roma Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini
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Viaggio a Bandiagara Sulle tracce della Missione Desplagnes 1904-1905 La prima esplorazione del Paese Dogon Kk Kk Illustrato da 397 riproduzioni fotografiche a colori e in bianco e nero e corredato da 10 carte geografiche
Ferdinando Fagnola
Viaggio a Bandiagara
Ferdinando Fagnola
museo nazionale preistorico etnografico
48,00 €
www.officinalibraria.com
milano officina libraria via Romussi, 4 s 2015
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uesto libro racconta la storia di due viaggi nel Paese Dogon: quello di Louis Desplagnes, luogotenente francese del II Reggimento Senegalesi, un viaggio di esplorazione e rilevamento topografico denominato Missione Desplagnes compiuto tra il 22 dicembre 1904 e il 19 luglio 1905 nell’allora Sudan francese, l’attuale Mali, e il mio, alla ricerca delle sue tracce, durante i miei soggiorni invernali, tra il 1984 e il 2014.
La missione era durata 210 giorni: Desplagnes e i suoi avevano percorso circa 2800 chilometri a cavallo, a piedi e in piroga. Partiti da Timbouctou, dopo l’esplorazione del delta interno del Niger, avevano superato il Gourma, aggirato il massiccio Dyunde Gandomia, sfiorato i monti di Hombori, attraversato l’altopiano fino a Bandiagara; poi avevano puntato a nord, visitato la «Boucle du Niger» fino al lago Faguibine. Erano infine tornati alla Falesia di Bandiagara per completare l’esplorazione dei territori meridionali. Desplagnes era stato il primo occidentale a esplorare in modo completo il Paese Dogon, dedicandovi 129 giorni; aveva eseguito il primo rilevamento topografico della falesia, dell’altopiano di Bandiagara e prodotto un impressionante corpus di immagini fotografiche nel quale comparivano per la prima volta i tógu-nà, le gínna ma anche danze, maschere, oggetti della cultura materiale, scene di caccia, di vita e innumerevoli vedute paesaggistiche. Su due quaderni, il Carnet de route e il Cahier de notes, aveva registrato minuziosamente i nomi dei villaggi, le condizioni meteorologiche, le caratteristiche ambientali, la gente incontrata, la storia dei luoghi, accompagnando lo scritto con schizzi, spesso bellissimi. Tutto il lavoro sul campo era confluito in un libro monumentale intitolato Le Plateau Central Nigérien, uscito a Parigi nel 1907, due anni dopo il rientro della missione. La mia frequentazione dei territori rivieraschi al sistema fluviale Bani-Niger, in Mali, della Falesia di Bandiagara e della sottostante pianura di Seno risale al gennaio del 1978. Era il mio interesse per le architetture in terra, che in quel paese raggiungono i livelli di qualità più alti, a chiamarmi in quella regione dell’Africa. Già prima del 1978 conoscevo l’opera di Desplagnes. Quel libro sarebbe rimasto per me unicamente un riferimento storico se un evento, nell’inverno del 1984, non lo avesse improvvisamente trasformato nel punto centrale del mio rapporto con la cultura e il popolo dogon, una specie di luogo di ripartenza, dal quale tutto sarebbe ricominciato. Il 23 novembre del 1984 avevo infatti acquistato da Robert Duperrier, a Parigi, una scultura in legno colorata di ocra rossa che rappresentava un caimano «al galoppo volante» con un personaggio mitrato accovacciato sul dorso; la scultura proveniva dalla Falesia di Bandiagara, era un oggetto antico e somigliava in modo impressionante a un disegno pubblicato nel Plateau Central Nigérien di Desplagnes. Quella scultura, probabilmente la stessa disegnata da Desplagnes ma trovata casualmente nella galleria di un antiquario di Parigi, indicava che altri testimoni del suo viaggio potevano essere sopravvissuti, a maggior ragione nei luoghi dove lui li aveva visti, disegnati e fotografati cento anni prima. I villaggi e le architetture soprattutto, dopo abbandoni, crolli e ricostruzioni, potevano essere rivisitati e confrontati con le sue immagini fotografiche e le sue annotazioni, mostrando quanto l’uomo e il tempo avevano lavorato su di essi. Fu così che cominciai il mio viaggio sulle tracce di Louis Desplagnes. E fu così che per più di trent’anni mi trovai ad attraversare la vita della falesia vedendo i bambini diventare adulti e tanti amici, allora ragazzi, diventare vecchi e scomparire uno ad uno.
a Missiri Dolo
museo nazionale preistorico etnografico
Progetto grafico e impaginazione Paola Gallerani Redazione Collettivo librario Fotolito bianco e nero Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio (Milano) Fotolito colore Equitegrafica, Torino Stampa Monotipia Cremonese, Cremona
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. isbn: 978-88-97737-58-2 © Officina Libraria, Milano, 2015 www.officinalibraria.com Printed in Italy
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Ferdinando Fagnola
Viaggio a Bandiagara Sulle tracce della Missione Desplagnes 1904-1905 La prima esplorazione del Paese Dogon Kk Kk Illustrato da 397 riproduzioni fotografiche a colori e in bianco e nero e corredato da 10 carte geografiche
milano officina libraria via Romussi, 4 s 2015
«Ogni anno mandiamo le nostre navi, rischiando vite e spendendo denaro, fino alle coste dell’Africa per chiedere: “Chi siete, quali sono le vostre leggi, quale lingua parlate?” Loro non hanno mai mandato navi per chiedercelo.»
Erodoto di Alicarnasso, Le Storie, 440-429 a.C.
I
Dogon sono tra le popolazioni più famose dell’Africa; si tratta di un fatto sorprendente poiché sono divenuti celebri in Occidente solo molto tardi. Il primo europeo a visitare una piccola parte del territorio dogon fu il linguista tedesco Gottlob Adolf Krause1 (1850-1938). Nel 1886 iniziò, da solo, un lungo viaggio da Accra a Douentza, poi a Bandiagara,2 dove non riuscì a ottenere da Tidjani I, il sovrano a quell’epoca, il permesso di continuare il viaggio fino a Timbouctou. Deluso, dovette ritornare ad Accra. Il 29 aprile 1893 i Francesi occuparono Bandiagara e, dieci anni più tardi, l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres di Parigi incaricò il luogotenente Louis Desplagnes (1874-1914) di effettuare una missione archeologica ed etnografica nella regione appena conquistata. I risultati di questa missione, svoltasi tra il 1903 e il 1905, furono pubblicati nel 1907, nel monumentale libro che Desplagnes intitolò Le Plateau Central Nigérien,3 una miniera di informazioni sul Paese Dogon agli inizi del XX secolo, arricchito da 236 immagini fotografiche. Siamo grati a Ferdinando Fagnola che, per merito della sua determinazione e del suo rigore, è riuscito ad approfondire e riproporre l’opera di Desplagnes. Egli ha saputo risvegliare dall’oblio il Carnet de route e il Cahier de notes, conservati dalla Société des Africanistes di Parigi, e ha «scoperto» presso gli eredi di Desplagnes a Brangues, vicino a Grenoble, un fondo costituito da centinaia di negativi e fotografie inedite. Dal 1984 in poi Ferdinando Fagnola ha seguito scrupolosamente le tracce di Desplagnes nel Paese Dogon, fotografando gli stessi luoghi da lui visitati e fotografati, restituendo così il quadro dei cambiamenti che il territorio ha subito nel corso di più di un secolo. Le centinaia di pubblicazioni sui Dogon prodotte dopo la Missione DakarDjibouti (1931-1933) di Marcel Griaule e dei suoi collaboratori hanno offuscato l’importanza di Desplagnes, talvolta considerato un «dilettante» e raramente citato. Fortunatamente esistono eccezioni: la pubblicazione postuma delle note sui suoi scavi archeologici al tumulo di El Oualedji, curata da Raymond Mauny; la pubblicazione della sua collezione, all’epoca conservata al Musée de l’Homme, a cura di Annie M. D. Lebeuf e Viviana Paques;4 e l’elenco dei documenti conservati presso la Société des Africanistes, a cura di Otto Gollnhofer e di Roger Sillans.5 È vero che nel suo libro, per esempio, Desplagnes non parla di Arou, accenna solo sommariamente di Yougou, e non dice quasi nulla della statuaria dogon e dell’importanza delle maschere, temi meglio conosciuti oggi, dopo oltre un secolo di intense ricerche, ma bisogna tener conto del livello di conoscenze al momento della missione, del fatto che lui fu il primo esploratore e che comunque il suo libro contiene molte informazioni valide ancora oggi, fatto che renderebbe indispensabile una riedizione del Plateau Central Nigérien, libro oggi praticamente introvabile.6 Nei necrologi per Desplagnes, deceduto nel massacro della Grande Guerra all’età di quarantatré anni, René Verneau lo indicò come uno tra i più eruditi e simpatici esploratori dell’Africa occidentale. Ringraziamo Ferdinando Fagnola per l’impegno dedicato a rendere la Missione Desplagnes più accessibile a tutti noi e specialmente ai Dogon che troveranno nelle foto di Desplagnes le più antiche e tangibili testimonianze del loro patrimonio conosciuto in tutto il mondo. Rogier Bedaux Professore onorario all’università, già conservatore al Volkenkunde Museum di Leida
L
’edizione italiana, riveduta e ampliata, del libro di Ferdinando Fagnola Voyage à Bandiagara. Sur le traces de la mission Desplagnes 1904-1905. La première exploration du Pays Dogon, pubblicato in francese nel 2009, viene a colmare una lacuna nella bibliografia sui Dogon accessibile nella nostra lingua e consente anche ai non specialisti del settore di conoscere questa cultura, vista attraverso la sua prima esplorazione, svolta in un periodo che precede di un ventennio gli studi sui Dogon di Marcel Griaule e dei suoi colleghi e allievi. Il luogotenente Louis Desplagnes, incaricato di effettuare uno studio archeologico ed etnografico nella regione del delta interno del Niger e della Falesia di Bandiagara, territori da poco colonizzati, fu il primo europeo a visitare in modo sistematico questi luoghi tra il 1904 e il 1905: un viaggio di quasi 3000 km che Ferdinando Fagnola ha ripercorso tra il 1984 e il 2014, utilizzando come «bussola» il Carnet de route e il Cahier des notes, i diari di viaggio di Desplagnes. Cento anni dopo, con precisione certosina, Fagnola ha rivisitato l’intera area dogon restituendo l’immagine di una cultura in movimento e al tempo stesso ancora strettamente legata al registro dei valori tradizionali, fulcro delle comunità dogon. Architetture, maschere, rituali, luoghi mitici nella storia dell’etnologia occidentale rivivono in questo volume con la potenza della memoria e l’emozione del presente grazie anche a un denso corpus fotografico che mette a fronte realtà di ieri e di oggi. Lo straordinario lavoro di Ferdinando Fagnola non è un viaggio à la recherche du temps perdu, la riscoperta di un’esplorazione e di un viaggiatore dimenticati, ma è piuttosto l’omaggio a una cultura che nel tempo non ha perso il suo smalto e il suo potere di fascinazione. Il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini ha il privilegio di essere stato chiamato a sostenere quest’opera nella sua edizione italiana, uno studio di grande rilievo non solo per lo straordinario recupero di dati storici ed etnografici indispensabili al perfezionamento di una storia della conoscenza dell’Africa, ma anche per il prezioso apporto scientifico che completa lo spartito degli studi sui Dogon. Non a caso, Francine N’Diaye, storica curatrice delle collezioni africane del Musée de l’Homme, commentando il progetto di Ferdinando Fagnola aveva affermato: «è l’unico libro sui Dogon che mancava», dando appropriato risalto a quanto quest’opera sia di fatto rilevante nel quadro degli studi di africanistica. Egidio Cossa Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini
ringraziamenti
Ringrazio Hélène Leloup, senza la quale questa storia non sarebbe mai cominciata. Ringrazio il popolo dogon che mi ha accolto trentasei anni fa, in particolare Missiri Dolo di Ogol Lêye, che ci ha recentemente lasciati, e Amadaga Dolo, guaritore tradizionale di Ogol Dâ, Aboubacar e Sekou Ogobara Dolo «maestro delle maschere», il «Vecchio Radio» e tutti gli amici di Sanga. Questo libro non esisterebbe senza la generosità degli eredi di Louis Desplagnes, Regis Neyret, Michèle Neyret, Nicole Neyret-Dumulin, Jèrôme Dumulin, e Guillaume, loro figlio, che si è occupato personalmente del materiale fotografico inedito, e senza Michel Côté, direttore del Musée des Confluences di Lione, che ha creduto nel progetto e ha sostenuto la pubblicazione dell’edizione in lingua francese. Ringrazio Francine N’Diaye, curatrice delle collezioni africane del Musée de l’Homme di Parigi, che è riuscita a rintracciare gli eredi di Desplagnes a Grenoble e ha favorito i miei primi incontri con la Société des Africanistes. Essenziale è stato il contributo di Jean Louis Boppe, presidente della Société des Africanistes, il quale ha permesso, per la prima volta, che sia i quaderni che gli altri documenti inediti della Missione Desplagnes fossero pubblicati. Un grato ricordo a Geneviève Calame-Griaule, etnolinguista figlia di Marcel Griaule, direttrice onoraria del CNRS, che ha personalmente contribuito all’edizione francese di questo libro analizzando il problema delle citazioni di lingua dogon nell’opera di Desplagnes trattato nel capitolo vi. I miei ringraziamenti a Jean Louis Paudrat, storico dell’arte, professore onorario all’Université de Paris I, e a Rogier Bedeaux, etnoarcheologo, già conservatore al Museum Volkenkunde di Leida, che hanno pazientemente letto il manoscritto, ad Alisa La Gamma, curatrice delle collezioni africane del Metropolitan Museum of Arts di New York, che mi ha permesso di accedere alle riserve del museo, a Youssouf Tata Cissé, professore di letteratura orale del Mali alla
Sorbona, che mi ha pazientemente assistito nei riferimenti alla cultura tradizionale soninké e dogon, a Reginald Groux, per il suo contributo su Lester Wundermann, a Chantal Dandrieu e a Fabrizio Giovagnoni per i documenti fotografici prestati. Grazie a Enrica Pagella, storica dell’arte, direttrice del Museo Civico di Palazzo Madama a Torino, e Marco Aime, antropologo, professore all’Università di Genova, per i loro utili consigli, a Marie Dominique Mouton della Bibliothèque Éric-de-Dampierre – laboratoire d’ethnologie et sociologie comparative dell’Université de Paris Ouest a Nanterre, alla signora Ortuno, direttrice della Bibliothèque Municipale di Nizza, alla dottoressa Lezza della Biblioteca Nazionale di Torino, a Loredana Torrelli, che ha curato la trascrizione del testo, ad Antonello Favaretto che si è occupato delle illustrazioni, a Pierrette Crouzet per la redazione francese, agli editori Paola Gallerani e Marco Jellinek che hanno realizzato la pubblicazione del libro, a Serena Solla e a Marleen Heyligen che mi ha assistito nei contatti con il Museum Volkenkunde di Leida. Un affettuoso ricordo per Denise Naman, che mi ha spesso ospitato durante i soggiorni a Bamako; un ringraziamento speciale al grande Adolfo, inseparabile compagno di viaggio, a Francesco e Leonardo, e a tutti gli amici che mi hanno seguito nel Paese Dogon e, senza saperlo, hanno contribuito alla creazione di questo libro. Un ricordo infine dedicato a Charles Ratton, Jean Laude, Germaine Dieterlen, che più di una volta mi hanno indicato la strada giusta, a Jean Rouche, che mi chiamava «il Piemontese» e a Herman Haan. Un affettuoso pensiero a Maria Teresa.
s
Un ringraziamento particolare a Egidio Cossa, curatore delle collezioni africane del Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma, che ha patrocinato l’edizione italiana del libro.
Sommario
11
Premessa
15 17 25 27
PARTE PRIMA: LA STORIA Introduzione: il «caimano volante» di Endé capitolo i Louis Deplagnes: la vita e le missioni capitolo ii La prima parte della missione (novembre 1903 – novembre 1904): le regioni lacustri, lo scavo del tumulo di El Oualedji capitolo iii La seconda parte della missione (dicembre 1904 – luglio 1905): il viaggio a Bandiagara nel Paese Dogon capitolo iv La Missione Desplagnes (1903-1905) e la Missione Dakar-Djibouti (1931-1933) capitolo v Documenti autografi, fotografie, Le Plateau Central Nigérien capitolo vi Luci e ombre
38 46 57 68 83 85 93 107 117 127 161 179 203 215 229
PARTE SECONDA: IL VIAGGIO capitolo vii Da Timbouctou a Débéré II capitolo viii Da Débéré II a Azakarbor capitolo ix Da Azakarbor a Bandiagara I capitolo x Da Bandiagara I a Mopti II capitolo xi Da Mopti II a Kani Kombolé capitolo xii Da Kani Kombolé a Endé capitolo xiii Da Endé a Ibi capitolo xiv Da Ibi a Yendoumman capitolo xv Da Yendoumman a Sanga capitolo xvi Da Dyamini Nà – Sanga a Koura
233 235 242 258 268 275 279 286 290 297 300
PARTE TERZA: I DOGON, STORIA E STORIE capitolo xvii L’eredità culturale di Louis Deplagnes capitolo xviii Popoli e migrazioni capitolo xix Dell’Armonia capitolo xx Arti falesiane capitolo xxi Il santuario di Arou capitolo xxii Tidjani, Aguibou, Alfa Maki Tall e il palazzo di Bandiagara capitolo xxiii Yougou: molti santuari, poca acqua capitolo xxiv Il pittore di Yendoumman – scenografie dogon capitolo xxv Il griot di Boundou Samba e la storia di Kani Bonzon capitolo xxvi I rapiti di Sanga
303 317 319
Note Abbreviazioni Bibliografia
Paese Dogon
premessa
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uesto libro racconta due viaggi nel Paese Dogon: quello di Louis Desplagnes, luogotenente francese del II Reggimento Senegalesi, un viaggio di esplorazione e rilevamento topografico denominato Missione Desplagnes compiuto tra il 22 dicembre 1904 e il 19 luglio 1905 nell’allora Sudan francese, l’attuale Mali, e il mio, alla ricerca delle sue tracce, durante i miei soggiorni invernali, tra il 1984 e il 2014. La missione era durata 210 giorni: Desplagnes e i suoi avevano percorso circa 2800 chilometri a cavallo, a piedi e in piroga. Partiti da Timbouctou, dopo l’esplorazione del delta interno del Niger, avevano superato il Gourma, aggirato il massiccio Dyunde Gandomia, sfiorato i monti di Hombori, attraversato l’altopiano fino a Bandiagara; poi avevano puntato a nord, visitato la «Boucle du Niger» fino al lago Faguibine. Erano infine tornati alla Falesia di Bandiagara per completare l’esplorazione dei territori meridionali. Desplagnes era stato il primo occidentale a esplorare in modo completo il Paese Dogon, dedicandovi 129 giorni; aveva eseguito il primo rilevamento topografico della falesia, dell’altopiano di Bandiagara e prodotto un impressionante corpus di immagini fotografiche nel quale comparivano per la prima volta i tógu-nà,7 le gínna8 ma anche danze, maschere, oggetti della cultura materiale, scene di caccia, di vita e innumerevoli vedute paesaggistiche. Su due quaderni, il Carnet de route e il Cahier de notes, aveva registrato minuziosamente i nomi dei villaggi, le condizioni meteorologiche, le caratteristiche ambientali, la gente incontrata, la storia dei luoghi, accompagnando lo scritto con schizzi, spesso bellissimi. Tutto il lavoro sul campo era confluito in un libro monumentale intitolato Le Plateau Central Nigérien, uscito a Parigi nel 1907, due anni dopo il rientro della missione. La mia frequentazione dei territori rivieraschi al sistema fluviale Bani-Niger, in Mali, della Falesia di Bandiagara e della sottostante pianura di Seno risale al gen-
naio del 1978. Era il mio interesse per le architetture in terra, che in quel paese raggiungono i livelli di qualità più alti, a chiamarmi in quella regione dell’Africa. Già prima del 1978 conoscevo l’opera di Desplagnes e possedevo un’edizione completa del Plateau Central Nigérien ricavata dall’assemblaggio di 507 fogli (tante sono le pagine del libro) fotocopiati dall’originale in diverse occasioni. Quel libro sarebbe rimasto per me unicamente un riferimento storico se un evento, nell’inverno del 1984, non lo avesse improvvisamente trasformato nel punto centrale del mio rapporto con la cultura e il popolo dogon, una specie di luogo di ripartenza, dal quale tutto sarebbe ricominciato. Il 23 novembre del 1984 avevo infatti acquistato da Robert Duperrier, a Parigi, una scultura in legno colorata di ocra rossa che rappresentava un caimano «al galoppo volante» con un personaggio mitrato accovacciato sul dorso; la scultura proveniva dalla Falesia di Bandiagara, era un oggetto antico e somigliava in modo impressionante a un disegno pubblicato nel Plateau Central Nigérien di Desplagnes. Quella scultura, probabilmente la stessa disegnata da Desplagnes ma trovata casualmente nella galleria di un antiquario di Parigi, indicava che altri testimoni del suo viaggio potevano essere sopravvissuti, a maggior ragione nei luoghi dove lui li aveva visti, disegnati e fotografati cento anni prima. I villaggi e le architetture soprattutto, dopo abbandoni, crolli e ricostruzioni, potevano essere rivisitati e confrontati con le sue immagini fotografiche e le sue annotazioni, mostrando quanto l’uomo e il tempo avevano lavorato su di essi. Fu così che cominciai il mio viaggio sulle tracce di Louis Desplagnes. E fu così che per più di trent’anni mi trovai ad attraversare la vita della falesia vedendo i bambini diventare adulti e tanti amici, allora ragazzi, diventare vecchi e scomparire uno ad uno. La necessità di capire mi portò ad attraversare la storia, la religione e l’arte di questo popolo meraviglioso 11
al quale la letteratura, non solo etnologica, ha dedicato opere più che a qualsiasi altro popolo dell’Africa.
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Poiché nel Plateau Central Nigérien non vi era alcuna indicazione sul percorso seguito dalla missione, inizialmente elaborai un tracciato approssimativo sulla base dei toponimi citati nelle didascalie delle foto pubblicate; erano nomi di montagne e di villaggi riportati anche sulla carta 1/1.000.000 da lui redatta e allegata al libro. Questa ricostruzione, insieme a una buona conoscenza del territorio che all’epoca già possedevo, mi guidò per i primi diciotto anni, fino al 2002. Poi le cose migliorarono poiché due eventi mi portarono alla conoscenza completa della missione. Nel 2002 Francine N’Diaye e Geneviève CalameGriaule mi introdussero nella Société des Africanistes, che all’epoca aveva sede nel Musée de l’Homme di Parigi, dove ebbi accesso al Carnet de route, al Cahier de notes – attualmente conservati presso la Bibliothèque Éric-de-Dampierre dell’Université di Paris Ouest a Nanterre – ai rilievi topografici e a tutti i manoscritti di Louis Desplagnes. La conoscenza di questi documenti costituì una svolta per le mie ricerche e mi consentì di tracciare l’esatto percorso del Voyage à Bandiagara: così Desplagnes aveva intitolato il suo Carnet de route, il diario di viaggio nel Paese Dogon. Altro momento fondamentale del mio avvicinamento a Desplagnes fu il 2004, quando Francine N’diaye, che si era offerta di cercare gli eredi di Louis Desplagnes, con l’aiuto del colonnello René Dutel, li rintracciò a Lione e a Grenoble: Regis Neyret e la sua famiglia, Nicole Neyret-Dumulin, Jèrôme Dumulin e loro figlio Guillaume. Nell’autunno di quell’anno i Dumulin mi invitarono nella loro casa di campagna a Brangues, nell’Isère, dove, in una scatola di cartone, conservavano le carte del prozio. Aperta la scatola apparve l’archivio fotografico completo della missione: dalle fotografie irrompeva un mondo a me ben noto, le valli, i picchi, i villaggi della falesia e dell’altopiano di Bandiagara, ma anche una folla di personaggi sconosciuti. Insieme a 438 negativi, in gran parte inediti, e a molte fotografie conservate in tre album con annotazioni autografe di Desplagnes, vi erano le due carte geografiche telate che aveva portato con sé durante il viaggio nel Paese Dogon. Con grande generosità i Neyret-Dumulin misero immediatamente a mia disposizione tutto il materiale che riguardava «l’oncle Louis», come De12 premessa
splagnes stesso aveva scritto in calce alla foto della sua tenda, conservata in uno di quegli album (fig. 1). L’autorizzazione che mi fu concessa il 12 aprile 2005 dal presidente della Société des Africanistes, Jean Louis Boppe, a riprodurre e pubblicare i documenti della Missione Desplagnes, fu condizione determinante per la creazione di questo libro.
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Geneviève Calame-Griaule ha partecipato alla stesura del paragrafo relativo alle citazioni in lingua dogon nell’opera di Desplagnes (capitolo vi); eventuali errori o imprecisioni nella citazione di parole in lingua dogon, esterne a quel paragrafo sono imputabili unicamente a me. Le foto panoramiche di Desplagnes sono state una guida preziosa poiché a volte solo per mezzo di esse è stato possibile identificare il profilo della falesia, immutato e affidabile come un’impronta digitale, e ritrovare l’esatto punto in cui aveva posato il treppiede della sua macchina fotografica, come a Kani Bonzon.9 Spesso, mancando altri riferimenti, è stata la forma dei massi delle slavine, confrontati con quelli presenti nelle foto di Desplagnes, a mettermi sulla buona strada, come a Endé,10 o la configurazione della superficie rocciosa dell’altopiano con le sue cavillature e le sue rugosità a confermare l’identificazione di un luogo, come a Pelou.11 Le ombre prodotte dal sole sono state un buon orologio naturale per comprendere il momento del giorno nel quale una foto era stata scattata, come durante l’incontro con le maschere a Kori-Kori.12 Più di una volta ho attinto alle immagini della Collection générale Fortier scattate dal fotografo François Edmond Fortier subito dopo la Missione Desplagnes.13 Nel calcolo delle distanze coperte dalla missione ho fatto affidamento sul percorso più probabile: molto approssimativo nella fase di avvicinamento da Timbouctou al massiccio Dyunde-Gandomia, perfettamente ricostruibile in tutti i momenti della visita alla falesia sud, indicato dalla fitta sequenza dei villaggi attraversati e registrati da Desplagnes nei suoi quaderni. Per tracciare il percorso numerando la sequenza dei villaggi visitati dalla missione, ho fatto riferimento alla carta in scala 1/1.000.000 redatta da Desplagnes stesso, intitolata Niger Moyen e allegata al Plateau Central Nigérien.
Per semplificare il racconto ho coniato il neologismo «falesiano» a indicare non solo quanto appartiene alla topografia ma anche alla cultura e alla storia dei territori della falesia e della fascia dell’altopiano di Bandiagara adiacente alla scarpata. Malgrado l’impegno speso nel tentativo di identificare i luoghi rappresentati nelle fotografie di Desplagnes, alcuni tra essi sono rimasti privi di un riconoscimento certo; non ho per questo rinunciato pubblicarli specificando: «luogo non identificato»… per ora.
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Due eventi verificatisi nel 2009, dopo l’uscita dell’edizione francese, da tempo esaurita, voglio qui ricordare: il primo riguarda la donazione dell’Archivio fotografico Desplagnes al Musée des Confluences di Lione da parte dei suoi eredi: la generosità delle famiglie Neyret-Dumulin di Lione e Grenoble arrichisce le collezioni del nuovissimo museo di un patrimonio documentaristico eccezionale, sia per la storia delle esplorazioni e della conoscenza dell’Africa, sia per la storia della fotografia.
Questa donazione è il frutto più prezioso e inatteso che il mio lavoro di ricerca poteva produrre, «svelando», dopo un secolo di oblio, la personalità e l’opera di Louis Desplagnes. Il secondo evento è stato la selezione di questo libro nella sua edizione francese per la finale del Prix International du Livre d’Art Tribal, tenutasi a Parigi il primo dicembre 2009, nell’ambito dell’annuale festival Parcours du Monde.
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Le carte geografiche parziali, estratte dalla carta allegata al Plateau Central Nigérien e poste all’inizio di ogni capitolo, consentono di ripercorrere puntualmente l’intero viaggio della Missione Desplagnes attraverso la numerazione dei villaggi da lui visitati. Alcuni luoghi come Tabi, Nokará, Hombori, Songo, Simbi, Kani Bonzon, Endé, Sanga, e altri dalla particolare configurazione orografica, sono segnalati nelle note rosse con l’indicazione del toponimo da inserire in Google Maps e le «istruzioni di viaggio» per dirigere la vista satellitare. L’edizione italiana comporta alcune rettifiche all’edizione francese e integrazioni di testo e immagini.
1. La «capanna dello zio Luigi», didascalia scritta a mano da Louis Desplagnes (inedito). Evidente il riferimento alla Capanna dello zio Tom, il romanzo antischiavista di Harriet Beecher Stowe uscito nel 1852. FD – BHD
premessa 13
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uesto libro racconta la storia di due viaggi nel Paese Dogon: quello di Louis Desplagnes, luogotenente francese del II Reggimento Senegalesi, un viaggio di esplorazione e rilevamento topografico denominato Missione Desplagnes compiuto tra il 22 dicembre 1904 e il 19 luglio 1905 nell’allora Sudan francese, l’attuale Mali, e il mio, alla ricerca delle sue tracce, durante i miei soggiorni invernali, tra il 1984 e il 2014.
La missione era durata 210 giorni: Desplagnes e i suoi avevano percorso circa 2800 chilometri a cavallo, a piedi e in piroga. Partiti da Timbouctou, dopo l’esplorazione del delta interno del Niger, avevano superato il Gourma, aggirato il massiccio Dyunde Gandomia, sfiorato i monti di Hombori, attraversato l’altopiano fino a Bandiagara; poi avevano puntato a nord, visitato la «Boucle du Niger» fino al lago Faguibine. Erano infine tornati alla Falesia di Bandiagara per completare l’esplorazione dei territori meridionali. Desplagnes era stato il primo occidentale a esplorare in modo completo il Paese Dogon, dedicandovi 129 giorni; aveva eseguito il primo rilevamento topografico della falesia, dell’altopiano di Bandiagara e prodotto un impressionante corpus di immagini fotografiche nel quale comparivano per la prima volta i tógu-nà, le gínna ma anche danze, maschere, oggetti della cultura materiale, scene di caccia, di vita e innumerevoli vedute paesaggistiche. Su due quaderni, il Carnet de route e il Cahier de notes, aveva registrato minuziosamente i nomi dei villaggi, le condizioni meteorologiche, le caratteristiche ambientali, la gente incontrata, la storia dei luoghi, accompagnando lo scritto con schizzi, spesso bellissimi. Tutto il lavoro sul campo era confluito in un libro monumentale intitolato Le Plateau Central Nigérien, uscito a Parigi nel 1907, due anni dopo il rientro della missione. La mia frequentazione dei territori rivieraschi al sistema fluviale Bani-Niger, in Mali, della Falesia di Bandiagara e della sottostante pianura di Seno risale al gennaio del 1978. Era il mio interesse per le architetture in terra, che in quel paese raggiungono i livelli di qualità più alti, a chiamarmi in quella regione dell’Africa. Già prima del 1978 conoscevo l’opera di Desplagnes. Quel libro sarebbe rimasto per me unicamente un riferimento storico se un evento, nell’inverno del 1984, non lo avesse improvvisamente trasformato nel punto centrale del mio rapporto con la cultura e il popolo dogon, una specie di luogo di ripartenza, dal quale tutto sarebbe ricominciato. Il 23 novembre del 1984 avevo infatti acquistato da Robert Duperrier, a Parigi, una scultura in legno colorata di ocra rossa che rappresentava un caimano «al galoppo volante» con un personaggio mitrato accovacciato sul dorso; la scultura proveniva dalla Falesia di Bandiagara, era un oggetto antico e somigliava in modo impressionante a un disegno pubblicato nel Plateau Central Nigérien di Desplagnes. Quella scultura, probabilmente la stessa disegnata da Desplagnes ma trovata casualmente nella galleria di un antiquario di Parigi, indicava che altri testimoni del suo viaggio potevano essere sopravvissuti, a maggior ragione nei luoghi dove lui li aveva visti, disegnati e fotografati cento anni prima. I villaggi e le architetture soprattutto, dopo abbandoni, crolli e ricostruzioni, potevano essere rivisitati e confrontati con le sue immagini fotografiche e le sue annotazioni, mostrando quanto l’uomo e il tempo avevano lavorato su di essi. Fu così che cominciai il mio viaggio sulle tracce di Louis Desplagnes. E fu così che per più di trent’anni mi trovai ad attraversare la vita della falesia vedendo i bambini diventare adulti e tanti amici, allora ragazzi, diventare vecchi e scomparire uno ad uno.