Artwhere Novembre 2008

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20 novembre 2008 - Anno 1 n° 12

ARTWHERE

L’ARTEFATTO

Coordinatore Eugenio Ripepi Vice coordinatore Emanuele Morandi Teatro Luca D’Addino Cinema Roberto Basso Chiara Tamagno Musica Christian Gullone Arti Visive Elisa Furini Danza Elena Togliatto Moda & Costume Aurora Cataldo Libri Emanuele Morandi News Fabio Zenoardo Inviata Geneviève Alberti Veste grafica Eugenio Ripepi Fotografi Silvia Chiesa Roberta May Locchi Correttore bozze Benedetta Bianchi Hanno collaborato a questo numero: Marco Frassinelli Oriana Gullone Francesca Cugusi

Un anno di ArtWhere Di Eugenio Ripepi

Dodici numeri. Eravamo scevri da qualsivoglia considerazione statistica quando un anno fa di questi tempi un papà lungimirante decise di farci giocare con la dinamite, con il rischio che potessimo farla esplodere. E lui ci ha guardato per tutto questo tempo, stando lontano dalla nostra cameretta, senza controllarci, ma senza comunque perderci d’occhio nel caso avessimo avuto bisogno di aiuto. Senza Roberto Basso non saremmo potuti crescere. Non saremmo potuti nascere. I collaboratori di ArtWhere si alternano, ma sono sempre pronti. Studiano, danno esami, vanno a lezione, intervistano star internazionali.

Cose da tutti i giorni. Perché non farsi stuzzicare S o n o o r g o g l i o s o d i d a l B u rl e s q u e ? A n d at e a ArtWhere. Sono orgoglioso di sbirciare la rubrica di Danza. questi collaboratori. Un grande contemporaneo per la sezione Musica: Vinicio In questo numero gli amici Capossela. E il più grande del Cineforum ci riservano in maestro: Fabrizio De André, e s c l u s i v a u n ’ i m p o r t a n t e dieci anni che ci manca. intervista a Holly Gaiman, e si Dal cinema alla passerella il parla di alto Cinema. Di alto passo è breve. Così viceversa? Teatro invece con Massimo scopriamolo nella sezione M a n i n i , p r o t a g o n i s t a d i Moda. Un piacere ospitare in convegni, seminari, spettacoli; zona Libri l’autrice Nicoletta M a n i n i d r a m m a t u r g o , Bracco Falciola che si racconta scenografo, attore. Ma sempre con la consueta ironia. di impegno civile. Due artisti diversi, ma A conclusione, il fondamentali: Bill Viola e Lucio ringraziamento che ci sta più a Fontana nella parte dedicata alle cuore: lettori di ArtWhere, Arti Visive. vogliamo continuare a meritarvi.

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ARTWHEREL’ARTEFATTO CINEMA

Holly Gaiman

Accorsa a sostituire il papà, racconta di lui, del suo lavoro, di fotografia di Marco Frassinelli

Ospite di Autunno Nero in questa edizione è stata Holly Gaiman, figlia di Neil, il celebre scrittore di libri e fumetti, come pure sceneggiatore cinematografico. Neil Gaiman purtroppo per motivi di salute non ha potuto partecipare alla manifestazione, ma Holly, nonostante la giovane età, è stata perfettamente in grado di sostituire il padre durante i vari incontri. L’abbiamo incontrata a Sanremo, al termine di una tavola rotonda sul tema La zona del crepuscolo. e ne abbiamo approfittato per intervistarla, anche perché, oltre ad essere fotografa ed assistente del padre, ha lavorato a numerose produzioni cinematografiche. Sei stata as sisten te alla produzione nel film Stardust: in cosa è consistito il tuo lavoro? La definizione di assistente di produzione significa molte cose: nel mio caso ho fatto tutto ciò di cui c’era necessità, sia sul set sia nell’ufficio di produzione. Come definizione è abbastanza vaga, alla fine io tutto il giorno non facevo altro che correre di qua e di là, anche perché come assistente di produzione generale, e non ad esempio assistente di produzione degli effetti visivi o dei costumi, dovevo praticamente occuparmi di tutto. Questo “tutto” significava dal portare il pranzo a chi aveva fame sul set a girare con la telecamera (in quanto “figlia di mio padre” mi è stato dato l’incarico di riprendere gli estratti che poi avrebbero composto il video per il dvd). Però ho lavorato anche in altri contesti sempre come assistente di produzione in altri reparti. Per esempio, nel prossimo film di James Bond (Quantum of Solace, NdR), ho fatto l’assistente ai soli effetti visivi; in un’altra situazione ho fatto l’assistente del regista e mi occupavo di compilare lo scadenzario di tutte le riprese. “Assistente di produzione” vuol dire fare molte cose! Oltre a Stardust e a 007 Quantum of Solace, a quali altri film hai lavorato? Non ho lavorato continuativamente sui film, perché ho il mio lavoro di fotografa e ho anche l’università, quindi

si tratta più di una settimana qui, una settimana là. Ho lavorato alla pre-produzione di un film che si chiama Nine, un musical dello stesso regista di Chica go ( R o b Marshall, NdR); ho lavorato “C'era una volta un giovane che u n a desiderava ardentemente soddisfare le settimana proprie brame. E fin qui, per quanto riguarda sul set di un l'inizio del racconto, non v'è nulla di nuovo.” fi l m chiamato Incipit di “Stardust”, Neil Gaiman The Boat That Rocked di Richard Cosa pensi della trasposizione Curtis, lo stesso regista di Notting Hill. Però tra l’università e tutto il resto delle opere di tuo padre? non so se sono tagliata per questo Mi piacciono, e soprattutto mi lavoro, è molto impegnativo e non so se piace l’idea che vengano adattate. Sono alla lunga continuerò in questo ruolo. affascinata da cosa altri fanno di questi Quanto è stato coinvolto tuo s u o i l a v o r i . M i p i a c e a n c h e padre nella produzione di film l’atteggiamento che ha mio padre. Le t r a t t i d a s u o i r o m a n z i o storie per tradizione vengono trasmesse oralmente e lui è contento che vengano sceneggiature? Il coinvolgimento di mio padre trasmesse, a prescindere dal mezzo con varia a seconda del film e del soggetto. cui ciò accade. Alcune trasposizioni sono più felici Quando vogliono trarre un film da una di altre, ma mi piace in ogni caso che sua opera cerca sempre delle persone di siano opere adattate per poi essere cui ha fiducia perché in questo modo sa trasmesse tramite un altro mezzo. che si manterranno più fedeli possibili Tu hai scelto la strada da alla sua idea. fotografa e la fotografia è in un Però sa altrettanto bene che per certo senso la fissazione del reale, avere a che fare con un mezzo come lo schermo la sua opera deve ovviamente non è l’opposto di quello che fa essere adattata. Nel caso di Coraline è tuo padre con la scrittura, venuto un paio di giorni a vedere cosa c e r c a n d o d i r a p p r e s e n t a r e stesse succedendo, non si è presentato l’irreale? regolarmente. Non sono d’accordo con questa Mentre per Stardust, siccome era definizione. Sì, è vero, la fotografia è il anche produttore, ha avuto un ruolo più ritratto della realtà, però io poi con le attivo, in virtù del fatto che Matthew mie mani queste immagini le posso Vaughn e Jane Goldman erano alla loro modificare, trasformarle in bianco e prima sceneggiatura e quindi hanno nero, modificarle con Photoshop. La chiesto spesso dei consigli per la stesura. fo t o g r a fi a p u ò a n ch e e s s e re l a Durante le riprese lui era presente rappresentazione della mia sensibilità circa una settimana al mese dal più fantastica. Per esempio, le persone momento che, in veste di produttore che vogliono un book fotografico del esecutivo, il suo compito era anche loro matrimonio voglio che quel giorno supervisionare i lavori e controllare che sia il più bello in assoluto, e così tutto andasse bene. vogliono ricordarlo, indipendentemente Siccome papà ha un grosso potere dal fatto che sia stato così oppure no. comunicativo e di richiamo, la Questo la fotografia te lo consente, produzione voleva accertarsi che il si ha quindi una rappresentazione della lavoro in corso a lui piacesse perché, realtà che però puoi modificare a tuo benché diverso, era comunque un suo piacimento. prodotto, un suo libro.

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ARTWHEREL’ARTEFATTO CINEMA

Tropic Thunder

Guerriglia demenziale tra schermo e realtà

“Conosco un posto dove il valore di un uomo si misura dalle orecchie appese alla sua piastrina militare.”

di Francesco Basso

Si spengono le luci in sala e sullo schermo partono i consueti trailers dei film prossimi ad uscire, fra questi uno spot di una bibita piuttosto demenziale. Lo spettatore rimane perplesso finché un altro trailer, con il volto noto di Ben Stiller alle prese con una catastrofe globale, non rivela quello che sta accadendo: Tropic Thunder è iniziato. A questo punto la perplessità precedente si trasforma in un sorriso e iniziamo davvero a goderci lo spettacolo. Il trailer di Ben Stiller, o dovremmo dire Tugg Speedman, è seguito da quelli di Kirk Lazarus (Robert Downey Jr) e di Jeff Portnoy (Jack Black). Efficace l’idea di predentare i personaggi - attori mostrando i film che interpretano. Speedman, celebrità dell’action movie, reduce da un flop in cui ha interpretato un contadino ritardato nella speranza di vincere un Oscar; Kirk Lazarus, divo australiano vincitore di 5 Oscar e virtuoso del Metodo; Jeff Portnoy, re della commedia demenziale e scurrile (il trailer ricorda un po’ la famiglia del professore matto di Eddie Murphy). A questi tre attori si aggiungono Alpha Cino (Brandon T, Jackson), rapper squinternato protagonista dello spot iniziale, e Kevin Sandusky (Jay Baruchel), il più umile e pratico dei cinque. Troviamo il quintetto sul set di un kolossal americano che narra “un episodio realmente accaduto” a dei soldati durante la guerra in Vietnam. Le riprese vanno molto male a causa delle viziate e capricciose star e il giovane regista Damian Cockburn (Steve Coogan), su suggerimento del reduce John “Quadrifoglio” Tayback (Nick Nolte), decide di

John "Quadrifoglio" Tayback

spostare le riprese in mezzo alla foresta, lasciando gli attori soli, immortalati da telecamere nascoste tra gli alberi. A loro insaputa, però, i protagonisti si ritroveranno a combattere una vera guerriglia con i trafficanti di droga locali che li hanno scambiati per veri soldati americani. Nella foresta sconosciuta e insidiosa inizieranno a sorgere i primi dubbi: è davvero finzione ciò che stanno affrontando? Ed emergeranno paure e debolezze di super divi troppo spesso costretti a nascondersi dietro a delle maschere. Il tutto condito da comicità, battute demenzial-intelligenti tipiche del marchio Stiller, e un tocco di amara riflessione sul mondo di attori e starlettes. Ben Stiller è riuscito ad attualizzare una guerra oggi osservata un po’ troppo da lontano, usandola come sfondo per raccontare l’ansia, il senso d'inadeguatezza e la determinazione ad arrivare tipici della nostra società Un film diretto e interpretato molto bene, che vanta una colonna sonora che si sposa perfettamente col ritmo e l’azione della storia. Letteralmente da smascherare un irriconoscibile Tom Cruise nei panni di...vedere per credere.

Vicky Cristina Barcelona

Amore e apparenza di Pamela Pepiciello e Francesco Basso

Scarlett Johansson, classe 1984 Ormai cosacrata musa del regista, è al terzo film con Woody Allen, dopo Match Point nel 2005 e Scoop nel 2006.

Passione, infedeltà, attrazione: sono questi gli ingredienti del nuovo film di Woody Allen. Film che ha saputo far riflettere gli spettatori lasciando un gusto amaro e un insolito senso di malessere per la faticosa ricerca di un amore mai completo. Protagonista indiscussa del film è Barcellona. La città infatti fa vivere le vicende dei personaggi in un’atmosfera “caliente” che regala sensualità agli animi. Vicky (Rebecca Hall) e Cristina (Scarlett Johansson), turiste di New York, vengono notate dall’affascinante pittore spagnolo Juan Antonio (Javier

Bardem) che, come dichiara esplicitamente nel film, se le vuole portare a letto entrambe. Qui vengon fuori le diverse psicologie delle due donne: Vicky si sta per sposare ed è una ragazza “quadrata”, Cristina è uno spirito libero. Subentra successivamente Elena (Penelope Cruz), ex moglie del pittore, che metterà ancora più pepe nella vicenda. Nel film è come se la stessa America (rappresentata dalle due ragazze di New York, non a caso, dato che lo stesso Allen è newyorchese) si inchinasse ad apprezzare le bellezze dell’Europa (in questo caso Barcellona). I personaggi sono i ritratti viventi di una società che ha molto più bisogno dell’amore, vero e viscerale, che di un'ostinata parvenza di felicità. Pellicola meritevole firmata da un grande regista. Da vedere.

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ARTWHEREL’ARTEFATTO MUSICA

“Certo che è proprio un deserto, e ringrazia che ci sono io che sono una moltitudine” Andrea Pazienza

di Christian Gullone

Un certo Andrea Pazienza avrebbe di certo intitolato così il numero di questo mese di ArtWhere Musica, perché è di questo che vi voglio parlare: di solitudini che diventano moltitudini, di ritorni, scoperte e riscoperte, e Paz le conosceva bene queste sensazioni. Se questo autunno fosse un fumetto, sarebbe di certo una storia di Pompeo (di Pazienza). Non so perché vi offro un parallelismo con il fumetto, forse dettato più dalle immagini che ricorrono durante questi momenti in cui le dita scivolano veloci, o forse più semplicemente perché i consigli di ascolto che vi darò questo mese hanno dentro di sé una dimensione molto figurativa; insomma, vi consiglierò due dischi. Prima di passare ai consigli, però, volevo ricordarvi che il sottoscritto ha intrapreso una nuova avventura, e se tutti i giovedì sera sintonizzate le vostre radio su RadioSanremo (93.60 o giù di lì) potrete ascoltare la mia voce nel programma Opinioni di un Clown. Ma ora basta con le ciance, continuate a leggere qui sotto.

“Da Solo” Vinicio Capossela Se Vinicio fosse un fumetto, sarebbe in questo disco un Tex disegnato male, sfumato nelle sue strade d’America con i vetri appannati della diligenza che trasporta note musicali. In questo disco il cantautore racconta una solitudine serena, che è più una r i fl e s s i o n e s u l l a b e l l e z z a d e l l a compagnia che una solitudine alla Pausini. Queste sono ballate di speranza, lo troviamo raccontarci di giganti e maghi che accompagnano l’ascesa ad un inferno di cui solo Oscar Wilde conosce la chiave. È solare il suo modo di parlarci di una giornata perfetta, ed è alquanto divertente andare per la strada con la canzone a

tutto volume contando quanti si girano al fischio tipico del maschio latino. Un disco di ballate per pianoforte e pochi altri strumenti, tutti matti, come nella canzone Il Paradiso dei Calzini, strumenti dimenticati e stravaganti come il

theremin o il cristallofono (strumento bandito nell’Ottocento perché si diceva che portasse alla follia). Per cui Capossela non è tutto solo, ma contornato di suoni lontani che si avvicinano con delicata frenesia alle sue melodie impastate. Tutto il disco in una canzone, per il mio modesto parere da caposseliano: Orfani Ora è una ballata che resta nel sangue, “il mondo è nudo ora che non lo veste il tuo sguardo”.

In questa raccolta troviamo il De André più intenso, quello della “cattiva strada” e di Se Ti Tagliassero a Pezzetti. Nel cofanetto, che tra l’altro ha un prezzo abbordabilissimo, troviamo un dvd con un documentario in cui Fabrizio racconta Faber e in cui molti volti noti dello spettacolo dicono la loro su De André, da F i o re l l o a Wi m Wenders. Questi due dischi e q u e s t o fi l m s o n o fondamen tali per conoscere la vera identità di uno scrittore di canzoni che ha fatto poesia, e soprattutto musica, e per scoprire quanto è attuale ancora oggi la frase “io e il mio illustre cugino De Andrade eravamo gli ultimi cittadini liberi di questa famosa società civile perché avevamo un cannone nel cortile”. È bello tornare ad emozionarsi vedendo l’immagine di un De André realmente spossato dopo il suo rapimento andare a salutare affettuosamente i suoi rapitori, e perdonarli pubblicamente per il loro gesto.

###### - Splendente

######## - Fondamentale

“L a m i a c a t t i v a strada” Fabrizio De André Non so dirvi il motivo che mi ha spinto ad acquistare questa ennesima r a c c o l t a d i c a n zo n i d i Fabrizio De André che esce a dieci anni dalla sua scomparsa. Forse sono stato spinto a farlo perché per me Faber è sempre stato un maestro, non da emulare, ma da prendere come esempio.

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ARTWHEREL’ARTEFATTO TEATRO

Massimo Manini a lezione al DAMS

“Vi racconto dove vengo per dirvi dove voglio andare” di Oriana Gullone

La mattina di sabato 8 novembre, in conclusione del convegno organizzato in aula Eutropia all'interno dello Spazio Calvino del Polo Universitario imperiese, ho la possibilità di conoscere e intervistare Massimo Manini, un personaggio davvero poliedrico: attore, drammaturgo, scenografo, grafico, costumista. È qui a Imperia per il debutto fuori concorso della sua ultima fatica al Festival Nazionale d'Arte Drammatica del teatro Cavour, “Sacro monte dei nostri pegni”, ultima parte di una trilogia dedicata a “l'uomo e il potere, la fede, la legge”. Originario di Bologna, nasce in una famiglia di contadini, si forma prima al liceo artistico, poi si occupa di grafica pubblicitaria e inizia a cimentarsi come attore. Una volta sciolta la cooperativa dove recita, inizia a sperimentare e mettersi in gioco per vedere cosa può venirne fuori. Ed è quello che fa tuttora, sempre fedele ad una meticolosa ed obiettiva ricerca storica in virtù di un forte senso di onestà verso il pubblico, infatti l'intera trilogia si basa su fatti realmente accaduti: le prime due pièces, pluripremiate gli anni scorsi al Festival imperiese, narrano la prima del rapimento di un bambino ebreo da parte di funzionari della Chiesa cattolica, la seconda della strage alla stazione Centrale di Bologna. L'ultima parte è la storia, realmente accaduta, svoltasi intorno alla fine del Settecento, di un ladro gentiluomo che, per amore della sua donna, organizza e mette in atto un colpo perfetto al Monte dei Pegni. La storia romantica è in realtà un pretesto per riflettere e far riflettere sui temi della legge e della giustizia. Hai raccontato durante il convegno di trovarti spesso nel ruolo di docente, all'interno di seminari o laboratori, un'ennesima sfaccettatura del tuo lavoro. Cosa pensi che possa imparare un insegnante a insegnare? Quando partecipo a laboratori, seminari mi metto sempre nell'ottica che anch'io sto imparando qualcosa di nuovo. E la percezione che hai su cosa e quanto stai imparando ti viene dal feedback, dal ritorno che hai dalla platea che ti sta davanti. La comunicazione per essere tale non può essere univoca, se parlo solo io con la presunzione d’insegnare qualcosa, non succede nulla. Anche saper ascoltare è comunicazione. Nei miei seminari mi piace il dialogo, anche

“Nasco come attore in una cooperativa, sciolta la cooperativa mi sono chiesto ‘E adesso?’. E ho scoperto che con una matita in mano potevo (...) scrivere un testo, disegnare un costume, una scenografia, un disegno luci.” Massimo Manini

quando determina una non approvazione di quello che sto facendo, perché mi permette di mettermi in discussione, ed è un grande momento di crescita. Il confronto è sempre una crescita. Ora una domanda da studente del DAMS. Una persona come te, autore, interprete, regista, scenografo, costumista, che consigli ha per chi ora studia, ma un giorno vorrà lavorare nel mondo dello spettacolo, e del teatro in particolare? Credo che il primo consiglio è prendersi del tempo per capire tu che cosa sei, di che cosa sei fatto. Io non mi sono mai detto voglio fare lo scenografo, o il costumista, o il regista. Sono tutti aspetti di me che sono venuti fuori strada facendo. Io nasco come attore in una cooperativa, sciolta la cooperativa mi sono chiesto “E adesso?”. E ho scoperto che con una matita in mano potevo mettere su carta tutto quello che avevo in testa: scrivere un testo, disegnare un costume, una scenografia, un disegno luci. Quando hai capito tutti i tuoi aspetti, ma nel frattempo devi anche sperimentarli, magari anche con alcuni fallimenti, inizi a fare una mappatura di quello che sei tu. Non avere paura soprattutto, perché la gente, il pubblico apprezzano l'onestà. L'importante è lavorare, crederci ed essere sempre in coscienza con sé stessi. Bene. A questo punto ti ringrazio, e ci vediamo stasera per il debutto del tuo spettacolo e forse una prossima volta all'interno del DAMS. Magari, quello mi farebbe davvero molto piacere. Te lo posso già mettere per iscritto. Alla prossima e grazie a te.

A sinistra Massimo Manini all’opera. A destra Il teatro Cavour.

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ARTWHEREL’ARTEFATTO TEATRO

Quante persone servono per tenere in piedi un teatro? Massimiliano Civica e la stagione 2008/2009 del Teatro della Tosse di Luca D’Addino

Quante volte siamo entrati in un teatro? Quante volte ci siamo seduti davanti ad un palco vuoto, in attesa che qualcuno entrasse e aprisse una porticina segreta dentro al nostro stomaco? E quante volte poi siamo usciti dalla sala commentando con gli amici lo spettacolo appena visto e, contenti di aver assistito ad un evento unico ed irripetibile, ci siamo diretti verso la via di casa? Il rituale del teatro si è compiuto e noi ne abbiamo goduto appieno. Ma nel nostro ruolo di spettatori non abbiamo fatto caso alla bigliettaia, assalita da una folla inferocita perché il computer in tilt aveva bruciato tutte le prenotazioni. Non abbiamo neanche notato che la gentile ragazza che ci accompagnato al posto, non l’ha fatto per simpatia e perché ci abbia visto disorientati e in cerca d’aiuto, ma semplicemente perché è il suo lavoro. E imbattendoci a spettacolo ormai terminato in quella specie di bidello solo dopo abbiamo capito che fosse il custode. Ma allora quante persone c’erano dietro quello spettacolo? Oltre ai mestieri di scena (attore, regista, scenografo...), c’è qualcuno che passa inosservato pur svolgendo una funziona altrettanto importante all’interno del teatro. E noi, capre, non ce n’eravamo mai accorti! Mestieri come la segretaria di biglietteria, la maschera o il custode sono solo ma punta di un iceberg fatto di persone e professionalità fondamentali per tenere dare vita alla realtà di un teatro. Innanzitutto, con la parola teatro s’intende definire, in questo caso, non un luogo o un’arte, ma una vera propria attività commerciale, che per sopravvivere deve quindi fare i conti con un bilancio e un non semplice meccanismo di domanda e offerta. Un teatro può essere ad iniziatica pubblica o privata (NB: in queste righe si parlerà di teatri stabili privati ad iniziativa pubblica), in base ai finanziamenti ricevuti per organizzare la stagione teatrale, principale attività di sostentamento. Un buon punto di partenza per capire quali attività si nascondono dietro la complessa macchina teatrale è rappresentato proprio dal suo cartellone. E proprio questo è stato l’argomento dell’incontro avvenuto al Polo Universitario con Massimiliano Civica, intitolato Come nasce un cartellone teatrale: la stagione 2008/2009 alla Tosse. Massimiliano Civica, ospitato all’interno del corso di Organizzazione ed Economia dello Spettacolo del D.A.M.S. tenuto dalla professoressa Livia Cavaglieri, è condirettore artistico del Teatro della Tosse di Genova. Civica ha svelato le strategia e il lavoro necessario per creare il cartellone dell’attuale stagione della Tosse, evidenziando come si debba considerarlo da più punti di vista: quello artistico, individuando un filo conduttore che unisca tutti gli spettacoli con un occhio di riguardo alla qualità; quello commerciale, calcolando quanto inciderà sul bilancio dell’attività; quello popolare, riguardante la comunicazione e le richieste del pubblico. Naturalmente a più punti di vista corrispondono più settori professionali e perciò più persone. Ci sarà un Direttore Artistico a capo di una équipe in grado di

valutare e discutere gli spettacoli da inserire in stagione (in questo caso Massimiliano Civica divide la carica con Tonino Conte), un Amministratore Contabile che si curerà della ricaduta economica delle scelte fatte, un’altra figura ancora che promuoverà il prodotto finale e ancor prima sonderà il terreno per andare incontro ai gusti del pubblico ed e n t re r a n n o i n g i o c o l ’ U f fi c i o S t a m p a , l ’ U f fi c i o comunicazione, la progettazione grafica, i canali di distribuzione degli spettacoli, il personale di accoglienza al pubblico e così via. Come dicono a Genova: belin che di gente! Scendendo nel particolare della stagione del Teatro della Tosse, balza subito agli occhi la rassegna La Guerra delle Teste di Legno, scelta artistica originale che tenta di portare alla ribalta il teatro di figura, un genere poco conosciuto e spesso relegato agli spettacoli per bambini. Un secondo filo rosso è rappresentato dalla presenza degli spettacoli stranieri, che impreziosiscono e collaborano a rendere internazionale il panorama teatrale genovese. Ma ormai sappiamo che questo è solo un punto di partenza e che per portare sotto la Lanterna lo spettacolo Smaller, Poorer, Cheaper della compagnia Acrobat, di indubbia qualità, forse sarà opportuno chiedere un finanziamento all’ambasciata australiana affinché il bilancio non si colori di rosso. E dal momento che il titolo dello spettacolo non è propriamente in dialetto genovese, converrà comunicare al meglio le mie scelte artistiche per evitare che qualche autoctono possa recensire lo spettacolo così: “Alla Tosse, c’è quello con il titolo strano, di quegli australiani, quelli che saltano come canguri”. Dietro quella serata a teatro con gli amici, quello spettacolo che tanto ci era piaciuto, si nasconde un universo fatto di persone, mestieri, professionalità, scelte. Possiamo immaginare meglio ora quanto sia difficile la vita di un teatro che per mantenere sani tutti i membri della propria famiglia deve sempre più spesso fare i salti mortali tra un finanziamento e l’altro, mantenendo l’equilibrio sul filo spinato dell’attuale mercato dello spettacolo. Un’impresa difficile, a volte impossibile. Tant’è vero che a volte ai capi di questa grande famiglia viene in mente di contaminare i suoi membri per rendere tutto più facile, meno problematico, più sbrigativo, meno costoso. Ma tanto così non vale, vero?

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ARTWHEREL’ARTEFATTO ARTI VISIVE

“Bill Viola. Visioni interiori”

Fino al 6 gennaio al Palazzo delle Esposizioni di Roma di Francesca Cugusi

Si tiene in questi giorni e fino al 6 gennaio 2009 la personale di Bill Viola al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal titolo “Bill Viola, Visioni interiori”. Si tratta della più grande mostra che l’Italia e l’Europa abbiano finora dedicato a questo straordinario artista. Non si tratta di un’antologia Newyorkese classe ’51, esponente della di opere, ma di un visual art, lavora con il pubblico e non contro v e r o e p r o p r i o di esso, la sua arte è per tutti, per l’uomo percorso narrativo comune più che per gli intenditori. La video unico, all’interno del arte si afferma negli ultimi anni ’60, in una quale sono esposte le fase di slancio creativo e sperimentale; in opere dal 1995 al questi anni Bill Viola inizia la sua carriera 2007, curato artistica affiancando i padri fondatori della visual art: Bruce Nauman e Nam June Paik. dall’artista stesso e da Kira Perov, sua moglie e assistente dal 1980. A questo scopo l’intero spazio espositivo, su due piani, è stato completamente oscurato e insonorizzato per rendere la fruizione delle opere il più completa possibile. Proiettate su enormi schermi, ad alta GLOSSARIO: definizione o a cristalli liquidi, le opere dell’artista necessitano di altoparlanti per la Sufismo Islamico: diffusione in stereofonia. scienza della Questo tipo di allestimento rispecchia in conoscenza diretta di Dio; pieno la filosofia artistica di Viola, che dallo dottrine e spettatore non vuole una mera osservazione metodi sono derivati dal delle sue opere, ma una totale immersione in Corano, anche esse, una ricerca di trascendenza che, passando se utilizza concetti derivati per il buddismo zen, il sufismo islamico e il da fonti tanto misticismo cristiano, è incentrato sui temi greche come persiane antiche fondamentali dell’uomo (nascita, morte, natura, e indù. Deriva relazione con l’universo) sui quali da sempre si dalla lana (in arabo sùf) con interroga l’intera umanità. Il risultato dei suoi cui erano lavori lascia sempre stupefatti proprio per intessuti gli umili panni dei primi l’utilizzo dell’alta tecnologia contrapposta ad mistici un’estrema sintesi formale, tesa musulmani, chiamati "sufi". a ristabilire un contatto tra uomo e universo. Mudra buddista: gesto Tra le opere in esposizione: simbolico delle The Crossing, in cui due mani o delle dita, che giganteschi schermi posti dorso insieme alle a dorso esibiscono un essere asana (posizioni) viene utilizzato umano divorato sia dall’acqua nella pratica che dal fuoco, tradizionalmente meditativa yoga. elementi riconducibili ai Chirologia: dal concetti di purificazione e greco kheir (mano) e logos catarsi. (studio), è lo In Surrender due schermi studio della mano per sono accostati e due uomini conoscere il posti in maniera speculare si carattere, le attitudini e le incontrato immergendosi predisposizioni nell’acqua, immagine che si dissolve al momento di una persona. Diversa dalla della visione. chiromanzia, che The Greeting ripropone un classico della nella mano legge il futuro. pittura manierista, La Visitazione del Pontormo. Viola riproduce una scala di colori simile

all’opera originale e utilizzando la slow motion riesce a rendere efficacemente ogni singola espressione delle due protagoniste. Anche The Emergence rivisita un quadro manierista, combinando il concetto di attesa della resurrezione con quello di deposizione e insieme di rinascita, data l’ambiguità della fonte battesimale (il sarcofago della “vasca” da cui Cristo emerge). Uno dei momenti più misteriosi dell’esistenza umana, la fase della transizione dalla vita alla morte, è indagato da Departing Angel, in cui l’acqua calma quasi immobile, improvvisamente esplode facendo emergere un essere umano. In verità sono le immagini di una morte per annegamento che, fatte scorrere a ritroso nel tempo, diventano una rinascita. In Four Hands, quattro schermi piatti di piccole dimensioni disposti in fila si una mensola, mostrano quattro paia di mani in movimento. La mimica, familiare e arcana insieme, combina una vasta gamma di influenze che vanno dai mudra buddisti alle tavole di chirologia inglesi del XVII secolo. Anima è uno studio di quattro emozioni primarie (gioia, dolore, rabbia e paura) che si susseguono sul viso di tre persone, un uomo e due donne, ad una velocità fortemente rallentata. Ogni attore è ripreso in piano sequenza e passa da un’emozione all’altra in una continua gradazione di differenti espressioni. In The Veiling lo schermo è costituito da una serie di veli sospesi. Su di essi si gioca l’ansiosa e reciproca ricerca di un uomo e una donna che si incontrano solo grazie alla trasparenza della stoffa.

Informazioni ulteriori su: www.billviola.com www.palazzodelleesposizioni.it

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ARTWHEREL’ARTEFATTO ARTI VISIVE

“Il colore è un mezzo di esercitare sull'anima un'influenza diretta. Il colore è un tasto, l'occhio il martelletto che lo colpisce, l'anima lo strumento dalle mille corde.” Vasilij Kandinskij

Lucio Fontana in mostra a Genova La forza del colore di Elisa Furini

Nelle sale di Palazzo Ducale è stata inaugurata il 22 ottobre scorso la mostra antologica dedicata all’artista Lucio Fontana, che proseguirà fino al 15 febbraio 2009. L’esposizione presenta più di cento opere che ripercorrono tutta la produzione dell’artista, dalle ceramiche prodotte ad Albissola fino alle opere più recenti. Un’occasione per osservare in un’unica esposizione le varie tappe artistiche di Fontana e riuscire quindi a coglierne il filo conduttore. Le opere non sono suddivise per serie, ma per uniformità cromatica. Questa scelta, che potrebbe essere criticata sotto certi aspetti, in realtà dona un forte impatto visivo e permette l’immersione completa all’interno sia delle opere, sia della sala stessa, che avvolge il visitatore. Si ha la sensazione di essere inghiottiti in un “non luogo”, in un mondo a parte, nuovo in ognuna delle sale che si susseguono. La forza è nel colore, dal bianco puro e minimalista, al rosso che con la sua energia riesce ad imprimere una sensazione ben precisa.

In ogni stanza si possono osservare pezzi delle varie serie, quali “Concetto spaziale, attese”, “I teatrini”, “La fine di Dio”. In occasione della mostra sono state anche ricostruite alcune opere al neon per dare rilievo agli “ambienti spaziali”. Giunti quasi al termine del percorso espositivo, in una piccola saletta è possibile assistere alla proiezione di un film che ripercorre la vita di Lucio Fontana, attraverso il racconti di persone a lui vicine nel corso della sua esistenza, che ne tracciano un profilo sotto l’aspetto sia umano che artistico. Molto interessante sia per chi si approccia per la prima volta all’arte di Fontana, sia per gli esperti conoscitori dell’artista. In contemporanea alla mostra, si svolgeranno una serie di incontri per approfondire alcuni temi legati all’artista: 28 novembre - “Fontana: tracce, iscrizioni, documenti” 2 dicembre - “Fontana e i quanti” 17 dicembre - “Ricordando Fontana, l’uomo e l’artista” 14 gennaio - Fontana e lo spazio architettonico 5 febbraio - “Il taglio nella moda”

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ARTWHEREL’ARTEFATTO DANZA

Solo burlesque, please! Non solo strip tease...e non solo strip... di Elena Togliatto

Prima di leggere occorre una distinzione tra i due generi: lo strip (dall’inglese “to strip”, spogliare) è la performance durante la quale la ragazza sale sul palco con pochissimo ve s t i a r i o a d d o s s o, s e l o t o g l i e rapidamente, fa un giro attorno all’eventuale palo, avvicinandosi al pubblico maschile tocca e si fa toccare facendo andare fuori di testa chiunque abbia la fortuna di sfiorarla e sparisce. Il piacere provocato in questo caso è solo ed esclusivamente fisico. Nel neo-burlesque invece avviene, oltre allo strip (mai integrale) anche il “tease” (lo stuzzicamento). L’artista arriva sul palcoscenico molto vestita, spesso scegliendo un tema ad un personaggio precisi ed inscena un vero e proprio numero di varietà. Non si avvicina mai al pubblico e spesso se ne va con degli indumenti ancora addosso. Il piacere in questo caso è quindi provocato prima a livello celebrale, poi di conseguenza il resto segue. Il burlesque è un genere di spettacolo parodistico nato nell’Inghilterra Vittoriana della seconda metà dell’Ottocento. La compagnia che contribuì al suo successo su la British Blondes, diretta da Lydia Thompson. Lo spettacolo che la rese famosa fu Ixion e l’innovazione dei suoi show consisteva nella presentazione della donna come essere pensante, non solo come corpo. Tra le prime artiste burlesque troviamo infatti Mae West, scrittrice, autrice di canzoni, attrice di teatro e cinema. Quest’artista si distinse non solo per la sua femminilità prorompente, ma soprattutto per l’arguzia dei suoi testi e la sagacia delle sue battute a doppio senso. Il suo spettacolo più famoso, che le costò addirittura la prigione nel 1927, fu esplicitamente titolato Sex! Parola che anche solo pronunciata, forse addirittura pensata, negli anni Venti destava uno scandalo inenarrabile. Nonostante i piccoli scontri con la morale comune, il burlesque arrivò fino agli Stati Uniti, dove riscosse un grande successo specialmente tra le classi meno abbienti (“The poor man’s follies”, le follie del pover’uomo, così venne battezzato in quegli anni). I temi che venivano portati sul palcoscenico, in termini di parodia, erano il mondo, le abitudini e i passatempi della classe borghese. La trama era piuttosto debole, ma riccamente arricchita da musiche, balletti e tanta comicità. Per mantenere però vivo l’interesse del pubblico, questi elementi iniziarono a non bastare più. Si inserirono così negli spettacoli le prime ragazze poco vestite. Ovviamente un “poco vestito” ben lontano da quanto possiamo immaginare

adesso, ma rappresentava il minimo possibile per rientrare nel limiti del buon costume del tempo. Questa innovazione creò, ovviamente, alcuni scandali che però, dato l’enorme successo degli spettacoli, vennero in un primo momento ignorati. Le performance da capogiro proposte dal burlesque divennero presto un fenomeno di massa. Il crescente successo del genere portò la stampa, guidata da influenti benpensanti, a scagliarsi molto duramente contro questa peccaminosa forma di spettacolo. Ma neanche quest’attacco servì a bloccare il fenomeno, anzi, contribuì solo a gettare benzina sul fuoco, stuzzicando i produttori degli spettacoli ad azzardare ancora di più. Il che portò lentamente al declino del fenomeno. Vennero diminuite le quantità di vestiario addosso alle ragazze, la trama esile restò la stessa mentre i numeri di danza e gli sketch di cabaret diminuirono. Negli anni Venti la moda si esaurì e i locali impagnati col burlesque dovettero chiudere o trovare altri modi per mandare avanti la propria attività. Così si arrivò allo strip tease. Non esiste una data precisa in cui collocare l’inizio del nuovo fenomeno, le prime strippers erano ancora legate al burlesque e non arrivavano quindi al nudo integrale. Il passaggio decisivo arrivò a causa di un incidente durante uno spettacolo. Era uno show dei fratelli Minsky, i re del burlesque dei tempi d’oro, e sul palcoscenico si stava esibendo la ballerina Mae Dix. Nel bel mezzo della performance, la

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Gli strumenti dell’artista burlesque La “divisa” base prevede: un costume esterno, un reggiseno decorato, un secondo reggiseno più sottile, una gonna ornata di frange sottili in modo da accompagnare i movimenti della ballerina, guanti da sera lunghi, un g-string (il p e r i zo m a ) e d e i l u s t r i n i d a applicare sul corpo. Materiale e accessori variano in base al tema della performance. I più in voga rimangono comunque quelli legati al vintage, come calze a rete, reggicalze, scarpe a stiletto (il tacco a spillo), oppure al fetish e al sadomaso come stivali alti in pelle nera e accessori in lattice. I palloncini caratterizzano quella che viene definita Bubble Dance. È un tipo di esibizione nella quale l’artista gioca e danza con un grande pallone di plastica leggero e trasparente. Il suo utilizzo fu introdotto da Sally Rand negli anni Trenta. I ventagli sono un altro importante accessorio, naturalmente non quelli piccolini per farsi aria, ma degli Ostrich Fan, larghi circa 1,5 metri, formati da lunghissime piume disposte in modo tale da creare una specie di ostrica. Non bisogna dimenticare le piume, usate per lunghi boa, enormi ventagli e per decorare interi costumi di scena. I g-string sono i tanga che normalmente vengono indossati sotto lo slip, permettendo di non rimanere mai completamente nude. Uno dei simboli più caratteristici del burlesque è la coppia di Pasties, più conosciuti in Italia come “puntini”, applicati sul seno. In tempi più recenti e disinibiti si tende ad usarli soprattutto per mantenere integro il fascino retrò, ma anche per evitare che il burlesque venga confuso con un banale spogliarello.

ragazza perse buona parte el vestito provocando un’ondata di entusiasmo tra il pubblico. Da lì, l’incidente divenne parte integrante degli spettacoli. Nel giro di pochi anni il pubblico preferì le nuove strippers alle caste stelle del burlesque. Le amanti del genere però non si arresero ed iniziarono a nascere delle compagnie ambulanti, i cosiddetti “girl show”, mentre altri tentarono di trasformare alcuni night club in burlesque club. Le nuove “figlie del burlesque” si resero conto che era necessario puntare sull’originalità, l’inventiva e la stravaganza delle performance. Nacque così il New Burlesque. Dagli anni Novanta infatti, sull’onda della moda per il vintage, si sta affermando il nuovo genere che, senza perdere le caratteristiche di ironia e provocazione, si è avvicinato sempre più al varietà. Il burlesque che conosciamo oggi è molto diverso dalle origini. Lo spettacolo nella sua forma più completa comprende ballo, canto, illusionismo e sketch comici, ma anche striptease, anch’esso calato in un contesto estermamente ironico, comico e sarcastico. È innanzitutto puro divertimento e molte artiste che oggi si avvicinano al

genere lo fanno per il semplice desiderio di divertirsi o con finalità benefiche. Il burlesque è diventato un mondo a parte, dominato dalle donne (non solo numericamente) e chiuso nella sua realtà di divertissement e disimpegno.

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Dalla passerella al cinema di Aurora Cataldo

Alcuni sono intrecci d’amore, a l t r i d’avventura. Quanti film sono stati ambientati nel magico e luccicante, ma effimero mondo della moda. Eccone una rassegna, perché i fashion victim possano trovare la loro passione anche sul grande schermo. Oggi fino alla fine degli anni ’40, il mese prossimo fino ai giorni nostri. Si comincia con Sinners in the Sun (Peccatori in Italia, 1932), con Carole Lombard e Cary Grant, una coppia povera di giovani dipendenti di una casa di moda, impareranno che il denaro non è tutto. Nel 1934 esce Fashion of 1934 (Le armi di Eva, con Bette Davis), protagonisti due

Carta di rosa Cento minuti con Nicoletta Bracco Falciola di Valeria Damonre

Nel 2001 la Rai-Eri dà il via ad un concorso di narrativa umoristica. Nicoletta partecipa, vince il concorso e viene pubblicata dalla casa editrice. Ma non inizia tutto da lì. Ha una grande carriera alle spalle, dovuta esclusivamente al suo talento. Fedele discepola di Vincenzo Cerami (ne è stata allieva), ha fatto fermare il tempo a circa quindici anni fa. In concomitanza con la pubblicazione con l’antologia Italiana della collana Oscar Mondadori (che si impegnava a raccogliere tutti i nuovi talenti dell’Italia di quegli anni), le storie, i racconti, iniziavano a perdere vivacità. Pian piano diventavano qualcosa di astratto, giri di parole attorno all’ombelico dell’autore, che si perdeva sempre di più nella selva oscura di se stesso. Non si può dire se tutto questo fosse inevitabile, bisogna considerare che l’Italia manca di una vera educazione alla scrittura creativa, non le si può rimproverare niente, tanto più che su Italiana sono presenti le penne di personaggi come Erri De Luca ed Edoardo Albinati. Nicoletta Bracco Falciola, loro quasi coetanea, è diversa. Perché arriva dal mondo della sceneggiatura, quello che

americani a Parigi, un truffatore e una disegnatrice di moda; lui si finge stilista e rubano i modelli di un grande atelier. Conquisteranno il mondo della moda parigina. Splendidi numeri musicali. È del 1935 Roberta, con F. Astaire, G. Rogers e R. Scott, dove una principessa russa, in fuga dalla Rivoluzione d’Ottobre, diventa disegnatrice di moda e fa innamorare il suo principale. Tratto da un musical teatrale, con memorabili numeri di danza Astaire-Rogers. Il primo film italiano sul tema è La Contessa di Parma (1937, di Alessandro Blasetti): l’indossatrice Marcella, diventata famosa con il soprannome di Contessa di Pa r m a , f a i n n a m o r a re u n giocatore di calcio. Blasetti lo ha definito il suo film più cretino. Nel 1938 a Hollywood esce Artists and Models Abroad: un gruppo musicale al femminile si trova in difficoltà a Parigi, ma troverà aiuto in un petroliere texano miliardario. Altra produzione USA, del 1944 con G. Ro g e r s, è

Lady in the Dark (Le schiave della città in italiano), un film tra moda e psicanalisi. È del ’44 anche il noir Laura. Un tenente della polizia di innamora del ritratto della morta del caso su cui sta lavorando, Laura, direttrice di un’agenzia di pubblicità. Dello stesso anno Falbalas (tra l’altro, la moglie del regista Jacques Becker lavorò nel mondo dell’haute couture), i r o n i c a produzione francese, Fronzoli in i t a l i a n o, sull’ambien te della moda parigina. L’ u l t i m o d a ricordare è One Touch of Venus (Il Bacio di Venere, 1948) con Ava G a r d n e r. I l protagonista, mentre allestisce una vetrina, viene attratto dalla straordinaria bellezza di una statua di Venere e la bacia. Improvvisamente il marmo prende vita, trasformandosi in una donna bellissima.

prende allo stomaco con dialoghi immediati e senza capricci ricercati. Ha masticato anche parecchio teatro, che delle emozioni n o n fi l t r a t e dall’ampollosità della scrittura ne fa un vanto. È in seguito a tutto questo che le sue storie tornano ad avere la “S” maiuscola. È davvero un tornare alle origini, volersi riavvicinare al suono della vita di un personaggio fissato sulla carta, con un protagonista, una circostanza più o meno definita e un imprevisto. È proprio l’imprevisto a fare da filo conduttore a tutte le storie di Nicoletta raccolte nel volume Carta di Rosa. Donne totalmente diverse vivono le proprie esperienze, non in quanto donne - come potrebbe ardentemente desiderare tutta una certa e apparentemente inutile letteratura rosa - ma in quanto persone dalle sfaccettate identità. Gli opposti, che non sono mai stati così opposti, in realtà sono più vicini di quanto si possa immaginare (Anita e Atina), le nevrosi e le sfighe quotidiane spesso si condividono più di

quel che si crede (Mina), e la follia è comunque presente in ognuno di noi, anche se a qualcuno sono capitate le dosi sbagliate (Teodora e Nina).

Quattordici nomi di donne danno l’occasione a Nicoletta di dire tutto questo. Il suo essere donna le offre lo spunto per scriverlo. La scrittura, in cambio, la consacra agli scaffali delle librerie, non relegata nella letteratura di genere, ma vicino ad un bel Fabio Volo che, nessuno lo dice, ma ci ha proprio stancato.

Nella quarta di copertina di Carta di Rosa si dice che tu, prima di vincere l’edizione 2001 del concorso di narrativa umoristica Carta di Riso indetto da Rai-Eri, fossi convinta che la narrativa fosse unicamente un divertimento privato. Cos’è davvero per te la scrittura? Quando hai cominciato a buttar giù le tue prime parole? Erano già racconti? Prima di Carta di Rosa avevo avuto esperienze solo di scrittura teatrale, consideravo la narrativa (da scrivere, non da leggere) qualcosa di

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MODAMENSILMENTE 16 dicembre 2011

alieno e me ne tenevo a distanza di sicurezza. Ho scritto compagnia. Definizione: libro-tacchino è quel libro che, il racconto che ha portato alla pubblicazione del libro ostentato, ad esempio, durante un viaggio in treno, solo per partecipare al concorso della RAI, covando “serve per attaccare discorso, attirare l’attenzione, speranze zero, ovvio. Il “racconto” non mi era mai socializzare. In poche parole, è un mezzo per piaciuto un granché neanche da lettrice, ma scrivere rimorchiare”. Non ho idea se nella vita reale qualcuno qualcosa di compiuto in poche pagine non era cosa da usi il libro-tacchino, personalmente mi sono fermata alla poco. E non solo è stato piacevole scriverne uno, ma ha teoria. Come dice la protagonista del racconto “è avere provocato una reazione a catena che ha portato a Carta di tra le mani il libro giusto al momento giusto davanti Rosa. La galassia della narrativa è come divisa tra chi all’uomo giusto, che non è cosa semplice”. Modesta scrive per tutti e chi scrive per sé ma ha la pretesa che proposta per gli editori: sulla quarta di copertina tutti lo leggano. Appartiene alla seconda categoria chi si specificate quale categoria si può tacchinare con quel parla addosso, chi si compiace delle proprie belle frasi, libro. “Libro-tacchino: intellettuale”, “libro-tacchino: chi è convinto di essere l’unico ad aver sofferto romantico”... veramente, e l’elenco potrebbe continuare. E dato che è Oggi fai un lavoro bellissimo, nel tuo negozio un vero genio incompreso, pensa che i pochi lettori di giocattoli, che è regalare sogni ai bambini. esistenti lo ignorino perché sono dei veri cretini. Pensi che la scrittura potrà mai diventare il tuo Dobbiamo a quelli come lui il proliferare di quella che gli vero e unico lavoro? americani chiamano “vanity press”. Perché no, l’aspettativa di vita si è Non mi pare un caso che tu allungata di molto. Comunque, a cinque abbia deciso di scrivere proprio di “L'imprevisto irrompe nel anni dalla pubblicazione di Carta di Rosa donne sull’orlo di una crisi di quotidiano di quattordici preferisco ancora essere una nervi, furbe come delle volpi, donne tutto sommato contemporanea ignota che una celebrità belle e fatali come delle pantere. comuni, con una vita tutto postuma. Alcuni scrittori dicono che Come mai questa scelta di sommato ordinaria. E spesso il ribaltamento cercano di dedicare alle loro soggetto? opere almeno un’ora al giorno, Infatti non è stato un caso, mi sono dell'ordinario nello messa lì e ho cercato di scrivere solo straordinario - e viceversa altri che scrivono di getto, come storie di donne. Uno dirà: certo, sei una - apre le porte gli viene per giorni interi e poi donna. Ma dato che la vita comoda mi all'umorismo. Ciascuna correggono tutto alla fine. Se annoia, non ho scritto né per luoghi delle protagoniste dei posso chiederlo, tu quale metodo comuni (era il periodo delle Bridget quattordici brevi racconti usi? Jones), né cercando rifugio in ambienti o possiede, come ogni Ho lavorato a Carta di Rosa cinque figure familiari. Ho voluto “personagge” donna, qualcosa di mesi, dal lunedì al sabato, dalle 17 alle nuove di pacca, ognuna con quella 19. Ci è voluto più tempo a togliere che assolutamente originale, scintilla di follia che ognuno di noi, a mettere. Mentre lavoravo ad un unico e forse un po' maschio o femmina, ha, vorrebbe avere racconto nuovo, limavo quelli già scritti o ha paura di avere. Ho scoperto, e me magico. Con lo spirito di e ho smesso di far ritocchi solo quando ne vanto, che il libro, una volta superato chi riesce a cogliere il mi sono decisa a consegnare. Dopo lo scoglio del titolo, è piaciuto molto al comico anche Carta di Rosa ho scritto un monologo al pubblico maschile, forse perché lo dall'osservazione del quale ho pensato per un tempo considera quel manualetto di istruzioni quotidiano, l'autrice guida interminabile. Una volta arrivata l’idea, che non sempre trova allegato alla il lettore in una bizzarra l’ho scritto e limato in un paio di donna dei suoi sogni. galleria di personaggi settimane. Mi è anche capitato di fare la Nel tuo Carta di Rosa viene femminili.” ghost-writer, usando quindi idee e stili citato una volta di troppo Il altrui, ma è un lavoro ugualmente molto Signore degli Anelli, prima come impegnativo. Non credo solo a genio e sregolatezza, una libro-tacchino, poi come libro-mattone. Si può buona dose di metodica è necessaria. sapere il perché di questo rapporto di amoreOltre a Tolkien, che mi pare abbia una certa odio con Tolkien? È limitato al Signore degli influenza su di te, quali sono i tuoi maestri Anelli o esteso a tutto questo tipo di letteratura? ispiratori, magari proprio coloro che ti hanno Dopo essere sopravvissuta alla lettura de Lo Hobbit, mosso alla scrittura? E il tuo libro preferito in che mi era pure piaciuto, mi sono detta: eccomi pronta assoluto? per il grande salto, adesso The Lord me lo bevo. Invece Non ho amato un solo libro. Ne ho amato uno per no. Una macchia nera nella mia carriera di lettrice volta, che è diverso. Devo molto alla lettura e, dato che onnivora. Lo confesso, non l’ho mai finito. E, a oggi, Lo sono un’onnivora, credo di aver assimilato un po’ da tutti Hobbit è l’unico libro del genere che sia mai riuscita a e tutto. E leggendo un libro non mi sono mai messa in leggere. Se per “tutto questo tipo di letteratura” intendi “concorrenza” con l’autore, non ho mai voluto sfidarlo. quella fantasy, non la frequento granché. Forse per Hai studiato con Cerami, autore di Consigli ad un pigrizia, bisogna ricordarsi troppi nomi strani. Giovane Scrittore. Mettendoti nei panni del tuo maestro, Penso comunque che questa storia del libro- che consigli daresti ad un giovane scrittore? tacchino diventerà famosa. Puoi spiegarci Che responsabilità! Posso dire quello che ha meglio di cosa si tratta? Quali sono i più funzionato, forse, per me. Leggere molto, tanto, anzi di gettonati e, soprattutto, tu hai dei libri- più. Tenere a cuccia il proprio ego. Non innamorarsi mai di quello che si è scritto, che vuol dire abbandonare frasi tacchino? Grazie per il tuo sconfinato ottimismo. Carta di o idee senza pietà. Leggersi a voce alta, andare ad Rosa è stato pubblicato nel 2003, di questo passo mi orecchio: una frase è più d’effetto quando suona bene toccherà la celebrità postuma, e sarei in ottima che quando spiega troppo.

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