editoriale O2 # ENIZ‘ TNEVDA
Advent ‘zine # 2! Se possiamo scrivere queste righe ora è anche grazie a voi che state leggendo, e a tutti coloro che hanno supportato in un modo o nell’altro questa nostra iniziativa. In principio era un abbozzo di fan club, quindi giunse l’idea di una ‘semplice’ fanzine; Wacken Open Air nell’agosto ‘05, l’incontro con Mikael, quindi mesi di duro lavoro per far coincidere l’uscita del primo numero di advent ‘zine con la data del concerto degli Opeth a Milano, lo scorso 13 dicembre, presso il Rolling Stone. Nei mesi successivi si è cercato attraverso internet, ma soprattutto attraverso il contatto umano con i diretti appassionati, di diffondere questo lavoro; a volte si è trattato di ‘banchettare’ in occasione di qualche concerto, altre di fermare persone incrociate magari per caso, e di parlare con loro di questa nostra creatura. Ora, a pochi mesi dal debutto è stato trovato tempo necessario alla realizzazione di un seguito, e state pur certi che ce ne vuole parecchio! Non troverete stavolta una monografia su un’unica band tra queste pagine, ma una raccolta di impressioni su alcune uscite discografiche - molte recenti,
altre più mature - che vogliamo consigliare ai lettori, nel caso non abbiano già provveduto loro stessi ad accaparrarsi i dischi in questione. La filosofia che sta alla base di advent ‘zine invece non è per nulla mutata: la Rete è un semplice mezzo attraverso cui farsi conoscere, ma i contenuti veri restano esclusivamente scritti nero su bianco su pagine tutt’altro che virtuali. Se il secondo numero, che stringete tra le mani, sarà in grado di suscitare lo stesso interesse del suo predecessore, sicuramente avrà un seguito; possiamo solo anticiparvi che, proseguendo nell’analisi della discografia opethiana, sarà dedicato al disco che ancora oggi, a dieci anni di distanza, è in larga parte considerato il capolavoro assoluto dei Nostri: ‘Morningrise’. Benvenuti siano i nuovi adepti, e bentornate le vecchie conoscenze! Buona lettura! Eugenio Crippa Fabio D’Amico
ADVENT ‘ZINE # 2
O news
opeth Partiamo dalle notizie che contano, ovvero il possibile ritorno di Martin Lopez tra le fila della band. La critica maggiore mossa dagli astanti ai concerti italiani è stata proprio l’assenza del ‘vero’ batterista del gruppo, sostituito temporaneamente da Martin Axenrot, recuperato dalle fila di Witchery e Bloodbath. Se è vero che il tocco di Lopez è unico, è altresì innegabile che solo grazie ad Axenrot la band può andare in tour e promuovere adeguatamente la propria musica. A proposito delle condizioni di salute di Martin Lopez, ecco un estratto da un’intervista a Mikael pubblicata sulla webzine heavymusic.free.fr, realizzata in occasione del concerto di Lione lo scorso 11 dicembre: “[Martin Lopez] non è venuto con noi questa volta. L’ho chiamato una settimana prima dell’inizio del tour, e pare che ora stia molto meglio. Ma c’è bisogno di incontrarlo, insieme al resto della band, per chiarirsi definitivamente. In pratica è da giugno che non ci vediamo. E non ci siamo nemmeno parlati in alcun modo, so che ha bisogno di starsene per i fatti suoi, e non voglio forzarlo chiedendogli continuamente quando tornerà con noi. [...]. Lo incontreremo nuovamente, e se avrà voglia di tornare a suonare con noi, gli daremo un’altra chance. Ma dovrà essere un accordo forte da entrambe le parti, visto che i suoi problemi di salute ci hanno già dato noie in passato. Ci ha messo nei casini più volte e non voglio che accada più. Perciò, se dovesse tornare negli Opeth sarà per sempre. [...] Nel caso ciò non dovesse accadere, con tutta probabilità Martin Axenrot sarà il nostro nuovo batterista”. Non più confortante è il contenuto di un recen-
te intervista al magazine australiano X-Press Online:“Lopez non suonerà in questo tour, si trova a casa sua ora. Da diverso tempo non sta bene, ha avuto alcuni attacchi di panico che ci hanno perseguitato in un paio di occasioni, ed abbiamo dovuto annullare dei concerti. Non so di cosa si tratti di preciso. Tutti quanti abbiamo sintomi del genere - da una parte dicono che si tratta di cali di pressione, dall’altra che ha dei dolori alla schiena e che soffre di depressione. Siamo arrivati al punto di non poter più suonare insieme. Lui è dimagrito tanto da non essere più in grado di suonare. Perciò era evidente che non avremmo potuto proseguire in quelle condizioni; lui aveva bisogno di tornare a casa e di ristabilirsi. E da quel momento sono passati più di nove mesi”. Aggiunge Mikael:”[Lopez] non ha problemi a relazionare con la gente, ma non è certo il tipo di persona abituata ad uscire allo scoperto per intrattenere i fans, capisci? Non gli piace il fatto di doversi trovare al centro dell’attenzione, così spesso preferisce restarsene da solo all’interno del tour bus. E’ stato via talmente tanto tempo che non siamo in grado di stabilire cosa succederà in futuro, né se un giorno tornerà a suonare negli Opeth”. Gli Opeth in ‘formazione provvisoria’ sono comparsi sulla copertina del numero 140 del mensile inglese ‘Terrorizer’, in cui hanno letteralmente sbancato le poll di fine anno dei lettori: primi nelle categorie miglior band, album, artwork, musicista e cantante, secondi nelle categorie live act e personalità dell’anno, diretti inseguitori degli Iron Maiden! Un’uscita niente male, contenente intervista, poster, ed un elenco dei migliori album del 2005 secondo la redazione della rivista.
O2 # ENIZ‘ TNEVDA porcupine tree Finalmente advent ‘zine ha spazio da dedicare alla band inglese, non ancora con una retrospettiva, ma con un lungo live report delle date - italiane ed estere - a cui ho assistito lo scorso anno.
Per quanto riguarda i prossimi concerti, gli Opeth parteciperanno - oltre ad una vasta rassegna di festival estivi, tra cui il Wacken Open Air, da cui mancano da ben 5 anni - al nostro Gods Of Metal; in occasione del decennale del festival la Liveinitaly ha deciso di fare le cose in grande, allargando a quattro giorni la durata dell’appuntamento, che si svolgerà quest’anno dal primo al 4 giugno presso l’Idroscalo di Milano. Gli Opeth suoneranno il primo giorno, terzultimi, seguiti dai norvegesi Dimmu Borgir e dai leggendari Venom; lo stesso giorno si segnalano i Down di Phil Anselmo, Testament e Nevermore. Ingresso: 40 euri più prevendita. Info ulteriori su www.liveinitaly.com.
Una curiosa novità riguarda la pagina che Steven Wilson in persona ha aperto su myspace, fingendosi tale Nigel “The Fox”, un insegnante di ginnastica tedesco appassionato del telefilm ‘Miami Vice’. Ora che è stato scoperto essere tutto frutto della mente perversa di Steven, l’indirizzo è stato reso pubblico attraverso il sito swhq.co.uk, il Quartier Generale del musicista: all’indirizzo http://www.myspace.com/38472624 troverete anche un paio di inediti, tra cui una demo strumentale davvero molto bella.
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blackfield
anathema
Nel primo numero di advent ‘zine si era accennato al nuovo album dei Blackfield, che segue l’omonimo debutto del 2004; l’11 marzo è stato pubblicato su blackfield.org un messaggio di Aviv Geffen, l’amico israeliano di Steven che collabora al progetto: “Proprio in questi giorni si stanno svolgendo le registrazioni del prossimo album dei Blackfield - il lavoro svolto sinora promette molto bene, e sembra che sarà ancora migliore del nostro primo disco. Mi mancano tutti i nostri fans che abbiamo incontrato in tour, e spero di tornare presto a suonare dal vivo per rivedervi tutti. E’ strano vedere come la nostra musica si sia diffusa tanto rapidamente nel mondo, e credo davvero che la musica dei Blackfield sia come un virus, in grado di contagiare di tutti quanti siano alla ricerca di buona musica. Contiamo di pubblicare un nuovo singolo entro l’estate, e colgo l’occasione per ringraziare chiunque ci stia supportando. Peace, Aviv Geffen.
Da diverso tempo la band è al lavoro sul successore di ‘A Natural Disaster’, uscito nel novembre 2003. Un paio di brani inediti sono stati presentati oltre un anno fa, durante il tour europeo in supporto ai Porcupine Tree; in seguito sul sito ufficiale www.anathema.ws il chitarrista Daniel Cavanagh ha cominciato a scrivere alcuni messaggi sull’attività in studio della band. vincent cavanagh @ batschkapp, frankfurt, 19.04.2005
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Allo stesso indirizzo trovate ora una nuova canzone, dal titolo ‘Everything’, disponibile gratuitamente. Attraverso il circuito paypal è inoltre possibile supportare economicamente gli Anathema, che si trovano attualmente senza contratto discografico, e quindi senza un’etichetta disposta a finanziare la realizzazione di un nuovo disco. *** www.opeth.com | www.porcupinetree.com www.blackfield.org | www.anathema.ws www.terrorizer.com | www.ultimatemetal.com/forum/ www.opethforum.com | myspace.com/38472624 myspace.com/opeth | myspace.com/weareanathema
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orchid tracklist In The Mist She Was Standing (14.09) Under The Weeping Moon (09.52) Silhouette (03.07) Forest Of October (13.04) The Twilight Is My Robe (11.01) Requiem (01.11) The Apostle In Triumph (13.01) Running time: 65:31
credits Recorded at Unisound recordings, March 1994 Produced by OPETH Engineered by Dan Swanö Music by OPETH Words by Mikael Photos by Torbjörn Ekebacke Layout by OPETH and Torbjörn Ekebacke
line-up Mikael Åkerfeldt - Electric and acoustic guitars, lead vocals Johan De Farfalla - Electric and acoustic bassguitars, backing vocals Anders Nordin - Drums and percussion, piano Peter Lindgren - Electric and acoustic guitars
equipment Rhythm, lead and solo guitars: Jackson RR (USA) Clean electrics: Ibanez SG-75, Paul Chandler Custom (USA) Acoustics: Applause Semi-Ac, Trameleuc Semi-Ac, Prudencio Saez 2A Classic Basses: Washburn fretless, Hofner 4str, Washburn Semi-Ac. Amps: Marshall JCM800 Lead50W, Vintage 4/12 Cabinet, GK Bass Transistor Strings: Dadario/GHS 009, Martin Bronze, Savarez 520r, Martin Bronze (Bass), GHS 040. Drums: Tama Swingstar, Sabian/Zildian symbals Effects: Boss Heavy Metal, Overdrive, Phaser, Volume pedal, Ibanez Metal screamer, Pan-delay. Keyboards: Roland XP-10 (Grand piano)
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introduzione parole di eugenio crippa
Nel lontano 1994 viene registrato il primo disco degli Opeth, ‘Orchid’. Leggenda vuole che l’allora boss della Candlelight Records, Lee Barrett, abbia contattato la band dopo aver ascoltato qualche estratto di ‘The Apostle in Triumph’. I quattro non si lasciano sfuggire l’occasione, e vengono subito dirottati verso gli Unisound Studios di Dan Swanö, che all’epoca si è già dimostrato personaggio notevole all’interno della scena musicale svedese. Fu ad esempio sua madre a firmare il contratto per il primo album degli Edge of Sanity, dato che il giovane Dan era ancora minorenne! Si tratta senz’altro di un individuo con la musica che scorre nel sangue, non si spiega altrimenti l’abilità con cui si destreggia tra batteria, basso, chitarra e tastiere: ascoltate il suo album solista ‘Moontower’ per rendervi conto del fatto che non sto per niente scherzando! E non si spiegherebbe altrimenti l’immensa quantità e qualità di produzioni, collaborazioni e pubblicazioni che portano la sua firma. Nel nostro Paese ‘Orchid’ verrà distribuito nel 1995, e ancor di più si dovrà attendere oltreoceano, dove i primi due album della band verranno pubblicati solo nel 1997 su Century Black - divisione statunitense della Century Media - insieme ad altri lavori di Katatonia, Emperor, Ulver, Samael, Tiamat. ‘Orchid’ è a tutti gli effetti un debutto clamoroso, diverso da qualsiasi cosa fosse proposto all’epoca - e, per certi versi, ancora oggi: 7 brani per 65 minuti di riff contorti, che uniscono Death e Progressive Metal ad ammalianti inserti acustici. Dice bene Mikael in una breve intervista su ‘Rumore’ del gennaio ‘96, quando afferma come le canzoni siano caratterizzate più dai numerosi break e cambi di tempo piuttosto che dai riff, de-
stinati presto a sparire senza essere più ripresi come se all’interno di un testo scritto la punteggiatura avesse più valore delle parole. Ciò che meraviglia è quindi il fatto che un discorso musicale apparentemente privo di senso possa invece rivelarsi a dir poco unico, quasi che i vari frammenti si succedano l’uno dopo l’altro con sorprendente naturalezza. Questa formula verrà poi riproposta nel successivo ‘Morningrise’: ‘Advent’ e ‘Black Rose Immortal’ risalgono infatti, almeno a livello embrionale, agli anni precedenti la pubblicazione di ‘Orchid’. La prima in particolare contiene diversi frammenti di vecchie composizioni, a formare una sorta di best-of dei passaggi migliori. Ma cosa combinavano ai tempi le riviste specializzate italiane? Dall’intervista di ‘Rumore’ a cui ho accennato poco fa si deduce quanto ‘Orchid’ sia piaciuto non poco al redattore di turno. Sulle pagine di Metal Shock gli Opeth vengono trattati da perfetti sconosciuti, autori di un album il cui principale difetto è ciò che viene considerato dai sostenitori uno dei loro punti di forza, ossia la durata non indifferente dei brani. Grind Zone costituisce invece un caso a parte. Nata come ‘costola estrema’ di Metal Hammer, è stata senz’altro la primissima rivista nostrana a riconoscere le potenzialità del quartetto svedese. Anche perché Stefano Longhi, l’allora caporedattore di Grind Zone, aveva contatti con gli Opeth sin dai primissimi anni ‘90. Come ricorda lui stesso sulle pagine del suo magazine, “con questi ragazzi, soprattutto con l’ex-singer Dave Isberg (che fine hai fatto, disgraziato!?!?) c’era una fitta corrispondenza (indimenticabile lo scambio di T-Shirts ‘Black Army AIK’/’Viking Juventus’) ed una trattativa per la pubblicazione
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di un 7” per l’etichetta discografica a cui fornivo il mio contributo. Non se ne fece nulla, non per colpa mia... un vero peccato”. Lo stesso Longhi preciserà un paio di anni dopo, nell’introduzione alla recensione di ‘My Arms, Your Hearse’, con le seguenti parole:”Li ho visti nascere gli Opeth... Ero in contatto anni fa con Mike e con il loro vecchio cantante, tale Dave Isberg, un personaggio assolutamente fuori di testa, fanatico dell’AIK Stoccolma (devo avere ancora da qualche parte una maglietta della ‘Black Army’, tifoseria piuttosto estremista, regalatami da lui in cambio di un gagliardetto bianconero...) che mi ospitò dalle sue parti in uno dei miei trascorsi svedesi. Parlai con Mike a lungo, discutemmo dell’ipotesi di poter lavorare insieme sul suo progetto musicale, cercavano la possibilità di stampare un 7”ep ed io all’epoca (1992) perdevo tempo in una neonata etichetta discografica. Non se ne fece nulla, c’era un certo ‘Live in Leipzig’ di mezzo...”
Non è finita, poiché ovviamente vi fu anche l’intervista di rito, pubblicata nel gennaio del ‘96: posso immaginare quanti blacksters tra i lettori abbiano storto il naso, leggendo dichiarazioni in cui Mikael dichiara come il Black Metal fosse ormai diventato “un fottuto trend” - oltre 10 anni fa!!! - ed in cui vengono nominati Van Der Graaf Generator e Gentle Giant. Gli Opeth si rendevano conto già ai tempi di essere delle mosche bianche all’interno del panorama musicale estremo, e più volte Mikael affermerà che la bontà di un disco come ‘Orchid’ risiede proprio nel fatto di essere un prodotto originale e controcorrente sotto molti punti di vista, artwork compreso. Altri vecchi ricordi sono stati riesumati dallo stesso Mikael e postati sul forum ufficiale. Quanto segue dimostra come ‘Orchid’ - ed in parte il suo successore ‘Morningrise’ - sia a tutti gli effetti il risultato finale di una lunga attività di composi-
2 # ENIZ‘ TNEVDA zione, di lavoro di gruppo e - per dirla in termini ingegneristici - di successivi raffinamenti che hanno portato alla realizzazione dei brani come li conosciamo oggi. A partire dal terzo album ‘My Arms, Your Hearse’ sarà invece l’attività in studio di registrazione a dare maggiori frutti.
“’Requiem of Lost Souls’ è la prima canzone che ho scritto per gli Opeth. Solo due riff sono poi sopravvissuti al tempo, e li trovate in ‘Forest of October’. ‘Mark of the Damned’ si chiamava all’inizio ‘Mystique of the Baphomet’, titolo ispirato ad una song dei Venom. Anche in questo caso ‘Forest of October’ ha attinto da qui. Questi sono i brani del rehearsal tape ‘Dark Phantasia’ del 1991; compare anche Johan Defarfalla. Suonò insieme a noi un solo concerto nel 1991, per poi sparire nel nulla e tornare tre anni dopo. Altri vecchi titoli (estremamente oscuri) sono: ‘The Final Destiny’, ‘Dimension of Devastated Minds’, ‘Children of Darkness’... il tutto prima che io cominciassi a cantare; ricordo solo che ‘Dimensions...’ durava 10 minuti. ‘Oath’ divenne ‘The Twilight Is my Robe’, ‘Autumn’ divenne ‘The Empty Glade’, a sua volta tramutata in ‘To Bid You Farewell’. Ho diverse rehearsal-tape che vanno dal 1990 al 1996 - per qualche ragione ho poi smesso di registrarne - ed in effetti contengono ottime idee in diversi frangenti, ad esempio un brano per soli pianoforte e chitarra suonati da me e da Anders [Nordin, batterista, ma anche eccellente pianista, come potete constatare ascoltando ‘Silhouette’]. Avremmo voluto pubblicarlo su ‘Morningrise’, ma non ci fu tempo per registrarlo adeguatamente. In ogni caso suona davvero bene anche in versione demo, ed il pianoforte scordato di Anders gli dona un’aria vagamente macabra! ‘Poise into Celeano’ fu il primo titolo per ‘Into the Frost of Winter’... ho riscritto i testi per intero dopo che David [Isberg] ebbe mollato il gruppo, poiché non avevo nessuna idea del significato delle vecchie liriche. Questo brano fu poi abban-
donato fino a quando non è stato pubblicato sulle ristampe”. Mikael si riferisce qui alle riedizioni dei primi tre album degli Opeth da parte della Candlelight Records. Un’operazione che aveva l’unico scopo di rastrellare un bel po’ di soldini: nell’estate 2001 - guarda caso subito dopo il nuovo contratto con la Music For Nations ed il primo tour statunitense della band - furono infatti editi ‘Orchid’, ‘Morningrise’ e ‘My Arms, Your Hearse’ in due versioni, CD [la stessa che trovate oggi nei negozi, poiché le primissime edizioni sono fuori catalogo da tempo] e doppio vinile. ‘Into the Frost of Winter’ e ‘Eternal Soul Torture’ sono i due veri inediti: due vecchie registrazioni ultragrezze, ripescate con tutta probabilità su qualche rehearsal tape; le altre bonus tracks, aggiunte a ‘My Arms...’, sono due cover, ovvero ‘Circle of the Tyrants’ dei Celtic Frost e ‘Remember Tomorrow’ degli Iron Maiden, comparse anni or sono su un paio di compilation in tributo ai suddetti gruppi. A diversi mesi di distanza sono poi seguite altre ristampe del medesimo materiale: contenitore di metallo con logo in rilievo e picture lp. Le tracce aggiuntive sapranno soddisfare anche i fan meno esigenti, ma l’intera rassegna di ristampe, vista la povertà dei contenuti, è materiale per completisti accaniti. A conclusione di questa introduzione, un’ultima citazione “storica”, che a dieci anni di distanza ancora descrive al meglio l’attitudine degli Opeth:”...l’aggettivo [che ci descrive pienamente] è sicuramente ‘onesti’. Fondamentalmente siamo una band onesta, e di questi tempi è una virtù”!
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biografia
parole di mikael Åkerfeldt | traduzione di eugenio crippa
introduzione Nel primo numero la biografia ufficiale, scritta da Mikael e riportata sulle pagine di opeth.com, è stata tradotta e pubblicata a partire dall’ultimo capitolo. Una mossa obbligata, in quanto ‘Ghost Reveries’ era uscito da poco, e ad esso è stata dedicata la nostra prima uscita. Da questo secondo numero torniamo indietro nel tempo, negli anni in cui la creatura Opeth prese lentamente forma, per proseguire in futuro con l’analisi dei lavori successivi in ordine rigorosamente cronologico. A meno che un nuovo album non salti fuori durante il tragitto. Tenete presente che Mikael ha scritto i primi capitoli della biografia degli Opeth diversi anni fa, e che da allora non sono stati più aggiornati. Perciò alcuni punti risultano oggi evidentemente errati, come ad esempio il riferimento alle chitarre utilizzate o alla vecchia formazione a quattro.
capitolo i Se non vado errato le prime fondamenta degli Opeth furono poste quando io e Anders [Nordin] fondammo gli Eruption. Eravamo amici d’infanzia, e lo siamo tuttora. Quando eravamo ancora bambini i nostri interessi erano incentrati più sullo sport che sulla musica. Ma il mio fiuto ben presto mi fece cambiare rotta. Avevo otto anni quando comprai il mio primo disco, un Heavy Metal LP, ‘The number of the beast’ degli Iron Maiden. Da quel momento capii di essere destinato a suonare in una band, a qualsiasi genere musicale appartenesse. nel 1986 presi la mia prima chitarra elettrica, e cominciai subito a strimpellare i riff di ‘Smoke on the Water’. Era una simpatica
Les Paul nera, molto simile a quella che Peter suona durante i nostri concerti [anche se ora gli Opeth utilizzano chitarre elettriche targate PRS], anche se ovviamente la sua è molto più bella. Il fratello maggiore di Anders aveva suonato in passato la batteria in un gruppo metal, e quindi io e Anders cominciammo a suonare qualcosa insieme nella sua sala prove a Sorskögen, dove vivevamo in quel periodo. Credo che gli Eruption siano nati verso la fine del 1987. All’inizio suonavamo soprattutto cover di Bathory, Death ed altri gruppi Death Metal, il nostro genere preferito in quei tempi. Nel 1988 eravamo un gruppo di 4 elementi, come lo siamo oggi. Io alla voce e alla chitarra, Anders alla batteria, Nick Döring alla chitarra ed un certo Jocke Horney al basso (anche se in realtà non lo sapeva suonare). Quest’ultimo fu presto rimpiazzato da un bassista migliore, Stephan Claesberg. Gli Eruption andarono davvero forte per un paio d’anni, fino al 1990. Non abbiamo mai suonato concerti, registrato demo o altro. Beh, a dire il vero possiedo un paio di rehearsal tapes, in cui figurano canzoni quali ‘Abandon Life’ (la prima canzone che io abbia mai scritto), ‘Walls of dwell’, ‘Obedient Souls’, ‘Condemned to Hell’, ‘Procreation of Malediction’, ‘Sarcastic Reign’. A parte questi brani, abbiamo suonato molto altro: eravamo soliti coverizzare brani di Misfits, Black Sabbath e altri. Alla fine di questo breve periodo eravamo rimasti in tre; per raggiungere la sala prove dovevamo passare attraverso un piccolo boschetto, portandoci dietro tutta la nostra strumentazione, compreso un PA system dannatamente pesante, ereditato dai leggendari punksters svedesi Ebba Grön! Non che ce ne fregasse molto, il nostro unico interesse era suonare del fottutissimo Heavy Metal!
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pre-orchid era :: peter lindgren, anders nordin, mikael åkerfeldt... e un certo david isberg?
capitolo ii Conobbi David Isberg ai tempi degli Eruption, quando ancora era in voga la moda dello skateboard. Tutti noi ragazzi avevamo un dannato skateboard! Tornando a noi, David era un estimatore della musica estrema, e senza dubbio fu anche merito suo se oggi anche io adoro questo genere. Scombussolò completamente i miei interessi quando mi prestò il demotape dei Mefisto, ‘The Puzzle’. Ne rimasi sconvolto! C’era di tutto in quel demo, assoli fantastici, voci agghiaccianti, chitarre acustiche! Era molto meglio di parecchi album di Death Metal che avevo acquistato in quel periodo. Insieme a Morbid Angel, Bathory e Voivod, i Mefisto divennero una delle mie principali influenze. Allo stesso tempo gli Eruption cessarono di esistere, e nacquero gli Opeth.
David aveva radunato insieme alcuni ragazzi di Täby. Il nome del gruppo l’aveva tratto da un libro di Wilbur Smith [‘The Sunbird’, tradotto letteralmente nell’edizione italiana come ‘L’Uccello del Sole’], ma la versione originale è ‘Opet’, senza ‘h’ alla fine. Solo quando riuscii a recuperare il libro vidi che nel racconto Opet è la ‘Città della Luna’. Gli Eruption erano ormai acqua passata, ma io avevo intenzione di andare avanti a suonare in un altro gruppo. David mi aveva mostrato il logo degli Opeth, quello con la croce rovesciata: mi piacque molto, ed il mio interesse per gli Opeth crebbe rapidamente. Mi chiese un giorno se volevo suonare il basso nella sua band: provare non mi costava nulla, ed una sera fissammo appuntamento nella sala prove di Täby. Purtroppo nessuno degli altri componenti della band sapeva che quella sera avrei suonato con
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ADVENT ‘ZINE # 2 loro, e non avevano alcuna intenzione di mandare via il loro vero bassista. Ma il bello fu quando quest’ultimo giunse in sala prove: era imbarazzatissimo! Cominciarono a discutere, e quella stessa notte gli Opeth non esistevano più, almeno per gli altri ragazzi. Il gruppo cambiò nome in Crowley, e registrò un terrificante demotape nel 1991. In ogni caso io e David volevamo combinare qualcosa col nome Opeth, per cui resuscitammo la band. In quel momento dichiarammo che gli Opeth sarebbero presto diventati la band più malvagia sulla faccia della Terra!!! Come avrete senz’altro capito, ero interessato all’occulto, ma non a livelli maniacali. La musica giusta per me era fatta di riff tecnici, oscuri e malvagi. I testi miei e di David erano nientemeno che inni satanici! I primi pezzi da noi scritti furono ‘Requiem of Lost Souls’ e ‘Mystique of the Baphomet’ (che più tardi sarebbero diventate ‘Mark of the Damned’ e ‘Forest of October’). A questo punto avevamo bisogno di completare la line-up. Chiedemmo perciò ad Anders [batteria] e a Nick [basso] di unirsi al gruppo. Andreas DiMeo divenne il secondo chitarrista della band. Poco tempo dopo David aveva già procurato agli Opeth la possibilità di suonare ad uno dei tanti festival Death Metal di Stoccolma. A quei tempi provavamo all’interno di una scuola elementare, con l’ausilio di un equipaggiamento anni ‘60, l’unico a disposizione. Il concerto si tenne nel febbraio 1991, insieme a Therion, Excruciate e Authorise. Avevamo provato tre pezzi, di cui solo due furono proposti dal vivo. Si trattò probabilmente del peggiore concerto a cui una persona potesse assistere. Eravamo così fottutamente nervosi che avevamo voglia di fermare tutto e di tornarcene a casa. Poco tempo dopo David ci fornì un’altra occasio-
ne per suonare, a Goteborg stavolta. Nel frattempo Andreas e Nick avevano lasciato il gruppo. Per questo secondo show contattammo due vecchi membri di una squallida Metal band, i Crimson Cat, affinché potessero darci una mano. Erano Kim Petterson e Johan DeFarfalla (proprio lui!!!). Furono molto felici di questa richiesta, per loro suonare Death Metal era la cosa più semplice al mondo. Tuttavia ebbero non pochi problemi ad imparare le nostre canzoni, che erano diventate parecchio complesse. Il concerto fu fantastico! Gli altri gruppi che suonarono quella sera furono At the Gates, Therion, Desecrator, Megaslaughter e Sarcazm. Suonammo abbastanza bene stavolta, e dopo lo show fummo ospiti di Adrian degli At the Gates... ...a parte Johan, che tornò subito a Stoccolma dalla sua ragazza, e da quel momento per diversi mesi non suonò più con noi. Poi Kim ci organizzò un’altra trasferta verso la fine del 1991, con Asphyx e Desultory. Intanto io avevo scritto una canzone intitolata ‘Poise into Celeano’, molto diversa dalle composizioni precedenti. Nessun blastbeat né parti ultrarallentate. Questa canzone aveva momenti acustici, armonie, ed un basso che pompava in modo impressionante! Frammenti di questo brano confluirono poi a formare ‘Advent’ sull’album ‘Morningrise’. Ad ogni modo, per questo terzo concerto ci serviva un bassista. Avevo incontrato Peter in passato, grazie al fatto che le nostre ragazze si conoscevano, e pensai di rivolgermi a lui. Suonava la chitarra nei Sylt I Krisset, più per hobby che altro, ed avrebbe preferito dedicarsi a qualcosa di più serio; perciò accettò la nostra offerta. La nostra esibizione fu discreta. In seguito Kim abbandonò il gruppo, e Peter passò alla chitarra. All’inizio del 1992 anche David se ne andò, per raggiungere i Liars in Wait. Sinceramente, pensai fosse un bene, visto che David non sembrava più intenzionato a continuare con noi.
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capitolo iii.i Poichè ero il cantante degli Eruption, divenni il nuovo cantante degli Opeth. Io e Peter cominciammo subito a scrivere nuovo materiale, convinti di aver trovato un nuovo ed originale modo di comporre. A quei tempi praticamente nessuna band estrema faceva uso di tante melodie come noi. Canzoni come ‘Forest of October’ e ‘Black Rose Immortal’ cominciarono a prender forma. Provammo con la formazione a tre per più di un anno, fino a quando non trovammo un nuovo bassista in Stefan Guteklimt, che suonò con noi per altri dodici mesi. Fu poi cacciato dal gruppo non appena ricevemmo l’opportunità di siglare un contratto discografico con la Candlelight Records. Registrammo ‘Orchid’ nel 1994 con Johan [DeFarfalla] come session-man. In seguito Johan divenne un membro degli Opeth a tutti gli effetti. L’uscita del primo album subì parecchi ritardi, e
noi eravamo ansiosi di poter suonare da qualche parte. Lee [Barrett] ci offrì l’opportunità di poter suonare un paio di date in Inghilterra nell’estate 1995. Uno di questi concerti fu un evento abbastanza importante presso il Teatro Astoria di Londra, insieme ad Impaled Nazarene, Hecate Enthroned, Ved Buens Ende e qualche altro gruppo. Una volta tornati a casa non ci fu molto tempo libero a disposizione: gli Unisound Studios erano già stati prenotati per le registrazioni del secondo album...
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session diary
parole di mikael Åkerfeldt | traduzione di eugenio crippa Trattandosi del nostro primo album, ‘Orchid’ occupa un posto speciale nel mio cuore. Lo registrammo nel marzo 1994 nella città di Finspång, in cui si trovavano all’epoca i vecchi Unisound Studios. Poiché venivamo tutti da Stoccolma, per noi si trattava di una specie di vacanza in campagna. In quel posto non succedeva mai nulla di particolare, c’era una calma pazzesca. Chiunque deve aver notato noi quattro vagabondi arrivare: non appena entrati in città la polizia ci fermò, scambiandoci per degli spacciatori. Dan [Swanö] aveva affittato per noi un appartamento a pochi passi dal centro, e vivere là dentro per due settimane fu un’esperienza davvero unica. Non disponevamo di un bassista, e chiedemmo aiuto ad un certo Johan DeFarfalla, che sarebbe poi diventato membro a tutti gli effetti per un paio di anni.
Cominciammo lentamente a registrare quanto avevamo in testa. Lo studio era situato nella cantina di una casupola, proprio in mezzo ad un campo. Dan ci disse che in passato quel luogo era stato un centro di cura per malati di menti; non so se in quel momento si stesse riferendo a noi oppure a qualche altro sconosciuto. Si trattava di registrare il nostro primissimo disco, perciò
eravamo tutti parecchio tesi, in modo particolare Anders [Nordin, batterista].
Terminai in fretta le parti di chitarra per poi aiutarlo col proprio strumento. Giusto un paio di giorni, se non sbaglio, e si trattò senz’altro di un ottimo lavoro! Il resto delle registrazioni procedette rapidamente, mentre notavo che Dan mostrava un interesse sempre crescente verso la nostra musica. Quando giunse il momento di registrare le parti vocali lui era già completamente Opeth-addicted, e ricordo ancora quando mi disse di essere davvero teso ed emozionato per quanto riguardava la mia voce.
2 # ENIZ‘ TNEVDA ‘Requiem’. In realtà fu registrato in un primo momento agli Unisound Studios, ma il risultato non fu dei migliori. Perciò ci recammo in seguito in uno studio di Stoccolma, aiutati dal produttore Pontus Norgren, individuo che aveva suonato in passato in una band Heavy Metal abbastanza famosa, i Great King Rat: devo ammettere di essere rimasto davvero impressionato dalla sua professionalità e dalla sua esperienza!
Infatti, Dan impazzì completamente quando cominciai a cantare: rideva tutto eccitato mentre io stavo registrando. Poi però decise di impiegarmi in uno dei suoi progetti: cantai e suonai alcuni riff di chitarra per l’album ‘Crimson’ degli Edge of Sanity nel 1996.
L’unico vero problema in quei giorni fu il fatto di non aver avuto abbastanza tempo per registrare in maniera adeguata il pezzo acustico dell’album,
Una volta ultimate le registrazioni, ci occupammo subito dell’artwork del disco. Ero in contatto con un fotografo, che proprio in quel periodo stava realizzando dei layout grafici, e fu proprio lui a darci una mano. Ordinammo esplicitamente che l’orchidea della copertina fosse spedita direttamente dall’Olanda. La foto della band fu scattata a Sorskögen, luogo dove trascorsi la mia infanzia, e fummo davvero fortunati: il tramonto quella sera fu probabilmente il più bello che io abbia mai visto. Furono scattate diverse foto, ma quella in cui compaiono le nostre sagome era di gran lunga la migliore. 15
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ADVENT ‘ZINE # 2 sultato finale davvero ottimo! Nemmeno in fase di mastering andò tutto come previsto! Metà del brano ‘Requiem’ era stata tagliata ed unita all’ultima traccia, ‘The Apostle in Triumph’! Non eravamo presenti in quell’occasione e non abbiamo potuto evitarlo, ma questa è una delle cose che ancora oggi mi irritano!
A questo punto era quasi fatta, compreso quanto riguardava il booklet del CD; la copia che spedimmo in Inghilterra era davvero niente male! Sfortunatamente però andò tutto storto. Le pagine coi testi erano l’esatto contrario di quanto ci aspettavamo: il bianco era nero e viceversa... orribile!
L’unica cosa di cui ero soddisfatto, musica a parte, erano il fronte ed il retro della confezione, il resto era davvero orrendo! Il CD era blu anziché nero... com’era possibile??? Tuttavia, con nostra grande sorpresa, molta gente considerava il ri-
Ad ogni modo, eravamo troppo felici per aver finalmente inciso un disco, e quando uscirono le recensioni non potemmo far altro che prostrarci in segno di gratitudine. Ogni singola recensione ci elogiava! La gente era andata completamente fuori di testa! Ancora oggi adoro ‘Orchid’, ed ogni tanto lo ascolto. Fu il nostro primo segnale di vita, e ci ha portati più o meno dove ci troviamo ora. Il mio pezzo preferito è ‘Forest of October’, che su disco sembrò rinascere. Abbiamo suonato quella canzone per anni senza provare alcun feeling particolare, ma su ‘Orchid’ è diventata una delle migliori composizioni degli Opeth, nonché un grande brano da proporre in concerto!
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testi e traduzioni
a cura di gabriella d’auria ed eugenio crippa
Come da copione, ecco a voi le nostre personalissime interpretazioni delle liriche di ‘Orchid’. Ricordiamo il contesto in cui l’album fu realizzato e pubblicato: oltre dieci anni fa, brani frutto di infiniti ripensamenti e rivisitazioni, fino al risultato incastonato definitivamente tra solchi del disco. Persino ‘Black Rose Immortal’ era in un primo momento destinata a comparire su ‘Orchid’, ma gli Opeth vollero entrare in studio con le idee chiare, e la versione finale di quella monumentale canzone finì poi sul successivo ‘Morningrise’. Nelle pagine precedenti avrete letto come i testi delle prime composizioni di Mikael fossero decisamente a sfondo satanico; su ‘Orchid’ si cambiano le carte in tavola: del resto il frontman degli Opeth non ha mai perso occasione per sottolineare quanto quel disco fosse differente dalla marea di pubblicazioni Black Metal che infestavano il mercato nei primi anni ‘90... una differenza musicale e testuale: abbandonati gli Inni a Satana, gli Opeth parlano ora di un legame mistico con la Natura e l’Universo intero. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di scriverlo: ‘Orchid’ non è un concept album, ed al momento - oltre a ‘Ghost Reveries’, ampiamente analizzato nel primo numero di advent ‘zine - gli unici concept partoriti dalla band svedese si intitolano ‘My Arms, Your Hearse’ e ‘Still Life’. E con tutta probabilità non è nemmeno necessario andare alla ricerca di chissà quale significato nascosto dietro i testi di ‘Orchid’, poiché solo negli anni a venire le parole di Mr. Åkerfeldt si faranno più ricercate e profonde. Con questa nostra traduzione ci limitiamo ad indicare la via, a voi lettori il compito di interpretare liberamente e personalmente il nostro lavoro. 17
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ADVENT ‘ZINE # 2 In Mist She was Standing Seven milestones... Under a watching autumn eye Contorted trees are spreading forth The message of the wind With frozen hands I rode with the stars With anger the wind blew Giving wings to my stallion How can you trust the moon Blazing, the white light Passing the lake I know so well I am near, yet so far away Arrival... I saw her shadow (standing) in the darkness Awaiting me like the night Awaits the day Standing silent smiling at my presence A black candle holds the only light
Avvolta dalla Nebbia Sette pietre miliari... Sotto lo sguardo dell’occhio d’autunno Alberi contorti diffondono a gran voce Il messaggio del vento Con mani gelide ho cavalcato con le stelle Il soffio rabbioso del vento Spinse verso l’alto il mio stallone Come puoi credere alla luna* Alla sua luce bianca, splendente Mentre attraverso il lago so in cuor mio Di essere vicino, ma ancora così lontano Al mio arrivo... Riconobbi la sua sagoma (in piedi) nell’oscurità Come la notte il giorno, lei mi attendeva In piedi, sorridendo silenziosamente alla mia presenza Una candela nera è l’unica fonte di luce
Darkness encloses And the candles seem to expire In her cold, cold hand And as a forlorn soul It will fade away
Il buio è sempre più opprimente E la luce sembra svanire Nella sua mano fredda Come un’anima abbandonata Sembra sbiadire lontana
Touching her flesh in the night My blood froze froze forever Embraced before the dawn
Mentre sfioro la sua carne nella notte Il mio sangue raggela Per sempre Abbracciati prima dell’alba
A kiss brought total eclipse
Un bacio, ed è per sempre notte
And she spoke Once and forever I am so cold In mist enrobed the twilight She was standing...
Lei parlò, finalmente Una volta e per sempre Sento un freddo indescrivibile Mentre osservo Lei, immobile Nella nebbia che avvolge il tramonto...
_____________ * Il booklet di ‘Orchid’ recita “Clouds gathered across the Moon”, ossia “Nuvole raccolte intorno alla Luna”. Mikael canta in realtà il verso riportato qui sopra.
2 # ENIZ‘ TNEVDA Under the Weeping Moon Once again I’ve cried Unto the moon That burning flame That has guided me Through all these years The lake from which you flow With eyes of fire Once unlit but now alive This energy, sparkling Like a morning star The morning star
Sotto la Luna Piangente Ancora una volta ho pianto Al cospetto della luna La fiamma ardente Che mi ha guidato In questi lunghi anni Il lago da cui ti innalzi Con occhi di fuoco Un tempo spenti, ora più che mai vivi La tua energia risplende Come una stella al mattino La stella del mattino
Riding the fires of The northern gold I’ve searched the eye I laugh under the weeping moon
Cavalcando le fiamme Dell’oro del nord Ho cercato quello sguardo Rido sotto la luna piangente
I am the watcher in the skies Nor the emeralds know my mark Glisten to mark their presence Set the enigma ablaze Searching... Finding...
Ssono il guardiano dei cieli Neppure gli smeraldi riconoscono il mio arrivo Brillano per segnalare la loro presenza Rendono il mistero splendente Cercando... Trovando...
Burn the winter landmarks That said I was there Burn the spirit of cold That travel through my soul
Forest of October The memories that now rests in this forest Forever shadowing the sunrise of my heart Wings leave their nest at my coming Swaying away unto the cold glowing sky Dreaming away for a while My spirit sighs in peace Gazing unto the stars Please, take me there
Bruciano i segni dell’inverno Portati dal mio passaggio Brucia lo spirito del gelo Che attraversa la mia anima
Foresta di Ottobre I ricordi che ora giacciono in questa foresta Che per sempre adombra il sorgere dei miei sentimenti Gli uccelli abbandonano i loro nidi al mio arrivo Volando verso un cielo freddo e splendente Fantasticando a lungo Il mio spirito sospira in pace Fissando il cielo stellato Vi prego, qualcuno mi porti lassù
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ADVENT ‘ZINE # 2 I am so alone, so cold My heart is to scarred to glow I wish the sunrise to come Take my soul (away) From this cold, lonely shell I am free From the eternal sea I rose Veiled in darkness on either shore Lost my pride, lost its glow For me the sun rose no more The forest of October Sleeps silent when I depart The web of time Hides my last trace My blaze travel the last universe Like the sights of magic Wrapped in aeons My mind is one with my soul I fall alone While leaves fall from the weeping trees
The Twilight is my Robe Unto you I whisper The wildest dreams In the coldness of night Shrouded in crystals Through a frosty dusk Souls of the fullmoon awaits Their shadows ablaze We are all bending Our tired leaves over your empty shell In the sign of true esteem Are you beloved lord Sighing deep under these waterfalls The birds of the sun Separates these dark clouds While the winds of winter sleeps gently around
Mi sento così solo, così freddo Il mio cuore è troppo spaventato per risplendere Vorrei che tornasse il sole A portare via la mia anima Da questo guscio vuoto e freddo E sentirmi finalmente libero Dai mari eterni mi innalzo Coperto nell’oscurità da ogni sponda Persi il mio orgoglio, persi il suo bagliore Il sole non tornò più a trovarmi La foresta di ottobre Dorme silente mentre mi allontano E lo scorrere del tempo Nasconde le mie ultime tracce La mia fiamma attraversa l’ultimo universo Come un soffio di magia Congelato nel tempo La mia mente è una con la mia anima Cado solitario Insieme alle foglie che abbandonano gli alberi
Il Crepuscolo è la mia Veste A te sussurro I miei desideri più selvaggi Nel freddo della notte Avvolte da cristalli In un gelido crepuscolo Le anime della luna piena attendono Il sorgere delle loro ombre Tendiamo tutti Le nostre foglie stanche sul tuo involucro vuoto In segno di profondo rispeto Sei tu, o mio adorato Signore Che sospiri profondamente sotto queste cascate? Gli uccelli del sole Dividono queste nuvole oscure Mentre i venti invernali si fermano dolcemente
2 # ENIZ‘ TNEVDA I am sworn to the oath To breathe... At the waters I dwell The waves are still whispering Ancient lullabies I die.... While our mystic brothers still seek
The Apostle in Triumph In solitude I wander.... Through the vast enchanted forest The surrounding skies are one Torn apart by the phenomenon of lightning Rain is pouring down my (now) shivering shoulders In the rain my tears are forever lost The darkened oaks are my only shelter Red leaves are blown by the wind An ebony raven now catches my eye Sitting in calmness Before spreading his black wings Reaching for the skies In this forest Where wolves cry their agony unto the moon My spirit is hidden In the form of wisdom carved on a black stone The only way to follow Open your soul Redeem, I am immortal Blinded by a light My soul is held up in glory I engulf the skies The apostle in triumph Through the eternal flame I travel As the rain keeps falling....
Sono legato ad un giuramento Che mi consente di restare in vita... In riva alle acque è la mia dimora Le onde sussurrano ancora Antiche ninnenanne Muoio... Mentre i nostri fratelli mistici cercano ancora
L’apostolo in Trionfo Nella solitudine io vago... Attraverso l’immensa foresta incantata I cieli che mi circondano Sono spezzati dai fulmini Piove a dirotto sulle mie spalle tremolanti Le mie lacrime si perdono per sempre nella pioggia Le nere querce sono il mio unico rifugio [Con le loro] foglie rosse trascinate dal vento Un corvo nero incrocia il mio sguardo Fermo, impassibile Appena prima di aprire le sue ali nere Ed innalzarsi nel cielo In questa foresta Dove i lupi ululano alla luna la loro agonia Il mio spirito si nasconde Sotto forma di saggezza Scolpita nella roccia nera Questo è l’unico modo per sopravvivere alla morte Concediti a me Riscattati, sono immortale Accecata dalla luce La mia anima resiste gloriosa Agito i cieli Io, l’apostolo in trionfo Viaggio attraverso la fiamma eterna Mentre la pioggia continua incessante...
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rolling stone, milano, 13.12.2005 opeth live report :: parole di fabio d’amico
ghost of perdition when white cluster closure bleak the grand conjuration under the weeping moon the baying of the hounds a fair judgement deliverance
Faceva un gran freddo quel pomeriggio... per lo staff di advent ‘zine si trattava di ben più di una semplice occasione per vedere i nostri beniamini dal vivo; finalmente avevamo la possibilità di farci conoscere e di espandere il verbo Opethiano attraverso la nostra fanzine. Appena entrati ci siamo fiondati sul banchetto del merchandise ufficiale per avere il consenso a poter esporre il nostro materiale, e di lì a poco eravamo già in platea per assistere allo show del gruppo spalla, i Burst. I suoni del locale erano inizialmente impastati, ed in tali condizioni la band svedese ci ha intrattenuti per una mezz’oretta circa con una sorta di incrocio tra Speed e Metalcore. A onor del vero, ben pochi erano realmente interessati ai Burst, bensì erano tutti in trepida attesa di Mikael & soci. Ci avrei messo la mano sul fuoco che avrebbero attaccato con ‘Ghost of Perdition’, e così in effetti è stato.
Sapevamo tutti che alla batteria non si sarebbe seduto l’unico, e sottolineo unico batterista in grado di fare la differenza, Martin Lopez, assente ormai da diversi mesi; è infatti comparso dietro una bellissima Tama Star-Classic un simpatico ragazzotto dai capelli biondi e lunghissimi, che abbiamo avuto modo di conoscere allo scorso W.O.A., in occasione del concerto dei Bloodbath. Il suo nome è Martin Axenrot, ed è un giovane brutal drummer. Il sottoscritto è un batterista da diversi anni, che sin dal primo colpo di rullante si è reso conto che le cose non andavamo come sperato e che avrebbe sofferto la mancanza dell’inconfondibile Batterista degli Opeth. Infatti l’esecuzione di quasi tutti i pezzi mi avrebbe dato ragione: le canzoni non avevano tiro, non c’era un “groove” abbastanza solido, un tocco dinamico, e vedevo il resto della band in difficoltà in certi frengenti. E’ inutile nasconderlo, Axenrot è
O2 # ENIZ‘ TNEVDA un batterista Brutal Death, molto schematico e ripetitivo, abituato a martoriare l’ascoltatore a ritmo di trentaduesimi di cassa, e a mio avviso non è stata un’ottima scelta... o meglio, è stata una scelta facile, ma non la migliore senz’altro! Come secondo pezzo è stata ripescata ‘When’ da ‘My Arms, Your Hearse’, eseguita magistralmente; ma il brano che ha lasciato tutti a bocca aperta è stato ‘Under the Weeping Moon’, dato che gli Opeth negli ultimi anni non sono stati granché originali nelle loro scalette. Ovviamente non potevano mancare ‘The Grand Conjuration’, ‘The Baying of the Hounds’, insieme alle classiche ‘Closure’, ‘White Cluster’ e ‘Bleak’. Stupenda la performance del quinto membro ufficiale Per Wiberg, che dietro le sue tastiere ha eseguto delle bellissime backing vocals, nei momenti in cui non si scatenava in un headbanging sfrenato! In sintesi, oltre due ore di ottima musica, in cui Mikael si è anche divertito con i suoi [ormai noti] giochetti per intrattenere il pubblico: tra un brano e l’altro si è parlato di ‘Long Live Rock’n’Roll’ dei Rainbow, di Lacuna Coil, di pizza svedese, e
sul finire siparietto dedicato al quiz della serata, tre domande a cui rispondere correttamente per meritarsi un ultimo pezzo, ‘Deliverance’, con cui si è concluso il concerto. Non restava che mettersi al lavoro. Dopo aver distribuito ovunque i nostri biglietti da visita e aver fermato ogni fan che passava per parlargli della nostra iniziativa, potevamo forse esimerci dal consegnare una copia del primo numero della fanzine a Mikael in persona? Dopo una lunga attesa davanti al loro tour bus, finalmente spuntano tutti, eccezion fatta per Martin Axenrot. Foto, autografi e complimenti, e finalmente il nostro lavoro giunge a destinazione! L’entusiasmo giunto al termine della serata ci fa capire quanto ci piaccia questo “lavoro”, e ci conferma quanto il contatto umano sia assolutamente preferibile a quello virtuale. Per noi contano di più 60 pagine raccolte in un semplice volume di un qualsiasi forum, che in realtà costituisce solo una barriera tra gli individui. Queste parole sono dedicate a tutti coloro che ci hanno supportato nella nostra iniziativa. Stay tuned on advent ‘zine!
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ADVENT ‘ZINE # 2
mike’s playlist
a cura di matthias scheller Imboscate, tra le pieghe del sito ufficiale degli Opeth, ci sono le playlist di Mikael Åkerfeldt, tra l’altro aggiornate con una certa regolarità. Si badi bene che non si tratta di veri e propri elenchi dei suoi dischi preferiti, ma più che altro di titoli che passano sul suo giradischi in un detto periodo. Va notata la passione dei Mikael per il Metal più vario, ma soprattutto per il progressivo, possibilmente se raro e in forma di vinile. Trattandosi molto spesso di lavori tanto oscuri quanto interessanti per capire i percorsi musicali che in un modo o l’altro rischiano di approdare alla musica degli Opeth stessi, ci è parso opportuno soffermarci sui titoli prettamente progressivi, sperando di incuriosire soprattutto chi conosce poco il genere.
King Crimson - In the Wake of Poseidon (1970) Disco datato 1970 e tutt’altro che oscuro di una delle formazioni principe del progressivo inglese, uscito subito dopo il loro magnifico incipit, quel monumentale e seminale “In the Court of the Crimson King” che non dovrebbe mancare in nessuna collezione musicale che si rispetti. Il limite di “In the Wake...” sta quindi più che altro nell’ingombrante predecessore (al quale assomiglia non poco), e anche l’abbandono di Greg Lake (partito verso i più redditizi Emerson, Lake & Palmer) non scalfisce un disco pastorale, sinfonico, ma con delle spigolosità che getteranno un seme negli anni a venire, non da ultimo per certo metal “colto”.
Van Der Graaf Generator - Pawn Hearts (1971) Altro disco assolutamente essenziale, uscito un anno dopo quello dei KC di cui sopra. Musicalmente indefinibile nella sua varietà, non risulta minimamente invecchiato al riascolto. Una infinita, esaltante alternanza di momenti bucolici e esplosioni violentissime, l’incredibile voce di Peter Hammill, lo strabiliante utilizzo dei fiati, le liriche, rendono questo disco una pietra miliare al pari dell’esordio dei King Crimson. Se volete capire cosa è stata la breve ma felice stagione del prog inglese, dovete per forza partire da qui.
Pan – Pan (1970) Splendido disco di una talentuosa formazione danese edito nel 1970. Capitanati dal carismatico Robert Lelievre (un francese scappato a Copenhagen per sfuggire al servizio militare) propongono uno splendido e scorrevole connubio tra hard rock, progressive e sonorità west coast. Lelievre si suiciderà nel 1974.
Comus - To Keep from Crying (1974) / Song to Comus (2005) Siamo sempre agli inizi dei settanta, quando una minuscola etichetta londinese pubblica ‘First Utterance’ dei Comus, uno dei lavori più rari ma soprattutto più bizzarri del sottobosco di folk progressivo inglese. Il disco è una folle e geniale alternanza tra isterismo tribale e rilassatezza lisergico-pastorale e ancora oggi è un autentico disco di culto per iniziati. ‘To Keep from Crying’ è il loro secondo lavoro, praticamente imposto dalla loro nuova etichetta, la Virgin Records, e risente dell’evidente svogliatezza dei musicisti che non riescono a coniugare momenti commerciali alle loro consuete bizzarrie strumentali. ‘Song for Comus’ non è altro che una recente raccolta che riunisce i due dischi, incluso un raro singolo.
2 # ENIZ‘ TNEVDA Manuel Göttsching - Inventions for the Electric Guitar (1974) Side project di Manuel Göttsching, leader degli Ash-Ra Temple, fondamentale formazione tedesca del movimento Kraut-Rock e in particolare della corrente cosmica, ma sia chiaro che queste poche, lapidarie righe di certo non bastano per rendere onore a un movimento così importante e profetico per la musica “leggera” moderna. ‘Inventions...’ è un disco interamente strumentale, eseguito con una chitarra talmente sovraccarica di effetti da essere praticamente irriconoscibile. Un lavoro essenziale per gli appassionati, di non facilissimo approccio per che non è avvezzo agli aspetti più celebrali dell’elettronica cosmica.
Jonesy - Keeping up (1973) Piacevole disco di Progressive inglese a tinte fortemente melodiche con un utilizzo interessante del Mellotron, tastiera antesignana dei moderni campionatori, che riproduceva il suono di vari strumenti (in particolare gli archi) azionando dei nastrini preregistrati montati all’interno dello chassis. Il Mellotron è ancora molto apprezzato ai nostri giorni per il suo tappeto sonoro a metà strada tra il sinistro e l’evocativo ed è stato largamente utilizzato nelle registrazioni di ‘Damnation’ degli Opeth.
Day of Phoenix - Wide Open N-way (1970) Altro gruppo danese, autore di due interessanti dischi agli inizi dei seventies (questo è il secondo), anche qui abbiamo un cantante straniero (stavolta inglese). Stranamente il risultato si avvicina più alla Psichedelica elettrica americana che ai modelli inglesi. Buon disco, in particolare per il bel lavoro delle chitarre.
Gravy train - (A Ballad of) a Peaceful Man (1971) Gioiellino di prog britannico del 1971 targato Vertigo, per una band che avrebbe meritato sicuramente di più. I brani sono leggermente più brevi e accessibili per l’epoca e spiccano indubbiamente un cantato, caldo e non privo di pathos, e un uso davvero magnifico del flauto. Consigliato.
Charlie & Esdor – Same (2005 - raccolta di vecchi singoli, ep e live songs) Bizzarra formazione svedese, molto attiva nei festival hippie dei primi anni settanta. La musica rilfette questa attitudine stralunata e freak, visto che si trattava di un duo (sitar e chitarra!) con una inevitabile l’alternanza tra momenti “raga” e cavalcate chitarristiche acidissime. Un lavoro interessante, soprattutto se debitamente contestualizzato.
Blue phantom - Distortions (1971) Misterioso disco, uscito in periodi diversi in Italia, Inghilterra e Francia. Per un certo periodo si litigò non poco per decidere quale fosse la nazionalità dei musicisti (non citati in copertina), mentre oggi sembra assodato che si trattasse di un divertissement di sessionmen italiani. Il suono in realtà ricalca pochissimo il prog italiano dei primi anni settanta, ma si indirizza maggiormente verso sonorità psichedeliche albioniche.
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t passed through here it took the precious things that i hold dearer it rifled eping darkness makes the small hours clearer like a cancer scare in the dentist’s stair kicking down the door at your local store with the world at war voices through eeled shoes blowing out the fuse paying all your dues deadwing lullaby like a fracblic eye i don’t take waifs and strays back home with me my bleeding heart does not like my privacy and did you know you’re on closed circuit tv? so smile at me and a each somewhere and the poison air with the cancer threat in a cigarette deadwing e yellow windows of the last train a spectre from the next life breathes his fog on ng black rain afraid to touch someone, afraid to ask her for her name and in the row a window open wide and step through shallow i don’t remember did something in my r to drive a stake right through my soul i live to function on my own is all i know where to go shallow, shallow give it to me scissors cutting out your anger shalleed bite your tongue, ignore the splinter this city drains me well maybe it’s the t’s easier to talk to my pc lazarus as the cheerless towns pass my window i can see en a voice inside my head breaks the analogue and says “follow me down to the valley m out of your soul” i survived against the will of my twisted folk but in the deafaid “follow me down to the valley below you know moonlight is bleeding from out of s cold world is not for you so rest your head upon me i have strength to carry you” mmers just holding you) “follow me down to the valley below you know moonlight is s lazarus it’s time for you to go” halo god is in my fingers god is in my head god is freedom, god is truth god is power and god is proof god is fashion, god is fame god right like me with god in the hole you’re a righteous soul i got a halo round me, i you cos i’ve seen the light and i’m gaining in height now i got a halo round me, i y head god is on the cellphone god is on the net god is in the warning god is in the ever stop the car on a drive in the dark never look for the truth in your mother’s a river rushing through your ears arriving somewhere but not here did you imagine the indows of a car? did you ever imagine the last thing you’d hear as you’re fading out d all of my plans compromised all of my dreams sacrificed ever had the feeling you’ve on the way you were taught every thought from here on in your life begins and all you block your path? did the scissors cut a way to your heart? did you feel the envy for ellotron scratch a tiny flame inside my hand a compromise i never planned unravel out lank page now should i fill it up with words somehow? i whispered something in her e scratching of a mellotron it always seemed to make her cry well maybe she rememothing rises from my feet of clay, but it’s ok red mist spreads across my fingertips, hes she will leave me yes i know and i’m looking at a blank page now should i fill it a mellotron it always seemed to make her cry well maybe she remembers us collectom my feet of clay, but it’s ok red mist spreads across my fingertips, ardour slips or your killer smile sing a lullaby open car nothing like this felt in her kiss cann her arms i keep a photograph give me a glimpse let me come in be there inside her to lie about you think you’re smart i think you’re art we agree on this it doesn’t don’t care we get a room and in the gloom she lights a cigarette clothes on the bed m getting feelings i’m hiding too well (bury the horse shaped shell) something broke ust where they fell (being with you is hell) hair blow in an open car summer dress car ok what’s next? after the sex what do we now? finding the time drawing the line gave her the power cannot erase her gave her the truth gave her the proof i gave hiding to well (bury the horse shaped shell) something broke inside my stomach i let ng with you is hell) hair blow in an open car summer dress slips down her arm hair he farm hair blown in an open car hair blown in an open car summer dress slips down e start of something beautiful always in my thoughts you are always in my dreams you spirit in a photograph always out of reach you are cold inside my arms you are simyou took my hand and led me through the rain down inside my soul you are the more i give a damn the more i get to know the less find that i understand innocent, the time
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porcupine tree a live report 2005
markthalle :: hamburg
17.04 markthalle, hamburg, de 18.04 matrix, bochum, de 19.04 batschkapp, frankfurt, de 24.04 transilvania live, milan, I
26.07 colonie sonore, collegno (TO), i 25.11 live club, trezzo d’adda (MI), i
introduzione Questo è il racconto dei concerti dei Porcupine Tree a cui ho assistito nel 2005. ‘Deadwing’, l’ultima release ufficiale pubblicata la scorsa primavera, non mi aveva entusiasmato molto ad un primo ascolto, ed è stata proprio l’esperienza live che ha cambiato le carte in tavola, dimostrando quanto in realtà si trattasse dell’ennesimo grande disco di una band - citando il titolo di una vecchia recensione - “di cui non si può più fare a meno”. Una band nei cui confronti la devozione non è mai troppa. Il termine esatto è magica: i Porcupine Tree sono magici... quando li si ascolta per la prima volta, è come se le nostre orecchie non avessero mai sentito nulla del genere... la loro musica è illuminante: siamo sempre in cerca di sensazioni nuove, quando la band definitiva è lì dietro l’angolo che ci aspetta. Non saremo noi a trovarla, questo incontro avverrà senza nessun 2
preavviso, e la sorpresa iniziale si trasformerà ben presto nella consapevolezza di non trovarsi al cospetto di un gruppo come tanti altri. La mia devozione nei loro confronti mi ha spinto a seguire l’accoppiata Anathema-Porcupine Tree: tre date del tour europeo primaverile per una piccola vacanzina teutonica di quattro giorni; il trip sarebbe poi terminato pochi giorni dopo presso il Transilvania Live di Milano.
amburgo Partenza domenica 17 con volo Ryanair Bergamo-Lubecca, visita rapida ad una delle città più affascinanti dell’Europa intera, per poi procedere alla volta di Amburgo. Quella sera stessa mi aspetta il primo dei tre concerti in programma. Il Markthalle è un locale nei pressi della stazio-
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anathema @ markthalle :: hamburg
l’ingresso del markthalle
ne centrale, due-minuti-due a piedi e mi ritrovo all’ingresso; sul pianerottolo dell’ingresso, il tastierista Richard Barbieri sta posando per una giornalista. Prima di schizzare all’ostello a sistemare i bagagli mi assicuro che potrò acquistare il mio biglietto al momento dell’ingresso.
Credo che l’Italia sia uno dei pochi Paesi in cui i
biglietti dei concerti costano di più in prevendita che all’ingresso dei locali. E che prevendita oserei dire... siamo ormai giunti al 15% di sovrapprezzo rispetto al costo iniziale, a cui alcuni boxoffice sommano una commissione aggiuntiva! Fatto sta che, non avendo avuto modo di acquistare in anticipo il biglietto, mi sono ritrovato a spendere ben 24 euri per la prima tappa; ma avrei scoperto ben presto che la serata sarebbe valsa ogni singolo centesimo! Un’occhiata rapida al banchetto del merchandise, prima di precipitarsi sotto il palco, sul lato destro, per assistere alla performance degli Anathema. Il gruppo inglese mi ha viziato troppo... sono abituato a due ore di concerto - vale a dire di intense emozioni - ma la condizione di gruppo spalla li costringe a ridurre drasticamente la durata del set. Le sorprese, tuttavia, non mancano: ‘Lost Control’ è stata finalmente ripescata dal lotto, con tanto di saluti all’autore Duncan Pat-
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markthalle :: hamburg terson, l’ex-bassista:”We don’t know where he is, probably in some Irish pub, drinking beer!”, così lo presenta Vincent Cavanagh introducendo il pezzo. Immancabile ‘One Last Goodbye’, a cui seguono estratti da ‘A Fine Day to Exit’ e dall’ultimo ‘A Natural Disaster’, e per finire un paio di brani inediti. Probabilmente sono ancora tra i pochissimi italiani a conoscerli, visto che nessuno dei due è stato poi suonato nelle date italiane... il primo, senza titolo e a mio parere semplicemente me-ra-vi-glio-so, è introdotto da un trascinante arpeggio, a cui segue un ingresso improvviso della batteria in levare: il resto è pura magia! Il secondo, ‘One Day’, come mi avrebbe poi detto lo stesso Vinnie in quel di Milano, fu scritto da Danny quel giorno stesso nel backstage, e mai più proposto in concerto. Poco prima dell’inizio dello show mi è venuta la fissa di riportare le tracklist dei concerti sul retro del biglietto... addirittura una giornalista tedesca mi ha chiesto di poter copiare l’elenco per 4
il suo reportage, ed altri interessati avrebbero fatto lo stesso nei giorni seguenti. Secondo quanto riportato sul sito web del locale, la capienza massima è di oltre mille persone, e posso assicurarvi che durante il concerto dei Porcupine Tree era letteralmente strapieno!!! La folla che ha colmato le venues di questo tour - probabilmente tra quelli di maggior successo per entrambi i gruppi - ha dimostrato quanto Porcospini ed Anathema formino un’accoppiata eccezionale! O forse, più semplicemente, che la massiccia campagna pubblicitaria tedesca ha funzionato alla perfezione. Internet per certi versi è una brutta bestia: difficilmente si resiste alla tentazione di poter controllare in anteprima quali canzoni suonerà la tua band preferita... ebbene, io sapevo già tutto, avevo anche scaricato dei bootleg delle prime date, eppure questo non ha per nulla attenuato
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markthalle :: hamburg l’effetto della musica durante quella magica serata. Senza dubbio gli Anathema - variando la scaletta di serata in serata - si sono rivelati più coraggiosi dei loro compagni inglesi, al contrario calcolatori minuziosi, ancorati ai filmati proiettati sullo sfondo preparati appositamente per i brani del nuovo ‘Deadwing’. Si trattava appunto del primo tour in supporto al nuovo album, e spettava alla titletrack aprire le danze. Mi ci vuole qualche minuto prima di inserirmi nell’atmosfera, ma una volta entrato non mi ferma più nessuno! ‘The Sound of Muzak’ comincia a portarmi sui binari giusti, e qui mi accorgo di un paio di cose: innanzitutto, sono tra i pochi in mezzo al folto pubblico a cantare, quasi come se fossero tutti lì per analizzare minuziosamente la performance. Quadrato in tutto e per tutto il popolo tedesco, accidenti!! In secondo luogo, se in Italia gli applausi volano ad ogni assolo, mentre i tedeschi aspettano il silenzio più totale prima di esprimere la loro approvazione.
Si tratta di piccole considerazioni a freddo, poiché in quel momento queste erano le mie ultime preoccupazioni. ‘Lazarus’ e la seguente ‘Halo’ rispolverano il repertorio ‘Deadwing’, ma è la successiva ‘A Smart kid’ a farmi definitivamente impazzire. Alcuni album vengono del tutto trascurati, no more ‘Waiting’ or ‘Radioactive Toy’ for example, ma come si può fargliene una colpa... le emozioni si susseguono senza fine, anzi in alcuni momenti ho creduto di non riuscire letteralmente a sopportarle ancora a lungo. Impossibile resistere ai cavalli di battaglia ‘Hatesong’, ‘Blackest Eyes’, ‘Shesmovedon’, ‘Even Less’ e la conclusiva ‘Trains’, che hanno un impatto ancora maggiore dei nuovi brani. E’ anche periodo di ristampe: praticamente tutte le vecchie edizioni dei primi album dei Porcospini sono ‘out of stock’, e tocca ora al seminale ‘Up the Downstair’ essere remixato e ripubblicato, con il drumming ‘vero’ di Gavin Harrison a rimpiazzare la batteria campionata; in allegato, l’ep ‘Staircase Infinities’, en5
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markthalle :: hamburg trambi datati 1993! Da questo piccolo capolavoro psichedelico sono estratte le due song poste in chiusura, ‘Fadeaway’, cantata dal session guitarist John ‘Wes’ Wesley, e la strumentale ‘Burning Sky’. Da brividi!! Al termine del concerto il tempo è tiranno - e lo sarebbe stato anche nei due giorni seguenti - perché devo rifarmi a piedi la strada che mi separa dalla camera dell’ostello, ma riesco ad incrociare gli Anathema, e provo a vedere se il buon Vincent si ricorda di me... infatti lo scorso dicembre, in occasione del tour acustico, mi ero intrattenuto parecchio nel locale milanese dopo lo show, insieme ai fratelli Cavanagh. Fu molto contento di sapere che li avrei seguiti per le due date seguenti, per poi salutarli definitivamente in occasione dell’evento milanese. I Porcupine Tree invece non si fanno vedere, con tutta probabilità alle prese con qualche intervista, e devo almeno per questa serata rinunciare ad un incontro coi miei idoli. 6
Se solo penso al ben di dio offerto dal banchetto del merchandise... beh, vi consiglio vivamente di non diventare collezionisti di materiale targato PT, arrivereste a fatica alla fine del mese, tante sono le uscite, edizioni limitate ed in vinile, i gadgets, senza contare le interminabili collaborazioni di Steven Wilson e dei suoi side-projects - Blackfield, No-Man, Bass Communion, I.E.M., giusto per citare i più rilevanti. La mattina del giorno seguente - il 18 aprile - è dedicata ad una visita ad un particolare quartiere a nord della città, letteralmente straripante di negozi di dischi usati e non. Conosco bene la zona, e mi ricordo anche di un box-office, in cui faccio capolino e recupero il biglietto del concerto di quella sera stessa, presso il Matrix di Bochum, una cittadina nelle vicinanze di Dortmund. Il che significa che mi aspettano oltre tre ore di viaggio in treno.
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anathema @ batschkapp :: frankfurt
bochum
in attesa davanti all’entrata del matrix
A Bochum non ci sono ostelli della gioventù, ma un treno alle due di notte mi porterà dritto dritto a Francoforte, terza ed ultima tappa di questa meravigliosa avventura. Il programma è presto fatto: arrivo a Bochum nel tardo pomeriggio, sistemazione dei bagagli, concerto, ed infine ritorno in stazione, in attesa del treno per Francoforte. Il Matrix si trova lontano dal centro, perciò al ritorno dovrò arrangiarmi, oppure cercare un passaggio. Il luogo dell’appuntamento è un grande edificio industriale, alto una cinquantina di metri, davanti al parcheggio di un supermercato, ma in realtà all’interno il locale è molto piccolo, ed occupa il solo pianterreno. Se ad Amburgo ci sono stati alcuni controlli su apparecchi fotografici e non, qui a Bochum possono fotografare solo i giornalisti ufficiali, e la mia macchina mi viene sequestrata per tutta la durata del concerto. Ho
temuto che nella confusione l’apparecchio sarebbe andato perduto, ma non potevo farci nulla.
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batschkapp :: frankfurt Qualche incauto spettatore tenterà di fotografare col cellulare, ma verrà brutalmente bloccato da energumeni con occhio di falco, appostati ai lati del palco! Alla fine una simpatica giornalista mi spedirà le sue foto della serata. Il locale ha anche un fotografo ufficiale, incaricato di immortalare gli artisti che si esibiscono al Matrix, tra i pochi liberi di muoversi ovunque, anche in mezzo al palco: alla fine del concerto, tale Andreas Herb chiederà di potermi fotografare, nientemeno che in qualità di fan scatenato dei Porcupine Tree! Credo che la mia foto sia ancora disponibile sul sito del locale. Ne approfitto per chiedergli un passaggio verso la stazione, ed anche questa è fatta! E il concerto? Credo di essere stato tra i pochissimi veramente preso dalla musica e dall’atmosfera. Logico allora chiedersi come mai la gente riempia gli spazi all’inverosimile... forse si tratta proprio di un effetto dovuto alla massiccia pubbli8
cità e supporto che le varie riviste tedesche - non c’è stata pubblicazione in ambito Dark/Heavy Metal che non abbia parlato dei Porcospini... non fosse stato per il loro legame con gli Opeth, dove sarebbero ora questi ragazzi? - hanno offerto in occasione dell’uscita di ‘Deadwing’, unita al fatto che probabilmente in molti solo con quest’ultimo album si sono avvicinati alla band. Se così è, meglio dei vari sold-out registrati in quei giorni non poteva andare! Ho cercato parecchio nel tempo libero a mia disposizione, ma in alcun modo sono riuscito a recuperare un biglietto per la data di Francoforte. Avrei dovuto in ogni caso raggiungere la città tedesca, poiché lì mi avrebbe atteso l’aereo del ritorno a casa. Una volta terminato lo show al Matrix incrocio John Wesley, e gli chiedo quante probabilità avessi di incappare in un tutto esaurito il giorno successivo:”Yes, i think it’s sold out!”, mi rispon-
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batschkapp :: frankfurt
francoforte Francoforte è una città bellissima. Un continuo contrasto tra palazzi ultramoderni altissimi ed antichi edifici. Peccato che la pioggia, che ha imperversato tutto il giorno, abbia rallentato molto i miei spostamenti all’interno del centro storico, che avrebbe meritato una visita più attenta. Una volta sistemate le incombenze all’ostello c’è tempo per scoprire che, per l’ennesima volta, non è per niente breve la strada che separa il Batschkapp dal mio quartier generale, perciò dovrò nuovamente rintracciare qualche anima pia che mi possa riportare indietro. Il Batschkapp è tra
l’altro un locale molto bello... almeno visto da fuori, con le pareti interamente ricoperte da un murale gigante, con le caricature di Frank Zappa, Jimi Hendrix ed altre leggende del Rock! john wesley e richard barbieri, 19.04.2005
de. Gli racconto del mio viaggio al seguito dei Porcupine Tree, e mi dice allora di scrivergli il mio nome su un foglio: lui stesso avrebbe provveduto ad inserirmi nella guest-list di Francoforte. Fantastico!
Il fatto di non stringere tra le mani il biglietto d’ingresso mi innervosisce parecchio... cosa mi garantiva che quel simpaticone di Wes mi avreb-
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batschkapp :: frankfurt
Fortuna ha voluto che tutto si sia svolto per il meglio. Potete immaginare la mia gioia nel vedere 10
il mio nome riportato sulla guest-list: Mr. Wesley è stato di parola, e posso entrare tranquillamente, posizionandomi tra le primissime file. francoforte, 19.04.2005
be inserito in lista, permettendomi di assistere al concerto? Al mio arrivo davanti all’ingresso del locale incontro una quindicina di persone in attesa; mi aggiro intorno all’edificio, ed è incredibile come la gente spunti ovunque come funghi: ogni due secondi piccoli gruppi di persone sbucano da dietro i tour bus o dalla ferrovia che passa proprio lì davanti. Inganno l’attesa incrociando Danniel Cavanagh, parlando qualche minuto con lui a proposito del successo di pubblico riscosso durante il tour. A suo parere più volte sono stati venduti troppi biglietti, tanto da riempire i locali a dismisura: addirittura il giorno prima parecchie persone se ne erano andate perchè si trovavano in posizione troppo arretrata e non riuscivano a vedere praticamente nulla. In caso di incendio, inoltre, un’eventuale fuga di massa avrebbe potuto risolversi in tragedia.
Un altro concerto entusiasmante: scaletta praticamente identica a quelle dei giorni precedenti - eccezion fatta per la granitica ‘Shallow’ -, e stes-
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batschkapp :: frankfurt se incredibili emozioni. Qualcuno mi ha chiesto perchè mai avrei dovuto seguire i Porcupine Tree in Germania, quando avrei potuto vederli in casa qualche giorno dopo. “You can’t never get enough!”, ho sempre risposto. Non si può mai sapere quando si potranno nuovamente vivere certi momenti sotto il palco, ed è bene approfittare dell’occasione appena si presenta! La pioggia, che era cessata nel pomeriggio, ci attende al termine del concerto. L’angolo del merchandise è stavolta arricchito dal banchetto della rivista progressive tedesca ‘Eclipse’, che nei giorni precedenti avevo scorto più volte tra gli scaffali delle edicole. Ecco allora che un tizio al mio fianco, rivelatosi poi giornalista di tale rivista, notando il mio interesse, consegna 5 Euro al banco e me ne regala una copia. A questo punto non bisogna far altro che recuperare una qualche anima pia che possa darmi un
passaggio. Chiedo aiuto ad un tale Oliver, collezionista sfegatato di bootleg, peccato che si stesse trattenendo troppo nel pub lì di fianco con la sua birra media ed i suoi amici. Dirigendomi verso ‘casa’, incorocio poi qualche ultimo susperstite intento ad abbandonare la zona, che mi risparmia gentilmente un bel po’ di strada a piedi.
milano Così si conclude la mia breve vacanza in landa germanica. Tre concerti in tre giorni, e che concerti!!! Di lì a poco le due band inglesi avrebbero varcato il confine italico, per suonare il 24 aprile al Transilvania Live di Milano. Ne ho visti di concerti in quel locale, ma rarissimamente sono stati tanto affollati - si è trattato infatti dell’ennesimo sold-out. Credo tra l’altro che gran parte della folla oceanica che quella sera ha invaso il Transilvania si trovasse lì per i supoorters, piut-
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colonie sonore :: collegno (to) tosto che per gli headliner: in molti si sono infatti lamentati del fatto che il concerto sia iniziato addirittura prima delle 20, ritrovandosi a bocca asciutta: una scelta scellerata a tutti gli effetti! Difficile pronosticare un ritorno degli Anathema in Italia in tempi brevi, visto che la band è attualmente in cerca di un contratto discografico. Niente pezzo inedito per il pubblico italiano: Vincent mi confesserà poi che la band aveva preferito concentrarsi sui vecchi pezzi, un vero peccato perchè la nuova untitled song mi aveva colpito sin dall’inizio, e senz’altro avrebbe fatto breccia nei cuori dei vari anathemaniaci presenti. Pure il sottoscritto non scherza, adora il quintetto inglese alla follia, ma quando i Porcospini hanno cominciato ad esibirsi non c’è stata storia. E’ stato come se gli Anathema non avessero nemmeno suonato quella sera, ma sarebbe valso senz’altro il contrario se i ruoli fossero stati invertiti. 12
collegno Come detto in precedenza, meglio approfittare delle occasioni, poiché potrebbero rivelarsi irripetibili. I Porcupine Tree sono tornati a luglio, per tre date italiane, di cui una a Collegno (TO), all’interno della rassegna musicale ‘Colonie Sonore’. Lo scenario, un palco enorme in un cortile altrettanto grande, circondato da giardini e da edifici che un tempo costituivano un ospedale psichiatrico, ora ospitanti scuole ed uffici. Setlist assolutamente prevedibile, eccezion fatta per ‘Strip the Soul’, song schiacciasassi dal penultimo ‘In Absentia’. Nessuna sorpresa, solite incredibili emozioni? Solo in parte, questa volta; per il sottoscritto, destinato a legare inevitabilmente la musica che adora alle proprie vicende sentimentali, si trattava di un periodo particolare: ennesimo buon concerto, ma niente di più stavolta.
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oceansize @ live club, trezzo (mi)
trezzo
live club, trezzo d’adda (mi)
Quella che si è invece rivelata una serata eccezionale ha visto invece i Porcupine Tree supportati degli Oceansize in un tour europeo autunnale, che il 25 novembre scorso ha fatto scalo al Live Club di Trezzo (MI). Questi ultimi rappresentano senz’altro una band interessante ma, come ho già avuto modo di scrivere sulle pagine di hmp.it - R.I.P. -, nel loro ultimo album ‘Everyone into Position’ sono riscontrabili molte diverse influenze, che non consentono di riconoscere nelle composizioni degli Oceansize un preciso tratto distintivo. Eppure è evidente che questa formazione di Manchester a tre chitarre proveniente deve solo affilare le proprie armi per definire un proprio trademark stilistico. Si dice spesso che il terzo album rappresenti una sorta di prova del nove, in cui si capisce se una band ha finalmente acquistato personalità, oppure ha preferito seguire un
percorso involutivo che costerà senz’altro caro, ed è quanto scopriremo nei prossimi mesi. Nel complesso, un ascolto comunque consigliato, che soddisferà gli amanti delle sonorità Emo/Post Rock. La classe non manca!
Terminato il lungo show dei supporters, è tempo
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live club, trezzo (mi) di un rapido cambio di palco prima dell’ingresso dei Porcupine Tree. Il Live Club accoglie in questa serata molti appassionati, ma il pienone registrato nell’aprile scorso fa pensare quanto, almeno in Italia, la presenza degli Anathema sia stata fondamentale per il successo ottenuto in quell’occasione. Piccola parentesi: vorrei proprio capire cosa spinge gli uomini della sicurezza ad essere tanto severi nei confronti dei poveri spettatori muniti di macchina fotografica. Se è proibito fotografare o filmare, allora perché non viene eseguito alcun controllo all’ingresso? Ovviamente, trascorsi alcuni minuti gli energumeni della security non hanno avuto in alcun modo ragione dei numerosi presenti! Torniamo alla musica. Scaletta molto diversa da quella primaverile, annunciata con largo anticipo sul sito ufficiale. ‘Open Car’ apre le danze, e come 14
molti dei brani di ‘Deadwing’ rende molto meglio dal vivo che su disco, con l’aggiunta di un riffing roccioso nella parte centrale a dilatare la breve durata della song. Quindi è subito tempo di hitsingle, con l’immancabile ‘Blackest Eyes’, seguita nuovamente da un estratto dell’ultimo disco che sembra rinascere in sede live, ‘Mellotron Scratch’. ‘Strip the Soul’ è una scarica d’adrenalina non indifferente, una delle canzoni più cupe che Wilson abbia mai scritto, e simbolo del nuovo corso dei Porcospini inaugurato su ‘In Absentia’. Sono però i pezzi seguenti a mandarmi in estasi. I brividi scorrono durante l’esecuzione di ‘Don’t Hate Me’, dove la chitarra di Steven sostituisce egregiamente il sassofono della versione originale. ‘Mother and Child Divided’ è una strumentale che riporta alla mente le ritmiche quadrate dei Meshuggah, dotata di una struttura molto semplice ma dall’effetto comunque impressionante. E’ poi il turno di ‘Buying New Soul’, canzone che per il suo incedere lento e sognante e per l’assolo
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live club, trezzo (mi) finale vale da sola l’acquisto di ‘Recordings’, raccolta di brani inediti e b-sides del periodo ‘Stupid Dream’/’Lightbulb Sun’. ‘So Called Friend’ è un inedito presente sul singolo ‘Lazarus’, un piccola gemma in tempi misti, dominata in più momenti dal drumming ricercato di Gavin Harrison. Altro ripescaggio da ‘In absentia’ nonché ennesima prima assoluta è ‘.3’, canzone molto atmosferica e quasi completamente strumentale. Precede l’immancabile ‘Trains’, posta in chiusura ad ogni show, il ritorno di uno dei cavalli di battaglia dei Porcospini, nonché di uno tra i pezzi più amati dai fans della prima ora, ‘Radioactive Toy’. La fredda reazione del pubblico di fronte a questa pietra miliare dell’intera discografia dei Porcupine Tree è forse l’unica nota stonata della serata, ma è allo stesso tempo la probabile dimostrazione del fatto che i seguaci di vecchia data siano ancora molto legati alle sonorità marcatamente psichedeliche degli anni che furono, ed abbiano preferito disertare l’appuntamento. Avendo cono-
sciuto la band d’oltremanica solo nel 2001, non posso dire come mi comporterei nei loro panni; ritengo però che ancora oggi l’indipendenza artistica e compositiva di Steven Wilson e soci sia fuori discussione, e che l’evoluzione ‘metallica’ e maggiormente song-oriented degli ultimi anni siano tutt’altro che disprezzabili. Si conclude qui questo lungo, personalissimo reportage; spero sia stato, per chi c’era, un modo per rivivere alcuni momenti, e per gli scettici, una sorta di introduzione a questi grandi artisti. Steven Wilson è tutt’ora al lavoro sul nuovo disco dei Blackfield e dei Porcupine Tree stessi, e dati il legame indissolubile con gli Opeth e l’ammirazione che provo per la loro Musica, torneranno ben presto su queste pagine. *** markthalle-hamburg.de | matrix-bochum.de | bastchkapp.de transilvania.it | liveclub.it
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advent ‘zine consiglia it’s only a matter of taste
got to hurry records, stockholm, sweden
Una nuova rubrica di advent ‘zine? Difficile a dirsi... Semplicemente, dopo la retrospettiva dedicata ai Camel del primo numero, i dischi di cui leggerete nelle prossime pagine appartengono questa volta ad artisti diversi che hanno saputo tradurre, ognuno col proprio personalissimo stile, emozioni in musica, e trasmetterle allo scribacchino di turno. Troverete senz’altro che avete già ascoltato giorno e notte, altri magari degnato di un breve sguardo e poi dimenticato, altri ignorato oppure ancora sconosciuti; l’obiettivo è in ogni caso quello di suscitare interesse nel lettore, e magari di spingerlo ad una ricerca musicale che vada oltre l’uso del p2p. Quelli che seguono non sono dischi ricevuti in quantità industriale in formato promozionale e recensiti in un paio d’ore, ma 16
sono Musica recuperata ad esempio tra gli scaffali impolverati di qualche negozio, assimilata e fatta propria. Mentre consulto la mia discografia rivedo nella mia mente la storia che si cela dietro l’acquisto dei titoli che scorrono davanti ai miei occhi, mentre la stessa cosa non posso certo dire degli mp3 memorizzati sul mio computer. Buona lettura e, nel caso ne sentiate il bisogno, buona ricerca! Good Music is always worth it!
2 # ENIZ‘ TNEVDA amorphis eclipse
Ho ascoltato e riascoltato più volte quest’ultimo lavoro della band finnica, e mi sono venuti in mente tanti spunti per questa recensione da rendermi le idee confuse e mettermi in difficoltà in fase di stesura. Proverò quindi con calma a spiegare cosa mi abbia colpito di ‘Eclipse’, e perché lo considero tra i migliori dischi realizzati dagli Amorphis. Possiamo considerare ancora gli Amorphis una band Folk-Metal? A me i generi vanno molto stretti, ma d’altro canto servono spesso ai novizi a farsi un’idea della proposta musicale di una band. Perciò, se utilizziamo il termine ‘folk’ per qualcosa che trae in qualche modo spunto dalle tradizioni popolari di una nazione, allora dal punto di vista lirico gli Amorphis - che tornano con ‘Eclipse’ ad attingere dal poema nazionale finnico, il ‘Kalevala’ - sono senz’altro un gruppo Folk. Al contrario, sotto l’ottica strettamente musicale sono definitivamente ed esclusivamente Heavy Metal. L’opener ‘Two Moons’ non lascia alcun dubbio a riguardo, con una batteria che detta legge come non faceva da tempo, primis-
simo segnale di una rinnovata aggressività che chiarisce subito come gli Amorphis siano tornati, in piena forma! Ho assimilato e tuttora adoro ‘Tuonela’: sarebbe stato letteralmente impossibile, e forse inutile, bissare ‘Elegy’, considerato da molti il vero capolavoro degli Amorphis; ‘Tuonela’ rappresentò perciò una decisa sterzata guitar-oriented, con la voce di Pasi Koskinen finalmente protagonista, ed un amore verso le sonorità ‘70s che traspare dagli arrangiamenti di ogni brano. ‘Am Universum’ è forse un disco trascurato e sottovalutato, ma che a mio parere ha dell’incredibile, per come le atmosfere, il riffing di chitarra, le tastiere vintage e gli inserti di sassofono, centellinati ma preziosi, si amalgano alla perfezione. ‘Far from the Sun’, pur contenendo delle buone canzoni, fu un mezzo passo falso, guarda caso finanziato da una major, la Virgin Records. Nemmeno io in tutta sincerità avrei scommesso molto sul futuro della band, dopo un disco del genere e soprattutto in seguito alla defezione di Pasi, cantante dalla voce unica ed inconfondibile. E’ una piacevole sorpresa quindi poter riascoltare la band finnica in stato di grazia. I dieci brani di ‘Eclipse’ si aggirano su livelli qualitativi altissimi; ottima la produzione, che dona vigore alle chitarre, sempre in primo piano, che suonano così dannatamente... Amorphis! Non aspettatevi brani lunghi, strumentali, psichedelici o altro: questo è un disco che vi trascinerà estasiati con forza, riff dopo riff, verso la sua inevitabile conclusione. Di pregevole fattura i numerosi assoli, mai banali né fuori luogo, che elevano Mr. Holopainen a protagonista assoluto di questo platter. Tastiere relegate in secondo piano questa volta, ad eccellente sostegno di una struttura comunque solida. Non dimentichiamo il nuovo cantante Tomi Joutsen, che con la sua voce forse non troppo personale ma calda, potente ed aggressiva, contribuisce al successo della nuova formula. Chi ha già avuto modo di ascoltare ‘Eclipse’ avrà già tratto il suo giudizio. I timorati che invece 17
ADVENT ‘ZINE # 2 non vi abbiano ancora prestato orecchio sappiano che, una volta entrato nel vostro lettore, difficilmente questo album lo abbandonerà presto, allietando le loro orecchie con le sue melodie originali ed accattivanti. Un ritorno sorprendente! [EC] www.amorphis.net www.nuclearblast.de
‘Saviour’ e ‘Lights Out’ hanno visto un uso massiccio di elettronica e suoni sintetici. Con ‘Planetary Confinement’, complici senza alcun dubbio i concerti in cui il duo ha suonato i propri brani in versione ‘rock’ con una vera e propria band al seguito, gli Antimatter riscoprono i suoni caldi e vivi di una batteria vera, di una chitarra acustica e del violino.
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planetary confinement Qualcuno tra voi lettori ancora non conosce gli Antimatter? E’ allora un piacere spiegare chi siano - o meglio, fossero - i due uomini che si celano dietro questo progetto. Celano e progetto non sono termini scelti a caso: il primo perché i due artisti hanno sempre preferito restare nell’ombra, comporre e pubblicare i loro tre dischi senza alcuna pressione esterna né atteggiamenti da finte rockstar; il secondo perché preferisco parlare di ‘band’ a tutti gli effetti quando si tratta di un gruppo di musicisti che suonano, compongono e arrangiano musica insieme. Gli Antimatter invece, come confermato da una recente intervista, “sono sempre stati [la somma di] due progetti solisti, mai una band. La gente ha sempre fatto fatica ad accettare questo fatto, non capisco il perché sinceramente. [...] Nessuno di noi ha mai messo mano al materiale dell’altro”. Parole di Mick Moss, musicista indipendente della scena di Liverpool, attualmente unico detentore dello scettro Antimatter. L’altra faccia della medaglia è Duncan Patterson, ex-bassista degli inglesi Anathema, in ha militato praticamente sin dalle origini fino alla pubblicazione di ‘Alternative 4’ nel 1999. Da quel momento i fans più accaniti della formazione inglese hanno seguito con non poca attenzione le vicende legate agli Antimatter. 18
Questo terzo capitolo evidenzia ancor più il distacco, geografico e soprattutto stilistico, tra i due musicisti. Duncan, trasferitosi da tempo nella capitale irlandese, non rinuncia comunque a fare uso di loop e sintetizzatori, né di rispolverare il passato con le sue ‘anathemiche’ melodie, ed evita accuratamente di cantare, affidando il compito ad una voce femminile ospite. Mick è rimasto invece a Liverpool, e con alcuni amici musicisti ha registrato composizioni completamente acustiche, senza uso di campionamento alcuno. ‘Planetary Confinement’ è in pratica l’unione di brani scritti e registrati in modo totalmente indipendente dai due, per poi essere incisi alternativamente su disco ottico. Ora che Duncan Patterson ha deciso di abbandonare la nave per dedicarsi ai suoi progetti solisti, possiamo dire
2 # ENIZ‘ TNEVDA che dalle note del disco si contrappongano la convinzione del buon Mick con il desiderio del suo collega di portare a termine l’avventura, questo traspare da un attento ascolto del disco. Sia chiaro, anche il meno riuscito dei brani di Patterson è superiore a decine di altri prodotti in circolazione oggi. ‘Line of Fire’ è un bellissimo brano, con un magico assolo di chitarra acustica posto in chiusura; e sorprende molto la decisione di coverizzare e stravolgere ‘Mr White’ dei doomsters americani Trouble. Aggiungiamo gli arpeggi, le melodie e voce ispirata come mai prima di Moss, ed otteniamo un disco di indubbio valore artistico. Un disco i cui punti di forza sono semplicità ed eleganza. Mick Moss è ora al lavoro sul quarto album targato Antimatter, dal titolo ‘Leaving Eden’: con tutta probabilità è alle prese con le registrazioni dei nuovi brani, insieme ad un ospite d’eccezione, tale Daniel Cavanagh, con cui ha sempre mantenuto solidi legami. Non so quanto dovremo attendere l’uscita di questo quarto disco, so senza dubbio che ne varrà la pena. Come sempre. [EC]
acquistare il loro debut-album ‘Ruder Forms Survive’, successore di un omonimo ep di debutto. Non fatevi ingannare dalla copertina, che potrebbe benissimo appartenere ad un gruppo Brutal /Gore/Death qualsiasi, dalla popolarità prossima allo zero, al pari della qualità della propria proposta. Cito quanto riportato sul sito dell’etichetta, la Rise Above, che parla di un “amore profondo per la purezza e la tradizione del Riff”: ‘Ruder Forms Survive’ è racchiuso tutto in quelle semplici parole, e non crediate sia poco!
www.antimatter.tk myspace.com/antimatter www.prophecy.cd
capricorns
ruder forms survive Quando si dice il caso... al Close-Up Festival non ci sarei nemmeno dovuto andare, ed invece ho avuto occasione di partecipare a questi due giorni di Musica in quel di Stoccolma. Avete capito bene, due giorni in cui una trentina di band si sono esibite nella capitale svedese. Ed il mio interesse verso questo gruppo inglese è stato destato unicamente dal loro monicker. Una volta assistito al loro show, non ho resistito alla tentazione di
Fatta eccezione per la terza traccia, ‘The First Broken Promise’, cantata da una voce gracchiante e disturbante, l’intero disco è completamente strumentale, e dimostra come i Capricorns siano una macchina che macina riff a ripetizione: si tratta per la maggior parte di trascinanti uptempo, ma non mancano episodi più atmosferici e dilatati. Impossibile non pensare ai Pelican durante l’ascolto, eppure ‘Ruder Forms Survive’ suona, almeno alle mie orecchie, molto più fresco e spontaneo dell’ultimo disco della band americana. I brani migliori sono senz’altro i più lunghi del lotto: ascoltate ‘1969: A Predator among Us’
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ADVENT ‘ZINE # 2 (notare i titoli, ognuno facente riferimento ad un preciso anno ed evento), con una parte centrale in cui si intrecciano le melodie di basso e chitarra, i nove minuti della conclusiva ‘793AD: The harrying of the Heathen’, ed gli oltre 12 di ‘1066: Born on the Bayeux’, che evidenziano un’abilità ed una varietà di songwriting notevole. [EC]
lezza del precedente disco hanno fatto il loro dovere, creando enormi aspettative per quello che sarebbe stato per molti tra le uscite più attese dell’intero 2005.
www.c-a-p-r-i-c-o-r-n-s.com www.riseaboverecords.com
dredg
catch without arms ‘El Cielo’ fu un vero e proprio capolavoro, un fulmine a - ehm... - ciel sereno scagliato nell’ignaro panorama del[l’Indie] Rock internazionale. Alla defunta - almeno per ora - rivista ‘Psycho!’ va l’onore di aver scoperto per primi in Italia questo quartetto statunitense, oggi sulla bocca di molti ma sconosciuto sino ad un paio di anni fa. ‘El Cielo’ fu addirittura album del mese, ma pareva quantomeno strano come un manipolo di perfetti sconosciuti potesse precedere la quantità industriale che riceve puntualmente ogni rivista del settore che si rispetti. Trovai poco dopo il disco sugli scaffali di un negozio dell’usato, mentre altri addetti ai lavori recensirono ‘El Cielo’ diversi mesi dopo. I Dredg - un nome che, come precisato in sede di intervista, non significa assolutamente nulla, anche se pare si tratti di un termine utilizzato in geologia che significa “scavare in profondità” - si sono formati nel 1996, ma fino allo scorso anno non si sono mai spinti oltreoceano, restando semplicemente quattro individui senza volto, autori di musica di altissima qualità. Nei tre anni che separano ‘El Cielo’ dall’ultimo ‘Catch without Arms’ il passaparola e l’oggettiva bel20
Delusi o soddisfatti, difficile a dirsi. Senz’altro chi desiderava un’ulteriore evoluzione sullo stesso terreno di ‘El Cielo’ avrà avuto di che rammaricarsi. Consci probabilmente loro stessi di poter difficilmente bissare l’impresa, i Dredg si sono trasformati nuovamente: niente interludi strumentali, ma canzoni Rock brevi e immediate. E’ forse vero che in molti siano in grado di scriverne, ma i Dredg semplicemente lo sanno fare meglio. I Dredg hanno Classe, punto. Non solo, hanno una voce unica dietro il microfono che dal vivo non perde un briciolo della propria espressività, un batterista-tastierista, un basso pulsante ed un guitar sound che scorre inarrestabile. Chi ancora non li conosce presti attenzione, stiamo parlando di una band che potrebbe seriamente cambiare la vostra vita! [EC] www.dredg.com www.interscope.com
2 # ENIZ‘ TNEVDA ephel duath
pain necessary to know
Breve parentesi introduttiva: per il seguente articolo utilizzerò materiale che avevo già scritto diverso tempo fa per hmp.it. Il mio giudizio su ‘Pain Necessary to Know’ non è cambiato, ora che riascolto il disco mi sento anzi in dovere di correggere il tiro, e premiare il coraggio di questa band italiana, guarda caso supportata da un’etichetta estera, l’inglese Earache. Il coraggio, dopo aver firmato un contratto con una label di livello internazionale e la pubblicazione di un capolavoro a titolo ‘The Painter’s Palette’, di proseguire sulla strada della sperimentazione senza limiti, piuttosto che adagiarsi sugli allori. Gli Ephel Duath di ‘Pain...’ sono all’anagrafe Fabio Fecchio, bassista Jazz/Fusion; Davide Piovesan, batterista tentacolare con diversi lustri di esperienza nei più svariati generi; Luca Lorusso, cantante - o meglio, urlatore - di estrazione Hardcore; Davide Tiso, chitarrista e compositore di retaggio Black Metal. Si può solo immaginare a cosa possa dar vita un simile mix, senza tener conto delle abilità tecniche e stilistiche dei quattro musicisti. Il risultato è un album estremo in
tutto e per tutto, frutto di una ricerca musicale spinta all’eccesso. Serviranno diversi ascolti per cogliere ogni piccola sfumatura di un album che inizialmente non potrà che spiazzare, ma che cresce col tempo e che finirà col soddisfare gli ascoltatori più esigenti. Non è certo pane per i denti di tutti, ma è senz’altro una leccornia per chi identifica il Genio con l’eclettismo musicale. ‘Pain...’ è un continuo alternarsi di momenti di calma apparente ad altri incredibilmente aggressivi: l’imprevedibilità di ogni singolo momento proietta l’incauto ascoltatore in una situazione di completo smarrimento, come se in ogni istante ci fossero le stesse probabilità di ricevere una martellata in testa o una gentile carezza. Punto di arrivo, o di transizione verso nuovi lidi? Vista l’incredibile evoluzione, è praticamente impossibile prevedere veso quali orizzonti si muoveranno gli Ephel Duath in futuro. Senza dubbio sarà determinante, come lo è stata sino ad oggi, una costante attività concertistica che possa consolidare le già solide basi di di questo sorprendente combo. Se l’avventura avrà un seguito, difficilmente deluderà le aspettative. [EC] www.ephelduath.net www.earache.com
the gathering
accessories - rarities & b-sides mandylion - deluxe edition home Basta a volte il nome di un gruppo seguito dal titolo del disco in questione per fare una recensione. Potrebbe essere questo il caso dei The Gathering, non fosse che alcuni li ritengono ancora una Metal band, e che sono incredibilmente abili nello stupirci con ogni nuova uscita. I Gathering “che contano” sono quelli di oggi e
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ADVENT ‘ZINE # 2 degli ultimi 10 anni, da quando la voce soave di Anneke van Giersbergen è diventata simbolo, icona, elemento di riconoscimento della musica del combo olandese. Sarei qui ora a parlare di loro, se per un beffardo scherzo del destino in quella primavera del ‘94 la giovanissima Anneke non fosse riuscita a partecipare alle selezioni indette dalla band, orfana del proprio cantante? Forse nessun’altra formazione sarebbe stata in grado di scrivere album del calibro di ‘Mandylion’, ‘Nighttime Birds’ e ‘How to Measure a Planet?’. Quest’ultimo segnò un radicale abbandono delle sonorità Heavy Metal, in favore di un Rock personale ed ispirato - “Trip-Rock” erano soliti definirlo loro stessi - dominato dall’inarrivabile ugola della cantante. ‘if_then_else’, meno etereo e più in your face del suo predecessore, risploverò in parte il sound delle origini, con canzoni che sembrano costruite appositamente per la dimensione live. ‘Black Light District’ è un ep di tre brani, ma gioca un ruolo fondamentale; si tratta innanzitutto di una dichiarazione d’indipendenza, pubblicata dalla neonata etichetta dei The Gathering, la Psychonaut Records; inoltre, esso traccia le linee guida, in precedenza solo accennate, di un nuovo corso stilistico, che vede un progressivo allontanamento dalla forma-canzone accompagnato da una ricerca sonora che nei mesi successivi si rivelerà sempre più accurata ed originale. Arriviamo dunque ad ‘Accessories - rarities & bsides’, che insieme al live semi-acustico ‘Sleepy Buildings’ e alla deluxe edition di ‘Mandylion’ è senza dubbio un tentativo da parte della tedesca Century Media di poter guadagnare quanto più possibile con una band che ha ormai preso le distanze da un’etichetta che l’ha cresciuta ed accudita. Ma è arduo fargliene una colpa, vista l’elevata qualità delle uscite. ‘Accessories’, innanzitutto, non è la solita compilation realizzata raschiando il fondo del barile per adempiere aglio obblighi contrattuali. Il primo dei due dischi in questione raccoglie tutti i “lati B” dei singoli pubblicati nel periodo Century 22
Media. Troviamo numerose versioni dal vivo di vecchi brani, le cover di ‘Life Is What You Make It’ (Talk Talk), ‘In Power We Entrust the Love Advocated’ (Dead Can Dance) e ‘When the Sun Hits’ (Slowdive), il ‘Theme from The Cyclist’ realizzato per un cortometraggio ed una manciata di demo.
A proposito di ‘Third Chance’ le note riportate all’interno del booklet ci informano che “fu il primo brano cantato da Anneke durante le audizioni. [...] Fece un lavoro fantastico, in pratica era già nel gruppo dopo i primi dieci secondi!”. Curiosa inoltre la versione di ‘Shrink’ qui inclusa, registrata dalla sola Anneke in veste inedita di cantante e di chitarrista, con un sottofondo di automobili che passano e di bambini che giocano ai bordi della strada. Ancor più interessante è il secondo disco, che racchiude tredici inediti assoluti estratti dalle recording sessions di ‘Nighttime Birds’ e ‘How to Measure a Planet?’. Le stumentali ‘Diamond Box’ e ‘Hjelmar’s’, mai apparse su disco, sono paradossalmente la parte meno interessante di queste rarità, mentre si rivela ben più gratificante scoprire le differenze tra le bozze e la bella copia. Scoprirete così come le demo
2 # ENIZ‘ TNEVDA di ‘How to...’ - tra cui spicca una lunga ‘Probably Built in the Fifties’ - siano state completamente stravolte prima di giungere alla versione definitiva. I brani di ‘Nighttime Birds’ risalgono al novembre ‘96, quando la band pre-produsse il disco con l’aiuto di Eroc, “un famoso krautrocker degli anni ‘70” che “lavorava presso i Woodhouse Studios”. Qualche mese più tardi il produttore Siggi Bemm avrebbe poi smussato le spigolature di un sound ancora grezzo, ma dominato dalla voce di Anneke, che mi ha letteralmente meravigliato per come riesca in quest’occasione ad unire potenza ed eleganza; gli inglesi direbbero, in una parola sola, breathtaking!. Come afferma lo stesso Hans Rutten, si tratta di “registrazioni bellissime, a tratti addirittura migliori di quelle definitive”.
Discorso molto simile vale per la ristampa di ‘Mandylion’. Non spenderò parole inutili per la riedizione di un disco a dir poco storico in ambito Metal, quanto piuttosto per il bonus CD, contenente le demo di cinque degli otto brani di ‘Mandylion’, l’inedita ‘Solar Glider’ ed un’altra vecchia versione di ‘Third Chance’. Ancora una volta, guidati dai commenti degli stessi Gathering riportati sul booklet, è curioso rilevare le
numerose sfumature che distinguono il materiale grezzo dal prodotto finale. ‘Solar Glider’ è un ottimo brano stumentale, evidentemente ancorato al periodo pre-Anneke, che avrebbe senz’altro sfigurato su disco. La voce della cantante olandese non raggiunge gli stessi livelli di espressività riscontrabili su ‘Accessories’, ma ciò non sminuisce il valore di una ristampa, ottima dal punto di vista musicale nonché della cura con cui è stata realizzata: un ottimo acquisto per i fans, per gli altri invece una grande lezione di Storia.
‘Home’, infine, è il nuovo studio-album dei The Gathering, il seguito naturale del precedente ‘Souvenirs’. La musica della band è ormai una creatura impossibile da descrivere a parole, né relegabile ad alcun genere musicale, frutto di quell’evoluzione spontanea di cui dicevo poc’anzi. Tra i solchi di ‘Home’ non scorre la tecnica, ma le emozioni. Non vi sono riff, ma melodie ed armonie che si seguono ed incastrano alla perfezione, frasi di un discorso musicale scorrevole ed incantevole. Non vi sono chitarra, basso, batteria, tastiere e voce, ma Suoni. E’ Musica che affascina quella dei The Gathering, perché è semplice ed immediata. E’ la Musica delle emozioni quotidiane, quelle che si
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ADVENT ‘ZINE # 2 provano svegliandosi ogni giorno o passeggiando per le vie della città e notando quei piccoli particolari a cui non si aveva mai fatto caso. Abituati ai cosiddetti “supergruppi”, alle “iperproduzioni”, al “music business” che in qualche modo bisogna soddisfare, abbiamo in qualche modo scordato che gli artisti sono in primis delle persone, tanto è spesso il distacco professionale tra chi realizza un disco e chi lo produce. I The Gathering al contrario riportano il tutto in termini umani, concreti, ed è un piacere volare coi piedi per terra, se mi è concesso l’ossimoro. Tra i tasselli di questo variopinto mosaico, merita menzione la quarta traccia, dal titolo ‘Waking Hour’, che ritengo senza mezzi termini il capolavoro del disco, nonché una delle canzoni più belle mai realizzate dalla band. La magia è racchiusa nel cambio di tempo e di atmosfera allo scoccare del quarto minuto, quando le acque si chetano e come per incanto la nostra zattera viene spinta dolcemente verso riva dalle onde. Il canto di Anneke non è più quello aggressivo degli esordi, ma si è fatto vellutato ed espressivo. ‘Home’ non è il solito disco della solita band, ma l’ennesima gemma partorita dal genio di questi musicisti. [EC]
e chitarra dei “Fluido Rosa”, non saprei dirvi se si tratti dell’ennesima mossa commerciale in casa Pink Floyd – basti pensare a tutte le inutili uscite degli ultimi 20-25 anni, tra raccolte e live album - oppure di un disco finalmente autentico. Ritengo sia molto preoccupante che i membri dei Pink Floyd nella loro carriera solistica non riescano a fare qualcosa di veramente interessante: non sarà un caso che l’opera a sfondo classico ‘Ça Ira’ di Roger Waters sia passata praticamente inosservata, e che siano sempre i grandi classici a rimanere nel cuore degli appassionati.
www.gathering.nl www.psychonautrecords.com www.centurymedia.com
david gilmour on an island
Sentivamo davvero la necessità del nuovo disco solista di David Gilmour? Si tratta senza dubbio alcuno di un desiderio indotto, in tutta quella moltitudine di persone che in un modo o nell’altro sussultano al solo sentire il nome dei Pink Floyd. Dopo aver ascoltato a lungo questo nuovo capitolo targato Gilmour, da tutti conosciuto come voce 24
Uno tra i pochi aspetti positivi è che, nonostante il tempo passi, la classe e lo stile di uno dei chitarristi più importanti degli ultimi trent’anni non sono sfumati. Come non citare poi un cast d’onore rigorosamente vintage, con Richard Wright, Phil Manzanera, Crosby & Nash. Il grosso limite di un disco come questo è che deve fare i conti le punte di diamante della discografia pinkfloydiana. La title-track è la meglio riuscita fra tutte, ma solo grazie al fatto che è fortemente debitrice di una certa “Shine On You Crazy Diamond”. In tutto il disco sono presenti molte parti strumentali tipiche del carattere Gilmouriano
2 # ENIZ‘ TNEVDA con un incedere quasi come una veglia. In fin dei conti, ‘On an Island’ possiede quel barlume di onestà che premia i fan più inossidabili, che al di là del bene e del male apprezzeranno comunque. [FD] www.davidgilmour.com www.pinkfloyd.co.uk www.pinkfloyd.com www.emirecords.co.uk
gorefest la muerte
Eppure tra le tante ricomparse che ogni anno costellano il mercato discografico, quella del combo olandese, veterano in ambito Thrash/Death, va senz’altro premiata: non c’è nessuna pretesa di riconquistare lo scettro di nome di punta del Death Metal, ma solo una gran voglia di tornare a suonare brani vecchi e nuovi. Il disco è un continuo alternarsi di parti veloci e lente: numerosi sono i break, le aperture melodiche e gli assoli, alcuni davvero emozionanti e trascinanti. Completano l’opera una sezione ritmica mai doma, che in ogni istante sembra voler spingere sull’accelleratore, e la voce urlata ed unica del cantante/bassista Ian Chris. Una produzione degna di tal nome dona infine vigore e spessore ad ogni singolo riff: ‘La Muerte’ è nient’altro che un invito all’headbanging più sfrenato! Come tirarsi indietro, dinanzi ad una proposta così allettante? Unico punto debole, forse l’eccessiva prolissità delle canzoni e dell’intero album in generale. Trovo tuttavia godibilissimi i 64 minuti di ‘La Muerte’, compreso il lungo epilogo strumentale della title track. Resta il rammarico di non averli più rivisti in concerto: ben due tour europei sono stati cancellati negli ultimi mesi, ma se non altro questo mette i Gorefest “nel mood giusto per poggiare serie basi per un nuovo album”. Bentornati... e adesso non fateci aspettare altri sette anni! [EC] www.gorefest.nl www.nuclearblast.de
I Gorefest sono tornati! Certo, ma quante decine di gruppi sono spariti nel nulla, per poi annunciare reunion, nuovo disco e tour? Non è nemmeno la prima volta che accade che quattro vecchi amici si ritrovino a suonare insieme dopo diversi anni - è infatti del 1998 il controverso ‘Chapter 13’ - e tra i musicisti in studio rivivano finalmente quella sintonia, quell’armonia che erano venute meno già diversi mesi prima dello scioglimento.
katatonia
the great cold distance C’è qualcosa che non va... da sempre ho guardato ai Katatonia con occhio estremamente critico,
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ADVENT ‘ZINE # 2 considerandoli una sorta di band “incompiuta”, sempre alla ricerca di una precisa identità. Eppure più ascolto ‘The Great Cold Distance’, più mi piace, e mi ritrovo di quando in quando a canticchiare le melodie dei brani. I casi sono due: mi sono rincoglionito, oppure effettivamente qualcosa è cambiato... e voglio credere che la seconda tra le due sia la risposta esatta!
Lindqvist, ed i fraseggi chitarristici di Anders Nyström e Fred Norrman. Solo un paio di anni fa sembravano sul palco una band alle prime armi, con una strumentazione che è oggi surclassata da veri gioiellini di produzione artigianale. E’ stata una crescita professionale, basti ascoltare la pulizia e l’energia della produzione di quest’ultimo platter, basti scorrere il lungo elenco di sponsor che oggi supportano la band scandinava. Non vi inganni il fatto che ben due singoli con relativi videoclip - ma anche con tanto di bonus tracks e remix - siano stati estratti dal disco: i Katatonia in fondo sono sempre gli stessi, cantori - ora posso dirlo, nel loro inconfondibile stile - della disperazione, delle angosce, delle ansie che tormentano l’animo umano, e che condivideranno con voi nelle vostre notti insonni. Difficile resistere ad un album come ‘The Great Cold Distance’, che fotografa i Katatonia anno 2006 in stato di grazia. [EC] www.katatonia.com www.peaceville.com
Chi si aspetta un ritorno al passato stia alla larga da questo nuovo capitolo, ideale seguito di ‘Viva Emptiness’. Dal canto mio, preferisco decisamente gli ultimi album partoriti dalla band svedese, finalmente in grado di scrivere brani katatonici in tutto e per tutto; un quintetto forte da alcuni anni di una formazione stabile, che da ‘Last Fair Deal Gone Down’ ha saputo consolidare i tratti distintivi del proprio stile, fino a diventare oggi vera fonte di ispirazione per diverse altre formazioni. Sono cresciuti lentamente i Katatonia, ed hanno il grande pregio di aver sempre guardato avanti. La trama delle canzoni ha raggiunto livelli di complessità notevole, quanto a struttura e ad arrangiamenti. E’ stata una crescita tecnica, basti ascoltare il drumming vario ed ispirato di Daniel 26
klimt 1918 dopoguerra
So già con quali parole terminerò questa recensione: a quando un tour europeo, che consacri finalmente a livello internazionale questa band italiana? I Klimt 1918 sono romani, ed appartengono alla stessa scena di Novembre, Room With a View e En Declin, nomi divisi dal punto di vista stilistico, ma uniti da una ricerca musicale senza eguali, che si riflette ampiamente nella qualità dei propri lavori. Un tempo si chiamavano Another Day, a metà degli anni ‘90, ed attingevano a piene mani dal Death/Doom melodico e progressivo dei neonati Opeth, Katatonia ed Anathema. Passano gli anni,
2 # ENIZ‘ TNEVDA e cambiano i gusti musicali e le conseguenti fonti di ispirazione: New Wave, Dark, ma anche Pop e Rock Psichedelico. Il promo “Secession Makes Post-Modern Music“, datato 2000, è ancora ancorato ai primi ascolti, ma catalizza l’attenzione degli addetti ai lavori. ‘Undressed Momento’ è allo stesso tempo album di debutto e simbolo di una forte svolta stilistica, in cui le succitate influenze si fondono in un mix unico; qualcuno mi corregga se sbaglio, ma credo di non aver letto altro che recensioni positive, se non addirittura entusiastiche riguardo a quel disco!
‘Dopoguerra’ cambia nuovamente le carte in tavola. Non più Metal, ma fortemente Post-Rock - questo succede ad ascoltare giorno e notte gli Explosions in the Sky! - con tracce di Pop anni ‘80... ma in fondo definitivamente Klimt 1918! Cosa rende unica e diversa questa band da tante altre? Innanzitutto il background culturale e spirituale, alla base delle liriche di Marco Soellner, cantante, chitarrista e compositore. Provate a leggere un’intervista alla band, sarà difficile ricordarne una letta in passato che sia ugualmente interessante e ricca di riflessioni! Le dieci canzoni di ‘Dopoguerra’ sono evocative sin dal titolo:
in molti scrissero sul blog del gruppo, ricordando la loro personalissima ‘Snow of ‘85’; ‘Lomo’, dedicata alle celebri macchine fotografiche di fabbricazione russa, che per molti oggi rappresentano una vera e propria filosofia di vita; ‘Rachel’, in onore di una ragazza inglese travolta ed uccisa da un carro armato durante i primi mesi dell’ultimo conflitto iracheno. ‘Nightdriver’ e ‘Sleepwalk in Rome’, che traducono in musica gli spostamenti notturni attraverso la capitale. In secondo luogo, l’umiltà, la passione, ed il contatto coi fans, che si realizza, oltre che ai concerti, attraverso il loro blog personale - all’indirizzo secession-spirits.splinder.com. E’ di poche settimane fa l’annuncio dell’inizio dei lavori sul terzo album. ‘Dopoguerra’ è uscito per la tedesca Prophecy Records, e questo spiega perché i Klimt 1918 abbiano suonato più all’estero che in Italia negli ultimi 12 mesi. E’ disponibile anche in versione deluxe, con un bonus disc contenente sei brani, tra inediti, remix e versioni alternative, ed una ricca sezione multimediale. In definitiva, una grande band di cui andare fieri. A quando un tour europeo che li consacri a livello internazionale? [EC] www.klimt1918.com www.klimt1918-fever.net secession-spirits.splinder.com www.prophecy.cd
khoma
the second wave Quando si dice il caso... al Close-Up Festival non ci sarei nemmeno dovuto andare, ed invece ho avuto occasione di partecipare a questi due giorni di Musica in quel di Stoccolma - avete capito bene!
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ADVENT ‘ZINE # 2 -, assistendo alle performance tra gli altri di Cult of Luna, Burst, Amon Amarth, Satyricon, Katatonia, nonché dei nostri Opeth, che hanno chiuso la rassegna la notte dello scorso 16 aprile.
Anche i Khoma hanno suonato, ma ho sfortunatamente perso la loro esibizione, in attesa davanti al palco dove di lì a poco avrebbero suonato i Katatonia. Ascoltando ‘The Second Wave’ e leggendo in rete i commenti dei presenti, sono quasi pentito di aver perso un’opportunità più unica che rara per ammirare questo collettivo dal vivo. Esattamente, un collettivo, poiché così i Khoma usano definirsi: come alla guida di una nave, Jan Jamte (voce), Johannes Persson (chitarra) e Fredrik Kihlberg (chitarra, voce e pianoforte) guidano il timone, mentre una lunga lista di amici e conoscenti collabora con loro in studio ed in concerto. Il primo ed unico nome che mi sento di associare alla musica dei Khoma è Dredg: Emotional Rock ad alto tasso di dipendenza. Beninteso, solo a livello intuitivo, poiché è facile riconoscere la differenza tra il sound americano dei Dredg e le note dei Khoma, provenienti dalla gelida Umeå, città svedese al di là del circolo polare artico. Note se vogliamo anche più ricercate,
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soprattutto nelle trame chitarristiche in cui è fin troppo evidente l’apporto di Johannes Persson, preso in prestito dai concittadini Cult of Luna. Ancora una volta non è il virtuosismo ad ammaliare, ma i suoni e gli arrangiamenti. Ed è forse un peccato che la band abbia riservato poco spazio alle soluzioni strumentali, affidandosi spesso all’ugola - comunque ottima! - di Jan Jamte. ‘The Second Wave’ è in ogni caso parecchi gradini sopra la media della valanga di uscite odierne, e di conseguenza fortemente consigliato. L’album è licenziato da Roadrunner Records, perciò assolutamente reperibile nei negozi. Mi piace credere che ben pochi in Italia parleranno di questa piccola gemma, presi a rincorrere i soliti grossi nomi: i Khoma forse non diventeranno mai delle rockstar internazionali, ma questo senza dubbio gioverà in futuro alla qualità della loro proposta. [EC] www.khoma.net www.roadrunnerrecords.co.uk
the mars volta frances the mute scabdates
C’erano una volta gli At the Drive-In. Qualcosa poi andò storto, il gruppo si sciolse, e dalle ceneri nacquero gli Sparta e i De Facto. Sono questi ultimi quelli che interessano a noi, poiché tra le loro fila militarono Cedric Bixler Zavala ed Omar Rodriguez-Lopez, unici superstiti tutt’oggi e menti del progetto Mars Volta. Dal 1994 ad oggi le produzioni delle succitate band, siano essi studio album, ep, singoli o live, è stata impressionante, senza contare i due album solisti di RodriguezLopez! La storia di questi due ragazzi è stata non poco travagliata, e l’uscita del debutto ‘De-Lou-
2 # ENIZ‘ TNEVDA sed in the Comatorium’ fu più volte posticipata sino all’anno di grazia 2003: il disco fece gridare al miracolo non pochi addetti alla stampa specializzata, e non solo loro!
‘Frances the Mute’ è la naturale evoluzione di ‘De-Loused...’, accentuandone ancor più le caratteristiche stilistiche e la follia indispensabile a partorire un disco sontuoso e mastodontico. Trattasi nientemeno che di cinque canzoni per oltre 70 minuti di musica! ‘The Widow’ è un singolo accattivante, circondato da quattro monoliti che non possono lasciare indifferenti almeno quanto a complessità delle trame. Non c’è silenzio tra una suite e l’altra, ma lunghe attese fatte di suoni distorti, ultra-filtrati e looppati, che in un lento crescendo trascinano ipnoticamente l’ascoltatore da un brano all’altro. Bisogna aver pazienza, molta pazienza nell’ascolto di ‘Frances the Mute’. Soprattutto negli oltre trenta sopraffini minuti di ‘Cassandra Geminni’: c’è di tutto in questa imprevedibile mezz’ora, Rock, Jazz, Psichedelia (tanta!), tastiere, chitarre ed un sassofono completamente impazziti, orchestrazioni che donano quel tocco di epicità che non guasta. Notevole come nei momenti con-
clusivi il discorso musicale si ricolleghi con naturalezza a quanto già esposto all’inizio del brano, per terminare infine con la stessa melodia dell’incipit dell’album! La voce assolutamente unica di Bixler non sbaglia un colpo, ma l’indiscusso protagonista è il suo partner Rodriguez-Lopez, che mostra come la sua creatività nel suonare la chitarra elettrica conosca ben pochi limiti.
Vi basti ascoltare l’incipit di ‘Cygnus... Vismund Cygnus’, gli assoli presenti praticamente ovunque, e le melodie contorte con cui sostiene il resto dell’orchestra con una semplicità fuori dal comune. Compositore di tutte le musiche, è anche produttore ed in parte curatore dell’artwork degli album dei Mars Volta. Il grosso del lavoro visuale è affidato a Storm Thorgerson, nientemeno che un grande collaboratore dei Pink Floyd sin dai tempi di ‘A Saucerful of Secrets’! ‘Scabdates’ altri non è che la proiezione on stage dell’enorme mole di note, doti, classe e personalità dei Mars Volta. Nessun brano da ‘Frances the Mute’, ma poco importa alla luce di quanto proposto in questo live album. Resta solo da distinguere il vero da quanto invece sia stato appositamente ritoccato, tagliato e incollato allo scopo di fornire una
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ADVENT ‘ZINE # 2 visione d’insieme ancora una volta sorprendente. E’ evidente quanto l’improvvisazione giochi un ruolo importantissimo in questo caso, ed è palese quanto un gruppo del genere si differenzi da tutto il resto: al diavolo le riproposizioni fedeli dei brani in studio! Del resto essi stessi nascono da lunghe jam sessions in studio. Su ‘Scabdates’ si vuole essere imprevedibili in tutto e per tutto, e se non fosse per le liriche di Cedric Bixler anche i brani di ‘De-Loused...’ ne uscirebbero stravolti, quasi irriconoscibili. Chi è rimasto sorpreso dalla monumentalità di ‘Cassandra Geminni’, non sarà certo deluso dagli oltre 40 minuti di ‘Cicatriz Esp’, ribaltata come un calzino, mutilata e maltrattata. Ora, credo di aver speso parole a sufficienza per spiegare quanto ritenga questa band una sorta di mosca bianca all’interno del panorama musicale odierno; un gruppo che sul palco trova la sua dimensione ideale, luogo ideale per improvvisare senza limite alcuno. Ora, sta a voi decidere se accontentarvi dell’ennesima meteora destinata a scomparire nel giro di qualche mese, oppure puntare su chi ancora riesce ad essere creativo ed originale ancora oggi. All’indirizzo themarsvoltaitalia.com troverete parecchie informazioni, unite ad approfondimenti sulle liriche ed i concept sviluppati nei due studio album sinora prodotti. Attenti a non addentrarvi troppo a fondo nell’universo Mars Volta, potreste uscirne vivi a fatica! [EC] www.themarsvolta.com www.themarsvoltaitalia.com www.universalmusic.com www.stormthorgerson.com
morrissey
ringleader of the tormentors
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Quando si dice il caso... uno torna a Lubecca, una delle città che più adora e considera tra le più belle al mondo, ed incontra un pazzoide inglese col pallino di Morrissey; non fosse stato per quell’incontro del tutto fortuito, ora non mi troverei certo a scrivere questa recensione off-topic.
Prima di ascoltare questa perla nuova di zecca partorita dal cantautore inglese sapevo solo che Morrissey ha militato in passato negli Smiths, leggendario gruppo inglese degli anni ‘80; ora so anche che in veste solista solista Morrissey ha pubblicato più dischi della sua band madre, e che questo ‘Ringleader of the Tormentors’, singolare sin dal titolo stesso, è il suo recentissimo ultimo lavoro, registrato in Italia. Del resto non mi importa granché. In fondo capita spesso che le ultime opere firmate dai grandi artisti debbano soffrire un confronto impari con un passato illustre. Ma se la grandezza di un album, ed in generale di un’opera d’arte, la si può notare solo col passare degli anni, com’è possibile esprimere un giudizio complessivo nel momento stesso in cui tale prodotto si presenta sul mercato? Il sottoscritto, dall’altro della propria ignoranza morrisseyana, decreta in questa sede
2 # ENIZ‘ TNEVDA la grandezza di ‘Ringleader of the Tormentors’. Fa un certo effetto leggere in copertina, sotto il titolo, “Registrato e mescolato a Roma in autunno”, in caratteri a dir poco microscopici. Morrissey ha deciso di abbandonare almeno per il momento la sua terra natale, e di rifugiarsi nella nostra Capitale, dove ha trovato una folta schiera di musicisti che ha collaborato alla realizzazione di questo album. Spicca fra tutti un certo Ennio Morricone, curatore degli arrangiamenti orchestrali di ‘Dear God Please Help Me‘. Non so per quale motivo mi sarei aspettato una serie di ballate alla Nick Cave, ed invece ‘Ringleader of the Tormentors’ è un vero disco Rock, assolutamente eterogeneo e multiforme. Ascoltatelo tutto d’un fiato, cercando di elencare quanti suoni e strumenti diversi è possibile individuare in questi cinquanta minuti. Le melodie sono semplici, immediate, orecchiabili, le note centellinate ma pesanti come macigni nell’economia del disco. Spicca ovviamente su tutto la voce camaleontica e sensuale di Morrissey, che sorprenderà quanto ad espressività... ho come l’impressione che al musicista d’oltremanica piaccia restare nell’ombra, concedere alla MTV-generation quei 15 minuti di popolarità che le spettano, per poi tornare sulle scene e spazzar via la concorrenza. Un atteggiamento che solo i Grandi possono permettersi. [EC] www.morrisseymusic.com www.true-to-you.net www.sanctuaryrecords.com
nile
annihilation of the wicked Disumani. Il panorama Death Metal è folto di nuovi nomi e di vecchie glorie, ma ben pochi si
elevano al di sopra della vasta mediocrità. Dal personalissimo punto di vista di uno che ormai difficilmente annovera tra i propri ascolti sonorità di un certo genere, i Nile rappresentato uno dei pochi validi motivi per prestare ascolto ad un genere che per molti versi è ormai l’ombra di sé stesso. A meno che non vi accontentiate dell’ultima uscita dei Deicide!
La brutalità senza compromessi dei Nile è a modo suo affascinante. Grazie innanzitutto ad una tecnica fuori dal comune: la chitarra di Karl Sanders sforna riff impressionanti al pari di un vulcano in eruzione, e la sezione ritmica... difficile credere che dietro le pelli sieda qualcosa di anche vagamente umano! In secondo luogo, come ben sapranno gli amanti del genere, grazie alle tematiche egiziane che sin dalle origini accompagnano le liriche e l’aspetto visivo della band. Non so se si tratti di lavoro o pura passione, ma l’attività storiografica del chitarrista, cantante e compositore Mr. Sanders è sbalorditiva. Ai testi delle canzoni, scritti in inglese arcaico e ricercato, segue una lunga spiegazione delle leggende, dei racconti, degli eventi della storia della civiltà egiziana che hanno ispirato le liriche.
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ADVENT ‘ZINE # 2 I primi due dischi dei Nile puntarono sull’immediatezza; ‘In their Darkened Shrines’ fu un disco molto diverso dai predecessori, un disco di Death Metal epico - ma per molti addirittura epocale - che fece gridare al capolavoro su più fronti. ‘Annihilation of the Wicked’ contiene ancora brani di lunga durata, ma ancor più devastanti ed imprevedibili. Immaginate di essere sorpresi da un terremoto improvviso della durata di ben nove minuti!!! L’inserimento di melodie e suoni antichi è ridotto al minimo indispensabile; chi volesse esplorare questo lato oscuro della musica dei Nile si procuri l’album ‘Saurian Mediation’, firmato Karl Sanders, concentrato di atmosfere dilatate ed evocative ispirate ad un antico Mondo Perduto. Ciliegina sulla torta: ‘Annihilation of the Wicked’ è pubblicato da Relapse Records, vera e propria garanzia nel campo della Musica Estrema! [EC]
sporadici interventi di una voce parlata in lingua italiana; è musica che raramente si concede qualche sussulto, restando sospesa, eterea, in lunghi arpeggi di chitarra, che lentamente mutano d’aspetto e danno forma alle composizioni.
www.nile-catacombs.net www.relapse.com
p.o.e.
un attimo prima del buio Evviva i pregiudizi! Mi è bastato sapere che questa italianissima band aveva vinto l’ultima edizione di Rock Targato Italia per storcere il naso. Ora, dopo aver ascoltato il loro CD autoprodotto ‘Un Attimo Prima del Buio’ non posso che ricredermi, e chiedermi quante occasioni realmente interessanti perdiamo ogni volta che seguiamo il nostro istinto, piuttosto che la ragione: quest’ultima ci direbbe infatti di esprimere un giudizio solo dopo un attento ascolto. La musica dei P.O.E. (acronimo che significa Percorsi Onirici Elettrificati) è senza dubbio alcuno inseribile nel calderone Indie/Post-Rock; è musica quasi interamente strumentale, con brevi e 32
In molti oggi preferiscono affidare completamente alle sole note il compito di trasmettere emozioni: Pelican, Red Sparowes, Godspeed You! Black Emperor i primi nomi “importanti” che mi vengono in mente, ma l’underground è fitto di nuove giovani sensazioni. I P.O.E. si concentrano sul lato più soft, tenue e delicato di questo genere, lasciando ad altri sfogare la propria energia e graffiare le corde degli strumenti, distorcerne ed amplificarne il suono all’inverosimile. La title track posta in chiusura vuole forse farci credere che il buio sopraggiungerà al termine dell’ascolto. Vi invito invece, ‘Un Attimo Prima del Buio’, a spegnere la luce e rilassarvi. E non abbiate il timore di alzare il volume, e lasciare che la musica dei P.O.E. si diffonda nella vostra stanza. [EC] www.poegate.it p.o.e.00@virgilio.it
2 # ENIZ‘ TNEVDA stray dog stray dog
Ho scoperto questa piccola perla di Hard Rock settantiano sul blog di uno svedese, tale ChrisGoesRock. Quando un esperto dei più sconosciuti album di Rock, Blues, Psichedelia e Progressive di quegli anni magici posiziona gli Stray Dog “tra i primi dieci dei suoi preferiti in assoluto” c’è allora da rizzare le antenne e controllare personalmente se si tratti solo di un fattore esclusivamente soggettivo, o se effettivamente l’opera è degna di attenzioni. La realizzazione di questo omonimo debutto ha il sapore della leggenda. Nel lontano 1973 - oltre 30 anni fa! -, durante un tour americano degli Emerson Lake and Palmer, Greg Lake assistette a Denver (Colorado, USA) ad un concerto degli Stray Dog. Propose loro un contratto a fine serata, che prevedeva nientemeno che un volo in Inghilterra il giorno seguente e la possibilità concreta di registrare un disco. William Garrett “Snuffy” Walden (chitarra e voce) e Alan Roberts (basso e voce) colsero l’occasione al volo, mentre il batterista Randy Reeder preferì non abbandonare i patrii confini. Leslie T. Sampson lo sostituì
presto, e nel giro di poche settimane ‘Stray Dog’ fu consegnato agli ascoltatori. Cosa impedì ad un disco incredibile, perdipiù pubblicato dalla Manticore e prodotto da Greg Lake, di decretare il successo di questo trio? Nemmeno il tour che seguì, sempre come spalla agli ELP fu redditizio, e dopo il successivo ‘While You’re Down There’, pubblicato nel 1974, gli Stray Dog tornarono nel limbo senza gloria alcuna. Lo stesso “Snuffy” dichiarerà a questo proposito che, “la band si sciolse durante il tour di supporto al secondo LP. Credo che la causa fu una combinazione di droghe, alcool e immaturità. Almeno questo fu il mio caso. Credo davvero che se avessimo avuto un certo successo, sarei già morto in questo momento, e quindi da questo punto di vista è un bene che le cose siano andate così!”. Ma passiamo alla musica. I motivi che rendono questo disco interessante ed ancora oggi superiore a miriadi di uscite di qualsiasi genere sono molteplici, e risiedono tutti in un arco temporale di soli 38 minuti. Parte ‘Tramp (How it is)’, e dopo un breve intro la voce di Walden invita l’incauto ascoltatore ad allacciarsi le cinture... peccato che non ci sia nemmeno tempo di accorgersene, come travolti da un’enorme ondata che improvvisamente si innalza di fronte a noi! Il caos controllato non aspetta niente e nessuno: sembra che basso, batteria e chitarra proseguano come impazziti ognuno per la sua strada, ma come per magia l’effetto è allo stesso tempo straniante ed armonioso. Sfido chiunque a non lasciarsi andare al riff portante della successiva ‘Crazy’, ma questo discorso vale per qualsiasi delle canzoni presenti. La chitarra solista è come un leone in gabbia, sempre aggressivo con chiunque gli si pari davanti, e pronto a scatenarsi non appena le sbarre concedono un piccolo spiraglio. ‘A Letter’ è una breve ballata acustica, comunque pregevole, che spezza il ritmo forsennato a cui eravamo abituati. Una ballad a modo suo particolare, con delle semplici percussioni tribali in sottofondo, e dei fraseggi psichedelici che accompagnano il
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ADVENT ‘ZINE # 2 cantato sino alla fine. ‘Chevrolet’ sarebbe potuta diventare un grande hit-single: riff quadrati e catchy, senza sbavatura alcuna, e ancora una volta assoli mozzafiato. Da segnalare inoltre l’inserimento di cori di voci femminili, che avranno ancora più spazio nella successiva ‘Speak of the Devil’: ciò che colpisce di questa traccia è l’epico rallentamento nel finale, che purtroppo termina in rapida dissolvenza. Quasi recitata è ‘Slave’, in cui è ancor più evidente il contrasto tra un cantato multiforme ed una sezione strumentale che spinge costantemente sull’acceleratore. ‘Rocky Mountain Suite (bad road)’ è l’epilogo di un disco a dir poco eccezionale. Breve introduzione, a cui seguono dei rapidi arpeggi ed un pizzico di Country Rock, che sfocia finalmente nel cuore di questo piccolo gioiello. Non rimane che lasciarsi sorprendere nuovamente, dalla valanga di riff e di melodie che per i restanti cinque minuti e mezzo non daranno alcuna tregua. Sono stato chiaro? ‘Stray Dog’ non brilla certo quanto a reperibilità, ma un musicofilo non si preoccupa certo di dover ribaltare mezzo mondo per trovare ciò che gli interessa! Questa band non diventerà milionaria grazie a queste mie righe, ma forse voi vi sentirete in qualche modo arricchiti dall’ascolto della loro Musica. [EC] hem.passagen.se/strayd/
ufomammut lucifer songs
Qualcuno mi ha detto che gli Ufomammut se la tirano. Dopo averli visti in concerto, ancor prima di ascoltarli su disco, dopo aver recuperato i primi due album ed averci parlato personalmente, dopo aver ricevuto direttamente dalle loro mani del materiale promozionale, spero sinceramente che siano in tanti a tirarsela in questo modo. A 34
tal punto da arrivare dal nulla ad essere una delle band maggiormente reputate nell’underground internazionale.
Sentii parlare per la prima volta di loro su stonerrock.com, più che altro era il nome ad intrigarmi, un nome che sintetizza al meglio la proposta musicale dei Nostri, che contiene in sé le due facce della medaglia: la componente aliena delle basi sintetiche, e quella primordiale e travolgente di basso, chitarra e batteria. Sono cresciuti molto gli Ufomammut in questi pochi anni, una crescita sempre accompagnata dalla collaborazione - oggi anche con videoproiezioni proiettate durante i concerti - e soprattutto dall’amicizia di Malleus, collettivo artistico che ricorderete almeno per la realizzazione del flyer del Flippaut Festival 2005. Il 2004 è l’anno di ‘Snailking’, licenziato dall’americana Rocket Recordings, disco perfetto nel suo genere... ehm, ma quale genere? Come in ambito culinario, possiamo elencare gli ingredienti - senza dubbio, Rock, Stoner, Psichedelia, Doom, Elettronica, anche un pizzico di Rock’n’Roll: il risultato è la ricetta Ufomammut, consigliata ai palati fini e audaci al tempo stesso.
2 # ENIZ‘ TNEVDA C’è chi nomina la Drone Music, ma mentre questo termine riporta alla mente le soluzioni rumoristiche dei recenti Earth e Sunn O))), la strumentazione degli Ufomammut porta il marchio Moog, che è quanto di più settantiano si possa chiedere in musica. ‘Lucifer Songs’ è una via di mezzo tra un ep ed un full-length, 6 brani per 35 minuti, di cui gli ultimi nove disponibili solo su vinile. E’ un’uscita particolare che punta oltre che sulla musica, di indubbia qualità, anche sull’aspetto esteriore dell’opera: copie uniche serigrafate a mano e numerate, in pratica un piccolo gioiellino per collezionisti. Infine è bene dirlo, gli Ufomammut sono fondamentalmente una live-band. I solchi dei supporti discografici sono degli evidenti limiti ad un suono che può liberarsi completamente in tutta la propria espressività solo dal vivo. Tre tour europei non sono pochi, e tra le recenti esibizioni oltre i patrii confini impossibile non citare il celeberrimo Roadburn Festival (Tilburg, Olanda), dove gli Ufomammut hanno fatto compagnia ad Orange Goblin, Ozric Tentacles ed i leggendari Hawkwind. Ad ulteriore conferma del fatto che certi gruppi nostrani giocano meglio in trasferta! [EC] www.ufomammut.com www.malleusdelic.com www.supernaturalcat.com www.rocketrecordings.com
credits Grafica, layout e impaginazione a cura di Eugenio Crippa. Si ringraziano Gabriella D’Auria e Matthias Scheller per la loro preziosa collaborazione. Immagini (Side A): pagina 3 (a destra) © swhq.co.uk // pagina 4 (in basso a sinistra) © blackfield.org // pagine 8, 11, 13, 14, 15, 16 © opeth.com. Le restanti fotografie sono di Eugenio Crippa. Gli sfondi di alcune pagine sono elaborazioni digitali di immagini promozionali e non. ‘Orchid’ lyrics reproduced by kind permission of Zomba Music Publishers LTD. Stampato da Fast Color Copy, Via Messina 6, 20154 Milano
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