WOL - Welfare On Line, N. 6, Settembre 2014

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welfare on line Webzine dell’Associazione Nuovo Welfare Anno X, Numero 6, Settembre 2014

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Foto di Marco Biondi In questo numero: “Il Rapporto BES: un quadro d’insieme” di Roberto Fantozzi - pag. 2 “Collaboratrici familiari e bandati dall’estero: utilità e doveri” di Franco Pittau - pag. 7 Le nostre rubriche: “In agenda” a cura dell’Associazione Nuovo Welfare - pag. 6 “Cineforum” a cura di Matteo Domenico Recine - pag. 10

Associazione Nuovo Welfare


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Il Rapporto BES: un quadro d’insieme

La seconda edizione del “Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile”1 (Bes) 2014 è ancora il risultato della collaborazione tra il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e l’Istituto nazionale di statistica (Istat). Il nuovo Rapporto si pone l’obiettivo di diventare un punto di riferimento continuo, sia per la società civile sia per il mondo accademico, nella definizione ed elaborazione di indicatori capaci di descrivere, in modo esaustivo, il concetto di benessere di una nazione, non relegando questa funzione al solo Prodotto Interno Lordo (Pil). Bes 2014 conferma la struttura di analisi basata su 12 domini di riferimento che contengono al loro interno 134 indicatori2. Seguendo le stesse linee di analisi utilizzate per descrivere il Rapporto del 2013 (vedi WOL n. 3 - Aprile 2013), illustrerò nel proseguo i principali risultati presentati, provando, inoltre, a tracciare un quadro complessivo del Benessere in Italia. L’analisi sarà supportata anche da indicazioni sull’andamento nel tempo delle variabili utilizzate. Come è stato già sottolineato nell’articolo su Bes 2013 (ibidem) l’assenza di un indicatore sintetico, operazione non priva di difficoltà, impedisce una visione generale più immediata, sia nel tempo sia nello spazio, dello stato del benessere attuale. Sono da apprezzare, invece, le indicazioni che si possono cogliere osservando, nel Rapporto 2014, la tabella “Le tendenze del Benessere” dove, per ogni indicatore, è descritto sinteticamente il suo andamento fino al 2008 (anno di inizio della crisi) e dal 2008 in poi. Le tendenze del benessere saranno, così, di ausilio per la nostra analisi che, considerato l’elevato numero di indicatori utilizzati, si soffermerà solo su quelli con maggiore capacità descrittiva. Allo stesso tempo, dei 12 domini di cui si compone il rapporto saranno analizzati: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Benessere economico, Sicurezza, Benessere soggettivo, Qualità dei servizi. Mentre saranno escluse le aree: Ambiente, Relazioni sociali, Politica ed istituzioni, Paesaggio e patrimonio culturale, Ricerca e innovazione. Vedi: http://www.misuredelbenessere.it Per maggiori approfondimenti sui domini e gli indicatori utilizzati vedi D. Fantozzi WOL n. 8 - Dicembre 2012. 1 2

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Tra i domini esclusi, però, emergono alcuni fenomeni che è opportuno evidenziare. Il primo riguarda l’area “Politica ed istituzioni”, dove si registra un aumento della presenza di donne e giovani nelle assemblee parlamentari – le donne elette, in media più giovani degli uomini, sono il 31,3% dei deputati e il 29,8% dei senatori – e nei principali organi decisionali della sfera pubblica. Il secondo fenomeno, invece, segnala un ritardo nel settore della “Ricerca e innovazione” sulla base della diminuzione della quota di Pil destinata al settore in questione – aumentando la nostra distanza dal resto d’Europa – e contestualmente della crescita del divario tra il Nord e le altre ripartizioni. Considerata poi la straordinaria ricchezza di beni ambientali dell’Italia, anche il dominio dell’Ambiente richiede alcune indicazioni. Nonostante i passi avanti compiuti, gli indicatori di quest’area mostrano ancora evidenti difficoltà. Infatti, dall’analisi degli ultimi dati disponibili emergono segnali contraddittori: lieve miglioramento della qualità dell’aria, leggero aumento nella disponibilità di verde urbano, aumento della produzione di energia elettrica derivante da fonti rinnovabili – nel 2012 ha segnato un incremento del 3,1% –, calo dell’emissione di gas serra. Di contro, emergono difficoltà nelle bonifiche dei siti contaminati e nella dispersione di acqua potabile dalle reti di distribuzione comunali. Dopo queste prime indicazioni di carattere generale, iniziamo ora con l’analisi degli indicatori scelti all’interno dei diversi domini. Il primo dominio ad essere osservato sarà quello dell’“Istruzione e formazione”, considerando l’indicatore: Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione3. L’aumento di persone che abbandona anticipatamente il sistema formativo, oltre ad essere uno dei target della strategia Europa 2020, si ripercuote negativamente sia sul livello generale delle competenze della popolazione (capitale umano), sia sull’aumento dell’esclusione sociale. Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione: percentuale di persone di 18-24 anni che hanno conseguito solo la licenza media e non sono inseriti in un programma di formazione sul totale delle persone di 18-24 anni.

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Come anticipato, relativamente al quadro occupazionale, la crisi economica mostra i suoi effetti attraverso la riduzione del benessere (Figura 2), di contro rimane invariata la soddisfazione per il lavoro svolto.

Questo indicatore, per gli anni disponibili, registra una continua diminuzione con un conseguente aumento del benessere (Figura 1). Nel 2013, infatti, la media italiana di uscita dal sistema formativo è stata pari al 17% contro il 17,6% dell’anno precedente. Il Veneto, con il 10,3% risulta la regione più virtuosa seguita da Trento (11%) e a pari merito dall’Abruzzo e dal Friuli Venezia Giulia (11,4%). Le regioni che presentano valori più elevati sono la Sicilia (25,8%), la Sardegna (24,7%) e la Campania (22,2%). L’analisi delle macro aree mostra le regioni del Nord (14,3%) e del Centro (13,7%) attestarsi intorno ad un tasso di abbandono mediamente del 14%; mentre un dato preoccupante, 21,4%, è quello delle regioni del Mezzogiorno. Bassi livelli di istruzione e assenza di formazione continua, complicano l’ingresso nel mondo del lavoro, già notevolmente segnato dal lungo periodo di crisi. Il dominio: “Lavoro e conciliazione dei tempi di vita” permette di osservare il mercato del lavoro da due punti di vista: quello economico e quello delle condizioni del lavoratore. Alla luce di questa possibilità saranno presi come indicatori di riferimento, su base regionale per l’anno 2013, il Tasso di occupazione 2064 anni4 e la soddisfazione per il lavoro svolto5. Tasso di occupazione 20-64 anni: percentuale di occupati di 20-64 anni sulla popolazione totale di 20-64 anni. 5 Soddisfazione per il lavoro svolto: media della soddisfazione per i seguenti aspetti del lavoro svolto (scala da 0 a 10): guadagno, numero di ore lavorate, tipo di orario, ambiente di lavoro stabilità, distanza casa-lavoro, interesse per il lavoro. In merito alla soddisfazione del lavoro è utile sottolineare che, date le permanenti difficoltà nel valutare la qualità “oggettiva” del lavoro, viene adottata una misura soggettiva: la job satisfaction, come proxy per stimare la complessiva qualità del lavoro, in linea con numerosi recenti studi. 4

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L’analisi territoriale, invece, mostra che per il 2013 la provincia autonoma di Bolzano registra i valori occupazionali più elevati (76,6%) unitamente al più elevato grado di soddisfazione per il lavoro (7,9%). L’Emilia Romagna pur garantendo un’elevata occupazione (70,6%), seconda solo a Bolzano, mostra invece livelli di soddisfazione del lavoro inferiori (7,3%). Di contro, i più bassi livelli occupazionali uniti con le peggiori condizioni lavorative sono presenti in Sicilia (rispettivamente 42,8% e 7%) e in Calabria (42,3% e 6,9%). Coerentemente con il profilo delineato nel campo della formazione, le regioni del Nord presentano un quadro, sia occupazionale sia di soddisfazione lavorativa, superiore alle regioni del Centro e del Sud. A bassi livelli occupazionali e di istruzione, spesso, sono correlate significative difficoltà economiche. Così per l’anno 2012, l’indice di disuguaglianza del reddito disponibile6, è stato utilizzato per fornire un quadro di sintesi per il dominio “Benessere economico”. In linea con quanto già evidenziato, la crisi economica ha contribuito al peggioramento del benessere, facendo aumentare la disuguaglianza in termini reddituali dal 2008 in poi (Figura 3). Indice di disuguaglianza del reddito disponibile: rapporto fra il reddito equivalente totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito.

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hanno un elevato potere di previsione sia per lo stato di salute del soggetto sia per l’ambiente in cui vive e si cura.

La disuguaglianza più elevata si regista in Campania con un indice pari a 7, seguita da Liguria, Basilicata e Sicilia (6,3), rispetto al 5,5 registrato complessivamente in Italia. In Campania, quindi, il 20% delle famiglie più ricche supera di 7 volte il reddito del 20% delle famiglie più povere. Inoltre, bisogna sottolineare la presenza della Liguria tra le regioni con un elevato rapporto P80/P20, considerato che, nel 2011, si era registrato in questa regione un valore pari a 4,6 ben al di sotto della media nazionale (5,5) (Figura 3). In questa prima parte dell’articolo abbiamo concentrato l’attenzione su quei domini, ed i relativi indicatori, legati principalmente alla sfera del benessere economico. Ora, partendo dalla sanità, concentreremo l’attenzione, invece, su sfere riconducibili prevalentemente al benessere dell’individuo. Trovare indicatori sintetici in ambito sanitario potrebbe risultare un compito di non facile soluzione. Per questo analizzeremo gli indicatori: Indice di stato Fisico (Pcs)7 e quello di stato Psicologico (Mcs)8. Pur essendo variabili derivate da risposte soggettive, come mostrato nella letteratura di riferimento, questi indicatori Indice di stato Fisico (Pcs): La sintesi dei punteggi totalizzati da ciascun individuo di 14 anni e più rispondendo alle 12 domande del questionario SF12 (Short Form HealthSurvey) consente di costruire un indice di salute fisica (Physical Component Summary-Pcs). A punteggi molto bassi (circa sotto i 20 punti) corrisponde una condizione di sostanziale limitazione nella cura di sé e nell’attività fisica, sociale e personale, con un giudizio scadente della salute fisica. 8 Indice di stato Psicologico (Mcs): la sintesi dei punteggi totalizzati da ciascun individuo di 14 anni e più rispondendo alle 12 domande del questionario SF12 consente anche di costruire un indice di salute psicologica (Mental Component Summary-Mcs). Un basso indice di stato di salute psicologico evidenzia disagio psicologico, disabilità sociale e personale dovuta a problemi emotivi, precaria o scadente salute psicologica. 7

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Nel 2012 (Figura 4), il Piemonte con 52 fa registrare il valore più elevato nel Pcs, seguito dalla Lombardia (51,9), da Trento e dalla Toscana (51,8). Bolzano con 51,7 pur occupando la quarta posizione presenta, però, il miglior risultato nell’Mcs (51,3). Le regioni del Sud mostrano mediamente valori più bassi nell’Indice di stato fisico, mentre le Marche fanno registrare il più basso livello di stato Psicologico (48,0). Osservando il quadro per macro aree, l’andamento dei due indici descrive condizioni Fisiche e Psicologiche migliori per gli abitanti del Nord, rispettivamente 51,7 e 49,3, rispetto a quelli del Centro (51,3 e 49,0) e del Mezzogiorno (50,5 e 48,6). Lo stato di salute degli individui è influenzato da molteplici fattori, tra cui la possibilità di fruire agevolmente dei servizi offerti. Una misura della difficoltà da parte delle famiglie nel raggiungere determinati servizi essenziali, tra loro eterogenei, sul territorio è fornita dall’indicatore: Indice di accessibilità ad alcuni servizi9 che si inserisce nel dominio “Qualità dei servizi”. Il miglioramento complessivo di questo indicatore non dovrebbe essere comunque legato alla crisi. Come mostrato in figura 5, infatti, a partire da una situazione stazionaria fino al 2008, negli anni successivi si è registrata una Indice di accessibilità ad alcuni servizi: percentuale di famiglie che dichiarano molta difficoltà a raggiungere tre o più servizi essenziali (farmacie, pronto soccorso, ufficio postale, polizia, carabinieri, uffici comunali, asilo nido, scuola materna, scuola elementare, scuola media inferiore, negozi di generi alimentari, mercati, supermercati) sul totale delle famiglie. Media mobile a tre anni.

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diminuzione della difficoltà, e conseguente aumento di benessere, nell’accessibilità ai servizi.

Mediamente in Italia, nel 2012, il 6,7% delle famiglie ha espresso difficoltà nell’accesso ai servizi (Figura 5). I maggiori disagi si sono registrati nelle regioni Puglia e Calabria (11,7%), seguite dalla Sicilia (11,0%). Maggiori facilità di accesso si registrano, invece, a Bolzano (3,6%) e in Valle d’Aosta (2,6%). Come evidenziato dal grafico, la facilità ad accedere ai servizi divide profondamente in due l’Italia; da un lato, nelle regioni del Nord e del Centro le famiglie che dichiarano difficoltà di accesso sono rispettivamente pari al 4,7% e 6%; dall’altro, le famiglie del Sud con la stessa difficoltà sono quasi il doppio (10,0%). All’interno della sfera dei domini legati al benessere dell’individuo, oltre agli indicatori fino ad ora analizzati, ricopre un posto non secondario anche la “Sicurezza” dei luoghi in cui viviamo, qui rappresentati dall’indicatore: Percezione di sicurezza camminando al buio da soli10. L’indicatore prescelto è il più utilizzato quando si vuole descrivere la percezione di insicurezza e il suo impatto sulla qualità della vita, tanto da essere ritenuto dall’OCSE un riferimento cardine. Questo indicatore è correlato ad alcuni tipi di criminalità subita, ad esempio lo scippo, la rapina, l’aggressione e le molestie sessuali, nonché con gli indicatori di degrado sociale e il rischio di criminalità percepito nella zona in cui si vive.

Percezione di sicurezza camminando al buio da soli: percentuale di persone di 14 anni e più che si sentono sicure camminando al buio da sole nella zona in cui vivono sul totale delle persone di 14 anni e più.

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Nel 2013, in Italia, il 55,0% (Figura 6) percepisce di vivere in un ambiente sicuro. Le aree dove gli abitanti si sentono più protetti sono la Valle d’Aosta (79,9%), Bolzano (76,6%) e Trento (75,3%); di contro, sono i residenti della Campania (45,6%), del Lazio (48,7%) e della Lombardia (50,5%) a percepire di vivere maggiore insicurezza. Osservando la figura 6 emerge che, a differenza degli altri domini fino ad ora analizzati, il divario nella percezione della sicurezza tra le macro aree risulta più contenuto, pur rimanendo una differenza tra Nord, Centro e Mezzogiorno. L’analisi dei domini e dei loro indicatori ha visto di volta in volta prevalere alcune regioni rispetto ad altre. Osservando, invece, il livello più aggregato delle macroregioni l’andamento è pressoché unanime: alternanza tra Nord e Centro, mentre le regioni del Mezzogiorno fanno segnare un divario significativo, sia rispetto alle altre due macro aree sia rispetto alla media nazionale. Come più volte sottolineato, sia in questo articolo sia nel commento al primo Rapporto Bes, rimane la necessità di convergere verso la costruzione di un indicatore sintetico, capace di offrire una visione immediata sulla situazione del benessere e sulla sua sostenibilità. In assenza di questa informazione, continuerò ad utilizzare come proxy l’indicatore Soddisfazione per la propria vita”11 presente nel dominio del “Benessere soggettivo”. Questo indicatore è una misura globale che l’individuo dà della propria vita. La soddisfazione deriva dall’aver raggiunto obiettivi prefissati realizzando così proprie aspirazioni. Anche se 11

Soddisfazione per la propria vita: percentuale di persone di 14 anni e più che hanno espresso un punteggio di soddisfazione per la vita tra 8 e 10 sul totale delle persone di 14 anni e più.


nelle statistiche ufficiali l’utilizzo di indicatori self-reported è ancora limitato, la letteratura accademica è sempre più concorde nel confermare la capacità predittiva di questi strumenti. Il quadro che emerge dall’analisi della figura 7, restituisce la giusta sintesi di quanto descritto sino ad ora. Inizialmente è opportuno notare come la crisi economica abbia ridotto la soddisfazione “della propria vita” con una conseguente riduzione del Benessere generale. Osservando con più attenzione i dati della figura 7, osserviamo che nel 2013 il 63,2% degli abitanti di Bolzano, seguito ad una considerevole distanza da quelli della Valle D’Aosta (47%), dichiara di essere soddisfatto della propria vita, rispetto alla media italiana del 35%. Le persone meno soddisfatte risiedono, invece, in Sicilia (28,2%) e Campania (24,3%). Osservando le tre macro aree il 39,5% degli abitanti del Nord ha una vita soddisfacente, rispetto al 34,0% del Centro e al 29,6% del Sud.

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Concludendo, l’analisi del secondo Rapporto Bes da una lato conferma il divario sempre presente tra le tre macro aree italiane, dall’altro evidenzia come l’avvento della crisi abbia inciso su molti degli indicatori utilizzati. Infatti, in molti domini si registra una perdita di benessere con eccezione della “Salute” dove la quasi totalità degli indicatori, per gli anni dal 2008 in poi, presenta un aumento di benessere. Roberto Fantozzi

Dottorando in Economia Politica alla Sapienza, svolge la propria attività presso l’Istat e collabora da tempo con l’Associazione Nuovo Welfare. Le opinioni espresse in questo lavoro appartengono esclusivamente all’autore e non impegnano in alcun modo l’Istituto di appartenenza. *

In agenda

Sono aperte le iscrizione ai Seminari e agli Eventi realizzati dall’Associazione Nuovo Welfare nell’ambito dell’offerta formativa 2014-2015 della Scuola del Sociale della Provincia di Roma. Il primo Seminario lungo (32 ore) in calendario è:

Strategie di facilitazione al cambiamento delle relazioni d’aiuto

(data di scadenza delle iscrizioni 10 ottobre - data di inizio del corso 16 ottobre) Obiettivi: Fornire una panoramica sul metodo del coaching, le sue prerogative, i campi di applicazione, le differenze con le altre discipline nel contesto delle relazioni d’aiuto, nonché le principali tecniche operative. Il Seminario inoltre si propone, attraverso la metodologia esperienziale, di mettere in pratica le tecnicality apprese, al fine rendere il partecipante in grado di agire sulle proprie potenzialità, le proprie motivazioni, conoscere gli ostacoli e i blocchi che impediscono il raggiungimento dei propri obiettivi. Date: 16, 17, 22 e 23 ottobre (dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 17.30) 24 ottobre (dalle 9.30 alle 13.30) Per maggiori informazioni: www.nuovowelfare.it

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Collaboratrici familiari e bandati dall’estero: utilità e doveri Italia, paese del welfare fatto in casa Parlando dell’assistenza familiare sono state utilizzate espressioni molto significative, quali: welfare italiano “fatto in casa; welfare fai da te; lavoratori invisibili; ammortizzatore sociale della terza età, privatizzazione delle politiche sociali per gli anziani”. È indubbia la sua utilità per le famiglie, il risparmio che consente allo Stato, il sostegno alla società in questa fase in cui l’allungamento della speranza di vita e il declino delle nascite hanno alimentato il processo di invecchiamento del paese. Il lavoro in famiglia ha una sua specificità, della quale il legislatore ha tenuto conto sia per renderlo più flessibile (in entrata e in uscita) e meno gravoso a fini assicurativi (con previsione di contributi ridotti), sia nel determinare le coperture previdenziali (inferiori in caso di malattia e di maternità per non aggravare il peso a carico delle famiglie). È indubbio il beneficio per il “sistema paese”, che non sarebbe in grado di farsi carico diversamente di queste esigenze con le sue strutture. Nel 2010 l’organizzazione “Badandum”, che opera a Milano presso il Pio Albergo Trivulzio (www.badandum.it), aveva stimato il costo complessivo delle badanti pari a 9 miliardi di euro per le famiglie italiane, solo 1 miliardo in meno rispetto a quanto speso dallo Stato italiano per l’indennità di accompagnamento (Redattore Sociale, 20.12.2010). Per far fronte a questi impegni diverse Regioni hanno disposto misure a sostegno delle famiglie con una badante. Le famiglie, però, non sempre hanno questa consapevolezza e si comportano di conseguenza. Da una ricerca su 400 collaboratrici domestiche, che la Fondazione Andolfi nel 2004 aveva curato per il CNEL, risultava che solo nel 7,4% dei casi è stata data una risposta negativa alla domanda “Il datore di lavoro non sa nulla di me”. Ricerche più recenti attestano i passi in avanti che sono stati fatti e, pur non essendo ancora la situazione ottimale, il muro di separazione è stato abbattuto e di queste persone inizia ad essere meglio conosciuta la storia personale, familiare e nazionale. Il presente contributo si propone di incrementare il livello conoscitivo di una categoria che ormai fa strutturalmente parte della società italiana. In un’indagine, che i ricercatori di IDOS hanno condotto per Unicredit Foundation

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e ha coinvolto 606 intervistati nel Centro e nel Nord Italia, è risultato che gli assistenti familiari sono persone con una buona formazione, fortemente motivate nel lavoro e molto attaccate alle famiglie, nonostante pesi la frequente lontananza dal proprio nucleo familiare. A colpire maggiormente in questa indagine è l’apprezzamento nutrito nei confronti delle famiglie italiane, nonostante le mansioni svolte siano difficili e possano comportare diversi problemi, da una parte e dall’altra, talvolta eccessivamente enfatizzati nella cronaca (a cura di R. Marinaro e F. Pittau, Indagine sull’assistenza familiare in Italia: il contributo degli immigrati, Milano, UniCredit FoundationAgenzia TU Unicredit, Milano, Aprile 2013). Dal panorama mondiale del lavoro in famiglia a quello italiano Nel mondo, sono oltre 100 milioni le persone (in 9 casi su 10 donne) che lavorano nel settore domestico. L’approvazione di una convenzione internazionale per la loro tutela sul lavoro domestico ha costituito oggetto di discussione da parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) nel mese di giugno 2010, e nel 2013 questa convenzione è entrata in vigore anche in Italia. L’ILO si è proposta l’obiettivo di far godere pienamente a questi lavoratori i diritti fondamentali nel lavoro: la libertà di associazione e l’effettivo riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva; l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio; l’effettiva abolizione del lavoro minorile; l’eliminazione di discriminazioni in ambito di impiego e occupazione, per sesso, etnia e religione. Bisogna tenere presente che in molti paesi questi diritti non vengono rispettati; inoltre, la maggioranza dei lavoratori domestici è oberata di lavoro, sottopagata e senza alcuna forma di protezione sociale, o comunque meno tutelata. Spesso è scarsa la stessa informazione sui diritti normativi e contrattuali, e il loro rispetto: orario, tariffe, modalità dei pagamenti, vitto e sistemazione, ferie e riposo settimanale, tutela in caso di maternità, condizioni di sicurezza. Non sono rari i casi in cui il datore di lavoro trattiene indebitamene i documenti di viaggio e d’identità. In Italia, l’assistenza familiare viene svolta quasi in esclusiva da personale straniero, che,


rispetto a quanto si riscontra mediamente nell’UE, ha proporzionalmente una presenza più che raddoppiata. I nuclei familiari sono andati sempre più trasformandosi e, da una parte, sono venute meno al suo interno le reti di assistenza assicurate dalla famiglia allargata (del resto anche la nuova tipologia abitativa si è rivelata poco adatta a questo scopo) e, dall’altra, tra le donne italiane è prevalso il desiderio di trovare uno sbocco nel mondo del lavoro. Inoltre, in Italia, il ricovero presso appositi istituti per anziani è considerato non confacente all’idea affettiva che si ha della famiglia e alla propensione degli anziani a restare a casa propria (motivo psicologico) e, d’altronde, tali istituti, oltre a non offrire un’adeguata capienza rispetto alle richieste, sono molto costosi, così come lo è il ricorso frequente ad infermieri e assistenti notturni (motivo economico). Al bisogno dell’Italia di inserire le donne nel mercato del lavoro, liberandole in larga misura dagli impegni familiari, è corrisposta la necessità di diversi paesi di collocare la propria manodopera femminile. Vi sono ancora donne italiane in questo settore, in aumento (ma non nella misura talvolta enfatizzata) in questi anni di crisi, per rimediare alla perdita del posto di lavoro o all’insufficienza del proprio reddito (perché titolari di una pensione bassa o perché il reddito da retribuzione del coniuge non è sufficiente). Alcuni precedenti storici della collaborazione familiare Tra i circa 2,5 milioni di immigrati occupati in Italia la categoria più numerosa è quella dei collaboratori familiari, che solitamente si crede svolgano delle mansioni innovative, che invece trovano dei precedenti nelle migrazioni del passato. Ad esempio, nel periodo del grande esodo europeo (tra l’Ottocento e il Novecento), le donne olandesi, francesi e di altri paesi dell’Europa centrale svolgevano il lavoro domiciliare all’estero. Anche dall’Italia un consistente flusso di donne si recava in Egitto per operare come balie presso le famiglie benestanti, con una posizione di prestigio e ottime retribuzioni. Un altro precedente ci porta all’occupazione coloniale dell’Italia in Eritrea, quando si diffuse la pratica dell’istituto del badantato, poi esteso anche alle altre colonie. Come si vede, non è innovativo neppure il termine “badanti”, che si è aggiunto a “collaboratori familiari”, termine utilizzato dal legislatore e dai contratti collettivi. Il badantato comportava una relazione

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temporanea more uxorio, molto diffusa tra gli italiani (e non solo tra i militari), tra l’altro incoraggiata per evitare il contagio delle malattie trasmissibili in occasione dei rapporti sessuali con le prostitute locali. Ferdinando Martini, il primo governatore dell’Etiopia, qualificò questa pratica come un inganno e un sopruso nei confronti delle donne locali, vietata tuttavia solo nel 1937 a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziali. Comunque, il divieto formale ebbe scarsa efficacia nonostante la diffusione nelle colonie delle case di tolleranza, dove prima operarono le prostitute italiane e poi, al fine di evitare l’accreditamento di una immagine negativa della “donna italiana”, furono sostituite dalle marsigliesi. Furono numerosi i figli meticci, il cui riconoscimento da parte del padre venne proibito dalle leggi razziali: i bambini non riconosciuti venivano affidati ai brefotrofi religiosi. Il giornalista Indro Montanelli, recatosi come inviato ad Asmara, raccontò nel 1982 di aver avuto un rapporto di madamato con una ragazza che lo seguiva nei suoi spostamenti. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, in cui andarono intensificandosi le migrazioni interne, divennero numerose le donne che andavano a lavorare come domestiche in città: esse erano in prevalenza nubili, di mezza età, con un basso titolo di studio, preposte al disbrigo delle faccende di casa (l’assistenza agli anziani è invalsa successivamente), in provenienza da piccoli centri e dalle regioni più povere d’Italia. Quindi, specialmente a partire dagli anni Ottanta e nelle città (poi in maniera generalizzata), la situazione è andata modificandosi con l’inserimento delle collaboratrici familiari straniere. I flussi di collaboratrici familiari immigrati Le prime collaboratrici familiari immigrate ad arrivare in Italia sono state le donne etiopi, eritree, somale e capoverdiane, grazie anche alla funzione di mediazione per il collocamento esercitato inizialmente dai missionari e quindi dalle reti familiari e amicali. Negli anni Settanta sono seguite le immigrate filippine e quelle latinoamericane. Queste donne, più che nell’ambito di flussi programmati, sono venute in visita e poi si sono trattenute in attesa di essere recuperate da una delle tante regolarizzazioni che si sono succedute (le prime sono state quelle del 1986, del 1990, del 1995 e del 1998).


I flussi sono diventati molto più consistenti dopo la caduta del muro di Berlino (1989) con lo spostamento delle donne dall’Est Europa (sole, in età adulta, con una buona formazione, con progetti iniziali a breve-medio termine) e man mano si è affermata la consapevolezza di una presenza strutturale, anche se la vicinanza dei paesi non di rado ha favorito esperienze pendolari di assistenza (alternanza di due o più donne per l’assistenza alla stessa persone). Per queste collaboratrici le reti etniche e le catene migratorie hanno costituito la base per la condivisione di informazioni, la facilitazione dell’inserimento lavorativo e la soluzione dei problemi burocratici, linguistici o comunque attinenti al loro inserimento. Attualmente, le collaboratrici immigrate sono poco al di sotto delle 900mila unità (ma secondo diverse stime sarebbero oltre 1,5 milioni), costituite per il 15% da persone italiane, per il 50% da non comunitarie e per il 35% da comunitarie (grosso modo, ogni 10 presenze 55 sono europee, 20 asiatiche, latinoamericane e 10 africane). Gli uomini sono un sesto del totale, più numerosi tra gli immigrati che tra gli italiani. I principali paesi di provenienza delle colf immigrate sono: per l’Europa dell’Est, Romania, Ucraina, Moldova e Polonia; per l’Asia, Filippine e Sri Lanka; per l’America, Perù ed Ecuador; per l’Africa il Marocco. Sono diverse le differenze tra addetti italiani e addetti immigrati, che segnatamente riguardano l’età (mediamente ultraquarantenni ma gli immigrati con 5 anni in meno), le ore di lavoro (circa 20 gli italiani e poco meno di 10 in più gli immigrati), la retribuzione (circa il 20% in più agli italiani). Il gettito contributivo delle collaboratrici familiari straniere è di poco inferiore ai 1.000 euro l’anno. I problemi attuali della categoria Le mansioni delle donne immigrate sono complesse e sono a cavallo tra le semplici funzioni di lavoro domestico, la cura delle persone malate o anziane, la mansione di governante e tuttofare: nello stesso contratto collettivo nazionale si ritrova una certa commistione tra assistenza e ménage della casa. Ad esse vengono affidati i compiti di accudimento della casa (spolverare, lavare per terra, stirare), il baby sitting quando ci sono i bambini, eventualmente la cura del giardino; in altri casi la guida della macchina e l’assistenza delle persone anziane o malate. Il loro apporto, prima maggiormente concentrato nel disbrigo delle faccende domestiche, comporta sempre più, da una par-

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te, le mansioni di cura, d’altra parte, un insieme di pubbliche relazioni (pagamento delle bollette, rapporti con la pubblica amministrazione, con le banche, acquisti). Nella ricerca del 2013, precedentemente citata, di UniCredit Foundation, le donne intervistate si sono dichiarate ben preparate per i problemi di sicurezza alimentare e meno preparate per i contatti con le banche e ciò che riguarda le vendite e le eventuali possibilità di recesso. Sono diversi i fattori che, sulla base delle indagini sul campo, rendono dura la vita di chi lavora presso una famiglia, specialmente quando vi abita senza avere un proprio appartamento: • assunzione di mansioni molteplici ma di per sé meno confacenti a chi ha fruito di una formazione di livello elevato (brain waste); • mancata distinzione tra il tempo di lavoro e quello della privacy e coincidenza tra luogo di vita e di lavoro, con la conseguenza, per chi vivre in coabitazione con la famiglia assistita, di dover passare il tempo libero o curare le relazioni nelle piazze (lavoro totalizzante); • continua disponibilità fisica e psichica e durata dell’orario oltre le previsioni contrattuali senza pagamento delle ore straordinarie (ritmi eccessivi); • retribuzione solitamente inferiore a quella corrisposta alle donne italiane (discriminazione a livello retributivo); • mancanza di un contratto formale e spesso anche del permesso di soggiorno e quindi con minori garanzie di tutela (lavoro sommerso); • impossibilità di vivere con la famiglia rimasta in patria e di curare i propri figli, affidati ad altri parenti, con tendenze degenerative per loro e per i partner (famiglie transnazionali); • esposizione, dopo un certo numero di anni di permanenza in Italia, a disturbi psichi legati all’adattamento ad una nuova famiglia e all’abbandono della propria (famiglie multinazionali e conseguenze psico-sociali); • ridotti spazi disponibili per l’associazionismo, la vita sociale, culturale e religiosa, essendo il tempo utilizzabile limitato al giovedì pomeriggio e alla domenica, giornate di permesso (deprivazione associativa e sociale); Per il futuro sono state avanzate diverse proposte intese a: • favorire l’incontro tra domanda e offerta attraverso idonei sistemi di reclutamento, da


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sottoporre a costanti controlli anche una volta che le persone sono state assunte, con un maggior coinvolgimento dei sindacati; definire meglio la figura professionale della badante e delle sue mansioni, non essendo sufficiente quanto è scritto nel contratto dei lavoratori del commercio e delle colf; incrementare la formazione professionale (inclusa quella sanitaria), linguistica e culturale, l’informazione legislativa e contrattuale;

• •

rafforzare le agevolazioni contributive, specialmente per le famiglie più bisognose; pervenire all’approvazione di una legge nazionale sulla non autosufficienza includendovi anche diversi aspetti relativi al badantato. Franco Pittau*

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Centro Studi e Ricerche IDOS.

Cineforum a cura di

L'angelo ubriaco

Matteo Domenico Recine

Yoidore tenshi, cioè L’angelo ubriaco, è un film che mescola atmosfere noir e neorealiste, per creare una convincente riflessione storico-sociale sul Giappone del secondo dopoguerra. Le vicende narrate riguardano essenzialmente le dinamiche e il confronto tra il dottor Sanada, medico dedito all’alcolismo (è lui, l’angelo ubriaco del titolo) e un giovane, aspro e ambizioso esponente della Yakuza, chiamato Matsunaga. A causa delle macerie, spirituali e fisiche, lasciate dalla guerra, a Tokyo è in corso un’epidemia di tubercolosi. Il dottor Sanada cerca in tutti i modi di convincere Matsunaga ad affrontare seriamente la malattia e farsi curare. Il giovane, vittima della mentalità del clan, e quindi per non perdere la posizione di rilievo conquistata con ambizione e abilità, rifiuta ostinatamente di ammettere di aver bisogno di aiuto, aggravando nel tempo le proprie condizioni. Nel frattempo, esce dal carcere Okada, un gangster più anziano di Matsunaga, al quale quest’ultimo ha sottratto la sfera d’influenza nel quartiere. Okada, in realtà, è motivo di timore anche per Sanada: Miyo, la sua infermiera, è l’ex donna di Okada, maltrattata e poi, aiutata dal medico, fuggita dal gangster. Matsunaga, a causa del peggioramento delle proprie condizioni di salute, decide alla fine di affidarsi a Sanada, ma non riesce a seguire la cura fino in fondo, perché l’ingombrante Okada, intenzionato a riprendersi la propria sfera di potere, lo costringe a stare all’erta. In tal modo, le sue condizioni si aggravano e lo rendono più fragile, portandolo a perdere i favori del capoclan. Furioso, decide di affrontare all’arma bianca Okada. Grazie a una regia suggestiva, in grado di tratteggiare con pochi accenni tutto il dramma derivante dalla sconfitta del Giappone, dalla conseguente occupazione statunitense, dall’evidente degrado morale che deriva dalla cristallizzazione sociale, in bilico tra Medio Evo e contemporaneità, Kurosawa confeziona uno splendido film. In particolare, è proprio questo confronto tra la modernità (rappresentata, con le proprie ambiguità, da Sanada) e la mentalità medievale che struttura la Yakuza (e che costringe Matsunaga alla propria stessa distruzione) a costituire lo spunto di riflessione più interessante. Tra gioco d’azzardo, prostituzione ed estorsioni, il residuo di antica società feudale, basata su regole e valori superati, inefficienti e pericolosi, rallenta e ostacola il passaggio verso la modernità e la rinascita del Paese. Il travaglio del dottore, sostanzialmente isolato, nell’affrontare il male che lo circonda, in maniera autodistruttiva tramite l’alcolismo, è restituito allo spettatore da una grande interpretazione di Takashi Shimura, perfetto, perché in grado di trasmettere l’anima del proprio personaggio, allo stesso tempo forte e debole, senza che ciò manifesti incoerenza. Toshiro Mifune, debuttante all’epoca del film, è gigantesco nell’esprimere tutto lo spirito dilaniato e ambiguo di Matsunaga. Un film di Akira Kurosawa. Con Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Reisaburo Yamamoto, Chieko Nakakita Titolo originale Yoidore tenshi. Drammatico, b/n durata 98 min. - Giappone 1948.

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Hanno collaborato a questo numero Roberto Fantozzi, Franco Pittau,

Matteo Domenico Recine Foto

Marco Biondi Redattore

Zaira Bassetti

Impaginazione Zaira Bassetti Redazione

Piazza Campitelli, 2 - Roma Potete inviarci le vostre osservazioni,

le critiche e i suggerimenti, ma anche gli indirizzi e i recapiti

ai quali volete ricevere la nostra webzine alla nostra e-mail: info@nuovowelfare.it

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