Eutropia 00 Numero Pilota

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redazione.eutropia@hotmail.it

Approfondimento di Arti Sceniche e Figurative a cura dei ragazzi del DAMS di Imperia - n° Pilota Gennaio 2012 PRINTED ON DEMAND

Capo redattore A. VERO Corretore bozze R. POGGIO Collaboratori D. ROSSI, G. ALBERTI Articoli di D. FAZIO, S. PELLEGRINI, D. IZETTA Impaginazione e grafica I. MUZZIOLI

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Approfondimento di Arti Sceniche e Figurative a cura dei ragazzi del D.A.M.S. di Imperia - N°3 Febbraio 2014 - DISTRIBUZIONE GRATUITA - redazione.eutropia@hotmail.it

Delle città invisibili che hanno dato il nome alle aule che formano lo Spazio Italo Calvino, sede

DAMSCalvino presso ilaPolo Universitario Imperiese, Eutropia accoglie i mancherà traslochi deiqualche propri abitanti LodelSpazio giorni si affollerà un po’. Sicuramente faccia, di mantenendo inalterati proprio aspetto le proprie qualche nome ci siamo ildimenticati per eforza, ma funzioni. il cartellone che troverete nel foyer servirà appunto a riparare i nostri buchi di di una memoria. Eutropia è il centro nevralgico facoltà in continuo fermento, un’oasi utopica dove la Replicare Walk come of Fame Los Angeles per dare a tutte raccolti le persone che sono passate cultura silacoltiva il piùdiprezioso dei giardini, i cui valore frutti vengono attraverso eventi di qui, perché è nato, ha vissuto e continua a vivere grazie a loro. Ospiti, professori, condivisi conillaDAMS collettività. allievi, collaboratori. Perché è grazie a queste facce che nonostante soldi che mancano, Uno di questi frutti è costituito dalle pagine che state leggendo in questo momento; l’avventura critiche e polemiche, il cuore del DAMS non ha mai smesso di battere. È grazie a queste facce di Eutropia intende agire da per gli per elementi culturali che stimonalo e al editoriale loro amore per questo posto, percontenitore questa realtà, questo progetto che le ogni minacce di giorno sono le menti di decine di studenti. chiusura state sempre e soltanto minacce, mai concretizzate fino in fondo. Grazie alla fatica, tempo, all’attenzione dedicata dai professori studenti, dagli le studenti ai progetti, Loalscopo è quello di consolidare e divulgare le impressioniagli accumulate durante ore di lezione, daglirivolgendosi ospiti al luogo che li ha ospitati, il DAMS non ha mai davvero smesso di esistere. a un pubblico il più vasto possibile. E in questi anni ha creato legami, amicizie, amori, collaborazioni, libri, spettacoli teatrali, Largo quindi alle nuove leve, una generazione di artisti in erba i cui gusti e interessi si esprimono gruppi musicali, progetti multidisciplinari… anche senza soldi, anche quando le scadenze volenterosamente attraverso anche l’esplorazione tra tutti la carta stampata. sembravano troppo imminenti, quandodeilalinguaggi, voglia diprimo mollare sembrava più forte di quella di abitanti Eutropia traslocano da una a un’altra di andareGliavanti. Condi fatica, sempre tanta,spesso, comesenza tuttecambiare le coseabitudini, per le quali valecittà la pena sudare. cui essa è composta.

È faticoso far pertanto parte dela DAMS, parte spostamenti, davvero. Farne battere notare, il cuore. Vi invitiamo seguire i farne loro mensili facendogli se necessario, quei Ci sono tanti cavilli tra i quali districarsi, tempistiche da imparare, equilibri da conoscere. refusi tipici dei grandi traslochi. Bisogna imparare a scrivere le lettere a chi di dovere e nel linguaggio corretto, conoscere chi il tempo acquisteranno esperienza, mantenendo inalterati entusiasmo e impegno. Eutropia può Con mettere le mani su quali attrezzature, mettere d’accordo tante teste e stare dietro a rimane di sempre stessa, ognuna seppur migliorando città inparte città.di lavoro. Bisogna imparare l’umiltà. Di ciascuna esse laperché faccia la di propria chiedere aiuto David Rossiquando non si sa come muoversi, di fare un passo indietro quando la tua idea viene bocciata, di mettersi in discussione sempre, di ascoltare i consigli di chi è più “vecchio”, anagraficamente e accademicamente. Ma sono lezioni che servono anche dopo. Nella “vita vera”. Bagaglio utile a chi sa farne un uso ponderato, a chi sa sfruttare le occasioni che gli si parano davanti. Quelle occasioni che da sempre sono un’enorme WOW In viaggio al Ducale risorsa del “nostro” DAMS. Perché le persone che di qui sonoIntervista passate spesso nonVero si sono limitate a passeggiare. Hanno a Mauro L’impero perduto pag. 2 per uscire da qui, trasformando il DAMS pag. creato ponti in un 3trampolino, anche temporaneo, per chi avesse avuto la voglia e il coraggio di abbandonare anche solo per un po’ la tranquillità della collinetta sopra la rotonda dell’ASL. Partecipare ad un festival, fare da assistente ad un professore, collaborare ad un corto, realizzare uno spettacolo, allestire un set fotografico, salire sul palcoscenico, scrivere su un giornale… tutto ha riempito il bagaglio di esperienze di chi ha colto Nessuno Un quelle pezzo occasioni. di Zelig sbarca This must be the place ne è mai uscito a mani vuote. a Imperia

VISIONI

SUONI

CIAK

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SKENÉ

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“Finché sei vivo, vivi”, scriveva qualcuno. Se proprio questa volta la minaccia di chiusura del DAMS diventasse concreta e quello iniziato a settembre fosse davvero l’ultimo triennio, fate in modo che sia il più vivo della “nostra” storia! Usate il teatro Eutropia e l’anfiteatro Sofronia,


2 di 4 Il viaggio di Monet è racchiuso all’interno del plastico della sua

VISIONI

tenuta di Giverny, ricca di ninfee e ponti orientali. I significati del tema della mostra sono molteplici. Partendo da

IN VIAGGIO AL DUCALE Alla scoperta di capolavori da tutto il mondo. A un prezzo accessibile (12 euro, ridotti a 9 euro se siete studenti universitari), si possono ammirare capolavori provenienti da New York, Boston, Mosca e Amsterdam. Uno su tutti “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, il quadro più grande che Gauguin abbia mai dipinto. È custodito gelosamente a Boston e si trova in Europa per la seconda volta (la prima fu a Parigi circa

una prospettiva filosofica con “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, approdiamo a un punto di vista nettamente geografico con Church e Homer, percorrendo i sentieri tracciati dai viaggi silenziosi di Hopper e dalle monocromie astratte di Rothko. La mostra è accessibile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 e il sabato e la domenica fino alle 20. Per informazioni è disponibile il call center al numero +39 0422 429 999 o il sito internet www.lineadombra.it.

dieci anni fa). Rappresenta un viaggio attraverso le fasi della vita,

Sara Pellegrini

laddove la nascita, la maturità e la morte sono accompagnate da domande di natura religioso-spirituale. Di fronte a questo quadro non si può fare a meno di notare un’imperfezione di allestimento: i riflessi di luce costringono il visitatore a spostarsi per ammirare il dipinto con chiarezza. La mostra vanta la presenza di ottanta opere. Troviamo i girasoli, i campi dorati e il celeberrimo autoritratto di Van Gogh. Si può godere della presenza di alcuni capolavori di Kandinskij, dove colore e forme si fondono con la musica in una visione disordinata.

L’IMPERO PERDUTO IN MOSTRA AD ALBENGA Fotografie colorate a mano, souvenirs di un Giappone che non c’è più. Proseguirà fino al 31 gennaio la mostra “Giappone. L’impero perduto” alla Galleria d’Arte Moderna di Albenga. Venticinque fotografie all’albumina colorare a mano da artisti anonimi della “Scuola di Yokohama”, facente capo a Felice Beato. Le fotografie sono state scattate tra la seconda metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento mentre il Giappone, con la fine dello shogunato e la Restaurazione Meiji (1868), compiva una transizione dal feusalesimo allo stato moderno. L’uscita dall’isolazionismo - i commerci con gli

stranieri erano vietati, eccezion fatta per

fruitori si aspettavano. Con l’affermarsi di

Cina e Olanda - comportò un’apertura

un mercato interno rivolto alla borghesia,

anche tecnologica all’Occidente.

prese campo la rappresentazione

Felice Beato, approdato a Yokohama nel

nostalgica di un Giappone destinato a

1862, introdusse quell’arte della fotografia

scomparire sotto la modernizzazione

che andò a sostituire gli ukiyo-e

voluta dall’Imperatore Meiji. I soggetti

(“immagini del mondo fluttuante”),

testimoniano questa cultura al tramonto,

stampe che ritraevano la vita della città, il

figure spesso femminili in posa per

mondo femminile e i paesaggi. La

documentare tradizioni che si dissolvono

fotografia e la stampa all’albumina si

o paesaggi dal significato storico e

fisero con i temi e le colorazioni degli

simbolico.

ukiyo-e, creando lo stile della Scuola di Yokohama. I colori naturali degli ukiyo-e

Si segnalano le mostre “L’arte della

cedettero alle tinture chimiche all’anilina.

fotografia in Giappone, a Palermo fino al

Gli ukiyo-e, passati di moda in Giappone,

10 marzo e “La fotografia del Giappone, a

si diffusero in Europa e ispirarono artisti

Venezia fino all’1 aprile. Un’occasione per

quali Van Gogh, Degas, Klimt e altri.

immergersi nella delicata ritualità di un

Questa tendenza è chiamata

Impero ormai perduto.

“giapponismo”. Le fotografie colorate, in origine souvenirs per i viaggiatori occidentali, erano permeate di quell’esotismo che i

Roberta Poggio


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WOW La forza nascosta della sorpresa.

SUONI

Sorprendere e maturare: due obiettivi fondamentali per qualsiasi

Altro elemento fondamentale è l’influenza psichedelica dei Pink

grande band, e i Verdena li hanno centrati entrambi. Con l’uscita

Floyd, senza dubbio evidente nel brano strumentale “La Volta”,

di “Wow”, il gruppo si discosta tanto da quella sonorità sporca alla

sempre presente di sottofondo per l’intera durata del disco.

Nirvana tipica del “Suicidio del Samurai”, quanto dalle potenti

Da evidenziare il singolo “Razzi Arpia Inferno” e “Fiamme”, che

scelte di “Requiem”, senza per questo mai scadere nella banalità,

meglio esprime le atmosfere dell’album; il brano “Attonito”, che ci

ma anzi mantenendo un livello qualitativo elevato.

riporta ai Verdena degli esordi e “Le Scarpe Volanti”, che fa

“Wow” è un album complicato. Un’uscita sul filo del rasoio per

riferimento al fenomeno in espansione dello Shoefiti, ovvero la

via delle tensioni fra la band e l’etichetta Universal, un prodotto

pratica di legare tra loro i lacci di due scarpe e di lanciarle in aria

interamente registrato nella leggendaria HenHouse (pollaio che gli

per farle restare appese ai cavi della media e alta tensione, allo

stessi Verdena hanno adibito a studio), “Wow” interpreta una

scopo di segnalare zone adibite al consumo e allo spaccio di

profonda e coraggiosa maturazione musicale.

stupefacenti.

27 tracce selezionate tra le oltre 50 che i Verdena hanno

In conclusione, se vi aspettate un album tracciato sulle orme dei

composto in quattro anni di ritiro dalle scene. Doppio CD per

lavori precedenti, resterete delusi. Se invece non vedete l’ora di

spezzare l’ora e ventitré di ascolto. Il tutto condito, a detta dello

ascoltare della buona musica, troverete pane per i vostri denti.

stesso Luca Ferrari (batteria e percussioni), da un’atmosfera

“Wow” è un disco a sé stante, nuovo, complesso, maturo e

solare, serena e sognante. I brani cupi dei dischi precedenti

sicuramente valido, un passo avanti per la band bergamasca e,

lasciano spazio a composizioni più ariose, ispirate agli Interpol, ai

senza esagerare, per l’indie rock italiano in genere.

Beach Boys e a Paul McCartney. Davide Izetta

INTERVISTA A MAURO VERO La musica che illumina la strada di casa. Mauro Vero è un cantautore e chitarrista imperiese, classe 1961, diplomato nel 1990 al conservatorio di Cuneo. Collabora con tribute band quali Born To Drink (Fabrizio De André) e Doc-G (Police e Sting). Ha partecipato al disco di Eugenio Ripepi “La Buccia del Buio”. Lo abbiamo raggiunto in occasione della presentazione del suo ultimo disco solista “La Strada di Casa”, avvenuta il 13 gennaio 2012 allo Spazio Vuoto di Imperia Oneglia. Ci parli della genesi di questo disco. «Ho scelto di registrare questo disco perché nel 2011 ho compiuto cinquant’anni, una data importante. Ho pensato di fare un regalo sia a me che al pubblico.» Il suo lavoro ha una struttura particolare…

«Le registrazioni sono divise in due parti. La prima è totalmente acustica, mentre nella seconda mi avvalgo di Marco Fadda e Luciano Susto come supporto (rispettivamente percussioni e basso). Un solo brano, che ho inserito come bonus track, ha un testo cantano. Rimangono elementi caratteristici come la musica latina (“Walking On a Bossa”) e l’amore per il mare (“Ninna del Mare” e “When the sea is the sky”).» Un ritorno alle origini quindi… «Volevo che la ricerca della melodia fosse la priorità. Che ogni strumento, senza virtuosismi, regalasse la sua particolare emozione. Ne ho impiegati anche di inusuali come il bouzouki (strumento a corde greco, N.d.R.), che regala sonorità a tratti medioevali (“Soffio d’Africa”). La stessa semplicità ritorna in ogni aspetto. Il fonico si è accorto che “La Strada di Casa” è il brano più rappresentativo dell’intero album. Ascoltandolo si nota il ritmo rotolante, è come se si stesse rincasando. Da qui appunto il titolo del disco.»

La musica oggi: che rapporto ha con la tecnologia e cosa consiglia ai giovani che fanno i musicisti? «Ritengo che la tecnologia sia un mezzo rapido e comodo per diffondere la propria musica. Ad esempio, la collaborazione con Franco Fasano in quest’album si è svolta interamente per email. Appunto per questo i musicisti di oggi hanno molte possibilità, ma mancano degli spazi necessari. Tuttavia, consiglio di insistere a fare questo lavoro, come ho fatto io, perché oggi posso definirmi una persona felice.» Davide Izetta Sara Pellegrini


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SKENÉ

UN PEZZO DI ZELIG SBARCA A IMPERIA

È possibile far ridere con un argomento serio e impegnativo come la Resistenza? Marco Rinaldi, genovese di 46 anni, con il suo spettacolo “Cenere” è sicuramente riuscito nell’intento. Ha alle spalle vent’anni di carriera come cabarettista, ora sta portando in giro per l’Italia quattro storie sulla Resistenza ligure e non solo. A Imperia è andato in scena venerdì 13 all’Arci Camalli in Canada Cuneo, davanti a un pubblico molto numeroso. Lei che col suo socio forma il gruppo Soggetti Smarriti, come mai si è avvicinato a un tema così lontano dal genere che abitualmente pratica? «Mio nonno è stato partigiano e ho sentito il desiderio di raccontare la sua Resistenza. Ho cominciato a documentarmi, ma è un tema, questo, che di solito è trattato con enfasi e retorica. Non fa più presa tra i giovani. Mi piaceva quindi l’idea di scrivere un libro, da cui poi è stato tratto questo spettacolo.» Come le è venuta l’idea? «Un po’ per caso, come sempre quando vengono le idee. Tutto passa attraverso il ricordo di mio nonno e il pretesto è un baule, a me inaccessibile durante l’infanzia, in cui teneva i suoi ricordi. Dopo la morte del nonno ho potuto aprirlo e dentro ho trovato il cappello che usava quando faceva la staffetta.» Cosa rappresenta? «È la staffetta che fa da collante ai quattro episodi che narro.» La Resistenza è ancora attuale?

«Secondo me sì. Ma spesso nelle scuole è percepita come un periodo noioso, perché presentata sempre in modo retorico. A me premeva raccontare di ragazzi normali che l’8 settembre hanno fatto una scelta. Non eroi ma ragazzi. Se si ride passa meglio il messaggio.» Durante lo spettacolo Rinaldi riesce, grazie anche alla sua esperienza nel cabaret, ad alternare momenti di frizzante ironia ad altri più drammatici, tenendo desta la memoria. Lei non è il solo autore, chi sono gli altri due? «Uno è Lazzaro Calcagno, attore e regista teatrale che ha lavorato con i grandi nomi del teatro italiano. Attualmente è direttore del Sipario Strappato di Arenzano, dove abbiamo debuttato.» E l’altro? «L’altro è Matteo Monforte, autore televisivo e teatrale che collabora con Zelig e Colorado Cafè. Mi accompagna in giro Giovannino Romagnoli, che cura la parte tecnica.» Quando avete debuttato? «A ottobre, sia a Genova che a Savona. Adesso puntiamo sulle scuole, i circoli, seguiamo un po’ i circuiti alternativi.» Si potrebbe inserire “Cenere” nel filone del teatro di narrazione di cui Paolini, Baliani e Celestini sono i capofila? «Sì, infatti il modo di costruire lo spettacolo è analogo. Si parte col documentarsi leggendo libri, articoli, ma anche ascoltando le testimonianze orali, e poi si adatta al palcoscenico.» La reazione del pubblico come è stata? «Sorprendente. A volte dopo lo spettacolo qualcuno sale sul palco e mi abbraccia.» Genevieve Alberti

“THIS MUST BE THE PLACE” Sorrentino e Penn danno vita a un road-movie straordinario e complesso. È iniziato il nuovo anno, film di tutti i generi e per tutti i gusti vengono proiettati nelle nostre sale. Molti altri sono in uscita. Viene da porsi una domanda: cosa ci ha lasciato il 2011? Quali sono stati i film degni di maggior nota, i più entusiasmanti? Tra questi si colloca sicuramente “This Must Be The Place” di Paolo Sorrentino. Il film prende il titolo da una canzone dei Talking Heads, gruppo musicale di avanguardia pop attivo fino al 1991. Accompagnato dalle musiche di David Byrne (ex leader dei Talking Heads), il film racconta la storia di Cheyenne (Sean Penn), rockstar in pensione che vive la propria vita in un perenne stato di apatia. Ritiratosi in una sorta di esilio volontario, abita con la moglie in una grande casa a Dublino, dove si trucca e agghinda ancora come un rocker. Oltre alla moglie, le uniche persone con le quali Cheyenne mantiene dei rapporti sono i vicini di casa, individui malinconici e pieni di

problemi il cui stato d’animo rispecchia perfettamente il micro-cosmo in cui lui si è rifugiato. Un giorno riceve una telefonata: suo padre, con cui non ha rapporti da anni, sta morendo. Si reca allora a New York per dargli l’ultimo saluto, ma arriva troppo tardi. Accompagnato dal suo inseparabile trolley, Cheyenne inizia un viaggio che lo porterà in giro per gli States. Muoverà alla ricerca del criminale nazista Aloise Lange, rifugiatosi lì alla fine del conflitto e divenuto, per via di un’umiliazione risalente al tempo della guerra, una vera ossessione per suo padre. Deciso a vendicare il torto subito dal padre, durante il viaggio Cheyenne incontrerà personaggi bizzarri e particolari, tra i quali l’inventore dei trolley e una cameriera attraente dal passato oscuro. Ma soprattutto ritroverà se stesso, così da potersi finalmente liberare, alla fine del viaggio, dal peso della maschera che per troppo tempo ha portato.

CIAK

Davide Fazio


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