale, complessiva. Il 49,7 per cento della spesa per mentre le restanti attività realizzate per tale anziani è destinata a interventi e servizi, il area sono: il servizio mensa, gli interventi per 27,8 per cento è erogata sotto forma di trasfe- l’inserimento lavorativo e l’integrazione sociale rimenti in denaro e il 22,5 per cento è dato dai di persone con disagio mentale, senza fissa costi di gestione per le strutture comunali. dimora o con altre forme di disagio sociale. Nell’ambito degli interventi e servizi, la princi- Per le attività generali o rivolte alla multiutenza pale voce di spesa è dovuta all’assistenza do- è destinato il 6,3 per cento della spesa totale. miciliare a carattere esclusivamente assisten- Infine gli interventi per immigrati e dipendenziale. La percentuale di Comuni che offrono ze, rispettivamente con il 2,7 per cento e lo questo tipo di servizio è passata dall’82,8 per 0,7 per cento, risultano le aree a cui vengono cento del 2004 all’85,4 per cento del 2008, destinate le minori risorse. mentre gli anziani assistiti a domicilio, seppure Lo scenario che emerge dai dati fin qui esposti aumentati in valore assoluto, sono rimasti pari permette di avanzare alcune considerazioni. all’1,6 per cento della poGrafico 2 - Spesa dei Comuni per servizi sociali per area di utenza polazione totale. (anno 2008) L’area disabili, al pari di quella anziani, assorbe il 21,1 per cento del totale delle risorse impiegate, con una spesa media di 2.500 euro. E si compone per il 50,5 per cento di interventi e servizi, come il sostegno socio-educativo scolastico, l’inserimento lavorativo, il trasporto sociale e i diversi tipi di assistenza domiciliare. Con riferimento in particolare all’assistenza domiciliare a carattere prettamente sociale (escluse le prestazioni sanitarie), nel 2008 i Comuni hanno garantito una spesa media Elaborazione Nuovo welfare su dati Istat per utente di 3.500 euro. Questo tipo di servizio è presente nel 66 per Nel 2008, anno di inizio della crisi economica, cento dei Comuni italiani e il numero delle per- l’area della povertà ha visto intensificare gli insone con disabilità assistite a domicilio risulta terventi, sia in termini di utenti serviti che di tendenzialmente in aumento, passando dai 28 spesa impegnata. Considerando che gli effetti mila utenti del 2004 ai quasi 37 mila del 2008. della crisi si protraggono ancora oggi, ci si atLa quota restante della spesa per le politiche tende che nelle prossime indagini quest’area sulla disabilità si compone di trasferimenti in ricoprirà un peso sempre maggiore. Allo stesso
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tempo, però, alla luce dei tagli effettuati, sarà interessante osservare quanto e come gli utenti di quest’area saranno colpiti. Il costante divario − in termini di spesa – tra il Nord e il Sud d’Italia sarà maggiormente acuito dalla crisi economica, con l’effetto di peggiorare ulteriormente le condizioni di chi già viveva situazioni di forte disagio. Infine, come premesso inizialmente, bisognerà monitorare le dinamiche future della spesa per gli interventi e i servizi sociali. Infatti, in periodi di crisi, sono le fasce più disagiate a essere colpite prima e, come abbiamo osservato per
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alcune aree di utenza, le risorse impiegate non sono ancora sufficienti a rispondere alle esigenze presenti. Il timore principale è quello di assistere a una richiesta sempre maggiore di interventi a fronte di una minore disponibilità di risorse economiche. Con il risultato che i primi a subire le conseguenze peggiori saranno proprio coloro che dovrebbero invece essere maggiormente protetti da determinati eventi. Roberto Fantozzi
Cineforum a cura di
Matteo Domenico Recine Il ragazzo con la bicicletta L’ultimo film dei fratelli Dardenne lascia, almeno temporaneamente, da parte la linea tracciata con “Il matrimonio di Lorna”, per riprendere le tematiche affrontate nei film precedenti, in particolare l’Enfant. Tanto lì c’era redenzione, per il padre, tanto qui qualsiasi forma di rimorso è assente. Cyril, un bambino di dodici anni che si trova provvisoriamente in istituto, scopre che il padre ha venduto la sua bicicletta ed è andato via senza lasciargli alcun recapito. Alla ricerca dell’uomo, si imbatte in una parrucchiera di nome Samantha, che il bambino si sceglie e alle cui attenzioni viene progressivamente affidato. Samantha accetta senza esitazioni e timori il ruolo e decide di mettersi in gioco: mette fine al proprio rapporto di coppia, ricompra quella bicicletta venduta dal padre e prova a instaurare un rapporto più solido e sincero con il bambino. Ma la rabbia e l’impossibilità di accettare il rifiuto da parte del padre, e al contempo l’incapacità da parte di Cyril di comprendere le possibili conseguenze positive o negative di determinate azioni, rendono difficile la stabilità del loro legame e la ricerca di quella pace, frutto di un amore incondizionato, che il bambino non ha mai imparato a conoscere. “Il ragazzo con la bicicletta” è un film molto interessante, asciutto e dinamico, basato essenzialmente sulla recitazione. Cécile De France si conferma attrice di ottime capacità, bravi come al solito i due attori “storici” dei Dardenne, Jérémie Renier e Fabrizio Rongione. Ciò che più sorprende è la maturità espressiva del piccolo Thomas Doret nei panni del protagonista. È lui, infatti, a reggere in massima parte la scena, perché i fratelli Dardenne scelgono di muoversi completamente tramite il suo punto di vista, dando al film una chiave interpretativa immersiva, in cui l’occhio dello spettatore segue tutto dalla prospettiva del bambino, fino alla fine, non scontata ma sicuramente attesa. Un film di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne. Con Jérémie Renier, Cécile De France, Olivier Gourmet, Thomas Doret, Fabrizio Rongione. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 87 min. - Belgio, Francia, Italia 2011. - Lucky Red. Uscita mercoledì 18 maggio 2011.
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Giovani con disabilità che «imparano facendo»
Può essere questo il senso del Progetto Lab.Giovani della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), stage attraverso l’Italia, che nella prima parte di settembre ha coinvolto una trentina di giovani con varie disabilità, provenienti dalle Regioni del Sud Italia e delle Isole. «Ora però - scrive Daniela Bucci, coordinatrice dell’iniziativa - è da quegli stessi giovani che deve partire la motivazione e la volontà di impegnarsi nella vita associativa, perché, se l’obiettivo è quello dell’inclusione delle persone con disabilità, questo non potrà essere raggiunto se ciascuno opererà singolarmente per realizzare il proprio progetto, in una sorta di “lotta per la sopravvivenza personale”. E tanto più in un contesto come quello attuale in cui il drastico taglio dei trasferimenti agli Enti Locali e la volontà di affossare il sociale esigono compattezza e lotta a livello nazionale, da parte di tutti, e la capacità di partecipare nei territori alle decisioni e di incidere sulle inevitabili scelte di priorità».
«Il coinvolgimento dei giovani come protagonisti - scrive Stefania Dondero, responsabile del Progetto Lab.Giovani della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) - è una strategia ineludibile per la crescita di nuovi leader (ambizione massima) e per la “formazione” di nuovi attivisti, volontari, soci di associazioni federate e non». A “bocce ferme”, dunque, tentiamo di fare un bilancio di questa iniziativa - Lab.Giovani, appunto - stage attraverso l’Italia (Roma, Terni, Padova, Milano e ancora Roma), che nella prima parte di settembre ha coinvolto una trentina di giovani con varie disabilità, provenienti dalle Regioni del Sud Italia e delle Isole, zone dove, da qualche tempo, si erano già svolti seminari e incontri incentrati su tematiche trasversali relative al mondo della disabilità. Da quegli incontri era emerso il nucleo dei partecipanti allo stage. Cediamo dunque la parola ai diretti protagonisti di Lab.Giovani - esperienza che il sito www.superando.it aveva già ampiamente presentato -, vale a dire la citata Stefania Dondero, Daniela Bucci, direttore dell’Associazione Nuovo Welfare e coordinatrice del progetto e Matteo Schianchi, consulente della FISH, che ne ha seguito da vicino gli sviluppi. «Lab.Giovani voleva e vuole rappresentare un percorso - uno dei tanti possibili - per avvicinare in modo consapevole, informato e condiviso i giovani con disabilità all’agire politico, nel senso più generale e migliore del termine. La FISH si è presa questa “briga”, credendo che il coinvolgimento dei giovani come protagonisti (a partire dal Sud) sia una strategia importante e ineludibile per la crescita di nuovi leader (ambizione massima) e per la “formazione” di nuovi attivisti, volontari, soci di associazioni federate e non.
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L’investimento è dunque sulla maturazione di conoscenze, sulla capacità di lettura della propria realtà, sulla consapevolezza dei propri diritti e sul poter agire insieme ad altri. Il tutto nel quadro di uno scenario drammatico di feroce contrazione delle risorse e dei diritti che la FISH combatte da tempo. Una sfida complessa, quindi, che la Federazione ha voluto raccogliere impegnandosi anche a sostenere il gruppo dei giovani coinvolti oltre il progetto stesso, e a formulare altre iniziative progettuali per promuovere un nuovo percorso, che potrebbe chiamarsi, ad esempio, semplicemente FISH-Giovani». Stefania Dondero Responsabile del Progetto Lab.Giovani «Lab.Giovani si è rivelato in sé un’occasione importante di partecipazione per i giovani che vi hanno preso parte e ha quindi raggiunto il suo principale obiettivo, che era quello di contrastare l’esclusione e offrire appunto opportunità di partecipazione. Nella quasi totalità dei casi, coloro che sono stati coinvolti - pur prendendo parte alla vita di una qualche associazione, come soci, utenti, operatori o volontari - si sono trovati per la prima volta a confrontarsi e a ragionare insieme sulla disabilità come discriminazione e mancanza di partecipazione. Quasi nessuno conosceva il modello sociale della disabilità, alcuni sapevano appena dell’esistenza della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e pochi ne avevano letto anche solo un articolo. Nonostante, dunque, nella loro esperienza di vita si fossero quotidianamente rapportati con limiti e ostacoli strutturali e culturali posti dal contesto sociale, si sono rivelati fortemente condizionati dalla “cultura dominante”, che vede nella disabilità una “disgrazia personale” e la identifica con la patologia, la menomazio-
ne, l’incapacità individuale (quando ho chiesto loro, ad esempio, “che cos’è la disabilità?”, le parole usate sono state proprio queste: patologia, limite personale, invalidità, handicap. Ho iniziato a porre questa domanda proprio perché, nei seminari residenziali regionali, mentre parlavamo e svolgevamo le attività, mi sono resa conto che quasi nessuno dei partecipanti conosceva il modello sociale della disabilità, a differenza di quanto avevo inizialmente supposto, e ho quindi introdotto una parte di formazione - anche se molto breve - proprio su questo aspetto). Tutti sono rimasti stupiti e colpiti dal fatto che si potessero impostare e vedere le cose secondo una prospettiva diversa, che sottrae la disabilità all’individuo e la restituisce alla società. Questo diverso punto di vista li ha entusiasmati, facendo circolare idee ed energie, dando nuova sostanza ai loro progetti. Ma non è certo in un tempo così breve - e sarebbe stato eccessivo pretenderlo - che si è potuto fare "entrare" quel modello in ognuno di loro e far sì che riuscissero ad applicarlo immediatamente a tutte le nuove attività che abbiamo compiuto insieme. Ciò infatti avrebbe significato modificare convinzioni sin troppo sedimentate, ma sicuramente un primo mattone è stato posto. Il fatto che per molti dei giovani coinvolti questa esperienza fosse la prima ha prodotto su tutti un forte impatto emotivo: è stata un’occasione per contrastare l’isolamento, stare insieme agli altri, costruire nuove relazioni, sentirsi ascoltati e capiti, uscire di casa, viaggiare. Ma è stata anche un’opportunità importante per riflettere e confrontarsi su questi temi (e non è una cosa che capiti così frequentemente), per scambiarsi esperienze tra giovani con disabilità e non, giovani con diverse tipologie di disabilità, provenienti da territori, contesti e Regioni differenti, giovani inclusi e giovani più isolati o iperprotetti dalle famiglie, con scarse occasioni di partecipazione alla vita
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della comunità, che offre loro più assistenza che opportunità di crescita e di empowerment [il rafforzamento della propria consapevolezza, N.d.R.], giovani che si sentono di avere avviato o che vorrebbero intraprendere un percorso di impegno politico e associativo e giovani che forse non lo faranno mai. Un’altra cosa che ho capito da Lab.Giovani è che bisogna parlare ai giovani - cosa che non è così scontata da parte delle associazioni - e bisogna farlo con strumenti e modi diversi da quelli usati finora. La totalità dei partecipanti, infatti, è rimasta molto colpita dal modo di realizzare i seminari residenziali regionali, perché per la prima volta ha potuto “imparare facendo”. I ragazzi si aspettavano di venire a un seminario stile convegno, per lo più noioso, dove prendere appunti, non essere interpellati e tornare a casa senza poi essere cambiati più di tanto. E invece hanno scoperto che si può tornare a casa diversi da come si era partiti, più ricchi di informazioni e conoscenze, idee, progetti, ma anche di amicizie e relazioni, di capacità personali e collettive, con la certezza di aver “messo del proprio”, di avere preso molto dagli altri, ma di avere anche dato molto. Parecchi di loro, in fase di restituzione dell’esperienza (alla fine della due giorni chiedevo di fare un bilancio), mi hanno detto che la cosa più bella era stata quella di “essersi sentiti ascoltati” e spesso per la prima volta; di avere imparato che si può essere formati anche con tecniche diverse da quelle frontali, più coinvolgenti e anche divertenti; di avere scoperto che confrontarsi con gli altri arricchisce, apre a situazioni completamente diverse dalla propria, in cui ci si può rendere conto, ad esempio, di essere discriminati, ma anche di discriminare gli altri: per tipologia di disabilità, per orientamento sessuale ecc. L’ultima cosa che vorrei sottolineare è che Lab.Giovani - come ho sempre detto a tutti ha voluto mettere un seme che però loro do-
vranno coltivare per coglierne i frutti. Questa esperienza, infatti, ha rappresentato solo l’inizio di un percorso che dovrà viaggiare sulle loro gambe. Ciò non significa che la FISH abbia l’intenzione di abbandonarli a se stessi, ma che è da loro che deve partire la motivazione e la volontà di impegnarsi nella vita associativa. Se l’obiettivo è quello dell’inclusione delle persone con disabilità, questo non potrà essere raggiunto se ciascuno opererà singolarmente per realizzare il proprio progetto, in una sorta di “lotta per la sopravvivenza personale”, un po’ come può accadere per la singola associazione che in modo miope si reca a chiedere i fondi all’Amministrazione di turno per garantire la sopravvivenza del proprio progetto - per quanto buono possa essere -, guardando agli interessi del proprio “orto”, ma al di fuori di un quadro condiviso. Questo non ce lo possiamo permettere, soprattutto in un contesto come quello attuale in cui il drastico taglio dei trasferimenti agli Enti Locali e la volontà di affossare il sociale esigono compattezza e lotta a livello nazionale, ma anche la capacità di partecipare nei territori alle decisioni e di incidere sulle inevitabili scelte di priorità». Daniela Bucci Direttore dell’Associazione Nuovo Welfare, Coordinatrice del Progetto Lab.Giovani «Durante lo stage di Lab.Giovani, la presenza di diverse tipologie di disabilità è stata vissuta in modi diversi. In molti casi il gruppo ha costruito immediate relazioni di attenzioni e di solidarietà reciproche. Per alcuni, questa sembra essere stata anche un’esperienza di arricchimento poiché ha permesso di conoscere disabilità, difficoltà e risorse personali sconosciute. In altri casi, “velocità diverse” all’interno del gruppo hanno costituito un problema attorno a cui confrontarsi (anche se questo confronto è avvenuto soprattutto a gruppetti): ma come possiamo pensare di impegnarci nelle associazioni per “essere inclusivi”, se non sempre riusciamo ad esserlo tra di noi? Quindici giorni di stage, esperienze di relazioni personali, incontri con rappresentanti di asso-
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ciazioni e movimenti mettono tanta di quella carne al fuoco che per poter affrontare seriamente tutte le porte che si sono aperte, sarebbero necessari altre tre stage, stanziali, solo per rifletterci. Ma anche questo è un bagaglio che ciascuno si sarà riportato a casa e per il quale deciderà se “metterlo in agenda” tra le cose per cui fare da subito qualcosa a livello personale, oppure se metterlo (momentaneamente o per sempre) in soffitta. Vissuto personale e ruolo associativo si sono poi incontrati a più riprese quando sono state poste questioni e istanze relative a singole tipologie di disabilità. “Perché proprio questa attenzione specifica su un tipo di disabilità?”, ha chiesto una ragazza alla responsabile dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), venuta a Roma ad incontrare lo stage della FISH. Più volte il tema è stato ripreso e sicuramente è stato sperimentato quotidianamente. Si parte da se stessi, dalla propria esperienza di disabilità, da quella dei propri figli. Le associazioni e il loro impegno civico e politico nascono così, ma poi è necessario andare oltre. I diritti sono diritti di tutti; è corretto partire dalla conoscenza delle singole forme di disabilità, dalle specificità, poi però è necessario fare un salto in avanti, assumendo le esigenze e le problematicità delle singole tipologie di disabilità, per ricollocarle in un ambito in cui - va detto ancora - i diritti sono di tutti. Il “leader associativo doc” ragiona addirittura all’incontrario: i diritti anzitutto, per poi capire come "nei singoli casi" trovano una specifica applicazione. Questa prospettiva collettiva è stata ribadita a più riprese, sia come modalità generale sia come modalità pratica per la vita associativa locale. Non si parte mai da zero e se si vuole operare sul territorio, è necessario conoscere gli altri interlocutori, mettersi in rete per “fare fronte comune”, per portare avanti i diritti e le istanze del maggior numero di persone con disabilità». Matteo Schianchi Esperto della FISH a cura di Superando.it
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Hanno collaborato a questo numero Roberto Fantozzi,
Emiliano Monteverde,
Matteo Domenico Recine, Silvia Spatari, Superando.it Redattore
Zaira Bassetti
Impaginazione
Zaira Bassetti, Marco Biondi Redazione
Piazza del Ges첫, 47 - Roma Potete inviarci le vostre osservazioni,
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