con il contributo di
Cosa ascoltiamo questa sera
Il veronese Andrea Battistoni detiene un record: è stato il più giovane direttore scritturato alla Scala. Era il 2012 e lui aveva venticinque anni. Proprio allora usciva per Rizzoli il suo libro Non è musica per vecchi in cui ribadiva l'assoluta attualità della musica classica. Prima era passato dalla Scuola di musica di Fiesole per prendere lezioni da Gabriele Ferro. Dopo, la sua carriera ha corso veloce per approdare al podio della Filarmonica di Tokyo. Ora, in Giappone, è un'autorità, anche se gli impegni in Oriente non gli permettono di frequentare troppo l'Europa (tranne il Teatro Carlo Felice di Genova, che l'ha avuto in casa per un quinquennio, fino al 2019).
All'ORT torna a distanza di una stagione con un programma a tema schubertiano che è anche un tributo, nel ventennale della scomparsa, a Luciano Berio, uno dei padri fondatori dell'orchestra e colui che tra la fine degli anni '80 e i '90 la portò a suonare in prestigiose sale internazionali. Il suo Rendering si basa sugli appunti per una sinfonia che Schubert lasciò incompiuta al momento della morte. Quelle pagine, Berio le ha assemblate e strumentate senza stravolgere quanto di Schubert è rimasto; quanto che vi mancava, l'ha aggiunto di sua mano creando una 'malta' di sonorità e impasti armonici modernisti che dichiarano apertamente l'intervento di restauro. Battistoni dirige anche la Sinfonia Grande che Franz Schubert compose tra 1825 e il 1826, tre anni prima della morte, per essere eseguita in un grande concerto pubblico a Vienna. Solo che l'orchestra si rifiutò di suonarla perché troppo complessa, e la partitura dovette attendere più di un decennio per essere ascoltata: Robert Schumann ne recuperò il manoscritto tra le pile di carte lasciate in eredità da Schubert al fratello e l’affidò in prima esecuzione a Felix Mendelssohn.
2 22 2 23
Andrea Battistoni
direttore
Luciano Berio
Rendering per orchestra (1989-90)
"Restauro" del frammento sinfonico in re maggiore D936A di Franz Schubert
Allegro Andante Scherzo ***
Concerto dedicato a Luciano Berio nel ventennale
della sua scomparsa
Franz Schubert
Sinfonia n.9 in do maggiore D 944
Grande
Andante. Allegretto ma non troppo
Andante con moto
Scherzo. Allegro vivace
Allegro vivace
FIRENZE, Teatro Verdi
martedì 23 maggio 2023 h 21:00
La musica e oltre ...
rubrica di Rosaria Parretti
Al Museo Archeologico di Firenze si trova la Chimera, la splendida statua etrusca in bronzo che raffigura l’animale mitologico. Di questo capolavoro si nota la criniera leonina appena scarmigliata a destra, quasi a sottolineare l’apertura improvvisa delle fauci pronte per l’attacco; e sul dorso della creatura, la testa di capro, che sul collo ha una ferita mortale dalla quale zampillano gocce di sangue. Ma le zampe sul lato sinistro mostrano un’attaccatura, infatti sono state ricomposte in un secondo momento con una diversa colata. Anche la coda a forma di serpente è stata attaccata molto dopo (1785), e non è quella originale, perché è stata montata in modo da mordere uno dei corni del capro, invece che lasciata saettare in avanti minacciosa, come probabilmente doveva essere. Questo antico bronzo etrusco, dunque, non è proprio del tutto antico e non è nemmeno del tutto etrusco. Ci troviamo di fronte a un falso? Sì e no. La risposta sta nel modo in cui in passato veniva concepito il restauro. Riportare l’opera “all’antico splendore”, aggiustare le lesioni con vere e proprie rifaciture per ripristinare l’interezza, per eliminare con cura ogni differenza fra vecchio e nuovo: era così che si restaurava prima; ed ecco spiegati i piedi rifatti, le code attaccate secondo i gusti del Granduca e le ridipinture di tavole e tele di ogni epoca. Poi, Cesare Brandi, storico direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro, porta la teoria del restauro in una nuova direzione: le lacune e le rotture non vanno più nascoste, perché testimoniano il passaggio dell’opera d’arte nel tempo, ne raccontano la vita; l’integrazione, anzi, si deve notare, per non cancellare l’evento che ha causato quella lacuna, e non creare un falso storico. Nella Basilica di Santa Croce, sulla parete nord della sagrestia, appeso in alto, c’è il Crocifisso di Cimabue. Del volto di questo Cristo dolente si legge solo un occhio chiuso, il labbro inferiore, il mento con un po’ di barba, e una ciocca di capelli che ricade sulla spalla sinistra, il resto è deturpato. Anche la superficie pittorica del torso è parziale: s’intravede lo sterno ossuto e si riconosce il ventre, ma del sottilissimo perizoma annodato che aveva incantato per la sua finezza, resta poco. Quest’opera è stata devastata dall’alluvione di Firenze del 1966, e il suo restauro è stato oggetto di una riflessione metodologica:
“Mi sembra talvolta che ascoltare un concerto sia come essere penetrati e invasi dalla musica e ho la sensazione di un vuoto finalmente colmato”
Luciano Berio Intervista sulla musica, 1981
Crocifisso (particolare)
Cimabue
tempera su tavola prima del 1288
Sagrestia della
Basilica di Santa Croce
Firenze
integrare la pittura persa rifacendosi alle fotografie, e realizzare un falso, o lasciare quanto rimasto, lacune incluse, ricordando per sempre il disastro subìto? Il Crocifisso viene restaurato con la tecnica dell’astrazione cromatica: le lacune sono ben visibili ma trattate con colori che si intonano a quelli dell’opera, assumendo così un valore di collegamento tra i frammenti esistenti. Le parti superstiti entrano in relazione fra loro proprio grazie a questa zona neutra che in realtà ricompone l’armonia generale, e chi ammira quest’opera oggi, viene a conoscere anche la sua storia.
Forse questo lungo racconto sul restauro, le opere d’arte, le lacune, le integrazioni visibili e l’astrazione cromatica vi tornerà in mente fra poco, durante l’ascolto di Rendering di Luciano Berio. O forse no.
A ogni modo, godetevi l’ultimo concerto della stagione dell’ORT. A presto!
Con riconoscenza e affetto
Luciano Berio ci ha lasciati giusto vent’anni fa, il 27 maggio 2003.
L’Orchestra della Toscana lo aveva avuto come direttore artistico dal 1983 al 1986: tre anni intensissimi, fra i più significativi nella storia della nostra istituzione. La genialità e la varietà dei programmi attestavano la cultura sterminata di Berio, la vastità dei suoi interessi, la sua continua ricerca di nuove possibilità, estesa a tutti gli aspetti della vita artistica e della società. Gli artisti da lui chiamati e le tournées all’estero consolidarono la proiezione internazionale dell’ORT, così come il riconoscimento come Istituzione Concertistica Orchestrale, da lui promosso e ottenuto, ne rinforzò l’immagine. A sua volta l’ORT sta nella storia di Berio come capitolo tutt’altro che secondario della sua storia di organizzatore, svolta internazionalmente ma con una presenza specialmente costante e viva a Firenze: che ebbe in lui l’abitante musicale più illustre nell’ultimo quarto del Novecento, attivo anche come direttore artistico del Maggio Musicale Fiorentino nel 1984, e come fondatore nel 1987, e a lungo guida e ispiratore, del Centro di ricerca produzione e didattica musicale Tempo Reale
Una vita non meno densa di impegni che di composizioni: confermando come per lui far musica fosse solo una parte, anche se certo di gran lunga la più importante, di una più generale dimensione di intellettuale tanto raffinato quanto pronto a impegnarsi di persona e a sporcarsi le mani; tanto esigente sul piano artistico quanto disponibile all’incontro con tutti, come ben ricordano quanti collaborarono con lui, in primo luogo i musicisti dell’ORT; tanto originale e forte nella sua identità stilistica quanto aperto a confrontarsi con l’opera di altri, spaziando da Monteverdi alle voci di un mercato di Londra, da Mahler al canto popolare dei popoli più diversi, senza ammettere etichette né per sé né per gli altri. Una musica che sapeva anche farsi gesto, e da un gesto all’occorrenza scaturire. E proprio a questo aspetto dell’arte di Luciano Berio ha voluto guardare l’ORT in questa ricorrenza, scegliendo uno dei suoi capolavori più importanti e fortunati: quel Rendering che rese udibili i frammenti favolosi lasciati da Franz Schubert senza tentarne un dubbio completamento ma proponendone un’interpretazione costellata di interrogativi affascinanti quanto mai.
Alla memoria di Berio dedichiamo quindi questo ultimo concerto della nostra Stagione 2022/2023, con riconoscenza e affetto.
« ... la verità di cui non si riesce a parlare, bisogna cantarla, bisogna dirla in musica. E con questo, vi saluto.»
Luciano Berio
lucianoberio.org
centrostudi.lucianoberio
Il prossimo 24 ottobre avrebbe compiuto 98 anni. Luciano Berio, è stato uno dei più noti compositori italiani d’avanguardia, pioniere della musica elettronica, genio, innovatore, sempre un passo avanti e, al tempo stesso, attuale, vicino, universale. Nato a Imperia, ha vissuto ed è stato protagonista di un Italia che sperimenta e che fa la differenza. Si affacciò sulla ribalta musicale del secondo dopoguerra dopo gli studi al Conservatorio di Milano. Nel 1954, sempre a Milano, fondò insieme con Bruno Maderna lo Studio di Fonologia Musicale presso la Rai, dove scandagliò le interazioni tra strumenti acustici e suoni elettronici e tra suono e parola. Libero da preconcetti ideologici, il suo percorso di ricerca si distinse per l’equilibrio tra la conoscenza e la consapevolezza della tradizione e l’inclinazione verso l’inedito, anche mettendo in relazione la musica con altri campi del sapere umanistico: la poesia, il teatro, la linguistica, l’antropologia, l’architettura. Oltre il genio, ci sono il podio, il direttore artistico, il promotore di musica contemporanea, l'insegnante in Europa e in America, i premi internazionali e quattro lauree Honoris Causa.
“Io non amo ascoltare la musica mentre cammino. Intanto perché è pericolosissimo. Io mi immergerei talmente tanto che alle prime strisce mi tirano sotto [...] Se ascolto la musica, ascolto la musica. Non faccio altro. ”
A. B.Direttore principale
2016 > oggi
Tokyo Philharmonic Orchestra
2017 > 2019
Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore ospite principale
2014 > 2016
Teatro Carlo Felice di Genova
2011 > 2012
Teatro Regio di Parma
andreabattistoni.it
maestrobattistoni
andrea_battistoni_maestro
Chi meglio di lui poteva salutare il pubblico dell'ORT ribadendo la presenza in questa stagione di tanti giovani talenti? Perché Battistoni è davvero un talento. Adesso a 36 anni è in piena carriera con idee ben chiare su ciò che vuole fare. Una di queste è trasmettere alle giovani generazioni la densità e modernità di un mondo che in molti sembrano aver disconosciuto: «Se dopo tanti secoli siamo ancora qui, a lavorarci sopra e a scavarne ogni aspetto, vuol dire che è davvero un patrimonio ricco di emozioni attuali, da rivelare ed esprimere». E condividere. Come è stato per lui l'amore per la musica, scattato solo dopo anni di studio, durante un concerto con l'orchestra del Conservatorio, imbracciando il violoncello: «era bellissimo, con mia grande sorpresa. Io volevo fare lo scrittore». Desiderio che non ha abbandonato, pubblicando un libro e dedicandosi alla composizione. Perché il segreto sta nel linguaggio e lui sembra averlo intercettato come provano le video interviste presenti sul web, in cui mette in relazione l'incipit della Quinta di Beethoven con l'hard rock degli AC/DC o la morte di Mimì nella Bohemé piena di tristezza e malinconia con De André: «Anche la musica per orchestra, anche la musica operistica, devono parlare il linguaggio di oggi».
Andrea BattistoniLuciano Berio
/ Oneglia, Imperia 1925 / Roma 2003
Rendering per orchestra
durata: 35 minuti circa
nota di Luciano Berio
Erano anni che mi veniva chiesto, da varie parti, di fare «qualcosa» con Schubert e non ho mai avuto difficoltà a resistere a quell’invito tanto gentile quanto ingombrante. Fino al momento, però, in cui ricevetti copia degli appunti che il trentunenne Franz andava accumulando nelle ultime settimane della sua vita in vista di una Decima Sinfonia in re maggiore (D. 936 A). Si tratta di appunti di notevole complessità e di grande bellezza: costituiscono un segno ulteriore delle nuove strade, non più beethoveniane, che lo Schubert delle sinfonie stava già percorrendo. Sedotto da quegli schizzi, decisi dunque di restaurarli: restaurarli e non ricostruirli.
Non trovo attraenti quelle operazioni di burocrazia filologica che inducono talvolta un incauto musicologo a far finta di essere Schubert (se non addirittura Beethoven) e a «completare la Sinfonia come Schubert stesso avrebbe potuto farlo». È una curiosa forma di mimesi, questa, che ha qualcosa in comune con quei restauri in pittura che si rendono responsabili di danni irreversibili, com’è il caso degli affreschi di Raffaello alla Farnesina a Roma. Lavorando sugli schizzi di Schubert mi sono proposto di seguire, nello spirito, quei moderni criteri di restauro che si pongono il problema di riaccendere i vecchi colori senza però celare i danni del tempo e gli inevitabili vuoti creatisi nella composizione (com’è il caso di Giotto ad Assisi). Gli schizzi, redatti da Schubert in forma quasi pianistica, recano saltuarie indicazioni strumentali ma sono talvolta stenografici; ho dovuto quindi completarli, soprattutto nelle parti intermedie e nel basso. La loro orchestrazione non ha posto problemi particolari. Ho usato l’organico orchestrale dell’Incompiuta (due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni, tre tromboni, timpani e archi) e nel primo movimento (Allegro) ho cercato di salvaguardare un ovvio colore schubertiano. Ma non sempre. Ci sono brevi episodi dello sviluppo musicale che sembrano porgere la mano a Mendelssohn e l’orchestrazione naturalmente ne prende atto. Infine, il clima espressivo del secondo movimento (Andante) è stupefacente: sembra abitato dallo spirito di Mahler.
Nei vuoti tra uno schizzo e l’altro ho composto un tessuto connettivo sempre diverso e cangiante, sempre pianissimo e «lontano», intessuto di reminiscenze dell’ultimo Schubert (la Sonata in si bemolle per pianoforte, il Trio in si bemolle con pianoforte, ecc.) e attraversato da riflessioni polifoniche condotte su frammenti di quegli stessi schizzi. Questo tenue cemento musicale che commenta la discontinuità e le lacune fra uno schizzo e l’altro è sempre segnalato dal suono della celesta.
Negli ultimi giorni della sua vita Schubert prendeva lezioni di contrappunto. La carta da musica era cara e scarsa, ed è forse per questo che, mescolato agli schizzi della Decima Sinfonia, si trova un breve ed elementare esercizio di contrappunto (un canone per moto contrario). Non ho potuto fare a meno di orchestrare anche quello e di assimilarlo allo stupefacente percorso dell’Andante. Altrettanto stupefacente è il terzo movimento che è certamente la composizione orchestrale più polifonica che Schubert abbia mai scritto. Questi ultimi schizzi, a dispetto della loro frammentarietà, sono di una grande omogeneità di scrittura e paiono spesso come una ricerca di soluzioni contrappuntistiche diverse per uno stesso materiale tematico. Tuttavia gli schizzi presentano alternativamente i caratteri propri di uno Scherzo e di un Finale. Questa ambiguità di fondo, che il giovane Schubert avrebbe forse risolto o esasperato in maniera nuova, mi ha attratto in
modo particolare; infatti i miei «cementi» si pongono, tra l’altro, lo scopo di rendere quell’ambiguità strutturalmente espressiva. Ho realizzato questo omaggio a Schubert tra il 1989 e il 1990, per la Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam.
Franz Schubert
Sinfonia n.9 D 944
Grande
durata: 45 minuti circa
nota di Gregorio Moppi
Enigma numerologico (e musicologico). Qual è il posto occupato dalla Grande nel catalogo schubertiano? Cerchiamo di capirlo attraverso lo schema di seguito su cinque colonne: nella prima viene indicata la numerazione progressiva attribuita alle partiture completate (nel conto ci entra anche il torso dell'Incompiuta, sul piano espressivo, tuttavia, del tutto compiuto); nella seconda la tonalità e il nome (d'autore o meno) con il quale è nota; nella terza il diverso grado di finitezza; nella quarta il periodo di composizione; nell'ultima la data di pubblicazione. Dunque la nostra è l'ottava tra le sinfonie numerate. La settima, se si considerano soltanto quelle su cui Schubert volle (o riuscì a) lavorare da capo a fondo. La nona, se si conta anche la sinfonia in mi maggiore del 1821 completata da altri. Per nona la indicava pure una tradizione fondata sull'ipotesi che al settimo posto si trovasse una fantomatica «Sinfonia di Gmuden-Gastein», mai rinvenuta (ma di recente è stata incontrovertibilmente identificata con la Grande). Un gran bel pasticcio, insomma. Una cosa certa comunque c'è: la Grande è stata la sola sinfonia di Schubert a circolare su larga scala nell'Ottocento - almeno fino a quando, nel 1860, dall'oblio non emerse la partitura dell'Incompiuta
Il rinvenimento della Sinfonia in do maggiore, detta Grande per distinguerla dall'altra giovanile nella medesima tonalità ma di proporzioni più ridotte perciò denominata Piccola, si deve a un Robert Schumann in trasferta viennese: un pellegrinaggio nei luoghi beethoveniani e schubertiani il cui reportage il compositore tedesco pubblicò nel 1840 sul suo foglio di critica musicale, la «Neue Zeitschrift für Musik». Schumann aveva fatto visita a Ferdinand Schubert, che presso di sé conservava una gran messe di inediti del fratello Franz. Tra questi giaceva anche la partitura della Sinfonia in do maggiore, inviata immediatamente all'amico e collega Felix Mendelssohn, a Lipsia, perché la dirigesse nella stagione di concerti del Gewandhaus. Esecuzione avvenuta il 23 marzo 1839, di nuovo in dicembre, e poi ancora nel marzo e nell'aprile 1840. Era la prima volta che la Sinfonia veniva data in pubblico. Schubert non l'aveva mai potuta sentire perché la Società degli Amici della Musica di Vienna, cui era stata affidata alla fine del 1826, l'aveva trovata troppo lunga e di eccessiva difficoltà. Fino a qualche anno fa si credeva che la Grande risalisse al 1828, anno della morte del compositore, così come scritto sulla prima pagina del manoscritto. Studi piuttosto recenti (condotti anche sulla carta e sull'inchiostro impiegati) hanno invece permesso di retrodatarne la composizione. Dunque Schubert vi lavorò nell'estate del 1825, durante i soggiorni a Gmunden e Gastein, ritornandovi sopra a Vienna, in autunno. Nell'estate del 1827 la Società degli Amici della Musica pagava il copista che aveva provveduto a ricavare dalla partitura le parti orchestrali, segno inequivocabile che allora la Grande era già pronta da tempo. Rimane il problema della data riportata sull'autografo. Frustrato il suo desiderio di sentirla suonata, forse Schubert decise di puntare alla stampa: per venderla meglio agli editori pensò probabilmente di rinfrescarla stracciandone il frontespizio originale con la dedica alla Società viennese per inserirvi al suo posto, direttamente sulla prima pagina orchestrale, la dicitura «marzo 1828». Nonostante le proporzioni inconsuete per l'epoca, la Grande si mostra monumentale solo in superficie (la «sublime lunghezza» che le riconosceva Schumann). Nella sostanza invece è tutt'altro che granitica: procede con passo narrativo e svagato, trascolorante da un episodio all'altro in maniera discorsiva, piana, a tratti fantastica, attraverso morbide concatenazioni sintattiche e strutturali tipicamente schubertiane. Di Beethoven, venerato modello di riferimento cui viene reso omaggio nell'ultimo movimento richiamandone l'Inno alla gioia dalla Nona sinfonia, non vi sono l'impeto eroico di proporzioni ferree e stringate, le deflagrazioni dialettiche, lo sviluppo organico del materiale tematico. Approdando finalmente, dopo i numerosi tentativi abortiti, alla «grande sinfonia» a lungo vagheggiata, Schubert non poteva davvero tradire la sua natura più profonda, rinunciare all'espansione lirica, alle caratteristiche modulazioni e sospensioni armoniche, alla frequente contrapposizione timbrica e dinamica tra archi, forte, e fiati, piano, a spargere per la partitura gioielli tematici, paesaggi dello spirito, digressioni, indugi, pause, emozioni più o meno fugaci. La sua originalità sta nell'esser riuscito a connetterli in una struttura ariosa, certo distante dalla scultorea concentrazione beethoveniana, a suo modo, tuttavia, logica, coerente, unitaria.
Visti da dentro parla
Chiara Foletto viola dell'ORTCarissimi amici, perché così vi sento, voi che ci avete seguito e sostenuto in un'altra emozionante Stagione di Concerti, purtroppo ... volata! Siamo all'ultimo appuntamento e un “grande” programma ci aspetta per chiudere in bellezza, all'insegna di Schubert. Ma il mio interesse maggiore è condividere con voi la magia che ha creato Luciano Berio, nell'onorare questo Maestro! È sempre una grande emozione per me risuonare Rendering, che regolarmente spalanca il coperchio di una scatola di ricordi scolpiti nella storia della nostra Orchestra. Nel lontano 1983, Berio, facendo ottenere le sovvenzioni ministeriali, trasformò l'Orchestra da Ente Privato a Fondazione. È stato il nostro primo Direttore Artistico e ha intrapreso un percorso di costante sostegno, supporto e collaborazione, rappresentando, anche nei periodi in cui non aveva cariche ufficiali, una sorta di “tutore” o “padre putativo”. Tramite lui l'ORT ha avuto occasioni molto prestigiose: ricordo con immensa emozione il Concerto alla Scala di Milano e quello alla Carnegie Hall di New York! Insomma, ci ha accompagnati con affetto fino alla sua scomparsa, nel 2003.
Rendering è sicuramente uno dei suoi lavori più particolari e se qualcuno di voi pensa di non averlo mai sentito, durante l'esecuzione riconoscerà qualche frammento che è diventato, per tantissimi anni, un jingle quotidiano per i programmi di apertura e chiusura di Rai Radio3. Sulle origini di questo pezzo, proprio Berio raccontava di quante volte avesse declinato l'invito di scrivere qualcosa ispirato a Schubert, perché lo riteneva un'operazione “ingombrante”. Fino a quando non ricevette copia degli appunti che il 31enne Franz andava accumulando nelle ultime settimane della sua vita in vista di una Decima Sinfonia. Fu allora che scattò il genio di Berio e, sedotto da quegli schizzi, decise di restaurarli: “restaurarli e non ricostruirli”, parole sue! Creò dei ponti: riempì gli spazi nel suo stile, creando un tessuto connettivo sempre diverso e cangiante, volutamente pensato nel colore di un pianissimo quasi impalpabile, come venissero da lontano, sempre accompagnati dallo strumento magico qual'è la celesta. Ricordo la sua imponente figura (un po' burbera in apparenza) sul podio, mentre dirigeva Rendering e il fascino che creava faceva perdonare anche un gesto, ahimè un po' goffo!
Carissimi, il mio viaggio nei ricordi finisce con un'ultima condivisione: la parola rendering mi ha sempre colpita perché si può tradurre in svariati modi: interpretazione, rendere grazie, rendere onore a qualcuno. La desinenza “ing” è tradotta in italiano con il verbo al gerundio, ovverosia, una cosa che non è al passato, non è al futuro, ma in divenire, una cosa che continua! Noi qui, oggi, continuiamo questa “restituzione”, che può essere interpretata da Berio a Schubert, come ... dall'Orchestra al pubblico. Ed io, per questo, mi sento grata.
Proposte discografiche
In occasione del tributo a Luciano Berio, Silvia Venturi di Dischi Fenice, nostra affezionata amica e collaboratrice che ha curato con grande passione questa rubrica, propone in apertura proprio un suo ascolto. Questo Rendering fa parte dei documenti del Festival di Salisburgo: è una registrazione dal vivo delle Matinée del Festival 1999 con l'Orchestra del Mozarteum di Salisburgo diretta da Hubert Soudant (Oehms, 1 cd €12,00).
L'ascolto prosegue con l'intensa interpretazione della Nona Sinfonia di Franz Schubert a firma di Roger Norrington sul podio dell'Orchestra Sinfonica della Radio di Stoccarda. Dal 1978 il direttore inglese conduce l'orchestra dei London
Classical Players, con i quali ha proposto riletture filologiche di gran parte delle sinfonie classiche, in particolare di Beethoven. (SWR music, 1 cd €10,00).
Questi e altri titoli disponibili presso la sede di DISCHI FENICE
via Santa Reparata 8/B
Firenze
lun-ven 10-14 e 15:30-19:30; sab 10-13:30 e 15:30-19:00.
Info e prenotazioni
tel. 055 3928712
(anche whatsapp)
info@dischifenice.it
In chiusura, sul tavolo degli ascolti, troviamo anche il libro di Andrea Battistoni, Non è musica per vecchi
Con questo libro pubblicato nel 2012, il direttore veronese, allora venticinquenne, parla ai suoi coetanei e in generale a tutti coloro che hanno sempre considerato noiosa la musica composta dai grandi del passato. «Può una musica "classica", normalmente ascoltata da un pubblico di quattro pensionate e quattro studenti nerd del Conservatorio, parlare alle giovani generazioni, ai figli di Internet, in un'epoca così frenetica ed entusiasmante? La risposta è: Sì! Sì, e io lo vorrei gridare ai quattro venti!» (Rizzoli, €15,00).
* prime parti
** concertino
Ispettore d'orchestra e Archivista
Larisa Vieru
VIOLINI PRIMI
Daniele Giorgi *
Virginia Ceri *
Paolo Gaiani **
Damiano Babbini
Samuele Bianchi
Stefano Bianchi
Gabriella Colombo
Clarice Curradi
Chiara Foletto
Ruben Giuliani
VIOLINI SECONDI
Fiammetta Casalini *
Francesco Di Cuonzo **
Francesca Bing
Virginia Capozzi
Marcello D'Angelo
Alessandro Giani
Marco Pistelli
Eleonora Zamboni
VIOLE
Stefano Zanobini *
Alessandro Acqui *
Pierpaolo Ricci **
Aurora Arcudi
Stella Degli Esposti
Sabrina Giuliani
VIOLONCELLI
Augusto Gasbarri *
Andrea Landi **
Simone Centauro
Leonardo Giovannini
Giovanni Simeone
CONTRABBASSI
Franco Pianigiani *
Giovanni Ludovisi **
Angelica Gasperetti
FLAUTI
Davide Chiesa *
Silvia Marini
OBOI
Alessio Galiazzo *
Flavio Giuliani *
CLARINETTI
Emilio Checchini *
Niccolò Venturi*
FAGOTTI
Umberto Codecà *
Marco Taraddei *
CORNI
Andrea Albori *
Gabriele Galluzzo
TROMBE
Stefano Benedetti *
Luca Betti *
TROMBONI
Benjamin Vuadens *
Alessandro Scerbo
Sergio Bertellotti
CELESTA
Loris Di Leo *
TIMPANI
Matteo Modolo *
#PROMEMORIA
Ricordiamo a tutti che la presentazione della nuova
Stagione 2023/24 - aperta al pubblico - si svolgerà al Teatro Verdi di Firenze, mercoledì 21 giugno ore 12:00.
Fondazione Orchestra Regionale Toscana
via Verdi, 5 - 50122 Firenze tel. (+39) 055 2340710 fax. (+39) 055 2008035 info@orchestradellatoscana.it orchestradellatoscana.it
Consiglio di Amministrazione
Maurizio Frittelli presidente
Nazzareno Carusi vice
Elisabetta Bardelli
Antonella Centra
Maria Luisa Chiofalo
Revisore unico
Vittorio Quarta
Direzione artistica
Daniele Spini
Paolo Frassinelli
Tiziana Goretti
Direttore principale
Diego Ceretta
Direttore onorario
James Conlon
Direzione generale, sviluppo, risorse umane, amministrazione e servizi tecnici
Marco Parri
Novella Sousa
Andrea Gianfaldoni
Arianna Morganti
Simone Grifagni
Cristina Ottanelli
Angelo Del Rosso
ICO stituzioni oncertistiche rchestrali
Direttore emerito
Daniele Rustioni Ospitalità e sala Teatro Verdi
Fulvio Palmieri
Paolo Malvini
Francesco Bazzani
Tommaso Cellini
Comunicazione
Riccardo Basile
Ambra Greco
Sara Bertolozzi
Biglietteria
Via Ghibellina, 97 - Firenze tel. (+39) 055 212320
NUOVO ORARIO
martedì, giovedì, venerdì il pomeriggio ore 15:00-19:00; mercoledì la mattina ore 9:00-13:00;
nei giorni feriali di spettacolo il pomeriggio e 1 ora prima dell'inizio dell'evento
Teatro Verdi
Via Ghibellina, 99 - Firenze teatroverdifirenze.it
Mattia Conti
Gaia Cugini
Ginevra De Donato
Elena Fabbrucci
Leone Fossati
Vittoria Frassinelli
Filippo Gori
Enrico Guerrini
Caterina Lupi
Chiara Marrucelli
Giulia Mazzone
Irene Modica Amore
Elisa Paterna
Gaia Pucci
Palcoscenico Teatro Verdi
Walter Sica
Carmelo Meli
Sandro Russo
Alessandro Goretti
Simone Bini
Crediti
Progetto grafico e impaginazione
Ambra Greco
Contributi
Gregorio Moppi (2, 9-10)
Rosaria Parretti (4-5)
Luciano Berio (8)
Chiara Foletto (11)
Daniele Spini (13)
Foto
Foto Gorzegno (cop, 8)
Marco Borrelli (12)
Ville e Giardini incantati
16 concerti in 8 Ville medicee
La Petraia, Poggio a Caiano, Cerreto Guidi, La Ferdinanda di Artimino, La Magia di Quarrata, Palazzo Mediceo di Seravezza, Parco mediceo di Pratolino, Giardino della Villa medicea di Castello
Visite guidate e Buffet in alcune Ville selezionate
PER INFO E PROGRAMMA orchestradellatoscana.it
MUSICA e CONCERTI
nelle VILLE MEDICEE
TOSCANE
10 ANNI PATRIMONIO
UNESCO
Giugno — Luglio 2023
7a edizione
inizio concerti ore 18:00 / 19:00 / 21:30
BIGLIETTO CONCERTO € 12,00
Per i soci Unicoop Firenze € 10,00
più commissioni a seconda del canale di acquisto Seravezza e Quarrata ingresso gratuito su prenotazione