Estratto: Bramantino a Milano, Giovanni Agosti

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Bramantino a Milano Giovanni Agosti

Ragioni, politiche, di questa mostra Quando, nel luglio scorso, l’Assessore alla Cultura ci ha usato la grande cortesia d’interpellarci sul tema di una mostra da allestire in questa primavera a Milano, non abbiamo esitato a dichiararci per la soluzione più semplice. Proporre cioè alla lettura del pubblico un brano meno noto, ma ben scelto, della vicenda dell’arte lombarda. Un brano che fosse vigorosamente «regionale» senza essere provinciale; un brano che potesse andare in scena dignitosamente anche in tempi di crisi economica. Non che un poco di risorse in più avrebbe nuociuto alla mostra, anzi: si sarebbe così tentato di convocare a Milano il Filemone e Bauci da Colonia o l’Adorazione dei Magi da Londra, il Cristo lunare da Madrid o il Compianto da Bucarest: tutti dipinti che, per le loro dimensioni, avrebbero potuto – in linea di principio – affrontare lo stress di un viaggio per raggiungere il luogo dove cinquecento anni fa erano stati eseguiti. Ed essere presentati, per la prima volta, accanto ai loro compagni. La scelta era infatti caduta, senza esitazioni di sorta, su Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, genio numero uno dell’arte lombarda del Rinascimento. Un artista che fin qui, nonostante le predilezioni, anche militanti, che molto del migliore Novecento gli ha riservato, non ha ancora goduto il piacere e il vantaggio di un’esposizione monografica a lui interamente dedicata e per di più nella città dove ha lavorato per quasi tutta la sua esistenza. Non che siano mancati in passato i tentativi di mandare in porto un’operazione del genere, auspicata già fin dal 1952 da Roberto Longhi, come a dire dal massimo storico dell’arte del secolo passato, che proprio a Milano, alle mostre di Milano aveva dedicato una parte consistente delle energie civili della sua avanzata maturità. Quando Palazzo Reale era – come scriveva Giovanni Testori – «invidiatissimo, invidiatissimo da ogni angolo del mondo». Eppure, anche in un momento così difficile come quello che stiamo attraversando, è possibile un’esposizione sul Bramantino, che riesca a dare conto – con le sole risorse locali – della statura dell’artista e a farlo annettere, così ci auguriamo, al menu, sempre più ristretto, delle predilezioni diffuse, che rischiano altrimenti di arenarsi tra le scogliere degli impressionisti e il maledettismo del Caravaggio (una nemesi per Longhi che aveva posto, a ragione, queste esperienze figurative tra i vertici dell’arte di tutti i tempi). Infatti gran parte delle opere del Bramantino si conservano a Milano, divise tra istituzioni diverse, che pur le annoverano tra i capolavori delle loro raccolte; per altri artisti una soluzione del genere non sarebbe stata applicabile: difficile che un Raffaello a Milano o un Tiziano a Milano possano dare conto del peso effettivo di quegli autori, dello sviluppo delle loro carriere: in altri casi, e per fortuna, il modello qui sperimentato ci pare replicabile. Infatti il progetto 20

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