Dossier | Camorra e cemento: il Veneto orientale

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Camorra e cemento: il Veneto orientale

Venezia, 10 Febbraio 2014


Dossier a cura di Osservatorio ambiente e legalitĂ di Venezia, promosso dal Comune di Venezia e da Legambiente Veneto.


I gravi episodi accaduti a Caorle nelle recenti settimane, e denunciati dall'Osservatorio ambiente e legalità, costringono ad una riflessione sulla situazione del litorale veneziano, oggetto in questi decenni di una dissennata cementificazione che temiamo si sia intrecciata con l’operatività di organizzazioni criminali. Che le dinamiche verificate a Caorle riguardino un'area più estesa lo testimonia, se non altro quando accaduto nel 2004 al sindaco del vicino paese di Torre di Mosto, Aldo Giuseppe Lucchese, che rassegnò le dimissioni con una lettera indirizzata a tutti i consiglieri comunali spiegando di essere stato fatto «oggetto di azioni di intimidazione, nei confronti della mia persona e della mia famiglia». Le indagini non ebbero nessun risultato, ma nella zona si dà per scontato che riguardassero le intenzioni del sindaco di rivedere le previsioni urbanistiche della futura zona industriale. Carlo Mastelloni, nel maggio 2012 - da procuratore aggiunto a Venezia - con riferimento all'arresto di un gruppo di malavitosi napoletani vicini ad ambienti della camorra - oltre a un funzionario di banca e all'ex patron del San Donà Calcio - ha dichiarato non più tardi di un anno orsono: «questa operazione è un ulteriore sintomo di insediamento, più che di infiltrazione, di criminalità di tipo mafioso». L'inchiesta in questione riguardava un giro di assegni falsi, ma le parole del magistrato suggeriscono che dietro un comune reato di truffa possa essere stata identificata una realtà più complessa. Si tratta probabilmente della prima uscita pubblica in cui la magistratura antimafia veneziana abbandona il basso profilo che la ha caratterizzata finora nella denuncia della presenza mafiosa in Veneto, evocando esplicitamente la categoria dell’insediamento. Il territorio cui fa riferimento l'indagine si estende a est di Venezia, fino al confine con il Friuli Venezia Giulia: una striscia di terra che comprende sulla costa i paesi di Eraclea, Caorle e Jesolo e nell’entroterra le cittadine di Portogruaro e San Donà. Un'area caratterizzata dalle bonifiche dei primi anni del novecento e anch'essa aggredita dalla cementificazione diffusa anche se con minore virulenza rispetto al Veneto centrale. Non così la linea di costa: «i lidi veneti propongono differenti esempi di strutture turistiche esplose dopo gli anni cinquanta – denunciava il geografo Marcello Zunica - secondo canoni del tutto estemporanei”1. Negli ultimi decenni la trasformazione del paesaggio costiero del Veneto è stata costante ed inesorabile, i numeri sono impressionanti: «dei suoi 170 km di lunghezza, da Bibione a Porto Tolle, ben 61 km, ovvero il 36%, risulta essere trasformato da usi urbani ed infrastrutturali. Nel dettaglio, di questi, sono 24 i km di paesaggi urbani di alta densità, 33 i km di costa occupati da insediamenti di intensità più bassa e 4 sono occupati da opere infrastrutturali. Con l'espansione degli agglomerati urbani, costruzione di complessi turistici, case singole, ed in parte di porti ed infrastrutture, dal 1988 al 2007, sono stati cancellati 11 km di costa, cioè il 18% dell'intera urbanizzazione avvenuta in 2000 anni di storia»2. Le riviere appaiono nastri di urbanizzazione continua, non hanno nulla a che vedere con l’idea, e la qualità, originaria di città balneare. Si tratta di paesi che vivono essenzialmente in funzione della stagione balneare e che hanno conosciuto un arricchimento repentino dovuto alla crescita del valore degli immobili e dei terreni. La monocultura edilizia e turistica non ha aiutato la crescita sociale delle comunità, e questo aspetto appare evidente in modo particolare se si guarda alla gestione particolaristica della politica locale. Come ha ricordato alla commissione parlamentare antimafia, durante un’audizione svolta nel 2012, il Procuratore capo Delpino, «i primi fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’economia veneta potrebbero risalire già agli anni ’70, quando le spiagge di Jesolo ed Eraclea vedevano molteplici, e non facilmente giustificabili, passaggi di società nella proprietà degli alberghi». Secondo il questore Lorenzo Cernetig – leggiamo dal resoconto stenografico audizione alla Commissione parlamentare antimafia del 7 aprile 2003 – nelle aree turistiche della costa la Questura ha accertato, attraverso il monitoraggio del residenti in provincia di Venezia di origine campana, la presenza di 20 mila soggetti e un centinaio di posizioni individuali “con profili di stranezza”. Saremo quindi di fronte ad una presenza di lunga durata che avrebbe consentito il sedimentarsi dell’attività criminale. D'altronde già nota nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia presieduta da Carlo Smuraglia del 1994 leggiamo come in alcune province venete si fosse creato «un indissolubile legame tra criminalità organizzata e tessuto economico». La relazione della Commissione parlamentare antimafia relativa al periodo 2001-2006, sulla base di alcuni accertamenti investigativi e giudiziari, fa riferimento al Veneto assumendolo come un contesto particolarmente permeabile a tentativi di infiltrazione di esponenti della criminalità organizzata interessati al riciclaggio di capitali illeciti attraverso il loro reinvestimento in 1 Marcello Zunica, Lo spazio costiero italiano, Roma, 1987 2 Legambiente, Il consumo di suolo nelle aree costiere italiane. La costa veneta da Porto Tolle a Bibione: l'aggressione del cemento ed i cambiamenti del paesaggio, dossier


attività legali. Riguarda proprio il Veneto orientale - dove le operazioni immobiliari degli ultimi anni hanno superato il valore di 2,5 miliardi - l’allarme sull’attività di riciclaggio di denaro richiamato da «alti esponenti dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, in considerazione del fatto che proprio in queste zone sono stati catturati non pochi latitanti appartenenti a Cosa Nostra, alla Camorra, alla Ndrangheta ed alla Mafia pugliese, alcuni dei quali notoriamente impegnati in attività economiche apparentemente legali»3. La questione della criminalità organizzata in Veneto Orientale è stata al centro anche di una recente riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, tenutasi il 17 luglio 2012 in Prefettura alla presenza dei sindaci dei comuni di quest’area. Durante l’incontro è emerso che «il Veneto orientale si conferma un territorio a rischio per l’infiltrazione mafiosa. Nel primo semestre dell'anno in provincia si sono verificate 27 estorsioni, di cui 20 sventate da forze dell'ordine e magistratura, con l'arresto di cinque persone, inoltre sono stati consumati otto reati di riciclaggio e 60 danneggiamenti con incendi, tre dei quali hanno interessato il Veneto orientale»4

3 Relazione finale di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, XIV legislatura 4 Veneto orientale a rischio d’infiltrazione mafiosa, “La Nuova Venezia”, 18 luglio 2012


Le principali inchieste che hanno riguardato il Veneto orientale * Un settore particolarmente interessato dall'attività di gruppi camorristici nel Veneto orientale è quello delle costruzioni. La recentissima inchiesta denominata «Coast to coast», condotta dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Rimini e guidata dal colonnello Gianfranco Lucignano, ha portato al sequestro di 21 immobili – sospettati di essere stati acquistati con fondi appartenenti alla camorra - nel veneziano e nel padovano: si tratta di palazzine, ville, parcheggi e garage a Portogruaro, Jesolo e San Donà di Piave. Secondo l'inchiesta, dietro le operazioni immobiliari agiva un imprenditore legato alla camorra che utilizzava anche alcune società attive tra Jesolo, San Donà e Portogruaro. Ad acquistare gli immobili un imprenditore assoldato dal clan dei Casalesi per colonizzare il Nord Italia. Lui è Michele Pezone, 53 anni, originario di Aversa (Caserta) con frequentazioni strette con gli uomini del clan. Pezone usa i soldi illeciti della camorra per comprare immobili in località tranquille, produttive e fuori di ogni sospetto, come quelle veneziane. Una vera e propria infiltrazione che agisce su più fronti. Così Pezone usa i soldi dei clan per acquistare la villa e il parcheggio di Jesolo e le palazzine di San Donà di Piave e Portogruaro. Le case sono intestate a società che servono da schermatura come la Fidenti srl, attiva a Jesolo ma con sede ad Aversa, l'Edil-Serenissima a San Donà di Piave e la Mimosa società cooperativa a Portogruaro. Lo stesso Pezone venne arrestato nel 2006 a Jesolo, ma tra il 1998 e il 2000 aveva partecipato alla costruzione del Green Residence di Eraclea assieme ad altri imprenditori in odor di camorra della zona. * Un'altra inchiesta ha investito recentemente il litorale orientale veneto con l'arresto di 13 persone, tra cui alcuni napoletani ritenuti vicini alla camorra, un funzionario di banca e il patron del San Donà Calcio. Gran parte degli arrestati risiedeva tra Eraclea, San Stino di Livenza e Portogruaro da tempo. Le indagini avrebbero fatto venire alla luce un patto criminale tra un funzionario di banca di Caorle, in provincia di Venezia, un imprenditore e diversi pregiudicati di Napoli e Casal di Principe. Le accuse a loro carico sono di estorsione aggravata, porto d’armi da sparo, truffa, lesioni gravi, falso e ricettazione, tutti reati commessi con l’aggravante delle modalità mafiose. Alcuni degli indagati, residenti nel Veneto orientale, erano attivi nel settore dell'edilizia. Ricordiamo poi l'allarme lanciato nel marzo di quest'anno da Alessandro Tonello dell'associazione delle imprese edili artigiane del veneziano, che ha segnalato l'esistenza di società «non proprio chiare» pronte a rilevare aziende in difficoltà. * La presenza camorristica nell'area orientale della regione è testimoniata d’altronde già dal 1989 dall'arresto di Costatino Sarno, attivo nel commercio delle pelli, a cui negli anni ne seguirono diversi altri. Sarno aveva dato vita a una cellula camorristica attiva tra il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. All'arresto di Sarno sono seguite indagini che hanno identificato “infiltrazioni camorristiche nel tessuto imprenditoriale veneto e friulano, soprattutto nell'ambito del commercio delle pelli” e vengono operati sequestri di ditte nei comuni di Caorle, Bibione, Portogruaro mentre altre vengono passate al setaccio dalle forze dell’ordine. La commissione parlamentare antimafia all’epoca, nella relazione sull’area, parlò di “illegalità nell’assunzione di manodopera e alcuni attentati a danno di cantieri o agenzie immobiliari ricollegabili all’aggiudicazione di lavori edili”5. * Nel 2002 al Cavallino viene arrestato Massimiliano Schisano del clan Mallardo. Latitante, condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, era in contatto con Giorgio Nesto, consigliere comunale di maggioranza al Cavallino. Schisano è accusato di estorsione e minacce ai danni di alcuni imprenditori del litorale. * Nel 2005 viene arrestato a Portogruaro (Ve) Vincenzo Pernice, camorrista del clan Licciardi. All’interno della Alleanza di Secondigliano Pernice si occupava della gestione dei flussi finanziari derivanti dalle attività illecite del clan, e in particolare dalla commercializzazione di pellame confezionato in paesi esteri e nella distribuzione degli utili agli esponenti dell’Alleanza. Pernice era a capo della struttura logistica e di assistenza per tutte le necessità dell’associazione all’estero e controllava per conto dell’organizzazione la vendita in Germania di abbigliamento confezionato in pelle, gestendo direttamente alcuni magazzini a Francoforte. Poche settimane dopo l’arresto di Pernice, finisce in manette a Portogruaro Michele di Chiara, appartenente alla cosca palermitana di Salvatore Lo Piccolo, il clan famoso per gli investimenti a Chioggia dove stava cercando di comprare un terreno di Isola Saloni appartenente alla società "Adria Docks", sul quale è prevista dal piano regolatore comunale la realizzazione di numerosi appartamenti. Un investimento di quasi 8 milioni di euro che i Lo Piccolo erano pronti a fare con l'appoggio di alcuni imprenditori veneti e di un maresciallo della Guardia di Finanza. 5 Citato nel blog di Roberto Galullo “Guardia e ladri”


* Nel 2006, nel corso dell'operazione Fenus vengono arrestate una serie di persone che stavano avviando un'attività di usura ed estorsione nel Veneto orientale (Jesolo, Eraclea, San Donà). Si tratta di persone di origine campana e pugliese (ma molti di questi erano da tempo residenti nei tre comuni veneti) nei confronti delle quali sono stati ipotizzati possibili collegamenti con strutture criminali campane. Implicato anche il direttore di filiale di una banca per favoreggiamento (attività di usura). Da notare che contattare gli imprenditori in difficoltà viene utilizzato un impiegato del Comune di San Donà di Piave. * Nel 2010 viene arrestato un gruppo di cinque napoletani, uno dei quali legato al clan camorristico Soccavo, che estorcevano il pizzo ai venditori ambulanti in spiaggia tra Eraclea, Caorle e Jesolo. Le indagini hanno messo in luce «la complicità di alcuni residenti della zona di origine campana che tentavano di radicarsi nel tessuto sociale locale con modalità delinquenziali tipiche della criminalità organizzata»6. * Nel 2011 viene accusata e arrestata per associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata e al reinvestimento di utili di provenienza illecita, distrazione di beni, bancarotta, bancarotta fraudolenta, a favore del gruppo camorristico dei Casalesi, una professionista residente a San Donà, insieme a Giuseppe D’Urso, considerato il capo dell’intera organizzazione. Nell'ultimo decennio sono da segnalare alcuni episodi come, nel dicembre 2001, la bomba che, a Eraclea, ha fatto saltare in aria l’agenzia immobiliare di Mario Boso, presidente dell'associazione albergatori. Boso ha costruito l'Eraclea Palace Hotel in via dei Lecci a Eraclea in società con Graziano Poles, titolare di una ditta che lavora per il casinò di Venezia. O l’attentato, nel 2006, all’auto di Adriano Burato presidente del locale circolo di An. A Caorle da segnalare l'incendio nel febbraio 2012 del ristorante il Bucaniere, già distrutto dalle fiamme nel giugno del '98 e nel 2011 l’incendio dell’auto di un avvocato. «Reati spia» che si sono intensificati negli ultimi due anni (in particolare attentati o sabotaggi a cantieri edili) che sembrerebbe far presumere una rottura negli equilibri negli assetti delle organizzazioni criminali, probabilmente dovuta alla crisi economica. Nel febbraio 2012 il prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia, dopo l’ennesimo rogo sospetto ai danni di un attività commerciale dichiara: «Ci sono segnali recenti che sembrano evidenziare tentativi di penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto socioeconomico del territorio veneziano (…). Si sono visti capannoni bruciati, escavatori distrutti o interrati nella zona del Veneto Orientale, è necessario iniziare una campagna di sensibilizzazione per far capire agli esercenti che denunciare gli aguzzini e i taglieggiatori non è solo utile ma anche conveniente». Episodi che sembrano andare in controtendenza rispetto ad una modalità di operatività “silente” delle organizzazioni criminali del Veneto. La lettura prevalente da parte degli organi inquirenti descriveva l'operatività delle mafie a nordest essenzialmente funzionale al riciclaggio del denaro, piuttosto che a un vero e proprio insediamento e a un tentativo di controllo del territorio. Questi fenomeni farebbero invece pensare all'utilizzo da parte delle organizzazioni criminali della risorsa della violenza per affermare un loro controllo territoriale, limitato evidentemente ad alcune filiere economiche o alcuni settori sociali.

6 Alessandro Naccarato, La criminalità organizzata nel Veneto, relazione per il Forum Sicurezza del Pd Veneto, settembre 2012


Alcune caratteristiche dell’insediamento dei gruppi camorristi nel Veneto orientale: Alleanza con la mala locale Secondo fonti investigative nel 2007 Silvano Maritan, il boss della mala del Brenta nella zona del sandonatese, si reca a Napoli assieme a Luca Fregonese e Domenico Celardo. A Napoli incontra Raffaele Sperandeo e Massimo Gallo, esponenti del clan dei casalesi, monopolisti del traffico degli stupefacenti nell'area di Torre Annunziata. Il contatto tra Maritan e Sperandeo è fornito da Antonio Pandolfo, uno degli uomini più fedeli di Felice Maniero. Domenico Celardo, detto Mimmo – deceduto nel 2011 – abitava a San Donà (dove sono stati sequestrati alcuni immobili a Michele Pezone), come Maritan. Silvano Maritan a Celardo aveva appaltato la parte logistica e il reclutamento di corrieri e spacciatori come due bariste di Fossalta, Manola Lava e Irene Gorghetto bloccate a Villabona al ritorno dalla Spagna con un chilogrammo di cocaina. O come Lorenzo Crosera di Caorle beccato con un chilo e mezzo di coca. Il primo arresto di Celardo avviene ad Eraclea. Sempre per spaccio di sostanze stupefacenti. Siamo quindi di fronte ad un vero e proprio accordo tra esponenti, residenti nel Veneto orientale, dell'ex mala del Brenta ed esponenti del clan dei casalesi. Un accordo che avrebbe sancito una vero e propria suddivisione in diversi settori: la mala locale si concentra nelle truffe, usura e in parte ramo costruzioni. Ai casalesi l'appannaggio della gestione dei locali e l'edilizia e in partnership con la mala locale lo spaccio della droga. Alleanza con professionisti e settori della società locale In alcune inchieste, riguardanti in particolare casi di usura, viene alla luce l'utilizzo da parte di malviventi campani di professionisti o di operatori di banca. Nell'operazione Fenus, ad esempio, risulta coinvolto il direttore di una filiale di una banca. E un funzionario di banca risulta indagato anche nell'ultima operazione denominata “Millionaire”. E sempre a proposito dell'inchiesta Millionaire è interessante notare come vi compaia un imprenditore che ha avuto interessi nel mondo del calcio locale. «È un aspetto interessante, da non sottovalutare. Quello del pallone è una delle nuove frontiere della criminalità organizzata - ha scritto a questo proposito Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico -, i boss investono nel mondo del calcio, in particolare delle serie minori, dove sovente si registrano situazioni di sofferenza finanziaria, perché hanno compreso che, grazie alla palla rotonda, è possibile riciclare il denaro sporco ed è più facile accendere relazioni significative con le persone che contano: politici, imprenditori, professionisti. Allo stadio non esistono differenze sociali: si è tutti e solo tifosi. Il calcio, quindi, è uno strumento fondamentale per i mafiosi, poiché gli permette di conquistare e gestire consenso sociale in un territorio, di rifarsi un’immagine (da efferati criminali a benefattori), di entrare nella società e nel mondo degli affari senza creare allarme sociale»7 Diversificazione dei settori di attività Un ulteriore elemento di forza sembra derivare da una diversificazione delle attività. Se l'edilizia ha rappresentato un settore strategico, i gruppi criminali sul litorale non hanno disdegnato il traffico di droghe, l'usura, la gestione di locali e, ultimamente, la gestione del demanio marittimo. Sebbene non abbiano avuto luogo inchieste complessive sulla presenza della camorra nel territorio, alcune indagini dei carabinieri hanno comunque consentito di comprendere alcuni elementi della presenza camorristica sul litorale: ad esempio, attraverso la gestione di pizzerie e rosticcerie disseminate lungo le strade dello “struscio” estivo, gruppi di camorra sarebbero riusciti a costituire, nell’arco di trent’anni, un infallibile canale di riciclaggio del denaro provento di reati. Al centro delle operazioni non troviamo però soltanto le pizzerie: anche i numerosi esercizi commerciali di abbigliamento in finta pelle delle località di mare sono stati frequentemente utilizzati per le medesime finalità. E la politica? Per sua stessa natura quello dell'urbanistica è il terreno in cui più che mai la discrezionalità del potere politico può favorire operazioni speculative, con profitti esagerati. La vocazione delle mafie è una vocazione di dominio e che quindi passa anche attraverso l'interlocuzione e il controllo del mondo politico. Non sappiamo se questo sia avvenuto o in che misura in questo territorio. Un episodio inquietante in effetti è emerso: il consigliere comunale di Cavallino Treporti, Giorgio Nesto fu incriminato insieme Massimiliano Schisano del clan Mallardo e poi rimosso dalla carica da un decreto del ministero dell'Interno del 2003. 7

Pier Paolo Romani, La nuova borghesia “mafiosa”. Tra gli insospettabili del Nord, Corriere del Veneto 24 maggio 2012


Cemento e criminalità organizzata Il contesto del nord Italia presenta alcune caratteristiche – come la regolazione urbanistica - che sembrano favorire le infiltrazioni degli interessi criminali nella gestione del territorio. L'edilizia, anche nel Veneto orientale, è stato il settore d'intervento più significativo per la criminalità organizzata e non solo per le possibilità che offre di “ripulire” i capitali investiti e generare profitto. Lavorare nell'edilizia porta gli operatori ad interloquire con una significativa gamma di operatori economici, di professionisti e politici. Ed è cosi che l'operatore immobiliare, il fornitore, il commercialista, il notaio o il dirigente dell'amministrazione comunale divengono compartecipi degli affari dei clan. Seguendo la pista del cemento scopriamo come le organizzazioni criminali entrano nel salotto buono delle società locali. Ed operare nell'edilizia vuol dire anche interfacciarsi con il potere politico e, in particolare, con le politiche urbanistiche. L’edilizia, in tutta sua la filiera - dalla movimentazione terra alle ditte che fanno piastrelle - rappresenta un enorme bacino di ricchezza e di investimenti, nonché il settore più adatto per inserirsi nei gangli della pubblica amministrazione, data la sua naturale contiguità con essa, e creare così una rete di clientele, connivenze e di scambio; una rete che viene tessuta anche attraverso il rapporto con imprenditori e professionisti locali, che di fatto fanno da intermediari in operazioni immobiliari e portano avanti un lavoro di “lobby” per far approvare varianti ai piani regolatori o ottenere appalti pubblici. Si crea insomma un terreno fertile per far crescere e rafforzare una presenza sul territorio senza bisogno di esporsi direttamente con la violenza e il controllo “armato” del territorio. Le collusioni tra politica e mondo degli affari trovano fondamentale punto di incontro nell’urbanistica. Spesso il nesso tra criminalità organizzata e territorio viene circoscritto al fenomeno dell’abusivismo edilizio tralasciando di analizzare in che modo i processi decisionali possono venire alterati dalle pressioni della criminalità organizzata che, in questo modo, può orientarli a proprio vantaggio. Appare sempre più evidente come il pesante condizionamento esercitato dalla mafia sulle scelte di pianificazione sia spesso la causa dello stravolgimento di un ordinato sviluppo urbanistico, che viene così scavalcato da interessi di tipo criminale che sono di ostacolo a una gestione del territorio che abbia come obiettivo il perseguimento dell’interesse collettivo. Alcuni fenomeni che, seppure non imputabili esclusivamente all’agire mafioso, sono influenzati negativamente da eventuali infiltrazioni, sono tipicamente quelli legati alla sovrapproduzione edilizia (fenomeno che può essere ricondotto alla necessità di investire e riciclare i proventi di altri traffici illegali nell’attività edilizia da parte delle cosche), ma anche alla cosiddetta “ecomafia”, settore che comprende i reati ambientali, perpetrati in particolare negli ambiti del movimento terra e del ciclo di gestione dei rifiuti, notoriamente caratterizzati da una forte presenza mafiosa. Su questo le vicende venete degli ultimi anni forniscono ampia materia di riflessione. È diffusa nel Veneto una allergia alla regolazione di lunga, e non sempre blasonata, tradizione. In particolare sulle questioni ambientali la politica sembra estranea a qualsiasi intento regolatorio tanto che la Regione ha evitato di emanare a tutt'oggi un piano riguardo ai principali settori d'interesse ambientale. A questo politica di laissez faire di fatto si combinano episodi inquietanti di corruzione negli apparati della pubblica amministrazione. È grazie alle «sregolazioni ambientali» - definizione di Carlo Donolo per indicare incertezza del diritto, mancanza di fiducia istituzionale, mercato delle regole - che sono possibili probabili penetrazioni e condizionamenti di una componente criminale nell'economia. La legislazione urbanistica regionale, in nome della semplificazione e dell’efficienza, ha introdotto procedure di pianificazione e programmazione sempre più de-regolative. In questi anni la programmazione regionale è sparita. Il piano regionale dei trasporti è fermo al 1990. Nel contempo, nell’attesa del nuovo PTRC, si sono progettati, in particolare modo da parte delle società autostradali, numerose strade a pagamento con l’utilizzo della finanza di progetto. In questi anni dispositivi come programmazione, pianificazione territoriale, certezza di regole sono stati sostituiti da tutta una serie di accordi pubblico-privati «in deroga», fortemente discrezionali, quali gli «accordi di programma», i «progetti speciali o strategici a regia regionale», i Piruea [piani/progetti urbanistico-edilizi proposti dai privati anche in difformità dalla programmazione urbanistica, talvolta enormi interventi che stravolgono qualsiasi piano]. In generale le forme di «urbanistica contrattata» - uno degli strumenti più tipici della corruzione svelati da tangentopoli - sono ora ancora più generalizzati [e legittimati dalla legge regionale urbanistica n.11/2004 che non fissa alcun limite né criterio oggettivo, contrariamente ad altre regioni, per il calcolo del rapporto tra


vantaggi pubblici e valorizzazione delle aree private, negli strumenti negoziali della contrattazione/perequazione urbanistica]. Con l’articolo 6 della nuova legge urbanistica, la Regione Veneto fa esplicito invito ai privati a partecipare all’iter formativo dei nuovi piani urbanistici, sollecitandoli a presentare progetti ed iniziative “di rilevante interesse pubblico” che attraverso la formula degli “accordi tra soggetti pubblici e privati” possano divenire “parte integrante dello strumento di pianificazione” cui accedono. È scontato che quando nella legge si parla di «privati» si fa riferimento ai potenti gruppi imprenditoriali e finanziari che traggono profitto dalle trasformazioni territoriali. Il Veneto è del tutto privo di strumenti di programmazione e pianificazione, ed è così che le scelte non si fanno nelle sedi pubbliche, ma in ristretti circoli.

Relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia dicembre 2011 Infatti le imprese che per prime si sono premunite di aggiudicarsi gli appalti per la ricostruzione avevano sede, con i loro titolari, in regioni quasi sempre diverse dall’Abruzzo, alcune nell’Italia meridionale – Palermo, Napoli e Caltanissetta – ma la maggior parte nell’Italia centro-settentrionale, come a Roma, in Emilia Romagna, in Lombardia e nel Veneto, dove è ormai noto che la criminalità mafiosa si è radicata.


Conclusioni Sono state diversificate le reazioni ai fatti accaduti recentemente a Caorle. Abbiamo registrato fenomeni di rifiuto o rimozione del problema. Pensiamo invece che sia giusto interrogarci non solo sul ruolo della criminalità organizzata sul territorio, ma sul modello complessivo di sviluppo che questo territorio vuole perseguire, ridefinendo le proprie priorità ed esigenze, ripensando i punti di riferimento culturali e sociali, per costruire una società ed un’economia che, valorizzando il proprio patrimonio edilizio ed ambientale già esistente, e rifiutando la logica di scambio e compromesso che deriva dal guadagno immediato, ma senza garanzie di trasparenza e controllo, possa guardare al futuro con una visione che “vada oltre l’estate”. Accanto al ripensamento del modello culturale ed economico che regola lo sviluppo del territorio è fondamentale, per gli anni a venire, mantenere e se possibile accrescere i meccanismi di vigilanza e controllo delle dinamiche che regolano le scelte progettuali che la politica e le istituzioni compiono nella pianificazione del territorio e nell’utilizzo del suolo e delle risorse ambientali. È inoltre importante interrogarsi con precisione sulle condizioni di partenza che favoriscono direttamente o indirettamente gli “spazi d’azione” dei gruppi criminali; la scarsa attenzione e lo scarso investimento delle amministrazioni sulle zone d’ombra del proprio territorio, sono condizioni che facilitano la penetrazione di attività economiche legate alle mafie. Tutto questo è necessario per evitare il formarsi di zone grigie d’interesse e commistione, laddove non si tratti proprio di collusione diretta con interessi criminali, tra gli amministratori pubblici e soggetti portatori di interessi privati poco trasparenti.


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