Autnov2011

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A U T O N O M I A & A U T O N O M I E m e n s i l e d e l l e a u t o n o m i e d e l l a To s c a n a - A n n o X I X n . 1 0 n o v e m b re 2 0 1 1

Urbanistica

Il processo di revisione dell'ordinamento regionale tra problemi e opportunità . Gli interventi di amministratori, architetti e giuristi. Alla ricerca di un linguaggio comune che aiuti a definire questioni ancora aperte


In questo numero EDITORIALE Politica e comuni chiamati a ‘fare salute’ Alessandro Cosimi

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dall’ANCI toscana Monica Mani

I comuni e la pianificazione: tempo di bilanci Lorenzo Paoli

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Problemi attuali e possibili sviluppi della perequazione Gian Franco Cartei

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APPROFONDIMENTI La mediazione: uno strumento in continua evoluzione Marco Giuri e Serena Linopanti CONVERSAZIONI CON L’ABORIGENO A proposito di partecipazione e nuove tecnologie Marcello Bucci

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Mediterraneo di pace, libertà e dialogo Stefano Fusi

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Aree a pianificazione differita: privati in gara per la qualità pubblica 11 Sabrina Sergio Gori

Una internazionalizzazione ‘responsabile’

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Il “peso” del cambiamento Enrico Amante

Il governo del territorio toscano

Regione e comuni insieme per disegnare il territorio Simone Gheri

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Un linguaggio comune per governare bene Anna Marson

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Pianificazione: problemi e opportunità

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Invarianti e risorse essenziali: verso una definizione condivisa Graziella Beni

PERCORSI DI CITTADINANZA Un Nuovo Mediterraneo Sauro Testi

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Area Med: per crescere insieme Stefano Giovannelli

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Varianti di manutenzione: queste sconosciute Fabrizio Cinquini

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Mondo arabo: la grande opportunità Pasquale Ferrara

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Il Piano Complesso d’intervento Elisa Spilotros

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Accorciare le distanze tra le rive del Mare Nostrum Gianluca Mengozzi

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L’applicazione delle salvaguardie nel sistema toscano Francesca De Santis

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Il dialogo è il miglior alleato per una cultura della comprensione tra civiltà Colloquio con Zouheir Touiti, a cura di Sara Denevi

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Costruire la città in maniera integrata Luciano Piazza

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“Non si può pensare un'architettura senza pensare alla gente” Richard Rogers

Le foto che illustrano questo numero sono opere di Luca Hosseini Anno XIX numero n. 10 novembre 2011 Reg. Trib. di Prato nr. 180 del 8/7/1991. Editore: Aut&Aut Associazione Proprietà: Anci Toscana Direttore responsabile: Marcello Bucci Direttore editoriale: Alessandro Pesci Collegio di garanzia: Alessandro Cosimi, Luca Lunardini, Sabrina Sergio Gori, Angelo Andrea Zubbani Redazione: Comunica Viale Giovine Italia, 17 - 50122 Firenze tel. 055 2645261 - fax. 055 2645277 - email: redazione@comunica-online.com Caporedattore: Olivia Bongianni In redazione: Guendalina Barchielli, Mariarita Boscarato, Maria Teresa Capecchi, Sara Denevi, Monica Mani, Hilde March, Margherita Mellini Collaboratori: Enzo Chioini Segreteria di redazione: Tiziana Tropea Pubblicità: Comunica Viale Giovine Italia, 17 - 50122 Firenze Tel. 055.2645261 - fax 055.2645277 - email: info@comunica-online.com Stampa: Litografia I.P. Anci Toscana Viale Giovine Italia, 17 - 50122 Firenze Tel 055 2477490 - Fax 055 2260538 posta@ancitoscana.it - www.ancitoscana.it Per quanto riguarda i diritti di riproduzione, l’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

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Sono un misto di culture e continenti: nato da padre iraniano e mamma italiana nel 1978, vivo e lavoro a Firenze. Dopo un corso fatto qualche anno fa, ho liberato profondamente questo grande amore per la fotografia che mi porto dietro, insieme a quello per l’architettura e l’estetica delle forme. Queste passioni mi hanno portato a cominciare una ricerca fatta di luci, linee, geometrie, di luoghi e tempi in cui il bianco e il nero (che prediligo) sono armonia sinuosa, sono ricerca di un istante, di una sfumatura. contacts http://www.lucahosseini.com http://www.flickr.com/photos/lucahn/


Editoriale

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ederalismo fiscale, costi e fabbisogni standard, rapporto tra territorio, ospedale e Università, formazione dei tecnici. Sono alcuni dei punti che ho affrontato intervenendo alla giornata di apertura della III Edizione di Eunomia Sanità, in programma a Firenze lo scorso novembre. Sull’applicazione del Titolo V la battaglia culturale è fortissima. Oggi le Regioni hanno ancora una forte capacità gestionale oltre a quella normativa. Poche altre cose come la sanità hanno un impatto nella nostra vita di tutti i giorni. Credo che i comuni, per le competenze che hanno, debbano essere coloro che interpretano il legame tra territorio e sanità, organizzando tutta quella fascia intermedia di “salute” a cavallo tra la sanità e il sociale. Il convegno, sin dal suo titolo, poneva una domanda importante: “La Sanità del futuro è compatibile con l’universalità e umanità delle cure?”, per rispondere alla quale non si può che affrontare la questione del prelievo fiscale. Con il federalismo fiscale la soppressione di una serie di tributi è stata un elemento devastante, non a caso in queste ore è ormai chiaro che si tornerà ad una tassazione sulla prima casa. Il reddito e il patrimonio sono le due gambe della tassazione: come si rende coerente il prelievo? Bisogna decidere se e come esso consentirà agli enti locali di garantire ancora l’universalità e l’umanità dei servizi. Purtroppo assistiamo ad una tendenza della politica ad una discussione di basso profilo, che tende a delegare la ricerca delle soluzioni ai tecnici. Ma un tecnico non è in grado di cogliere la complessità. Solo la politica può e deve avere uno sguardo alto e a lungo termine ed affrontare la complessità, che o ci salverà o… ci ucciderà. Da qui nasce la consapevolezza della necessità di un’innovazione nel sistema. Come ha sottolineato il presidente di Cesvot Patrizio Petrucci, non possiamo continuare a fare le stesse cose con minori risorse, occorre rimettere in gioco la politica. In quest’ottica, riforma della sanità e riforma dello Stato sono strettamente collegate; penso ad esempio al

modello francese dove non esistono le province ma enti intermedi, e dove è il sindaco a nominare il direttore dell’ospedale. In questo caso è la politica che si assume le proprie responsabilità, perché tanto lo sappiamo: quando c’è un problema in ospedale, il cittadino prima di tutto va dal sindaco, non pensa al Direttore generale della Asl o all’assessore regionale. Altro punto è quello relativo alla formazione dei tecnici e alle alte specializzazioni, sia del personale che delle strutture ospedaliere. Non è possibile che quello che viene fatto in un ospedale di provincia si replichi nelle cliniche universitarie, che sono finanziate invece per le alte specializzazioni e che su queste devono basare la propria attività, all’interno di una rete sanitaria regionale strutturata per diversi livelli di intensità di cura. Non ha senso che gli ospedali universitari facciano come gli ospedali di provincia, con l’unico risultato di essere in competizione con questi ultimi sulle specializzazioni ordinarie. Perché, ad esempio, in Toscana non si fa un trapianto di cuore, nonostante tre cliniche universitarie finanziate dalla Regione al di fuori del Piano Sanitario? Oggi per “fare salute” di qualità occorre una formazione diversificata, occorre superare il concetto secondo cui solo se si sta dentro ad

un padiglione ospedaliero si è bravi medici davvero. Se vogliamo che la gente invecchi, occorre garantire entrate ed uscite facilitate dai luoghi di cura delle acuzie, per poi trovare nel territorio la cura delle cronicità, con personale e strutture adeguatamente formati. Bisogna porre fine alle rendite di posizione. Esistono regioni (in particolar modo al Sud) dove la sanità rappresenta anche, se non prevalentemente, un ammortizzatore sociale. Certo è che, anche dove la sanità pubblica è stata quasi del tutto ceduta a privati, come gli ospedali nel Lazio, i risultati ci parlano di deficit miliardari da risanare con l’aumento dell’addizionale Irpef. Ma sulla sanità il fondo di perequazione non può coprire le inefficienze della politica. Senza territorio non c’è salute, questo è chiaro: ciò implica un ruolo attivo degli enti locali in relazione con la Regione, che deve evitare qualsiasi deriva di centralismo regionale. Oggi serve soprattutto una sanità diffusa che parli di salute. Non può essere una mera questione tecnologica che costa, ma penso ad un sistema di rete che protegge e accompagna. È ovvio che tutto questo non potrà avvenire senza rimettere in discussione un po’ di potere e di posizioni.

Politica e comuni chiamati a ‘fare salute’ Alessandro Cosimi presidente di Anci Toscana

La fascia intermedia a cavallo tra la sanità e il sociale non può non essere gestita dagli enti locali: un sistema diffuso, una rete che protegge e accompagna dove i comuni interpretano il legame tra territorio e sanità 3


Dall’anci toscana A cura di Monica Mani

Da gennaio Isee unico per l’accesso ai servizi

Dal 1 gennaio 2012 in Toscana sarà l’Isee standard a decidere l’accesso ai servizi e la eventuale compartecipazione alla spesa da parte del cittadino. È quanto prevede un protocollo siglato tra Regione Toscana, Anci Toscana, le tre Università di Firenze, Pisa e Siena e le organizzazioni sindacali. L’Isee è l’indicatore adottato in Italia nel 1998 e che tiene in considerazione, per misurare la capacità economica, non

Primo supplemento toscano alla Guida normativa ANCI

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e leggi regionali e il governo degli enti locali in Toscana”. È questo il titolo del supplemento alla GUIDA ANCI per l’Amministrazione Locale, edita da EDK, curato da Alberto Chellini e Alessandro Pesci, presentato a DIREeFARE. La Guida nasce dalla collaborazione fra Anci Toscana e Consiglio regionale e dagli accordi con AnciComunicare che pubblica la Guida Nazionale - e con EDK Editore. “Dal 2012 si è deciso di inaugurare una guida alle norme regionali e lo si fa partendo proprio dalla Toscana. - ha spiegato Alessandro Pesci, segretario generale di Anci Toscana - Il Consiglio regionale ha messo a disposizione la propria struttura di servizio legislativo, facilitandoci il lavoro, in una fase tra l’altro di grande confusione a livello normativo, tra norme nazionali e regionali”.

Intesa per la diffusione del progetto CEMSDI

U

n accordo per la diffusione tra i Comuni della Toscana e dell’Emilia-Romagna del progetto CEMSDI, iniziativa pilota finanziata dall’Unione Europea nell’ambito del programma ICT-PSP, per l’implementazione di politiche di inclusione digitale tramite un’Agenda digitale locale che rilasci servizi di e-government rivolti a fasce socialmente svantaggiate. L’intesa, siglata tra Anci Toscana, Anci Emilia-Romagna e Innova (coordinatore del progetto) getta le basi - attraverso una convenzione quadro, a cui ha già aderito il Comune di Rosignano Marittimo - per una collaborazione strutturata tra questi soggetti. Obiettivo: attuare sinergie fra le loro attività e l’azione di empowerment del progetto CEMSDI nell’ambito dell’inclusive government, soprattutto per quanto riguarda la società dell’informazione e l’ e-government per i piccoli comuni.

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solo gli stipendi, ma anche case, conti correnti, titoli, composizione della famiglia e spese come mutuo o affitto. Già utilizzato dalla scorsa estate per il ticket aggiuntivo sui farmaci richiesto dal governo e per gli esami specialistici, da gennaio varrà anche calcolato ovunque allo stesso modo, per i servizi sociali e scolastici dei Comuni, per tasse e borse di studio universitarie e in futuro, forse, anche per gli abbonamenti di bus e treni regionali.

Sviluppo rurale

È

stato firmato a Lucca, nella sede della Fondazione della Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno, un protocollo d’intesa per una nuova governance dello sviluppo rurale in Toscana. Per Anci Toscana l’intesa è stata siglata da Giancarlo Innocenti, sindaco di Roccastrada (Gr) e responsabile Agricoltura dell’Associazione. Gli altri firmatari sono: Regione, Upi e Uncem Toscana. La firma del protocollo è avvenuta al termine di una mattinata di lavoro intitolata “Innovazioni di governance e procedurali per lo Sviluppo Rurale”, cui hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni, di Artea (l’agenzia per le erogazioni in agricoltura della Regione), delle associazioni professionali agricole, del corpo forestale dello Stato, e di Lega Coop agroalimentare. L’accordo si propone di dare impulso – attraverso semplificazione, maggiore rapidità, maggiore e omogeneità degli interventi – allo sviluppo rurale.

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Si rinnovano i siti del mondo Anci Toscana

“A

ttraverso i siti rinnovati www. ancitoscana.it e www. painforma.it mettiamo a disposizione un servizio di uffici stampa in rete per rilanciare verso i media le notizie prodotte dai comuni toscani”. Con queste parole il segretario di Anci Toscana Alessandro Pesci ha presentato a DIRE e FARE i due nuovi portali che producono informazione relativa al mondo Anci. Il nuovo portale dell’Associazione risponde in primo luogo alla “sfida di velocizzare al massimo la ricerca di informazioni all’interno della documentazione prodotta da Anci Toscana e presente sul sito” e offre anche ulteriori funzionalità, come la possibilità di sfogliare direttamente online il periodico “Aut&Aut”. Rinnovato anche il sito Pa Informa, che si propone di concentrare in unico luogo la massa informativa che arriva dai 60 comuni toscani aderenti, consentendo così ai media toscani di fare, ad esempio, ricerche aggregate.

Sistema Catasto e fiscalità in Toscana

È

stato presentato a DIRE e FARE il “Sistema Catasto e Fiscalità in Toscana” che si propone di contrastare l’evasione fiscale relativa a tributi locali, regionali ed erariali, attraverso il coordinamento dei sistemi tributari dei diversi livelli istituzionali. In quest’ottica Regione, Anci Toscana e Uncem Toscana hanno siglato un protocollo d’intesa lo scorso 17 novembre 2010. “Si tratta di un sistema aperto, che permette di incrociare le banche dati non soltanto dei Comuni ma anche di altre istituzioni come l’Agenzia delle Entrate, quella del Territorio, l’Inps - spiega Massimiliano Pescini, sindaco di San Casciano in Val di Pesa e responsabile Catasto, fiscalità e contrasto all’evasione di Anci Toscana - Consentirà ai comuni di contribuire al contrasto all’evasione e di avere a disposizione banche dati sempre aggiornate. Il sistema vede già una settantina di adesioni da parte di Comuni”. Informazioni: www.ancitoscana.it


IL PUNTO

Il governo del territorio toscano A questo numero di Aut&Aut hanno collaborato i relatori del III Meeting sull’Urbanistica, organizzato da Anci Toscana in collaborazione con TiForma, lo scorso 13 ottobre 2011 a Scandicci. Al centro dell’incontro, il cammino della legislazione regionale toscana, con un’analisi dei cambiamenti intervenuti dal 1995 ad oggi

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uesto numero di Aut&Aut nasce sulla scia della III edizione del Meeting sull’Urbanistica, promosso da Anci Toscana in collaborazione con INU Toscana, che si è svolto il 13 ottobre scorso a Scandicci. Il Meeting, che auspicava fin dal titolo l’esigenza di andare in direzione di “un linguaggio comune nella soluzione di alcuni nodi interpretativi dell’ordinamento regionale”, ha visto la partecipazione di oltre 200 persone tra amministratori, personale degli enti locali ed esperti, e si proponeva di approfondire una serie di questioni ancora aperte relative ad aspetti tecnici, co-

muni nella pratica pianificatoria quotidiana. Alla legge 5 del 1995, che aveva sostanzialmente “ riformato” il governo del territorio in Toscana, ha fatto seguito, 10 anni dopo, la legge 1 del 2005. Nei mesi scorsi, ha preso formalmente il via il procedimento per modificare la legge regionale 1 del 2005. Sembrano infatti essere ormai maturi i tempi per tracciare un bilancio dell’apparato normativo vigente e, se necessario, correggerne gli elementi di criticità. Senza dimenticare che quella legislazione aveva rappresentato una novità assoluta nel panorama nazionale, soprattutto per la bipartizione, introdotta per prima dalla Toscana, del piano comunale

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in due componenti (strategica e operativa). Sulla revisione della Legge 1 si registra, da parte dei Comuni, un’ampia disponibilità al confronto e ad una discussione in cui possano giocare un ruolo da protagonisti, e che sia finalizzata a produrre soluzioni condivise. In questo quadro, l’esigenza più sentita dai Comuni - come ricorda anche su queste pagine il sindaco di Scandicci Simone Gheri, responsabile Governo del territorio di Anci Toscana - è quella di evitare, in primis, una forzata contrapposizione tra tutela del paesaggio e sviluppo.


IL PUNTO

Il governo del territorio toscano

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a Toscana - ricorda il referente di Anci - ha saputo in questi anni coniugare la tutela del paesaggio con lo sviluppo, che significa, non dimentichiamolo, essere capaci di attrarre investimenti e creare opportunità di lavoro”.Un’esigenza ribadita, in occasione del meeting, anche da Enrico Amante, presidente di INU Toscana, che ha sottolineato “la necessità di definire strumenti che consentano alle amministrazioni locali di disciplinare il proprio territorio, coniugando, in un momento di profonda crisi, tutela e sviluppo nel segno della continuità e del perfezionamento di una tradizione regionale di eccellenza”. Quali sono quindi i primi passi in questo processo di revisione dell’ordinamento regionale? Come ricorda nel suo intervento l’assessore regionale all’Urbanistica Anna Marson, la Regione Toscana sta lavorando ad una modifica della legge 1 che si configura come una sorta di “tagliando” straordinario ai contenuti urbanistici e di governo del territorio ( i contenuti edilizi sono già stati oggetto di revisione sistematica con la legge 40 dell’agosto scorso, che ha disciplinato la Scia, Segnalazione certificata di inizio attività introdotta dal governo nazionale). A comporre il quadro, le recenti proposte in materia di governo del territorio e difesa del rischio idraulico contenute nella PdL finanziaria per il 2012, condivise con Anci e presentate dal presidente della Regione Enrico Rossi come “una vera svolta nel governo del territorio”. Misure che - è stato annunciato - saranno parte integrante anche dell’adeguamento della Legge regionale 1 “Norme per il governo del territorio” e del Testo unico per la difesa del suolo. Dal punto di vista dei Comuni, uno degli elementi principali da tenere fermi nella revisione dell’ordinamento regionale, è quello relativo all’assetto istituzionale, ovvero ai rapporti fra gli enti territoriali: “Deve rimanere come è già oggi

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nella Legge 1 - ribadisce Gheri nel suo intervento - ovvero un rapporto di collaborazione orizzontale e di sussidiarietà, e non gerarchico o di contrapposizione”.È inoltre necessaria, secondo i Comuni, una semplificazione e uno snellimento delle procedure regionali e comunali, con norme chiare e di facile interpretazione. Scendendo maggiormente nel merito, alcuni obiettivi fondamentali, dal punto di vista dei Comuni, per stabilizzare progressivamente il quadro normativo regionale, vengono evidenziati da Lorenzo Paoli, dirigente Urbanistica del Comune di Scandicci e consulente di Anci Toscana, che sottolinea, ad esempio, l’esigenza di una definizione puntuale dei contenuti del piano strutturale e del regolamento urbanistico, che evidenzi con chiarezza le interrelazioni e, al tempo stesso, la diversa valenza dei due strumenti. Paoli sottolinea anche l’importanza, per i Comuni, di procedere a una progressiva unificazione a livello regionale della terminologia tecnica, a cominciare dai parametri urbanistici ed edilizi, auspicando che la proposta di regolamento elaborata da Anci Toscana e dalla

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Sezione Toscana dell’INU - con il contributo delle Federazioni regionali degli Ordini professionali degli Architetti, degli Ingegneri, dei Geometri e dei Periti edili - possa essere presto portata all’approvazione del Consiglio regionale. Ripercorrendo i temi affrontati al meeting di Scandicci, in questo numero vengono approfonditi alcuni argomenti specifici. Luciano Piazza (INU Toscana), ad esempio, si concentra sul concetto di “progetto urbano”, che dovrebbe, secondo l’autore, superare i limiti del piano nella costruzione della città attraverso un progetto strategico integrato con un processo di governo delle trasformazioni urbane che poggi sul partenariato pubblico – privato e sulla capacità di gestione dei tempi delle trasformazioni. Graziella Beni, già dirigente del Comune di Sesto Fiorentino, affronta la questione dell’interpretazione delle disposizioni inerenti le risorse essenziali contenute nei diversi livelli di pianificazione ed atti di governo allo scopo di arrivare a proporre una definizione condivisa. Enrico Amante, presidente di INU Toscana, si concentra sul prelievo del dimensionamento dal Piano strutturale, mentre

spetta a Fabrizio Cinquini (sempre di INU Toscana) trattare lo snodo delle “cosiddette” varianti di manutenzione. Elisa Spilotros, dirigente del Comune di Rignano sull’Arno, approfondisce il tema del Piano complesso d’intervento e dei (non agevoli) rapporti con il regolamento urbanistico. A intervenire sull’applicazione delle salvaguardie nel sistema toscano e sulle conseguenze dell’adozione degli strumenti di pianificazione è invece Francesca De Santis, direttore Avvocatura della Provincia di Firenze, mentre Gianfranco Cartei, dell’Università di Firenze, concentra la propria riflessione sulla disciplina della perequazione analizzandone problemi attuali e possibili sviluppi futuri. Infine, vengono presentate alcune esperienze specifiche, come quella del Comune di Quarrata, illustrata dal sindaco Sabrina Sergio Gori, vicepresidente vicario dell’Anci Toscana, che ha introdotto nel 2008 nel nuovo Regolamento Urbanistico: le Aree a Pianificazione Differita, strumento che lega il diritto ad edificare alla qualità del costruito ed al ritorno in termini di utilità pubblica.


il ruolo degli enti locali

Regione e comuni insieme per disegnare il territorio

di Simone Gheri, sindaco di Scandicci, responsabile Urbanistica Anci Toscana

È necessario un rapporto di collaborazione tra Regione ed enti locali, senza gerarchie. Semplificazione normativa e aggiornamento: ecco cosa, secondo gli enti, occorre fare per salvaguardare l'ambiente e il paesaggio

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ei mesi scorsi - con l’approvazione

da parte della Giunta regionale del documento preliminare - ha preso formalmente il via il procedimento per modificare la Legge regionale 1 del 2005. Lo scorso agosto è inoltre entrata in vigore la Legge regionale 40, frutto di una stretta e proficua collaborazione fra Regione e Anci Toscana, che ha introdotto alcuni elementi di chiarificazione e semplificazione delle procedure edilizie anche per porre rimedio alla confusione creata dalla recente legislazione nazionale. Sulla revisione della Legge 1 della Regione

c’è la più ampia disponibilità degli enti al confronto e, soprattutto, a scendere nel merito normativo rispetto alle linee di indirizzo approvate e condivise. La discussione deve coinvolgere pienamente gli enti locali, per esaminare le criticità, discutere e condividere le soluzioni: è necessario un ruolo attivo di chi vive tutti i giorni le dinamiche e le problematiche dei territori.
Uno dei punti principali della discussione riguarda il rapporto fra gli enti territoriali: che deve rimanere – come è già – un rapporto di collaborazione orizzontale e di sussidiarietà, e non gerarchico o di contrapposizione. Non è pensabi-

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le reintrodurre un modello che prevede che ci sia qualcuno che progetta e qualcun altro che corregge con la matita rossa! Si tratta di costruire insieme cornici che dal macro – dal sistema regionale – passano a livelli territoriali sovracomunali (oggi le province, domani chissà) fino ad arrivare al livello comunale, con valori, invarianti e traiettorie di sviluppo discusse e condivise. All’interno di questo quadro, definiamo meglio ruoli e competenze, soprattutto per avere omogeneità dei comportamenti istituzionali su tutto il territorio regionale.


Urbanistica

Regione e comuni insieme per disegnare il territorio

Snellire le procedure non vuol dire intaccare i principi fondamentali di salvaguardia e tutela del territorio. Si devono porre i vincoli laddove sono necessari e si devono allentare dove non hanno senso e creano solo un appesantimento burocratico

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ccorre poter redigere Piani strutturali con caratteristiche e contenuti più strategici e meno conformativi, definendo in questo ambito gli aspetti formali e procedurali dei piani intercomunali, che darebbero, se attuati, il senso di una visione di insieme del governo del territorio, che non può essere chiuso dentro i confini amministrativi di ogni singolo Comune. Il compito conformativo dovrebbe esser lasciato al Regolamento Urbanistico, intervenendo poi sui territori con meno piani attuativi e più progetti unitari. Un altro punto che dobbiamo perseguire è quello della semplificazione procedimentale, con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali -Sovrintendenza, Autorità di bacino, Genio civile compresi - sin dalle prime fasi di elaborazione, prima del Piano e poi del Regolamento. Un tema, quello della semplificazione e dello snellimento delle procedure, che è molto sentito dai comuni e dagli ordini professionali che hanno l’esigenza di norme chiare e di facile interpretazione. Un concetto che si può sintetizzare nella formula “per atti complessi procedure complesse, per atti semplici procedure semplici”. Occorre eliminare reiterazioni e doppioni, ridurre le “mille” valutazioni, che pesano sui procedimenti e sulle casse dei comuni, avere norme più chiare e semplici. È possibile farlo non intaccando i nostri principi fondamentali di salvaguardia da un lato, e dall’altro facilitando l’operare delle amministrazioni e la realizzazione degli interventi in tempi più rapidi, al passo con le reali necessità dei territori e delle comunità.
Questo non significa certo trascurare la tutela del territorio e del paesaggio, anzi, dobbiamo essere capaci di tenere insieme la complessità: la contrapposizione tra la

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tutela del paesaggio e lo sviluppo non ha senso e non fa bene al governo del territorio. La Toscana ha saputo in questi anni coniugare la tutela con lo sviluppo, che significa, non dimentichiamolo, essere capaci di attrarre investimenti e creare opportunità di lavoro. Su questo aspetto il “caso Laika”, che ha occupato di recente le prime pagine dei giornali, è stato emblematico. E, per altri versi e con differenze sostanziali nel valore dei reperti, lo è stato anche quello del ritrovamento del ponticello del XV secolo nel cantiere dove, a Scandicci, è in costruzione il centro Rogers. In entrambi i casi i problemi insorti sono stati superati e risolti grazie al lavoro congiunto delle istituzioni, comuni, Regione e sovrintendenze. A dimostrazione che, se si opera secondo il criterio della collaborazione e non della contrapposizione, “sviluppo” e “tutela del paesaggio e dei beni culturali” non necessariamente sono in conflitto. In sostanza si tratta di passare dal “o-o” al “e-e”. Indubbiamente diverso è il ragionamento se parliamo degli interventi urbanistici e di edilizia residenziale in zone collinari: le cosiddette “villette di campagna”, contro le quali sono insorti molti intellettuali e associazioni ambientaliste, talvolta con toni eccessivi. Ma non ci sottraiamo al confronto, e ribadiamo la nostra disponibilità ad affrontare le criticità, perché riteniamo che la maggior parte dei comuni toscani abbia a cuore il proprio paesaggio e la propria qualità ambientale. Dobbiamo dare assoluta priorità al tema del recupero, e solo dopo all’uso di nuovo territorio. A tal proposito faccio una riflessione sul dimensionamento dei piani: pare difficile, per non dire impossibile, conteggiare i recuperi se non per gli interventi oltre un certo quantitativo di metri

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quadri.
Un riferimento anche al tema del battente idraulico. Può sembrare scabroso parlarne in questi giorni, ma anche su questo occorre un approccio pragmatico, evitando sia l’emotività sia il sensazionalismo. Se non troviamo una modalità equilibrata partiranno pochissimi piani di rigenerazione urbana, dal momento che le nostre città stanno tutte o quasi lungo i principali fiumi della Toscana.

Colgo l’occasione per sollecitare la Regione all’approvazione del Piano paesaggistico: a noi convinceva anche quello adottato dal Consiglio nella legislatura precedente, ma siamo disponibili a ragionare in tempi rapidi anche della nuova proposta che parta dal principio dell’ “ee” e non della contrapposizione, procedendo con una discussione non dogmatica. In conclusione, anche su questo aspetto vorrei fare una considerazione che parte da un caso emblematico, quello di Scandicci, il comune che amministro, dove insiste il vincolo paesaggistico su tutto il territorio aree urbanizzate ed industriali comprese - tranne le colline del versante sud, quello che guarda la Val di Pesa. Considero la cosa un vero e proprio paradosso e, anche qui, penso che tutti gli enti interessati dovrebbero ragionevolmente mettersi attorno a un tavolo per rivedere e aggiornare alcune norme e tutele: è necessario salvaguardare l’ambiente e il paesaggio, porre i vincoli dove è necessario e doveroso ma anche alleggerirli dove non hanno senso; ed è altrettanto indispensabile consentire ai cittadini e ai privati -laddove ambiente e paesaggio non vengono coinvolti e toccati- gli interventi di recupero, manutenzione e miglioramento del patrimonio edilizio esistente senza inutili appesantimenti procedimentali.


la politica regionale

Un linguaggio comune per governare bene di Anna Marson, assessore Urbanistica e Territorio Regione Toscana

L’impianto normativo toscano in materia di governo del territorio risponde ancora a una logica di sviluppo concepito come espansione urbana. La manutenzione, il miglioramento e la rigenerazione delle urbanizzazioni che già ci sono restano in secondo piano, nonostante i richiami di principio, rispetto all’ampliamento in zone agricole

I

recenti incontri sul tema dell’urbanistica tenutisi nella nostra regione sono uniti dal filo rosso rappresentato dalla necessità di trovare quanto prima “un linguaggio comune nella soluzione di alcuni nodi interpretativi dell’ordinamento regionale”. L’ordinamento regionale in questione è quello relativo al “governo del territorio”, termine introdotto nella Regione Toscana con la legge 5 del 1995 e successivamente ripreso dalla legge 1 del 2005. Con queste due leggi, oltre a sancire il passaggio dalla pianificazione come disciplina delle sole trasformazioni urbanistiche alla pianificazione come processo di governo delle diverse trasformazioni aventi effetti significativi sul territorio, è stata accolta la proposta di riforma dello strumento del piano regolatore generale, a suo tempo avanzata dall’Istituto Nazionale di Urbanistica. In base a tale proposta, il piano regolatore generale è stato articolato in due piani con contenuti diversi: statutario-strategico il primo (Piano strutturale), operativo il secondo (Regolamento urbanistico). Negli anni successivi, molte altre regioni italiane seguiranno questa strada, pur chiamando i nuovi piani con nomi diversi. A distanza di alcuni anni, il monitoraggio delle diverse esperienze di pianificazione, ma anche la conoscenza diretta e indiretta che ciascuno di noi ha avuto occasione di farsene nella vita quotidiana – a partire dai diversi ruoli istituzionali e non, ricoperti – evidenziano la necessità di numerose “messe a punto” delle norme oggi vigenti.

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Urbanistica

Un linguaggio comune per governare bene

L’incertezza di ciò che ci attende in un futuro relativamente prossimo, legata ai sempre più frequenti eventi straordinari che colpiscono i nostri territori, richiederà non soltanto un linguaggio comune, ma conoscenza e consapevolezza condivisa di ciò che è utile e possibile fare, e di come debba essere fatto Le modifiche alle norme sul governo del territorio (la cosiddetta legge 1 del 2005, anche se poi è stata oggetto di numerosi interventi successivi) cui stiamo lavorando, e che contiamo di riuscire a portare alla discussione più ampia entro qualche settimana, si configurano come una sorta di “tagliando” straordinario ai contenuti urbanistici e di governo del territorio della legge (i contenuti edilizi essendo già stati oggetto di una revisione sistematica con la legge 40 dell’agosto scorso, che ha disciplinato la Scia, Segnalazione certificata di inizio attività introdotta dal governo nazionale). Rispetto ai contenuti del Documento preliminare in merito alle modifiche proposte, discusso in Consiglio Regionale qualche mese fa, alcune sono state già trattate con altri provvedimenti, altre ne sono emerse e vanno emergendo man mano che la discussione si va approfondendo. I compiti assegnati e i contenuti attribuiti a piano strutturale e regolamento urbanistico sono uno degli aspetti rilevanti da trattare, anche alla luce degli insostenibili tempi complessivi richiesti per l’approvazione di questi due strumenti. Più in generale, anche al fine di ridurre i costi e i tempi del processo di redazione, adozione e approvazione, va fatta chiarezza sui diversi contenuti necessari dei piani, sulle coerenze che essi debbono possedere, su quali siano le previsioni effettivamente conformative dell’uso dei suoli, su quali siano le previsioni a decadere e quando, e così via, con l’obiettivo di riuscire a declinare la complessità delle procedure in relazione diretta (e non indifferente o addirittura inversa) rispetto alla complessità della trasformazione previ-

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sta. Di sicuro lo scenario prossimo venturo vedrà una ulteriore contrazione delle risorse pubbliche, personale incluso, e la crescente necessità di assumere decisioni corrette in tempi rapidi, distinguendo in modo chiaro ciò che compete al pubblico, in nome degli interessi collettivi, e ciò che invece attiene al ruolo e alla responsabilità del privato, dal professionista all’imprenditore fino al singolo cittadino. Ovviamente una buona norma, che riduca gli ambiti di discrezionalità interpretativa, è condizione necessaria, ma non certo sufficiente a garantire pratiche più virtuose. È essenziale una cornice di senso, collettivamente condivisa, entro la quale le norme sono agite dai diversi soggetti. Relativamente alla ricerca di un linguaggio comune, tra i diversi livelli istituzionali e i diversi ruoli, per definire gli aspetti problematici ed elaborare soluzioni il più possibile condivise, devo dire che l’esperienza della conferenza paritetica interistituzionale, composta da rappresentanti dei Comuni, delle Provincie e della Regione, più volte riunita da un anno a questa parte in relazione a osservazioni dei tecnici regionali non recepite in modo soddisfacente da alcuni Comuni nell’approvazione dei rispettivi piani, ci ha fatto empiricamente condividere molti aspetti, e ciò rappresenta un buon punto di partenza. Certo è che l’intero impianto normativo in materia di governo del territorio risponde ancora, di fatto, a una logica di sviluppo concepito come espansione urbana, anziché manutenzione, miglioramento e rigenerazione innanzitutto delle urbanizzazioni che già ci sono, nonostante

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i richiami di principio contenuti anche nella legge 1 a questo riguardo. Con la parte relativa alla rigenerazione urbana contenuta nella legge 40/2011 abbiamo inteso dare un primo segnale in questa direzione, cercando di rendere più snelle le procedure richieste per intervenire nelle aree degradate già urbanizzate, rispetto a quelle previste per le espansioni in territorio agricolo. Nelle modifiche alla legge 1 cui stiamo lavorando si tratterà di trovare dispositivi adeguati per garantire che la priorità da attribuirsi al recupero e ai nuovi interventi in aree già urbanizzate non rimangano solo principi, di fatto smentiti dalle continue previsioni di espansione in aree agricole. Credo comunque che gli eventi meteorici estremi, che con sempre maggior frequenza vanno manifestandosi, ci richiederanno nel medio termine ben altre modifiche alla logica e dunque anche alle norme di governo del territorio di quelle fin qui trattate. A tale riguardo, mi sembrano significative le proposte in materia di governo del territorio e difesa dal rischio idraulico contenute nella PdL finanziaria per il 2012 di recente trasmessa dalla Giunta regionale al Consiglio. L’incertezza di ciò che ci attende in un futuro relativamente prossimo richiederà sempre più non soltanto un linguaggio comune, ma conoscenza e consapevolezza condivisa di ciò che è utile e possibile fare, e di come debba essere fatto, a partire dal diverso punto di osservazione che ognuno di noi ha rispetto al territorio, ai suoi problemi e alle sue opportunità.


Gli strumenti

Pianificazione: problemi e opportunità

Invarianti e risorse essenziali: verso una definizione condivisa

Aree a pianificazione differita: privati in gara per la qualità pubblica

di Graziella Beni, già dirigente Comune di Sesto Fiorentino

di Sabrina Sergio Gori, sindaco del comune di Quarrata

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e vogliamo comparare le disposizioni inerenti alle Invarianti e alle risorse essenziali contenute nei diversi livelli di pianificazione e negli atti di governo - assumendo ad esempio il PIT regionale, i PTCP di Prato e Grosseto, i PS di Grosseto e Prato, nonché il RU di Prato - occorre avere presenti alcune cose: - la costruzione del quadro conoscitivo riferito al territorio da pianificare, si riconduce a una attività di analisi che, per sua natura, ha un carattere di prevalente neutralità; - il riconoscimento delle risorse essenziali si riconduce invece a una attività di valutazione da cui, a sua volta, deriva il riconoscimento dei valori identitari, dei caratteri distintivi di un determinato territorio. Un’attività quindi che, intersecando le scelte di politica territoriale, è già in grado di rappresentare l’idea di territorio che si intende tutelare e promuovere; - l’identificazione delle invarianti strutturali, infine, si riconduce ad una vera e propria attività di progettazione. Per questo occorre articolare specifiche condizioni d’uso da far confluire nel più generale quadro dispositivo di cui si sostanzia lo Statuto del piano. Ciò premesso, la comparazione dei casi analizzati ha consentito di evidenziarne i punti che sono da considerarsi di forza e di debolezza.

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l Comune di Quarrata, vista la crescita demografica e la necessità di salvaguardare il consumo del suolo, ha introdotto dal 2008, nel nuovo Regolamento Urbanistico, le Aree a Pianificazione Differita: uno strumento che lega il diritto a edificare alla qualità del costruito e al suo ritorno in termini di utilità pubblica. Con questa scelta si è voluto incentivare uno sviluppo sostenibile, insieme a un arricchimento del patrimonio pubblico, dei servizi e di quanto è capace di elevare la qualità di vita, staccandosi da una logica basata sul “far cassa” con le entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione. Con i nuovi principi introdotti, l’amministrazione ha fatto in modo di non premiare solo alcuni fortunati proprietari di terreni idonei a divenire edificabili, ma chi presenta il progetto migliore in termini di qualità e solidarietà a vantaggio dell’intera città. Le Aree a Pianificazione Differita sono porzioni di territorio comunale non urbanizzate, ma potenzialmente suscettibili di accogliere nuove urbanizzazioni e rispetto alle quali il Regolamento Urbanistico non attribuisce potenzialità edificatoria, ma si limita a stabilire le modalità con cui queste potranno divenire edificabili in futuro: ovvero attraverso una procedura di gara, comparativa e competitiva, basata su parametri approvati dal Consiglio Comunale per far emergere le proposte migliori e meritevoli.

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Urbanistica

Invarianti e risorse essenziali: verso una definizione condivisa

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ome punti di forza emergono l’affermarsi di una comune metodologia pianificatoria: dal riconoscimento delle risorse di un territorio a quello dei suoi connotati identitari per giungere alla statuizione di regole d’uso; l’individuazione di invarianti strutturali come scelte del progetto di tutela e valorizzazione del territorio, non come declaratorie di vincoli; il riconoscimento delle risorse e l’individuazione delle invarianti strutturali come percorso di accreditamento del PTCP rispetto al PIT, così come del PS rispetto al PTCP. I punti di debolezza, invece, si trovano nella proliferazione di declaratorie, definizioni, obiettivi fra loro intersecanti e sovrapponibili; il livello di scarsa incisività normativa laddove le risorse e le invarianti si riferiscono a valori immateriali (sociali, economici, culturali); la difficoltà del controllo del rispetto dei princìpi, se non tradotti in specifiche regole d’uso agganciate a “ingredienti” territoriali. Quali dunque gli auspicì che se ne possono ricavare ai fini della ridefinizione del quadro dispositivo regionale? 1. Favorire una pianificatoria sostenibile sotto il profilo economico (rispetto ai costi), sotto il profilo tecnico (rispetto a difficoltà interpretative) e sotto il profilo dei tempi (rispetto a fasi di elaborazione, di partecipazione, di valutazione e approvazione). 2. Tendere ad una semplificazione delle definizioni, a vantaggio della loro chiarezza ed incisività. 3. Accentuare nello strumento di pianificazione, la separazione tra la parte del quadro conoscitivo (fondativo delle scelte di piano) e

dell’esplicitazione di obiettivi, declaratorie, direttive, e quella dispositiva, volta ad incidere sulle condizioni poste alle trasformazioni del territorio (possibili e/o auspicate). 4. Puntare a definire una disciplina del territorio costruita su regole “materiali” riscontrabili, strettamente proporzionate al territorio da pianificare e rispondenti a scelte di priorità. Una disciplina rappresentativa della politica di governo del territorio, che si rapporta direttamente, da un lato, alla necessità di controllare le pressioni alle trasformazioni – esercitate dall’epoca di riferimento – e, dall’altro, di adottare le azioni di sviluppo virtuoso che si rendano più opportune. 5. Sistematizzare la restituzione dei quadri conoscitivi degli strumenti di piano sulla base di una piattaforma comune, predefinita e condivisa nelle specifiche tecniche e nelle convenzioni grafiche (legende concordate). Ciò al fine di evitare un eccesso di tematismi (con aggravio di costi e difficoltà di interconnessione dati), consentire la possibilità di implementazioni specifiche e dilazionate nel tempo e, non ultimo, favorire il confronto di piani diversi e l’apporto conoscitivo di area vasta. Agli enti sovracomunali spetterà il compito di sviluppare specifiche tematiche quali paesaggio e ambiente, mobilità, polarità a valenza economica. 6. Riunificare, infine, le competenze di valutazione e di controllo, in primis quelle riferite alla tutela idraulica.

Aree a pianificazione differita: privati in gara per la qualità pubblica

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uesta nuova procedura si basa sull’equità, perché non si assiste più alla presenza di poche aree “benedette dalla sorte” ma a una competizione aperta a molti; sulla qualità, che diventa il parametro fondamentale per la valutazione dei progetti; e sulla solidarietà, perché si punta a garantire il massimo grado di ritorno pubblico degli interventi. Le modalità con cui si svolge la procedura, con il consiglio comunale che fissa criteri, priorità e parametri di scelta e una valutazione dei progetti da parte di una commissione tecnica, diminuiscono fortemente il rischio di inquinamento politico delle scelte, e garantiscono il massimo grado di trasparenza e di imparzialità. A fugare ogni dubbio sulla legittimità della previsione delle Aree a Pianificazione Differita è intervenuta una sentenza del Tar della Toscana, emessa il 14 febbraio 2011 su alcuni ricorsi nei confronti della procedura competitiva, ritenuta lesiva dei diritti dei proprietari dei terreni. In tale sede il giudice si è espresso in favore dell’amministrazione dichiarando che “la innovativa previsione di una procedura di carattere comparativo in luogo del diretto esercizio della discrezionalità amministrativa da parte della pubblica amministrazione appare funzionale al duplice obiettivo di rendere trasparenti le scelte pubbliche, attraverso la predeterminazione dei criteri valutativi, e di realizzare quanto più possibile l’interesse pubblico, in linea quindi con i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione”. E oggi, a pochi giorni dalla chiusura del secondo bando, siamo in grado di fare un bilancio e un confronto concreto fra i risultati che si sono raggiunti con la prima procedura comparativa e quelli che avremmo avuto, sulla medesima area, con l’applicazione del vecchio Piano Regolatore. In risposta al primo bando pubblicato lo scorso anno sono arrivate ben

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16 proposte di progetto: un risultato sorprendente se si pensa all’innovazione della procedura, perché significa che cittadini, professionisti e imprese hanno colto la novità rappresentata dalle APD, credendo fin da subito in questo nuovo strumento. Da una prima analisi dei dati si vede che, con il progetto vincitore, si realizzano standard, cioè opere di urbanizzazione come parcheggi, verde e attrezzature, 2 volte e mezzo superiori ai minimi del Regolamento Urbanistico e del Piano Regolatore Generale, e soprattutto superiori a quelli realizzabili utilizzando il doppio della Sul (Superficie Utile Lorda) del PRG. In più, con il progetto vincitore, si realizzano standard relativi all’istruzione che con la vecchia modalità erano solitamente monetizzati sulla base del minimo dovuto. Si realizzano anche ben 1350 mq di Sul riservati all’edilizia sociale su 5.400 mq di Sul residenziale complessiva che in altro modo, salvo in presenza di P.E.E.P., non si sarebbero mai realizzati. Lo scomputo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria viene realizzato ugualmente sia con il Piano Regolatore che con il Regolamento Urbanistico, ma, per quanto riguarda le Aree a Pianificazione Differita, questo avviene a fronte della realizzazione di opere di urbanizzazione di importo molto superiore. Non viene scomputato invece il costo di costruzione, che quindi è corrisposto integralmente. Tutto quello che prima, per essere ottenuto, aveva bisogno di incentivi occasionali (vedi gli sconti sugli oneri o i bonus volumetrici) ora è il naturale e strutturale risultato di una procedura trasparente, flessibile, replicabile. Una procedura che permette di trovare le risorse per la qualità all’interno del processo che va dalla pianificazione alla costruzione: più del 50% della rendita fondiaria è stata di fatto spostata verso ciò che è utile alla collettività.


l’analisi

Il “peso” del cambiamento di Enrico Amante, presidente Inu - sezione Toscana

Uno strumento utile, ma sulle cui potenzialità ancora c’è da fare chiarezza. Quali sono i suoi tratti essenziali? Quali i punti critici? Una panoramica su tutto ciò che riguarda la quantificazione delle trasformazioni

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l dimensionamento è la quantificazione delle trasformazioni che possono conseguire alle previsioni di uno strumento, è il “peso” delle destinazioni consentite o imposte dal piano, siano esse pubbliche o private. Si può quindi parlare di dimensionamento – nel senso di quantificazione complessiva – delle trasformazioni private, delle dotazioni pubblicistiche, di una determinata funzione. Nel sistema previsto dalla L. 1150/42 non esiste una disciplina del dimensionamento: la determinazione è rimessa alla potestà insindacabile del Comune e della Regione in sede di approvazione. La legge 1/05 istituisce un architrave solido del dimensionamento, i cui tratti fondamentali sono essenzialmente quattro. Innanzitutto, la determinazione del dimensionamento a livello strutturale comunale, per cui il dimensionamento è parte essenziale del Piano strutturale; poi l’individuazione di due voci essenziali di dimensionamento – o quantità massime ammissibili – ovvero le trasformazioni e le dotazioni pubblicistiche. L’altro punto riguarda proprio la stretta correlazione tra queste due voci: ad ogni dimensionamento delle trasformazioni deve corrispondere, infatti, un adeguato dimensionamento delle dotazioni. Infine l’ultimo punto riguarda la suddivisione del dimensionamento per UTOE, sistemi e sub sistemi. Da una lettura sistematica della legge 1/05 si possono ricavare altri due dati, di carattere sostanziale: a) il dimensionamento non concretizza il “carico massimo ammissibile” di un territorio alla luce delle risorse date, bensì il risultato conseguente alla verifica di compatibilità tra gli obiettivi politico/amministrativi di un’Amministrazione e le risorse (aria, acqua, suolo, infrastrutture, etc.); b) il dimensionamento concerne le nuove trasformazioni, non anche – salva diversa previsione del

Piano Strutturale – i mutamenti di destinazione d’uso. Il dato si ricava con sufficiente chiarezza dall’art. 53 della legge 1/05 dove il dimensionamento - che è vincolante per il Regolamento Urbanistico - attiene alle dimensioni massime degli insediamenti e delle infrastrutture. Ma soprattutto si ricava dall’art. 55 sul Regolamento Urbanistico che, nel trattare del dimensionamento dell’atto di governo operativo sulla base del quadro previsionale strategico del quinquennio, afferma che “sono dimensionate le quantità delle nuove trasformazioni elencate al comma 4 (e quindi soggette a decadenza).” Vi è una stretta correlazione tra dimensionamento e decadenza delle previsioni: le previsioni del RU che decadono, decorsi cinque anni dalla approvazione sono – quanto meno tendenzialmente – le stesse previsioni che assumono rilevanza ai fini del dimensionamento. Molte delle questioni interpretative aperte dalla legge 1/05 sono state affrontate dal D.P.G.R. 9 febbraio 2007, n. 3/R, che – in estrema sintesi – ha disposto: - l’articolazione del dimensionamento per UTOE, sistemi e subsistemi e per singole funzioni; - la necessità di un prelievo graduato nel tempo del dimensionamento, ad opera di più Regolamenti Urbanistici; - l’impossibilità di “perequazioni di dimensionamento” tra UTOE, salva diversa previsione del PS; - quantificazione del dimensionamento in mq/sul, salva la possibilità per la funzione turistico ricettiva di espressione in posti-letto; - il “ritorno” nella disponibilità del PS delle previsioni di RU prelevate e non attuate alla scadenza del quinquennio. Il Regolamento ribadisce sia la stretta correlazione tra dimensionamento delle trasformazioni e

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quantità di dotazioni, sia la natura non “statica” del dimensionamento, che è individuato in base alle risorse ma anche – e soprattutto – agli “obiettivi e indirizzi strategici” del piano. L’art. 5 del Regolamento contiene i parametri nei quali deve articolarsi il dimensionamento del PS, che deve esplicitare: - il patrimonio esistente; - i trascinamenti dal pregresso piano; - le nuove previsioni di trasformazione; - le dotazioni pubblicistiche conseguenti. Aldilà dei tecnicismi, alcuni giudizi complessivi possono essere espressi: la legge 1/05 e il D.P.G.R. 3/R contribuiscono a circoscrivere quel potere altrimenti insindacabile attribuito al pianificatore cui si accennava in incipit e oggi un giudice può essere chiamato a sindacare dei dimensionamenti di uno strumento strutturale e operativo. Non solo in caso di Amministrazioni deboli – o perché culturalmente impreparate, dotate di strumenti operativi “vecchi” oppure perché politicamente poco attrezzate – a fronte di pressioni private il dimensionamento del PS può essere un buon argine, una buona difesa. Vi sono poi profili critici: il dimensionamento è oggi caricato di troppe aspettative, di un significato che invece non sussiste: il dimensionamento di per sé è solo un dato per leggere il piano, poco dice della sua sostanza. Rileverà, piuttosto, dove sono spesi quei dimensionamenti dal Regolamento Urbanistico, se sono prelevati in coerenza con lo statuto e le strategie, se gli indici sono rari e diffusi oppure fortemente concentrati. Il dimensionamento del Piano Strutturale è poco indicativo: è un dato tra gli altri, ciò che conta è il Regolamento Urbanistico.


Urbanistica

Varianti di manutenzione, di Fabrizio Cinquini, Inu - sezione Toscana

Natura, prassi e difficoltà di modificare i Piani strutturali e i Regolamenti Urbanistici, in un sistema normativo come quello toscano, che non prevede procedimenti differenziati per tipologie di varianti, ma, di fatto, spesso vi ricorre

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ell’esperienza Toscana si può parlare solo di “cosiddette” varianti di manutenzione, perché per “norma” esse non esistono; la legge regionale non prevede procedimenti differenziati per fattispecie di varianti, siano queste al Regolamento Urbanistico o al Piano Strutturale, e pertanto qualsiasi modifica ai piani – parziale o generale – segue sempre il procedimento unico appositamente individuato. In questo quadro esistono nella prassi e nell’esperienza contemporanea alcuni “casi tipici” a cui i comuni ricorrono per la forNOVEMBRE 2011

mazione di “varianti di manutenzione” e/o di varianti parziali. Quali sono questi casi? Possiamo tracciarne una panoramica, suddividendoli in sei gruppi, in base alle situazioni in cui vi si fa solitamente riferimento. Un primo caso si ha alla scadenza quinquennale del quadro previsionale strategico, quando occorre decidere se confermare o meno previsioni urbanistiche e vincoli preordinati all’esproprio. Un altro caso è quello dell’avvicendamento fisiologico degli organi di governo, con la conseguente necessità di calibrare le strumentazione alle rinno14

vate esigenze di azione amministrativa. O ancora, all’ingresso nel “contenuto” della pianificazione di atti della programmazione utili al reperimento di risorse per l’attuazione di progettualità non necessariamente collimanti con quelle dei piani (PIUSS, Contratti di quartiere, Interreg, ecc.). Oppure, qualora insorgano problematiche gestionali che rendono non realizzabili o non applicabili le previsioni dei piani registrate nella quotidiana istruttoria delle pratiche abilitative o laddove emergano nuovi bisogni della comunità, conseguenti al fisiolo-

gico mutamento delle dinamiche sociali, che i piani non avevano adeguatamente traguardato. Infine, vi si fa riferimento anche quando, con l’attuazione del R.U., si accerta il potenziale superamento dei limiti dimensionali indicati dal Piano Strutturale anche prima della scadenza quinquennale delle previsioni. L’elenco sembra limitare l’azione manutentiva al solo Regolamento Urbanistico in quanto le variazioni da intraprendere non hanno sostanziale interrelazione con i contenuti del Piano Strutturale, anche se potrebbero richiederne la contestuale parziale variazio-


i limiti e le novità

, queste sconosciute

Occorre mantenere la barra dell’attenzione sui contenuti per sperimentare diverse e plurali modalità di formazione dei piani e delle loro varianti, ma soprattutto per arrivare alla definizione di un concreto ed efficace governo del territorio regionale ne. Al contempo la necessità di contestuale variazione del Piano Strutturale può innescare istanze di revisione generale. Posto il tema in questi termini, occorre allora esplorare quali possano essere gli strumenti e i riferimenti tecnico-disciplinari per l’individuazione del “limite” (concettuale) tra variante di manutenzione (quindi parziale) e variante sostanziale (quindi generale). Gli strumenti da utilizzare possono essere: • la relazione di monitoraggio del Regolamento Urbanistico (art. 55 c.7) con la quale il Comune effettua una verifica degli effetti

(art. 13) territoriali, ambientali, socio-economici e sulla salute umana determinati dall’attuazione del Regolamento Urbanistico; • la valutazione integrata iniziale (o il documento preliminare di V.A.S.), con la quale il comune verifica “l’entità e la rilevanza” (sul piano ambientale e strategico) della variante (art. 5 e 6 R.R.); • le attività di partecipazione, con particolare attenzione per il confronto interistituzionale e con le autorità competenti in materia territoriale e ambientale. Inoltre i contenuti da prendere in considerazione per il monitoraggio dei piani possono essere:

• la verifica dei cambiamenti intervenuti al quadro conoscitivo allestito dai piani vigenti, mediante il previo aggiornamento dei dati e la registrazione dei discostamenti rispetto ai risultati attesi dal Piano Strutturale; • la verifica (ex post) dei mutamenti intervenuti agli indicatori di monitoraggio individuati con la prima valutazione ambientale e la registrazione del discostamento rispetto a quelli previsti (ex ante), con l’individuazione delle azioni per il loro riallineamento; • la verifica del conseguimento degli obiettivi del Piano Strutturale (valutazione strategica), la definizione di ulteriori azioni per la concretizzazione degli scenari ad essi correlati, ovvero la registrazione delle “patologie” che hanno impedito il conseguimento dei risultati attesi, con l’individuazione delle azioni per il loro superamento; • il controllo di coerenza tra obiettivi individuati dalla variante e disciplina degli strumenti di pianificazione ai diversi livelli (valutazione integrata), con l’individuazione delle azioni per il mantenimento di una cooperante filiera. In questo quadro, proprio sulla scorta dell’esperienza maturata nel “fare urbanistica” in Toscana e al fine di scongiurare una latente deriva disciplinare, si può aggiungere che: • il monitoraggio non può essere confuso con la determinazione dei quantitativi residui disponibili conseguenti alla perdita di efficacia del Regolamento Urbanistico, né con la verifica dello stato di attuazione dei piani, in quanto operazione meramente contabile; • le motivazioni che spingono alla revisione generale dei piani 15

non possono essere ridotte al solo riscontro contabile di corrispondenza tra i dimensionamenti di Piano Strutturale e Regolamento Urbanistico, ma devono riferirsi alla valutazione complessiva di come lo stesso Regolamento Urbanistico (qualora mantenuto) sia in grado di “tenere il passo” e di assicurare il perseguimento delle strategie del Piano Strutturale; • i Piani Strutturali (anche precedenti alla seconda riforma) hanno quindi il “diritto di sopravvivenza”, anche in un quadro di variazioni conseguenti alla manutenzione dei Regolamenti Urbanistici, fino a quando non si manifestano istanze di variazione degli orizzonti “statutari” e/o “strategici” che sottendono allo stesso Piano Strutturale. Quanto sinteticamente elencato, spostando l’attenzione dal procedimento al processo, connota un approccio “propositivo” proprio delle discipline urbanistiche e colloca al centro delle questioni la “visione” (evidentemente artigianale, creativa, ma al contempo metodologicamente rigorosa) che devono assumere il pianificatore e il decisore. In conclusione occorre mantenere la barra dell’attenzione sui contenuti, utilizzando propriamente gli attrezzi del mestiere, facendo in modo che l’approccio processuale dato dalla L.R. 1/2005 (il giusto procedimento) continui ad essere una grande opportunità per la sperimentazione di diverse e plurali modalità di formazione dei piani (e delle loro varianti), ma soprattutto per la realizzazione un concreto ed efficace governo del territorio regionale.


Urbanistica

Il Piano Complesso d’intervento

di Elisa Spilotros, responsabile Gestione del Territorio Comune di Rignano sull’Arno

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l Piano complesso d’intervento, che ha rappresentato un istituto nuovo nella legislazione toscana, è un atto di governo del territorio facoltativo per il comune, nel caso in cui il piano strutturale non ne preveda esplicitamente il suo ricorso. Il Piano complesso d’intervento è obbligatorio invece nel caso in cui il piano strutturale preveda esplicitamente il ricorso ad esso, per l’attuazione delle trasformazioni territoriali di cui all’art. 53, comma 4 lett. b. Con tale atto di governo, disciplinato dagli articoli 56 e 57 della L.R. 1/05, la giunta comunale, in conformità al piano strutturale, individua e mette in atto, per tutta la durata del proprio mandato politico, le trasformazioni del territorio che ritiene di compiere e che per la loro complessità e rilevanza necessitano di una esecuzione programmata di interventi pubblici e privati.

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Di questo strumento le amministrazioni comunali apprezzano il carattere flessibile, perché si pone sia come piano attuatore delle strategie del piano strutturale, al pari del regolamento urbanistico, sia come piano attuativo di previsioni del regolamento urbanistico. D’altro canto, il Piano complesso d’intervento presenta alcuni limiti. a) La sua efficacia è limitata alla permanenza in carica della giunta comunale che l’ha promosso e si intende prorogata non oltre i diciotto mesi dall’entrata in carica della nuova giunta comunale, salvo diversa determinazione del Comune. b) Il Piano cessa se, entro il termine dei diciotto mesi di cui sopra, non siano stati richiesti i permessi di costruire, ovvero non siano stati approvati i conseguenti progetti esecutivi delle opere pubbliche o i relativi piani attuativi previsti. c) Nel caso in cui siano consentiti piani d’iniziativa privata, la perdita di 16

efficacia si produce se non sia stata stipulata, entro lo stesso termine, la relativa convenzione, ovvero se i proponenti non abbiano formato un valido atto unilaterale d’obbligo a favore del comune. Le amministrazioni comunali hanno scelto di utilizzare il Piano complesso di intervento in modi diversi a seconda delle singole esigenze. I comuni che hanno avuto l’esigenza di attuare con urgenza interventi di riqualificazione urbana molto importanti, senza aspettare l’approvazione del regolamento urbanistico, hanno utilizzato il piano complesso in diretta esecuzione delle strategie del piano strutturale. I comuni, invece, che non hanno potuto dettagliare nel regolamento urbanistico le complesse trasformazioni di importanti parti del territorio, hanno rimandato al Piano complesso di intervento l’attuazione di tali trasformazioni, in diretta esecuzione del regolamento urbanistico. I comuni di Campi Bisenzio e di Sambuca Pistoiese, ad esempio, prevedono l’attuazione di tutte le nuove trasformazioni territoriali attraverso i Piani complessi di intervento, in diretta esecuzione del regolamento urbanistico, mentre i comuni di Arezzo, Siena e Forte dei Marmi, prevedono l’attuazione delle nuove trasformazioni territoriali direttamente dal piano strutturale. Il Piano complesso d’intervento è dunque un atto di governo del territorio che consente ai comuni di attuare trasformazioni importanti, complesse, singolari; impone alle amministrazioni una programmazione stringente; ricorre a strumenti di evidenza pubblica per la partecipazione dei privati. Tuttavia esso nasconde due rischi rilevanti: il primo è la possibile sovrapposizione di due normative dello stesso rango (NTA del RU ed NTA del PCI). Il secondo è la possibile attuazione episodica di importanti interventi di trasformazione territoriali con carattere strategico, non ricompresi nell’organica pianificazione del regolamento urbanistico. Le recenti modifiche alla legge regionale n.1/2005 hanno introdotto un’ulteriore procedura, finalizzata a promuovere “Interventi di rigenerazione urbana”. Pertanto è auspicabile, alla luce delle esperienze fatte, una riflessione intorno agli atti di governo del territorio attuativi delle scelte strategiche dei piani strutturali, finalizzata a semplificare e a eliminare i rischi sopra citati. Pertanto, nell’ipotesi di una modifica alla l.r. n.1/2005 e dunque di un ripensamento dei “piani di mezzo”, è necessario che la nuova disciplina riesca a coniugare la certezza della programmazione urbanistica con l’inatteso, l’urgente, l’eccezione.


le misure

L’applicazione delle salvaguardie nel sistema toscano A livello comunale, la legge prevede salvaguardie interne al singolo procedimento pianificatorio, e un altro tipo di misure che si configurano come contenuto preciso del Piano Strutturale, e che rimangono efficaci fino all’approvazione del Regolamento Urbanistico di Francesca De Santis, Provincia di Firenze

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ella legge regionale n. 1/2005 le salvaguardie sono previste sia a livello comunale che a livello sovracomunale, come peraltro già nella l.r. 5/1995. Le norme di riferimento delle salvaguardie di livello comunale sono due: l’art. 53 e l’art. 61. Dall’esame delle due norme si comprende che le misure di salvaguardia cosiddette ordinarie sono quelle dell’art. 61, che coincidono con quelle dell’art. 12 del Testo Unico sull’edilizia, prospettiva confermata anche dalla circolare regionale, approvata con la DGRT n. 145/2010, relativa alle misure di salvaguardia del Piano Strutturale. In relazione a queste salvaguardie ordinarie vale quindi l’elaborazione giurisprudenziale relativa all’art. 12 del Testo Unico sull’edilizia, che evidenzia la loro natura eccezionale, interinale e soprassessoria, la loro obbligatorietà, l’efficacia triennale, i presupposti e gli obblighi procedimentali di cui alla l. 241/90. Questi si applicano sia al Piano Strutturale che agli atti di governo del territorio, individuati dalla l.r. 1/2005, mentre la loro decorrenza è individuata nella data

della delibera di adozione del Piano. Rimangono efficaci fino alla pubblicazione sul Burt del piano approvato, e comunque non oltre tre anni dalla data di adozione del Piano. L’altro tipo di misure di salvaguardia di livello comunale sono quelle dell’art. 53, comma 2 lett. h). In realtà, non sono vere e proprie salvaguardie in senso stretto, non sono cioè le salvaguardie ordinarie di cui all’art. 12 del Testo Unico sull’edilizia. Sono infatti un contenuto proprio del Piano Strutturale: decorrono dall’efficacia del Piano Strutturale e permangono fino all’approvazione del Regolamento Urbanistico, decadendo comunque decorsi tre anni dalla efficacia del Piano Strutturale. In altri termini, quelle dell’art. 61 sono le salvaguardie ordinarie interne al singolo procedimento pianificatorio comunale, mentre quelle dell’art. 53 sono un contenuto preciso del Piano Strutturale da salvaguardare nel corso del procedimento di formazione del Piano Regolatore Generale delineato dalla l.r. 1/2005.

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Urbanistica

L’applicazione delle salvaguardie nel sistema toscano

L’efficacia delle misure di salvaguardia sovracomunali rimane tuttora un problema aperto, sul quale si scontrano l’autonomia comunale e le esigenze di coordinamento unitario dei livelli sovraordinati

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irca la loro natura, per comprendere la differenza tra le misure dell’art. 53 con quelle ordinarie, vanno poste in correlazione con quelle sovracomunali di cui all’art. 48, comma 4, lett. d) relative al Pit e quelle di cui all’art. 51, comma 3, lett. c), relative al Ptc. Il Tar Toscana, recentemente, è intervenuto peraltro con la sentenza n. 1294 del 2.8.2011 a chiarire bene i presupposti, lo scopo e i contenuti delle salvaguardie ordinarie dell’art. 61, precisando che soltanto il contrasto con una destinazione di zona, con la localizzazione di previsioni edificatorie, con l’indicazione di assetti insediativi o con un indirizzo della programmazione effettuata seppur non definitiva, specificato nel Piano Strutturale adottato o nel Regolamento Urbanistico in itinere, legittima la misura di salvaguardia. Illegittima, quindi, è sia la norma di Piano relativa alle salvaguardie se motivata con la necessità di un blocco generalizzato dell’attività edilizia nelle more dell’approvazione del Piano, sia il successivo provvedimento amministrativo di applicazione della salvaguardia, se non specifica espressamente il contrasto tra progetto e norma di Piano adottato, rispetto alla quale il progetto non risulti coerente. In sintesi, quindi, possiamo individuare i punti fermi nel sistema toscano delle salvaguardie di livello comunale, che si traducono in suggerimenti per la futura attività amministrativa. a) Le misure di salvaguardia non solo sono tipiche, ma devono essere anche espresse, deve cioè sussistere sia la norma di Piano che prevede espressamente le salvaguardie, sia il provvedimento dirigenziale applicativo della norma di Piano, da comunicare nel rispetto de-

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gli stessi obblighi procedimentali di cui alla l. 241/90, che valgono per l’art. 12 del Testo Unico sull’edilizia. b) Vige il limite temporale di tre anni, che ha decorrenze diverse a seconda che si tratti della salvaguardia dell’art. 61 o dell’art. 53 della l.r. 1/2005. Nel caso in cui siano scadute le salvaguardie, si ritiene peraltro possibile una nuova riadozione del Piano con nuove misure di salvaguardia, purché vi sia una nuova valutazione del Piano e una modifica che non si riduca nel mero accoglimento delle osservazioni. c) Sussiste poi un limite sostanziale-contenutistico, e cioè che la norma di Piano adottato contenente le salvaguardie non si risolva in un blocco generalizzato delle attività edilizie in attesa della successiva approvazione, ma preveda esattamente in relazione a quali destinazioni di zona o localizzazioni o indirizzi programmatori specifici si prevede la salvaguardia; mentre il provvedimento amministrativo applicativo della salvaguardia deve indicare espressamente il contrasto del progetto con le suddette previsioni adottate, non essendo sufficiente il mero richiamo alle norme di Piano. Il mancato rispetto di questo limite sostanziale-contenutistico renderà illegittimi entrambi i provvedimenti, che saranno quindi censurabili quanto meno sotto il profilo del difetto di motivazione. Venendo al livello sovracomunale, incontriamo le salvaguardie del Pit e del Ptc. Nella l.r. 1/2005 si prevedono due tipi di salvaguardie: un primo tipo che possiamo definire “salvaguardie territoriali generali”, che comprende quelle del Pit (art. 48, comma 4, lett. d); quelle del Ptc (art. 51, comma 3, lett. c); e sostanzialmente anche quelle del Piano Strutturale di cui

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all’art. 53, comma 2, lett. h). L’art. 48 e l’art. 51 prevedono che le “misure di salvaguardia sono immediatamente efficaci, a pena di nullità di qualsiasi atto comunale con esse contrastanti”. Pertanto, pur contenute in strumenti di programmazione territoriale, queste salvaguardie hanno un carattere prescrittivo e immediatamente vincolante per i livelli di governo inferiori, che sono obbligati non solo al recepimento delle previsioni tutelate dalle misure di salvaguardia nei propri atti e strumenti di pianificazione, ma anche a non emanare qualsiasi atto comunale in contrasto, pena la sua nullità. Dal che discende che tale nullità, stando alla lettera della norma, si estenderebbe anche ai titoli edilizi in contrasto con tali misure di salvaguardia sovracomunali, rilasciati nelle more dell’adeguamento del Piano Strutturale al Pit e Ptc. Questo è il punto vero di discussione che anima il dibattito intorno a tali misure sovracomunali. Ci si chiede cioè se sia legittimo che strumenti di programmazione territoriale possano contenere misure di salvaguardia che invece di rivolgersi esclusivamente ai livelli di governo sotto ordinati, imponendone il relativo recepimento, possano incidere direttamente sul territorio comunale. In base alla giurisprudenza, si può ipotizzare una modifica normativa che ammetta teoricamente le misure di salvaguardia sovracomunali immediatamente efficaci sul territorio comunale solo per funzioni proprie dell’ente, eliminando il riferimento alla nullità degli atti comunali in contrasto. Quanto alla durata, la giurisprudenza costituzionale ha affermato la durata triennale come principio fondamentale della materia contenuto nell’art. 12, comma 3, del Testo Unico sull’edilizia, valevole perciò anche per queste. Infine la seconda tipologia di salvaguardia territoriale sovracomunale, che possiamo definire “specifica”, è disciplinata con una norma di carattere generale dall’art. 26 comma 3 della l.r. 1/2005, nell’ambito della procedura per la composizione dei conflitti attraverso la conferenza paritetica interistituzionale. Dall’art. 48, comma 5, e dall’art. 51, comma 3, si ricava innanzitutto che sono obbligatorie. Anche queste misure specifiche hanno trovato un’applicazione non sempre pacifica nella prassi, creando a volte scontri istituzionali anziché comporre conflitti. In sintesi, l’efficacia delle misure di salvaguardia sovracomunali rimangono tuttora un problema aperto, sul quale si scontrano l’autonomia comunale e le esigenze di coordinamento unitario dei livelli sovraordinati. Problema sul quale il legislatore regionale potrebbe anche intervenire in futuro.


La progettazione

Costruire le città in maniera integrata di Luciano Piazza, INU - sezione Toscana

In un periodo di profonde incertezze, la chiave di volta per arrivare a definire i piani urbani deve essere la flessibilità strategica, che si affianchi a precisi contenuti statutari, all’interno di un sistema di coerenze a maglie larghe, definite dalla mano pubblica e finalizzate al bene comune

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uella di “progetto urbano” è una espressione polisemica, che esprime – nell’accezione corrente – un significato prevalente di processo, oltre che di progetto, finalizzato sia alla costruzione del percorso sia alla definizione dell’oggetto. Un percorso che dovrebbe superare i limiti del piano nella costruzione della città attraverso un progetto strategico integrato (riferito ad ambiente, paesaggio, società, urbanistica e architettura) con un processo di governo delle trasformazioni urbane che poggi sul partenariato pubblico – privato e sulla capacità di gestire i tempi delle trasformazioni. Un progetto urbano così inteso

deve riferirsi al piano strutturale (PS), che si propone di governare il territorio e, dunque, di guardare oltre l’urbanistica, con un approccio integrato capace di produrre luoghi, trovando piena espressione negli atti di governo del territorio, in primis nel regolamento urbanistico (RU), che hanno capacità di confrontarsi con le problematiche della morfologia urbana. D’altra parte, se viviamo un periodo di incertezze, il piano deve provare a confrontarsi con l’imprevedibile, introducendo nella vision, accanto a precisi contenuti statutari, adeguate dosi di flessibilità strategica, pur sempre all’interno di un sistema di coerenze a maglie larghe, definite dalla mano pubbli19

ca e finalizzate al bene comune. Il progetto urbano potrà, di conseguenza, muoversi sulla base di questa flessibilità, avendo però la certezza di rimanere all’interno del sistema di coerenze definite dal piano pubblico. In Toscana tutto questo induce alcune considerazioni. 1. Il piano strutturale riveste un ruolo fondamentale nel governo del territorio, anche perché riconosce il suo carattere profondo e lo utilizza per combinare identità e innovazione. Questo sforzo interpretativo collettivo deve essere trasfuso negli atti di governo del territorio.


Urbanistica

Costruire le città in maniera integrata

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iò vale soprattutto per gli aspetti qualitativi e, dunque, anche per la morfologia urbana. 2. Gli avvisi pubblici sono strumenti importanti per passare dalla vision all’attuazione del piano, perché contribuiscono al contenimento della rendita fondiaria e consentono la trasparenza delle decisioni. Affinché, tuttavia, sia la mano pubblica a definire il disegno della città, è necessario tradurre la vision in un disegno schematico di riferimento, organico e denso di significati, capace di determinare gli elementi strutturanti della città che rimarranno stabili nel tempo (spazi aperti, connessioni ecologiche, spazi pubblici, infrastrutture e alcune regole essenziali di carattere ambientale, paesaggistico, morfologico, dimensionale), lasciando flessibilità alle specifiche soluzioni spaziali e architettoniche. Questo disegno, una sorta di schema direttore dell’assetto urbano, potrebbe costituire il riferimento (rinnovabile) dei pubblici avvisi alla scadenza dei quinquenni di validità programmatica del RU, dando vita a un processo di governo capace di generare più soluzioni architettoniche, avendo tuttavia come riferimento una armatura urbana capace di accogliere, verificare e ordinare queste soluzioni. 3. Il RU può contribuire efficacemente alla costruzione della città pubblica se, avendo a riferimento lo schema direttore, finalizza tutte le sue capacità quantitative alla costruzione di quelle opere pubbliche che lo schema direttore individua come prioritarie, prevedendo a questo fine comparti, anche discontinui, all’interno dei quali l’incidenza economica delle opere pubbliche da realizzare a carico dei privati abbia sempre la stessa incidenza percentuale sulla rendita generata dalle previsioni di piano all’interno dei comparti. Attraverso lo schema direttore, pertanto, si potrebbero definire le opere e se ne potrebbero quantificare i costi, gettando così le

basi per pubblici avvisi mirati e perequati. 4. La definizione morfologica e funzionale della struttura urbana (il progetto urbano) rimarrebbe così nella mano pubblica, mentre i privati sarebbero chiamati alla sua attuazione. La perequazione non comporterebbe maggiori costruzioni rispetto a quelle previste dal PS, perché il RU potrebbe individuare le opere pubbliche da accollare ai privati sulla base della capacità edificatoria prelevata dal piano strutturale. 5. I comparti che scaturirebbero da questo processo guarderebbero inevitabilmente oltre i propri confini, perché concepiti per concorrere al completamento e alla qualificazione ecologica, formale e funzionale della città. Questa sarebbe infatti la mission loro assegnata dal RU. 6. Il patrimonio edilizio esistente offre opportunità di riqualificare la città, ma necessita di meccanismi e incentivi che rendano meno rigido il mercato, più snelle le procedure, più veloci

gli interventi, più convenienti gli investimenti. Le recenti modifiche alla LR 01/2005, relative alla rigenerazione urbana, tendono a questo fine, ma sembrano contenere elementi di criticità, sia nelle procedure sia nella coerenza rispetto alla strumentazione comunale di governo del territorio. Non è chiarito cosa sia il “piano di intervento”. Appare chiaro, di contro, che esso comporta variante al RU, senza essere assoggettato alla procedura di approvazione delle varianti ordinarie. Il piano di intervento, inoltre, non sembra guidato dalla amministrazione comunale, ma da una commissione giudicatrice terza, e non risulta soggetto ad adozione da parte del consiglio comunale, ma al parere di una assemblea pubblica. Le osservazioni formulate dall’assemblea non sono vagliate dal consiglio comunale, ma dalla commissione giudicatrice.

Bloccate le edificazioni nelle aree a rischio esondazioni A seguito degli eventi meteorologici che colpiscono sempre più di frequente il territorio, la Regione Toscana ritiene necessario adeguare le disposizioni in materia di governo del territorio e di difesa del suolo per una maggiore sicurezza rispetto al rischio idraulico. Le norme sono contenute negli art. 137 e 138 della pdl finanziaria 2012, approvate dalla Giunta e inoltrate al Consiglio. Nelle aree a rischio idrogeologico sono vietate nuove edificazioni o trasformazioni morfologiche negli alvei, nelle golene, sugli argini e nelle fasce laterali per una larghezza di 10 metri dall’esterno dell’argine. Vietati i “tombamenti” dei corsi d’acqua, interventi

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che comportino il restringimento o la rettificazione dell’alveo, impermeabilizzazioni del fondo, trasformazioni che possono ostacolare il deflusso delle acque. Nelle aree “a pericolosità idraulica molto elevata” – una superficie di 973 km quadrati (che riguarda 263 su 287 Comuni toscani) – è consentita esclusivamente la realizzazione di infrastrutture di tipo lineare non diversamente localizzabili, a condizione che sia garantita la realizzazione, preventiva o contestuale, di interventi di messa in sicurezza senza aggravare la pericolosità idraulica a monte e a valle.


la riflessione

I comuni e la pianificazione: tempo di bilanci di Lorenzo Paoli, dirigente Urbanistica Comune di Sandicci e Consulente Anci Toscana

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ono trascorsi quasi diciassette anni dalla riforma dell’ordinamento toscano in materia di governo del territorio, operata dalla LR 5/1995 - vera a propria svolta culturale, in termini metodologici e sostanziali, per la pianificazione territoriale e urbanistica - e forse è giunto il momento di delineare un primo bilancio degli esiti di quella riforma. È necessario, adesso, correggere alcuni aspetti dell’apparato normativo vigente e ripensare alcune scelte che hanno prodotto risultati lontani dai principi ispiratori della riforma. Soprattutto la bipartizione del piano comunale in due componenti - una strutturale/strategi-

ca e una operativa, tra loro coordinate e interagenti - introdotta per prima dalla Toscana, ha rappresentato una novità fondamentale, di assoluta avanguardia nel panorama nazionale: non a caso la LR 5/1995 ha costituito – e costituisce ancora – il modello di riferimento per tutte le sperimentazioni operate dai diversi ordinamenti regionali. L’obiettivo di fondo della riforma del 1995 era essenzialmente quello di ‘archiviare’ i PRG tradizionali - rigidamente incardinati sullo zoning e cronicamente in ritardo rispetto alle esigenze di governo delle amministrazioni comunali - con nuovi strumenti operativi permeati di consapevolezze multidisciplinari (paesag-

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gistiche, infrastrutturali, socio-economiche, geologiche, idrauliche, ecc.) e, soprattutto, rapidamente ri-modulabili in base alle esigenze emergenti, all’interno dei confini tracciati dal piano strutturale. Essendo partita per prima, la Toscana vanta – rispetto ad altre regioni – molti anni di vantaggio nel processo di rinnovamento della propria strumentazione territoriale e urbanistica. Tale rinnovamento però non si è ancora pienamente compiuto: se oggi quasi tutti i comuni toscani sono dotati di piano strutturale approvato, molti di essi non sono ancora giunti all’approvazione del loro primo regolamento urbanistico.


Urbanistica

I comuni e la pianificazione: tempo di bilanci

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uttavia, anche se il quadro non è ancora completo, sono individuabili alcuni elementi di criticità all’interno dell’ordinamento toscano. Nei primi anni di applicazione della riforma, una qualche indeterminatezza metodologica e contenutistica - scelta consapevole del legislatore regionale - era funzionale allo svilupparsi di un ampio spettro di possibili sperimentazioni, soprattutto nella redazione dei piani strutturali. A distanza di tempo, quello che per i progettisti dei nuovi piani rappresentava un vantaggio ha finito col produrre crescenti difficoltà operative, generando spesso disorientamento negli operatori e conflitti interistituzionali. A ciò si aggiunga il progressivo appesantimento degli adempimenti valutativi e procedimentali che - soprattutto negli ultimi anni - ha finito con il vanificare in larga misura gli obiettivi perseguiti dalla riforma, soprattutto per quanto riguarda l’auspicata tempestività ed efficacia degli atti di pianificazione operativa e attuativa. Da qui la necessità di affrontare alcune criticità. Per quanto riguarda il piano strutturale, un primo problema è la scarsa chiarezza sulla struttura e sui contenuti da ritenersi obbligatori; cui va ad aggiungersi la perdurante ambiguità sulla valenza effettiva del PS nei confronti del regolamento urbanistico e della disciplina dei suoli. Altri limiti possono essere individuati nella poca chiarezza sui contenuti obbligatori del regolamento urbanistico (soprattutto delle parti soggette a decadenza quinquennale), nell’inutile duplicazione dei processi valutativi (valutazione integrata e VAS) e nell’eccessivo ampliamento dell’ambito di applicazione delle verifiche di assoggettabilità a VAS. Tra gli altri aspetti da rivedere, anche la non sufficiente flessibilità del procedimento unificato, soprattutto per le attività ordinarie di pianificazione; il numero eccessivo di pareri e nulla-osta necessari per la definizione della strumentazione operativa e attuativa e, infine, il non sempre giustificato allungamento dei tempi di approvazione dei piani attuativi in zona vincolata, per effetto delle salvaguardie paesaggistiche dettate dall’art. 36 del PIT. Per ovviare alle criticità sopra evidenziate occorrerebbe razionalizzare e stabilizzare progressivamente il quadro normativo regionale, perseguendo alcuni obiettivi fondamentali.

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Tra questi, se ne evidenziano alcuni. - lo snellimento del procedimento di approvazione del piano strutturale, magari con un unico passaggio consiliare (ad eccezione delle norme di salvaguardia e alcuni contenuti di natura statutaria); - una definizione puntuale e calibrata dei contenuti del piano strutturale e del regolamento urbanistico, evidenziando con chiarezza le rispettive interrelazioni e, al contempo, la diversa valenza dei due strumenti (prescrittivo ma non conformativo il primo, conformativo della disciplina dei suoli il secondo); - un maggiore coinvolgimento e una responsabilizzazione delle varie autorità titolari di competenze di settore in fase di pianificazione generale, ovvero durante la formazione del piano strutturale e del regolamento urbanistico; - la limitazione dell’ambito di applicazione della verifica di assoggettabilità a VAS, e una razionalizzazione degli adempimenti correlati al processo valutativo, fino al superamento della ‘valutazione integrata’; - l’introduzione di un procedimento semplificato o maggior gradualità di quello unificato, per atti di pianificazione di carattere puntuale e/o con effetti irrilevanti; - una più decisa selettività del ruolo del garante della comunicazione, da rendere obbligatorio solo in presenza di strumenti e atti di pianificazione di valenza generale, lasciando facoltà di nomina all’amministrazione procedente in caso di varianti puntuali e/o strumenti attuativi;

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- la semplificazione dei procedimenti paesaggistici nelle aree “compromesse o degradate” e/o nelle parti del territorio di minor interesse paesaggistico vincolate ex lege (da attuarsi mediante approvazione del PIT con valenza di piano paesaggistico regionale) - la codificazione dei “progetti unitari” soggetti a regime di convenzionamento, da approvarsi con singola deliberazione del Consiglio Comunale; - la razionalizzazione e gradualità delle prescrizioni in materia di sicurezza idraulica, per gli interventi di riorganizzazione e riqualificazione di territori già edificati; - la gradualità delle sanzioni per difformità edilizie risalenti nel tempo; - l’alleggerimento, almeno parziale, dei numerosi adempimenti extradisciplinari che negli ultimi anni hanno appesantito il processo di formazione dei titoli edilizi. Sarebbe importante, poi, procedere con decisione a una progressiva unificazione a livello regionale della terminologia tecnica in materia di governo del territorio, a cominciare dai parametri urbanistici ed edilizi. Al riguardo è auspicabile che la proposta di regolamento elaborata da Anci Toscana e dalla Sezione Toscana dell’INU - con il fattivo contributo delle Federazioni regionali degli Ordini professionali degli Architetti, degli Ingegneri, dei Geometri e dei Periti Edili - possa essere quanto prima portata all’approvazione del Consiglio Regionale.


i modelli

Problemi attuali e possibili sviluppi della perequazione di Gian Franco Cartei, Università degli Studi di Firenze

Ancora poco affermata, la perequazione rappresenta un modello di gestione del territorio vantaggioso e dalle molteplici declinazioni. Consensualità tra pubblico e privato, ripartizione di vantaggi e oneri. Tanti sono i suoi punti di forza, ma ancora la legislazione in materia è lacunosa

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eppur prevista da numerosi ordinamenti regionali, la perequazione urbanistica non è riuscita finora ad affermarsi appieno nel panorama dell’urbanistica contemporanea. Esistono, tuttavia, nuovi fattori destinati a costituire una forte spinta all’adozione del modello perequativo. Da un lato la crisi del modello tradizionale di pianificazione, dall’altro, la crisi finanziaria degli enti locali, rappresentano fattori convergenti per la ricerca di nuovi modelli di gestione territoriale.

Occorre poi tenere a mente i vantaggi che il modello perequativo propone: la consensualità in luogo delle scelte unilaterali dell’amministrazione territoriale; il ricorso a modelli partenariali; la realizzazione di un patrimonio pubblico senza oneri finanziari e conflitti politici. La finalità della perequazione è nota: permettere a tutti i soggetti coinvolti di condividere vantaggi e oneri. In nome, infatti, dell’indifferenza dei proprietari dei suoli interessati dalle trasformazioni urbanistiche,

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la capacità edificatoria è attribuita in modo proporzionale tra i proprietari delle aree, in ragione delle loro caratteristiche oggettive. Quindi, una frazione dei risultati dell’attività di trasformazione è conferita anche ai proprietari delle aree destinate a rimanere non edificabili, e la cessione dei diritti edificatori comporterà la cessione delle aree che le amministrazioni intendono adibire a opere o servizi per la collettività. La perequazione rappresenta un paradigma con numerose varianti.


Urbanistica

Problemi attuali e possibili sviluppi della perequazione

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titolo esemplificativo si rammenta la perequazione pura che si ha con l’omogenea attribuzione volumetrica tra i suoli su cui si concentrano le trasformazioni e le aree non modificabili per ragioni di scelta urbanistica; la perequazione “infrastrutturale” che si ha quando esiste un’acquisizione di aree senza oneri per l’amministrazione, che concentra le volumetrie assentite nelle aree di trasformazione; la perequazione d’ambito che si ha quando il piano individua le aree entro perimetri determinati e affida al piano attuativo il compito di ripartire tra tutti i proprietari la capacità edificatoria e gli oneri correlati mediante un unico indice territoriale; la perequazione estesa che si verifica allorché è coinvolto l’intero territorio regionale mediante la distinzione tra “aree di partenza” e “aree di atterraggio”. Nuoce all’affermazione della perequazione quale tecnica di governo del territorio un quadro giuridico tuttora lacunoso. Basti pensare alla mancanza di una espressa previsione legislativa statale e alla conseguente incertezza sulla tenuta di un istituto che non sembra potersi affidare unicamente ai vecchi istituti della legge del 1942. In gioco, infatti, c’è il rispetto della riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost. e dei corollari della giurisprudenza costituzionale sul diritto di proprietà, nonché la materia dell’ordinamento civile affidata dall’art. 118 Cost. alla competenza statale esclusiva. In ogni caso, anche con la perequazione, l’amministrazione è destinata ad essere non un semplice regolatore, ma il titolare della pianificazione, cui è affidato il compito di promuovere e concludere l’ampia fase del consenso tra tutti i soggetti coinvolti nel processo perequativo. La Regione Toscana ha una disciplina sulla perequazione in seno alla legge n. 1 del 2005. L’art. 60, primo comma, prevede che: “La perequazione urbanistica è finalizzata al perseguimento degli obiettivi individuati dagli strumen-

ti della pianificazione territoriale e alla equa distribuzione dei diritti edificatori per tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti di trasformazione urbanistica”. In particolare, se al piano strutturale spetta l’indicazione di indirizzi e obiettivi generali, al regolamento urbanistico (art. 55, comma 4, lett. h) e al piano complesso d’intervento spettano (art. 56, comma 2, lett. e) le scelte in concreto adottate in materia dall’amministrazione. Il modello perequativo tracciato dalla legge del 2005 è stato definito dall’art. 16 del D.P.G.R. 9 febbraio 2007, n. 3. Una valutazione complessiva della disciplina colloca l’esperienza toscana all’interno del modello di riferimento della pianificazione territoriale. La perequazione costituisce, infatti, una tecnica di piano meramente complementare (e facoltativa) alla zonizzazione. Destinata ad at-

tuarsi nella fase attuativa delle scelte di piano, si configura, altresì, quale perequazione a posteriori e parziale in quanto riferibile unicamente a singoli tessuti territoriali denominati comparti. Infine, in quanto riferita ad ambiti determinati, rappresenta una perequazione di volumi, giacché produce un’edificabilità effettiva e immediata sulle aree destinate alla trasformazione territoriale. Seppur affidata saldamente alle leve della pianificazione urbanistica, anche in Toscana l’efficacia della tecnica perequativa resta affidata all’esistenza di condizioni come la costante attività di promozione e vigilanza da parte dell’amministrazione, la presenza di personale qualificato di parte pubblica e privata, e un rapporto di equilibrio sostanziale tra benefici pubblici richiesti e benefici privati garantiti.

I nomi Enrico Amante, avvocato, presidente Inu - sezione Toscana Graziella Beni, già dirigente Comune di Sesto Fiorentino Gian Franco Cartei, professore ordinario di diritto amministrativo Università degli Studi di Firenze Fabrizio Cinquini, architetto, membro cdr INU - sezione Toscana Francesca De Santis, dirigente Avvocatura Provincia di Firenze Simone Gheri, sindaco di Scandicci, responsabile Urbanistica Anci Toscana

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Anna Marson, assessore Urbanistica e Territorio Regione Toscana Lorenzo Paoli, dirigente del Settore Edilizia e Urbanistica del Comune di Scandicci, consulente Anci Toscana Luciano Piazza, architetto, vicepresidente INU - sezione Toscana Sabrina Sergio Gori, sindaco del comune di Quarrata, vicepresidente vicario Anci Toscana Elisa Spilotros, responsabile Gestione del Territorio Comune di Rignano sull’Arno

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Approfondimenti

La mediazione: uno strumento in continua evoluzione di Marco Giuri e Serena Linopanti, avvocati e consulenti di Anci Toscana

Un approfondimento sulle disposizioni in materia di mediazione civile: campi di applicazione, tariffe e formazione dei mediatori

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ome ormai noto, con l’emanazione del d.lgs. 28/2010, la mediazione è ormai divenuta a tutti gli effetti legge dello Stato. Con tale decreto si è ribadita la possibilità di ricorrere alla mediazione per tutte le controversie civili vertenti su diritti disponibili ma, soprattutto, si è introdotto l’obbligo di ricorrere a tale strumento quando si incorra in una disputa avente ad oggetto una delle materie elencate direttamente all’articolo 5 del d.lgs. 28/10. Il suddetto decreto ha suscitato critiche da più parti, non tanto sullo strumento in quanto tale, quanto piuttosto sulla formulazione della legge stessa e su alcuni aspetti che, ancora a distanza di più di un anno dalla sua emanazione, restano aperti e dibattuti. Nonostante le polemiche e i contrasti dei primi mesi, il Ministero della Giustizia ha concesso la sola “dilazione” di 12 mesi per l’entrata in vigore dell’obbligatorietà nei due settori più contestati, rappresentanti buona parte del contenzioso nazionale, ovvero le liti condominiali e le controversie relative alla responsabilità in materia di circolazione di veicoli e natanti. Successivamente, le lamentele mosse nei confronti del d.lgs. 28/2010 sono state in parte ascoltate e, con l’approvazione del decreto 6 luglio 2011 n. 145 – pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 agosto 2011 – si sono introdotte modifiche e integrazioni allo scopo dichiarato di apportare correttivi utili al miglioramento dello strumento. La portata normativa è di indubbio rilievo e le novità introdotte possono essere così brevemente riassunte. Per quanto concerne il procedimento di mediazione, il succitato decreto prevede che ciascun Organismo di mediazione accreditato presso il Ministero della Giustizia, nel proprio regolamento di procedura, debba indicare i criteri inderogabili per l’assegnazione delle controver-

sie ai mediatori, che dovranno innanzitutto rispettare le competenze professionali di ciascun mediatore. Non solo. Il Regolamento degli Organismi di mediazione dovrà altresì prevedere che, nel caso in cui la mediazione si configuri come condizione di procedibilità, il mediatore proceda allo svolgimento dell’incontro, anche in caso di mancata adesione della parte chiamata in mediazione. Affinché la condizione di procedibilità possa dirsi soddisfatta, quindi, non sarà sufficiente un verbale di mancata partecipazione redatto dalla Segreteria dell’Organismo, ma sarà necessario che la parte istante si sieda al tavolo della mediazione assieme al mediatore, anche in assenza della parte invitata. In questo caso, però, sono fortunatamente state riviste anche le tariffe di mediazione; sarebbe, difatti, stato totalmente iniquo costringere la parte istante a corrispondere la cifra intera prevista dall’Organismo senza usufruire a pieno dello strumento. La riforma introdotta con il D.M. 145 ha previsto che nei procedimenti contumaciali, quando cioè nessuna delle “controparti” di quella che ha introdotto il procedimento vi prende parte, l’importo massimo delle spese di procedura per ciascun scaglione deve essere ridotto ad euro quaranta per il primo scaglione e ad euro cinquanta per tutti gli altri scaglioni. Ma questa non è l’unica novità in tema di tariffe. Nei casi in cui la mediazione è prevista come condizione di procedibilità, l’importo massimo delle spese di mediazione per ogni scaglione deve essere ridotto di un terzo nel caso in cui la controversia rientri nei primi sei scaglioni, mentre ridotto della metà per i restanti, ossia per controversie di valore superiore a 250.000,00 euro. Con questa previsione il Ministero della Giustizia ha risposto all’esigenza da più parti espressa in questi mesi di ridimensionare i costi della mediazione soprattutto quando le parti sono ob-

bligate a ricorrervi. Un ulteriore incentivo alla riduzione delle tariffe è stato introdotto consentendo che anche gli Organismi costituiti da enti pubblici possano derogare i minimi tabellari previsti dal D.M. 180/2010. Ciò nell’ottica di garantire una reale concorrenza tra organismi pubblici e privati a beneficio dei fruitori del servizio. Inoltre, nel caso in cui il valore della controversia non sia determinabile o vi sia una notevole divergenza tra quanto dichiarato dalle parti, l’Organismo avrà la facoltà di stabilire il valore di riferimento, che non potrà superare i 250.000,00 euro. Nel caso in cui, a conclusione del procedimento, risulti un diverso valore della controversia rispetto a quello stabilito dall’Organismo, lo scaglione applicabile sarà quello corrispondente all’effettivo valore e si dovrà prescindere da quello presunto dall’Organismo. Un’ultima importante novità introdotta ad opera del D.M. 145/2011 riguarda l’obbligo di formazione e di aggiornamento dei mediatori. Ferma restando la previsione riguardante il possesso di una formazione specifica e di uno specifico aggiornamento biennale, il succitato decreto

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ha introdotto l’obbligo per i mediatori di partecipare e assistere ad almeno venti incontri di mediazione, svolti presso Organismi iscritti nel registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. Si tratta del c.d. tirocinio assistito, che consente al mediatore formato sui principi teorici, di acquistare esperienza “sul campo”, altrettanto importante per una soddisfacente conduzione dell’incontro di mediazione. L’unica pecca di questa nuova disposizione è l’aver previsto tale tirocinio nella fase di aggiornamento biennale e non in quella iniziale in cui è prevista una formazione teorica indispensabile per accedere alla professione di mediatore. All’obbligo del mediatore di assistere ad almeno venti incontri di mediazione corrisponde lo speculare obbligo per gli Organismi di mediazione di consentire gratuitamente lo svolgimento dell’attività di tirocinio assistito, introducendo tale possibilità nei Regolamenti di procedura interni. Tale previsione porrà per gli Organismi diversi problemi organizzativi, soprattutto dovuti a contemperare tale obbligo con la necessaria efficienza del procedimento di mediazione.


Conversazioni con l’aborigeno. Note sulla comunicazione pubblica Se io ho questo nuovo media: la possibilità cioè di veicolare in un microsecondo un numero enorme di informazioni, mettiamo caso a un ‘abboriggeno’ dalla parte opposta del pianeta. Ma il problema è: Abboriggeno, io e te, che c… se dovemo di’? C. Guzzanti

A cura di Marcello Bucci

A proposito di partecipazione e nuove tecnologie

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isale al 1947 la prima formulazione del concetto di centralità del cittadino nella relazione con lo Stato (art.2 della Costituzione italiana), un concetto per molto tempo rimasto tale perché una mentalità burocratica ha ostacolo l’affermazione nella PA di una cultura della comunicazione che per lungo tempo è stata invece collegata all’affermazione delle dimensioni passiva e riflessiva del diritto alla manifestazione del pensiero. Oggi grazie all’evoluzione del web sociale e alle tecnologie che lo esaltano come modello, si ha la netta sensazione che i cittadini possano contare di più, possano essere influenti e possano decidere sul miglioramento del sistema. È il digitale che amplia l’esercizio di alcuni diritti (partecipazione, informazione, interazione) che già ieri si possedevano ma che oggi più di ieri possono essere pienamente esercitati. Eppure il problema di come la tecnologia digitale può estendere il concetto di cittadinanza o del perché non ha trovato una piena realizzazione rimane ancora irrisolto. Negli ultimi anni c’è stato, nel quadro dell’applicazione delle nuove tecnologie, un progressivo slittamento da un loro uso nativo finalizzato a migliorare la partecipazione dei cittadini nei processi democratici ad un loro minimizzato impiego per migliorare l’efficienza dei processi interni, riducendo così le potenzialità delle reti informatiche ad un mero strumento per l’erogazione di servizi e l’ammodernamento della PA piuttosto che come strumento per creare uno spazio di partecipazione politica. Quasi un progressivo successo del concetto di e-government a scapito di quello di e-democracy che ha portato con sé non poche conseguenze: dall’equiparazione del concetto di cittadino a quello di puro consumatore/utente (focus sui servizi

offerti piuttosto che sul concetto di cittadinanza), all’aumentato potere attribuito ai manager pubblici a scapito dei politici eletti. Per pensare ad un governo elettronico centrato sul cittadino partecipante, i decisori politici prima di avviare qualsivoglia sperimentazione dovrebbero interrogarsi sul ruolo del sistema nel processo democratico (cioè cosa possono fare i cittadini con il sistema e fino a che punto possono influenzare le decisioni pubbliche prendendo parte al processo decisionale del governo democratico attraverso discussioni di atti e/o problemi riguardanti la comunità); sullo status di identità dei partecipanti; sulla forma e sul grado di partecipazione di amministratori e leader politici al sistema (obbligatoria con vincoli di risposta in tempi certi o volontaria); all’esistenza di problemi di digital divide; al grado di efficacia delle soluzioni individuate per stimolare la partecipazione della popolazione. Affrontando il problema dell’efficacia di questi sistemi in termini di partecipazione, si può sostenere che solo quando un sistema ha successo nel creare una sfera pubblica di discussione, allora è possi-

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bile assumere con certezza che ha influenzato in modo significativo la partecipazione in una comunità. È però necessario ricordare che la massima realizzazione di tali strumenti si ha quando con il loro uso si fondano le basi per la creazione di comunità on line disposte ad incontrasi off line e promuovere partecipazione politica faccia a faccia, e viceversa. È questo probabilmente il cuore del problema della partecipazione, perché senza la creazione di forme di interazione con la comunità off line, la comunità on line difficilmente riuscirà a creare una sfera pubblica capace di influenzare le scelte politiche di governo. Per avere dunque una vera PA 2.0 diventa fondamentale passare dalla cultura del procedimento a quella del servizio a valore. L’e-government con il dialogo, la comunicazione e favorendo la partecipazione è stata capace di avvicinarsi al cittadino, ma ciò non basta perché il cittadino digitale oggi desidera incidere nel cambiamento, vuol essere partecipe nella costruzione dei servizi che impattano con il suo benessere. Non basta aprire pagine su Facebook o canali su Youtube o streaming su Twitter. 26

La PA 2.0 non può che essere una rete sociale fatta di partecipazione attiva e dinamismo interattivo, capace di osservare costantemente le dinamiche sociali. Uno dei difetti dell’approccio esclusivamente tecnologico della prima fase dell’e-government è stata la mancata attenzione ai soggetti destinatari dei servizi e alle loro modalità culturali ed emozionali di approccio a questi ultimi. Un ulteriore problema inerente alla realizzazione e gestione di siti Web (anche quelli della PA) riguarda la qualità degli stessi in termini di organizzazione, usabilità e accessibilità. Sono sempre stati questi gli elementi che hanno determinato il successo o l’insuccesso di ogni iniziativa di comunicazione pubblica on line che ancora una volta non può prescindere da una corretta identificazione delle tipologie di pubblico al quale ci si rivolge. È indispensabile che vi sia uno sforzo per immaginare come il web sarà visto e usato dai suoi utenti una volta realizzato, tenendo conto della varietà delle caratteristiche personali, sociali e culturali dei cittadini. È secondo questo approccio che è possibile creare artefatti in cui i processi siano trasparenti all’utilizzatore affinché egli possa raggiungere i suoi obiettivi con il minimo sforzo. Nel design di un ambiente mediato, dunque, lo scopo non è creare una grafica accattivante che impressioni il pubblico né proporre sistemi di classificazione ineccepibili di un certo campo del sapere, bensì organizzare l’informazione in modo tale che gli utenti siano nelle condizioni di realizzare i loro obiettivi semplicemente. L’usabilità si collega dunque alla nozione di progettazione centrata sull’utente e sui suoi bisogni che pertanto devono essere correttamente identificati e formulati. bucci@comunica-online.com


DI CITTADINANZA

Un Nuovo Mediterraneo P

er anni le politiche internazionali, e soprattutto europee, hanno guardato al Mediterraneo come una sorta di crocevia di interessi economici enormi, particolarmente legati alle imponenti risorse energetiche dei paesi del Maghreb. I vari conflitti che attraversano questa area sembrano destinati a non trovare soluzione nel tempo, come se in fondo fossero funzionali a mantenere equilibri non dichiarati tra le grandi potenze. L’Europa non è stata capace di porsi in modo chiaro e determinato ai vari tavoli del mediterraneo, proponendosi sempre, soprattutto, come la somma delle singole politiche nazionali, preoccupate di mantenere attivi i diversi accordi di tipo economico, senza rivestire un ruolo da protagonista nella elaborazione di politiche attive in questa parte del mondo. L’Italia ha però una posizione particolare, strategica e delicata, per permettersi di non

avere una visione politica delle tematiche economiche e sociali che attraversano il Mediterraneo. La Toscana, nel presentare le linee guida delle sue politiche di cooperazione e sviluppo internazionale per il prossimo triennio, ha evidenziato l’importanza dell’individuare il Mediterraneo come area prioritaria di intervento e progettazione, con un’attenzione particolare proprio ai quei paesi che in questi ultimi mesi sono stati protagonisti di rapidi quanto imprevedibili processi di Liberazione Democratica. Nel sottolineare l’importanza di questa decisione mi preme evidenziare due aspetti rispetto al passato recente e al futuro. La coraggiosa scelta del presidente Rossi di proporre un modello toscano nell’accoglienza dei profughi, rifiutando l’idea di grandi centri di accoglienza a favore di un’ospitalità nei territori, nelle comunità, per piccoli gruppi, in-

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coraggiando integrazione e solidarietà, è stata vincente con risultati oltre le aspettative. Il Mediterraneo è la nostra grande scommessa per essere partecipi di scelte che in un futuro prossimo avranno ben più ampio respiro di quello riferito a quella specifica area geografica. Le politiche internazionali della Toscana sono uno strumento importante e potranno divenire, come per altri contesti, paradigma a livello nazionale ed europeo, nella misura in cui tuteleranno, incentiveranno, rafforzeranno, l’area della cooperazione decentrata e l’esperienza degli enti locali e dei territori nei progetti di solidarietà e sostegno allo sviluppo. La forza di questa scelta sarà definita dalla crescita e dai cambiamenti socio culturali che produrranno anche nelle nostre comunità. di Sauro Testi, sindaco di Bucine e coordinatore della Consulta Cooperazione e Pace di Anci Toscana


Le istituzioni

Mediterraneo di pace, libertà e dialogo di Stefano Fusi , coordinatore Tavolo Mediterraneo Medio Oriente della Regione Toscana

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profondi processi di cambiamento avvenuti nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, che sono tuttora in corso impongono all’Europa e in particolare all’Italia di ridefinire fortemente i rapporti verso quest’area, promuovere ed attivare politiche che favoriscano processi di costruzione di moderne democrazie aperte e plurali. All’interno di questi processi, lunghi e complessi, è naturale il rientro nella vita politica dei partiti islamici, messi fuori legge dalle precedenti dittature. Partiti che trovano consenso e radicamento sul territorio, inserendosi all’interno della natura più profonda delle rivoluzioni avvenute: aspirazioni universali, diritti politici, civili, sociali, ma nello stesso tempo la riaffermazione di tradizioni culturali e religiose che erano state a lungo represse. Questa realtà ci deve rendere capaci di aprire e sostenere il dialogo con le molte voci dell’islam laico e riformista, principale antidoto al rischio che questa straordinaria “primavera araba” non diventi un “inverno islamista”.Occorrono attenzione, sensibilità e differenti politiche verso le sempre più diffuse e numerose comunità islamiche presenti nei

paesi europei, perché possano sentirsi parte di una Europa multietnica e multireligiosa. Di fronte alla sfida del fanatismo fondamentalista jihadista occorre favorire al massimo la piena partecipazione e inclusione dei cittadini di origine musulmana alla vita sociale, politica ed economica. Per questo è necessaria un’opera di profonda ricostruzione del ruolo internazionale dell’Italia - che negli ultimi anni si è quasi completamente smarrito - e parallelamente l’attivazione di politiche interne sull’immigrazione completamente diverse da quelle praticate dal Governo prima in carica. I Comuni, le Province, le Regioni si sono conquistati in questi anni di lavoro, un loro spazio e un ruolo strategico, ovviamente non sostitutivo ma complementare, rispetto a quello delle istituzioni centrali, nel promuovere relazioni sociali, culturali ed economiche, creare partenariati istituzionali, realizzare attività di cooperazione decentrata internazionale, e non ultimo, nel favorire la costruzione di comunità locali inclusive e aperte “al respiro del mondo”, secondo lo straordinario insegnamento mai dimenticato di Padre Ernesto Balducci.

Una internazionalizzazione ‘responsabile’

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a cooperazione come strumento per rilanciare la crescita e lo sviluppo. Questa l’idea alla base del Piano integrato regionale delle attività internazionali della Regione Toscana che, nelle intenzioni, vuol essere non solo una operazione di razionalizzazione e più efficace coordinamento delle attività regionali sul piano dell’internazionalizzazione, ma una occasione per partecipare attivamente alla costruzione di un nuovo sistema di rapporti internazionali, per una “internazionalizzazione responsabile”che persegua pace, diritti sociali e crescita del sistema mondo. Il piano rappresenta un primo punto di convergenza verso l’integrazione delle tre programmazioni specifiche attualmente esistenti in materia di cooperazione internazionale,diritti umani e Toscani all’estero nonché in materia di cooperazione sanitaria internazionale toscana.

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Stabilisce gli obiettivi generali e specifici delle tre programmazioni, ne individua aree geografiche d’intervento e temi prioritari – in accordo con quanto stabilito dal PRS, per dare un indirizzo chiaro alle varie Direzioni Generali della Regione – e suggerisce le modalità di attuazione degli interventi (per area geografica e per progetti “paese”), stabilendo anche le risorse regionali disponibili per quella che viene definita la “proiezione internazionale” della Toscana. Tra gli obiettivi, anche la costituzione di un “Sistema toscano integrato delle Attività internazionali”, con propri strumenti di governance e concertazione che riunisca tutti i soggetti pubblici e privati interessati, che ottimizzi le risorse e valorizzi le competenze di tutti, fungendo da strumento di coordinamento e integrazione fra le iniziative di cooperazione e le relazioni internazionali con la programmazione degli in-

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terventi di promozione economica. Insomma un piano che si propone l’ambizioso obiettivo di una riqualificazione della rete di rapporti internazionali e alleanze che, nel rispetto dei governi nazionali, la Toscana sta portando avanti, andando in direzione di un maggior coordinamento e una minor frammentazione.


Cooperazione economica

Area Med: per crescere insieme di Stefano Giovannelli, Direttore di Toscana Promozione

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a crisi dei debiti sovrani e l’incerta transizione democratica di alcuni paesi arabi del Mediterraneo non devono distrarci dalle grande opportunità che i nuovi mercati dell’area Med possono riservare all’economia toscana e, più in generale, italiana. Certo, l’instabilità economico-finanziaria dell’Italia e dell’Eurozona, unita alla crisi dei valori democratici di alcune aree, potrebbero indurci al disimpegno e alla chiusura. Ma una politica di mera riduzione del deficit,

alla lunga, non porterebbe quei risultati di crescita che servono al nostro paese. Oggi più che mai è necessario mettere in atto delle misure di rilancio che stimolino lo sviluppo economico e sociale. Un rilancio che deve avere un respiro euro-mediterraneo, per sostenere le democrazie, i diritti, il dialogo interculturale e uno sviluppo umano sostenibile. La cooperazione e l’internazionalizzazione dei territori può contribuire a stringere i legami tra le democrazie e a

promuovere nuovi rapporti sociali ed economici capaci di creare occupazione, distribuire reddito e salvaguardare beni comuni. In questo contesto la Toscana, grazie alle politiche e alle capacità accumulate negli ultimi venti anni, potrà contribuire alla creazione di un Mediterraneo più pacifico e sostenibile se sarà in grado di valorizzare e rinnovare la sua azione di cooperazione e internazionalizzazione. In questo secondo ambito, in particolare, che vede la nostra Agenzia attiva da oltre dieci anni, è necessario identificare alcuni campi d’azione specifici a livello di: comparto manifatturiero; servizi pubblici locali - con particolare riferimento al settore sanitario - e innovazione tecnologica, in primo luogo quella legata alla green economy. Per questo stiamo avviando percorsi di scouting e di concertazione con il mondo economico, per individuare vocazioni e opportunità e per creare nuovi strumenti finanziari che possano agevolare lo sviluppo delle piccole e medie imprese del Mediterraneo. L’internazionalizzazione potrebbe essere favorita con l’apertura di un fondo di garanzia in loco, pensato per sostenere nuove imprese e joint venture secondo un approccio demand oriented. Una vera e propria piattaforma finanziaria per promuovere la cooperazione tra la Toscana e il Mediterraneo, che permetterebbe uno sviluppo equo ed equilibrato, contrasterebbe la disoccupazione e favorirebbe la coesione sociale. Ma soprattutto integrerebbe l’economia della regione ampliando il mercato delle nostre piccole e medie imprese che sarebbero messe in grado di affrontare le sfide della globalizzazione e di mantenere la propria competitività.

Mondo arabo, la grande opportunità di Pasquale Ferrara, Segretario Generale Istituto Universitario Europeo

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e difficili transizioni in corso in Nordafrica e nel mondo arabo prefigurano un cambiamento strutturale. Dinanzi a questo mutamento ci si può porre in due modi: tentare di “limitare i danni”, oppure vedervi una nuova opportunità. Sinora l’Europa è rimasta sospesa in un difficile gioco di equilibrio tra rischio di interferenza (negli affari interni di altri Paesi) e prospettiva di irrilevanza (per eccesso di prudenza). Vero è che in questa parte di mondo si registra un intreccio complesso di fattori geo-strategici, di tensioni legate a vecchi e nuovi radicalismi, di contrastati e contrastanti progetti egemonici, di contesti economici che devono fare i conti con

crescenti segnali di instabilità sociale, e che la crisi finanziaria globale ha reso più acuti. Il Medio Oriente è in sé stesso un sistema internazionale in scala ridotta. In effetti, tutte le questioni politiche più rilevanti, e non solo dal punto di vista internazionale, trovano in quest’area una sorta di paradigma parossistico. In essa si sperimentano - per così dire - in modo drammatico alcuni rivolgimenti dell’assetto interno ed internazionale: il rapporto tra religione e politica e, più in generale, tra convinzione e ragione, tra comunità ed individuo, tra stato e società, tra mondialità e località. Tutti i caratteri della sovranità sono coinvolti e spesso radicalmente messi in discus-

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sione: popoli, stati, territori. E allora perché non approfittare del momento “epocale” per trasformare questa complessità in un valore? La profondità dei mutamenti in corso giustificherebbe un’iniziativa politica internazionale (e soprattutto europea) di primaria importanza, che abbracciasse diversi ambiti di cooperazione: sicurezza, democratizzazione, rispetto dei diritti umani, sviluppo. Ma occorrerebbe un formato flessibile e ampio, che includesse non solo i governi, ma anche altri importanti attori interni, come le autonomie, le organizzazioni sociali, la cultura, ben oltre i paludati rituali della diplomazia classica.


Promuovere la pace

Accorciare le distanze tra le rive del Mare Nostrum di Gianluca Mengozzi, presidente Arci Toscana

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a storia della solidarietà delle Arci della Toscana con le aree progressiste delle società civili organizzate dei Paesi del Mediterraneo, è lunga e piena di eventi che hanno contribuito in maniera fattiva alla creazione di una sensibilità diffusa nel nostro territorio regionale. Basti pensare alla grande campagna “Salaam Ragazzi dell’Olivo” che tra gli anni ’80 e ’90 ha mobilitato migliaia di persone e decine di associazioni, enti locali e sindacati in azioni solidali verso i bambini palestinesi, proseguite poi con Freedom Now per migliorare le condizioni dei minori palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e con altre azioni per gli adolescenti dei campi profughi della West Bank. O alla campagna “Adotta la Pace” in favore dei minori coinvolti nelle sanguinose guerre in ex Yugoslavia, mentre in Kosovo si è lavorato sul dialogo interetnico di una regione tuttora in condizioni di estremo degrado della convivenza tra fazioni. L’azione dell’Arci si è sempre con-

traddistinta per una caratteristica che è propria di una associazione popolare di circoli e Case del Popolo, e cioè coinvolgere il proprio corpo sociale in azioni solidali che risveglino la sensibilità collettiva su chi, nel Mediterraneo, attraversa periodi di crisi o problematicità. Oltre a Palestina ed ex Yugoslavia, un’area particolarmente problematica è quella libanese. Dalla fine degli anni ’90 Arci Toscana si è dedicata, in collaborazione con Unicoop Firenze, a progetti per i bambini lavoratori del Nord Libano, azione che vedrà anche la collaborazione della provincia di Firenze. Ancora in Libano, in collaborazione con le Nazioni Unite, la Regione Toscana e reti di partenariato tra cui spiccano gli enti locali toscani (comuni di Grosseto, Siena e Prato), Arci Toscana ha gestito con successo un programma per l’istituzione degli uffici per le politiche sociali in tre comuni della cintura sud di Beirut, progetto pioneristico e senza precedenti in quel Paese

che si affaccia solo ora e con fatica al decentramento amministrativo. Ancora in un’ottica di rafforzamento degli enti locali libanesi e di sinergia tra terzo settore e istituzioni, Arci coordina un progetto che, con la partecipazione della Provincia di Siena, la Regione Toscana, l’Università di Firenze e la Fondazione Monte dei Paschi, intende sviluppare modelli di gestione turistica di aree di interesse

naturalistico e culturale nel nord del paese. Progetti portati avanti con poche risorse, spesso frutto di sottoscrizioni popolari: un lavoro denso, con reti di enti toscane e dei paesi mediterranei, in cui i territori dialogano e creano ponti di conoscenza, pace, amicizia e collaborazione, accorciando la distanza tra le rive del nostro mare e combattendo pregiudizio e intolleranza.

Il dialogo è il miglior alleato per una cultura della comprensione tra civiltà Colloquio con Zouheir Touiti dell’Institut Superieur de Sciences Humaines di Tunisi, a cura di Sara Denevi

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l centro della prima giornata del meeting sulla cooperazione internazionale della Regione Toscana dello scorso ottobre si è collocato il tema dei grandi movimenti sociali e politici che stanno trasformando il volto dell’Africa. Dopo la rivoluzione dei gelsomini e della primavera araba, l’Europa deve raccogliere questa sfida al cambiamento. Il professor Zouheir Touiti dell’Institut Superieur de Sciences Humaines di Tunisi è intervenuto al meeting per parlare di cultura e comprensione delle civil-

tà, in questo particolare momento storico nel Mediterraneo, crocevia di culture tra Asia, Europa e Africa. “Tunisi – spiega il professore – è una città che ha in sé la derivazione araba di un nome che significa città accogliente, e mantiene una posizione cardine come territorio segnato dall’armonia con i propri vicini. È necessario utilizzare il termine armonia per segnare le tappe di un futuro volto a caratterizzare i paesi del Mediterraneo di fronte all’Europa, ancora legata al concetto di “scontro di civiltà”

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espresso da Huntington e molto caro e utilizzato dai sistemi dei media”. “Questo concetto - specifica ancora Zouheir Touiti – è obsoleto quanto pericoloso, e alimenta teorie di conflitti che non si caratterizzano per questioni economiche, ma culturali, con il timore che la civiltà occidentale cadrà a vantaggio della cultura musulmana. Purtroppo solo alcuni uomini saggi, come Kofi Annan, hanno compreso questo rischio e portato avanti il messaggio che il dialogo rappresenta la migliore cultura e il miglior terreno di com-

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prensione tra le diverse civiltà”. “È ancora erroneamente diffuso – conclude il professore – l’equiparare la religione islamica al Salafisfmo così come assimilare i tunisini religiosi ai seguaci di Al Qaeda. Non è possibile pensare che dei terroristi ci rappresentino e parlare ancora di shock di civiltà significa rappresentare lo shock dell’ignoranza.” Il 23 ottobre i tunisini hanno votato. Il partito di ispirazione islamica, An-Nahda ha vinto le elezioni e avrà il compito di completare la transizione seguita alla caduta del regime di Zine el Abidine Ben Alì.


FINANZIARIA

MEETING

VIAREGGIO

XI Meeting formativo L’impatto delle norme finanziarie sui bilanci 2012 degli enti locali Il tradizionale incontro fra amministratori, dirigenti degli enti locali, esperti, per approfondire i contenuti dei vari provvedimenti finanziari che riguardano i bilanci degli enti locali Mercoledì 18 Gennaio 2012

Viareggio Versilia Centro Congressi Principe di Piemonte


I comuni ce la stanno mettendo tutta


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