Advent 'Zine #1 - Dicembre 2005

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Opeth 2005 :: Per Wiberg (kb), Peter Lindgren (ch), Martin Lopez (bt), Mikael Åkerfeldt (ch, v), Martin Mendez (bs)

introduzione parole di eugenio crippa

Quante sono le ‘band che ci hanno cambiato la vita’? Ho ben pochi dubbi a riguardo, credo che per ciascuno di noi si possano contare sulle dita di una mano. E che per molti di voi lettori tra queste gli Opeth non possano assolutamente mancare. Quando acquistai ‘Still Life’ il giorno del mio diciottesimo compleanno fu sorpresa totale: è come se da tempo fossi alla ricerca di qualcosa di veramente nuovo, fresco ed innovativo, ma non sapessi bene nemmeno io cosa volessi realmente; la musica degli Opeth aveva finalmente soddisfatto le mie richieste. Dal novembre 1999 ad oggi è stata una scoperta continua dei (capo)lavori del passato e, contemporaneamente, fervida attesa delle nuove uscite. Nel 2002 ho creato per primo un Opeth-site in lingua italiana [all’indirizzo jump.to/opeth]. Un’impresa inseguire le news, raccogliere materiale digitale e cartaceo, e soprattutto trovare uno stramaledetto server stabile che potesse ospitare la mia creatura. Tuttavia molte sono state le conoscenze e le sod-

disfazioni derivate da quel progetto. Quel sito è stato poi trasformato in un blog [opeth.splinder. com], altre realtà sono nate nel frattempo, ed io sento ora l’esigenza di ‘staccare’ dalla dimensione virtuale, e tentare un approccio più umano. Veniamo perciò al dunque, alla rivista che stringete tra le mani: mentre la tecnologia invade ogni angolo della nostra esistenza, advent ‘zine cerca di riportare indietro le lancette del tempo. Creare una fanzine come quella che stringete fra le mani in questo momento è un atto di devozione assoluta, completamente diverso dal tipico sito web/forum. E pensare che solo pochi anni fa non c’erano né siti web né forum; tempi vicinissimi, e che allo stesso tempo non esiteremmo a definire preistorici... tempi che stiamo pian piano dimenticando... Ecco, la tecnologia sta spazzando via tutto quanto non compatibile con essa. E noi la seguiamo senza farci troppe domande. Questo


W:O:A 2005 :: 5 agosto :: Eugenio, Mikael e Fabio

progetto un po’ controcorrente - anche se non siamo i primi né saremo gli ultimi a pubblicare fanzine, lo sappiamo bene - era stato concepito inizialmente come un Fan Club dal mio amico Fabio e, come da copione, gli iscritti avrebbero comunque ricevuto periodicamente l’Opeth FC Journal. Peccato che gli Opeth non siano, a mio parere, band da Fan Club. Lo sono i Dream Theater, i Metallica, gli Iron Maiden, non gli Opeth. Ci piace pensare che in fondo gli Opeth, pur con un’esposizione aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni, siano rimasti una band di culto per molte persone, che magari li hanno conosciuti agli esordi - quando, ad esempio, esistevano ancora i demotape - e non li hanno mai abbandonati. Allo stesso tempo siamo convinti che i nuovi adepti abbiano ben presto riconosciuto una mosca bianca all’interno del panorama musicale.

Come avrete capito da soli, non dobbiamo rispettare alcuna linea editoriale, la nostra è solo ed esclusivamente pura passione. Se questo primo passo avrà un seguito, sarete anche voi a deciderlo, giudicando la bontà del nostro operato. Abbiamo tanto materiale a disposizione e tante idee in testa. Buona avventura!


latest news :: roadrunner united ::

Per chi ancora ne fosse all’oscuro, è stata pubblicata da alcune settimane una raccolta di brani completamente inediti, nati da diverse collaborazioni tra i vari artisti del roster dell’etichetta anglo-americana. Questo progetto festeggia i 25 anni di vita della Roadrunne Records, e vede Mikael Åkerfeldt in compagnia del tastierista dei Type O Negative, Josh Silver, in un breve brano pacato e rilassato, in contrasto col mood aggressivo dell’opera. Ben 57 gli artisti coinvolti, tra 45 band passate e presenti. L’edizione che trovate in questi giorni nei negozi è accompagnata da un bonus DVD contenente il ‘making of’ del disco. ***

:: opeth world :: Dal sito ufficiale: Durante l’ultimo tour statunitense, l’autista del tour bus degli Opeth è stato arrestato “a Tampa, Florida, accusato di sfruttamento di minori. Siamo semplicemente inorriditi dal fatto di esserci avvalsi di questo bastardo, ed ancor più disgustati dalle sue azioni: ovviamente in futuro staremo molto più attenti quando si presenterà l’occasione. L’autista si è presentato semplicemente come ‘Rod’ e ci è

sembrato una persona a posto, per noi era solo un autista come tanti altri, ma non troppo! Ci ha detto di essere a capo di una compagnia di viaggi e di essere stato in passato un batterista, di aver suonato con Ted Nugent e molte altre band negli anni ‘70. Abbiamo cominciato ad insospettirci quando non ha voluto varcare la frontiera canadese (avevamo comunque un altro autista ad aspettarci) a causa di alcuni traffici di droga. Io e Peter l’abbiamo incontrato l’ultima volta nell’ascensore del nostro hotel, insieme ad una ragazza che ci ha presentato come sua nipote. Ci è sembrata intimidita dalla nostra presenza, e ci ha chiesto se fumavamo marijuana. ‘Rod’ ci disse che l’avrebbe portata a Los Angeles. Dopo il concerto, non si è più fatto vivo, ed abbiamo saputo in seguito che era stato arrestato. Fortuna ha voluto che un ragazzo della crew dei Nevermore ha potuto ricondurci all’hotel. Il giorno dopo l’FBI ha fermato il nostro tour manager fuori dal bus, con un mandato per la confisca del PC portatile e della videocamera di ‘Rod’. Siamo felici che sia stato finalmente arrestato e rinchiuso in cella, dove speriamo resti a lungo”. Gli Opeth, una volta terminato il tour americano, hanno visitato i leggendari BBC Studios londinesi, registrando alcuni brani che saranno in futuro mandati in onda dalla BBC Radio, e che vedranno la luce in una futura ristampa speciale di ‘Ghost Reveries’. Le canzoni registrate sono ‘The Grand Conjuration’, ‘When’ e ‘Soldier of Fortune’, cover della storica ballad dei Deep Purple già proposta in sede live nel 2003 in occasione del tour di ‘Damnation’. Infine, sono appena state confermate alcune date del prossimo anno, che vedranno gli Opeth esibirsi per la prima volta in Israele ed in Nuova Zelanda: 27.03 - Thessaloniki, Idrogis Club, GR 28.03 - Athens, Club 22, GR 29.03 - Istanbul, Kemanci Izmir, TK 30.03 - Izmir, Yeni Melek, TK 01.04 - Tel Aviv, Theatre Club, IL 20.04 - Perth, Loout, AUS 21.04 - Adelaide, The Barton Theatre, AUS 23.04 - Melbourne, The Forum, AUS


24.04 - Melbourne, The Forum, AUS 25.04 - Sydney, Big Top/Luna Park, AUS 27.04 - Brisbane, The Arena, AUS 29.04 - Auckland, St. James Theatre, NZ

recenti interviste, la collaborazione tra il leader dei Porcupine Tree e l’amico israeliano Aviv Geffen potrebbe partorire nuove composizioni nei primi mesi del 2006.

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:: porcupine tree ::

:: katatonia ::

Potevano forse mancare all’appello i nostri cari Porcospini? Ovviamente no! In futuro ci sarà modo di avvicinarli approfonditamente, per il momento accontentatevi di alcune succulente news. Ben tre sono i concerti che hanno visto la band inglese protagonista nel nostro Paese. I piani futuri prevedono innanzitutto la realizzazione del primissimo DVD ufficiale, che fotografa i Porcupine Tree nel loro attuale stato di grazia. L’ultimo ‘Deadwing’ è un album ambizioso, in quanto nasce dal desiderio dell’istrionico Steven Wilson di realizzare per la prima volta un film; non è una colonna sonora né un concept, ma una raccolta di brani autonomi i cui testi fanno riferimento alla sceneggiatura di questo ipotetico film, scritta insieme all’amico Mike Bennion. Solo il tempo dirà se questo progetto, l’ennesimo targato SW, andrà in porto. Nel frattempo parecchie tracce e spunti sono stati depositati in Rete all’indirizzo deadwing.com. Il piatto forte previsto per il prossimo anno potrebbe però essere un nuovo disco dell’accoppiata Blackfield, che nel 2004 ha deliziato le nostre orecchie con l’omonimo debutto. Stando infatti a

Il quintetto svedese ha ultimato le registrazioni dell’ottavo studio album, dal titolo ‘The Great Cold Distance’, previsto per il prossimo 16 marzo. Il singolo apripista ‘My Twin’ contenente due brani inediti ed un remix precederà di un mese l’uscita del disco, di cui è possibile ascoltare un breve estratto su katatonia.com. *** www.roadrunnerrecords.com www.roadrunnerrecords.it www.opeth.com www.porcupinetree.com www.deadwing.com www.swhq.co.uk www.katatonia.com


Sweden Rock 2004 :: 12 giugno

la musica degli opeth parole di mikael akerfeldt

Come ben sapete, spesso è molto difficile capire cosa renda veramente unica una band. Non voglio sembrare presuntuoso ma, secondo me, come gli Opeth non c’è nessuno. Personalmente, apprezzo una band quando è in grado di sorprenderti, quando improvvisamente il loro stile musicale subisce un brusco ed inaspettato mutamento. Questo è più o meno il concetto alla base della nostra musica, e credo che sia palpabile in ogni nostro album. Quando ai tempi fondammo gli Eruption eravamo i membri di una qualsiasi Death Metal band, ma ci fu un momento in cui qualcosa determinò una svolta decisiva, ed oggi avete davanti ai vostri occhi gli effetti di questa metamorfosi. Si tratta senza dubbio del mio interesse verso la musica Sinfonica e Progressive, un genere a mio parere che non conosce eguali. Siamo arrivati al punto di non doverci preoccupare in alcun modo del tipo di

musica che stiamo suonando, non ci poniamo più alcun limite! Il punto è che non produciamo musica a tavolino. Non dubiterei un istante del fatto che potremmo essere ben più famosi, se solo avessimo seguito la scia del successo immediato... ma così non è stato! Gli Opeth cesseranno di esistere nel giorno in cui ci porremo dei limiti e ci adatteremo alle mode. Ovviamente, ci sono alcuni episodi nei nostri album in cui abbiamo davvero osato, siamo andati oltre ogni aspettativa. Su ‘Morningrise’ abbiamo incluso una ballad, ‘To Bid You Farewell’, proprio nel periodo in cui tutti si esaltavano col Black Metal. Non pensate che avremmo fatto meglio a realizzare una canzone dai ritmi serrati e con liriche sataniste? Oggi possiamo dire che quel brano ha significato molto per noi, e ci rendiamo conto di essere un gruppo un po’ strano. Ma è proprio ciò che vogliamo!


Quando nacquero gli Opeth, nel 1990, io ero l’unico compositore, aiutato dal cantante David [Isberg]. Peter si unì poi a noi l’anno successivo, e trovai in lui qualcuno con cui scrivere insieme della nuova musica. Avevo composto un brano dal titolo ‘Poise into Celeano’, molto diverso da tutta la precedente produzione, e con l’aiuto di Peter cominciammo a riarrangiare il materiale che avevamo. Era il nostro periodo di massima ispirazione, e a volte ci trovavamo a suonare insieme anche 6 giorni a settimana. Alla fine avevamo individuato il nostro sound: armonie di chitarra che si intrecciano in continuazione, molte parti acustiche, nessun blastbeat, canzoni molto, molto lunghe. Ciliegina sulla torta, si fece viva la Candlelight Records, interessata alla pubblicazione del nostro primo album, ’Orchid’. Da quel momento abbiamo semplicemente sviluppato il nostro stile, non l’abbiamo cambiato del tutto! Non sono d’accordo quando una band intraprende improvvisamente un percorso musicale completamente differente rispetto al passato. Il più delle volte la musica è scadente e commerciale. In questo noi ci

sentiamo diversi. Non capisco perché cambiare del tutto discorso, quando la musica che hai suonato in passato ti ha procurato grandi soddisfazioni. Quando dico che non ci poniamo alcun limite, intendo essere imprevedibile senza rinnegare il mio modo di fare musica! Gli Opeth abbracciano una vasta gamma di stili diversi, per cui non credo che perderemo l’ispirazione molto presto. Non resteremo a secco, né saremo costretti a ripiegare su soluzioni commerciali. Non fraintendetemi, la musica commerciale non è per forza brutta, è un modo come un altro di esprimersi. Il nostro motto è: chi osa vince!



discografia :: ghost reveries Ghost of Perdition (10.29) The Baying of the Hounds (10.41) Beneath the mire (7.57) Atonement(5.20) Reverie/Harlequin Forest (12.39) Hours of Wealth(5.20) The Grand Conjuration(10.21) Isolation Years(3.51) Running time: 66:49

Recorded in Fascination Street Studios, Örebro, between March 15 and June 1, 2005 Produced by Opeth Co-produced, engineered and mixed by jens Bogren with Opeth Co-recorded by Rickard Bengtsson, Anders Alexandersson & Niklas Kallgren Mastered at Cutting Room/Stockholm by Thomas Eberger and Jens Bogren with Opeth Opeth 2005: Martin Mendez - Bass Guitars Peter Lindgren - Guitars Per Wiberg - Mellotrons, Organs, Grand & Electric Pianos Martin Lopez - Drums & Percussion Mikael Åkerfeldt - All Vocals, Guitars, additional Mellotron Music by M. Åkerfeldt and Opeth Lyrics by M. Åkerfeldt Art Direction by Travis Smith and Opeth


introduzione parole di eugenio crippa

Avevo pensato inizialmente di includere su questo primo numero di ‘advent ‘zine’ anche la sezione relativa al primo album degli Opeth, ‘Orchid’. Pensavo anche che tutti i contenuti che avrei voluto inserire avrebbero occupato a fatica una trentina di pagine, ed invece man mano che aggiungevo testi e immagini il tutto sembrava assumere dimensioni non previste dai miei calcoli grossolani. Di qui la decisione di dedicare, giustamente, le pagine che seguono all’ultima recente uscita dei Nostri, quel ‘Ghost Reveries’ che al pari dei suoi predecessori ha generato critiche ed allo stesso tempo commenti entusiasti di coloro che, come il sottoscritto, vedono in questo disco l’ennesima riconferma da parte di una band che non ha più bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Nei prossimi numeri di ‘advent ‘zine’ avremo spazio a volontà da dedicare ai precedenti lavori degli Opeth, ben sette in un arco di circa dieci anni. Anni in cui il quartetto ha saputo procurarsi una schiera di seguaci sempre più folta album dopo album, questo anche grazie all’innata capacità di non sbagliare assolutamente un colpo! Credo che una band sia veramente grande quando traccia la via, non la segue, e che in molti siano d’accordo con me sul fatto che gli Opeth siano stati sin dagli esordi un punto di riferimento per molti; mi verrebbe anzi da azzardare un paragone: gli Opeth sono un po’ come la Settimana Enigmistica, ‘la band che vanta innumerevoli tentativi d’imitazione’. Sin del primissimo album, ‘Orchid’, hanno saputo definire un genere, ispirando tanti, tantissimi seguaci. Probabilmente quando qualche etichetta underground mette sotto contratto un nuovo gruppo, sotto sotto spera che suoni ‘alla Opeth’, solo per poterlo scrivere in sede promozionale.

Quanto ci vuole a sviscerare un album degli Opeth in ogni sua piccola sfumatura? Giorni, settimane, forse mesi; magari lo si mette da parte, per riascoltarlo dopo lungo tempo, ed incredibilmente salta fuori quel particolare nascosto che non avevamo ancora notato; stessa cosa vale per la rivista di cui sopra, talmente ricca e varia da risultare praticamente ‘inespugnabile’, almeno a breve termine. Ancora, un appassionato di enigmistica se benissimo ormai, sfogliando il suo giornaletto preferito, dove troverà un particolare tipo di cruciverba, di rebus, e così via. Sempre simili, ma sempre dannatamente diversi! Con ogni album degli Opeth funziona esattamente alla stesso modo: mentre si procede nell’ascolto si ha la sensazione di sapere già dove verremo trasportati dalle note e noi, poveri illusi, veniamo prontamente stupiti, e non possiamo che tributare le giuste lodi ai creatori di cotanta bellezza fatta musica. E infine, l’appassionato di enigmistica continuerà ad acquistare copie della sua rivista preferita, così come l’appassionato di Opeth acquisterà i loro album ad occhi chiusi. ‘Ghost Reveries’ esce nientemeno che col supplemento: alla line-up - ‘definitiva’ oserei dire... avete mai immaginato gli Opeth in una formazione diversa da quella che ha firmato le ultime uscite? - si è aggiunto un tastierista fisso, Per Wiberg, che prosegue comunque l’attività in parallelo nella sua band madre, gli Spiritual Beggars. Questo mix micidiale tra Opeth-Sound e tappeti tastieristici settantiani non poteva che partorire un disco-bomba, e gli immancabili detrattori che gridano allo sputtanamento ad ogni nuova uscita hanno ben pochi specchi a cui aggrapparsi. Possibile che qualche migliaio di copie vendute possano fare la differenza tra una band di culto ed una commerciale? Si vuole sempre che le


proprie band preferite siano note al mondo intero, salvo poi parlare di mainstream non appena la schiera di seguaci si allarga. ‘Fanculo le etichette, la Roadrunner Records fa il suo dovere, ovvero promuovere un disco e guadagnarci sopra, che c’è di scandaloso? Gli opeth dal canto loro non guardano in faccia a nessuno, proseguono per la loro strada, e se a voi sta bene tanto di guadagnato. Impossibile non riconoscerli, anche quando un mellotron fa capolino tra un growl e l’altro, sono sempre loro, uguali a se stessi, eppure ugualmente in grado di stupirci. Perché perdere tempo dietro a tonnellate di nuove, inutili, uscite - attenzione, non ho detto che escano solo dischi brutti, il 2005 ha avuto le sue ottime riconferme e novità - quando in cuor nostro sappiamo che solo ‘Ghost Reveries’ può darci quello che cerchiamo, tutto il resto può solo lontanamente avvicinarsi. Succede la stessa cosa con le donne: inutile rincorrerne altre, quando solo Lei è al centro dei nostri desideri. In questo disco gli assoli di chitarra, dannazione, sono davvero fantastici. Devo aggiungere altro? Mikael non ha mai cantato così

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bene! Non siete ancora contenti? Il basso, lo si sente pulsare come non mai!! Ed anche l’altro Martin non scherza per niente!!! Altro ancora? 35 anni fa avevano già capito tutto, così devono suonare le tastiere, e in nessun altro modo! E per favore, niente paragoni coi Porcupine Tree, soprattutto quando la produzione è stata totale appannaggio degli stessi Opeth e del giovane comandante-capo dei Fascination Street Studios, Jens Bogren. Ma non c’è proprio nulla di anche minimamente criticabile in ‘Ghost Reveries’? Confesserò che in certi momenti mi ha dato una sensazione di incompiutezza, le idee abbondano ma lo sviluppo si interrompe proprio sul più bello, soprattutto nei brani più brevi. Forse in molti tra voi avrebbero voluto che ‘Isolation Years’ non si spegnesse dopo meno di 4 minuti, o che la lead-guitar di ‘Atonement’ non fosse limitata a quel semplice copia&incolla dello stesso riff... sto cercando il pelo nell’uovo, senza dubbio, ma i veri appassionati non si arrendono nemmeno davanti alla perfezione assoluta. Ma vedrò di rivoltare queste ultime considerazioni a mio favore: ‘Ghost Reveries’ è un


album bellissimo, che non segna un punto di arrivo, semmai di partenza verso nuovi lidi, ed in questo senso ‘Atonement’ lascia molto ben sperare. Ma non è il caso di pensare già ad un nuovo album: ‘Ghost Reveries’ è quanto di meglio gli Opeth potessero darci in questo momento: prendiamo atto, ringraziamo, e godiamo! ***

parole di fabio d’amico

Tornano i nostri adorati Opeth, dopo l’accoppiata perfetta di ‘Deliverance’ e ‘Damnation’, seguiti dal bellissimo DVD ‘Lamentations’. In molti erano curiosi di sapere se gli svedesi avrebbero seguito la via pesante di ‘Deliverance’ o quella melodica di ‘Damnation’. Mikael Åkerfeldt e soci hanno risposto con il multiforme ‘Ghost Reveries’, dimostrando ancora una volta la loro genialità e – nel caso

ce ne fosse ancora bisogno – confermandosi indiscussi dominatori della scena Progressive Death. La copertina sembra parlare da sola, immergendo l’ascoltatore in un atmosfera tetra, irreale ed illusoria, propria appunto dei fantasmi. Una sorta di introduzione alla musica vera e propria: l’opener ‘Ghost of Perdition’ è un brano in tipico Opeth-style, aggressivo e preciso come sempre. L’atmosfera comincia a mutare con la traccia seguente, ‘The Baying of the Hounds’, canzone che si rivela decisamente più sperimentale, grazie ai numerosi interventi tastieristici del nuovo entrato Per Wiberg, che sembrano a volte ammorbidire la potenza e la rabbia dei riff di chitarra. La terza ‘Beneath the Mire’ inizia con una sorta di lunga marcia incalzante, per poi lasciar spazio all’aggressività tipica dei Nostri. L’omogeneità delle prime tre tracce è però spezzata dalla successiva ‘Atonement’ è forse il brano più riuscito del disco, fresco, melodico e carico di atmosfera, dai colori psichedelici; pare a volte 11


riportare alla mente le atmosfere di ‘Marbles’ degli indiscussi maestri del Progressive Rock dei giorni nostri: i Marillion. Da applausi la performance di Åkerfeldt, che offre una interpretazione calda ed appassionata, col solo ausilio delle clean vocals. ‘Reverie/Harlequin Forest’ è un’altra lunga composizione, con un epilogo schematico e ripetitivo sulla falsariga di ‘Deliverance’. Un pezzo come ‘Hours of Wealth’ potrebbe benissimo essere un estratto di ‘Damnation’: rilassanti chitarre acustiche accompagnano la voce di Mikael, che ci culla in atmosfere eteree e surreali, prima dell’assalto finale. Ci pensa infatti ‘The Grand

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Conjuration’ a destare l’ascoltatore, coi suoi riff taglienti e una voce growl davvero impressionante. Undici minuti di pura violenza, la cui unica via di fuga consiste nell’interrompere l’ascolto. Un attimo di pazienza, è quanto basta per potersi godere la quiete dopo la tempesta: ‘Isolation Years’ ci trascina lentamente verso la fine dell’album, coi suoi struggenti arpeggi. Il fantasma che ci ha accompagnato in questi 66 minuti è ora del tutto svanito, ma non sappiamo se un giorno comparirà nuovamente nei brani dei nostri svedesi… Buon ascolto!


biografia :: capitolo X parole di mikael akerfeldt

Come al solito, dopo un periodo movimentato trascorso in tour non c’è posto migliore di casa propria. Mi sento fisicamente e mentalmente instabile quando si va in tour, ed ho problemi di sonno. A volte vorrei avere a fianco del letto uno stereo che diffonda il rumore del motore del tour bus, mentre il mio giaciglio si agita un po’. C’è una relazione di amore/odio tra me ed i pullman notturni, ma coi letti... beh, adoro dormire su un bus in movimento! Comunque, dopo tutti i concerti seguiti alla pubblicazione di ‘Deliverance/Damnation/Lamentations’ ero finalmente molto contento di poter passare un po’ di tempo con mia moglie e mia figlia. Per la prima volta dopo... anni, credo, mi sentivo ‘naturalmente’ bene. Comporre nuove canzoni è stato un vero piacere. Non avevo decisamente nulla di cui preoccuparmi, sapevo solo di aver voglia di scrivere musica decisamente particolare, ma davvero, stavolta ero sereno e tranquillo sin dall’inizio. Ho registrato i miei demo come in passato, il tutto nei tempi prestabiliti, cosa che non succedeva da ben sei anni a questa parte. Da ‘Still Life’ non riesco a terminare in tempo la stesura dei pezzi prima dell’entrata in studio, ed in pratica come band non abbiamo mai provato insieme i brani, roba da matti! Nessun rehearsal per ‘Still Life’, giusto un paio per ‘Blackwater Park’ ed uno sola per ‘Deliverance’ e ‘Damnation’. Siamo arrivati al punto in cui quel feeling spontaneo da cui scaturiscono meraviglie era quasi del tutto perduto. Stavolta abbiamo stabilito con un certo anticipo che per ‘Ghost Reveries’ avremmo provato i nuovi brani un bel po’. Ero molto contento di lasciare che i ragazzi entrassero nel mood giusto con un certo anticipo, così che potessero concentrarsi sulle loro parti più intensamente, facendo parte attivamente del processo creativo. Alla fine abbiamo provato

per 3 settimane, e prima del nostro ingresso in studio tutti i brani eccetto uno erano stati completati. Davvero niente male! Mi sono strippato un po’ con una Korg Triton che comprammo a Per durante il ‘Damnation Tour’, ed avevo alcune idee in testa su come amalgamare diverse parti di tastiera ai fraseggi più ‘heavy’. Per Wiberg alla fine aveva accettato la nostra proposta di entrare in pianta stabile negli Opeth, e ciò aumentò ancor di più il mio entusiasmo in fase compositiva. Non sono un mostro al pianoforte, ma sono capace di costruire alcuni accordi, ho in testa i ritmi giusti (sia chiaro, non me la sto tirando!), e alla fine realizzai degli spunti interessanti. Ho invitato Per a registrare qualcosa a partire dai miei demo, e durante le prove vennero a galla idee interessanti. La musica suonava alle mie orecchie fresca, nuova, come se stessimo nuovamente evolvendoci verso altri territori inesplorati. In quei giorni sentivo come la ‘magia’ di quel qualcosa di nuovo che ci circondava. Abbiamo poi cercato un posto in cui registrare e, dovendo scegliere alla fine tra i Fascination Studios in Örebro/Svezia ed i Sonic Ranch di El Paso/Texas, optammo per i primi, poiché c’era la possibilità di tornare a casa senza complicazioni. Pensavamo che, visto che una volta tanto ci eravamo preparati in anticipo, non avremmo più avuto bisogno di rinchiuderci in uno studio per 2-3 mesi. Raggiante, prenotai i Fascination Street Studios dal 18 marzo al 15 aprile. Le registrazioni terminarono il primo giugno. La Music for Nations è definitivamente defunta l’anno scorso, e gli Opeth furono per un breve periodo sotto l’egida della BMG [di cui la MFN era una sotto-etichetta], ma ovviamente ci scaricarono poiché... beh, poiché siamo una 13


band Heavy Metal! Alcune ore dopo cominciarono ad arrivare nuove offerte di contratto... Io, Peter ed il nostro manager Andy Farrow ce ne siamo andati in giro per il mondo per incontrare i rappresentanti di alcune delle 31 etichette che ci avevano contattato: Century Media, SPV, Inside Out e Roadrunner. L’incontro con la SPV fu davvero surreale: il capo, Manfred, e il suo ‘entourage’ bevevano the e brandy e urlavano tra loro frasi in tedesco, per poi rivolgersi a noi dicendo ‘E’ tutto ok’ ogni volta che si tornava a discutere di ciò che ci interessava. Adoro questa gente... Manfred è un music business man da parecchio tempo, e la prima cosa che mi ha detto è stata:”Se firmerete il contratto con noi, ti regalerò l’lp dei Dull Knife” (un’incredibile e misconosciuta krautrock band tedesca dei primi anni ‘70) ...grazie, ma ce l’ho già! Ho rimediato una registrazione del primissimo concerto degli Eloy (altra band tedesca di culto)... incredibile! Cose del genere, ad essere onesti, incrementano a dismisura il mio battito cardiaco, non oso immaginare quanti vinili abbia quest’uomo all’interno della sua collezione. Cazzo, firmerei un contratto per la sua etichetta solo per il fatto che quest’uomo possiede una raccolta incredibile di vecchi lp! Mentre stavamo per abbandonare gli uffici, mi regalarono la raccolta intera delle recenti ristampe della discografia dei Popol Vuh, altro leggendario combo tedesco. Se stai leggendo queste righe, Manfred, “grazie!!!”. Mi disse anche che per la prima volta in assoluto la SPV e l’affiliata Inside Out stavano cercando di mettere sotto contratto la stessa band. Tutti gli incontri si sono rivelati davvero interessanti. In particolare è stato un piacere incontrare Thomas della Inside Out, credo che sia l’unico vero onesto music-boss al mondo: mi ha davvero stupito, ad essere sincero. Passare alla sede della Century Media fu come 14

andare a trovare dei vecchi amici, con cui mantengo stretti contatti dai tempi del nostro primissimo album. Robert Kampf è un altro eccellente personaggio all’interno di questo panorama, ed i suoi ragazzi Ula e Leif sono due miei grandi amici. Alla fine è stata la Roadrunner ad impressionarci maggiormente, con la sua organizzazione ed i discorsi legati alla promozione e distribuzione dei dischi. Ho riesumato i vecchi ricordi dei grandi classici Roadrunner che tanto hanno significato per me in passato... King Diamond, Mercyful fate, Slayer, Obituary, Deicide, Pestilence, e tutti quei ‘guitar-records’ degli anni ‘80. Sono il primo ad ammettere che il loro roster attuale non suscita particolarmente il mio interesse, ma la loro storia è decisamente notevole! Voglio dire, un album come ‘Maximum Security’ di Tony McAlpine la dice lunga... o sbaglio??? Siamo stati sia nella loro sede inglese che in quella americana, firmando per quest’ultima. Mi dissero che per la prima volta nella loro storia una band ha firmato un contratto direttamente con la Roadrunner statunitense. Dopo 15 anni di carriera eravamo alla ricerca di un’etichetta che potesse distribuire ovunque il nuovo disco. Ancora oggi c’è gente che mi dice che non riesce a trovare i nostri lp... mi sembra incredibile! Grazie alla Roadrunner siamo praticamente certi che ‘Ghost Reveries’ sarà disponibile ovunque. Ovviamente questa nostra decisione ci ha portato nuove rogne: all’improvviso alcuni nostri ‘fans’ ci hanno accusato di sputtanamento. Non riesco a credere che dopo tutti questi anni la nostra credibilità sia ancora così fragile. Voglio dire, scriviamo brani di 10 minuti l’uno, dannazione! L’ho detto in passato ma è bene ripeterlo, nessuno potrà mai metter mano sulla musica degli Opeth. It is still, new Cd included, as pure as fucking virgin snow! Se non apprezzate la nostra musica, è un vostro problema, ma non venite ad insultarci con tutte queste storie! E’ ovvio che, specialmente tra i più giovani,


vi sia un’immagine della Roadrunner Records ben diversa da quella che abbiamo noi, nati negli anni ‘70 e cresciuti anche coi dischi pubblicati da quell’etichetta. Mi infastidisce il fatto che gli Opeth siano diventati il bersaglio di tutte queste accuse. Mi è stato detto di tutto, sono stato brutalmente insultato, ma discorsi di questo genere mi fanno davvero imbestialire. Dite che ci siamo svenduti? ‘FANCULO!!! Una volta presa la decisione definitiva, incominciarono i negoziati; potete immaginare ovviamente come noi ragazzi siamo dei sempliciotti da questo punto di vista, e non ce ne intendiamo per niente di contratti e cose del genere. In pratica abbiamo firmato dei fogli di carta senza nemmeno controllare cosa ci fosse scritto sopra. Avrebbe potuto essere un contratto per la parte di cinque omosessuali in un film porno, per quanto ne sapessimo. Posso solo dire che leggere dei noiosi contratti non è certo il motivo per cui ho cominciato a suonare Heavy Metal. Una volta terminate le registrazioni ad Örebro, nuovi impegni ci attendevano. Ovviamente io sono tornato a casa per dedicarmi alla mia famiglia, e devo dire che non è certo semplice badare ad un neonato, soprattutto quando uno è abituato ad alzarsi tardi la mattina come me... ora scendo dal letto non più tardi delle 7.00! Addio notti insonni trascorse a giocare alla PS2!! Non esco più spesso la sera, ma vi dirò... non avrei voluto essere altrove che a casa mia. Gli altri ragazzi si presero qualche giorno di ferie, mentre io cominciai a pensare subito all’artwork del disco e ad altri affari da sbrigare al più presto. Insieme a Peter sono andato alla Royal Library di Stoccolma alla ricerca di qualche vecchia xilografia medievale; l’obiettivo era trovare qualcosa di veramente maligno (yep!), ma fu come cercare un ago in un pa-

gliaio. Nessun risultato. Nel frattempo il buon vecchio Travis Smith mi inviò alcune immagini dei suoi ultimi lavori. Come al solito, non ci sono parole per descrivere il genio di quel ragazzo... le immagini con le candele mi impressionarono letteralmente... ecco la copertina, chi se ne fotte delle xilografie! La adoro! Probabilmente la nostra copertina più gothicoriented, dico bene? Il titolo del disco è stata una delle cose che mi sono venute alla mente così per caso... qualcosa del tipo ‘Ghost Reveries’ o ‘Ghost Letters’, ma la prima suonava molto meglio. Avevo intenzione di realizzare un concept su tematiche occulte, ed iniziai alla grande con alcuni testi malvagi come quelli di ‘The Baying of the Hounds’ e ‘Ghost of Perdition’, quindi ho scritto ‘Isolation Years’ che ben poco aveva a che fare col concept iniziale, ma mi piaceva talmente tanto che abbandonai l’idea originaria in favore di questo brano. Come mai ho voluto trattare questi temi? Beh, si tratta di argomenti che mi hanno sempre affascinato, specialmente il satanismo ed i suoi derivati. Ho studiato alcuni dei libri che guarda caso mia moglie aveva nella sua collezione, tipo ‘Servants of Satan’, ‘Witchcraft and Sorcery’ e roba simile. Pensavo che sarebbe stato interessante scoprire cosa avrebbe combinato su queste tematiche un uomo di 31 anni suonati, in confronto a quanto faceva a 16 anni, quando si divertiva ad assumere pose strane davanti al suo poster dei Bathory. I’m quite happy with them to be honest, and they’re.....evil! Ci fu data anche la possibilità di suonare all’Ozzfest negli Stati Uniti, ma non esiste proprio che noi paghiamo per suonare... eh no, cara Sharon, noi veniamo pagati per suonare. Quest’anno (2005) come in passato si sono alternate sul palco parecchie bands svedesi, ed il fatto che fossimo ancora senza contratto 15


spinse gli organizzatori del festival a rimuovere il nostro nome dall’elenco. Mi sentii leggermente frustrato all’inizio, ma decisamente risollevato in seguito. Solo 3 giorni dopo ci fu offerto di partecipare alla prima edizione del ‘Sounds of the Underground’, tour organizzato dal nostro agente americano Tim Borror. Fu una grossa incognita questa, visto che non conoscevo molti dei gruppi con cui avremmo suonato. Eravamo l’unica band europea, all’interno di una folta schiera di gruppi metal-core - o come diavolo si chiama il genere. Quasi senza convinzione accettammo la proposta, era una sorta di pre-release tour per noi, sarebbe potuto servire a creare una certa aspettativa intorno ad un album che ancora doveva uscire, e non fa mai male suonare davanti a gente sempre nuova. Alla fine il tutto si rivelò un’esperienza magnifica! Ancora non credo a tutta la gente che ho conosciuto in quei giorni. Io e Matt degli High on Fire siamo praticamente due fratelli ora. 16

I Ragazzi dei Clutch sono tra i migliori che io abbia mai conosciuto, ed una sera ci fu anche una lunga jam insieme a loro. Si sono piazzati con la loro strumentazione in un parcheggio di Corpus Christi, in Texas, e tutti questi ragazzi hanno preso a jammare come indiavolati, facendoci letteralmente impazzire! Gli Strapping Young Lad sono ora annoverati tra i miei music-friends preferiti. C’è un qualche strano legame tra me e Devin Townsend, una persona meravigliosa! Gene Hoglan, beh, lui è Gene... il daddy-o più figo del pianeta. Will, il loro tastierista, si scoprì essere un appassionato di Volvo, e non parlava d’altro; gli dissi di possederne una, ed i suoi occhi in quel momento si illuminarono! Cominciò a tempestarmi di domande... ed io ero lì, come dire... “Sai se ti interessa ho delle gomme invernali per la tua Volvo”... non ci capisco nulla di automobili. I ragazzi dei G-War erano così spassosi... davvero ottime persone. E’ stato bello incontrare nuovamente i Devildriver, e Dez mi ha regala-


to tante bottiglie di vino da star male. Spero di riuscire a ripagare il favore, un giorno o l’altro. I Devildriver sono degli ottimi compagni di viaggio per noi, abbiamo trascorso bei momenti insieme a loro e spero di rivederli presto.

Il concerto fu molto bello, con un sacco di gente sotto il palco, 10 o 11 brani ed una folla delirante dal primo all’ultimo minuto. Avevo un face-painting di sangue finto, e tutti indossavamo t-shirts strappate e sporcate di fango e sangue, niente male davvero!

Ancora una volta, tornare a casa significò tutt’altro che riposarsi... c’era un concerto, anzi, IL concerto dei Bloodbath, previsto tre giorni dopo il mio arrivo in Svezia, in pratica ho salutato rapidamente il resto della famiglia prima di precipitarmi a Linköping per le prove generali. Fu magnifico fin dal primo istante. Gli altri ragazzi avevano cominciato senza di me, e quando mi unii a loro fu subito magia!!

Scrivo mentre sono passati appena un paio di giorni dal mio ritoro a casa. In una settimana abbiamo preso 9 voli diversi per altrettante destinazioni in Europa per partecipare ad alcuni festival e conferenze stampa. Pare proprio che questo disco ci porterà ancora più lontano. Per forza, è una figata!

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ghost reveries :: session diary parole di mikael akerfeldt

Avevamo inizialmente prenotato i Fascination Street dal 15 marzo al 18 aprile, ma alla fine siamo rimasti in studio fino al 1° giugno. Un piccolo errore di calcolo? Senz’altro, ma non abbiamo buttato via il nostro tempo. Anche se abbiamo avuto tempo a volontà, ora possiamo dire che di avercela fatta appena in tempo. Come sempre incominciammo con la batteria, e come sempre fu davvero noioso registrarla. Lopez aveva i suoi soliti alti e bassi, e dovevamo aspettare che si trovasse a suo agio ogni volta... ah, questi batteristi! Martin ha utilizzato per questo album il suo Premier kit color vino rosso, nonostante avesse appena siglato un accordo con la Tama. In ogni caso, per la prima volta nella mia vita sentivo che, man mano si procedeva con le registrazioni, le cose non potevano che andare sempre meglio. Già chitarra e batteria da sole bastavano a convincermi della bontà del no-

stro operato!! In passato questo era un vero e proprio scoglio che spesso mi scoraggiava... ora invece mi sentivo eccitato. Fu poi la volta delle chitarre ritmiche... impostare il sound con l’aiuto di Jens fu molto facile e allo stesso tempo interessante. Ne abbiamo provate di ogni, cambiando continuamente le valvole a diversi amplificatori... alla fine ci affidammo a roba di marca Laney, Mesa Boogie, Vox ed anche dei dannati Pod. Odio quella roba, ma non posso negare che svolgano degnamente il loro lavoro. Questa fase sembrò passare rapidamente, ma neanche troppo in rapporto al passato... 7 giorni, contro i 3 di ‘Deliverance’. Jens è molto, molto pignolo, forse troppo per i miei gusti, ma il risultato ci ripaga di tutti gli sforzi e le attese. Sono molto sicuro di me quando suono e non sopporto che mi si dica cosa devo fare, ma credo proprio che senza una certa pressione alle spalle non avrei cer-

Peter e Mikael in studio durante le registrazioni di ‘Ghost Reveries’

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Fascination Street Studios :: l’ingegnere del suono Jens Bogren con Mikael

to raggiunto determinati risultati. Gli assoli furono impresa tosta per me! Eccetto due canzoni, tutti i brani sono stato scritti in accordatura aperta, perciò li dovetti adattare a queste nuove impostazioni. Perciò non potevo solo fare affidamento ai miei soliti passaggi, ma dovevo pensare anche alle note che stavo suonando. Peter realizzò alcune soluzioni molto interessanti, eravamo entrambi d’accordo sul fatto che fosse davvero difficile scrivere assoli con questa nuova accordatura, ma questo ci spinse al contrario a tirar fuori nuove ottime idee! Le chitarre acustiche rappresentarono un altro ostacolo, in quanto non era possibile accordarle esattamente come quelle elettriche. Dovesse mai capitarvi di lavorare con Jens, sappiatelo: lui vi sistemerà perfettamente ogni fottutissima corda se necessario. Per quanto mi riguarda, non mi preoccupo se qualche corda è leggermente fuori tono, ma sembra che lui sia quasi allergico a questa cosa, come se potesse accorgersene solo guardando gli strumenti. Comunque, come chitarre acustiche utilizzammo la mia Martin 00016GT e la mia Takamine a 12 corde... soprattutto quest’ultima, poiché ho

scritto parecchia musica con quella chitarra. Come chitarre elettriche abbiamo utilizzato la mia vecchia PRS Custom 24, la PRS Custom 22 rossa di Peter ed una Fender Stratocaster di Jens inserità qua e là nel disco. Mendez ha eseguito il suo compito in fretta, coi suoi 3 bassi Fender Jazz, di cui uno fretless, che non ricordo se sia stato usato oppure no... credo di sì. Le sue linee di basso su ‘Ghost Reveries’ sono impressionanti, gente!! Il suo lavoro migliore di sempre! Fu poi la volta del nuovo arrivato, Per! Si era portato dietro le sue due tastiere Nordelectro, una utilizzata per tutti gli organi e i pianoforti elettrici, l’altra per tutti i suoni ‘moogheggianti’ e gli effetti. Creammo un ottimo sampler di Mellotron che suonava davvero bene! Abbiamo usato i mellotron Chamberlain a gran dosi, anche se anche i vecchi ‘shouting lady samples’ hanno trovato il loro spazio tra un solco e l’altro. A questo punto tutto suonava meraviglioso, ed ero sicuro che ce l’avremmo messa tutta per realizzare un gran bel disco, ma ero ancora un po’ preoccupato, o forse eccitato, per quanto riguardava 19


la mia voce. Avrei potuto rivoltare la frittata, e questa possibilità mi angosciava. Well, cominciai con le clean vocals, mentre Jens iniziò la fase di missaggio. La prima canzone che registrai fu ‘The Baying of the Hounds’, e fin lì nessun problema. Le linee vocali suonavano molto diverse rispeto al passato, credo anzi di essermi trattenuto molto quando invece avrei dovuto scatenarmi. Cantare per me è una questione mentale, devo sentirmi a mio agio per farlo bene e credo di aver attraversato alcune fasi in cui invece ho cantato davvero male. Ma alla fine il duro lavoro dà i suoi frutti, e posso dire con tutta tranquillità di non aver mai cantato così bene! Le screaming vocals mi misero a dura prova. Non vedo l’ora di rivedere le registrazioni (esatto, filmate come sempre dal nostro ami-

co Fredrik Odefjärd) di quei momenti in cui vomito letteralmente l’anima. Sono letteralmente impazzito. Dopo tutti questi anni la passione viscerale per il Death Metal brucia ancora dentro di me, e cantare liriche malvage mi esalta. Davvero, non è stato per niente facile registrare questo disco alla fine, ma un’impresa titanica come quella dei due album precedenti ci ha resi molto più resistenti! Il mix di Jens è fantastico, un suono che non avremmo neanche lontanamente immaginato in passato. Vi ho avvisati ragazzi, questo tizio farà carriera... ha solo 25 anni ed è meglio di qualsiasi altro con cui abbia lavorato in passato! Da non credere!!! Anche per questa volta è tutto... alla prossima!!

equipment Electric guitars: PRS Custom 24, PRS Custom 22 single cut, Fender Stratocaster A-standard, Gibson SG standard (modified), D’addario strings Bass guitars: Fender Jazz bass (Marcus Miller sign.), Fender Jazz bass fretless, Fender Jazz standard, D’addario strings Acoustic guitars: CF Martin 00016GT, Takamine 12 string, Thomastik strings, D’addario strings (Phosphor bronze) Drums: Tama Custom kit, Sabian cymbals, Vic Firth sticks, Remo heads, various percussion instruments Amps: Laney (various), Mesa Boogie Rectifiers, Vox hybrid amp, Ampeg (Bass amp) Keyboards: Nord Electro, Nord Lead, both from Clavia 20


ghost reveries :: testi a cura di eugenio crippa

introduzione E venne il giorno in cui cominciai a tradurre i testi di ‘Ghost Reveries’. Sembrava all’inizio di trovarsi di fronte ad una serie di frasi senza senso, come buttate lì a casaccio, ma un enorme aiuto mi fu fornito da una discussione comparsa su un Opeth-forum, letta distrattamente e poi accantonata, dedicata proprio all’analisi delle liriche del disco in questione; quanto segue perciò non è tutta farina del mio sacco, voglio ammetterlo prima di fare brutte figure col pubblico a casa. Tuttavia il mio compito, seppur alleggerito, non è per niente facile: vorrei vedere voi alle prese coi testi di Mikael, frasi che non si sa bene se attribuire a qualche sorta di inarrivabile ermetismo oppure ad una specie di “Opeth Lyrics Random Generator”. Un nuovo poeta del terzo millennio, oppure un semplice menestrello che forse farebbe bene ad accontentarsi di saper suonare [ottimamente] la propria chitarra? Ai posteri l’ardua sentenza... Prima di procedere, rispondiamo però alla domanda che mezzo pianeta si è posto subito dopo aver acquistato l’album: sì, ‘Ghost Reveries’ è senza dubbio un concept album. Lo definirei una sorta di “mezzo concept”, in cui l’idea di base viene sviluppata maggiormente sul piano concettuale, a scapito di quello narrativo. Come scritto dallo stesso Mikael nella biografia, è tutta colpa di ‘Isolation Years’, un brano che è affiorato improvvisamente a concept iniziato, ma che tanto è piaciuto all’autore da essere comunque incluso nel prodotto finale. 21


ghost of perdition Sin dalla lettura dei primi versi si ha l’impressione che ‘Ghost Reveries’ potrebbe piacere anche agli autori di Dylan Dog! Una donna è distesa su un letto, su cui incombe una presenza malvagia: la Morte è in agguato. Il volto della donna delinea uno stato di salute tutt’altro che ottimo: sta per partorire lo ‘Spirito della dannazione’, cresciuto in lei presumibilmente in seguito ad un patto diabolico: la versione satanica della ben nota saga della Madonna e dello Spirito Santo. La donna partorisce, e paga con la morte la sua sete di sapere: fin troppo ha voluto addentrarsi in un mondo mistico e sconosciuto ai più; se il neonato sia di sesso femminile o maschile non è dato saperlo; propenderei per la prima ipotesi... del resto, come recita il titolo di un vecchio film, “il diavolo è donna”! Ghost of Mother Lingering death Ghost on Mother’s bed Black strands on the pillow Contour of her health Twisted face upon the head Ghost of Perdition Stuck in her chest A warning no one read Tragic friendship Called inside the fog Pouring venom brew deceiving Devil cracked the earthly shell Foretold she was the one Blew hope into the room and said: “You have to live before you die young” Holding her down Channelling darkness Hemlock for the Gods Fading resistance Draining the weakness Penetrating inner light Road into the dark unaware Winding ever higher Darkness by her side Spoke and passed her by Dedicated hunter

Spirito della Madre La morte è in agguato Una presenza invisibile sopra il letto Trame nere sul cuscino Segni della sua salute precaria Delineano un volto deturpato Spirito della dannazione Insito nel suo petto Un avvertimento a cui nessuno ha fatto caso Una falsa amicizia Sancita nella nebbia Un veleno iniettato con l’inganno (1) Il Diavolo ha rotto questo involucro terreno Aveva predetto che lei era l’eletta Portò speranza all’interno della stanza, e disse: “Vivrai prima di morire giovane” (2) Immobilizzandola L’oscurità penetra in lei Un veleno per gli dèi Le forze vengono meno Ogni debole resistenza è vana Una luce penetra nel suo corpo Si addentra in territori oscuri, inconsapevole Verso conoscenze per lei troppo grandi (3) L’oscurità al suo fianco Le parlò, per poi allontanarsi Un cacciatore scrupoloso

1 ‘Friendship’ è appunto il legame instaurato col Diavolo in persona, definito ‘tragico’ poiché probabilmente la donna non sapeva a cosa sarebbe andata incontro; ‘a warning no one read’ si riferisce al fatto che nessuno intorno a lei si è accorto che qualcosa di terribile sarebbe successo a breve. La nebbia può essere anche una metafora dello stato confusionale della donna nel momento in cui è stato stabilito il patto col demonio. 2 La donna (‘earthly shell’) teneva dunque in grembo una creatura malvagia: un figlio il cui padre è il Diavolo stesso! La frase ‘You have to live before you die young’ significa che il Diavolo ci tiene a tenere in vita questa nuova progenie, un servitore fedele fino alla morte. 3 Con tutta probabilità si tratta di un ritorno al passato, suggerito musicalmente da un break acustico: la donna si interessa a tematiche occulte, senza sapere che la sua brama di conoscenze la porterà a contatto con una realtà soprannaturale.

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Waits to pull us under Rose up to it’s call In his arms she’d fall Mother light received And a faithful servant’s free In time the hissing of her sanity Faded out her voice and soiled her name And like marked pages in a diary Everything seemed clean that is unstained The incoherent talk of ordinary days Why would we really need to live? Decide what is clear and what’s within a haze What you should take and what to give Ghost of perdition A saint’s premonition’s unclear Keeper of holy hordes Keeper of holy whores To see a beloved son In despair of what’s to come If one cut the source of the flow And everything would change Would conviction fall In the shadow of the righteous The phantasm of your mind Might be calling you to go Defying the forgotten morals Where the victim is the prey

Che aspetta solo di poterci affossare Risponde sempre ai Suoi comandi Lei cadrà tra le sue braccia Ricevendo finalmente la luce E la libertà di un servo fedele (4) Appena in tempo, un ultimo gemito di coscienza Sussurrò il suo nome con un filo di voce E come delle pagine marcate in un diario Sembrò tutto chiaro, evidente Le chiacchiere senza senso della vita di tutti i giorni Chi ha detto che dobbiamo vivere a tutti i costi? Distingui ciò che ti è chiaro da ciò che ti è confuso Ciò che ti spetta e ciò che dovresti dare agli altri (5) Spirito della dannazione Premonizione malvagia di un profeta Guardiano di schiere sacre Guardiano di puttane sacre (6) Osserva il proprio figlio diletto Disperata, poiché conosce il suo destino (7) Se qualcuno stravolgesse il sistema alla radice E cambiasse le regole del gioco Forse le comuni credenze sarebbero oscurate Dall’ombra dei giusti Le illusioni create dalla tua mente Potrebbero chiamarti verso una nuova esistenza Facendoti rinnegare princìpi ormai obsoleti In cui la vittima è la preda (8)

4 E’ chiaro in questi versi come la Madre sia destinata a morire subito dopo il parto. Del resto, si intuiva sin dall’inizio che la Morte incombente stava aspettando solo il momento giusto. 5 Altro flashback? La donna deve accettare il suo destino: probabilmente in questo momento sta cercando di rileggere la propria esistenza e le proprie azioni in modo tale da alleviare la sua sofferenza: vengono sollevati dubbi addirittura sulla necessità della vita terrena, in una sorta di autoconvincimento: siglare un patto col Diavolo è stata una scelta azzeccata! 6 Questi versi chiariscono il ruolo del ‘Ghost of Perdition’ partorito dalla donna: una volta cresciuto, sarà suo compito radunare schiere di nuovi adepti del Male. 7 Altro volo pindarico? Rileggerei queste due righe attraverso filtro dell’amore materno: la donna sa bene chi, o meglio, cosa sta per partorire, tuttavia il suo innato affetto per un ‘figlio’ che non avrà mai occasione di veder crescere la rende triste. 8 In conclusione, ecco i benefici che la gente ricaverebbe da un rovesciamento del sistema: se venisse meno il legame tra Dio ed il suo regno (e, di conseguenza, i suoi schiavi), finalmente vecchie credenze, usanze, tradizioni, ormai di facciata, cadrebbero senza indugi.

the baying of the hounds Ok, sappiamo che la Madre nel primo capitolo di questo concept è defunta durante il parto; dimentichiamoci di lei: d’ora in poi la vera protagonista è questa progenie diabolica, una creatura di sesso femminile che vive tra la Terra e l’Inferno. Vittima inconsapevole degli eventi, crescerà ed imparerà presto a conoscere il proprio Padrone. 23


I hear the baying of the hounds In the distance, I hear them devouring Pest-ridden jackals of the earth Diabolical beasts and roaming the forests In wait and constant protectors Calling you to sit by his side Your self-loathing image in his flesh A revelation upon which you linger His words are flies Swarming towards the true insects Feasting on buried dreams And spreading decay upon your skin His eyes spew forth a darkness That cut through and paralyze Casts light upon your secrets Forced to confront your enemies His mouth is a vortex Sucking you into it’s pandemonium Fools you with a helping hand of ashes Reached out in false dismay His body is a country The cities lay dead and beyond despair Friends turned enemies unable to come clean In a rising fog of reeking death Everything you believed is a lie Everyone you loved is a death-burden So you take comfort in him And you are receptive to stark wishes No longer struggling to declare your stand You would inflict no harm to others They are unaware and in a loop of futile events You are everything, they are nothing Drown in the deep mire With past desires Beneath the mire Drown desire now with you Lined up verses on dead skin “The tainting lips of a stranger

Sento i latrati dei segugi Provenire da lontano, mentre si nutrono Sciacalli appestati che camminano sulla Terra Bestie diaboliche che si aggirano per la foresta Sono in agguato, protettori fedeli Ti richiamano al Suo fianco Sai a malincuore di essere parte di Lui Una constatazione su cui rifletti a lungo (1) Le sue parole nascondono insidie Sono rivolte a quegli insetti Che si nutrono di sogni sepolti E fanno marcire la tua pelle I suoi occhi emanano un’oscurità indicibile Tagliente e paralizzante Che porta alla luce i tuoi segreti Costringendoti ad affrontare le tue paure La sua bocca è una spirale Che ti risucchia nel suo vortice Ti inganna porgendoti un finto aiuto Allungando la sua mano di cenere in una falsa paura Il suo corpo è come un immenso territorio Le cui città giacciono defunte oltre ogni immaginazione Vecchi amici si sono rivelati nemici inguaribili Cresce una nebbia che puzza di morte (2) Tutto ciò in cui credevi è falso Hai amato solo dei semplici corpi senza vita Perciò ti rifugi in lui E presti attenzione alle sue semplici richieste Non dovrai più combattere per farti valere Non sarai più costretta a far male ad altri Loro non sono altro che pedine in balia degli eventi Solo tu conti, loro non sono niente (3) Sopraffatta dall’oscurità profonda Insieme a desideri ormai vani In questo vortice di ricordi Ti confronti col tuo passato (4) Un verso, inciso sulla pelle morta, recita: “Le labbra infette di uno straniero

1 ‘The Baying of the Hounds’ è con tutta probabilità una metafora, che indica il richiamo delle schiere del Male verso i servi di Satana in missione sulla Terra. Questi ultimi sono richiamati al cospetto del padrone ad ogni suo ordine, sono schiavi e allo stesso tempo ‘estensioni’ del Demonio (‘image in his flesh’): è una condizione poco piacevole (‘self-loathing’, che odia se stesso) ma da cui non è possibile sottrarsi in alcun modo. 2 Questi versi spiegano evidentemente di che pasta sia fatto il Demonio, e che poteri abbia sui suoi sudditi: Lei odia il suo padrone come se stessa in questo momento, eppure non ha altra possibilità che prostrarsi al suo cospetto ogni volta che si troverà in difficoltà. Un solo sguardo di quegli occhi diabolici, ed ecco affiorare i pensieri del povero malcapitato! ‘True insects’ è un evidente riferimento all’umanità, che si nutre costantemente di illusioni (‘buried dreams’). 3 La protagonista comincia a cedere, ad arrendersi: guarda al passato con occhi diversi, realizzando – probabilmente inconsciamente – quanto vuota e senza senso si sia rivelata la sua esistenza. ‘You are everything, they are nothing’ rafforza in Lei l’idea che la vita terrena non abbia nulla a che vedere con quanto verrà dopo… a patto di schierarsi dalla parte giusta! 4 Altra metafora, ad indicare una sorta di purificazione: come se un lavaggio del cervello abbia definitivamente rimosso i ricordi dalla mente della protagonista. ‘Mire’ è letteralmente ‘pantano’, ‘melma’, ma ben poco si adatta al contesto una traduzione del genere.

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Resting upon hers”

Confidano in lei”

And I embrace bereavement Everything beloved is shattered anyway I would devote myself to anyone I would accept any flaws I am too weak to resist Tension vibrating with horror Finding the outcast in my eyes Pushing nerves on a puppet Endless poison in my veins Clean intent now tainted with death And so, cold touch now inhumane Every waking hour Awaiting a reverie to unfold And now they are calling me Louder by the minute The baying of the hounds Calling me back to my home

Accetto così il lutto Ogni passione è stata definitivamente rimossa Mi concederei a chiunque Sono disposta a qualsiasi compromesso Sono troppo debole per riuscire a resistere L’atmosfera è tesa e pregna di orrore Mi riconosco tra i reietti Che sollecitano i nervi di un pupazzo Un veleno senza fine scorre nelle mie vene Ogni mia azione sarà d’ora in poi marchiata dalla morte Ed ora, il mio tocco gelido non ha più nulla di umano Ogni mattina Attendono l’evolversi degli eventi Ora mi stanno chiamando Con voce sempre più forte Il latrato dei segugi Mi richiama verso la mia dimora (5)

5 Alla fine non ci è voluto molto a convincerla ad accettare questa sua vita. Quella che all’inizio sembra una condanna diventa pian piano un modo per dare un vero senso alla propria ‘vita’, un’esistenza concreta contro quella vuota ed ipocrita dei ‘terrestri’. Nell’ultimo paragrafo, il ‘richiamo della foresta’ conclude le danze. ‘Cold touch now inhumane’ sottolinea come non vi sia più nulla di umano nella protagonista. ‘Reverie’ è una parola che può avere molteplici significati; in questo caso è stata tradotta con ‘eventi’, di cui Lei sarà artefice. Terminata l’ora di libertà, Lei richiamata dalle armate di Satana a gran voce, invitata a riunirsi al Suo gregge infernale!

beneath the mire Haunted nights for halcyon days Can’t sleep to the scraping of his voice Nature’s way struck grief in me And I became a ghost in sickness Willingly guided into heresy Beneath the surface, stark emptiness And you’d pity my conviction Whereas I thought of myself as a leader

Notti di caccia in cambio di giornate felici La sua voce stridula mi impedisce di dormire Il corso degli eventi ha acceso l’angoscia in me E sono diventata un fantasma malato Sono stata guidata nell’eresia senza oppormi Dentro questo mio involucro c’è un vuoto totale Provate forse compassione per questa mia condanna Eppure mi sento un leader in questo momento (1)

You’d cling to your pleasant hope It is twisted fascination While I’d ruin the obstacles into despair And I’m praising death

Chi non confiderebbe in una piacevole speranza Dal fascino perverso Mentre trasformerò le difficoltà in disperazione Ed invocherò la morte

1 Consapevolezza. Ciò che si vuole mettere in luce all’inizio di questo terzo brano è come Lei sia definitivamente conscia di ciò che è diventata. Senz’altro non avrebbe avuto via di scampo in alcun modo, eppure ora è certa che la decisione di servire il Signore degli inferi è esclusivamente frutto della sua volontà. Il suo ‘corpo’ è ormai un guscio vuoto, ma non ha alcuna importanza; probabilmente in molti avrebbero pietà di Lei, ma la sua condizione di comandante di orde sataniche le piace, la fa sentire un vero capo.

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Lost love of the heart In a holocaust scene memory Decrepit body wearing transparent skin Inside, the smoke of failure Wept for solace and submit to faith In his shadow I’m choking Yet flourishing

Master A delusion made me stronger Yet I’m draped in pale withering flesh I sacrificed more than I had And left my woes beneath the mire

L’amore genuino è ormai perduto Nel ricordo di una scena di olocausto Il mio corpo decrepito indossa una pelle trasparente All’interno, il fumo del fallimento Ho pianto in cerca di conforto e ho accettato il mio destino Schiacciata dalla sua ombra, soccombo E allo stesso tempo, ritrovo me stessa Master Ciò che non mi ha distrutta, mi ha resa più forte Tuttavia questa carne bianca ricopre interamente il mio corpo Non ho nemmeno idea di quanto ho dovuto sacrificare Per cancellare del tutto i miei timori (2)

2 Altre variazioni sul tema: cresce il contrasto tra quanto potrebbe rivelarsi un incredibile errore (‘a delusion…’), ma allo stesso tempo una saggia decisione (‘…made me stronger’); stiamo sempre parlando di devozione totale al padrone delle tenebre, in queste righe solennemente invocato. Torna la metafora dei vecchi desideri e paure, che l’intervento di Satana ha cancellato. O almeno, ha dato l’illusione di averlo fatto…

atonement Atmosfere rilassate per questo brano, che finalmente concede all’ascoltatore qualche minuto di tregua, dopo le cavalcate metalliche degli episodi precedenti. Ancora una volta, la musica segue le parole: non c’e’ azione in questi versi, solo momenti di riflessione. Clear the fog that was veiled around me And blurred my sights Suddenly, I’m no longer aching to Honour my plights Rising moon and my skin is peeling Past undone Suddenly, I can’t justify What I had become

E’ svanita la nebbia che mi circondava come un velo E che oscurava il mio sguardo Improvvisamente, non sono più costretta a soffrire Per onorare i miei impegni La luna sorge, sto cambiando pelle (1) Un passato rovinato Improvvisamente, non riesco a giustificare Ciò che sono diventata (2)

1 Come gli animali cambiano il pelo periodicamente, così avviene per la nostra eroina. Anche il sorgere della Luna indica un cambiamento, l’inizio di una nuova esistenza. 2 Ora Lei guarda alla realtà con occhi diversi, addirittura non si riconosce più nella persona di un tempo: è il rinnegamento del proprio passato.

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reverie / harlequin forest Ennesima metafora in apertura di questo lungo brano: alberi = uomini. Questa intuizione non sembra affatto azzardata, è anzi confermata da una lettura attenta dei testi. La protagonista si trova sulla Terra, in mezzo ad una ‘foresta umana’: ancora una volta rifletterà sulla ‘vita terrestre’, confrontandola con la propria esistenza. Into the trees Past meadow grounds And further away from my home Baying behind me I hear the hounds Flock’s chasing to find me alone

Tra queste persone immobili Frammenti di un passato terreno E mentre mi allontano ancor di più dalla mia dimora Sento i segugi alle mie spalle Mi stanno richiamando Un intero branco all’inseguimento di una sola creatura

A trail of sickness Leading to me If I am haunted Then you will see

Una schiera malvagia Diretta verso di me Se io sono la preda Te ne accorgerai (1)

Searching the darkness And emptiness I’m hiding away from the sun Will never rest Will never be at ease All my matter’s expired so I run

In cerca dell’oscurità E del nulla Mi nascondo al riparo dai raggi del sole Non potrò mai riposarmi Né starmene tranquilla Il mio tempo è scaduto, perciò fuggo via (2)

There falls another Vapor hands released the blade Insane regrets at the drop Instruments of death before me

Un altro essere è spirato Mani di vapore rilasciano la lama Rimpianti malati mentre il sangue gocciola Sono stata guidata da una forza malvagia (3)

Lose all to save a little At your peril it’s justified And dismiss your demons As death becomes a jest You are the laughing stock Of the absinthe minded Confessions stuck in your mouth And long gone fevers reappear Nocturnally helpless And weak in the light Depending on a prayer Pacing deserted roads to find A seed of hope

Perdere tutto per salvare quel poco Un gioco che vale la candela Allontanate le vostre ansie Quando la morte diventa solo un brutto scherzo Siete soltanto un mucchio di buffoni Guidati dalla vostra mente inconsapevole Mentre pronunciate i vostri ultimi segreti Ho quasi nostalgia dei vecchi tempi (4) Di notte indifesi Così deboli durante il giorno Aggrappati ad una preghiera Percorrono strade deserte nella vana ricerca Di un briciolo di speranza

1 Come annunciato inizialmente, ecco la protagonista in missione: Lei torna sulla Terra, e rivede alcuni personaggi che ha conosciuto in vita; sa che ben presto le armate (‘hounds’) di Satana la riporteranno a ‘casa’. In questo senso, la frase ‘If I am haunted’ è palesemente retorica. 2 Una sorta di ribellione? Sembrerebbe stia cercando di sfuggire al richiamo, prolungando la sua permanenza sulla Terra… 3 La morte di un essere vivente e la lama sono elementi abbastanza chiari per poter dire quale compito Le sia stato affidato dal Demonio: uccidere! 4 Brutto affare diventare un killer al soldo di Satana, eppure Lei deve giustificare il suo operato, se vuole dare un senso a quanto sta facendo. E’ come se si stesse rivolgendo alle proprie vittime, qualche istante prima di ammazzarle: la loro vita è insignificante, una vittima in piu o in meno non fa alcuna differenza.

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They are the trees Rotten pulp inside and never well Roots sucking, thieving from my source Tired boughs reaching for the light It is all false pretension Harlequin forest Awaiting redemption for a lifetime As they die alone With no one by their side Are they forgiven?

Sono come degli alberi Il cui legname all’interno è marcio, inguaribile Le loro radici succhiano la mia forza vitale I loro rami stanchi si protraggono verso la luce Non è che una finta ambizione I folli attori di questa foresta incantata Attendono una vita intera la redenzione Ma quando muoiono in solitudine Senza nessuno al loro fianco Qualcuno perdona forse i loro peccati? (5)

Stark determination Poisoning the soul Unfettered beast inside Claiming sovereign control

Sento una forza in me Avvelenarmi l’anima Come una bestia selvaggia al mio interno Che rivendica il controllo su di me

And now the woods are burning Tearing life crops asunder Useless blackened remains Still pyre smouldering

E vedo le foreste in fiamme Mucchi di persone ridotti in cenere Trasformati in una landa desolata e nera Mentre alcuni roghi ardono ancora (6)

5 Ecco l’umanità intera, vista attraverso i nuovi occhi di Lei: individui deboli, insignificanti, che ripongono tutte le proprie speranze nei propri lamenti, nelle proprie preghiere. Prosegue infatti la descrizione, e torna la metafora delle piante: l’uomo è corrotto, ipocrita: sfrutta la Terra, e si protende verso il Regno dei Cieli. Nutre un sentimento orrendo, l’indifferenza. Purtroppo per lui, lo stesso Dio che l’uomo venera è del tutto indifferente a quanto accade sulla Terra. 6 Termina il brano, terminano le riflessioni; Satana riprende il controllo della sua serva prediletta. Mentre torna a ‘casa’, vede la foresta trasformarsi in un gigantesco rogo: esseri umani allo spiedo, una vera prelibatezza!!!

hours of wealth Altra canzone dai toni decisamente rilassati. In questa occasione la protagonista pensa al distacco ormai totale tra Lei e coloro che ancora trascorrono la propria vita sulla Terra. I ‘momenti di benessere’ del titolo fanno intendere come si trovi a suo agio in queste condizioni; scorgiamo una vena malinconica in queste riflessioni, accentuata dal fatto che, mentre Lei sembra riconoscere chiunque scorga dalla sua ‘finestra’, nessuno si accorge invece della sua presenza. Found a way to rid myself clean of pain And the fever that’s been haunting me Has gone away

Looking through my window I seem to recognize All the people passing by But I am alone And far from home And nobody knows me 28

Ho trovato un modo per cancellare tutto il dolore che mi affliggeva E quel malessere che mi ha perseguitato a lungo E’ ora del tutto scomparso Ogni volta che guardo attraverso la mia finestra Mi sembra di riconoscere Ogni persona che mi passa davanti Ma sono sola E lontana da casa E nessuno mi conosce


Never heard me say goodbye Never shall I speak to anyone again All days are in darkness And I’m biding my time Once I am sure of my task I will rise again

Non mi hanno mai notata quando li salutavo Mai più potrò parlare a nessuno Vivo nella più totale oscurità Lascio scorrere il tempo Quando sarò sicura dei miei obiettivi rinascerò nuovamente

the grand conjuration ‘Pour yourself into me’! Ghost Reveries Atto Finale: il Diavolo si riversa nel corpo della donna. Come detto inizialmente, il Diavolo è Donna! Pensate che le fattezze angeliche di qualche fanciulla nascondano in realtà una qualche presenza diabolica? Forse non avete tutti i torti! Majesty Faithful me Pour yourself Into me Wield your power Martyr’s price Stare me down To the ground Slake my thirst Eternal wealth Heathen key Round my neck This poetry Our blasphemy Know the sounds Of infamy The eyes of the devil Fixed on his sinners

Oh mio Signore Ti sono fedele Riversati In me Esercita il tuo potere Il prezzo del martire Fissami intensamente Verso il basso Dissetami Donami eterna giovinezza Un simbolo pagano Appeso al mio collo Questa poesia Per noi blasfema Conosce il suono Dell’infamia (1) Gli occhi del demonio Fissano i Suoi peccatori

1 Se non avete scordato i testi dell’opener, ‘Ghost of Perdition’, ricorderete come tutto fosse stato predetto (‘Foretold she was the one’): Lei è l’eletta, destinata ad ospitare il Demonio dentro di sé. Vediamo allora di ricostruire la vicenda sin dall’inizio: la Madre della protagonista si interessa, magari casualmente, a tematiche occulte fino a restarne affascinata. Evidentemente, non sapeva a cosa stesse andando incontro: il Demonio nel frattempo la osserva, e capisce ben presto di aver individuato l’essere perfetto da sfruttare per i suoi obiettivi. Non è difficile, una volta siglato il patto, convincere la protagonista di quanto sia migliore un giorno da cacciatrice infernale, piuttosto che cento da servi di Dio. I brani precedenti hanno mostrato come i tentativi – se mai ce ne fossero stati di concreti - di tornare sui propri passi si siano rivelati del tutto vani: un corpo perfetto è stato forgiato con sapienza, non resta altro da fare che impossessarsene definitivamente.

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The hands of Satan Assembling his flock Pale horse rider Searching the earth Whispered conjuration A belief takes form Choking hand tapping The veins in your throat

Con un gesto delle mani Satana raduna le sue schiere A cavallo di uno stallone bianco Si aggira per la terra Una congiura occultata Un nuovo credo prende forma Come una mano che ti strozza Tappandoti le vene della gola (2)

His orders in your mouth A decree for domination Beneath the tides of wisdom Spins the undertow of hate

Pronunci i Suoi ordini La sete di conquista Sotto le ali della saggezza Mette in moto la risacca dell’odio

Injected seeds of vengeance Usurper’s eyes of the powerless Clean path to his kingdom Beckoning in the mist Tell me why Love subsides In the light Of your wishes Say my name Ease the pain Clear the smoke In my head

I semi della vendetta sono stati iniettati Gli occhi dell’usurpatore sugli indifesi La strada verso il regno è ormai spianata Un regno che risplende su tutti (3) Spiegami perché L’amore è accecato Dallla luce Dei tuoi ordini Invoca il mio nome Allevia il dolore Cancella la confusione Nella mia mente (4)

2 Eccola qui, la ‘Grand Conjuration’: una colossale fregatura ai danni dell’umanità intera, che paga a caro prezzo la sua indifferenza. Sì è detto in precedenza di come nessuno si sia accorto di quanto stava accadendo alla ragazza, approfittarne è stato per il Diavolo un gioco da ragazzi. Vi state chiedendo cosa c’entri tutto questo con le immagini del videoclip promozionale di questo brano? Me lo sto chiedendo anche io!!! 3 Questi versi indicano che la trasformazione è avvenuta: Satana comunica ora attraverso il corpo di Lei. La riga ‘Injected seeds of vengeance’ mostra come il Signore dell’Inferno non abbia alcun bisogno di scomodarsi troppo: basta uno sguardo per condizionare le deboli menti dei comuni mortali, e spingerli a combattere l’uno contro l’altro, il cosiddetto ‘Butterfly Effect’ è garantito! 4 Un’ultima invocazione da parte della protagonista verso il suo padrone. Evidentemente quest’ultimo è ospite del suo corpo, ma la mente di Lei è ancora presente. Conclusione dai toni passionali: forse che la nostra eroina si sia alla fine innamorata del Diavolo? Del resto, sulla Terra si è sempre sentita ignorata, questa è la sua ultima occasione per trovare finalmente qualcuno che si preoccupi per Lei: in cambio, offrirà la sua eterna devozione e gratitudine.

isolation years L’ultimo episodio di questo album è un brano che ben poco ha a che fare col concept sviluppato nei capitoli precedenti; come ha affermato lo stesso Mikael, un peccato non includere questa canzone nel disco, così come – aggiungo io – è un peccato che la magia sfumi dopo quattro minuti scarsi. 30


There’s a sense of longing in me As I read Rosemary’s letter Her writing honest Can’t forget the years she’s lost In isolation She talks about her love And as I read “I’ll die alone” I know she’s aching There’s a certain detail seen here The pen must have slipped to the side And left a stain Next to his name She knows he’s gone And isolation Is all that would remain “The wound in me is pouring out To rest on a lover’s shore”

Provo una sensazione di malinconia Ho appena letto la lettera di Rosemary Le sue parole sono genuine Non posso dimenticare tutti gli anni trascorsi In esilio Racconta della sua storia d’amore E quando leggo “Morirò in solitudine” Capisco quanto stesse soffrendo C’è qualcosa che mi colpisce in questo punto La penna dev’essere scivolata sulla carta Lasciando una macchia d’inchiostro Di fianco al nome di lui Sapeva che ogni speranza era ormai svanita Solitudine Non resterà altro “Questa mia ferita interiore è sempre più dolorosa Mi distenderò sulla spiaggia di un amante”

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Del Wacken Open Air non si parlerà mai abbastanza: ciascuno avrà una storia completamente diversa da raccontare, ed ognuna sarà egualmente interessante. Questo festival, nato nel lontano 1990 e meta al giorno d’oggi delle vacanze di migliaia di rispettosi metallari, non teme la concorrenza dei vari Summer Breeze, Bang Your head, Sweden Rock, Sziget & co. nati negli ultimi anni. Credo che insieme al W:O:A, solo il Dynamo Open Air possa vantare di essere stato uno dei primissimi festival Heavy Metal. Ricordo ancora quando sfogliavo le pagine di Psycho! (R.I.P.) e leggevo i report del Dynamo, il migliore evento Metal in circolazione, a detta dei giornalisti che vi scrivevano. Solo nel 2002 ho avuto occasione di parteciparvi, si trattava di un’edizione ridotta ad un giorno solo, dopo che l’anno precedente era stata annullata causa BSE. Highlight dell’edizione 2002 del Dynamo Open Air? Pain of Salvation e Opeth (ovviamente), senza dimenticare i casinisti Finntroll e la macchina da guerra Strapping Young Lad. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia. Wacken Open Air, dicevamo. Probabilmente quindici anni fa nessuno avrebbe mai immagi-

nato che quella manifestazione nata in mezzo ai campi sterminati nell’estremo nord della Germania, meta a quei tempi giusto di un centinaio di appassionati, sarebbe poi diventata un evento famoso in tutto il mondo, in grado di radunare decine di migliaia di persone, che per tre giorni all’anno trovano qui il proprio paradiso personale. Se i succitati concorrenti sono comunque in grado di tenere il passo del Wacken Open Air, senz’altro quest’ultimo ha dalla sua una longevità senza pari, e quindi una sorta di sacralità, tanto che in molti affermano che un metallaro DOC non può non parteciparvi almeno una volta nella vita. Il mio battesimo di fuoco è avvenuto proprio la scorsa estate, un battesimo davvero niente male! Lo spunto giusto è arrivato dal mio amico Fabio: presentiamoci come membri dello staff del mio Opeth-blog, opeth.splinder.com, e vediamo se gli oranizzatori ci assegnano un paio di accrediti; in tal modo avremmo avuto la possibilità di accedere alla Press Area - con tutti i vantaggi del caso - e soprattutto maggiori probabilità di incrociare Mikael, presente in qualità di cantante della swedish-allstars-band Bloodbath. 33


Ad inizio luglio arriva la conferma... benissimo, non ci resta che prenotare i biglietti per l’aereo, organizzare materiale vario e bagagli, ed attendere il fatidico giorno. Data la lontananza, ho imposto l’uso dell’aereo: il viaggio via terra dura 15 ore in media... no, grazie! Quando vorrò attraversare la Germania intera in autostrada, vedrò di organizzare una vacanza apposta per quello. Il piano generale prevede per il 3 agosto la partenza da Orio al serio (BG) con volo Ryanair diretto a Lubecca, dove avremmo pernottato per poi dirigerci a Wacken il giorno seguente. Ci accorgiamo ben presto di essere accompagnati da parecchi metallari, che durante il volo avranno occasione di fare la loro figura barbina, facendosi sequestrare la bottiglia di grappa che si stavano scolando tra un inno a satana ed uno smadonnamento! Ci si meraviglia del fatto che si parli male del ‘metallaro’, certo è che questa occasione è stata servita su un piatto di platino!! Il primo giorno di festival prevede solo 4 concerti, a partire dalle 18.00, perciò avremo tutto il tempo che vorremo per organizzarci al meglio. Il 7 agosto, ritorno a Lubecca, da cui poi il giorno successivo avremmo preso l’aereo del ritorno in patria. Se il WOA è un evento che non può mancare nel curriculum di un metallaro che si rispetti, Lubecca è una di quelle città da sogno da visitare assolutamente non appena se ne presenta l’occasione. A mio modesto parere, ovviamente! E qui potrei dilungarmi all’infinito, ma mi limiterò a mettervi la pulce nell’orecchio, tornando all’argomento principale di questo articolo: la musica. Non c’è dubbio sul fatto che il WOA per essere ‘compreso’ debba essere vissuto: possono presentarvelo in mille salse diverse, ma assaporarlo di persona è un’esperienza che non vale la somma di tutto l’inchiostro - compreso quello virtuale - speso da chi di dovere. Attenzione, con questo non sto dicendo che recensire il WOA sia cosa inutile! 34

Devo confessarlo, non sono più un metallaro duro e puro di un tempo, ritengo di aver raffinato da tempo i miei gusti, eppure è impossibile non restare meravigliati, quando ci si accorge di trovarsi nel bel mezzo di una vera e propria festa. Bisogna ficcarselo in testa sin dall’inizio: lo scopo del WOA è il puro e semplice divertimento! Niente storie sul fatto che certa musica è troppo datata o roba simile!! Vi dirò di più, sembrava a volte mi che il dover assistere ai concerti rubasse tempo al mio desiderio di esplorare l’area del festival in ogni suo angolo. Come se fosse il film ad interrompere la pubblicità. Solo il terzo giorno, ad esempio, sono riuscito a visitare il fantomatico ‘Metal Market’, un tendone che ospita al suo interno una piccola fiera del disco. Da una stanza contigua, cavalcate metalliche a suon di Iron Maiden e Judas Priest, e chiasso del pubblico ogni cinque secondi... accidenti - ho pensato - saranno pure bravi questi qua con le cover dei grandi classici, ma l’entusiasmo era veramente alle stelle: il motivo è presto spiegato, avvenenti donzelle si stavano esibendo in uno spettacolo a luci


Candlemass

rosse! Peccato aver dato appuntamento di lì a poco ad un’amica per lo show dei Finntroll... rozzi finlandesi al posto di pulzelle acqua e rose... brrrrrr!!! Piccola parentesi atmosferica: la pioggia non ha dato tregua, letteralmente! Già le previsioni erano alquanto malevole, però chi può sapere in realtà come andranno poi le cose... Wacken sorge su un terreno nero, già umido di per sè: l’effetto dell’acqua è stato devastante! Fango ovunque, tanto che per passare da un estremo all’altro della zona concerti ci voleva un quarto d’ora minimo. Senza contare che a migliaia ogni giorno si spostavano dai palchi al campeggio ai vari mercatini e birrerie disseminati nell’area. Ben piu’ di un’autovettura ha avuto bisogno di una spintarella da parte dei trattori - che portavano il fieno da distribuire sopra la melma - per uscire dal pantano. Ovviamente tutti questi impedimenti non hanno fermato nessuno! Un’organizzazione impeccabile ha fatto sì che ogni show avesse inizio e fine agli orari prestabiliti, e l’headbanging sfrenato non è stato certo rallentato

da un paio di miseri acquazzoni! E’ toccato ai norvegesi TRISTANIA aprire le danze. Sono passati diversi anni dalla prima ed unica volta che li vidi, quel lontano 3 dicembre 1999, al Binario Zero di Milano, in compagnia di Tiamat e Anathema, e sono passati anche almeno 3 album di Gothic Metal canonico. Promossi o bocciati, non saprei, fatto sta che mi hanno presto annoiato, complice anche una resa dei suoni decisamente scadente. Difficile fare i gothiconi alle 6 del pomeriggio, ancor di più quando ci si presenta con tre cantanti, l’angelica Vibeke accompagnata da due energumeni, uno per i growl, l’altro per le screaming vocals. Troppa grazia Sant’Antonio! Vi dirò, la cantante dei Tristania, sempre presente nei due giorni seguenti sotto il tendone della Press Area, dal vivo è molto meno semidea di quanto sembri in foto! Seguono i CANDLEMASS, Metal-Doomsters svedesi tornati alla ribalta qualche mesetto fa con un nuovo album omonimo, frutto della reunion col carismatico cantante Messiah Marcolin. Si tratta di un ritorno accolto a 35


Nightwish

braccia aperte, tanto da garantire alla band tour ed apparizioni a numerosi festival estivi europei. Accompagnati da una scenografia minimale, quattro croci bianche montate sul palco e telone col teschio del leggendario ‘Epicus Doomicus Metallicus’ sullo sfondo, i Candlemass alternano i brani dell’ultimo disco alle storiche hit quali ‘Solitude’ e ‘Samarithan’. Inutili secondo il mio amico Fabio, ma se dovessimo valutare l’utilità dei gruppi presenti al festival, forse proprio i grossi nomi [Nightwish, Accept, Hammerfall...] sarebbero i primi da additare. Il buon Messiah si muove on stage come ai vecchi tempi, vestito da frate, e non sembra aver perso un briciolo dell’espressività caratteristica della sua voce. Un ottimo inizio! Concludono i concerti del primo giorno i finnici NIGHTWISH. Symphonic Power Metal, per chi avesse bisogno ancora di inquadrarli, con una vera cantante soprano dall’ugola sopraffina, al pari della sua scollatura. Nulla a che vedere con la voce calda e la raffinatezza di una certa Anneke Van Giersbergen. Torniamo ai Nightwish: nessun brano purtroppo dall’album considerato da molti il loro capo36

lavoro, ‘Oceanborn’, datato 1998, ed eravamo solo al secondo disco! Poche sorprese per chi li ha visti in veste di headliner all’Evolution Festival dello scorso luglio, compreso il brano in finlandese per voce e pianoforte soli, la cover di ‘High Hopes’ dei Pink Floyd cantata da quel simpaticone del bassista, ed i vari cambi d’abito di Tarja. Eccezion fatta per i fuochi d’artificio, che salutano il pubblico sulle note del recente hit-single ‘Wish I Had an Angel’. Nutriamo grosse aspettative per quanto riguarda il secondo giorno. Lo stand della Century Media vende le edizioni in picture-lp delle tre release targate Bloodbath a 13 euri l’una, ed intorno alle 13 è prevista la signing session con la band, insieme ai Naglfar. Circa mezz’ora prima è già lunga la fila di fans, e dobbiamo sbrigarci per non restare troppo indietro, rischiando di perdere occasione per un primo contatto con Mikael. Mi faccio autografare il vinile dell’ultimo ‘Nightmares Made Flesh’, ed approfitto di quei dieci secondi a disposizione di ciascuno per dare appuntamento a Mikael nel pomeriggio in zona backstage. Non faccio in tempo a stringergli la mano, che già qualcuno da dietro mi fa cenno di prose-


Bloodbath :: Signing session

guire! ‘I’ll be here all day’ mi risponde, perciò non c’è troppo da preoccuparsi: seguiremo gli altri concerti della giornata, e prima o poi lo incroceremo. Ore 14.30: BLOODBATH on stage. Bisogna affrettarsi però, se si vuole assistere da vicino al concerto. Scopriamo ben presto che i posti migliori sono quelli arretrati, da cui è possibile ammirare il ‘Black Stage’ nella sua interezza, senza i soliti spilungoni che ostacolano la vista, ed avere anche una resa sonora migliore. L’attesa viene ingannata con l’esibizione dei Sonata Arctica sul palco di fianco, il Metal

Stage, che seguiamo dal maxischermo posto in mezzo ai due palchi affiancati. Puntualissima, la band fa la sua comparsa, con tanto di face painting e magliette bianche imbrattate di sangue finto, e comincia a mietere vittime. Tra i titoli che ancora ricordo, ‘Eaten’, ‘Cry my name’, ‘Brave new hell’, ‘So you die’, ‘Mass strangulation’, e l’intera esecuzione del primissimo ep ‘Breeding Death’. Martin Axenrot è un chirurgo dietro le pelli, Jonas Renkse al basso è un pezzo di legno, Anders Nyström e Dan Swanö alle chitarre sono al contrario belli esaltati, e Micke è il solito ragazzone appassionato che si diverte

Within Temptation :: Sharon den Andel

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Bloodbath on stage

e ride ammiccando al pubblico tra un growl e l’altro. Vecchie news dicono che lo show verrà pubblicato prossimamente su DVD, staremo a vedere. Si può dire di aver assistito ad un concerto memorabile? A mio parere no, l’atteggiamento da cattivoni assetati di sangue e sbudellamenti non convince nemmeno i cinque musicisti, che sono i primi ad ammettere di aver fondato la band per puro divertimento, quando un pomeriggio si sono trovati a suonare insieme del buon sano incontaminato Death Metal. Allo stesso tempo, si è trattato di un concerto più unico che raro, con Mikael alla voce per la prima ed ultima volta: i Bloodbath sono attualmente alla ricerca di un nuovo cantate, fatevi sotto! Durante il pomeriggio non si fa altro che attendere la comparsa di Mikael sotto il tendone. C’è un ragazzo della Century Media che organizza le interviste, fissando appuntamenti coi vari giornalisti. Stando alle sue parole, le probabilità di incontrare i Bloodbath nella Press Area sono ridotte al minimo... Ora di cena: in attesa dei Machine Head as38

sistiamo alla seconda parte del concerto dei WITHIN TEMPTATION, gothic-metallers olandesi con voce femminile, ed ho già detto tutto! Un altro caso in cui non si sa bene se il pubblico segua la band per merito della musica, o per la figaggine della front-woman, la bella Sharon den Andel. E dire che ai tempi del debutto ‘Enter’ - sto parlando del lontano 1997 - avevano stupito pure me. Quattro anni di attesa per un nuovo album, ‘Mother Earth’, ed altri quattro per l’ultimo ‘The Silent Force’ sono forse eccessivi, eppure la stampa non ha mai perso occasione per intervistarli e mantenere alta l’attenzione, anche grazie alle numerose apparizioni ai festival europei ed alle innumerevoli ristampe dei loro lavori. Trascurabili su disco, quanto coinvolgenti del vivo. I MACHINE HEAD hanno energia ed esperienza on stage da vendere, e lo dimostrano per tutta la durata della loro esibizione. Come per altre decine di band, anche nel loro caso sono i grandi classici a far da padrone, i brani


Bloodbath on stage

di ‘Burn my Eyes’ e ‘The More Things Change...’ sono quelli che realmente infiammano il pubblico in estasi. Verso fine concerto c’è spazio per un medley che omaggia Metallica, Sepultura, Pantera ed Iron Maiden, citando rispettivamente ‘Creeping Death’, ‘Territory’, ‘Walk’ e ‘The Trooper’. Inossidabili! Ore 23.00, appuntamento coi GOREFEST. Due i motivi che mi spingono sotto il palco, uno è la curiosità, l’altro una gentil donzella conosciuta per caso nel bagno sbagliato [ehm...], che poi ovviamente non sarei riuscito ad incontrare in mezzo alla folla. Ben poco conosco del quintetto olandese, storica Death Metal band, autrice di cinque dischi pubblicati tra il 1991 e il 1998, che solo ora sto rispolverando. Pensando a quel periodo ed all’Olanda, non posso non ricordare i mitici Phlebotomized [di cui vi consiglio di recuperare ovunque possiate il meraviglioso ‘Immense Intense Suspense’!], e gli stessi The Gathering pre-Anneke. Erano anche i tempi in cui la Nuclear Blast, loro etichetta per le tre releases centrali, muoveva i primi passi, più per passione che per denaro, mentre sono fermamente convin-

to che di questi tempi stia succedendo l’esatto contrario. Gemme del calibro di ‘Erase’, ‘False’ e ‘Soul Survivor’ vengono ottimamente passate in rassegna... lo confesso, sono rimasto estasiato dalla loro performance, i loro riff granitici sono autentiche mazzate sul collo, e non posso far altro che abbandonarmi ad un headbanging sfrenato insieme al resto della platea. L’album della rinascita, ‘La Muerte’, da pochissimo sul mercato, è un macigno! Da riscoprire assolutamente!!! Terminato il concerto dei Gorefest, c’è anche tempo per una manciata di brani degli APOCALYPTICA, che senz’altro tutti tra voi conoscono. Dalla formazione originale di quattro soli violoncellisti sono passati a quella attuale: 3 strumenti ad arco ed un batterista. Sembra incredibile che una band composta per 3/4 di strumenti classici possa suonare sul palco del Wacken Open Air, ma questo succede quando si coverizzano brani di Metallica e Pantera in modo originale, ed ovviamente si riceve la dovuta attenzione da parte dei media. Manco a dirlo il pubblico si scatena anche a colpi di riff di violoncello (???), e 39


Gorefest

credo avrebbero ottenuto lo stesso effetto col motivetto di ‘Jingle bells’ al posto di quello di ‘Enter Sandman’! La speranza è l’ultima a morire, frase banale quanto veritiera, almeno in questo caso: ripieghiamo verso la tenda, ed ecco comparire all’interno della Press Area i Bloodbath al completo! Premettiamo che l’intera squadra non ha smentito la fama di svedesi birraioli. In realtà il batterista Martin Axenrot lo si vedrà solo più tardi, probabilmente era impegnato altrove con la propria ragazza. Scorgiamo per primi Anders e Jonas dei Katatonia, due personaggi che sono l’immagine della depressione su disco quanto l’esatto opposto una volta conosciuti di persona. Jonas in particolare è affascinato dalla parola italana ‘luce’, tanto che più volte la ripeterà come in trance, indicando i lampioni che illuminano la zona. Lascio i katatonici alla compagnia delle mie amiche, per incrociare un Dan Swanö completamente ubriaco, tuttavia ancora in grado di reggersi in piedi e di dialogare scherzosamen40

te con chiunque gli capiti a tiro. Non sembra vero di trovarsi al cospetto di un artista capace di suonare basso, batteria, chitarra e tastiere, di produrre decine di album [tra i quali, come ben saprete, ‘Orchid’ e ‘Morningrise’] e di scriverne altrettanti: mai sentito nominare Edge of Sanity e Nightingale? In ogni caso, il nostro vero obiettivo è un altro, e lo sapete bene. Per Fabio l’incontro con Mikael è una prima assoluta, tanto che la sua rabbia per non averlo incontrato nel pomeriggio si trasformerà ben presto in stupore e contentezza. Per quanto mi riguarda, invece, è stato come incontrare un vecchio amico dopo tanto tempo, ed è lui stesso a riconoscermi per primo. Due parole per inquadrare la situazione: la chiacchierata si svolge la notte tra il 5 ed il 6 agosto, ‘Ghost Reveries’ uscirà a fine mese e contemporaneamente gira voce che Martin Lopez non sia più membro degli Opeth. Infine, un nuovo musicista è ora parte della band, il tastierista Per Wiberg... A registratore ancora spento riesco a memorizzare un paio di informazioni interessanti.


Michael e il suo amico Nicholas

La prima riguarda la collaborazione con Steven Wilson e Mike Portnoy, una notizia che ha cominciato a diffondersi in Rete nelle settimane successive al festival, con la differenza che in quell’occasione Mikael ha tirato in ballo altri due nomi: Devin Townsend e Tony Levin. Vero o non vero, chissà... io continuo a preferire le singole band a questo genere di progetti. E’ poi seguita una rassegna di nomi del panorama Progressive italiano anni ‘70, culminata con una frase del tipo:”Sai, Claudio Simonetti mi ha scritto, gli piacerebbe registrare un disco con me... gli ho risposto: regalami l’lp dei Cherry Five, e potrei farci un pensierino!!!” Q- Cosa ci puoi dire di Martin Lopez...? A- Non ho alcuna intenzione di parlarne! Posso solo dire che non l’abbiamo licenziato. Non è fuori dagli Opeth, è un gran batterista, semplicemente non sta bene in questo periodo. Q- E a proposito di tutti i commenti negativi

dei fans sul fatto che abbiate firmato per la

Roadrunner Records? A- Si fottano! They don’t have a fucking clue! E’ solo un’etichetta come tante altre, il nuovo album sarebbe stato lo stesso anche se avessimo firmato per la Damned Records, o per la Wrong Again Records... o per la Cock Rock Records! Q- Ok, sappiamo che Steven Wilson questa

volta non ha partecipato in alcun modo alla produzione dell’album a causa dei suoi impegni... A- Esatto... mi ha scritto di recente dicendo “Hey, ho preso il vostro nuovo disco, è davvero tosto, è bellissimo”. Due settimane dopo ha aggiunto:”Più lo ascolto più lo adoro, credo proprio si tratti di un capolavoro!”. Q- Parole di Steven Wilson in persona! Yeah! Conosco il mio pollo, lo adoro, potrei prenderlo a calci in culo se volessi, ma è una delle mie più grandi influenze musicali, uno dei miei migliori fan ed uno dei migliori amici che ho, anche se non è che lo conosca proprio 41


Stigma :: Italiani sul palco del Wacken 2005

bene; il fatto che lui stesso venga a dirmi che ‘Ghost Reveries’ gli sia piaciuto parecchio è molto importante per me. Q- Quindi, che ne pensi di ‘Deadwing’? A- Secondo te? Q- Immagino ti sia piaciuto molto... A- I love it! Sai, sono dieci anni che seguo i Porcupine Tree, e nemmeno questo album mi ha deluso. E’ un disco fantastico. Q- Cambiando completamente discorso, vor-

remmo sapere perché avete scelto i Fascination Studios per registrare ‘GR’. A- Innanzitutto perché sono vicini a casa nostra, inoltre adesso ho una figlia ed ogni tanto devo tornare a casa appena posso. Non è che mi interessi più di tanto, per me uno studio vale l’altro, è solo una questione di computer al giorno d’oggi. Q- Come mai hai deciso di prender parte a

questo concerto, oggi, in veste di cantante dei Bloodbath? A- Perché è divertente, e mi danno anche un sacco di soldi! Beh, no, c’è anche il fatto che nei Bloodbath ci suona il mio migliore amico [Jonas, cantante dei Katatonia e bassista nei 42

Bloodbath], ed ho accettato. Sono tornato dagli Stati Uniti quattro giorni fa e li ho subito raggiunti per provare insieme. Q- Qual è l’ultimo lp che hai acquistato? A- Asgard, ‘In the realms of Asgard’, anno 1972, Threshold Records, la stesa etichetta dei Moody Blues... poi i Deep Feeling, su DJM records, ricordano un po’ Elton John, ma siamo sempre in ambito Progressive Rock... il nuovo album dei Nile... e l’edizione australiana di una raccolta della Vertigo, avevo già il disco, ma ora ho anche i poster in allegato! [...] Conoscete Dan [Swanö]? Q- Certo! A- Non è forse una leggenda quell’uomo? Ha prodotto il nostro primo album... Q- Approposito, in una vecchia intervista lui

stesso diceva di aver creato la linea vocale di ‘You are in a forest unknown...’ su ‘Black Rose Immortal’, è vero? A- Verissimo! Q- Senti, so che il forum ufficiale è stato chiu-

so a causa di tutta la gente che ha scaricato il nuovo album dalla rete...


Suffocation

A- Si, è vero. Non abbiamo nessuna intenzione di distribuire ‘Ghost Reveries’ attraverso il nostro forum, anche se so che lo si può recuperare altrove. Per quanto mi riguarda, sai, mi è stato detto di tutto, sono stato brutalmente insultato, perciò non lascerò in alcun modo che certa gente scarichi la mia nuova fottutissima opera d’arte dal nostro sito; se questo a loro non sta bene, possono anche andarsene affanculo. Q- Semplice e chiaro. A- Molto chiaro. Adoro i miei fans, ma non sopporto i parassiti. E sul forum ce ne sono parecchi. Q- Lo riaprirete un giorno? A- Ad essere sincero, sembra che le acque si siano calmante ora. tuttavia, è probabile che non riaprirà mai più. Q- Accidenti... una sentanza di morte per il

vostro forum! M - Sinceramente, non mi interessa! non sono qui a fare il countdown. La gente parla male di me, di mia moglie, di mia figlia e del resto della band, ed intanto si scaricano il nuovo di-

sco... non sono contrario al download, ma non mi va che avvenga direttamente dalle pagine del forum. Ho visto l’intero disco disponibile sul forum. A me non dispiace farci un salto ogni tanto, ma in questo caso... è come se mi avessero derubato; non reagire equivarrebbe a dire ‘Ok, ragazzi, prendete pure quello che volete!’. Non sono Lars Ulrich, i nostri fans pensano che abbiamo varcato la soglia e che siamo diventati dei fottuti milionari, credono che siamo i Metallica, ma non lo siamo affatto! Fucking far from Metallica! Non ho mai scaricato uno stradannato mp3 in tutta la mia vita, facciano quello che vogliono, ma non sfruttando le nostre risorse. Q- In che modo gli altri membri degli Opeth

hanno contribuito alla realizzazione del nuovo disco? A- Per, il nuovo tastierista, ha scritto due riff. Le parti di tastiera sono state scritte equamente da me e da lui. Per è il miglior musicista all’interno della band. Q- So che suona anche negli Spiritual Beggars,

e credo che non abbia problemi se si tratta di 43


Dissection

improvvisare... A- Yeah, abbiamo suonato una splendida jam insieme ai ragazzi dei Clutch nel parcheggio di Corpus Christi, in Texas. Mezz’ora di blues jam, io, Mendez, Per, il tastierista ed il batterista dei Clutch, e il batterista dei Chimaira. Q- Ok, a questo punto vorremmo parlarti di

questa fanzine che stiamo creando... sarà scritta in italiano, sappiamo che parecchia gente vorebbe leggere le traduzioni dei testi, della biografia, e saperne sempre di più su di voi. C’è del materiale in rete, ma ben poca gente si ferma a leggere attentamente... per poi andare sui forum a fere sempre le stesse domande, anche se le risposte ci sono già! La gente è pigra! A- La gente ha sempre altro da fare! Non solo, vuole mostrarsi sempre interessata anche quando non lo è affatto! Q- Dobbiamo aspettarci un nuovo capitolo del-

la biografia a breve? A- Certo; ho parecchi impegni in questo pe44

riodo, cercherò di scrivere qualcosa appena possibile. Q- E per quanto riguarda la line-up dei Sorskögen... A- Morti e sepolti. Vi abbiamo suonato io e Dan, nessun altro. Beh, in realtà inizialmente avrei dovuto realizzare qualcosa con Jonas, ma le registrazioni non andarono granché bene, così abbiamo lasciato perdere. Q- Ho visto che Dan si divertiva molto oggi,

durante il concerto. Ricordo un’intervista invece in cui dicesti che i Bloodbath sono nati e morti col vostro primo ep, ‘Breeding Death’. A- Beh, lo pensavo veramente, tutti avevamo le nostre band a cui dedicarci... gli altri ragazzi dei Katatonia hanno più tempo libero di me, io ho fatto quello che potevo. Sicuramente realizzeranno un altro fantastico disco, ma io non contribuirò più alla causa. ***


6 agosto :: Folle oceaniche in attesa dei Finntroll

6 agosto, ultimo giorno di festival. Missione compiuta, non resta che godersi le ultime ore del Wacken, partendo alle 14.00 coi SUFFOCATION, Brutal Death Metal from USA! Immaginavo chissà quale caos sonoro, ed invece ecco uscire dai mega amplificatori del Black Stage un suono perfetto, chirurgicamente perfetto. La band, tornata da una lunga pausa col recente ‘Souls to Deny’, non si risparmia, ripescando anche dai loro grandi classici ‘Breeding the spawn’ e ‘Pierced from within’. Assoluti! Tempo un’oretta e salgono sul palco i DISSECTION. Pare che per certa gente il tempo sia fermo a 10 anni fa, quando coniugare la musica con tematiche sataniste e condire il tutto con fiamme nere e troni dell’apocalisse sembrava avesse ancora un senso. I cinque, tra cui milita l’italianissimo Davide Totaro alla chitarra ritmica [qualcuno, compreso il sotto-

scritto, lo ricorderà giornalista sulle pagine di Psycho!], si materializzano on stage con alcuni minuti di anticipo, restandosene in piedi, immobili davanti alla batteria con le spalle al pubblico, come in una specie di pseudo-rituale di purificazione pre-concerto. Quindi si ritirano per rientrare strumenti alla mano e dare inizio allo show. Partono i primi accordi, ed ecco la band diventare bersaglio del lancio di peluches e bamboline da parte di un qualche pazzoide alcune file davanti a me... un intero arsenale di pupazzetti scagliato nientemeno che contro gli emissari del male!!! Alla fine del primo brano l’intrepido spettatore viene minacciato di morte da mr. Totaro, quindi è solo la musica a parlare, con le note dei cavalli di battaglia ‘Where Dead Angels Lie’, ‘Night’s Blood’, ‘Thorns of Crimson Death’, e di due nuovi brani che vedranno la luce su un nuovo imminente album. A volte è forse meglio che le leggende restino tali. 45


Finntroll

I poveri FINNTROLL si vedono relegati ad un palco minore, il Wet Stage, eppure vista la massa che attende il loro concerto avrebbero meritato ben di più. Qualche titolo? Non ne so nemmeno uno! Ma non ha nessuna importanza: Folk-Ska-Black Metal from Finland, solo il genere proposto è tutto un programma. Impossibile resistere, e la gente là sotto lo sa bene, non un attimo di tregua per un pubblico impazzito dalle prime alle ultimissime file. Una band che, senza nessuna pretesa da rockstar, rispecchia in pieno lo spirito del festival: sano e puro divertimento!!! Inarrestabili!

al nostro Tradate Iron Fest: cantante ubriaco tanto da non reggersi in piedi nel backstage, e gruppo che abbandona il palco dopo soli 45 minuti di concerto. Aggiungiamo il fatto che il recente ‘The Funeral Album’ è stato annunciato come l’ultima fatica prima dello scioglimento definitivo, insomma, la mia era nostalgia dei vecchi tempi più che altro. A conti fatti, un’esibizione niente male, con vari estratti dagli album ‘Crimson’, ‘The Cold White Light’, ‘Frozen’, e che suggella degnamente questa sedicesima edizione del Wacken Open Air. ***

I SENTENCED sono un’altra band che mi rivedo dopo tanto tempo, pensare che l’ultima volta li avevo visti sotto il tendone di un Palacquatica gremito di gente, in compagnia di To/die/for, Dark Tranquillity ed In Flames. Le aspettative non sono per niente buone, dopo quanto raccontato della loro esibizione 46

www.wacken.com


retrospettiva :: camel

parole di eugenio crippa

‘Camel, La più grande Progressive Rock band di tutti i tempi!’. Basterebbero forse queste parole di Mikael ad iniziare e concludere direttamente la presentazione del gruppo inglese. Converrete col sottoscritto sul fatto che non avrei potuto cominciare questa serie di retrospettive con un nome diverso, essendo i Camel da sempre un punto di riferimento a livello di songwriting per Mr. Åkerfeldt. E’ infatti possibile trovare traccia del Camelsound in diversi momenti all’interno degli album degli Opeth; l’anima 70’s del combo svedese non vedeva l’ora di liberarsi, relegata com’era a qualche interludio acustico tra un death-metal riff e l’altro: al settimo album, ‘Damnation’, finalmente la medaglia ha mostrato la sua faccia (semi) nascosta. Potremmo addirittura considerare ‘Damnation’ una

sorta di tributo alla musica progressiva, a tutti quei misteriosi artisti che nei primissimi anni ‘70 hanno prodotto una miriade di piccole gemme, una riflessione tutt’altro che azzardata. Letteralmente sterminato è il panorama del Rock Progressivo inglese, decine, forse centinaia sono le band che hanno pubblicato dischi in quel periodo, molte delle quali uno solo, per poi scomparire nel nulla e lasciare quell’alone di mistero alle spalle che ancora oggi non ha perso il suo indiscusso fascino. I Camel in realtà sono ben di più che un ‘gruppo mordi e fuggi’: attivi dall’inizio degli anni ‘70 fino a pochi anni fa - risale al 2003 l’ultimo tour - hanno pubblicato album di notevole caratura agli esordi, per poi rinnovarsi negli

1975 :: Peter Bardens (kb), Doug Ferguson (bs), Andy Ward (bt), Andrew Latimer (ch, v)

47


anni 80-90, scadendo raramente nel banale. Ci vorrebbe forse una mezza enciclopedia per poter analizzare a fondo di questa band, scandagliare ogni disco ed ogni fase della sua storia. Eppure, avete mai visto tra gli scaffali di qualche libreria, un volume interamente dedicato ai Camel? A me, sinceramente, non è mai capitato. Citati a volte, in mezzo a qualche elenco deigli ‘n dischi ideali del genere xxx’, ma mai trattati separatamente in maniera approfondita. Bisogna ammettere in effetti che, nonostante siano spesso affiancati a nomi altisonanti del panorama progressivo, i Camel non hanno mai raggiunto la notorietà dei vari King Crimson, Yes, Van der graaf Generator, restando appannaggio di pochi ma affezionati fans. Forse perché al buon Andrew ‘Andy’ Latimer, chitarrista e cantante della band dalle primissime origini ai giorni nostri, mancava quella faccia tosta e quell’arroganza di un Robert Fripp o di un Peter Hammill: questi straordinari musicisti sono anche - ahimé - maledettamente vanitosi e, di conseguenza, antipatici! Non possiamo certo fargliene una colpa a mr. Latimer, anzi, la sua naturale modestia ci rende i suoi Camel più simpatici, e chi avrà il coraggio di avvicinarsi alla band scoprirà presto quanto ben poco abbia da invidiare ai succitati ‘rivali’. Io stesso, con l’intenzione di scrivere queste righe, solo di recente ho esplorato la discografia più recente, scoprendo con grande sorpresa che, andando oltre la produzione strettamente progressiva delle origini, si ha la possibilità di scoprire vere e proprie gemme. La classe non è acqua, ed il timoniere Andy Latimer ne ha sempre avuta da vendere in abbondanza! La pre-Camel era vede due formazioni, formate da giovani teenagers, dal nome The Phantom Four prima, e The Brew poi; quest’ultimo trio blues-oriented contiene già 3/4 della formazione completa, con Andrew Lati48

mer alla chitarra, Andy Ward alla batteria e Doug Ferguson al basso. In seguito ad una serie di concerti locali ed alla pubblicazione di un album misconosciuto dal titolo ‘I Think I’ll Write a Song’, il trio cessa la propria attività, ma si riattiva ben presto alla ricerca di un quarto elemento, un tastierista.

Nel settembre 1971 Peter Bardens - ai tempi già all’attivo con due album solisti e diverse collaborazioni di rilievo - si aggiunge così ai tre musicisti: il 4 dicembre la band suona il primo concerto presso il Forest Technical College di Waltham, col nome CAMEL. Nell’agosto del 1972 arriva il contratto con la MCA records. E’ tempo di registrare il primissimo album, omonimo, una raccolta di vecchi brani proposti in concerto nei mesi precedenti. Non si tratta certo di un disco osannato dalla critica, né ai tempi né oggi, anche se a mio parere va decisamente rivalutato. Con le dovute considerazioni, ovviamente: è il parto di una band giovane, ancora emozionata per il proprio esordio e alla ricerca di un trademark preciso. Allo stesso tempo si tratta di un disco spontaneo, genuino, contenente alcune piccole gemme quali ‘Mystic Queen’ e ‘Arubaluba’. Le song si assomigliano quanto a struttura: ad una breve introduzione cantata succede una lunga parte centrale, strumentale, in cui chitarra e tastiere dominano la scena, per


poi ritornare sul tema iniziale e concludere. E’ questo uno schema tipico di certa musica classica, a cui il Rock Progressivo paga spesso dazio. Su ‘Camel’ è presente ‘Never Let Go’, il cui inizio ha ispirato l’incipit di ‘Benighted’ dei nostri Opeth.

L’album non ha purtroppo un grande successo, e la band viene licenziata dalla MCA per accasarsi presso la Decca Records, a cui resterà legata per ben 10 anni. Nel 1974 è già tempo di dare alle stampe il secondo album, ‘Mirage’, contenente brani più articolati, tra cui le prime piccole suite del gruppo, ‘Nimrodel/The Procession/The White Rider’ e l’immortale ‘Lady Fantasy’, suonata dal vivo già nel lontano 1972 - ancor prima dell’uscita del primo album - e mai dimenticata sino ad oggi. Chi tra voi crede che i Blind Guardian siano l’unica band a scrivere brani ispirati al ‘Signore degli Anelli’, sappia che proprio con ‘Nimrodel...’ i Camel l’avevano già fatto ben 30 anni fa! La band non rinuncia anche ad episodi strumentali, con ‘Twister’ ed ‘Earthrise’, in cui compare anche il flauto, suonato da Latimer. L’album riporta in copertina la stessa immagine del pacchetto di sigarette omonimo, ‘strippata’ orizzontalmente per dare appunto l’idea del miraggio, ma anche per non incorrere in

battaglie legali con l’azienda statunitense, che rivendicava i diritti sulla copertina. I produttori europei costrinsero la band a suonare coprendo gli amplificatori con il loro marchio e a distribuire pacchetti delle loro sigarette in allegato ai loro dischi. In risposta, Bardens propose come titolo per una futura canzone della band ‘Twenty Sticks of Cancer’ [‘Venti bastoncini di cancro’].

Nel 1975 vede la luce il terzo disco dei Camel, ‘The Snow Goose’, considerato tra i parti migliori del quartetto da certa critica e dagli stessi ascoltatori, che accorrono in massa il 17 ottobre per l’esecuzione dell’intero concept con un accompagnamento d’eccezione, la London Symphony Orchestra. Concept album, si diceva: l’idea di dedicare un album intero ad un libro fu del bassista Doug Ferguson, ed il libro prescelto è appunto ‘The Snow Goose’ [‘L’oca bianca’] di Paul Gallico. L’album, composto da Bardens e Latimer durante due settimane di ritiro in un cottage nel Devon, è interamente strumentale, e solo in alcune edizioni del disco compaiono le linee guida della novella, tra un titolo e l’altro. La storia racconta di un personaggio solitario, Rhayader, che vive nelle paludi, e che un giorno incontra un’oca ferita alla quale presterà soccorso. Grazie a questo incontro conoscerà anche una fanciulla, Fritha; tuttavia, una 49


volta guarita l’oca, lei e Fritha ripartiranno per la loro strada, e quest’ultima non tornerà più a trovare il protagonista. Rhayader muore durante la battaglia di Dunkirk, a fianco dell’oca, tornata sotto il nome de ‘La princesse Perdue’: essa simboleggia la speranza, che non viene sopraffatta nemmeno dalla brutalità della guerra.

Non fu facile arrivare a produrre un album simile, anche a causa dei contrasti con Gallico che, ritenendo che i Camel avesse in qualche modo a che fare con l’omonimo produttore di sigarette, proibì alla band di riportare passaggi del racconto su disco, ed impose un cambio di titolo rispetto a quello originale: da qui il pre-titolo ‘music inspired by’. In questa occasione la musica si abbandona all’improvvisazione, abbandonando in diversi punti la linearità delle soluzioni passate: l’effetto è notevole e decisamente evocativo. L’album viene considerato, oltre che tra i più belli, anche tra i più accessibili, un ottimo punto di partenza per chi volesse esplorare il Camel-World. Passa un altro anno, ed una nuova release è alle porte: si tratta di ‘Moonmadness’, ultimo disco con la formazione Latimer/Ward/Ferguson/Bardens, nonché ultima uscita annoverabile nel calderone del Progressive rock. 50

Per descriverlo al meglio, ho pensato bene di ripescare una vecchia recensione scritta dallo stesso Mikael, e pubblicata diverso tempo fa sulle pagine dell’’Opeth’s Domain’, tra i primissimi fansite dedicati alla band, ora non più attivo. Quelle righe non sono andate perdute, ed ecco qui la traduzione.

Modificando leggermente una ben nota espressione riferita ai Manowar:”Se non ti piacciono i Camel non sei mio amico!”. Ho conosciuto questa band qualche anno fa, e da quel momento la mia vita è cambiata radicalmente. I CAMEL sono la progressive rock band definitiva, lo sono sempre stati e probabilmente lo saranno per sempre! Il tutto ebbe inizio grazie ad un mio amico, che mi prestò il loro primo disco. L’avrete capito da soli, ne rimasi completamente estasiato, come in trance. Cercai perciò di procurarmi il resto della discografia di questo incredibile gruppo, ed incappai in quest’album con in copertina due ragazze [viste di spalle] sedute mentre si abbracciano. Si trattava di ‘Moonmadness’, la loro opera magna, registrata e pubblicata nel 1976, un lavoro che mette a nudo la vera essenza della loro musica, l’unica ragione per cui li adoro così tanto. Oserei dire che si tratta di uno dei tre album più belli di tutti i tempi! C’è di tutto qui dentro! Nessun calo di tensione! Un affiatamento senza paragoni,


i brani sono destinati a marchiare a fuoco nella vostra testa ogni singola nota, la produzione è quanto di meglio si potesse chiedere... dannazione, anche la foto della band è una figata! L’opener ‘Aristillus’ è un breve assaggio strumentale che conduce alla successiva ‘Song Within a Song’, una delle mie preferite. Ci sono delle ritmiche eccellenti di Andy Ward qui dentro, e dolci ‘small stone caresses’ proposte dall’altro Andy, che canta e suona il flauto. Inoltre, Peter Bardens è come sempre autore di un ottimo lavoro al moog, sembra a volte tirar fuori dei suoni direttamente da un gioco del Commodore64. Quelli che tra voi hanno provato a giocare ad ‘Outrun’ sanno di cosa sto parlando! La seguente, strumentale, ‘Chord Change’ è caratterizzata dalle melodie di Andy e Peter che si inseguono tra loro.. Ancora una volta, drumming eccellente. Questo ci porta a ‘Spirit of the Water’, uno dei brani migliori del lotto, molto delicato, cantato da Peter attraverso un amplificatore Leslie. La voce è accompagnata unicamente da un ‘layer’ melanconico di pianoforte e di flauti simil-mellotron. Fantastico!

Mi avete sentito? Se non vi piace questa canzone significa una cosa sola, che forse è il caso di rivedere i vostri gusti musicali! Il feeling sprigionato dalla voce di Latimer è semplicemente indescrivibile. Ancora una volta, le melodie del flauto sono memorabili, mentre gli altri ragazzi mantangono il ritmo decisamente rilassato. Non ho parole ogni volta che la ascolto. Dovessi assegnare un voto, darei 100 su 5 a questa canzone. Sono stato abbastanza chiaro? L’ultima traccia è di nuovo strumentale. ‘Lunar Sea’ è una bellissima song dai mille volti, che cambia spesso e improvvisamente direzione, in cui Peter e Andy che sembrano lottare a colpi di assolo! E’ evidente che ci troviamo al cospetto di un grande chitarrista. I ‘guitar-heroes’ degli anni ‘60’70 non è che mi impressionino più di tanto, molti di loro avevano un suono sporco ed uno stile impersonale. Andy ha veramente qualcosa in più rispetto agli altri. Ogni volta che ascolto il suo assolo in questa canzone non riesco a non farmi trascinare. Impazzisco! Due sono i miei idoli di questo periodo: Jerry Donahue [attivo in realtà negli anni ‘80] ed Andy Latimer, ed il secondo è senza dubbio il Numero 1! In conclusione, non ci sono parole per descrivere la grandezza di questo album, che sfida ogni sistema di misurazione che si possa concepire. Posso solo consigliarvi il più caldamente possibile di dirigervi al più vicino negozio di dischi, trovare l’album, comprarlo o al massimo rubarlo se proprio necessario. Qualsiasi cosa ciò comporti, scoprirete alla fine che ne è valsa decisamente la pena! ***

La successiva è ‘Another Night’, probabilmente quella che mi piace di meno. E’ comunque un bel pezzo! Well, la sesta traccia è ‘Airborn’, passata alla storia anche come una delle più belle mai scritte.

Il 1976 vede anche l’inizio della collaborazione col flautista-sassofonista Mel Collins, che accompagna la band durante i concerti; Collins resterà comunque un ‘membro esterno’, e porterà avanti parallelamente la sua attività solista. L’anno successivo, divergenze stilistiche segnano la dipartita da parte del 51


bassista Doug Ferguson, rimpiazzato da Richard Sinclair, un ex dei leggendari Caravan e degli Hatfield & the North. Con questa formazione i Camel incidono il loro quinto disco, ‘Rain Dances’.

I brani si fanno più brevi, decisamente commerciali, soprattutto ‘Highways to the Sun’, scelta non a caso come singolo apripista, ma decisamente poco rappresentativa del mood

generale del disco. Al tempo stesso la presenza di Sinclair si fa sentire nelle parti più jazzate e Fusion [vedi ‘Skylines’]. L’elenco degli strumenti utilizzati durante le registrazioni è impressionante, e per la prima volta alcuni ospiti suonano su disco, tra cui un tale Brian Eno!

Nuovo anno, nuovo album! E’ dal 1973 che i Camel danno alle stampe una nuova opera

1976 :: Peter Bardens, Andrew Latimer, Mel Collins, Doug Ferguson, Andy Ward

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mediamente ogni 12 mesi: ‘Breathless’ segna la dipartita di un altro membro storico, Peter Bardens, intenzionato a proseguire anch’egli la propria ricerca musicale lontano dai compromessi della band madre. E’ la naturale evoluzione di ‘Rain Dances’, con qualche brano più articolato e legato al sound degli esordi - leggasi ‘Echoes’ e ‘Sleeper’ - con gli inconfondibili assoli di Latimer, altri ancor più commerciali, che suonano vagamente disco dance anni ‘70 - ‘Summer Lightning’ e ‘You Make Me Smile’. In seguito al ‘Breathless tour’, anche Richard Sinclair abbandona la nave, ed è l’inizio di una serie di interminabili cambiamenti di line-up: il solo Andy Latimer resterà al comando del timone fino ai giorni nostri, avvalendosi di volta in volta di musicisti esterni.

Il 1979 è l’anno di ‘I Can See Your House from here’, decisamente un ritorno alle atmosfere di ‘Rain Dances’, con una formazione a due tastiere. Nella conclusiva e bellissima ‘Ice’, dieci minuti strumentali e struggenti, vi sono finalmente gli echi del passato progressivo, grazie al chitarrismo intenso, fine e mai banale di Latimer. Passano stavolta due anni prima del successivo ‘Nude’, un nuovo concept album che narra la storia di un soldato giapponese abbandonato su un’isola durante la Seconda Guerra Mondiale:

vivrà in solitudine per 29 anni, senza sapere nulla di quanto accadesse al mondo. L’album - che purtroppo si presenta con una copertina davvero brutta! - è composto da quindici brevi composizioni, alcune molto belle ed atmosferiche, con sprazzi di World Music, ma che proprio a causa della loro brevità danno spesso un senso di incompiutezza all’opera. In questo periodo Susan Hoover, la fidanzata di Latimer, comincia a collaborare alla composizione dei brani, soprattutto a livello lirico.

La gestione di tutta una serie di cambiamenti all’interno della band non è certo cosa facile, e probabilmente a questo punto Latimer si trova di fronte alla dipartita più dolorosa: Andy Ward, assiduo consumatore di alcolici e droghe è ormai giunto ad un punto di non ritorno, culminato con un tentato suicidio. Il tour di ‘Nude’ è cancellato, in attesa di una possibile guarigione del batterista, ma è ben presto evidente che si tratta di una situazione irrecuperabile, almeno in tempi brevi. Dall’altro lato, le pressioni dell’etichetta costringono Latimer ad inventarsi una formazione occasionale con cui registrare quello che è probabilmente l’album più debole della storia del Cammello, ‘The Single Factor’. Pubblicato nel 1982, ad un primo ascolto è davvero difficile convincersi del fatto che si tratti della stes53


1976 :: Richard Sinclair, Andy Ward, Peter Bardens, Andrew Latimer, Mel Collins

sa band che meno di dieci anni prima stupiva l’ascoltatore a suon di Progressive Rock! Ascolti successivi mettono l’animo in pace: c’è ancora spazio per l’inconfondibile chitarra di Latimer, ma pare che la componente pop-mainstream abbia decisamente preso il sopravvento.

A proposito di Andy Ward, i crediti riportano che non ha potuto partecipare alle recording 54

sessions a causa di un infortunio alla mano; solo dieci anni dopo verrà rivelato il vero motivo del suo definitivo allontanamento!

Nel 1984 esce ‘Stationary Traveller’, un disco che per molti versi chiude un’era: innanzitutto perché si tratta dell’ultimo pubblicato dalla Decca Records, in secondo luogo perché è l’inizio di una pausa della durata di ben 7


1979 :: Jan Schelhaas (kb), Kit Watkins (kb), Andrew Latimer, Andy Ward, Colin Bass

anni: tanto dovranno attendere i fans dei Camel prima che un nuovo disco compaia sugli scaffali dei negozi - e siamo nientemeno che a quota undici! L’album è un nuovo concept, che narra delle divisioni sociali in una Berlino appena ‘unificata’ dalla caduta del muro. I testi, anche in questo caso, sono opera di Susan Hoover. Nemmeno i Camel sono estranei al music business, e Latimer deve concentrarsi oltre che su nuove composizioni anche su una battaglia legale, aperta dal vecchio manager Jeoff Jukes, il quale rimprovera alla band di non aver adempiuto ad alcune incombenze contrattuali. Scuse futili, con cui Jukes spera evidentemente di estorcere del denaro alla band. Nello stesso tempo, Latimer scopre che in realtà c’erano parecchie royalties, di cui i Camel non avevano ricevuto il becco di un quattrino. Richiama perciò i vecchi compagni di scuderia, con cui vince una causa contro la GAMA Records, responsabile ai tempi del pa-

gamento delle quote. Visti i risultati, lo stesso Jukes rinuncia a portare avanti una battaglia legale persa in partenza. L’evento da perciò la possibilità ai quattro membri originari del gruppo di reincontrarsi, ma nulla più: niente reunion, musicalmente le barriere tra i quattro musicisti sono ormai insormontabili. Le speranze che un evento di tale portata si verifichi sono venute ancor meno di recente, nel gennaio 2002, quando Peter Bardens è mancato all’affetto dei suoi ammiratori, vittima di cancro ai polmini. Nel 1983 Decca Records passa sotto l’égida della Polygram, con conseguente cambio di personale: è il momento di risolvere il contratto che lega i Camel alla Decca, e di muoversi verso altri lidi. L’inizio di una nuova Camel-phase è segnato nel 1988 dal trasferimento di Andy e Susan in America, dopo la vendita della loro abitazione londinese. Alla fine, saranno ben sette 55


gli anni impiegati per la realizzazione diel successivo ‘Dust and Dreams’. Trovare una nuova etichetta a cui appoggiarsi non è impresa facile, nemmeno con un album pronto nel cassetto, che attende solo di essere pubblicato e distribuito! La svolta definitiva avviene con la creazione della propria etichetta personale, la ‘Camel Productions’, attraverso cui verranno pubblicati ‘Dust and Dreams’ ed i successivi tre album in studio. Un’etichetta personale garantisce inoltre completa indipendenza artistica: non è forse un caso che, dopo ‘Dust and Dreams’, ben 5 anni passeranno prima del successivo ‘Harbour of Tears’, pubblicato nel 1996, seguito da ‘Rajaz’ nel 1999 e dall’ultimo ‘A Nod and a Wink’ nel 2002.

Posso solo immaginare che il buon Latimer, una volta preso completo controllo del Cammello, abbia deciso di prendersi il suo tempo, e di comporre nuova musica solo quando si sentisse veramente ispirato. Ormai adulto e maturo, reduce da esperienze indimenticabili, può guardare al passato con tutta la tranquillità possibile, e volgere uno sguardo sereno verso il futuro. L’ispirazione non si è spenta, ma di certo non è possibile replicare quell’atmosfera spontanea e innocente degli esordi. La fondazione della ‘Camel Productions’ por56

ta una ventata di aria fresca: dall’indifferenza generale, fu come se il resto del mondo si fosse svegliato, accorgendosi del fatto che la band era ancora viva e vegeta, pronta ad imbarcarsi in un nuovo, emozionante tour. ‘Harbour of Tears’ racconta dell’esodo dei migranti irlandesi verso gli Stati Uniti, un argomento in qualche modo legato al trasferimento in terra californiana della coppia Latimer-Hoover. Non mancano perciò numerose citazioni al Folk irlandese, unite a parti orchestrate ed a brani in tipico Camel-style, dove la chitarra di Latimer è nuovamente protagonista, spesso sorretta da tappeti di tastiere.

La conclusione è affidata agli oltre venti minuti di ‘The Hour Candle (A Song for my Father)’, di cui oltre la metà della durata è occupata dal suono delle onde che si infrangono sugli scogli. Come suggerisce il titolo, questo è anche un periodo in cui Latimer muove alcuni passi alla ricerca delle sue radici, in seguito alla morte del padre, avvenuta nel 1993. Nel 1999 è il turno di ‘Rajaz’, ispirato ai cantati dei viaggiatori del deserto al ritmo dellandatura degli animali. I beat danzerecci dei primi anni ‘80 sono stati abbandonati da tempo,


ed in questa occasione anche orchestrazioni e richiami vari a Folk/World Music vengono lasciati da parte, insieme alla solita carrellata di ospiti esterni.

La strumentazione è ridotta all’osso, solo

un violoncello trova spazio per qualche breve accompagnamento: finalmente, Latimer è nuovamente dominatore assoluto, con i suoi magici assoli e la sua voce. Un album bellissimo, che in certi momenti riporta alla luce atmosfere passate che credevamo ormai perdute per sempre. Il canto del cigno è - almeno per il momento - datato 2002, anno di pubblicazione dell’ultimo studio-album, ‘A Nod and a Wink’, disco sulla falsariga del precedente ‘Rajaz’, ma dove i sintetizzatori trovano decisamente più spazio, spesso con melodie inusuali e scherzose. Nel finale troviamo l’epica ‘For Today’, dedicata agli spiriti degli ‘High Divers’: è questo l’appellativo dato da Susan Hoover a coloro che si suicidarono, gettandosi dalle Torri Gemelle di New York, il giorno dell’attacco aereo da parte di Al Qaeda.

1999 :: L’ultima incarnazione dei Camel: Dave Stewart, Colin Bass, Andrew Latimer

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*** Numerose sono le testimonianze dell’attività live del Cammello. Del resto si tratta di una band che sì è guadagnata rispetto e considerazione da parte degli appassionati non solo grazie ad una produzione notevole, ma anche ad un’intensa carrellata di concerti.

In generale gli album dei Camel non brillano quanto a reperibilità, è più facile a volte recuperarli in qualche negozio dell’usato, magari anche in formato lp. I dischi targati Decca records Sono stati tuttavia ristampati di recente, con diverse bonus tracks, per di più a prezzo speciale. 58

Ancora più difficile sarà recuperare gli album live, ma forse non troppo per quanto riguarda quelli ufficiali. Il primo, ‘A Live Record’ [1978] è un doppio, da tenere in considerazione per la presenza, sul secondo disco, dell’intera esecuzione di ‘The Snow Goose’ in versione orchestrale, in cui la presenza della London Symphonic Orchestra non fa che arricchire un album di per sè bellissimo.

Il secondo ‘Pressure Points - live in concert’ è del 1984, e non cade certo in un periodo di massima ispirazione per i Camel, senza contare i contrasti con l’etichetta Decca/Polygram e la separazione che sarebbe derivata a breve. Del resto, un titolo come ‘Pressure


Points’ la dice lunga... un concerto del tour di ‘Stationary Traveller’ fu filmato per intero, per essere pubblicato su VHS; tuttavia, a causa di problemi all’impianto luci, la prima parte dello show fu eliminata dal prodotto finale, per andare smarrita definitivamente in qualche sperduto archivio della Polygram! Lo spettatore può contare su 80 minuti di performance, di qualità decisamente scadente.

cuzione per intero di ‘Dust and Dreams’, e stessa sorte toccherà ad ‘Harbour of tears’ su ‘Coming of Age’, mentre su ‘’73-’75 Gods of Light’ è possibile cogliere nuovamente i Camel in piena fase progressive: spicca qui una delle rare versioni dal vivo della strumentale ‘Arubaluba’, che suggella l’omonimo debutto.

Molto meglio puntare sulle uscite di casa ‘Camel Productions’; difficilmente troverete questi prodotti sugli scaffali del vostro negozio di fiducia, l’unico modo per entrarne in possesso [legalmente, s’intende] è visitare la sezione ‘Shop’ sul sito www.camelproductions.com, e procedere al riempimento del carrello.

Le portate più interessanti sono proprio i bootleg ufficiali. Il primo, ‘Camel on the Road 1972’ contiene quattro brani suonati dalla line-up originaria, e come deducibile dal titolo, risale al periodo precedente alla pubblicazione del primo, omonimo disco. Le chicche sono una ‘Lady Fantasy’, che anticipa di ben due anni la sua release ufficiale, ‘God of Light’, presente sul primo album solista di Peter Bardens, e ‘The Answer’, anch’esso risalente alla Pre-Camel Era.

Non ho ancora parlato dei concerti italiani, anche perché c’è ben poco da dire: in trent’anni di gloriosa carriera, solo due volte [avete letto bene, due!!!] la band è passata in territorio nostrano. La prima nel gennaio 1973, la seconda nel settembre 2000... le cifre parlano da sole! Un concerto più unico che raro quest’ultimo, perché probabilmente non ci sarà più modo di rivederli, né da queste parti, né altrove. Non a caso il tour mondiale del 2003 è stato denominato ‘Farewell Tour’! Sul magazine ‘Wonderous Stories’ un vecchio articolo si concludeva nella vana speranza di non dover attendere altri 27 anni per una nuovo show italiano... l’eternità può bastare? *** www.camelproductions.com www.magenta.co.il/camel/

Nel secondo ‘Never let Go’, troviamo l’ese59


crediti Grafica, layout, impaginazione e traduzioni a cura di Eugenio Crippa. Immagini: pagine 1, 10, 11, 16 © Micke Johansson // pagine 18, 19 © Fredrik Odefjärd // pagine 34, 35, 36, 37 (Within Temptation) © metaltix.com // pagine 47, 53, 54, 55, 57 © Camel Productions. ‘Ghost Reveries’ lyrics reproduced by kind permission of Zomba Music Publishers LTD.

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