Avori

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Museo Nazionale del Bargello

AVORI un’introduzione


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danielle gaborit-chopin


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AVORI ALTO MEDIOEVALI E CAROLINGI

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asterebbe il piccolo gruppo degli avori del Bargello riferibili all’Alto Medioevo e all’epoca carolingia per giustificare la fama dell’intera collezione. Frutto delle vicissitudini del mercato dell’arte e della lungimiranza dei due Carrand, la raccolta riunisce infatti alcune delle opere capitali di questo periodo. Il pannello di cofanetto in osso di balena (cat. iv.1), scoperto «in Alvernia» da Louis Carrand, proviene con ogni probabilità dalla chiesa di Saint-Julien a Brioude; faceva parte del cosiddetto Franks Casket, testimonianza eccezionale dell’arte northumbriana all’inizio dell’VIII secolo, che costituisce oggi uno dei vanti del British Museum, al quale fu donato nel 1867 da sir Augustus Wollaston Franks. L’interpretazione delle immagini e delle iscrizioni runiche visibili sull’insieme dell’opera, fianchi e coperchio, è tuttora oggetto di dotte e contrastanti spiegazioni, ma il pannello più misterioso rimane quello del Bargello. Agli avori carolingi sono dedicati innumerevoli studi, basati ancora oggi sull’insostituibile corpus pubblicato da Adolph Goldschmidt. Un secolo e mezzo circa prima della cosiddetta rinascenza macedone in area bizantina, la ripresa della lavorazione degli avori in Occidente, tra la fine dell’VIII e l’inizio del X secolo, portò ad altissimi risultati in quella che rimane una delle maggiori discipline artistiche del tempo. La preziosità e la rarità della materia – l’avorio di elefante – implicano un legame con i centri del potere e del sapere. Del resto, se l’impiego di osso di grandi

iv.1 Pannello laterale del cofanetto di Brioude («Franks Casket») inv. 25 Carrand, Northumbria, inizi dell’VIII secolo, osso di balena, cm 10,8 × 18,5 × 0,7


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mammiferi è attestato ovunque e in tutte le epoche, quello dell’avorio di elefante ha sofferto periodi di eclissi, da porre in relazione con una certa penuria che colpì l’Europa a partire dall’VIII secolo. Le cause di questo fenomeno sono molteplici e comprendono verosimilmente lo sconvolgimento delle rotte commerciali in seguito all’espansione musulmana nel bacino mediterraneo, poiché l’avorio, ricavato dalle zanne di elefanti indiani o africani, era importato attraverso il Mediterraneo: divenne, infatti, raro tra il VII e il IX secolo. Nei paesi del Nord l’avorio di tricheco è sempre stato ampiamente impiegato, così come l’osso di balena per i pannelli più grandi. I carolingi, dal canto loro, di fronte alle difficoltà di approvvigionamento, non esitarono a riutilizzare il retro delle valve di dittici consolari, segando o levigando fino a farli sparire i margini degli incavi per la cera che caratterizzavano le iv.2 Parte inferiore di una valva di dittico grandi tavole scrittorie (catt. con le pie donne al Sepolcro iv.2, iv.3). Più tardi, sotto il reinv. 35 Carrand, Corte di Carlo Magno (Aquisgrana), inizi del IX secolo, gno di Carlo il Calvo, accanto avorio, cm 16,3 (cm 15 senza la parte restaurata) × 10,8 × 0,6 a rilievi intagliati nell’avorio, troviamo opere, anche di primissimo piano, di ambito reale o imperiale, eseguite ricorrendo all’avorio di tricheco. Sollecitati dall’esigenza dei sovrani di far rivivere a proprio vantaggio i fasti dell’impero romano, gli artisti si ispirarono ai modelli antichi, soprattutto tardoimperiali, alcuni dei quali erano ancora sotto i loro occhi (catt. iv.5, iv.6), adattandoli o trasformandoli. Nella catalogazione proposta da Goldschmidt, gli avori carolingi sono suddivisi in base alle botteghe di provenienza, legate alla corte o alle sue immediate vicinanze; tale ripartizione, estremamente comoda per uno studio sintetico dei vari gruppi, richiede tuttavia di essere rivista alla luce dei vincoli politici e culturali esistenti fra gli alti dignitari laici ed ecclesiastici: i grandi centri di vita religiosa, cattedrali e monasteri, più o meno strettamente dipendenti dal sovrano, furono anch’essi luoghi di produzione


avori alto medioevali e carolingi

iv.3 Valva di dittico con Trionfo di due sovrani o Lotta delle virtù contro i vizi inv. 30 Carrand, Corte di Carlo Magno o di Ludovico il Pio, 800-830 circa, avorio, cm 32,6 × 10,3 × 0,9

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iv.5 Tavoletta da scrittura con la Predizione del rinnegamento di san Pietro inv. 23 Carrand, Metz o corte di Carlo il Calvo, 860-880 circa, avorio, cm 18,8 × 5 × 0,5


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iv.4 Placca di legatura con scene della vita di san Pietro inv. 38 Carrand, «Seconda scuola di Metz», 860-875 circa, avorio, cm 16,3 × 10,5 × 0,4


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iv.7 Placca di legatura con David in trono inv. 33 Carrand, Cerchia di Carlo il Calvo (Reims?), 870-880 circa, avorio, foglia d’oro, cm 10,8 × 8 × 0,9

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artistica, e i loro tesori fonti d’ispirazione. Delle opere presenti al Bargello, due sono riconducibili alla «scuola della corte di Carlo Magno»: la prima è la placca con le Pie donne al Sepolcro (cat. iv.2) – ben rappresentativa dello stile di questo gruppo intorno all’anno 800 – che costituisce la metà inferiore di una valva di un grande dittico (la cui parte superiore, con la Crocifissione, già conservata a Berlino, è oggi perduta). È leggermente più tardo l’avorio con la Lotta delle virtù contro i vizi (cat. iv.3), spesso citato come illustrazione del potere, se si ritiene che in origine facesse parte di un dittico allegorico raffigurante Carlo Magno e i suoi tre figli intenti a calpestare i loro nemici. iv.8 Placca di legatura con la Crocifissione Tra la metà e la fine del IX inv. 32 Carrand, Cerchia di Carlo il Calvo (Reims?), 870-880 circa secolo, la città di Metz conobavorio, foglia d’oro, cm 16,2 × 13,7 × 0,6 be un’importante attività. La personalità degli artisti al servizio del vescovo Drogone († 855), fratellastro dell’imperatore Ludovico il Pio, dominò la «prima scuola di Metz», mentre la «seconda scuola di Metz» fiorì principalmente durante l’episcopato di Advenzio (858-875): l’iconografia della bella placca con le Scene della vita di san Pietro (cat. iv.4) induce a collegarla al suo committente. D’altro canto però le grandi foglie piumate di acanto che compongono la cornice, così come i girali antichizzanti della tavoletta con la Predizione del rinnegamento di san Pietro e quelli del Flabellum di Tournus (catt. iv.5, iv.6), ricordano l’ornato vegetale della Cathedra Petri in Vaticano, che si ritiene eseguita per Carlo il Calvo prima dell’875.7 Se l’incoronazione di Carlo il Calvo a re di Lotaringia nell’869 spiega i legami tra lo stile di Metz e quello di Reims del «gruppo di Liuthard», dal nome del copista del salterio di Carlo il Calvo, la presenza di tali collegamenti rende più complesso il giudizio sulla produzione della seconda metà del IX secolo, dal momento che occorre anche tenere conto della mobilità potenziale degli artisti. Altri due avori del Bargello illustrano questa complessità: le placche con David in trono e la Crocifissione (catt. iv.7, iv.8), probabilmente della stessa mano, presentano infatti tratti che ricordano lo stile di Metz, mentre la vivacità degli atteggiamenti e alcuni elementi iconografici sono riconducibili al «gruppo di Liuthard»; infine, per le loro affinità con opere prodotte nella cerchia dell’arcivescovo Incmaro di Reims († 882), consigliere di Carlo il Calvo, possono essere messe in relazione all’ambito arcivescovile. Fra gli avori carolingi che conservano resti di policromia e intarsi, l’esempio più famoso è quello delle Fatiche di Ercole nella parte inferiore della Cathedra Petri; tuttavia, in virtù della presenza di numerosissime tracce di intarsi a foglia d’oro, anche le due placche


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eburnee del Bargello (catt. iv.7, iv.8) si rivelano di straordinario interesse per la storia della lavorazione dell’avorio in epoca medievale. Da solo il grande Flabellum (cat. iv.6) proveniente dall’abbazia di Tournus in Borgogna sarebbe sufficiente ad assicurare la gloria della sala degli avori. Questo manufatto d’eccezione, che non ha equivalenti, celebrato e ammirato fin dai primi anni del XVIII secolo, associa le arti della miniatura e della calligrafia alla scultura dei rilievi, in un insieme perfettamente coerente e riuscito. Eseguito in un ambiente vicino a Carlo il Calvo come oggetto di uso liturgico, costituisce anche un insostituibile documento storico poiché testimonia la conoscenza della letteratura e dell’arte antica nel IX secolo, nonché la storia di una comunità monastica, cacciata dall’isola di Noirmoutier per sfuggire agli invasori normanni, costretta a un lungo peregrinare e a un nostalgico esilio, come il pastore Melibeo nella scena delle Bucoliche virgiliane scolpita sull’astuccio del ventaglio. iv.6 Flabellum di Tournus inv. 31 Carrand, Corte di Carlo il Calvo, 870 circa (868?), avorio di tricheco, osso, osso tinto in verde scuro, legno (anima dell’astuccio, moderna), stoffa (moderna), pergamena dipinta, con lumeggiature in oro e argento. Totale: cm 78,2 con ventaglio chiuso; cm 101,2 con ventaglio aperto

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