Pubblicità Regresso Una campagna di comunicazione sociale
“col trucco”
Pubblicità regresso è una campagna di comunicazione sociale promossa e coordinata da Aesse, il giornale delle Acli, in collaborazione con Scrittura.org e con Aesse Comunicazione srl.
TESTI Lanfranco Norcini Pala, Simone Sereni (Aesse) Alfonso Cannavacciuolo, Roberta Pennarola (Scrittura.org) PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Stefano Orfei (Aesse Comunicazione srl) STAMPA La Cromografica srl Si ringraziano per la collaborazione i “corsisti” di Scrittura.org Lucia Ritrovato (Aesse) Antonio Rossi (Aesse comunicazione srl) La cartellina completa della campagna è disponibile anche in formato cartaceo. Per richiedere il materiale e per informazioni: Aesse Comunicazione srl Via G. Marcora, 18/20 • 00153 Roma tel. 06.5840534 aessecomunicazione@acli.it www.aessecomunicazione.acli.it
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Pubblicità Regresso Una campagna di comunicazione sociale “col trucco” Sembra vera, ma non lo è. Compare all’improvviso sfogliando la pagina, e l’istinto è andare oltre: ma qualcosa incuriosisce. È Pubblicità regresso, la campagna di comunicazione lanciata da Aesse, il mensile delle Acli, in collaborazione con i copywriter dell’agenzia Scrittura.org e lo staff grafico di Aesse comunicazione. Pubblicità regresso è una raccolta di dieci annunci stampa, pubblicati nel corso del 2008, sulle pagine di Aesse (www.acli.it/aesse). Ogni mese, tra gli articoli del giornale ha fatto capolino un annuncio, la parodia di una pubblicità o di un marchio famosi, per denunciare temi importanti come povertà, crisi economica, denutrizione,
violenza sulle donne, abbandono degli anziani. Gli annunci di Pubblicità regresso sono creati nel rispetto degli elementi classici della pubblicità su stampa: titolo d’impatto, visual, body copy, payoff che accompagna il prodotto. Si tratta di annunci verosimili, che a prima vista possono trarre in inganno proprio per la loro somiglianza con le pubblicità vere. Pubblicità che rispetta le regole, e che rappresenta un ottimo esempio di creatività al servizio della denuncia sociale. Ecco allora una famiglia felice a colazione, con un senzatetto alla loro finestra; le scarpe con i buchi, compagne inseparabili di chi non arriva a fine mese; un anziano nel cassonetto, protagonista di un’improbabile e cinica campagna di rottamazione. Pubblicità regresso si prende gioco dei luoghi comuni e sfrutta i meccanismi della pubblicità: ironia e inventiva, per una comunicazione efficace che si serve degli stereotipi commerciali per incuriosire e divertire, ma soprattutto per far riflettere su temi scottanti e attuali.
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Gli elementi di un annuncio stampa Gli annunci stampa sono le inserzioni pubblicitarie che incontriamo ogni giorno sfogliando giornali e riviste. Un annuncio stampa completo è composto di quattro elementi: headline (il titolo), visual (l’immagine), body copy (testo descrittivo, più lungo) e pay off (la frase che accompagna il logo). Questi quattro elementi non sono sempre presenti in un annuncio. Ci sono annunci senza titolo, annunci senza bodycopy, loghi senza pay off e annunci senza immagine e con solo testo (“copy ad”). Ci sono anche annunci composti solo di immagine e logo, come accade spesso nelle riviste di moda. Un annuncio “da manuale”, però, comprende tutti questi elementi; ciascuno svolge una funzione specifica.
HEADLINE
Headline (il titolo)
Dopo l’immagine, la prima cosa che il lettore guarda è il titolo. Solitamente il titolo, o headline, compare in alto sull’annuncio, ma spesso si trovano annunci con il titolo al centro della pagina, o a destra. Il titolo dell’annuncio pubblicitario ha una funzione simile ai titoli degli articoli giornalistici: informa e attira l’attenzione del lettore. Spesso il titolo è seguito da un sottotitolo, una subheadline, in carattere più piccolo, che aggiunge altre informazioni sul prodotto. L’annuncio raggiunge la sua massima efficacia quando immagine e testo si accordano e il titolo racconta l’altra parte della storia che il lettore ha iniziato guardando l’immagine. In un annuncio che funziona, titolo e immagine vanno d’accordo.
VISUAL
BODYCOPY
Corpo del testo corpo del testo corpo del testo corpo testo corpo del testo corpo del corpo del testo corpo testo corpo del testo corpo del
Visual (l’immagine)
L’immagine dell’annuncio pubblicitario è l’elemento più importante del messaggio e il primo che attira l’attenzione del lettore. Il visual è la parte visiva dell’annuncio: l’immagine principale, quella che di solito compare a tutta pagina, ma anche le immagini secondarie, come foto del prodotto, riquadri più piccoli. Il visual ha il compito di attirare il lettore e di invitarlo alla lettura del testo.
Body copy
La body copy è il testo più lungo che compare nell’annuncio pubblicitario. Questo testo ha una lunghezza variabile: da un paio di righe a una colonna di testo, e la sua funzione principale è quella di offrire dati e informazioni sul prodotto o servizio. Se l’immagine e il titolo hanno il compito di attirare l’attenzione quindi, la body copy presenta le caratteristiche e i vantaggi del prodotto.
Pay off
Il pay off è la frase che accompagna il logo di un’azienda. Quasi sempre si trova in fondo alla pagina a destra, spesso accompagnato dal nome e da una piccola immagine del prodotto (“packshot”). Il pay off è un segno costante della comunicazione aziendale che accompagna il logo aziendale o quello di prodotto, in qualsiasi contesto venga usato.
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LOGO E PAYOFF
Headline
visual
body copy
LOGO e pay off
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Chi è quell’uomo che si affaccia dalla finestra della casa di un’allegra famiglia riunita per una ricca e nutriente colazione? Un invisibile “senza fissa dimora”..
HOMELESS SUPPLICE I “senza fissa dimora” in Italia Secondo la Fiopsd (Federazione italiana organismi persone senza dimora) “è possibile definire una persona ‘senza dimora’ come un soggetto in stato di povertà materiale ed immateriale portatore di un disagio complesso, dinamico e multiforme”. Tale condizione è associata a 4 presupposti: 1. presenza contemporanea di bisogni e problemi diversi; 2. progressività del percorso nel tempo che determina il consolidamento dei fattori di disagio; 3. difficoltà nel trovare accoglienza e risposte appropriate nei servizi istituzionali; 4. difficoltà per la persona a strutturare e mantenere relazioni significative. La condizione dei senza fissa dimora è più visibile nelle aree più povere delle grandi città e in quelle suburbane, anche se i “barboni” spesso coesistono più o meno visibilmente dentro comunità dove i residenti non sono affatto poveri. Un censimento vero e proprio sui senza fissa dimora in Italia non c’è. Mancano dati ufficiali che fotografino il fenomeno, se escludiamo una ricerca della Fondazione Zancan del 2002 che stimava in circa 17 mila le persone in questa situazione. D’altra parte, secondo la Federazione europea delle associazioni nazionali che lavorano con i senza fissa dimora (Feantsa) in Italia sarebbero invece circa 200 mila i senza tetto, dei quali ben 90 mila privi di qualsiasi sistemazione. Tra le cause che portano a finire in strada spesso ci sono lutti improvvisi, perdita del lavoro, reti familiari che hanno ceduto, debolezza umana. C’è anche l’aumento del costo della vita che ha visto crescere il numero delle famiglie italiane povere (ossia in grado di sostenere una spesa massima di 719 euro mensili) passate, secondo dati Istat 2008, dall’10,6% all’11,7%. Per chi vive in queste condizioni, basta poco, un evento a volte anche banale, per ritrovarsi a non poter più pagare un affitto.
pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 1/2, gennaio/febbraio 2008, p. 35
Le città sono invisibili, non perché non ci siano, ma perché nascondono sempre un qualcosa che ai nostri occhi sfugge sempre –
Gli sprechi alimentari A fronte del grave disagio di questi “residenti invisibili”, l’indagine dell’Adoc (2008), un’organizzazione di consumatori, sui consumi alimentari delle famiglie, mette in luce il dato sugli sprechi alimentari realizzati dagli italiani. Ogni anno vengono letteralmente buttati nel cassonetto in media 561 euro, pari al 10% della spesa totale effettuata. I motivi per i quali si spreca rimandano alle abitudini di spesa e alla presenza di offerte che inducono ad acquisti non necessari: per il 39% si tratta di un eccesso di acquisto generico, per il 24% di prodotti scaduti, per il 21% di un eccesso di acquisti per offerte speciali, per il 9% di novità non gradite e per il 7% di prodotti non necessari. D’altro canto, negli ultimi anni si sono moltiplicate in Italia le associazioni che portano avanti esperienze di salvaguardia dello spreco alimentare in accordo con i supermercati.
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Italo Calvino
Una scarpa un po’ “vissuta”, quasi sbattuta in faccia al lettore. È il simbolo della crisi economica che sta attanagliando il Paese e delle famiglie che ormai “camminano al verde”, costrette a una corsa a ostacoli tra spese, bollette da pagare, mutuo e debiti. Si chiama “Solax”, la scarpa che lascia respirare “almeno i piedi”.
SOLAX Crisi della seconda settimana in Italia Un tempo c’era la crisi della terza settimana, alludendo alla difficoltà di arrivare alla fine del mese. Ora, la crisi economica rende gli italiani poveri già alla seconda settimana: il portafogli di tanti è vuoto dopo nemmeno quindici giorni dall’accredito dello stipendio. Dati aggiornati al 2008 attestano che sono 2 milioni le famiglie che non superano la seconda settimana e oltre 6 milioni quelle che arrivano a fatica alla terza. Secondo la medesima ricerca Confesercenti-Swg, per il 35% degli italiani tirare avanti è un’angoscia, un pensiero fisso. Una quota superiore al 40% degli italiani nell’ultimo anno – secondo l’Osservatorio sul capitale sociale realizzato da Demos & Pi in collaborazione con Coop – ha visto diminuire il valore dei propri risparmi e, per questo motivo (oppure per prevenire tempi più difficili), ha già messo in atto strategie quotidiane per difendere il portafoglio domestico. Il 41% ha adottato soluzioni per risparmiare su elettricità, riscaldamento e benzina. Altrettanti hanno dovuto rinunciare a importanti acquisti programmati, mentre la corsa ai saldi e alle “offerte speciali” diventano pratiche di sopravvivenza sempre più diffuse e necessarie: nell’ultimo anno si è aggiunto un 35% a quel 50% che lo faceva già da prima. Ci sono persone che spesso, per paura di spendere, fuggono perfino dalle tentazioni, evitando di entrare nei negozi (28%).
I nuovi poveri italiani La chiamano “povertà relativa” (che si realizza quando la differenza tra le fasce più alte di reddito e quelle più basse impedisce a queste ultime di avere accesso alle risorse necessarie per una vita realizzata) e in Italia colpisce 2 milioni e 653 mila famiglie. Si tratta dell’11,1% del totale delle famiglie residenti che, presto, potrebbero crescere di un ulteriore 8% fatto di nuclei “a rischio”, con consumi, cioè, prossimi o superiori di appena il 10% alla soglia standard di povertà. Che per una famiglia di 2 persone equivale a 986,35 euro di spesa media mensile (in aumento dell’1,6% rispetto alla linea del 2006). Complessivamente, nel nostro Paese, ci sono 7 milioni e 542 mila italiani poveri, il 12,8% dell’intera popolazione. Situazione peggiore nel Sud, dove l’incidenza della povertà relativa è 4 volte superiore alla media nazionale e tra le famiglie più numerose, in particolare, con 3 o più figli, soprattutto, minorenni. A rivelarlo è l’annuale indagine dell’Istat sulla povertà relativa in Italia, condotta su un campione di 28 mila famiglie, che evidenzia una sostanziale stabilità, tra il 2006 e il 2007, dell’incidenza della povertà relativa delle famiglie italiane, ancora fortemente associata a scarsi livelli d’istruzione e all’assenza del posto di lavoro.
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pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 3, marzo 2008, p. 35
Solo i poveri conoscono il significato della vita, chi ha soldi e sicurezza può solo tirare a indovinare Charles Bukowski
Si chiama “Nerissima” ed è l’acqua che sgorga dalle fonti contaminate dei paesi più poveri del mondo: berla significa ammalarsi di dissenteria, non berla significa morire di sete.
NERISSIMA L’acqua, da bene comune a merce L’accesso all’acqua nel mondo è un diritto umano che per una vasta parte dell’umanità viene sistematicamente violato. Oggi, secondo dati forniti dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, circa 700 milioni di persone in 43 paesi vivono al di sotto della soglia di stress idrico (che significa disporre di meno di 1.000 metri cubi di acqua all’anno) e 1,7 miliardi non possono accedere regolarmente ad acqua pulita, né a infrastrutture sanitarie. 1,8 milioni di bambini muoiono ogni anno di dissenterie dovute alla penuria d’acqua e alla carenza di igiene. Il settimo Obiettivo di sviluppo del Millennio mira, entro il 2015, a dimezzare il numero di persone senza accesso all’acqua potabile. Gli scienziati avvertono che, intorno al 2020, quando ad abitare la Terra saranno circa 8 miliardi di persone, il numero delle persone senza accesso all’acqua potabile sarà di 3 miliardi circa. Si ritiene che il problema dell’accesso e della proprietà del cosiddetto “oro blu”, abbia scatenato nel mondo circa cinquanta guerre tra Stati. Tra le cause principali dei conflitti, c’è il divario sempre più ampio tra domanda e offerta, che interessa soprattutto i paesi del sud del mondo, dall’America Latina all’Africa. Per l’acqua, dal punto di vista economico/commerciale, è in corso parallelamente una guerra che non si combatte con gli eserciti: dal controllo sulle acque minerali alla battaglia per la gestione degli acquedotti, dalla costruzioni di dighe alla privatizzazione dei bacini idrici.
La situazione in Italia L’articolo 23bis della legge numero 133/2008, la cosiddetta “Finanziaria triennale” del ministro Tremonti, ha affidato “il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite”. Ciò al fine, “di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi”. In altre parole, si è spalancata la via alla privatizzazione dell’acqua pubblica. Tutto ciò dovrà avvenire entro il 2010. Il nostro Paese, dagli anni Novanta, inoltre è tra i primi al mondo nella produzione e nella consumazione di acqua minerale. Secondo l’Istat, vengono imbottigliati annualmente 12.200 miliardi di litri, di cui in Italia si bevono circa 11.200 miliardi, ovvero 194 litri all’anno per abitante. Il resto viene esportato. A prediligere l’acqua che sgorga dal rubinetto è, ormai, rimasto un misero 2% della popolazione. Un business che, come specificato nel Rapporto sullo stato dell’acqua in Italia a cura di Riccardo Petrella, fa leva su una credenza ingiustificata indotta dalla pubblicità. L’acqua minerale non sarebbe infatti né per definizione né in pratica necessariamente più pura e più sana dell’acqua potabile comune.
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pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 4, aprile 2008, p. 35
Acqua, acqua Dappertutto, neanche una goccia da bere Samuel T. Coleridge
Un viso curato e truccato di donna mette in risalto il nuovo ombretto effetto bicolore “Neropesto”, cinico prodotto della casa cosmetica Violenz. “Per essere davvero come piace a lui – dice il claim di questa Pubblicità regresso – usa il nuovissimo ombretto che dona ai tuoi occhi il glamour del nero” e un viola modaiolo. Ma quello è, semplicemente e drammaticamente, un occhio nero. “Perché tu non vali”, come recita la Pubblicità regresso.
NEROPESTO La violenza sulle donne “La violenza sulle donne – afferma l’Onu nella Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne – è da intendersi come qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”. Nel mondo purtroppo una donna su tre, secondo le Nazioni Unite, subisce violenza.
pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 6, giugno 2008, p. 15
La violenza di genere si esprime su donne e minori in vari modi. A livello domestico, è esercitata soprattutto nell’ambito familiare o nella cerchia di conoscenti; a lavoro, dove le donne subiscono molestie sessuali e ricatti; con matrimoni coatti o con la prostituzione forzata; e, in casi più eclatanti, con le mutilazioni genitali femminili o lo stupro di guerra ed etnico. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E il rischio maggiore viene dai familiari, mariti e padri, seguiti dagli amici, dai vicini di casa, da conoscenti stretti e da colleghi di lavoro o di studio. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è endemica, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici.
La situazione in Italia Sono 6 milioni e 743 mila le donne, tra i 16 e i 60 anni, che sono state oggetto di violenza fisica o sessuale almeno una volta nella loro vita, mentre oltre 7 milioni hanno subito una violenza psicologica. L’ultima (2008) impietosa fotografia dell’Istat rivela che nella maggior parte dei casi la violenza arriva dai partner o dall’ex e non si ferma neppure davanti a una gravidanza tanto che l’11% delle future mamme ha subito violenza durante l’attesa. Cinque milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), tre milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%), più di 7 milioni violenze psicologiche. Il 70% delle violenze viene commesso in famiglia, ma solo l’1% di chi le commette, padri, mariti, conviventi, viene condannato perché appena sette donne su cento hanno il coraggio di presentare una denuncia e in molto casi la ritirano di fronte alle minacce e alla paura di perdere il sostegno economico o la casa. Il 25 novembre di ogni anno si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita ufficialmente dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999.
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La violenza è l’ultima risorsa degli incapaci Isaac Asimov
Cornett è un vecchio telefono, di quelli a disco come il classico “bigrigio” della Sip. Ci ricorda che questo strumento, ideato da Antonio Meucci, nacque con uno scopo principale e “rivoluzionario”: mettere in comunicazione “immediata” persone distanti. Nella Pubblicità regresso è chiamato appunto “il giradito”.
Cornett Il boom del High-tech Se si pensa a quello che è il telefono oggi, è chiaro che esso ha subito una trasformazione. Messa in soffitta l’antica cornetta col filo, superato anche il cordless, si è arrivati al cellulare: un mezzo che non serve più solo a far parlare due persone, ma funge ormai anche da videocamera, macchina fotografica, piccolo personal computer tascabile, navigatore satellitare e via così. Il “semplice” piacere del chiacchierare è stato travolto dall’ondata del progresso tecnologico che, con le sue continue proposte, occupa ormai in vari modi uno spazio sempre più ampio nella quotidianità della gente, determinando profondamente l’evoluzione della società contemporanea e i processi di comunicazione tra gli individui. È il “mondo high-tech” che comprende tutti quegli strumenti che oggi facilitano senza dubbio il lavoro, i collegamenti, le relazioni e in cui annoveriamo il cellulare, l’i-pod, i videogames, il Pc, le “chiavette” usb, per restare ai prodotti più popolari. Lo sviluppo tecnologico pone una questione per certi versi paradossale: da una parte, si ha ormai una fortissima dipendenza dalla tecnologia; dall’altra, si tende a credere che questa sia una realtà dalla quale bisogna difendersi, che sta ledendo i rapporti umani rendendoli sempre più scarni, virtuali e dipendenti da uno schermo o da un telefono.
pubblicato su Aesse-Azione sociale sociale n. 7, giugno 2008, p. 15
l’evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce
La “tecnoetica” giunge in aiuto per rispondere all’annosa questione, tentando di mediare gli opposti e superare questo apparente paradosso, non nascondendo la dipendenza della persona dalla tecnica, ma non dimenticando che la tecnica è un elaborato dell’uomo e, quindi, un suo strumento.
I giovani italiani e la tecnologia La “dipendenza” dei giovani dai nuovi mezzi di comunicazione è il nuovo problema che genitori da una parte e sociologi dall’altra stanno tentando di affrontare. Una ricerca del 2008 del Censis e dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) dimostra infatti che l’attaccamento dei ragazzi italiani verso tv e cellulare è notevole e problematico. Il 94% di loro, dai 14 ai 18 anni non riesce a stare lontano da questi strumenti. Il cellulare piace praticamente a tutti (90,4% dei giovani di tutte le età, 93,4% per quelli sotto i 18 anni) e se ne apprezzano i vantaggi pratici: il cellulare è per gli utenti un utile strumento che non sottrae tempo, risorse cognitive ed emotive. Altra inevitabile attrazione è internet, usato principalmente dal 58,7% dei giovani per fare amicizia e divertirsi. I nuovi strumenti a disposizione dei teenager fanno subire però un forte calo della lettura di quotidiani e libri: solo il 31,7% legge i quotidiani e ancor meno i periodici (13,2%), mentre i libri sono letti, salendo nelle tre fasce di età, dal 48,4%, dal 54,4% e dal 50,2% dei giovani.
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Bertrand Russell
Un percorso a ostacoli tra laurea, corsi di formazione, stage, master… per arrivare, a 30 anni, al primo contratto a progetto e forse a 36 all’agognato “posto fisso”. Il cammino di un giovane oggi, dal diploma al lavoro stabile si compie in un dedalo di possibili strade: da “via dell’impegno” a “corso del sacrifico”. Ci vorrebbe un navigatore satellitare di nuova generazione che “faciliti” la carriera, magari a suon di raccomandazioni.
SPINTARELLA La raccomandazione e il precariato La cosiddetta “spintarella” si rivela il più mezzo veloce per non perdersi nel precariato dilagante. Con questo termine si individua generalmente l’insieme di coloro che, per un tempo più o meno lungo, e a prescindere da formazione e competenza professionale, galleggiano tra il cosiddetto “lavoro nero” e le varie forme di contratto flessibile (part-time, contratti a termine, lavoro parasubordinato) che vengono ripetutamente e patologicamente rinnovate nel tempo. Una precarietà lavorativa che si traduce normalmente in una precarietà esistenziale, come ormai osservato da più parti. In Italia, i precari costituiscono circa il 23% degli occupati totali. È una delle fotografie dell’occupazione italiana scattate dal Censis nel settembre del 2008. Stando agli ultimi dati, relativi al 2007, quasi 2 milioni 760 mila italiani, vale a dire l’11,9% degli occupati, si trova in condizione di lavoro a termine, mentre quasi 3 milioni sono i lavoratori sommersi, che incidono per il 12% sul totale dell’occupazione nel nostro Paese. Tra i lavoratori precari il 9,8% sono stagionali, interinali o apprendisti, o a tempo determinato, il 2,1% hanno invece incarichi a progetto o occasionali.
Un paese di “figli di”: meritocrazia e clientelismo Nonostante l’articolo 3 della Costituzione italiana, la meritocrazia (ovvero il criterio secondo il quale si trova lavoro non per appartenenza lobbistica o familiare ma per meriti) in Italia è ignorata. Le percentuali indicano che nel Paese la maggioranza delle persone trova lavoro grazie a segnalazioni e raccomandazioni. Il fenomeno prevale al Sud dove il fenomeno tocca punte del 50%, ma è diffuso anche al Centro (42,4%) e al Nord (39%) e circa il 60% degli italiani crede che la meritocrazia non serva per trovare lavoro (fonte: indagine Unioncamere su dati Excelsior, 2006). Il 66 per cento dei neolaureati e laureandi, secondo una ricerca di Confcommercio, crede che l’azione di governo non avrà effetti positivi sui propri orizzonti di vita. Troppe barriere alla meritocrazia e poche agevolazioni per accedere al credito, farsi una famiglia e avere dei figli. I giovani, sanno già che dovranno rinunciare a molte cose pur di avere un percorso professionale dignitoso. Molti sono pronti a lasciare il posto dove sono cresciuti, a rinviare il compimento delle relazioni affettive e posporre l’età in cui diventare padri e madri. Ma anche questo non sempre può bastare. Anche perché davanti a loro si apre lo scenario di responsabili d’azienda che si dichiarano meritocratici e pronti ad assumere i più bravi ma poi, alla resa dei conti, non lo fanno.
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pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 8/9, agosto/settembre 2008, p.15
Il successo ottenuto col merito e pagato con l’indifferenza annoia il grosso pubblico e, da qualche tempo in qua, anche gli altri Ennio Flaiano
Beve, si diverte e “sballa”. Il ragazzo è felice e spensierato con la sua bottiglia in mano, ignaro, probabilmente, degli effetti correlati all’assunzione acuta o cronica di alcol.
CRETINI Una questione di vita o di morte L’alcolismo, problema sottovalutato dai giovani, si piazza al terzo posto, secondo il ministero della Salute, per mortalità dopo le malattie cardiache e il cancro ed è riconosciuto come uno dei più gravi problemi di salute pubblica. Può portare alla morte per emorragie interne, malattie del fegato o incidenti stradali Non solo. L’alcol comporta danni nella sfera lavorativa e in molti altri campi della vita di una comunità. Secondo l’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcool, bere costituisce un fattore importante negli infortuni sui luoghi di lavoro ed è causa, inoltre, di assenteismo e riduzione delle prestazioni professionali. È inoltre responsabile di una parte consistente di problemi di ordine pubblico inclusi crimini, omicidi e atti violenti. Le malattie alcol-correlate sono legate agli effetti tossici della sostanza nel tempo. Questa non è dannosa solo per il fegato ma i suoi effetti negativi possono manifestarsi, in modi diversi, in tutti gli organi del nostro corpo. Studi del ministero della Salute dimostrano che l’alcolismo interessa anche e profondamente i membri delle famiglie di chi beve. I bambini possono esserne influenzati anche da grandi – quella che comunemente è definita “sindrome dei figli adulti degli alcolisti” – e anche prima della nascita, generando la cosiddetta “sindrome fetale da alcol” nei bimbi nati da madri alcoliste.
Giovani e alcol Sono sempre di più gli adolescenti che a partire dalle scuole medie, hanno i loro primi approcci con lo “sballo”, cominciando “banalmente” da una birra per finire ai superalcolici. Circa 740.000 minori in Italia sono a rischio e un ragazzino su cinque inizia a bere già tra gli 11 e i 15 anni. Questo l’allarme lanciato nel 2008 dalla Consulta nazionale sull’alcol e sui problemi a esso correlati, assieme al ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Ben il 19,5% dei minori nella fascia 11-15 anni dichiara di aver bevuto alcolici nel corso del 2005 nonostante sia in vigore il divieto di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 16 anni. Anche tra i ragazzi di 16-17 anni, il consumo di alcolici è diffuso: uno su due beve e l’8% dei maschi di quella fascia di età lo fa tutti i giorni. Secondo i dati dell’indagine Eurobarometro 2002, l’Italia presenta l’età più bassa in Europa per quanto riguarda il primo contatto con le bevande alcoliche: la media è 12,2 anni, contro i 14,6 della media europea. Per spiegare il fenomeno, la Consulta ha sottolineato che in Italia il consumo di bevande alcoliche e, in particolare, di vino fa parte “di una radicata tradizione culturale e l’assunzione moderata di alcol è una consuetudine alimentare molto diffusa, oltre che socialmente accettata”. Negli ultimi anni si stanno diffondendo però nuovi modelli di consumo che prevedono un uso occasionale, intenso e spesso intossicante di aperitivi, birra e superalcolici. il mensile delle Acli Azione Sociale
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pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 10, ottobre 2008, p. 15
Ogni tipo di dipendenza è cattiva, non importa se il narcotico è l’alcol o la morfina o l’idealismo Carl Gustav Jung
Come puoi liberarti del tuo vecchio? Rottamandolo – propone questa improbabile e cinica campagna istituzionale, rigorosamente finta – e superando così tutti i problemi e i fastidi che comporta averne cura. Il vecchietto settantenne “parcheggiato” nel secchio dell’immondizia rappresenta uno dei tanti anziani che in Italia sono un “intralcio” per le famiglie.
LIBERARTI DEL VECCHIO? Una risorsa sociale
pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 11, novembre 2008, p. 15
Purtroppo il sistema di welfare tutela poco chi, pensionato e/o nonautosufficiente, deve affrontare gli imprevisti che la vecchiaia comporta. Eppure, nel Mezzogiorno, le pensioni degli anziani consentono la sopravvivenza di interi nuclei familiari e nel 50% dei casi gli anziani si occupano dei nipotini, soprattutto in estate quando i bambini non vanno a scuola per risparmiare su baby-sitter o centri estivi. Poi, però, gli anziani diventano un peso o un’ulteriore spesa per i figli che, non potendosi occupare di loro, devono affidarli alle case di cura o alle colf. Secondo la Fnp (Federazione nazionale pensionati) della Cisl sono in forte aumento le famiglie povere anziane (nel 2006 erano il 13% della popolazione), sia per un reddito che non consente loro di vivere dignitosamente, sia perché non hanno risorse sufficienti per lasciarsi aiutare. La condizione di impoverimento interessa però anche i familiari: secondo il rapporto 2008 dell’Istat sulla povertà, le famiglie “povere” con due o più anziani sono l’11,9 per cento.
In fondo la vecchiaia è una questione di prospettiva Mario Tobino
Gli anziani in Italia L’Italia risulta il Paese più investito dal fenomeno dell’invecchiamento. Ormai un italiano su cinque, secondo l’annuario 2008 dell’Istat, ha più di 65 anni e i “grandi vecchi” (da ottanta anni in su) sono il 5,3% della popolazione. Circa 2.500.000, sempre secondo Fnp Cisl, non sono autosufficienti con particolare incidenza al Nord (18,4% in Lombardia) e meno al Sud (11% in Molise) e solo il 3,5% sono assistiti dallo Stato domiciliarmene, a fronte del 20% di Norvegia, Svezia e Danimarca. Infine, il 33% fa fatica a sostenere le spese mediche. Fino a qualche anno fa, sul piano delle politiche, la risposta tradizionale alla sfida della non autosufficienza è stata quella di tipo “residenziale”. Oggi però la misura dell’accoglienza residenziale non è certo la più frequente, né la più diffusa sull’intero territorio nazionale, mostrando una spiccata localizzazione nel nord Italia. Si diffonde così la pratica dell’assistenza domiciliare, con il duplice intento di evitare (o ritardare) l’istituzionalizzazione degli anziani e di coinvolgere e valorizzare la rete di cura informale intorno a essi. Una ricerca dell’Inca, il patronato della Cgil, conferma che gran parte dell’assistenza agli anziani non autosufficienti infatti (soprattutto al Sud) ricade ancora sui nuclei familiari: circa il 50% su familiari conviventi, il 30% e un altro 20% su familiari non conviventi, mentre il 20% si avvale di servizi esterni, tanto pubblici quanto privati.
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Il grande Suv rosso fiammante del crudele e superbo re dei Vangeli, Erode, sorpassa i Magi con i loro lenti cammelli e riesce ad arrivare per primo alla grotta di Gesù Bambino. È così che cambia, grazie a questo nuovo potente mezzo, il corso della storia.
RANGE ERODE Suv: prepotenti e sicuri? Il Suv (Sport utility vehicle) è un veicolo simile a un fuoristrada con elevate prestazioni e con finiture da vettura di lusso. Ha un costo che va dai 30.000 euro in su e può avere anche sette posti. Nel 2007 è stata una delle macchine più vendute, anche se nel 2008 le vendite hanno subito un calo del 28%. I dieci Suv più venduti in Italia hanno consumi urbani del 60-70% superiori rispetto a quelli delle dieci auto più vendute tout court. Oltre ai consumi, è accusato di inquinare più di una macchina normale, di ledere alla sicurezza stradale e di essere come una grande “astronave” catapultata in città: la lunghezza dei Suv va tra i 4,80 e i 5 metri, la larghezza attorno a 2 metri. La stazza è un problema per gli altri automobilisti, per non parlare di pedoni e ciclisti, ma anche per gli stessi guidatori, accusati spesso di “uno strafottente senso di sicurezza”. Numerosi studi negli Usa smentiscono anche l’affidabilità del veicolo. La National highway traffic safety administration, l’ente governativo che si occupa di sicurezza stradale più famoso nel mondo, ha bocciato il 30% dei modelli testati. Anche secondo la rivista di settore italiana Quattroruote, “in certe manovre di emergenza, le fuoristrada risultano più impacciate, meno agili e disinvolte e quindi per costituzione più inclini all’incidente”. Il problema maggiore, nel traffico, è la scarsa visibilità, dall’alto dell’abitacolo, di pedoni e soprattutto ciclisti, costretti a viaggiare tenendo la destra.
Automobili e inquinamento in Italia L’Unione Europea ha avviato all’inizio del 2009 una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per gli alti livelli d’inquinamento. In gran parte delle nostre città, secondo uno studio di Legambiente, l’inquinamento da polveri sottili e più in generale quello atmosferico rimane strettamente collegato al traffico veicolare, che si conferma come la principale causa del peggioramento della qualità dell’aria. Il trasporto stradale è anche uno dei settori che producono più gas serra in Italia e ancora oggi, rivela l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, le emissioni di CO2 derivanti dalle auto, tendono ad aumentare anziché diminuire. L’Italia, stando ai dati di Ecosistema urbano 2009, in Europa è seconda solo al Lussemburgo per il numero di automobili in circolazione, con una media di 62 auto ogni 100 abitanti, che salgono a oltre 70 in città come Roma. Anche nel confronto con gli Stati Uniti, come riportano i dati della Us metropolitan trasport commission, le città italiane detengono il primato poco invidiabile del numero di auto in circolazione. Ad esempio, mentre New York registra circa 20 auto ogni 100 abitanti, Madrid e Berlino 30 e Parigi 45, a Milano se ne registrano 63.
il mensile delle Acli Azione Sociale
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pubblicato su Aesse-Azione sociale n. 12, dicembre 2008, p. 15
L’automobile è divenuta il carapace, il guscio protettivo e aggressivo, dell’uomo urbano e suburbano Marshall McLuhan