VENETO ORIENTALE: SPECULAZIONE EDILIZIA E INFILTRAZIONE CRIMINALE Analisi di un modello di sviluppo territoriale
RICERCA #2 ANNO 2014
di Marco Baretta, Claudia Mantovan
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“Veneto orientale: speculazione edilizia e infiltrazione criminale. Analisi di un modello di sviluppo territoriale” Autori: Marco Baretta, Claudia Mantovan Ricerca #2 Anno 2014 Serie: Le ricerche dell’Osservatorio Ambiente e Legalità Venezia Numero 2 A cura di: Osservatorio Ambiente e Legalità Venezia E-mail: osservatorio@legambienteveneto.it Telefono: +39 042527520 www.osservatorioambientelegalitavenezia.it © 2014 Osservatorio Ambiente e Legalità Venezia Tutti i diritti riservati. Nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo, incluso qualsiasi tipo di sistema meccanico e/o elettronico, senza la preventiva autorizzazione scritta degli autori. Osservatorio Ambiente e Legalità Venezia è un progetto di Legambiente Veneto. La presente ricerca è stata sostenuto dall’Assessorato all’ambiente della Provincia di Venezia.
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INDICE
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1. INTRODUZIONE Cemento e criminalità organizzata. Uno studio in Veneto orientale
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2. QUADRO STORICO Sviluppo sociale, economico ed urbano del Veneto orientale
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3. FOCUS: IL CASO DI CAORLE 3.1. Caratteristiche principali della città 3.2. Storia e sviluppo urbano di Caorle dagli anni ’30 del secolo scorso ai giorni nostri
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4. CRIMINALITÀ ORGANIZZATA IN VENETO ORIENTALE 4.1. Alcune caratteristiche dell’insediamento dei gruppi camorristi nel Veneto orientale 4.2. Le principali inchieste che hanno riguardato il Veneto orientale
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5. IL RUOLO DELLA POLITICA E DELLE ISTITUZIONI Criticità, prospettive e idee per un nuovo modello di gestione e tutela dell’interesse pubblico
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BIBLIOGRAFIA
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RASSEGNA STAMPA
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1. INTRODUZIONE Cemento e criminalità organizzata. Uno studio in Veneto orientale
La mafia al Nord ci interessa perché siamo convinti che se anche non ce ne occupassimo, certamente la mafia si sta già da tempo occupando di noi: del territorio, delle destinazioni d’uso, delle disposizioni di piano, delle regole che governano il territorio, delle nostre istituzioni locali, delle arene politiche, dei nostri silenzi colpevoli e della nostra disattenzione sui temi ambientali e civili. Si muove nel campo dell’urbanistica con maestria e prontezza (Elena Granata e Paola Savoldi, 2012, p. 18)
Il contesto del nord Italia presenta alcune caratteristiche – come la regolazione urbanistica - che sembrano favorire le infiltrazioni degli interessi criminali nella gestione del territorio. L'edilizia, anche nel Veneto orientale, è stato il settore d'intervento più significativo per la criminalità organizzata e non solo per le possibilità che offre di “ripulire” i capitali investiti e generare profitto. Lavorare nell'edilizia porta gli operatori ad interloquire con una significativa gamma di operatori economici, di professionisti e politici. Ed è cosi che l'operatore immobiliare, il fornitore, il commercialista, il notaio o il dirigente dell'amministrazione comunale divengono compartecipi degli affari dei clan. Seguendo la pista del cemento scopriamo come le organizzazioni criminali entrano nel salotto buono delle società locali. Ed operare nell'edilizia vuol dire anche interfacciarsi con il potere politico e, in particolare, con le politiche urbanistiche. Le collusioni tra politica e mondo degli affari trovano infatti fondamentale punto di incontro nell’urbanistica. Spesso il nesso tra criminalità organizzata e territorio viene circoscritto al fenomeno dell’abusivismo edilizio tralasciando di analizzare in che modo i processi decisionali possono venire alterati dalle pressioni della criminalità organizzata che, in questo modo, può orientarli a proprio vantaggio. Appare sempre più evidente come il pesante condizionamento esercitato dalla mafia sulle scelte di pianificazione sia spesso la causa dello stravolgimento di un ordinato sviluppo urbanistico, che viene così scavalcato da interessi di tipo criminale che sono di ostacolo a una gestione del territorio che abbia come obiettivo il perseguimento dell’interesse collettivo. Alcuni fenomeni che, seppure non imputabili esclusivamente all’agire mafioso, sono influenzati negativamente da eventuali infiltrazioni, sono tipicamente quelli legati alla sovrapproduzione edilizia (fenomeno che può essere ricondotto alla necessità di investire e riciclare i proventi di altri traffici illegali nell’attività edilizia da parte delle cosche), ma anche alla cosiddetta “ecomafia”, settore che comprende i reati ambientali, perpetrati in particolare negli ambiti del movimento terra e del ciclo di gestione dei rifiuti, notoriamente caratterizzati da una forte presenza mafiosa. Su questo le vicende venete degli ultimi anni forniscono ampia materia di riflessione. È diffusa nel Veneto una allergia alla regolazione di lunga, e non sempre blasonata, tradizione. In particolare sulle questioni ambientali la politica sembra estranea a qualsiasi intento regolatorio tanto che la Regione ha evitato di emanare a tutt'oggi un piano riguardo ai principali settori d'interesse ambientale. A questa politica di laissez-faire di fatto si combinano episodi inquietanti di corruzione negli apparati della pubblica amministrazione. È grazie alle «sregolazioni ambientali» - definizione di Carlo Donolo per indicare incertezza del diritto, mancanza di fiducia 6
istituzionale, mercato delle regole - che sono possibili probabili penetrazioni e condizionamenti di una componente criminale nell'economia. La legislazione urbanistica regionale, in nome della semplificazione e dell’efficienza, ha introdotto procedure di pianificazione e programmazione sempre più de-regolative. In questi anni la programmazione regionale è sparita. Il piano regionale dei trasporti è fermo al 1990. Nel contempo, nell’attesa del nuovo PTRC, si sono progettati, in particolare modo da parte delle società autostradali, numerose strade a pagamento con l’utilizzo della finanza di progetto. In questi anni dispositivi come programmazione, pianificazione territoriale, certezza di regole sono stati sostituiti da tutta una serie di accordi pubblico-privati «in deroga», fortemente discrezionali, quali gli «accordi di programma», i «progetti speciali o strategici a regia regionale», i Piruea (piani/progetti urbanistico-edilizi proposti dai privati anche in difformità dalla programmazione urbanistica, talvolta enormi interventi che stravolgono qualsiasi piano). In generale le forme di «urbanistica contrattata» - uno degli strumenti più tipici della corruzione svelati da tangentopoli - sono ora ancora più generalizzati [e legittimati dalla legge regionale urbanistica n.11/2004 che non fissa alcun limite né criterio oggettivo, contrariamente ad altre regioni, per il calcolo del rapporto tra vantaggi pubblici e valorizzazione delle aree private, negli strumenti negoziali della contrattazione/perequazione urbanistica]. Con l’articolo 6 della nuova legge urbanistica, la Regione Veneto fa esplicito invito ai privati a partecipare all’iter formativo dei nuovi piani urbanistici, sollecitandoli a presentare progetti ed iniziative “di rilevante interesse pubblico” che attraverso la formula degli “accordi tra soggetti pubblici e privati” possano divenire “parte integrante dello strumento di pianificazione” cui accedono. È scontato che quando nella legge si parla di «privati» si fa riferimento ai potenti gruppi imprenditoriali e finanziari che traggono profitto dalle trasformazioni territoriali. Il Veneto è del tutto privo di strumenti di programmazione e pianificazione, ed è così che le scelte non si fanno nelle sedi pubbliche, ma in ristretti circoli. Come sottolineano Elena Granata e Paola Savoldi in un numero della rivista “Territorio” dedicato al tema “Gli habitat delle mafie nel nord Italia”, il fatto che l’urbanistica sia stata sempre meno controllata e abbandonata agli interessi privati, ha fatto sì che entro la pubblica amministrazione la corruzione si spostasse facilmente dalla gestione delle pratiche edilizie all’attività urbanistica (Granata, Savoldi, 2012). Sono queste le ragioni che hanno guidato la scelta dell’oggetto di studio del presente rapporto, realizzato dall’Osservatorio Ambiente e Legalità. L’Osservatorio, promosso da Legambiente Veneto con il sostegno e la collaborazione dell’Assessorato all’ambiente e alla città sostenibile del Comune di Venezia, si occupa di promuovere ricerche e produrre documentazione sul fenomeno delle ecomafie e della criminalità ambientale, con l’obiettivo di offrire quadri conoscitivi e strumenti per l’azione di prevenzione contro le minacce e gli attacchi che minano la qualità degli ecosistemi. In tal senso, l’individuazione dei settori a maggior rischio (come quelli del ciclo dei rifiuti e del cemento) e delle dinamiche di aggressione del territorio è fondamentale per concentrare e focalizzare l’analisi sui dati più rilevanti atti a comprendere questi fenomeni; questi dati in parte già esistono, ma vanno aggregati e ordinati nella loro complessità, e in parte sono da ricercare e far emergere ex novo. Proprio per questo l’Osservatorio ha deciso di concentrare parte delle sue risorse e della sua attenzione in una ricerca e uno studio dei dati e del contesto di un area territoriale, quella del Veneto orientale, dove le evidenze empiriche (lo sviluppo edilizio e la crescita negli anni di un economia turistica di enorme portata; la presenza accertata di insediamenti di singoli e gruppi criminali legati ad organizzazioni mafiose; alcune dinamiche di scelta e di progettualità politica dei piani di sviluppo urbanistico dei comuni del territorio in questione) sono molte e sembrano indicare chiaramente le presenza di fenomeni criminali legati alla trasformazione radicale del paesaggio che è avvenuta e sta avvenendo in quel area; ma dove la scarsità di elementi giudiziari forti (inchieste, processi, condanne) e la mancanza di uno studio organico dei diversi 7
aspetti correlati alle dinamiche di sviluppo (da quelli prettamente tecnici riguardanti la composizione dei piani urbanistici, a quelli sociali ed economici sui modelli che hanno orientato e regolato questo sviluppo) rende estremamente importante la possibilità, tramite l’indagine commissionata dalla Provincia di Venezia, di comporre un quadro unitario della situazione di questo territorio; un quadro analitico che possa servire come ausilio alle istituzioni e ai cittadini per riconoscere i fenomeni di illegalità o di criminalità organizzata legati alle questioni ambientali, e tutelare così il patrimonio pubblico costituito da un territorio di enorme pregio ambientale e paesaggistico che ha già pagato negli anni passati un enorme dazio in termini di speculazione ai danni del proprio ecosistema. Il “Veneto orientale”, così come definito dalla Legge della Regione Veneto n.16 del 1993, comprende i territori dei seguenti 20 Comuni della Provincia di Venezia: Annone Veneto, Caorle, Ceggia, Cinto Caomaggiore, Concordia Sagittaria, Eraclea, Fossalta di Piave, Fossalta di Portogruaro, Gruaro, Jesolo, Meolo, Musile di Piave, Noventa di Piave, Portogruaro, Pramaggiore, Quarto d’Altino, San Donà di Piave, San Michele al Tagliamento, Santo Stino di Livenza, Teglio Veneto, Torre di Mosto. L’area, con una superficie complessiva di Kmq. 1.135 (46,1% della superficie provinciale) conta circa 235.000 residenti. La Venezia Orientale può considerarsi come un sistema caratterizzato in senso nordovest-sudest da tre importanti fiumi (Piave, Livenza e Tagliamento) che determinano anche i “confini” esterni ed interni tra portogruarese e sandonatese e che hanno svolto per secoli da punto di riferimento dei principali insediamenti. Questi percorsi d’acqua sono intersecati da sudovest a nordest da un complesso sistema viario (riconducibile essenzialmente la A4 e alla S.S. 14 Triestina) che ripercorre in gran parte la Via Annia. Tali demarcazioni differenziano le diverse situazioni territoriali: • a nord della S.S. 14 troviamo un tessuto insediativo complesso ed articolato con numerosi centri posti essenzialmente lungo il sistema viario, ma anche organizzati radicalmente intorno ai due centri “capoluogo” di San Donà di Piave e Portogruaro, con il baricentrico nucleo di Santo Stino di Livenza; • a sud della S.S. 14 si evidenzia il territorio della bonifica con nuclei di “aggregazione rurale” non in grado di fornire servizi di qualità urbana, inseriti in paesaggio caratterizzato da una fitta rete di acque minori a servizio delle grandi proprietà agricole presenti; • la zona costiera organizzata come città lineare turistica, sviluppatasi negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Questo territorio, essenzialmente agricolo, caratterizzato dalle bonifiche d’inizio del Novecento, ha visto, a partire dal dopoguerra, un inurbamento e una crescita diffusa divisa secondo due linee di sviluppo. Da un lato, infatti, è stato parzialmente preservato, nell’entroterra, dalla cementificazione diffusa – ed anche dai tassi impetuosi di crescita economica - che hanno caratterizzato lo sviluppo urbanistico del Veneto centrale. Non si può dire altrettanto della linea di costa: qui si è assistito, negli ultimi 50 anni, ad una progressiva crescita urbanistica dovuta all'incremento del turismo di massa. Dal dopoguerra in avanti l'affluenza turistica in quest' area è stata infatti inarrestabile (facilitata anche dalla facile raggiungibilità dal nord Europa e da tutto il settentrione d'Italia) e oggi la linea costiera si presenta come una striscia continua di urbanizzazione che va da Sottomarina a Bibione. La Costa veneziana è uno dei più grandi comprensori turistici d'Europa e il primo in Italia, a pari merito con la riviera romagnola (si parla di decine di milioni di presenze turistiche). Questo comprensorio è spesso composto da comuni di piccole dimensioni, che vivono e basano la propria economia essenzialmente in funzione della stagione balneare, e che hanno conosciuto un arricchimento repentino dovuto alla crescita del valore degli immobili e dei terreni. La monocultura edilizia che ha dominato per decenni le logiche di sviluppo di questo territorio, sommata alla enorme crescita dell’economia turistica nel corso degli anni, ha messo quest’area al centro di forti speculazioni - edilizie e finanziarie – che hanno certamente condizionato e orientato la politica nelle sue scelte strategiche, in particolare sull’indirizzo da prendere per “valorizzare” e “far crescere” questo territorio; scelte che hanno 8
favorito, per l’appunto, a partire soprattutto dagli anni ’80 (gli anni del primo grande Piano Regolatore Regionale), un’urbanizzazione continua e uno sfruttamento intensivo dei terreni e della costa. «I lidi veneti propongono differenti esempi di strutture turistiche esplose dopo gli anni cinquanta – denunciava il geografo Marcello Zunica (1987) - secondo canoni del tutto estemporanei». Negli ultimi decenni la trasformazione del paesaggio costiero del Veneto è stata costante ed inesorabile, i numeri sono impressionanti: «dei suoi 170 km di lunghezza, da Bibione a Porto Tolle, ben 61 km, ovvero il 36%, risulta essere trasformato da usi urbani ed infrastrutturali. Nel dettaglio, di questi, sono 24 i km di paesaggi urbani di alta densità, 33 i km di costa occupati da insediamenti di intensità più bassa e 4 sono occupati da opere infrastrutturali. Con l'espansione degli agglomerati urbani, costruzione di complessi turistici, case singole, ed in parte di porti ed infrastrutture, dal 1988 al 2007, sono stati cancellati 11 km di costa, cioè il 18% dell'intera urbanizzazione avvenuta in 2000 anni di storia» (Legambiente 2013). Tutto ciò ha avuto un impatto enorme sull’ambiente e sul paesaggio di un area di pregio naturalistico enorme (che va dai Fiumi Tagliamento e Isonzo per arrivare alla Laguna del Mort, sito d’importanza comunitaria), provocando alla lunga uno snaturamento delle qualità originarie che caratterizzavano il profilo naturalistico di queste città balneari, e deprimendo al contempo la crescita sociale della comunità locale favorendo così logiche clientelari e una miopia della politica locale, che spesso si è ridotta a mercanteggiamento di interessi. Questo insieme di fattori, che si evidenzia in una sproporzione tra la dimensione delle risorse economiche e quella della capacità di gestione politica di queste risorse, ha attirato l’attenzione di gruppi criminali organizzati che hanno trovato un terreno ideale per insediare nel tempo la loro presenza, e coltivare i propri interessi e profitti, inserendosi nel tessuto sociale ed economico di questo territorio. Il senso e lo scopo di questo lavoro sono quelli di provare a ricostruire le diverse linee fondamentali che caratterizzano le logiche che sono state alla base della costruzione di questo modello “distorto” di sviluppo del territorio, tracciando così un quadro generale dei fenomeni di tipo speculativo e criminale che hanno condizionato, laddove non direttamente orientato, le capacità di progettazione e scelta della politica e delle amministrazioni locali. La composizione di questo quadro generale, perseguita mediante l’utilizzo di diverse fonti1, nasce come tentativo di offrire un piccolo contributo analitico per la comprensione delle dinamiche e delle criticità che hanno reso questo territorio un luogo di speculazioni e d'infiltrazione criminale, e al contempo mira ad offrire un breve ma significativo elenco di strumenti e testimonianze per permettere che le amministrazioni locali possano riconoscere questi fenomeni e prevenirli (oltre a combattere quelli già esistenti), tutelando così il proprio territorio, la propria comunità e le proprie istituzioni.
Il rapporto si basa su interviste a testimoni privilegiati esperti conoscitori dell’area (appartenenti al mondo politico e/o ambientalista, professionisti nel campo dell’urbanistica); analisi documentale (verbali di consigli comunali, progetti urbanistici, fascicoli processuali,); rassegna stampa. 1
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2. QUADRO STORICO Sviluppo sociale, economico ed urbano del Veneto orientale
Raccontare brevemente la storia di un territorio che è stato, per molta parte della sua storia, una zona depressa, e i cui spazi d'inurbamento sono stati strappati alle acque con un secolare lavoro di bonifica, può aiutare forse a comprendere lo sviluppo impetuoso, ed in parte incontrollato, che esso ha avuto negli ultimi 50 anni circa. La storia dell’area oggetto di studio è caratterizzata dalla successione di diverse fasi di antropizzazione, segnate dal rapporto con l’assoluta specificità di un ecosistema estremamente dinamico e mutevole. La presenza dell’acqua (fiumi, mare, paludi, laguna) è stata nel corso del tempo sia una risorsa di tipo strategico, sia una minaccia spesso concretatisi con conseguenze devastanti. Sono rinvenibili tracce di antropizzazione e insediamenti umani già dall’epoca preistorica e testimonianze di epoca romana sono le via Annia e Postumia e la centuriazione del territorio compreso tra Livenza e Tagliamento. Il Medioevo, gravitando per lo più attorno al Patriarcato di Aquileia e lasciando testimonianze architettoniche soprattutto nelle strutture difensive, civiche e commerciali dei centri urbani (Portogruaro), nelle sedi vescovili e negli impianti monastici (Cattedrale e Battistero di Concordia, Duomo di Caorle, Abbazia di Summaga), ritrova poi un denominatore comune con la Repubblica di Venezia, che, a seguito dei primi consistenti lavori di bonifica e di regimentazione degli argini fluviali, prende possesso dell’entroterra. È da qui che comincia davvero quel lungo lavoro di bonifica che, partendo dai primi interventi cinquecenteschi della Serenissima sul corso dei fiumi Sile, Piave e Livenza, arriva alla storia degli ultimi 150 anni, legata agli interventi che si sono susseguiti fin dall'Unità d'Italia, in particolare con il programma di Bonifica Integrale realizzato durante il regime fascista, ma continuato ininterrotto fino ai giorni nostri. Un lavoro enorme che ha permesso di strappare oltre 100.000 ettari alla palude e ha fatto sì che dove non c’era nulla, se non acqua malsana e focolai di malaria, sia cresciuto e abbia prosperato un territorio oggi popolato di gente e ricco di attività agricole, industriali ed economiche che hanno permesso la nascita di paesi e comunità che oggi rappresentano la parte più giovane della provincia di Venezia. Come detto, il lavoro di bonifica comincia già con la Serenissima (è datata 1620 la costituzione del primo “Consorzio” di scolo nato per controllare il deflusso delle acque dei fiumi e proteggere così dalle esondazioni quei territori), ma fino alla metà dell’Ottocento il territorio in esame presentava ancora notevoli superfici coperte permanentemente da acque stagnanti, non idonee allo sfruttamento agricolo e caratterizzate da pessime condizioni igieniche sanitarie. Fu solo a seguito della Legge 25.6.1882 n. 896 (Legge Baccarini) che si diede inizio ad un'organica opera di bonificazione. Prese così avvio un' intensa attività che condusse alla costituzione dei vari consorzi di bonifica che, nel corso della prima metà del Novecento, si impegnarono nell’ampio lavoro di redenzione delle terre comprese tra i corsi dei fiumi Livenza e Tagliamento e del Basso 10
Piave. Le grandi bonifiche si conclusero solo fra le due guerre mondiali, mutando radicalmente l’assetto e l’uso del suolo e favorendone lo sfruttamento agricolo intensivo. L’economia e la domanda di lavoro creata dalle bonifiche, e il recupero di terre che divenute utilizzabili per scopi agricoli, crearono le condizioni per una grande crescita demografica di quest’area2 e per lo strutturarsi di un’economia agricola, all’interno della quale coloro che erano venuti a lavorare alle bonifiche si fermavano poi a fare i braccianti o i mezzadri nei comuni di Caorle, Eraclea, S. Stino, Jesolo, insediandosi nelle “case sparse” o in nuclei di case vicino ai terreni da coltivare. Questa forte connotazione agricola del territorio e della sua economia ha di fatto ritardato l’industrializzazione e la diversificazione della struttura produttiva di quest’area. A partire però dalla metà degli anni ’50/primi ’60 le cose cominciano a cambiare rapidamente, principalmente a causa di due fattori: da un lato, anche se il livello di industrializzazione in loco è ancora basso, lo sviluppo di poli industriali molto importanti (a Porto Marghera e Pordenone) a ridosso di questo territorio causa una forte emigrazione di lavoratori che cercano il riscatto dalle dure condizione della vita in mezzadria, andando di fatto a ridurre notevolmente il numero di addetti nel settore agricolo; dall’altro lato, al calo dell’occupazione si accompagnano grandi mutamenti della struttura del tessuto economico del territorio: diminuiscono di molto le aziende agricole e la superficie di terra da esse occupata, e in particolare tendono a scomparire quelle condotte a mezzadria, “liberando” così terreno per le aziende condotte con salariati e per quelle a conduzione diretta del coltivatore. Un fattore decisivo in questo “cambio di pelle” nella struttura economica del territorio è dato del sempre più consistente cambio di destinazione di suolo ad utilizzo urbano e turistico. A partire dagli anni ’60, infatti, in concomitanza con i fattori sopra elencati, ai quali si accompagna la crescita sempre più rapida di quel fenomeno socio economico che presto prenderà il nome di “turismo di massa”, si comincia a delineare un nuovo modello di sviluppo urbanistico ed economico del territorio fondato appunto sullo sviluppo dell’edilizia e del turismo. Da principio si tratta più che altro di un'urbanizzazione spontanea e di un nuovo modo di concepire le risorse del territorio. Molti di quelli che erano stati mezzadri si ritrovano ora proprietari di lotti di terra da utilizzare come meglio credono, e decidono così di ristrutturare i vecchi casoni di campagna (le “case sparse” che costituivano il modello residenziale e abitativo che caratterizzava il territorio agricolo di inizio Novecento) o di costruirne di nuovi per adibirli a pensioni, piccoli alberghi, o altro tipo di strutture ricettive per i turisti che cominciavano ad arrivare sempre più numerosi col passare degli anni. All’inizio, come detto, si tratta di un modello di economia familiare, fondata su un approccio “fai da te”; tuttavia, si tratta di un approccio nuovo e dinamico che, unito all’incremento esponenziale dei flussi turistici, comincia a cambiare velocemente il volto e le caratteristiche culturali e socioeconomiche del territorio3. Questo processo di cambiamento getta le basi per un nuovo modello di inurbazione in quest’area: le strutture ricettive si ampliano, e cominciano a formarsi veri e propri centri turistici che richiedono infrastrutture, manodopera, ristrutturazione. La testimonianza di questo rapido e profondo cambiamento è data dal fatto che verso la fine degli anni ’70 oltre tre quarti della popolazione del territorio vive ormai in grossi centri, e non esistono quasi più i residenti nelle case sparse che caratterizzavano il modello di ruralizzazione precedente. Questo dato storico ci permette anche di comprendere e in parte spiegare il fatto che il processo che negli anni ’70 porta ad una vera industrializzazione del territorio è caratterizzato, più che dal manifatturiero, dallo sviluppo dell’edilizia e della filiera produttiva ad essa collegata. È questo un passaggio cruciale per la nostra analisi, perché in questi anni lo sviluppo del settore delle costruzioni indica la vera e crescente specializzazione dell’area 4, la cui crescita è Tra la fine dell’’800 e la metà del ‘900 la popolazione di questo territorio è quasi triplicata. Nel giro di una generazione, i figli dei contadini ex mezzadri si ritrovavano padroni di un “tesoro”, che stava portando una ricchezza sconosciuta ed inimmaginabile per un area che fino a pochi anni prima era ancora “palude” depressa. 4 All’inizio degli anni ’80 – sicuramente uno dei momenti di più alto sviluppo del settore edilizio - vi sono impiegati quasi 8000 addetti, corrispondenti al 40% dell’intero comparto a livello provinciale. 2 3
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trainata principalmente dall’attività edificatoria lungo la costa, che arriva a episodi di vera e propria “cementificazione”. Sono questi gli anni della grande lottizzazione: del 1980 è, infatti, la prima legge urbanistica regionale, lo strumento che regola la pianificazione del territorio e che sostanzialmente definisce la base principale delle cubature edificabili che verranno poi sviluppate negli anni successivi; ed è del 1985 la legge regionale 61 che definisce per la prima volta, a livello regionale, “le Norme per l’assetto e l’uso del territorio”5. Non bisogna però dimenticare che lo sviluppo delle lottizzazioni e delle cubature disponibili ed edificabili negli anni successivi avviene mediante un costante e reiterato ricorso a varianti nei piani regolatori e urbanistici che si susseguono negli anni. E proprio il meccanismo delle varianti ai piani costituisce uno dei principali punti deboli delle politiche di governo e pianificazione del territorio; punti deboli sui quali spesso si sono innestati speculazioni e interessi privati che hanno creato circoli viziosi tra politica e malaffare. Gli anni ’80 rappresentano un momento cruciale per capire le pieghe che lo sviluppo del territorio oggetto di analisi ha poi intrapreso: sono, infatti, anni segnati da un modello culturale dominante che vede nel cemento e nella crescita economica incondizionata l’unico modello di sviluppo possibile; sono anni segnati da una classe politica che teorizza e pratica di fatto una gestione “intraprendente” dell’ utilizzo delle risorse pubbliche economiche, finanziarie, ambientali – in un meccanismo di crescita vorticosa ma distorta6. A livello di strumenti urbanistici, questi sono anni in cui il livello di confronto e controversie urbanistiche si sposta dalla scala comunale a quella metropolitana, regionale e nazionale; il che si traduce però in una massiccia “deregulation”, che porta molto spesso ad interventi di trasformazione urbana e di terziarizzazione decisi al di fuori di qualsiasi quadro urbanistico di riferimento, nella totale assenza di una strategia comune o di una visione globale del territorio. Questo insieme di fattori sociali, culturali ed economici diviene decisivo nel processo di “migrazione e colonizzazione” delle organizzazioni criminali al Nord. Gli anni 80’ sono gli anni d’oro dello sviluppo mafioso, e la criminalità mafiosa cresce in modo rapido in tutta Italia, trovando in quegli anni di straordinario sviluppo economico un volano per un’ imperiosa crescita organizzativa e territoriale; crescita favorita anche dalla mancanza di regole, o comunque da un approccio culturale di tipo “liberista” in rapporto ad esse, in alcuni settori essenziali della pubblica amministrazione, che ha permesso in questo modo ai gruppi criminali organizzati di poter operare in contiguità con i gangli vitali delle pubbliche amministrazione e del potere politico, arrivando così ad inquinarlo e corromperlo per favorire i propri interessi. In particolare il mercato dell’edilizia locale e dei trasporti, oltre a quello di commercio, ha permesso alle mafie di occuparsi insieme di mercati legali e illegali confondendosi nelle opacità del sistema economico e nelle connivenze del sistema politico. In tal senso, come già accennato, il fatto che l’urbanistica sia stata sempre meno controllata e abbandonata agli interessi privati ha fatto sì che poi nel tempo la corruzione si sia spostata facilmente dalla gestione delle pratiche edilizie all’attività urbanistica. Per quanto riguarda il Veneto orientale, e in particolare il litorale, questo modello di sviluppo era teorizzato e sostenuto dagli amministratori pubblici, così come dai tecnici, in funzione di un mercato del turismo che cresceva secondo una curva di sviluppo di cui allora non si vedeva la fine, che sembrava evidenziare la necessità di fornire sempre nuove strutture, posti letto, seconde case e stabilimenti balneari; un mercato, quello del turismo e dell’edilizia legata ad esso, che è divenuto un volano di crescita e il principale indotto economico per il territorio e i suoi abitanti, e ha creato un benessere diffuso. La L.R. 61 resterà sostanzialmente il principale riferimento legislativo di regolazione della pianificazione urbanistica fino alla definizione delle legge regionale 11 del 2004, che ridefinirà in modo significativo la normativa e le metodologie di governo del territorio e di pianificazione urbanistica e ambientale 6 Sono gli anni dell’indebitamento pubblico incontrollato, delle “città da bere”, dell’ ”istituzionalizzazione” di un sistema di corruzione e malaffare che porterà, nel giro di pochi anni, all’esplosione di Tangentopoli e alla fine della Prima Repubblica e che, a quanto a pare anche da cronache recenti, purtroppo non ha smesso neppure nella seconda di condizionare la qualità delle scelte politiche e della vita sociale del Paese. 5
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Non v’è dubbio, ed è un interessante elemento d’analisi, che questo modello di sviluppo fondato sul cemento e l’espansione continua fu reso possibile anche dalla debolezza delle associazioni ambientaliste dell’epoca e delle loro istanze7, nonché dalla scarsa attenzione dell’opinione pubblica, in quegli anni, per le tematiche relative alla tutela dell’ambiente e del territorio. D’altro canto è anche vero che è proprio la reazione a questo modello dominante che porta, in questi anni, ad una maggiore strutturazione, culturale e politica, del mondo dell’associazionismo ambientalista nelle sue diverse forme e declinazioni (comitati, associazioni, partiti). Questo mondo avrà un peso ed un influenza sempre maggiori, negli anni seguenti, nel denunciare le storture e le incongruenze di questo modello, portando alla luce le opacità dei meccanismi di progettazione e di scelta che hanno caratterizzato il governo del territorio da lì in avanti. Il boom dell’edilizia, che traina e favorisce l’ingente crescita economica di questo territorio, attira nuovi investitori e imprenditori “esterni”, e accende l’interesse delle grandi organizzazioni criminali organizzate. Tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 assistiamo ad un radicamento sociale ed economico sul territorio di vere e proprie “enclave”, gruppi e nuclei di persone collegate alla criminalità organizzata. Questo percorso di radicamento sul territorio è caratterizzato da un basso profilo, da un meccanismo di infiltrazione “soft” del tessuto sociale, in particolare per quanto riguarda il litorale e i centri turistici (come Caorle ed Eraclea). Nell’entroterra, invece, risulta già evidente fin dagli anni ’80 la presenza di gruppi camorristici e criminali organizzati, anche in virtù della saldatura e delle alleanze di questi ultimi con alcuni esponenti della “vecchia” mala del Brenta che ancora operano nel territorio. A livello generale, gli anni ’90 sono gli anni di piena attuazione8 degli interventi progettati e lottizzati dai piani regolatori negli anni precedenti, seppur soggetti a continue e sostanziali deroghe e variazioni, che vanno spesso a incidere in modo corposo sulle cubature disponibili per l’edificazione, piuttosto che sui cambi di destinazione d’uso dei terreni, moltiplicandone così enormemente il valore e rendendoli importanti monete di scambio nelle logiche politico economiche, ed affaristiche, che vanno a definire le scelte di governo del territorio; possiamo tranquillamente affermare che sono questi gli anni del vero e proprio boom edilizio, anche nell’entroterra, i cui risultati sono un enorme espansione urbanistica e la nascita di zone industriali che fioriscono un po’ ovunque. Questo tipo di scelte e indirizzi politici da parte delle amministrazioni locali in materia di sviluppo e pianificazione del territorio contribuiscono certamente nell’attrarre, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, speculazioni immobiliari su grande scala e concentrate nelle mani di grossi soggetti (si parla di lottizzazioni da 200/300 mila metri cubi alla volta che possono andare ad occupare anche 50 ettari). Non bisogna dimenticare che quelli sono gli anni delle grandi opere infrastrutturali: il passante di Mestre, l’inizio dei lavori per la terza corsia dell’A4; sono gli anni dei “grattacieli” di Jesolo e del P.A.L.A.L.V.O9; sono gli anni del project financing, dell’outsourcing, dei grandi fondi d’investimento, delle società off shore. Ma sono anche gli anni della legge regionale 11 che, ristabilendo le regole dei PRG e PTRC, e istituendo i Pat, i Piani d’intervento e i Vas, ridefinisce le regole per lo sviluppo urbanistico ed edilizio del territorio, in un ottica di partecipazione di tutti i soggetti che vivono ed operano sul territorio, mirata ad uno sviluppo più sostenibile ed attento alla tutela ambientale (almeno nelle intenzioni); sono anche anni di grandi mobilitazioni e battaglie ambientaliste (da quella su Valle Vecchia a quella contro l’ipotesi di far passare la Tav sul litorale veneto); sono però anche gli anni in cui le istituzioni stesse sembrano mostrarsi più attente e motivate nel perseguire politiche di cura del Sono ancora poche, di nicchia – perlopiù “residui” dei movimenti degli anni ’70 che cercano di rielaborare nuovi contenuti e strumenti di comunicazione e di azione - e faticano a farsi ascoltare. 8 Nel 1992 entra in vigore il primo Piano Territoriale Regionale di Coordinamento. 9 Il tanto contestato Piano d’area per le lagune e i litorali del Veneto orientale, che da strumento urbanistico che voleva essere utile per il rilancio ambientale e turistico del territorio si è trasformato di fatto in un progetto che, ridisegnando il vecchio piano regolatore regionale, mirava a trasformare il litorale, da Jesolo a S. Michele, in un continuum di darsene, alberghi, villaggi turistici. 7
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territorio e di tutela ambientale. In tal senso, è significativo il lavoro fatto dalla Provincia di Venezia negli ultimi anni in materia di salvaguardia ambientale, di promozione e diffusione di un cultura del territorio che miri alla valorizzazione del suo patrimonio naturalistico e ambientale. Significativa è anche la battaglia, vittoriosa, dei comuni interessati per far decadere il Palalvo. Così come sono evidenti ed importanti i progressi legislativi in materia di trasparenza negli appalti pubblici, l’utilizzo sempre più frequente di protocolli sulla legalità e il diffondersi di una sensibilità sempre maggiore rispetto al fenomeno della criminalità organizzata, e dei reati di tipo ambientale, anche nei nostri territori. È innegabile infine che, grazie anche alla crescente attenzione dei media e al lavoro di ricerca condotto da singoli studiosi piuttosto che da centri studi e osservatori vari, coadiuvati dal constante e profondo lavoro delle forze dell’ordine e degli inquirenti, questi sono gli anni della presa di coscienza da parte della popolazione e dell’opinione pubblica locale della presenza ormai radicata, nel tessuto sociale ed economico, della criminalità organizzata sul territorio; una presa di coscienza che avviene anche di fronte alle sempre maggior evidenze dei fatti10. A contribuire a questa presa di coscienza collettiva concorre anche un elemento di natura socio economica: la sempre maggiore “occupazione” dell’economia locale da parte di pochi gruppi esterni permette tende infatti a svuotare il territorio delle sue risorse o comunque ad escludere gli operatori economici locali dalla gestione delle ricchezze che vengono prodotte dal e nel territorio. Si comincia a comprendere chiaramente che qui, come in ogni territorio in cui si insediano, i mafiosi non sono mai attori, nemmeno indiretti, dello sviluppo e ci si rende ora conto che invece questo modello economico non porta più lavoro per la gente del posto, che invece è molto più coinvolta quando si tratta di fare ristrutturazioni o manutenzioni sul patrimonio edilizio esistente, e che è la necessità di riqualificare strutture nate negli anni ’60, e ormai obsolete, che può davvero aiutare l’economia locale. Bisogna poi considerare che la crisi economica acuisce alcuni di questi fenomeni: la mancata crescita genera un processo di impoverimento della società che non tocca i gruppi criminali, supportati dai ricavi dei mercati illegali, cosa che se da un lato si rivela come un “opportunità” per loro dall’altro però li rende anche più visibili venendo ad essere sempre meno gli operatori attivi sul mercato con cui confondersi. La cronaca recente sembra indicarci che questi ultimi potrebbero essere gli anni delle grandi inchieste giudiziarie, degli arresti eccellenti, dei processi e della definitiva presa di coscienza che il livello dell’infiltrazione criminale sul nostro territorio e nei gangli fondamentali della sua struttura socio economica, ma anche culturale, è molto più profondo e radicato di quanto si credesse o si volesse vedere. Tutto ciò da un lato può spaventare e portare a fenomeni di rifiuto o rimozione del problema da parte della popolazione locale, degli amministratori e delle istituzioni; ma dall’altro lato, sommato al cambio di paradigma che la crisi economica sta portando con sé sia a livello globale che locale (i numeri dei flussi turistici, per quanto ancora alti, non sono comunque più quelli di un tempo), rappresenta un’occasione di importanza storica per interrogarci sul modello complessivo di sviluppo che questo territorio vuole perseguire, ridefinendo le proprie priorità ed esigenze, ripensando i punti di riferimento culturali e sociali, per costruire una società ed un’ economia che, valorizzando il proprio patrimonio edilizio ed ambientale già esistente, e rifiutando la logica di scambio e compromesso che deriva dal guadagno immediato, ma senza garanzie di trasparenza e controllo, possa guardare al futuro con una visione che “vada oltre l’estate”. Accanto al ripensamento del modello culturale ed economico che regola lo sviluppo del territorio è fondamentale, per gli anni a venire, mantenere e se possibile accrescere i meccanismi di vigilanza e controllo delle dinamiche che regolano le scelte progettuali Si moltiplicano gli episodi di “piccola criminalità” sospetti: dalla sparizione e danneggiamento dei macchinari e dei cantieri dove si fa movimento terra, alle minacce velate e non alle persone direttamente coinvolte, nel bene e nel male, in alcuni meccanismi e ambienti 10
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che la politica e le istituzioni compiono nella pianificazione del territorio e nell’utilizzo del suolo e delle risorse ambientali. È inoltre importante interrogarsi con precisione sulle condizioni di partenza che favoriscono direttamente o indirettamente gli “spazi d’azione“ dei gruppi criminali; la scarsa attenzione e lo scarso investimento delle amministrazioni sulle zone d’ombra del proprio territorio, sono condizioni che facilitano la penetrazione di attività economiche legate alle mafie. Tutto questo è necessario per evitare il formarsi di zone grigie d’interesse e commistione, laddove non si tratti proprio di collusione diretti con interessi criminali, tra gli amministratori pubblici e soggetti portatori di interessi privati poco trasparenti.
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3. FOCUS Il caso di Caorle
3.1. Caratteristiche principali della città Caorle è un comune di 12.032 abitanti (al 31.12.2010), situato tra le foci dei fiumi Livenza e Lemene, che si affaccia sul Mare Adriatico a nord est della Laguna di Venezia. Con una superficie di 151,39 kmq, il comune di Caorle è il secondo per estensione, dopo Venezia, dell’intera provincia. Comprende una serie di frazioni nell'entroterra, confinando a nord con i comuni di Portogruaro, Concordia Sagittaria, San Stino di Livenza e Torre di Mosto; ad est si trova il comune di San Michele al Tagliamento, mentre a sud-ovest il comune di Eraclea. Il territorio cittadino è suddiviso in alcuni rioni: il centro storico, cuore della città, con il suo fulcro nel duomo e da cui si diramano un gran numero di calli che sfociano ora in campielli ora nel principale Rio terà; verso sudovest, dalla via dedicata a Sant'Andrea prende forma l'omonimo rione, una serie di strade con il nome di pesci, prodotti tipici del pescato locale; dall'altra sponda del rio centrale, si ha invece il moderno rione Sansonessa, la zona industriale di Caorle; ancora più a sud si estende il rione Santa Margherita, attraversato dal lungo viale Santa Margherita, un tempo coperto da dune e da una folta vegetazione, e termina sulla riva sinistra del fiume Livenza; sempre costeggiando il rio centrale, a sud del rione Sant'Andrea, si trova il recente rione dell'Orologio (tradizionalmente incorporato nel rione Santa Margherita), che prende il nome dall'omonimo canale e comprende la vicina Darsena dell'Orologio, che si articola in una sorta di quadrante di meridiana con una serie di vie che hanno il nome dei segni dello zodiaco; a nord-est del centro storico si estendono invece i rioni San Giuseppe, più interno, e Falconera, che arriva fino alla foce del Lemene e ai territori lagunari, dove si trovano le tipiche costruzioni dei casoni. Le frazioni e le località all’interno del territorio comunale sono Porto Santa Margherita, Lido Altanea e Duna Verde, sul litorale; San Giorgio di Livenza, Cà Corniani, Cà Cottoni, Ottava Presa, San Gateano e Marango, nell’entroterra; Brussa, Castello di Brussa e Villaviera all’interno dell’area lagunare. Vediamole in dettaglio:
Brussa - Castello; antico territorio al confine con il comune di Portogruaro. Si trova immerso nella laguna, in quella che prende il nome di Valle Vecchia; la presenza del bosco litoraneo e della spiaggia consente un turismo improntato sia alla stagione balneare che alla scoperta della natura della zona, prevalentemente per scopi faunistici. La denominazione Castello, dal latino Castrum, testimonia invece la presenza di un tribuno dell’aristocrazia terriera sul litorale compreso tra Caorle e Bibione.
Ca' Corniani - Ca' Cottoni; le due frazioni che si estendono a nord, all'inizio del XX secolo e fino agli anni settanta il vero centro della popolazione, grazie alle fiorenti attività agricole che costituivano la seconda fonte di sussistenza del paese (oltre alla pesca). Entrambe le frazioni prendono il nome da famiglie nobili veneziane. 16
Duna Verde; verso sud si articola la zona di Duna Verde, anch'essa nata nell'ultimo trentennio del secolo scorso e prevalentemente votata al turismo. Confina con il comune di Eraclea.
Lido Altanea; recentissima è la formazione della frazione di Lido Altanea, un nucleo di abitazioni, alberghi e strutture commerciali in quella che era la vecchia omonima valle. Confina con il comune di Eraclea.
Porto Santa Margherita; il litorale di ponente del capoluogo, che si interrompe alle foci del fiume Livenza, riprende dall'altra sponda con la frazione di Porto Santa Margherita. Negli anni Settanta, l'epoca del boom economico dovuto al turismo, la frazione era considerata la perla dell'Adriatico, all'avanguardia per quanto riguarda le strutture balneari e le attrezzature per la nautica da diporto.
San Giorgio di Livenza; la più grossa frazione del Comune di Caorle. Anticamente qui il vecchio corso naturale del fiume Livenza separava il territorio del comune di Caorle da quello di San Stino di Livenza; sulla destra del fiume San Giorgio e sulla sinistra La Salute di Livenza.
San Gaetano - Ottava presa - Marango; si trovano a nord del capoluogo, sull'altra riva del Livenza rispetto a Ca' Corniani e Ca' Cottoni. Fanno parte di una vasta porzione di terreno, atto per lo più all'attività agricola, anticamente suddiviso in prese, cioè vari appezzamenti di terreno di dimensione variabile. La frazione di San Gaetano si trova leggermente spostata da quella che un tempo era la Sesta presa; Ottava presa è invece l'unica frazione che ha mantenuto la denominazione originaria.
Villaviera
Queste realtà urbane del comune di Caorle presentano caratteristiche differenti; i centri minori dell’entroterra, San Giorgio e Ottava Presa, si caratterizzano per essere realtà contenute con funzione quasi esclusivamente residenziale, scarsi sono i servizi al cittadino. I centri minori sulla costa, Porto Santa Margherita e Duna verde, si caratterizzano per essere anch’essi realtà contenute ma con funzioni residenziali e turistiche, scarsamente utilizzate nella stagione invernale e sovraffollate in quella estiva. Il patrimonio edilizio di questi due centri risulta piuttosto recente (costruito negli ultimi cinquant’anni), con un disegno urbano, delle tipologie costruttive e degli spazi finalizzati alla piena fruizione durante i periodi estivi. Inoltre una elevata percentuale delle abitazioni sono seconde case. Per quanto riguarda Caorle, gli elementi di identità e valore urbano risultano più consistenti; la presenza del centro storico permette una riconoscibilità testimoniando il disegno urbano storico e le tipologie edilizie. Il disegno urbano e le tipologie costruttive presenti al di fuori del perimetro del centro storico sono di recente costruzione e finalizzate alla piena fruizione durante i periodi estivi. Il turismo balneare ha segnato la storia economica del territorio del comune di Caorle, come tutta la costa alto adriatica dal secondo dopoguerra ad oggi: il trend di sviluppo del movimento turistico, che ha conosciuto saggi di incremento fortemente attivi dagli anni sessanta fino all’inizio degli anni novanta, è ora in fase di stabilizzazione. Nell’ultima stagione estiva il numero dei turisti ha superato i 4 milioni di presenze. La capacità ospitale di Caorle risulta affidata per il 54% al settore degli alloggi privati, distribuendosi la parte residua tra le strutture ricettive all’aperto (24%) e i posti letto alberghieri (22%). L’offerta turistica è stata dapprima impostata sulla ricettività alberghiera ed ha successivamente registrato una sempre maggiore incidenza degli alloggi privati. 17
Entrambe queste tipologie d’offerta, nonostante costanti adeguamenti all’evoluzione del mercato, hanno raggiunto una maturità immobiliare che, in taluni casi, richiede interventi fisico – funzionali, in altri rinnovamenti gestionali.
3.2. Storia e sviluppo urbano di Caorle dagli anni ’30 del secolo scorso ai giorni nostri Le origini dei centri abitati nel territorio di Caorle sono riconducibili all’epoca romana, quando l’attuale porto di Falconera era il Portus Reatinium, utilizzato dalle navi che risalivano il corso del fiume Lemene verso le città romane di Julia Concordia e Opitergium. Con la caduta dell’Impero Romano, Caorle diventa una delle città più importanti del litorale, tanto da contribuire in modo decisivo alla fondazione di Venezia, quando le genti della terraferma nelle remote isole delle lagune trovarono scampo alla devastazione delle orde barbariche che misero a ferro e fuoco Acquileia, Concordia, Oderzo, Altino e Padova. Il territorio di Caorle ospitò i profughi di Concordia e la città fu innalzata a sede vescovile; nell’anno 876 la cattedrale fu eretta dal Vescovo Leone e nel mille si completò l’edificazione delle sue chiese. Nei secoli successivi la città cresce e diventa sede di ricchezza e potenza, fornisce navi e marinai alla flotta veneziana, ma l’imminente declino coincide con la caduta della Repubblica Serenissima. Dopo il dominio Asburgico nell’Ottocento e dopo le due guerre mondiali, negli anni ’50 del secolo scorso ricomincia un’altra rinascita, legata all'economia turistica che in pochi decenni ha portato benessere e sviluppo11. Il primo strumento urbanistico comunale è stato adottato dal comune nel 1939: si trattava di un semplice Regolamento Edilizio con annessa una planimetria in cui era perimetrata l’area di applicazione, che comprendeva, come si vede nella piantina (Fig.1), il centro storico e tutta la zona a ponente di esso fino al canale dell’Orologio e al fiume Livenza.
Fonte: Pro.Tec.O. scrl, Piano di Assetto del Territorio. Prima analisi, di carattere generale e di contesto complessivo, sullo stato dell’ambiente e sul sistema della programmazione, anno non specificato nella pubblicazione (comunque successivo al 2007 dato che i riferimenti bibliografici citati nel testo arrivano fino a questa data). 11
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Fig. 1 - Zona di Applicazione del Regolamento Edilizio del 1939
Il primo sviluppo urbano di Caorle avviene dopo la seconda guerra mondiale, quando, per far fronte al forte bisogno abitativo locale (molte famiglie vivevano accalcate in coabitazione nelle vecchie case del centro storico e nelle baraccopoli poste sulle dune di Santa Margherita), vengono realizzati alcuni interventi di case popolari (le case per pescatori vicino al porto, le case del genio civile dietro il duomo, il rione Santa Lucia, le case di via Dal Moro, il condominio Ina casa di via Marconi). Per cercare di risolvere il grave problema della disoccupazione locale, nel dopoguerra vengono organizzate delle campagne di forestazione che determinano la creazione delle pinete sulle dune di levante fino al porto di Falconera e di ponente a Santa Margherita. E nel 1949 il comune è favorevole all’approvazione “piano Lavachielli” predisposto dall’Ente Nazionale per le Tre Venezie al fine di bonificare la Valle Vecchia e trasformarla in 100 poderi agricoli da assegnare ad altrettante famiglie di Caorle.
Fig. 2 - Bonifica di Valle Vecchia
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A partire dai primi anni’ 50, con l’arrivo delle prime schiere di turisti italiani e stranieri, cominciano a sorgere i primi insediamenti turistici (pensioni, locande, affittacamere, campeggi) che via via si svilupperanno a nastro e per file (1a,2 a,3a fila) lungo le spiagge di levante e di ponente nella totale assenza di pianificazione urbanistica comunale, in quanto anche il vecchio regolamento del 1939 non aveva più valore ed era stato considerato dalle competenti autorità “carta da macero”: un’edificazione quindi “spontanea” e del tutto affidata agli scarsi mezzi finanziari e al modesto gusto estetico dei pionieri turistici, molti dei quali improvvisati, come i pescatori che avevano abbandonato il mare e la laguna o i contadini che avevano abbandonato la terra per cimentarsi nelle nuove attività turistiche ricche di prospettive future. La rapida crescita edilizia ha determinato la realizzazione di nuove strade sia a levante (lungomare Trieste, via Falconera e successivamente corso Chiggiato) che a ponente (via Marconi, viale Santa Margherita e successivamente via Buonarroti), che rappresentano ancora oggi le principali arterie veicolari di Caorle, tra le quali le aree sono state frazionate e vendute a lotti per essere edificate: una vera e propria corsa ad accaparrarsi le aree migliori rispetto all’arenile ed un progressivo fermento edificatorio, che in breve tempo porterà alla saturazione dei lotti liberi, soprattutto per ciò che concerne quelli fronte mare. Solo nel 1956, quando lo sviluppo urbano era già ben avviato, il comune incarica l’architetto Alcibiade Comar alla redazione di un Piano Regolatore Generale (P.R.G.) per cercare di programmare la futura crescita urbana in modo meno improvvisato e forse anche per poter esercitare un controllo diretto sul processo edificatorio in atto e sul mercato fondiario ed immobiliare che attirava investimenti sempre più consistenti. Il piano prevedeva l'interramento del porto-canale dalla pescheria fino alla confluenza con il canale dell'Orologio, e la realizzazione di una strada litoranea (in prosecuzione della statale Romea) che da Marina di Eraclea arrivava fino al Tagliamento attraversando valli e paludi con alcuni lunghi ponti sul fiume Livenza, sul canale Nicesolo e sul canale dei Lovi. Le zone edificabili erano dislocate in tutto il litorale di Caorle, con maggior estensione nella spiaggia di ponente che in quella di levante, ma si prevedeva anche l’espansione della città turistica oltre il fiume Livenza e il canale Nicesolo, in una stretta fascia litoranea di Valle Altanea (di proprietà Romiati) e di Valle Vecchia (di proprietà Ente Nazionale per le Tre Venezie). Ma tali previsioni urbanistiche non ebbero alcun seguito perché il piano non fu approvato, e Caorle continuò a rimanere senza nessun tipo di pianificazione urbanistica. Con Decreto Ministeriale del 6 aprile 1959 furono vincolate alcune zone nel capoluogo di Caorle, e dichiarate di notevole interesse pubblico: tutta la fascia litoranea di levante, dalla “Rotonda” a Falconera, la fascia litoranea di ponente da piazzale Colombo alla foce del Livenza, e il centro storico con il canale del porto peschereccio. In queste aree l’edificazione fu subordinata all’approvazione dei singoli progetti da parte della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia.
Fig. 3 - Area vincolata nella spiaggia di levante con D.M. 6 aprile 1959
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Fig. 4 - Area vincolata nella spiaggia di ponente con D.M. 6 aprile 1959
Fig. 5 - Area vincolata nel centro storico con D.M. 6 aprile 1959
Se fino ai primi anni ’60 del secolo scorso i protagonisti dello sviluppo urbano erano stati per lo più gli stessi abitanti di Caorle, con la bonifica della Valle Altanea nel 1962 e della Valle Vecchia nel 1965 e le nuove enormi prospettive di sviluppo turistico offerte da queste aree, comincia l’interessamento di una più ricca ed 21
organizzata imprenditoria esterna intenzionata ad investire qui per ricavarne in breve tempo forti guadagni. In particolare, in quegli anni viene attuata nel capoluogo l’urbanizzazione e avviata l’edificazione del Villaggio dell’Orologio da parte della famiglia Dal Moro-Impallomeni di Portogruaro, ma soprattutto nell’area della ex Valle Altanea la società Porto Santa Margherita s.p.a. predispone un piano di lottizzazione redatto dall’arch. Gino Valle per l’urbanizzazione e l’edificazione di un macroscopico quartiere turistico “Porto Santa Margherita” con una grande darsena da diporto. La necessità di approvare questo piano di lottizzazione induce l’amministrazione comunale ad adottare nel 1965, quando gran parte della città turistica era ormai già edificata, un nuovo Piano Regolatore Generale redatto dagli architetti Alcibiade Comar e Antonio Saccomanni, che prevedeva un notevole incremento delle previsioni infrastrutturali ed edificatorie rispetto al PRG del 1956: una rete stradale imponente ed una enorme quantità di aree edificabili, per una capacità insediativa complessiva di 100.000 abitanti (40.000 in Valle Altanea, 30.000 nel capoluogo e 30.000 in Valle Vecchia); nella sola Valle Vecchia era prevista l’edificazione di ben 5.750.000 metri cubi. Tuttavia, anche questo secondo tentativo di pianificazione urbanistica subì la stessa sorte di quello del 1956. Mentre l’area della ex Valle Vecchia rimane completamente agricola ed inedificata (e lo è anche ai giorni nostri), nell’area della ex Valle Altanea, oltre al quartiere di Porto Santa Margherita, il cui piano di lottizzazione viene approvato il 26 febbraio 1966 sulla base del Piano Regolatore adottato nel 1965, vengono aperti il grande campeggio di “Prà delle Torri” e il villaggio turistico di “San Francesco”. Il 14 luglio 1966 viene inoltre approvato il piano di lottizzazione di Duna Verde, costituita da tanti piccoli villaggetti costruiti dal nulla intorno ad un nucleo edificato centrale più intensivo. In particolare, il piano di lottizzazione di Porto Santa Margherita prevedeva che il 47% della superficie territoriale di piano fosse fabbricabile, a varia intensità edificatoria (il 25% a edilizia estensiva, il 16 % semintensiva e il 6 % intensiva), mentre il 53% fosse destinato a servizi collettivi e alla formazione di una grande darsena per il diporto nautico (Marina 4) su circa 7 ettari, con una capacità di circa 800 posti barca e una dotazione di circa 3.000 posti auto. Fu quindi costruito il ponte sul Livenza e realizzata la strada provinciale che parallelamente al litorale arrivava fino al confine con Eraclea Mare. L’entrata in vigore in quegli anni della legge che eliminava la mezzadria, portò presto allo spopolamento delle campagne, che furono via via abbandonate dagli abitanti delle “case sparse” ed anche da quelli dei principali centri rurali (Cà Corniani, Cà Cottoni e S. Gaetano), parte dei quali emigrò verso i grandi centri industriali del nord Italia e parte si trasferì a Caorle, determinando un'ulteriore bisogno di case che furono costruite soprattutto a Santa Margherita e Sansonessa, dove sorsero molte abitazioni mono o bifamiliari. Nello steso periodo, grazie al benessere acquisito col turismo, molti residenti del centro storico acquistarono terreni per la costruzione delle loro case nelle aree libere circostanti o tra viale S. Margherita e via Buonarroti; contemporaneamente iniziò il progressivo spopolamento del centro storico, ove rimasero a vivere per lo più le famiglie con attività commerciali a piano terra dell’abitazione. Nel 1967 esistevano a Caorle 196 strutture alberghiere, dotate di 5.364 camere, 10.164 posti letto e 2.185 bagni (1 bagno ogni 2,46 camere e ogni 4,65 posti letto). Inoltre c’erano: 9 esercizi extralberghieri (affittacamere, colonie ecc.) dotati di 267 camere e 2.017 posti letto con 185 bagni; 5 campeggi e villaggi turistici con 2.200 posti letto; 673 alloggi privati dotati di 2.765 camere e 5.758 posti letto. Complessivamente la capacità ricettiva era di 20.139 posti letto mentre le presenze turistiche erano 1.628.894 di cui 985.688 straniere (60,51%), con un rapporto di 81 presenze per posto letto e di 15,1 presenze per arrivo. Nel 1968 fu superata la soglia dei due milioni di presenze turistiche. Il 12 giugno 1968, quando lo sviluppo della città turistica era ormai esteso su gran parte del litorale, l’amministrazione comunale avviò un nuovo tentativo di pianificazione urbanistica adottando un Regolamento Edilizio con Programma di Fabbricazione redatto dall’arch. Romano Chirivi. La scelta di un Programma di 22
Fabbricazione anziché di un Piano Regolatore fu dettata dall’emanazione della cosiddetta “Legge Ponte”, che permetteva di urbanizzare e costruire mediante piani di lottizzazione convenzionata. Il nuovo strumento urbanistico prevedeva una macroscopica edificazione a nastro lungo tutta la fascia costiera, da Santa Croce fino a porto Baseleghe, suddivisa in 14 comparti edilizi di varia superficie e consistenza edificatoria, soggetti alla preventiva approvazione di piani di lottizzazione convenzionata (il solo comparto M relativo alla Valle Vecchia prevedeva la costruzione di 2.450.000 metri cubi). Anche questo piano regolatore però non ebbe successo, poiché, trasmesso per l’approvazione nel 1969 al Provveditorato Regionale Opere Pubbliche, nel 1970 fu rinviato al comune per la completa rielaborazione. Il 15 maggio 1970 l’Ente Nazionale per le Tre Venezie, proprietario dell’area, bandisce un concorso nazionale di idee per la valorizzazione turistica della ex Valle Vecchia: concorso senza seguito in quanto i progetti presentati non furono ritenuti degni di considerazione. Dopo la bocciatura del piano urbanistico Chirivi, l’11 febbraio 1971 il Consiglio comunale di Caorle adotta un nuovo Programma di Fabbricazione che, ricalcando le precedenti previsioni urbanistiche, incrementava ancor più la capacità insediativa. La suddivisione in zone di piano (redatto dall’arch. Bruno Preti) distingueva le aree di completamento B (già urbanizzate) da quelle di nuova formazione C (non urbanizzate), per le quali l’attuazione era soggetta ad un piano di lottizzazione esteso all’intero comparto. In totale erano previsti 24 piani di lottizzazione, ciascuno contraddistinto con una lettera alfabetica, da Santa Croce fino a porto Baseleghe, ed anche a San Giorgio di Livenza. Con l’emanazione del Decreto Ministeriale n°1444 del 2 aprile 1968, le previsioni di piano dovevano essere dimensionate garantendo un fabbisogno minimo di aree a standards per attrezzature comuni, per l’istruzione, per aree verdi attrezzate e di parcheggio, in rapporto al numero di abitanti programmato derivante dal carico edificatorio previsto. Il Programma di Fabbricazione adottato prevedeva complessivamente l’edificazione di aree per 14.634.600 metri quadrati (aree di completamento e aree di nuova formazione) con un volume fabbricabile di 11.559.175 metri cubi ed una capacità insediativa di 115.592 abitanti e 6.000.000 di presenze turistiche annue, mentre la dotazione di aree a standards (verde pubblico e parcheggi) era di 43,16 mq. ad abitante, quindi sovradimensionata rispetto ai 18 mq/abitante minimi di legge. L’area fabbricabile più macroscopica era quella della ex Valle Vecchia (S) dove su una superficie territoriale di 5.337.000 mq. si prevedeva l’edificazione di 1.334.250 metri cubi (0,25 mc x mq). Il 20 gennaio 1972, a sette anni dalla proposta della Sovrintendenza Monumenti di Venezia, il Ministero dell’Istruzione emanò un Decreto che vincolò paesaggisticamente tutta l’area lagunare di Caorle e di Concordia Sagittaria, comprendendo quindi anche l’ex Valle Vecchia che essendo dichiarata zona di notevole interesse pubblico fu stralciata dalle previsioni di piano.
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Fig. 6 - Area lagunare vincolata con D.M. 20-01-1972
In seguito alle osservazioni regionali del 1972, ed alle contro deduzioni del comune, che nel 1973 accettò tutti gli stralci proposti dalla Regione (zone P-Q-R-S nel litorale e zone I-Z-X a S. Giorgio) e una riduzione degli indici di edificazione per altre zone, con decreto regionale del 26 giugno 1973 fu approvato il Programma di Fabbricazione, primo piano urbanistico generale di Caorle finalmente entrato in vigore, purtroppo quando ormai buona parte della città turistica era stata realizzata. La macroscopica crescita edilizia avvenuta nel decennio 1963-1973 aveva determinato un incremento notevole della capacità ricettiva turistica di Caorle (non solo di tipo alberghiero ma sempre più di tipo residenziale), che passò da 5.982 a 28.593 posti letto (+ 22.611 = + 378% dal 1963) con arrivi da 73.273 a 199.968 (+ 126.695 = + 173%) e presenze da 1.065.763 a 3.408.272 (+ 2.342.509 = + 220%), di cui 1.422.969 straniere (41,75%). Si è trattato, come abbiamo visto, di una serie di interventi edilizi nati dal basso, in assenza appunto di qualsiasi strumento regolativo: tipicamente, l’ex famiglia di pescatori o di mezzadri che tira su l’alberghetto in “economia”, un piano all’anno. Una miriade di imprese a gestione familiare che realizzano per lo più pensioni (la struttura ricettiva più richiesta all’epoca). Questo ha comportato come aspetto positivo un reddito diffuso, ma come aspetto negativo un tessuto urbano che oggi ci appare degradato: strade strette, scarsità di posti auto, produzione edilizia scadente ed intensiva con il massimo sfruttamento della superficie coperta a 1,5 metri dal confine. Essendo ormai decaduta la validità decennale del Programma di Fabbricazione in vigore dal 1973, nel 1985 il
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Consiglio Comunale di Caorle adotta un nuovo Piano Regolatore Generale, trasmesso alla Regione nel 1986 e definitivamente approvato nel 1990. Questo nuovo strumento urbanistico prevedeva la formazione di un parco lagunare inedificabile su tutta l’area interessata dal vincolo paesaggistico del 1972, comprendente quindi la zona lagunare della ex Valle Vecchia, della Val Franchetti, della Val Nova, della Val Perera, della Val Zignago, e confermava invece l’edificazione su tutta la zona della ex Valle Altanea tra Porto S. Margherita, Prà delle Torri e Brian. Per quanto riguarda il Capoluogo di Caorle, il P.R.G. individuava le zone edificabili, suddividendole per zone omogenee: zona A, centro storico, con alcuni gradi di protezione degli edifici e relativa possibilità d’intervento; zone B, residenziali di completamento, già urbanizzate, dove era possibile costruire con semplice concessione edilizia; zone C, zone residenziali di nuova formazione o di espansione, (C1 parzialmente urbanizzate e C2 non urbanizzate) subordinate alla preventiva approvazione di un piano attuattivo; zone D, per attività economiche, anche queste assoggettate ad uno strumento urbanistico attuattivo; zone E, agricole, in cui l’edificazione era regolata dalla Legge Regionale n° 24 del 1985. Complessivamente, il nuovo P.R.G. prevedeva un utilizzo del suolo (esclusa la viabilità) di circa 263 ettari, di cui circa 111 di aree edificabili e circa 152 di aree a standards (verde, parcheggi, ecc.). Più precisamente, il dimensionamento di piano era il seguente:
Tab. 1 – Piano Regolatore Generale di Caorle (1990): Dimensionamento di piano
ZONA OMOGENEA
SUPERFICIE MQ
A B C D
CENTRO STORICO DI COMPLETAMENTO DI NUOVA FORMAZIONE ATTIVITA’ ECONOMICHE VARIE TOTALE AREE A STANDARDS
68.700 1.404.857 3.925.860 5.657.151
TOTALE AREE
26.254.582
11.056.568 15.198.014
VOLUME (N° ABITANTI x 150 MC/ABIT) = MC 236.250 5.688.450 6.728.850 2.555.100
N° ABITANTI TEORICI
INDICE MEDIO MC/MQ
1.575 37.923 44.859 17.034
3,44 4,05 1,71 0,45
SUPERFICIE UTILE (VOLUME : 4) 59.062 1.422.112 1.682.212 638.775
15.208.650 109 mq x abitante
101.391
1,38
3.802.162
Il P.R.G approvato nel 1990 rispecchia la filosofia degli anni ’80, essendo, come si vede nella Tab. 1, incentrato nelle espansioni edilizie. Molte nel frattempo sono state realizzate, altre non sono state ancora completate. Queste espansioni hanno raddoppiato o quasi l’edificazione sull’area costiera: l’intera costa (16 km, da Porto Falconera al confine con Eraclea) è un continuum di residenze e alberghi, tranne i 5 km di Valle Vecchia che, anche per le battaglie del mondo ambientalista dell’epoca (WWF, ecc.) è stata risparmiata dalla cementificazione. Dal ’91 ci sono state due varianti generali (entrambe risalgono alla fine degli anni ’90): una che concerne le zone agricole, e una che riguarda il settore alberghiero. Per ciò che concerne quest’ultimo, per ogni albergo è stata definita la possibilità o meno di sopraelevazioni, ampliamento ed anche cambi della destinazione d’uso, 25
al fine di aggiornare e rendere più razionali le vecchie strutture ricettive ormai divenute poco funzionali ed inadeguate alla moderna domanda turistica. Il P.R.G. del ’90 ha provocato, a partire dal ’95, una seconda ondata edilizia. Qui si colloca tutto l’intervento dei cosiddetti Comparti Centrali nella ex Valle Altanea, la cui realizzazione è ancora in corso d’opera poiché è stata rallentata dalla crisi economica. In quest’area il P.R.G. prevede circa 2 milioni di metri cubi di edificazione, di cui 1 milione e 400mila sono stati già approvati (si prevede di edificare seconde case ed un hotel), ma il completamento è stato appunto rallentato dal periodo poco propizio. Nella zona retrostante la strada provinciale (Valle Altanea “interna”) l’area è ancora agricola, anche se esistono iniziative edificatorie per la costruzione di circa 400 mila metri cubi destinati a residenze turistiche, darsene e un campo da golf. Secondo Michele Zanetti, dell’Associazione naturalistica sandonatese, quella di Valle Altanea è una storia emblematica, soprattutto riguardo alle competenze sul dispositivo di controllo preposto alla tutela del cosiddetto “bene ambientale”. Se infatti la Provincia di Venezia, cui erano assegnate le competenze relative fino agli anni Novanta, aveva deciso la tutela e la inedificabilità del bacino di bonifica litoranea di Valle Altanea, provocando strascichi legali, il successivo passaggio di tali competenze ai comuni (e nello specifico al comune di Caorle) ha di fatto sancito il via libera all’intervento, nonostante molti, Zanetti compreso, sostenessero invece l’opportunità di un “riallagamento”, ovvero della necessaria rinaturalizzazione dell’area. «Ebbene» - sostiene l’autore con amara ironia - «un allagamento, più che un riallagamento, c’è stato, ed è anzi in corso, in effetti: si tratta però di edifici residenziali, di interi villaggi di villette a schiera, di supermercati, di alberghi, nonché di giardini che nella loro sofisticata e apparente rusticità vorrebbero esprimere una naturalità che tuttavia rimane solo puramente virtuale» (Zanetti 2005, p. 125). Più recentemente, negli anni 2000, sono stati approvati tre PIRUEA (Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale) che interessano il centro storico di Caorle, polo d’attrazione e di maggior pregio di tutta la città turistica, e che hanno sconvolto l’intero assetto del centro con la costruzione di alcuni macroscopici edifici residenziali e commerciali. Si tratta di accordi pubblico-privati, ove i privati hanno garantito al comune la costruzione di opere di interesse generale e “in cambio” hanno ottenuto la possibilità di costruire edifici dedicati all’edilizia privata. Il primo PIRUEA, relativo al piano di recupero di via Roma e comparto municipio, è stato realizzato nell’area dell’ex municipio e del vicino parcheggio nel periodo 2006 - 2010. Il beneficio pubblico risiede nella realizzazione della nuova sede municipale, con recupero di parte della vecchia sede (in particolare la facciata), come imposto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio del Veneto (i PIRUEA necessitano infatti del benestare della Regione). Il beneficio per il privato è stata la costruzione di migliaia di metri cubi residenziali e commerciali (su progetto di Paolo Portoghesi), realizzati a ridosso della diga foranea, con la conseguente perdita dei valori paesaggistici ed ambientali preesistenti e la totale alterazione paesaggistica ed ambientale della zona. Invano un comitato locale di difesa del territorio ha cercato di impedire, anche mediante un referendum popolare, che non ha raggiunto il quorum, questa costruzione definita “ecomostro”. Il secondo PIRUEA, denominato “Consorzio peschereccio ed ex autostazione”, è stato realizzato a partire dal 2009 sull’area del vecchio consorzio peschereccio prospiciente il rio interno. Col fallimento del Consorzio peschereccio nel 1998, infatti, tutta l’area ed i sovrastanti edifici consorziali sono stati messi all’asta e venduti a privati che hanno predisposto il piano per la costruzione di alcuni edifici residenziali e commerciali. Il beneficio pubblico è stato qui l’utilizzo di una porzione costruttiva per la creazione di un nuovo mercato ittico all’ingrosso il cui completamento e finitura è però a carico del comune (il comune ha dovuto impiegare circa un 26
milione e mezzo di denaro pubblico per completare il tutto). Il beneficio privato è consistito nel cambio di destinazione e nella realizzazione di parcheggi interrati. Complessivamente il progetto ha comportato un aumento della volumetria: ai 10mila metri cubi pre-esistenti, interamente riqualificati, se ne sono aggiunti altri 6mila. Anche questo secondo piano è stato motivo di discordia tra comitato ambientalista e giunta comunale: per i primi il progetto non rispetta l’identità storica del paese ed è un altro esempio di speculazione edilizia, per il sindaco di allora invece è una risposta concreta alla crisi della pesca (Coppo, 2006). Nella storia dello sviluppo urbano di Caorle, dunque, si possono delineare due fasi principali: una prima fase, fino agli anni ’60 del secolo scorso, in cui lo sviluppo è “endogeno”, ed una seconda fase in cui inizia ad essere in modo consistente “esogeno”, imperniata sulla logica dello scambio tra pubblico e privati: Negli ultimi anni sempre più di frequente si sono viste grosse operazioni immobiliari; prendendo l’esempio di Caorle (ma anche Jesolo è molto simile): mentre nei primi anni ’70 molto spesso erano ex contadini che a partire da una casetta, un pezzo alla volta la trasformavano in locanda, poi in pensioncina e via così si è prodotto questo sviluppo disorganico, disordinato, anche brutto se vuoi e si vede che non è stato pianificato a tavolino, che però ha dato vita ad un’economia che ha generato un benessere diffuso, e non come oggi dove c’è la grande impresa che arriva e di punto in bianco costruisce un pezzo di città. Negli ultimi anni infatti abbiamo assistito (e assistiamo) a tutta una serie di grandi operazioni immobiliari concentrate nelle mani di grandi soggetti; parliamo di lottizzazioni da 200/300 mila metri cubi alla volta che andavano ad occupare anche 50 ettari; ed anche il lavoro generato da questi interventi alla fine andava nelle mani di ditte grosse e non sempre locali […] La colonizzazione a livello economico sembra un’operazione decisa a tavolino ed è chiaro che hanno deciso di investire dove hanno trovato certi agganci e da un certo punto in poi si è visto un ruolo sempre crescente di soggetti nuovi esterni alla realtà locale, che trovano poi una contropartita molto favorevole a livello di scelte amministrative. Mi è capitato di veder quadruplicare una volumetria prevista dal piano regolatore in cambio sì di alcune attrezzature pubbliche che però valevano solo una minima parte del “premio” concesso (Testimone privilegiato12, Caorle).
Un altro esempio recente di questa dinamica è la vicenda del cosiddetto “Villaggio Terme”, nell’area exvillaggio Costa Verde di Caorle. Nel 2004 la Caorle Investimenti Srl acquista all’asta pubblica due aree (in seguito al fallimento delle ditte attuatrici dei piani di lottizzazione di tali aree): la prima è individuata dal vigente PRG come zona D3-C-“Zona per aggregazioni ricettive”; la seconda è censita catastalmente al Fg. 34, mappali 633,634,636,643,645,646,659, e ha la destinazione d’uso di “area per le attrezzature sportive e ricreative ad uso pubblico”. Come si legge nel Verbale di deliberazione del Consiglio Comunale – Registro delibere di consiglio Atto n. 43 del 22/12/2007, «la Società Caorle Investimenti Srl ha presentato a questa amministrazione in data 23 novembre 2006 una diversa soluzione urbanistica, che prevede l’accorpamento delle due aree sopra indicate, con il conseguente trattamento delle stesse come un’unica area di intervento unitario (denominata C2/39), ove insediare una zona residenziale-commerciale e di servizi, da destinare in parte ad edilizia convenzionata ed in parte ad un centro termale con annessa sala conferenze, prevedendo la cessione al comune di Caorle di una rilevante parte dell’intervento a fronte della variazione urbanistica delle attuali previsioni del PRG». Nello specifico, la “variazione urbanistica” richiesta dalla Caorle Investimenti prevede la quadruplicazione della cubatura edificabile. Su quell’area era infatti prevista una volumetria di circa 60mila metri cubi, e il progetto proposto dalla società propone di portare la volumetria a 241mila metri cubi, con un indice di edificabilità che passa da 0,80 a 2. Più in dettaglio, nella “Proposta di accordo procedimentale per l’area ex-villaggio Costa Verde a Caorle”, predisposta dallo studio dell’architetto Mar di Zelarino e proposta dalla Caorle Investimenti srl L’identità degli intervistati, data la delicatezza delle questioni trattate, è stata resa irriconoscibile (tranne che per il giornalista Maurizio Dianese, le cui inchieste sono già note a chi si interessa di criminalità organizzata in Veneto). 12
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al comune in base all’art. 6 della L.R. 11/2004, si legge che «il Comune di Caorle si impegna a modificare il Piano di assetto territoriale (PAT) in fase di stesura, in modo che […] all’interno delle aree di proprietà della Ditta Attuatrice siano previste le seguenti destinazioni: - residenziale e commerciale per complessivi mc 175.000, con facoltà di utilizzo della destinazione commerciale in misura non superiore a 25.000 mc; - residenza turistica alberghiera (R.T.A.): mc 15.000; - edilizia residenziale convenzionata per complessivi mc. 30.000, da realizzare a cura e spese della Ditta Attuatrice entro e non oltre 42 mesi dall’approvazione del piano attuativo che disciplinerà la concreta edificazione dell’area, e da cedere a soggetti designati dal Comune secondo modalità che verranno definite con idonea convenzione; - strutture da destinare alla collettività per complessivi mc. 21.000, da realizzare a cura e spese della Ditta attuatrice entro e non oltre 60 mesi dall’approvazione del piano attuativo che disciplinerà la concreta edificazione dell’area; in detto ambito potranno essere realizzate una struttura termale e una sala conferenze, esclusa ogni diversa destinazione». Lo scambio dunque prevede come beneficio al privato 190.000 mc., destinati ad uso residenziale e commerciale e a residenza turistica alberghiera, e come beneficio alla collettività 51.000 mc., destinati a edilizia residenziale convenzionata e ad un centro termale con annessa sala conferenze. Non essendo possibile in quel momento introdurre varianti alle destinazioni dettate dal PRG a causa del blocco previsto dalla L.R. 11/2004 che impediva nuove varianti, la società ha dunque proposto all’amministrazione comunale di sottoscrivere un apposito accordo di pianificazione come disciplinato dall’art. 6 della stessa legge, onde regolamentare convenzionalmente le modifiche da introdurre in sede di piano di assetto del territorio (PAT) alla disciplina di zona, per consentire l’intervento programmato. Nell’articolo 6 della L.R. 11/2004, dal titolo “Accordi tra soggetti pubblici e privati”, si legge infatti, tra le altre cose, che «i comuni, le province e la Regione, nei limiti delle competenze di cui alla presente legge, possono concludere accordi con soggetti privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico» e che «l’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione. L’accordo è recepito con il provvedimento di adozione dello strumento di pianificazione ed è condizionato alla conferma delle sue previsioni nel piano approvato». La proposta viene discussa per la prima volta nella seduta del consiglio comunale del 22 gennaio 2007. Dalla lettura del verbale della seduta, emerge come il sindaco Marco Sarto, nel presentare la proposta, l’abbia caldamente sostenuta, com’è ovvio, dato che la stessa è stata redatta dalla Caorle Investimenti dopo una serie di incontri tra le parti che si sono tenuti presso la sede municipale, e infatti nella proposta stessa si legge che «detta proposta appare di grande interesse per il comune». Nella presentazione del sindaco viene sottolineato come la convenienza a favore del soggetto pubblico sia di circa 35.413.640 euro, per la realizzazione e cessione dello stabilimento termale e della sala conferenza (la nuda proprietà dello stabilimento verrà ceduta al comune dopo 6 mesi dal collaudo, mentre la gestione sarà a carico della ditta attuatrice per 50 anni, rinnovabili per altri 50, alla fine dei quali verrà ceduta al comune). Nella relazione del primo cittadino si legge che «il verde e le residenze sono state pensate ed organizzate in edifici in linea prevalentemente di 4-5 piani di altezza; questa tipologia edilizia, diversamente dal modello di sviluppo normalmente utilizzato, unitamente alla scelta di collocare la maggior parte dei parcheggi nel sottosuolo, permette la concentrazione dell’edificato, anziché l’occupazione di gran parte delle aree libere con 28
edificazione diffusa […]. La realizzazione di una molteplicità di percorsi, di una connessione completa di tutti gli spazi tra di loro, la progettazione di edifici articolati con altezze eventualmente diversificate consente il miglioramento della qualità ambientale, della visibilità complessiva dell’intervento ed una maggiore permeabilità visiva, con il raggiungimento oltretutto dell’obiettivo di godere per i piani più elevati della visione del mare, garantendo anche ad aree meno prossime alla spiaggia di fruire di questa possibilità». La costruzione di alti palazzi, dunque, che potrebbe essere letta come deturpamento di un paesaggio che nel caso di Caorle vede la prevalenza di piccole case ad uno o due piani, viene dal sindaco presentata in una luce assolutamente positiva, come possibilità di avere più spazio per i parchi e di poter vedere il mare da lontano. Anche nel presentare l’aumento dell’indice edificabile a 2 il sindaco cerca argomentazioni a favore: «teniamo presente che oggi i fabbricati realizzati e così spalmati sulla zona C2/14, che è la zona che va e che si sta realizzando, completando in sostanza su tutta via Traghete, di fronte al cimitero, di fronte al parco del Pescatore, ha un indice di edificabilità pari all’1,65, per cui uno 0,35 in più con dei benefici evidentemente diversi […]». Nelle argomentazioni del sindaco, e poi dei consiglieri che intervengono a favore del progetto, si insiste particolarmente su due benefici pubblici del progetto. Il primo riguarda l’offerta di edilizia convenzionata. Il sindaco mette in luce come questa permetterà di offrire una casa a 130-140 famiglie ad un prezzo agevolato, cosa importante perché «oggi il mercato immobiliare a Caorle non consente ai nuclei familiari che vivono in maniera modesta di accedere all’acquisto», tanto che, come sottolinea il consigliere Sabrina Teso, negli ultimi anni le giovani coppie sono costrette a spostarsi verso paesi esterni. Il sindaco, nel sottolineare l’importanza di case accessibili per le famiglie di Caorle, racconta che «la ditta proponente aveva fatto una proposta alternativa rispetto all’edilizia convenzionata, che era quella che in alternativa ai 30mila mc di edilizia convenzionata offriva fino a 10 milioni di euro, o 50 appartamenti», ma che appunto il comune, invece di incassare 10 milioni di euro da distribuire nelle opere pubbliche o in determinati interventi, ha fortemente privilegiato la realizzazione dell’edilizia convenzionata. Una seconda argomentazione che emerge a più riprese è che la presenza di un centro benessere con le terme, che utilizzerebbero una falda molto profonda a 18-20 gradi, porterebbe un beneficio al turismo ed il suo “spalmarsi” su tutto l’anno e non solo sui 5-6 mesi della stagione estiva. La proposta della Caorle Investimenti Srl viene approvata all’unanimità dei presenti. Con Deliberazione di Consiglio Comunale n° 43 del 22 dicembre 2007, la proposta, che aveva validità solo di un anno, viene prorogata integrandola con le seguenti prescrizioni: - l’ingresso alle terme per i residenti di Caorle sarà garantito con una tariffa agevolata; - l’accesso dovrà essere consentito a tutti gli ospiti di tutte le strutture ricettive ed alberghiere di Caorle; - il proponente si impegna a realizzare a sua totale cura e spese le terme e la sala conferenze, nel rispetto dei parametri edilizi indicati nell’accordo; - i costi di realizzazione delle strutture suddette, indicati nel piano finanziario allegato all’accordo, dovranno essere attualizzati a quelli dell’edilizia e dell’impiantistica praticati al momento dell’approvazione del progetto esecutivo da parte dell’amministrazione comunale, fermo restando il valore minimo indicato nel piano stesso. L’approvazione del PAT ha poi richiesto alcuni anni, e il nuovo strumento urbanistico è diventato ufficialmente efficace l’8 marzo 2014 (la Provincia di Venezia ha ratificato l’approvazione del PAT del Comune di Caorle con Delibera di Giunta Provinciale n. 7 del 17 gennaio 2014, pubblicata nel BUR n. 21 del 21/02/2014). Bisogna rilevare che il PAT è per sua natura uno strumento generale, che delinea le strategie di governo del territorio, senza scendere nei dettagli tipici invece della fase attuativa, demandata al Piano degli Interventi. Questa 29
regola generale nel PAT di Caorle non è stata rispettata, proprio laddove troviamo definita nei dettagli (dimensionamento, perimetrazione dell’ambito territoriale) la previsione dell’intervento delle cd. Terme, con riferimento all’accordo del 2007 tra Comune di Caorle e Caorle Investimenti srl. Risulta che la Regione, in sede di valutazione del PAT di Caorle, abbia censurato questa modalità, in quanto gli accordi di pianificazione pubblico-privati ai sensi dell’art. 6 della L.R. n. 11/2004 devono seguire la formazione degli strumenti urbanistici e non precederla, come in questo caso. Nonostante questo rilievo critico, la Regione ha comunque espresso parere favorevole. La vicenda del cd. “Villaggio Terme”, rimasta per lo più all’interno delle sedi istituzionali in cui a partire dal 2007 si è discussa la cosa, ha acquisito una forte visibilità pubblica a partire dalla fine del 2013, in seguito ad alcuni fatti di cronaca verificatisi a Caorle che grande spazio hanno ricevuto nella stampa locale. Il consiglio comunale di Caorle ha deciso a maggioranza, durante la seduta del 23 dicembre 2013, di stralciare, dal nuovo programma di governo della giunta, il punto che prevedeva la possibilità di rivedere la previsione urbanistica del villaggio delle cosiddette terme. «Revisione, ove giuridicamente possibile, dell'intervento urbanistico delle cosiddette "Terme" in zona C2/39» recitava il passaggio “scomparso” del programma concordato e condiviso in precedenti riunioni. Malgrado le smentite del sindaco Luciano Striuli di aver ricevuto “pressioni”, i consiglieri comunali Marco Favaro e Alessandro Borin hanno denunciato pubblicamente come dietro questo cambio di rotta vi siano state delle pesantissime minacce, anche di morte, indirizzate al sindaco e ai citati consiglieri che avevano promosso questo punto nel programma di governo. Ora la vicenda è al vaglio degli inquirenti; gli ultimi sviluppi vedono il sindaco di Caorle indagato per falsa testimonianza dal pm della DIA di Trieste (Andolfatto 2014). Si tratta di una vicenda di certo inquietante e su cui si dovrà fare chiarezza. Vicenda peraltro non isolata, dato che, ad esempio, nel 2004 il sindaco del vicino paese di Torre di Mosto, Aldo Giuseppe Lucchese, rassegnò le dimissioni con una lettera indirizzata a tutti i consiglieri comunali spiegando di essere stato fatto «oggetto di azioni di intimidazione, nei confronti della mia persona e della mia famiglia». Le indagini non ebbero nessun risultato, ma nella zona si dà per scontato che riguardassero le intenzioni del sindaco di rivedere le previsioni urbanistiche della futura zona industriale. Queste vicende evidenziano i pericoli di un approccio alla pianificazione urbana che, nel caso di Caorle come di molti altri comuni del litorale veneto e non solo, dagli anni ’50 presta il fianco a grosse speculazioni edilizie ed utilizza pratiche decisionali poco trasparenti. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, ad esempio, un professionista locale attivo per anni nel settore dell’urbanistica, ha sostenuto che durante gli anni dell’urbanizzazione “endogena” di Caorle, quando le famiglie locali tiravano su l’alberghetto e la pensioncina in totale assenza di regolamentazione urbanistica, le assegnazioni dei lotti venivano fatte «secondo i soliti metodi clientelari all’italiana». Questa pratica, però, da quando negli anni ’70 sono arrivati i grossi investitori esterni, è diventata più rischiosa. Le vicende urbane di Caorle degli ultimi anni, ed in particolare quelle degli anni 2000 (i due Piruea, il cd. Progetto Terme), evidenziano infatti come nelle scelte in campo urbanistico sempre più pesino interessi privati, e nello specifico grandi ditte che costruiscono pezzi di città in zone centrali e di pregio, sulla base di una logica di scambio pubblico-privati come abbiamo visto apertamente promossa dalla Regione. Questa dinamica è sicuramente pericolosa in termini di possibili infiltrazioni della criminalità organizzata che qui viene ad investire i propri capitali “sporchi” nel mattone, per due motivi principali. Il primo è che è solitamente l’amministrazione comunale, a fronte di un grosso investitore che propone un intervento edilizio di grossa portata, il più delle volte non si pone il problema di fare dei controlli, come mette in luce questo esperto 30
conoscitore del Veneto orientale attivo nel mondo dell’ambientalismo: Gli interventi recenti che sto seguendo riguardano in particolar modo Valle Ossi ad Eraclea, con la richiesta di Valutazione di Impatto Ambientale del Progetto e con l’osservazione che un operazione da quasi 500 milioni di euro, soprattutto oggi, risulta sospetta soprattutto se non è chiaro da dove provengano i capitali: c’è questo fondo Numeria, che è stato poi oggetto di indagini da parte della GdF, che partendo dai nostri stessi sospetti è andata a portare alla luce una mega evasione fiscale (il proprietario di Numeria, un noto miliardario veronese, risultava nullatenente, anche se poi quando ha dovuto pagare 20 milioni di multe non ha avuto problemi) […]. Un aspetto preoccupante è il fatto che dietro a questi grandi gruppi che fanno mega investimenti non si sa mai chi c’è; ti si presentano sempre degli avvocati o delle società di rappresentanza che non ti permettono mai di sapere chi c’è dietro. Insomma, c’è tutto un cerchio ampio che va poi restringendosi per portare le decisioni verso determinate linee di sviluppo che favoriscono poi sempre determinati soggetti, quelli che possono permettersi grandi investimenti, le cui fonti di finanziamento non sono soggette a trasparenza e controllo. Abbiamo più volte invitato, e continuiamo a farlo, le pubbliche amministrazioni a dotarsi di strumenti seri e concreti di controllo e verifica; quando un fondo ti propone di fare un investimento da 500 milioni di euro non puoi semplicemente dire di sì o chiedere quali contropartite ti arriveranno, ma dovresti chiederti chi c’è dietro, e questo le pubbliche amministrazioni non lo fanno praticamente mai […]. Il problema è che ci vuole un cambiamento culturale che è molto difficile da realizzare perché non c’è un vero amore per quel territorio e il suo paesaggio e lo si vede solo come un oggetto da consumare; e in questa logica è facile che si inseriscano piani regolatori che ancora insistono sul costruire e sul cemento (non so se avete visto che sono “spuntati” 200 milioni di euro di investitori cinesi in un area tra Caorle e Bibione, ma non se ne sa molto e non si capisce bene chi siano e da dove arrivino i soldi); quando un’amministrazione mette in vendita i proprio terreni è facile trovare chi investe e i soldi arrivano (soprattutto da chi ha grandi capitali in nero da investire) e i giri sono sempre quelli, fondi off shore e società estere (irlandesi piuttosto che lussemburghesi). (Testimone privilegiato, Eraclea).
Il secondo motivo che fa sì che questi accordi con i privati si prestino ad aprire la strada alle infiltrazioni della criminalità organizzata risiede nel fatto che molto spesso sono poco trasparenti, avvenuti magari durante una cena tra un esponente dell’amministrazione e il proponente, su cui la minoranza e la cittadinanza in generale hanno poco controllo. Questo genere di accordi sono difficilmente controllabili soprattutto per ciò che concerne la fase di costruzione stessa dei piani urbanistici, come evidenzia questo esperto conoscitore della realtà di Caorle: Per gli appalti e i lavori pubblici in genere ci sono già norme che obbligano le imprese a produrre le certificazioni antimafia, anche se poi è successo (come anche l’Osservatorio ha messo in luce) che in alcune zone ci si sia affidati ad aziende che avevano già ricevuto diverse segnalazioni dalle prefetture; però, in linea di massima, in questo settore le regole ci sono e sono chiare. Altro paio di maniche è invece la costruzione dei Piani Urbanistici: qui la trasparenza, anche nel recepire le richieste che arrivano, è molto più relativa e nessuno è più così ingenuo da credere che il piano urbanistico viene costruito solo in base ad un ragionamento tecnico e politico; arrivano a bussare alla porta del sindaco i proprietari dei terreni che in cambio di concessioni propongono scambi di interesse ed azione pubblico-privato (perché magari ti costruiscono la piscina comunale o un'altra struttura che poi può risultare utile); quindi in questo senso, la trasparenza non c’è perché non conosciamo chi sono durante gli anni di gestazione del PAT gli interlocutori del Sindaco e della maggioranza, quante richieste sono arrivate, a quali si è risposto favorevolmente e quali invece sono state rifiutate. Noi ci siamo trovati un prodotto finale impacchettato e infiocchettato, presentato con tutta una serie di premesse di volontà di raggiungimento di obiettivi di sostenibilità ambientale e di turismo sostenibile, come si usa fare adesso […]. Se poi uno legge i numeri nudi e crudi di un piano spesso scopre che ci sono delle contraddizioni enormi rispetto alle stesse premesse del piano. Noi però non sappiamo perché un determinato terreno è destinato ad accogliere magari un milione di metri cubi mente un altro no, su questo non c’è assolutamente trasparenza. Ci siamo molto spesso trovati nella situazione di dover fare noi delle verifiche rispetto magari all’assetto catastale per cercare chi sono i proprietari delle varie aree e risalire così poi agli assetti societari e alla composizione di società immobiliari che magari non si erano 31
mai sentite prima; e spesso le visure camerali e catastali portano a verificare la presenza di un meccanismo di scatole cinesi (mi è capitato di ricostruire percorsi societari che partivano da Caorle e attraverso una lunghissima ramificazione di altre società ritornavano al punto di partenza) nelle quali spesso emergevano i nomi di attori esterni che però da un certo punto in poi hanno cominciato a fare la parte del leone sulla scena trovando appoggi politici e alcune porte aperte a livello amministrativo negli uffici del Comune. E diventa inevitabile allora chiedersi chi siano questi soggetti, da dove arrivino, perché hanno deciso di investire qui. (Testimone privilegiato, Caorle).
Questo genere di dinamiche sono poco controllabili soprattutto nei piccoli comuni, come Caorle, che si trovano a gestire un grosso indotto economico (il turismo) ma con poche risorse in termini di strumenti politici e della società civile. Sentiamo ancora l’efficace quadro che a questo proposito traccia il nostro testimone privilegiato di Caorle: Bisogna comunque ricordare che stiamo parlando di paesi (come Caorle, Bibione, ecc.) che, pur essendo dei giganti dal punto di vista del turismo, contano magari 10.000 abitanti effettivi e dove non c’è e difficilmente può esserci un’attenzione ed un dibattito politico come può esserci in una grande città dove ad interessarsi sono in tanti e le voci che si esprimono sono molte; questi “giganti” economici sono dei “nani” politico amministrativi, anche facilmente controllabili, nei quali se un gruppo decide di costruire e mantenere il proprio potere usando tutti i mezzi e creando un cerchio di clientele o amicizie interessate possono tranquillamente dominare per anni senza rischio di venire mandati via […]. A Caorle non abbiamo un tribunale, una procura, un prefetto; siamo realtà periferiche, piccoli paesi che d’estate si trasformano in metropoli con milioni di turisti che girano come formiche ma che a settembre quando finisce la stagione ritornano ad essere piccolissimi centri nei quali la gestione amministrativa è affidata a poche persone e poche sono le persone che vengono ad assistere pubblicamente ai consigli comunali. Questo è il terreno ideale per cui poi magari succede che in una notte si cambia il piano regolatore e si decide che una determinata area diventa edificabile con tot metri cubi, spesso operazioni di grossa portata che se fossero fatte a Venezia (e anche più piccole) andrebbero avanti per vari consigli comunali a parlarne e farebbero diverse commissioni consiliari per analizzare il progetto che permetterebbero di studiarlo a fondo andando a scovare eventuali contraddizioni o vulnus legislativi che permetterebbero di stoppare eventualmente determinate operazioni […]. Penso che anche i media e i giornalisti, tutti gli operatori del’informazione, siano fondamentali e dovrebbero fare (e poter fare) di più. In queste piccole realtà di solito ci sono solo i corrispondenti locali, spesso giovani studenti o neolaureati, che vivacchiano pubblicando qualche articolo e anche quando sono bravi e ci tengono a fare a pieno il loro dovere difficilmente riescono ad arrivare ad avere le spalle così grosse da permettersi di scrivere certe cose, affrontare questioni spinose che magari richiedono anche una certa capacità d’inchiesta a monte. Alle volte magari capita che un Dianese o qualche altra firma autorevole e d’esperienza arrivi, magari perché sollecitato da noi, fiuti una pista interessante e si metta a fare il lavoro d’inchiesta che, anche in virtù del suo nome, trova poi spazio in redazione per essere sostenuta e pubblicata; ma queste sono eccezioni, normalmente un giovane non ha neanche il coraggio di imbarcarsi in certe storie perché poi succede che il giorno dopo si trova magari il sindaco che lo chiama, lo riempie di parole (quando non parte la querela) o magari comincia a vedere in giro personaggi poco raccomandabili che ha citato nell’articolo che gli fanno capire di non “rompere troppo le scatole” . E questo è un problema, perché l’informazione deve fare di più (Testimone privilegiato, Caorle).
I piccoli comuni, inoltre, sono particolarmente vulnerabili a pressioni di tipo economico, come del resto, anche se in misura minore, pure i comuni di maggiori dimensioni, in questo periodo di contrazione del Welfare State e di declino della spesa pubblica, che penalizza soprattutto gli enti locali, i quali hanno una dotazione di risorse economiche sempre minore. È questo un nodo fondamentale per comprendere l’affermarsi di questa logica dello scambio pubblico-privato. A questo proposito colpisce, nella lettura del verbale del consiglio comunale di Caorle del 22 gennaio 2007 in cui è stato approvato il cd. Progetto Terme, la già accennata questione del problema casa che a Caorle sta diventando di una certa importanza, visto il caro affitto e la difficoltà conseguente per le giovani coppie e per le persone e famiglie con redditi medio-bassi di acquistare una casa. 32
Si tratta a tutti gli effetti di un problema sociale, e che richiederebbe in quanto tale una risposta in termini di politica pubblica. Siccome questa risposta non si è in grado di darla, ecco che ci si affida al privato, costretti ad accettare la costruzione di 190mila mc. di edilizia residenziale, commerciale e alberghiera privata, pur di avere in cambio 30mila mc. di edilizia residenziale pubblica. A questo proposito un intervistato afferma: Ho fatto 10 anni di amministrazione pubblica, e ho avuto modo di toccare e di vedere come funzionavano le cose durante “gli anni ruggenti del cemento” nei quali le amministrazioni svendevano il territorio animati dal sogno di un “sviluppo incontenibile”; ho avuto così modo di toccare con mano e di sentire le pressioni che arrivano da certe lobby, e, soprattutto se sei un piccolo comune, può essere molto difficile resistere a queste pressioni, e così arrivi a trascinare non solo le amministrazioni ma anche il territorio in vortici abbastanza pericolosi e questo è uno degli aspetti più preoccupanti […]. Mi chiedo come può fare il sindaco di Caorle o di Eraclea quando si trova davanti il rappresentante del Fondo che ha 500 milioni da spendere; è impreparato anche dal punto di vista tecnico e si trova di fronte persone che possono mettergli contro una forma di pressione legale molto forte, e magari questi comuni non hanno 30 mila euro da spendere per prendersi un legale forte che tuteli i loro interessi e si trovano in difficoltà. (Testimone privilegiato, Eraclea).
Vedremo nell’ultimo capitolo quali politiche sono possibili per contrastare queste preoccupanti dinamiche.
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4. CRIMINALITÀ ORGANIZZATA IN VENETO ORIENTALE
Marco Odorisio, dirigente della Squadra Mobile di Venezia, nel maggio 2012 - con riferimento all'arresto di un gruppo di malavitosi napoletani vicini ad ambienti della camorra, oltre che di un funzionario di banca e dell'ex patron del San Donà Calcio - ha dichiarato: « Non si può più parlare di infiltrazioni, ma di presenza. Il malaffare non è importato, è condiviso con i “locali”, e di questo bisogna che si inizi a tener conto». L'inchiesta in questione riguardava un giro di assegni falsi, ma le parole di Odorisio suggeriscono che dietro un comune reato di truffa possa essere stata identificata una realtà più complessa. Come ha ricordato alla commissione parlamentare antimafia, durante un’audizione svolta nel 2012, il Procuratore capo della Repubblica di Venezia, Luigi Delpino, «i primi fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’economia veneta potrebbero risalire già agli anni ’70, quando le spiagge di Jesolo ed Eraclea vedevano molteplici, e non facilmente giustificabili, passaggi di società nella proprietà degli alberghi». Secondo il questore Lorenzo Cernetig – leggiamo dal resoconto stenografico audizione alla Commissione parlamentare antimafia del 7 aprile 2003 – nelle aree turistiche della costa la Questura ha accertato, attraverso il monitoraggio del residenti in provincia di Venezia di origine campana, la presenza di 20 mila soggetti e un centinaio di posizioni individuali “con profili di stranezza”. Saremmo quindi di fronte ad una presenza di lunga durata che avrebbe consentito il sedimentarsi dell’attività criminale. D'altronde già nota nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia presieduta da Carlo Smuraglia del 1994 leggiamo come in alcune province venete si fosse creato «un indissolubile legame tra criminalità organizzata e tessuto economico». La relazione della Commissione parlamentare antimafia relativa al periodo 2001-2006, sulla base di alcuni accertamenti investigativi e giudiziari, fa riferimento al Veneto assumendolo come un contesto particolarmente permeabile a tentativi di infiltrazione di esponenti della criminalità organizzata interessati al riciclaggio di capitali illeciti attraverso il loro reinvestimento in attività legali. Riguarda proprio il Veneto orientale - dove le operazioni immobiliari degli ultimi anni hanno superato il valore di 2,5 miliardi - l’allarme sull’attività di riciclaggio di denaro richiamato da «alti esponenti dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, in considerazione del fatto che proprio in queste zone sono stati catturati non pochi latitanti appartenenti a Cosa Nostra, alla Camorra, alla Ndrangheta ed alla Mafia pugliese, alcuni dei quali notoriamente impegnati in attività economiche apparentemente legali»13. La questione della criminalità organizzata in Veneto orientale è stata al centro anche di una recente riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, tenutasi il 17 luglio 2012 in Prefettura alla presenza dei sindaci dei comuni di quest’area. Durante l’incontro è emerso che «il Veneto orientale si conferma un territorio a rischio per l’infiltrazione mafiosa. Nel primo semestre dell'anno in provincia si sono verificate 27 estorsioni, di cui 20 sventate da forze dell'ordine e magistratura, con l'arresto di cinque persone, inoltre sono stati consumati otto reati di riciclaggio e 60 danneggiamenti con incendi, tre dei quali hanno Relazione finale di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare, XIV legislatura 13
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interessato il Veneto orientale»14. Il Veneto orientale, d’altronde, ha le caratteristiche ideali per attrarre la criminalità organizzata: da una parte il grande (e, come abbiamo visto, non troppo regolamentato e controllato) sviluppo del settore edilizio degli ultimi decenni ha sicuramente attratto chi aveva capitali, non sempre puliti, da investire (come ha detto efficacemente un intervistato, «dove c’è trippa per gatti, i gatti arrivano»); dall’altra, le caratteristiche già richiamate dei comuni del litorale, piccoli e senza strutture della società civile (giornali e partiti forti, ecc.) che possano esercitare un controllo efficace sull’operato pubblico, facilitano ulteriormente questi fenomeni. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, ad esempio, il 20 marzo 2007 il sostituto procuratore di Venezia ed ex magistrato della Direzione distrettuale antimafia del Veneto, Francesco Saverio Pavone, dichiarò che il Veneto orientale è «un territorio tranquillo, anche per i malviventi». Per Pavone, il fatto stesso che il Veneto orientale sia un’area di confine, spesso oggetto di poca attenzione, agevolerebbe la permanenza dei malviventi. Il litorale in particolare, con la sua quiete invernale, appare quindi come un rifugio sicuro per chi ha più di qualche conto in sospeso con la giustizia. «Questo territorio, e in generale tutto il Veneto» - aggiunse Pavone – «è frequentemente caratterizzato da fenomeni di riciclaggio di denaro, spesso sottovalutati perché non comportano episodi gravi come gli omicidi» (cit. in Galullo 2010, p. 167). Nonostante questi “campanelli d’allarme” suonati a più riprese e da diversi soggetti, però, non esiste ad oggi un’inchiesta complessiva ed approfondita che ci restituisca la realtà effettiva del fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata in Veneto, e soprattutto in Veneto orientale. Secondo il giornalista de “Il Gazzettino” e scrittore Maurizio Dianese, noto esperto di criminalità organizzata in Veneto (la Mala del Brenta prima, la criminalità organizzata proveniente dal Sud Italia e alleatasi con quella locale poi), infatti, prima di affrontare qualsiasi discorso su questo tema bisogna fare una premessa fondamentale: Con il fenomeno delle infiltrazioni nella zona del Veneto orientale si sta facendo lo stesso errore commesso a suo tempo con la banda di Felice Maniero. Anche allora ci si occupava dei singoli episodi criminali, la rapina, l'omicidio, l'estorsione. Ma nessuno prendeva e faceva un blocco unico delle centinaia di rapine della banda, delle decine di omicidi e delle estorsioni. Con la camorra e la mafia nel Veneto si sta commettendo lo stesso errore. Senza un quadro d'insieme questi malavitosi la faranno sempre franca. Anche se li becchi per un prestito a strozzo, per esempio, e li condanni, che cosa hai risolto? Poi le stesse persone le troviamo implicate in un traffico d’armi, le stesse persone le troviamo implicate in un traffico di cocaina, le stesse persone le troviamo socie di aziende edili, le stesse persone le troviamo proprietarie di negozi e di alberghi. E il magistrato che tratta un episodio non sa nulla del resto e non ci capisce nulla. Così i malavitosi portano a casa pene irrisorie per i singoli reati e continuano a fare quello che vogliono. C'è un deficit culturale da parte della magistratura, soprattutto di quella giudicante. Che parte dal principio – errato – che al Nord la mafia non c'è e quindi le gang di camorristi non vengono mai condannate per associazione a delinquere di stampo mafioso. La magistratura è la prima ad avere sottovalutato questa questione, esattamente come successe ai tempi di Maniero finché non arrivò il giudice Francesco Saverio Pavone che decise, invece di trattare la singola rapina, il singolo episodio, di metterli tutti insieme e di fare un maxiprocesso. Finché non si arriverà a questo punto, noi non avremo mai un’idea chiara di quello che è successo in questo posto. Prendiamo le dichiarazioni dell’attuale Procuratore capo della Repubblica, Luigi Delpino: “Sono vent’anni che la malavita organizzata del Sud è insediata nel Veneto orientale”. E in 20 anni la Procura che cosa ha fatto? Assolutamente nulla. Nulla. Ecco perché io non parlo più di infiltrazioni ma di radicamento. Vuol dire che i malavitosi fanno parte integrante della vita sociale del Veneto Orientale. Significa che non solo abitano lì, ma frequentano quella zona, hanno le attività in quella zona, assumono persone, danno lavoro, partecipano alle feste parrocchiali... offrono tutta la loro disponibilità... Tieni presente che l’ultima volta che è stato fatto, chiamiamolo un censimento da parte della questura, allora era questore Lorenzo Cernetig, parliamo del 2000-2003, dieci anni fa.. si era calcolata la presenza di 20 mila persone in provincia di Venezia provenienti dal sud Italia. Si trattava di un 14
Veneto orientale a rischio d’infiltrazione mafiosa, “La Nuova Venezia”, 18 luglio 2012 35
banale controllo anagrafico, tot persone avevano trasferito la loro residenza chessò? da Napoli a Eraclea. E Cernetig diceva che almeno un centinaio dovevano essere tenuti d’occhio. Non mi risulta che la polizia o i carabinieri abbiamo tenuto d'occhio qualcuno. E i camorristi hanno fatto quello che hanno voluto. E quindi hanno sviluppato i loro affari e costruito aziende di ogni tipo, partecipando concretamente alla costruzione di Eraclea mare come alla ristrutturazione di edifici pubblici, dall'ospedale di Padova alla Questura di Venezia. (Maurizio Dianese, Mestre).
Stando alle inchieste di Dianese e non solo15, dunque, la criminalità organizzata si è radicata ormai da anni in Veneto orientale, con una presenza molto forte di camorristi nella zona di San Donà, Eraclea e Caorle. Ha concentrato le sue mire soprattutto nel settore edilizio, nelle grandi lottizzazioni che hanno mangiato e mangeranno estesi territori litoranei, tra Eraclea e Caorle; nelle grandi e piccole edificazioni che sono arrivate a cambiare lo skyline di Jesolo. Le famiglie camorristiche hanno avuto successo in un settore trascurato dal più famoso esempio di criminalità organizzata nel territorio, la Mala del Brenta, ossia collegare gli interessi economici con le coperture politiche. Questo, però, vista la mancanza di elementi probatori, Dianese lo racconta in libri che hanno la forma di romanzo, come il recentissimo e-book “Profondo Nordest”, «altrimenti passerei la mia vita nei tribunali a difendermi dalle querele»16 (cit. in Fusco 2014). Il processo di insediamento della criminalità organizzata proveniente dal Sud in Veneto orientale, per quello che possiamo ricostruire, inizia a cavallo tra gli anni ‘80 e ’90, nel pieno del boom edilizio del litorale che segue alla prima grande lottizzazione. E’ in questo periodo, come detto in precedenza, che cominciano ad arrivare le prime imprese edili da “fuori”: sono imprese che lavorano in subappalto, che hanno la sede legale in Campania, e che non hanno problemi a trovare commesse e lavoro qui (d’altronde sono anni in cui il lavoro in quel settore non manca). Esemplare in questo senso è la storia di Luciano Donadio, un imprenditore originario di Giugliano in provincia di Napoli il quale arriva ad Eraclea per partecipare alla costruzione di uno dei primi grandi villaggi turistici. L’impresa principale, la Donadio Costruzioni, continua a mantenere la sede legale a Casal di Principe, in terra dei casalesi, ma ad Eraclea sponsorizza la squadra di calcio del Pontecrepaldo. Questo imprenditore fa parte della pattuglia dei “pionieri” dell’ immigrazione ad Eraclea di ditte provenienti dal Sud Italia e, secondo i rapporti dei carabinieri, in odor di camorra. È doveroso però avvertire che Donadio, a parte una condanna per usura nell’ambito del processo “Fenus” - si veda più avanti – per la quale ha patteggiato 1 anno e 8 mesi di detenzione, non ha mai subito altre condanne. Nell’informativa redatta dai carabinieri nel corso dell’indagine Fenus veniva però sottolineata la sua presunta appartenenza alla criminalità organizzata campana. Testualmente: «è doveroso sottolineare che la scalata delle ditte a lui riconducibili ed operanti nel settore edilizio, non sarebbe certamente dovuta a semplice capacità imprenditoriale, bensì al connubio con realtà criminali campane. Quanto ipotizzato troverebbe suffragio in funzione di alcuni episodi intimidatori ovvero estorsivi compiuti dai suoi dipendenti»17. Anche i carabinieri di San Donà di Piave affermano di ritenerlo un
Roberto Galullo, ad esempio, inviato del Sole-24 Ore che negli ultimi anni ha condotto moltissime inchieste sull’economia criminale e le mafie italiane ed estere, intitola significativamente un capitolo di un suo recente volume (Galullo 2010): “Non solo immobili, ormai anche le spiagge in Veneto sono prese d’assalto dai Casalesi” 16 Dianese è stato effettivamente querelato dall’ex sindaco di Eraclea Graziano Teso per uno suo articolo sulla presenza dei Casalesi ad Eraclea. Nell’esposto avanzato da Teso, si legge, tra le altre cose, che il contenuto di tale articolo poteva essere lesivo all’immagine turistica di Eraclea Mare, nonché aver creato a ridosso delle elezioni amministrative comunali locali un danno di immagine all’amministrazione comunale uscente. 17 Vds allegato 1 capitolo IV stralcio informativa n. 229/1-1-22 del 29.12.2005 Indagine FENUS 15
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elemento di spicco della malavita locale»18 e sostengono che «vi siano elementi di collegamento tra Donadio Luciano e clan dei casalesi o gruppo criminale di Casal di Principe»19. Infine, i carabinieri di Casal di Principe, a proposito di Luciano Donadio, oltre che di Raffaele Buonanno (nato a S. Cipriano d’Aversa e residente ad Eraclea dal 2003) e di Antonio Buonanno (fratello di Raffaele e residente a Casal di Principe), parlano di “pessima condotta morale” dei tre, concludendo che «pur non emergendo dagli atti elementi tali da poter ritenere i predetti affiliati al clan dei Casalesi, si può desumere, sulla base delle informazioni sopra riportate, che gli stessi siano contigui agli ambienti della medesima organizzazione criminale»20. Ma si tratta di sospetti, di spunti investigativi che non hanno sortito alcun effetto e non sono stati approfonditi in sede giudiziaria e, dunque, vanno presi con estrema cautela. Il “caso” Donadio, dunque, è importante e va considerato solo nella misura in cui “racconta” l'insediamento soft nel Veneto Orientale di elementi che, secondo i carabinieri, andrebbero tenuti perlomeno sotto controllo. Quel che è certo infatti è che le imprese provenienti dal Sud Italia all'inizio si presentano come imprese edili normali che arrivano al Nord perché al Nord c'è grande richiesta di manodopera. È negli anni successivi che questa presenza sul territorio si ramifica e si espande, con l’aumento della quantità di manodopera che viene portata direttamente dal Sud e con il sempre maggiore numero di persone che si insediano. Viene così a costituirsi una presenza forte nella comunità locale (si arriva a più di 200 persone) e, a quel punto, si inizia a vedere la diversificazione degli investimenti e delle attività. Oltre a fare i cottimisti, infatti, alcuni di questi soggetti cominciano a “prestare” soldi, ad entrare in società, a comprare appartamenti e a rilevare e gestire attività commerciali - in particolare pizzerie e tavole calde disseminate lungo le strade dello “struscio” estivo, ma anche negozi di abbigliamento, locali notturni – che permettono, da un lato di investire denaro che potrebbe essere anche frutto di attività illecite e, dall’altro, garantiscono un’alta redditività in loco. È però principalmente nel settore dell’edilizia che, secondo indagini e testimonianze, si manifesta l’operatività dei gruppi. L’edilizia, in tutta sua la filiera - dalla movimentazione terra alle ditte che producono piastrelle - rappresenta un enorme bacino di ricchezza e di investimenti, nonché il settore più adatto per inserirsi nei gangli della pubblica amministrazione, data la sua naturale contiguità con esso, e creare così una rete di clientele, connivenze e di scambio; una rete che viene tessuta anche attraverso il rapporto con imprenditori e professionisti locali, che di fatto fanno da intermediari in operazioni immobiliari e portano avanti un lavoro di “lobby” per far approvare varianti ai piani regolatori o ottenere appalti pubblici. Si crea insomma un terreno fertile per far crescere e rafforzare una presenza sul territorio senza bisogno di esporsi direttamente con la violenza e il controllo “armato” del territorio. Questo “basso profilo” scelto delle organizzazioni criminali per radicarsi sul territorio e infiltrarsi nelle sue strutture portanti può, in parte, aiutarci spiegare il ritardo con cui si prende coscienza del fenomeno in quest’area. Negli anni successivi, e in particolare in quelli più vicini a noi, questo “stile soft” comincia a saltare, gli interessi economici si fanno più forti e l’evidenza di una presenza criminale diviene lampante. Si moltiplicano episodi di Legione Carabinieri Veneto, Compagnia di San Donà di Piave, Nucleo Operativo e Radiomobile, Nr. 13/20-16-2005 di prot.llo, Oggetto: Fascicolo processuale nr. 13732/05 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia. Trasmissione informativa ed atti relativi all’interrogatorio delegato di Blali Redoine, p. 4. 19 Legione Carabinieri Veneto, Compagnia di San Donà di Piave, Nucleo Operativo e Radiomobile, Nr. 34/3-1 di prot.llo, Oggetto: Procedimento penale n. 193/12 RGNR della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia a carico di Dianese Maurizio. Esiti delega d’indagine del 21.03.2012, p. 2 18
Legione Carabinieri Campania, Compagnia di Casal di Principe, Nucleo Operativo e Radiomobile, N. 19/30-1 di Prot.llo, Oggetto: Procedimento penale n. 193/2012 pendente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia – Dott. Gava Giorgio, pp. 25 20
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furti e danneggiamenti ai danni di cantieri “rivali” (in particolare rispetto alle macchine per la movimentazione terra), anche se sono pubblici; si verificano episodi di intimidazione, incendi e piccoli attentati a professionisti locali. In questi ultimi anni inoltre arrivano grandi società, i cui assetti e strutture risultano spesso poco chiari, con ingenti capitali da investire in operazioni immobiliari particolarmente spregiudicate 21 che, anche se non esistono prove evidenti di infiltrazione criminale, non possono non insospettire. Una delle persone intervistate durante la stesura del presente lavoro, un residente attivo socialmente nel territorio in questione e con un’ esperienza diretta di amministratore, ci ha detto a questo proposito: Quando si parla di questi interventi che richiedono grandi investimenti è probabile che si debba parlare di vere e proprie infiltrazioni criminali. Questo è reso evidente anche da episodi criminali non secondari: a S. Stino macchine di movimento terra rubate e poi buttate in canale. Questo è un tipo di azione che si è ormai ripetuta molte volte, soprattutto tra Eraclea e S. Stino, ed è significativo rispetto al controllo di un determinato mercato che è strettamente legato al mercato più generale dell’edilizia… Il litorale con la sua espansione edilizia in parte ha consentito di “lavare” e riciclare capitali nel mattone. È chiaro che i percorsi sono questi, e per i criminali l’importante è essere sul territorio per poter poi determinare tante altre piccole cose; è un percorso fin troppo evidente oggi… Ma forse durante questi anni mancava proprio quella cultura che ci avrebbe permesso di riconoscere questi percorsi e difenderci, anche perché, salvo qualche caso di escavatori interrati (comunque cose piuttosto recenti), negli anni precedenti non ci sono mai stati episodi eclatanti; magari andava a fuoco un negozio, ma veniva più facile pensare che forse era stato il padrone a dargli fuoco per l’assicurazione; ci si è cominciati a preoccupare davvero quando dal fare un albergo si è passati ai mega piani che attiravano mega capitali, e da questi capitali non si era e non si è preparati in nessuna maniera a difendersi... (Testimone privilegiato, Eraclea).
A questo punto cominciano ad accendersi i riflettori dell’opinione pubblica su quanto avviene in quest’area, arrivano le prime inchieste giornalistiche e quelle giudiziarie (queste ultime richiamate nel par. 4.2.), la popolazione locale, anche se ancora con difficoltà e parzialmente, comincia a rendersi conto di come ci siano interessi privati che stanno erodendo le risorse del territorio a scapito dell’economia locale e delle imprese e dei lavoratori del luogo e ci si rende conto che questa presenza va a condizionare direttamente gli equilibri politici del territorio, intaccando quindi le libere scelte dei cittadini22. Il modus operandi dei camorristi insediati in Veneto orientale (alleanza con professionisti ed imprenditori locali, investimenti nell’edilizia, attentati intimidatori), emerge in modo chiaro dai fascicoli relativi alla vicenda di Redoine Blali. Blali, un giovane marocchino, il 12 novembre 2005 viene arrestato dai carabinieri di San Donà di Piave per la detenzione ai fini di spaccio di gr. 7,3 di cocaina e gr. 3 di hashish, e viene sottoposto a misura cautelare. Interrogato dai carabinieri di San Donà il 22 marzo 2006, Blali dà una serie di informazioni importanti, fornendo indizi di colpevolezza a carico di Paolo Alaimo per reati concernenti l’art. 73 DPR 309/90, il porto e le detenzione illegale di armi da sparo, e l’istigazione a delinquere. Paolo Alaimo, nato a Caltanissetta e residente ad Eraclea, è titolare della ditta edile EDILPASC srl di Eraclea ed ha pregiudizi penali in materia di stupefacenti ed altro. Blali racconta di svolgere la sua attività di spaccio per conto di Alaimo, e di guadagnare in cambio una dose per uso personale ed una stabile e legale attività lavorativa (requisito indispensabile per gli extracomunitari per ottenere un permesso di soggiorno) presso la 21
Si pensi alle cd. “torri” di Jesolo piuttosto che alla lottizzazione di Valle Ossi ad Eraclea.
Ci dice ancora, a proposito di Eraclea, Maurizio Dianese: «attualmente sono 250 votanti… e si può ben capire che 250 persone in un posto dove ci sono 10.000 abitanti hanno un bel peso specifico; bisogna poi tenere conto che tutti questi hanno un’ impresa, che quindi minimo hanno 5/6 dipendenti, che vuol dire controllare un ventina di voti ognuno, che moltiplicati per 200 “fanno” il risultato delle elezioni…» 22
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EDILPASC srl, in cui è impiegato come manovale. In realtà, però, Alaimo faceva risultare aleatoriamente dipendenti sia Redoine Blali che il fratello Aziz Blali, munendoli di busta paga di un’altra ditta, la HABEL srl, senza di fatto farli lavorare o retribuirli. I carabinieri di San Donà nell’informativa sottolineano che era già loro giunta segnalazione di questo genere di attività poste in essere dalla società HABEL srl di Christian Sgnaolin di Jesolo (arrestato in data 12.9.2005 per tentata estorsione), e che entrambe le società (HABEL ed EDILPASC), insieme ad altre, potrebbero configurarsi come prestanome di un pregiudicato casertano. Blali racconta inoltre che, oltre allo smercio di sostanze stupefacenti, gli erano stati commissionati da Alaimo due omicidi. Omicidi mai avvenuti perché Blali Redoine – è questa la sua versione – si rifiutò di diventare un assassino. Alaimo gli avrebbe proposto l'omicidio di un ragazzo che aveva rubato lo scooter a suo figlio e quello del titolare dell’agenzia immobiliare Boso di Eraclea. Alaimo avrebbe chiesto a Blali Redoine di eliminare Stefano Boso, contitolare del centro di organizzazione contabile srl nonché agenzia immobiliare di Mario Boso, all’epoca presidente dell’associazione alberghieri. I due, si legge nell’informativa dei Carabinieri di San Donà, sono «persone già note a questo ufficio perché nel dicembre 2001 risultavano parti offese nel procedimento penale 16055/2001 RGNR, in quanto oggetto di attentato esplosivo. In particolare, in quell’anno veniva fatto esplodere un ordigno esplosivo che distruggeva totalmente le vetrate e l’interno dell’agenzia denominata “Universo” di Eraclea Mare, gestita anch’essa dal sig. Boso Mario. In quel contesto venivano svolte anche intercettazioni telefoniche senza esito, in quanto gli autori del reato rimanevano ignoti anche se gli unici sospetti ricadevano su Donadio Luciano, con il quale Boso Mario, pochi giorni prima dell’evento, aveva avuto una lite alla presenza di tale Poles Graziano, ex socio del Boso Mario 23, persona di dubbia moralità e legato particolarmente al Donadio Luciano»24. Graziano Poles è un’imprenditore locale che ha una ditta di costruzione e manutenzione piscine. Per un periodo ha avuto un appalto per la manutenzione della piscina che il Casinò di Venezia utilizza come cisterna antincendio. Poles ha costruito moltissimo ad Eraclea. Come Donadio, del resto. I rapporti tra Graziano Poles e Luciano Donadio vengono ricostruiti dai carabinieri di San Donà: «Già in data 04.06.2002, questo comando richiedeva e poi otteneva il decreto di revoca porto d’armi nr. 308091K ed il divieto di detenzione armi a carico di Donadio Luciano, in quanto era stato denunciato per minaccia a mano armata. A seguito del decreto di diniego, questi, dovendo alienare la sua pistola, la cedeva a Poles Graziano, e si ritiene nel caso che questi, legato da amicizia e rapporti di affari, gli abbia fatto una cortesia». Inoltre «il fratello del Poles Graziano, ossia Poles Antonio nato a Jesolo il 14.06.1952, pregiudicato per droga e reati contro il patrimonio, è molto legato al Donadio, tantoché anche quando nel 2003 usciva dal carcere in regime di semi libertà, lavorava già alle dipendenze del Donadio, nella PCM COSTRUZIONI SRL, quale manovale»25. Come si nota, da un apparentemente banale arresto di uno spacciatore, si arriva a ricostruire un possibile sistema di relazioni che, qualora fosse confermato, metterebbe in luce alcune caratteristiche dell’insediamento delle imprese del Sud nel litorale veneto.
Mario Boso è stato protagonista di una operazione immobiliare grazie alla quale aveva comprato la proprietà dei padri passionisti a Eraclea mare, vicino alla chiesetta dei Lecci, per trasformare la proprietà in un albergo (l’Eraclea Palace Hotel); operazione per la quale costituì una società con Graziano Poles. 24 Legione Carabinieri Veneto, Compagnia di San Donà di Piave, Nucleo Operativo e Radiomobile, Nr. 13/20-16-2005 di prot.llo, Oggetto: Fascicolo processuale nr. 13732/05 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia. Trasmissione informativa ed atti relativi all’interrogatorio delegato di Blali Redoine, p. 6. 25 Legione Carabinieri Veneto, Compagnia di San Donà di Piave, Nucleo Operativo e Radiomobile, Nr. 34/3-1 di prot.llo, Oggetto: Procedimento penale n. 193/12 RGNR della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia a carico di Dianese Maurizio. Esiti delega d’indagine del 21.03.2012, pp. 3-4 23
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4.1. Alcune caratteristiche dell’insediamento dei gruppi camorristi nel Veneto orientale
• ALLEANZA CON LA MALA LOCALE È la saldatura tra ex appartenenti alla Mala del Brenta ed esponenti della criminalità organizzata del sud Italia ad aver permesso l’insediamento in Veneto di quest’ultima. La prima ha fornito alla seconda appoggio logistico e la possibilità di radicarsi nel territorio (Dianese 2014). La criminalità organizzata del Sud ha invece fornito alla Mala del Brenta droga da spacciare ed un’ingente quantità di denaro sporco, che ha consentito agli uomini di Maniero di dedicarsi con profitto, oltre che al traffico di droga, anche al controllo del gioco d’azzardo clandestino e all’estorsione e usura (Galullo 2010). Stando alla teoria di Dianese, saremmo quindi di fronte ad un vero e proprio accordo tra esponenti, residenti nel Veneto orientale, dell'ex mala del Brenta ed esponenti del clan dei casalesi. Secondo fonti investigative, infatti, nel 2007 Silvano Maritan, il boss della mala del Brenta nella zona del sandonatese, si reca a Napoli assieme a Luca Fregonese e Domenico Celardo. A Napoli incontra Raffaele Sperandeo e Massimo Gallo, esponenti del clan dei casalesi, monopolisti del traffico degli stupefacenti nell'area di Torre Annunziata. Il contatto tra Maritan e Sperandeo è fornito da Antonio Pandolfo, uno degli uomini più fedeli di Felice Maniero. Domenico Celardo, detto Mimmo – deceduto nel 2011 – abitava a San Donà (dove sono stati sequestrati alcuni immobili a Michele Pezone), come Maritan. Silvano Maritan a Celardo aveva appaltato la parte logistica e il reclutamento di corrieri e spacciatori come due bariste di Fossalta, Manola Lava e Irene Gorghetto bloccate a Villabona al ritorno dalla Spagna con un chilogrammo di cocaina. O come Lorenzo Crosera di Caorle beccato con un chilo e mezzo di coca. Il primo arresto di Celardo avviene ad Eraclea, sempre per spaccio di sostanze stupefacenti. • ALLEANZA CON PROFESSIONISTI E SETTORI DELLA SOCIETÀ LOCALE In alcune inchieste, riguardanti in particolare casi di usura, viene alla luce l'utilizzo da parte di malviventi campani di professionisti o di operatori di banca. Nell'operazione Fenus, ad esempio, risulta coinvolto il direttore di una filiale di una banca. E un funzionario di banca risulta indagato anche nell'ultima operazione denominata “Millionaire”. E sempre a proposito dell'inchiesta Millionaire è interessante notare come vi compaia un imprenditore che ha avuto interessi nel mondo del calcio locale. «È un aspetto interessante, da non sottovalutare. Quello del pallone è una delle nuove frontiere della criminalità organizzata - ha scritto a questo proposito Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico -, i boss investono nel mondo del calcio, in particolare delle serie minori, dove sovente si registrano situazioni di sofferenza finanziaria, perché hanno compreso che, grazie alla palla rotonda, è possibile riciclare il denaro sporco ed è più facile accendere relazioni significative con le persone che contano: politici, imprenditori, professionisti. Allo stadio non esistono differenze sociali: si è tutti e solo tifosi. Il calcio, quindi, è uno strumento fondamentale per i mafiosi, poiché gli permette di conquistare e gestire consenso sociale in un territorio, di rifarsi un’immagine (da efferati criminali a benefattori), di entrare nella società e nel mondo degli affari senza creare allarme sociale» (Romani 2012). L’alleanza degli esponenti della criminalità organizzata con imprenditori e professionisti locali dimostra come l’idea dei “cattivi” che vengono da fuori a corrompere una società integerrima è totalmente fuorviante. Al contrario, il territorio veneto è caratterizzato in parte da un humus culturale e da un modus operandi decisamente sintonici con l’agire delle mafie: 40
Che cosa prendono qui i mafiosi? Prendono gli imprenditori, tutti gli imprenditori con pochi scrupoli che vogliono fare i soldi in fretta, e i professionisti: notai, commercialisti, avvocati e così via. Quindi le due forze si incontrano perché hanno entrambi interesse a mettersi assieme, ad allearsi. Ecco perché la penetrazione è stata molto rapida, perché hanno trovato qui un terreno fertile, perché ci sono pochi scrupoli, perché il concetto del Veneto è non pagare le tasse, evadere il più possibile, se si può evitare di rispettare le regole e così via. (Maurizio Dianese, Mestre)
• DIVERSIFICAZIONE DEI SETTORI DI ATTIVITÀ Un ulteriore elemento di forza sembra derivare da una diversificazione delle attività. Se l'edilizia ha rappresentato un settore strategico, i gruppi criminali sul litorale non hanno disdegnato il traffico di droghe, l'usura, la gestione di locali e, ultimamente, la gestione del demanio marittimo. Sebbene non abbiano avuto luogo inchieste complessive sulla presenza della camorra nel territorio, alcune indagini dei carabinieri hanno comunque consentito di comprendere alcuni elementi della presenza camorristica sul litorale: ad esempio, attraverso la gestione di pizzerie e rosticcerie disseminate lungo le strade centrali delle città di mare, gruppi di camorra sarebbero riusciti a costituire, nell’arco di trent’anni, un infallibile canale di riciclaggio del denaro provento di reati. Al centro delle operazioni non troviamo però soltanto le pizzerie: anche i numerosi esercizi commerciali di abbigliamento in finta pelle delle località di mare sono stati frequentemente utilizzati per le medesime finalità.
4.2. Le principali inchieste che hanno riguardato il Veneto orientale
* La presenza camorristica nell'area orientale della regione è testimoniata già dal 1989 dall'arresto di Costantino Sarno, attivo nel commercio delle pelli, a cui negli anni ne seguirono diversi altri. Sarno aveva dato vita a una cellula camorristica attiva tra il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. All'arresto di Sarno sono seguite indagini che hanno identificato “infiltrazioni camorristiche nel tessuto imprenditoriale veneto e friulano, soprattutto nell'ambito del commercio delle pelli” e vengono operati sequestri di ditte nei comuni di Caorle, Bibione, Portogruaro mentre altre vengono passate al setaccio dalle forze dell’ordine. La commissione parlamentare antimafia all’epoca, nella relazione sull’area, parlò di “illegalità nell’assunzione di manodopera e alcuni attentati a danno di cantieri o agenzie immobiliari ricollegabili all’aggiudicazione di lavori edili”26. * Nel 2002 al Cavallino viene arrestato Massimiliano Schisano del clan Mallardo. Latitante, condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, era in contatto con Giorgio Nesto, consigliere comunale di maggioranza al Cavallino. Schisano è accusato di estorsione e minacce ai danni di alcuni imprenditori del litorale. * Nel 2005 viene arrestato a Portogruaro (Ve) Vincenzo Pernice, camorrista del clan Licciardi. All’interno della Alleanza di Secondigliano Pernice si occupava della gestione dei flussi finanziari derivanti dalle attività illecite del clan, e in particolare dalla commercializzazione di pellame confezionato in paesi esteri e nella distribuzione 26 Citato nel blog di Roberto Galullo “Guardia e ladri” 41
degli utili agli esponenti dell’Alleanza. Pernice era a capo della struttura logistica e di assistenza per tutte le necessità dell’associazione all’estero e controllava per conto dell’organizzazione la vendita in Germania di abbigliamento confezionato in pelle, gestendo direttamente alcuni magazzini a Francoforte. Poche settimane dopo l’arresto di Pernice, finisce in manette a Portogruaro Michele di Chiara, appartenente alla cosca palermitana di Salvatore Lo Piccolo, il clan famoso per gli investimenti a Chioggia dove stava cercando di comprare un terreno di Isola Saloni appartenente alla società "Adria Docks", sul quale è prevista dal piano regolatore comunale la realizzazione di numerosi appartamenti. Un investimento di quasi 8 milioni di euro che i Lo Piccolo erano pronti a fare con l'appoggio di alcuni imprenditori veneti e di un maresciallo della Guardia di Finanza. * Nel 2006, nel corso dell'operazione FENUS vengono arrestate una serie di persone che stavano avviando un'attività di usura ed estorsione nel Veneto orientale (Jesolo, Eraclea, San Donà). Si tratta di persone di origine campana e pugliese (ma molti di questi erano da tempo residenti nei tre comuni veneti) nei confronti delle quali sono stati ipotizzati possibili collegamenti con strutture criminali campane. Implicato anche il direttore di filiale di una banca per favoreggiamento (attività di usura). Da notare che per contattare gli imprenditori in difficoltà viene utilizzato un impiegato del Comune di San Donà di Piave. * Nel 2010 viene arrestato un gruppo di cinque napoletani, uno dei quali legato al clan camorristico Soccavo, che estorcevano il pizzo ai venditori ambulanti in spiaggia tra Eraclea, Caorle e Jesolo. Le indagini hanno messo in luce «la complicità di alcuni residenti della zona di origine campana che tentavano di radicarsi nel tessuto sociale locale con modalità delinquenziali tipiche della criminalità organizzata»27. * Nel 2011 viene accusata e arrestata per associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata e al reinvestimento di utili di provenienza illecita, distrazione di beni, bancarotta, bancarotta fraudolenta, a favore del gruppo camorristico dei Casalesi, una professionista residente a San Donà, insieme a Giuseppe D’Urso, considerato il capo dell’intera organizzazione. * Come già sottolineato, un settore particolarmente interessato dall'attività di gruppi camorristici nel Veneto orientale è quello delle costruzioni. La recentissima inchiesta denominata «Coast to coast», condotta dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Rimini e guidata dal colonnello Gianfranco Lucignano, ha portato al sequestro di 21 immobili – sospettati di essere stati acquistati con fondi appartenenti alla camorra nel veneziano e nel padovano: si tratta di palazzine, ville, parcheggi e garage a Portogruaro, Jesolo e San Donà di Piave. Secondo l'inchiesta, dietro le operazioni immobiliari agiva un imprenditore legato alla camorra che utilizzava anche alcune società attive tra Jesolo, San Donà e Portogruaro. Ad acquistare gli immobili un imprenditore assoldato dal clan dei Casalesi per colonizzare il Nord Italia. Lui è Michele Pezone, 53 anni, originario di Aversa (Caserta) con frequentazioni strette con gli uomini del clan. Pezone usa i soldi illeciti della camorra per comprare immobili in località tranquille, produttive e fuori di ogni sospetto, come quelle veneziane. Una vera e propria infiltrazione che agisce su più fronti. Così Pezone usa i soldi dei clan per acquistare la villa e il parcheggio di Jesolo e le palazzine di San Donà di Piave e Portogruaro. Le case sono intestate a società che servono da schermatura come la Fidenti srl, attiva a Jesolo ma con sede ad Aversa, l'Edil-Serenissima a San Donà di Piave e la Mimosa società cooperativa a Portogruaro. Lo stesso Pezone venne arrestato nel 2006 a Jesolo, ma tra il 1998 e il 2000 aveva partecipato alla costruzione del Green Residence di Eraclea assieme ad altri imprenditori in odor di camorra della zona.
27 Alessandro Naccarato, La criminalità organizzata nel Veneto, relazione per il Forum Sicurezza del Pd Veneto, settembre 2012 42
* Un'altra inchiesta ha investito recentemente il litorale orientale veneto con l'arresto di 13 persone, tra cui alcuni napoletani ritenuti vicini alla camorra, un funzionario di banca e il patron del San Donà Calcio. Gran parte degli arrestati risiedeva tra Eraclea, San Stino di Livenza e Portogruaro da tempo. Le indagini avrebbero fatto venire alla luce un patto criminale tra un funzionario di banca di Caorle, in provincia di Venezia, un imprenditore e diversi pregiudicati di Napoli e Casal di Principe. Le accuse a loro carico sono di estorsione aggravata, porto d’armi da sparo, truffa, lesioni gravi, falso e ricettazione, tutti reati commessi con l’aggravante delle modalità mafiose. Alcuni degli indagati, residenti nel Veneto orientale, erano attivi nel settore dell'edilizia. Ricordiamo poi l'allarme lanciato nel marzo di quest'anno da Alessandro Tonello dell'associazione delle imprese edili artigiane del veneziano, che ha segnalato l'esistenza di società «non proprio chiare» pronte a rilevare aziende in difficoltà. Nell'ultimo decennio sono da segnalare alcuni episodi come quello già citato in cui, nel dicembre 2001, una bomba ha fatto saltare in aria l’agenzia immobiliare di Mario Boso ad Eraclea. O l’attentato, nel 2006, all’auto di Adriano Burato presidente del locale circolo di An. A Caorle da segnalare l'incendio nel febbraio 2012 del ristorante il Bucaniere, già distrutto dalle fiamme nel giugno del '98 e nel 2011 l’incendio dell’auto di un avvocato. Nel febbraio 2012 il prefetto di Venezia, Domenico Cuttaia, dopo l’ennesimo rogo sospetto ai danni di un attività commerciale dichiara: «Ci sono segnali recenti che sembrano evidenziare tentativi di penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto socioeconomico del territorio veneziano (…). Si sono visti capannoni bruciati, escavatori distrutti o interrati nella zona del Veneto orientale, è necessario iniziare una campagna di sensibilizzazione per far capire agli esercenti che denunciare gli aguzzini e i taglieggiatori non è solo utile ma anche conveniente». Episodi che sembrano andare in controtendenza rispetto ad una modalità di operatività “in sordina” delle organizzazioni criminali del Veneto. La lettura prevalente da parte degli organi inquirenti descriveva l'operatività delle mafie a nordest essenzialmente funzionale al riciclaggio del denaro, piuttosto che a un vero e proprio insediamento e a un tentativo di controllo del territorio. Questi fenomeni farebbero invece pensare all'utilizzo da parte delle organizzazioni criminali della risorsa della violenza per affermare un loro controllo territoriale, limitato evidentemente ad alcune filiere economiche o alcuni settori sociali.
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5. IL RUOLO DELLA POLITICA E DELLE ISTITUZIONI Criticità, prospettive e idee per un nuovo modello di gestione e di tutela dell’interesse pubblico
Come abbiamo già ripetuto, non esistono, ad oggi, casi dimostrati di amministratori pubblici del territorio coinvolti in affari, collusi e/o affiliati direttamente con la criminalità organizzata; e non esistono prove inconfutabili del fatto che determinate decisioni politiche in materia di progettazione urbanistica, varianti ai piani regolatori piuttosto che lottizzazioni e destinazioni d’uso dei terreni, o di assegnazioni di appalti, siano state direttamente influenzate ed orientate da logiche di scambio clientelare o inquinate da interessi criminali. Esistono inchieste che testimoniano della presenza della criminalità organizzata sul territorio e della sua influenza sul tessuto socio economico di quest’area. Esistono prove dirette del coinvolgimento di professionisti locali (anche vicini alla politica e ad alcuni amministratori) in attività illecite esercitate in complicità con personaggi sicuramente affilati ad organizzazioni criminali. Vi sono stati poi molti episodi e situazioni, legati a decisioni che sono state prese negli anni in merito alla progettazione e pianificazione urbanistica e al governo del territorio, le cui circostanze, tempistiche e motivazioni di fondo risultano quantomeno opache, per non dire sospette. Ma lo scopo di questo studio non voleva essere quello di insinuare e ipotizzare qualsivoglia teoria o di lanciare accuse che non siano ben provate e circostanziate; saranno le indagini delle forze dell’ordine e il lavoro dei magistrati, o forse solo il tempo e le analisi storiche, a stabilire se le ricostruzioni giornalistiche e le ipotesi di studio erano corrette e veritiere. Lo scopo di questo studio è stato quello, partendo da alcuni dati di fatto e aiutati da esperienze e testimonianze dirette, di provare ad evidenziare e comprendere le criticità, le miopie e i limiti che la politica, le istituzioni e le amministrazioni locali hanno manifestato nel governo del territorio, per cercare di comprendere come queste mancanze hanno esposto la sfera pubblica, o possono rischiare di farlo, e l’hanno resa permeabile all’infiltrazione mafiosa nei suoi processi decisionali. Di fronte alle questioni e alle problematiche sollevate da questa indagine, dunque, quali politiche sono possibili da parte degli enti locali, delle istituzioni e delle varie componenti della società civile per scoraggiare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore edile in Veneto orientale? Sintetizziamo per punti in quest’ultimo capitolo alcuni possibili percorsi: ● TURISMO: PUNTARE SULLA QUALITÀ E NON PIÙ SULLA QUANTITÀ Il primo punto che si vuole mettere in luce riguarda il contesto storico-sociale di questo territorio, ed è legato ad un fattore culturale. Abbiamo già proposto la tesi secondo cui alcune specifiche condizioni storiche ed economiche del territorio28, unite al paradigma culturale dominante che ha caratterizzato la mentalità degli anni ’80 (quelli della grande lottizzazione), possono aiutarci a comprendere le cause con le quali è stato impostato il modello di sviluppo che avrebbe regolato il territorio negli anni successivi. Questo tuttavia non 28
Il boom dell’industria turistica a partire dagli anni ’60 e la repentina uscita da una situazione di miseria e indigenza estrema. 44
basta per capire fino in fondo, né tantomeno per giustificare, l’appiattimento con cui la politica locale si è adagiata a questo modello; così come non ci aiuta a spiegare il ritardo della classe dirigente nel comprendere e cercare di governare i cambiamenti che sono intercorsi negli anni successivi. Questi cambiamenti così radicali, con tutto il loro carico di contraddizioni e di prezzi pagati alla scarsa lungimiranza degli amministratori locali, non possono non mettere in discussione le basi stesse di un modello che non solo ha sfruttato, consumato e impoverito il patrimonio naturale e ambientale che ha costituito - e che dovrebbe costituire - il punto di forza e l’attrattiva alla base di questo stesso sviluppo; ma ha anche permesso e favorito l’insediamento di organizzazioni criminali e la loro infiltrazione nel tessuto economico e sociale. Un'altra delle persone intervistate durante il lavoro di ricerca, un tecnico ambientale presso un grande comune e con esperienza diretta di amministratore sul territorio, a questo proposito ha affermato: Secondo me il “salto” culturale non c’è ancora stato, e mi riferisco in particolare a quello che vedo nelle coste del Veneto orientale (da Bibione al Cavallino). Se da un lato la normativa, la nuova legge urbanistica, il fatto di aver introdotto la valutazione ambientale strategica per i piani urbanistici, sono stati recepiti all’interno degli ordinamenti, dall’altro lato però i politici e gli amministratori sul territorio non hanno cambiato la loro mentalità e sensibilità rispetto al governo del territorio, tanto è vero che nel disegnare i nuovi piani regolatori, i nuovi PAT, i Comuni hanno inserito tematiche di tipo ambientale (perché questo è richiesto dalla nuova legge ragionale urbanistica, la Legge 11) ma la filosofia di fondo è rimasta quella che è stata dominante dai tempi del boom turistico, quindi dagli anni ’70 in poi: dove si può, bisogna cercare di costruire più che si può perché l’attività edilizia sarebbe un volano economico capace di portare ricchezza e lavoro. Le tante città, che in alcuni casi si sono proprio “fuse” tra loro in un meccanismo di conurbazione tra città litoranee, continuano a crescere e ormai la linea di costa è riempita e così si va nella parte retrostante verso l’entroterra ad occupare le campagne (quelle della grande Bonifica) con edificazioni che pur allontanandosi dal mare hanno comunque carattere turistico… Questo schema di sviluppo poteva andare bene negli anni’80 quando chi aveva compiti amministrativi, ma anche gli stessi tecnici teorizzavano ancora la necessità di fornire sempre nuove strutture, posti letto, seconde case.... Ancora oggi molti amministratori pensano che l’indicatore di buona amministrazione sia il numero di presenze turistiche, che deve continuare a crescere e può farlo solo se ci sono strutture in grado di accogliere i turisti, e quindi posti letto sia come alberghi che come villaggi turistici (che sono la versione moderna dei campeggi) o seconde case. (Testimone privilegiato, Caorle)
Vi è un punto che viene prima dell’analisi sulle norme, le metodologie e gli strumenti giuridici (che in realtà non mancano): è, infatti, prioritario prendere coscienza della necessità di un cambio di paradigma culturale. Non è più possibile impostare politiche di governo territoriale fondate su una monocultura edilizia legata alla ricettività turistica. Bisogna prendere atto che sono la tutela e la valorizzazione del territorio, e delle sue risorse paesaggistiche e ambientali, il modo migliore per costruire un nuovo modello di sviluppo capace di coniugare ricchezza economica, legalità e salvaguardia dell’ambiente. È necessario iniziare a cambiare il nostro modo di guardare alle cose e di nominarle, rovesciando le prospettive che hanno orientato il nostro sguardo e le nostre scelte fino a questo punto. Parlare di suolo e del suo valore significa innescare alcuni cambi di direzione al contempo culturali, tecnici e politici: non guardare più al suolo con una logica bidimensionale d’area ma vederlo come un volume, sarebbe già di per sé una grossa novità per un urbanistica per la quale i volumi sono solo quelli edificabili o edificati. Se poi si riuscisse a dare a quel volume di terra un valore non fondiario o commerciale o immobiliare, ma legato alla sua funzionalità ecosistemica e ai benefici che produce, o legato al suo valore storico determinato da stratificazioni diverse che ogni epoca riceve in eredità e di cui si dovrebbe prendere cura, allora il cambio di paradigma sarebbe rivoluzionario e metterebbe fine, o quantomeno creerebbe grossi problemi, alla “vecchia” impostazione urbanistica e alle politiche di governo del territorio lassiste o facilmente “sviluppiste”. 45
È fondamentale che la classe dirigente locale capisca e accetti il fatto che, ormai, il mercato del turismo è cambiato, sia quantitativamente che qualitativamente, e che continuare a perseguire strategie di sviluppo fondate sull’idea che i turisti saranno sempre di più - e che quindi c’e bisogno di costruire nuove strutture per ospitarli - è non solo irrealistico ma anche sbagliato e controproducente per la stessa economia del territorio. E questo non lo dicono solo gli ambientalisti, o qualche minoranza politica, ma è ormai un’ analisi e un pensiero comune anche di molti operatori economici del settore turistico del litorale. È sotto gli occhi di tutti infatti che anche se il distretto turistico del Veneto orientale continua a crescere come numero di presenze,il tasso di crescita è però sensibilmente diminuito, mentre l’attività edilizia non ha rallentato. La previsione di scenario che viene costruito con i nuovi Pat è uno scenario di forte espansione, che non tiene conto del fatto che la curva di precisione di presenze turistiche non è più così alta come negli anni ’70 e ’80. Queste due economie, turistica ed edilizia, rispondono a logiche ed interessi che sono andati divergendo nel tempo; se all’inizio nella fase “pionieristica” della nascita del turismo di massa sulle spiagge del litorale coincidevano, adesso capita di trovare gli stessi operatori turistici (le associazioni di albergatori) che chiedono agli amministratori di limitare le attività di edificazione, soprattutto per quanto riguarda le seconde case. Ci si rende conto che si sta concretizzando quello che è stato definito “il paradosso del turismo”29. Una località turistica deve fornire ospitalità, e quindi essere attrezzata con determinate strutture, però non può riprodurre la stessa qualità ambientale di una realtà urbana perché è esattamente ciò da cui il turista è in fuga durante la vacanza, e di sicuro non vuole trovarsi a respirare aria inquinata o ad andare in bicicletta in mezzo al traffico, circondato da un paesaggio urbano dove ci sono solo case e palazzi. Puntare sulla qualità e la sostenibilità dell’offerta turistica gioverebbe anche all’economia locale. È vero che dagli anni ’70 del secolo scorso ciò che ha garantito la fortuna di molti amministratori locali dei comuni del litorale veneto è stata la loro disponibilità a sostenere le lobby delle costruzioni, ma ora si sta prendendo coscienza che le grandi lottizzazioni affidate a ditte esterne sempre meno garantiscono lavoro alla popolazione locale. Al contrario, puntando sulla manutenzione e sulla ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente (particolarmente importante nel caso di Caorle, dove le diverse pensioncine tirate su dalle famiglie locali negli anni ’50 e ’60 sono in parte obsolete e ormai inadeguate), i piccoli artigiani e imprenditori locali sarebbero molto più coinvolti. Non solo: questo genere di investimento, rispetto alle grandi speculazioni edilizie, è anche di minor interesse per le mafie, e si otterrebbe dunque anche l’importante risultato di non attirare gruppi criminali desiderosi di riciclare denaro “sporco” (se ci si limita a fare un piano regolatore che contempla piccoli interventi e soprattutto la riqualificazione dell’esistente, è facile che “il gioco non valga la candela” per l’organizzazione criminale). Anche puntare su un turismo “ambientale” creerebbe utili opportunità occupazionali per la gente del posto:
È possibile favorire sviluppo e dare occupazione tutelando e proteggendo l’ambiente. La battaglia su Valle Vecchia è proprio questa: lì c’è una proposta di ampliamento, non grandissima ma c’è, legata anche alle mobile home, che alla fine non è altro che una forma di lottizzazione mascherata. Noi invece proponiamo agli abitanti della piccola frazione che sta lì dietro di rendere Valle Vecchia e la Brussa un parco che può dare lavoro 12 mesi all’anno, perché le condizioni ci sono (si pensi solo alle valli da pesca). Se ragioniamo in una logica di tutela e gestione del bene pubblico creiamo anche opportunità occupazionali, senza la necessità di costruire condomini o infrastrutture per accogliere 7.000 residenti; tu
Gli economisti che studiano le dinamiche di nascita, sviluppo e poi declino di una località turistica hanno riscontrato che se all’inizio il turismo nasce e si sviluppa perché ci sono condizioni ambientali favorevoli (dal punto di vista climatico, territoriale, geografico), questo stesso turismo se cresce a dismisura senza controllo arriva a depauperare la stessa base su cui è nato; si arriva quindi a “tagliare il ramo su cui si è seduti”. 29
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puoi avere comunque le stesse presenze turistiche ma diluite su tutto l’anno e distribuite su tutto il territorio e non ammassate in spiaggia. (Testimone privilegiato, Eraclea)
● TRASPARENZA E CONTROLLO NELLE DECISIONI PUBBLICHE Rendere trasparenti i meccanismi di scelta e di gestione inerenti a tutto ciò che riguarda le decisioni d'interesse pubblico; coinvolgere i cittadini e il tessuto sociale nelle costruzione dei progetti che riguardano il loro territorio; esercitare un controllo profondo e continuo sui soggetti privati che interagiscono con l’amministrazione pubblica. Queste sono le prime cose che la politica deve fare per provare a scoraggiare l’infiltrazione criminale ed evitare di poter favorire il formarsi e il radicarsi di una cultura di tipo “mafioso”. Tutto deve avvenire nella massima trasparenza: se un amministratore assegna un appalto ad una ditta piuttosto che ad un’altra deve essere chiaro il meccanismo decisionale che ha portato a quell’assegnazione; così come i criteri con cui chi ha la responsabilità di prendere decisioni lo fa devono essere limpidi e non soggettivi. Il problema è che spesso nel territorio non ci si rende conto di questa cosa, o la si trascura, e perciò questo territorio si rivela culturalmente molto permeabile alla mafia o alle culture mafiose; si tende ad avere un approccio laissez-faire, come se in fondo la mafia, che “qui non spara” non facesse male davvero. Questo approccio culturale rischia di far passare la mafia dappertutto, perché genera una cultura clientelare e consociativa che si rivela molto simile alla cultura criminale del sud: Chi non è stato al sud ha una visione schematica della mafia che spara e basta, mentre chi conosce il sud sa che la mafia prima di tutto è fatta di rapporti, amicizie, clientele, di forme che ti legano e non ti permettono più di dire di no. E anche qui purtroppo le dinamiche sono simili, e la cultura non si è mai davvero nutrita della necessità della trasparenza, ed è anche per questo che forse si è parlato poco fin ora di questi fenomeni e di queste dinamiche: quando noi abbiamo cominciato a denunciare in maniera forte queste cose abbiamo sempre detto che era necessario affrontare questi nodi, distinguere i ruoli dalle persone senza confonderli perché altrimenti si è attigui alla cultura mafiosa; perché se si accetta che nel tuo comune possa lavorare un’ azienda solo perché è quella del tuo comune, e non perché è quella che lavora meglio, di fatto si sta accettando una cultura di tipo mafioso; ed è questo il punto fondamentale che permette che le culture e le organizzazioni mafiose s’insedino sul territorio. (Testimone privilegiato, Eraclea)
È fondamentale allora che gli organi politici esercitino costantemente il loro dovere di controllo e che, allo stesso tempo, i cittadini siano in grado di prendere coscienza del fatto che l’infiltrazione mafiosa è ormai una realtà, e lo è anche perché qualcuno o per incapacità o, peggio, con una visione cosciente ha creato le condizioni favorevoli perché ciò avvenisse. Non si vuole togliere alla politica la sua caratteristica quasi “ontologica” di essere mediazione di interessi differenti e capacità di compromesso; tantomeno si vuole contestare il suo potere di scelta, purché le sue scelte abbiano sempre in vista l’utilità che queste possono avere per il bene pubblico; un amministratore ha tutto il diritto di interloquire con soggetti privati ricercando offerte vantaggiose, e stipulando contratti che egli reputa vantaggiosi per il proprio comune e i propri cittadini. Non si vuole neppure togliere ai privati il loro diritto a fare un onesto lavoro di lobby. La cosa fondamentale è che tutto in questo processo deve essere assolutamente trasparente e chiaro nelle sue dinamiche: dal chi sono i soggetti coinvolti al perché è stata fatta una determinata scelta, e in relazione a cosa. Questo per evitare che si insinuino sospetti di tutelare interessi opachi, dove non direttamente illeciti, e per scoraggiare chi invece vuole operare nell’ombra del malaffare: la legge dovrebbe garantire che un amministratore possa fare accordi con chi vuole ma anche che poi questi debba produrre una tavola del piano regolatore nella quale vengano evidenziate chiaramente anche le proprietà dei terreni, magari integrandole con delle tavole comparative che spieghino come sono stati assegnati i terreni e la volumetria edificabile. È giusto che un amministratore faccia accordi, ma è (o dovrebbe essere) suo compito rendere poi pubblico questo accordo e i 47
meccanismi di scelta che lo hanno definito. Il punto comunque è quello di rendere completamente trasparente il meccanismo di gestione delle scelte, la composizione e l’assetto societario delle aziende: chi sta davvero dietro ad un determinato nome, chi sono e da dove vengono, che riferimento hanno rispetto all’assetto territoriale: Già questo sarebbe un ottimo deterrente perché chi opera nel malaffare opera nell’ombra fino a che può o ci riesce, se invece trova qualcuno che gli fa le pulci è più facile che possa desistere dai suoi intenti criminali. Il meccanismo della trasparenza permette un maggior potere di controllo da parte delle istituzioni ma anche di qualsiasi soggetto che voglia “mettere il naso” e studiare questi fenomeni, penso all’Osservatorio piuttosto che ad un P.M. che magari voglia ricostruire la filiera di attività commerciali e la storia dei nomi che ci stanno dietro; più soggetti possono accedere alle fonti e più è facile che possano arrivare all’amministrazione le notizie giuste. (Testimone privilegiato, Eraclea)
Garantire la trasparenza dei processi decisionali e dei meccanismi di controllo è il primo punto su cui costruire meccanismi di tutela delle P.A. Questo presuppone però che debba essere portata alla luce anche tutta l’attività politico-amministrativa che molto spesso è fatta di “accordi sotto banco”. Certe scelte che magari l’amministratore di turno fa spesso sono anche difficilmente presentabili in pubblico e sono state magari decise nella cena “privata” con l’imprenditore, dove in cambio di un “ritocco” al piano regolatore si ottiene la garanzia di far lavorare alcune ditte invece di altre, ecc.; e purtroppo spesso ci sono questi scambi… (Testimone privilegiato, Caorle)
Senza arrivare a parlare di tangenti o corruzione vera e propria, e restando nell’ambito della legalità, non si può però negare che spesso i politici esercitano il proprio potere facendo da “crocevia” tra interessi economici diversi ma convergenti, e indirizzando i flussi di denaro a vantaggio di chi rappresenta e garantisce la convergenza di questi interessi - magari il tecnico, l’architetto o l’avvocato del comune, per esempio - senza preoccuparsi troppo delle conseguenze che tutto ciò può avere sulla collettività. Il problema quindi non può essere ricondotto ad una presunta mancanza di strumenti legislativi – legislazione sulla trasparenza negli appalti pubblici, protocolli di legalità, certificazioni antimafia e altri - o progettuali (la legge 11 favorisce di fatto un iter partecipativo e inserisce la tutela e la salvaguardia ambientale tra i suoi obiettivi) per contrastare fenomeni di infiltrazione criminale; il problema principale ha a che fare con la volontà concreta di usare davvero questi strumenti in modo efficace, favorendo processi decisionali davvero trasparenti. È necessario quindi cambiare la mentalità, l’atteggiamento e le procedure che stanno alla base delle scelte strategiche e progettuali di governo del territorio, se non ci si vuole esporre inevitabilmente al sospetto che gli interessi pubblici vengano svenduti, o comunque non tutelati, di fronte a quelli di privati più forti. ● PARTECIPAZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE È indispensabile favorire il coinvolgimento di tutti i soggetti – attori economici, rappresentanze di categoria, società civile – appartenenti ad un territorio nei processi di progettazione, pianificazione e decisione in merito allo sviluppo di quel territorio; in tal senso è fondamentale il ruolo dei media e delle istituzioni culturali nel raccontare ciò che accade davvero sul territorio, fornendo sempre un’informazione completa e neutrale e tenendo alta l’attenzione della popolazione, stimolando così la riflessione e il dibattito per formare un’opinione pubblica preparata e consapevole. Questo sia per esercitare una legittima e democratica opera di controllo dell’operato degli amministratori pubblici, sia, al contempo, per tutelarli e per non “lasciarli soli” e dunque più
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facilmente esposti a pressioni e ricatti da parte di grandi lobby economiche ed esponenti della criminalità organizzata. ● UNA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ALLARGATA Per cercare di contrastare il problema della debolezza tecnico-politica dei piccoli comuni del litorale veneto, debolezza che li espone alle pressioni di forti interessi speculativi, dove non direttamente criminali, può essere utile pensare di impostare strategie sovracomunali, che permetterebbero di fare “massa critica”, rispetto alle suddette pressioni, e di mettere insieme risorse e competenze utili per costruire progetti comuni di sviluppo urbanistico. Questi progetti comuni, legandosi direttamente tra loro e valorizzando il ruolo e le competenze dell’ente sovra comunale (la provincia se possibile, o la regione), aiuterebbero i comuni a realizzare più facilmente, e in maniera omogenea, le direttive scelte; inoltre, un approccio di questo tipo potrebbe favorire un controllo più trasversale e diffuso dei procedimenti decisionali, mediante una semplificazione omogenea delle procedure di verifica e controllo che favorirebbero la trasparenza e, al contempo, la condivisione di buone pratiche e di protocolli di legalità al’interno di un area più vasta di territorio: Una cosa fondamentale è che non si facciano più i PAT ma si facciano” i patti”, cioè pianificazione con intese e visioni più ampie; non può un singolo comune pianificare senza tenere conto di quello che accade nel comune vicino, e questo è il compito dell’ Ente sovracomunale (la provincia finché regge, senno la regione), mettere prima i freni a certe operazioni… non possono essere solo le singole amministrazioni, ma deve essere un intero territorio che aderisce ad un suo sistema di trasparenza di gestione…il cittadino di Caorle, piuttosto che quello di Portogruaro, deve avere gli stessi diritti se decide che vuole verificare come è stato assegnato un lavoro o come viene svolto, e questo lo deve dire la legge, mentre oggi non è così, e ci si muove in modo diverso (c’è chi ha il difensore civico e chi no). C’è un problema culturale che parte dalla pubblica amministrazione per arrivare agli altri; molto spesso l’amministratore pubblico non è davvero cosciente del proprio ruolo, sia in termini culturali che di capacità di allontanare certi fenomeni piuttosto che attrarli… (Testimone privilegiato, Eraclea)
Di fronte ad interessi economici così forti, in grado anche di comprimere la volontà degli amministratori, si rivela sempre più necessario avere un fronte più ampio e una pianificazione territoriale allargata; i comuni dovrebbero cominciare a “spogliarsi” di tante piccole particolarità e, senza per questo perdere la propria identità, e affidarsi ad una regia sovracomunale in grado di sostenere le amministrazioni nelle scelte più difficili, fornendo un supporto ed un’assistenza che consenta loro di opporsi senza paura a questi interessi così forti. La strategia pianificatoria non può più essere comunale, anche in relazione al fatto il Veneto ormai è un unicum territoriale e che anche il Veneto orientale lo sta diventando. Una strategia pianificatoria unitaria, a livello sovracomunale, renderebbe sicuramente più facile affrontare le insidie nascoste di quegli strumenti politico - economici che hanno negli ultimi anni regolato le decisioni e la gestione in materia di opere pubbliche: ovvero, la Legge Obiettivo e il Project Financing. Questi due strumenti da un lato servono a snellire i processi burocratici e a velocizzare la realizzazione effettiva di un’opera, dall’altro tendono però a togliere alle amministrazioni interessate il potere di scelta e gestione sulle opere che vengono realizzate nel loro territorio; rischiano anche di attrarre sui quel territorio capitali e liquidità di cui è difficile conoscere le origini e garantire il controllo. I Piani di Governo del Territorio, infatti, sono oggi in molti casi vissuti come meri adempimenti burocratici e/o come costosi esercizi retorici completamente svincolati dagli strumenti attuativi. Deroga e discrezionalità rendono, in questo modo, sempre più arduo e complesso un governo del territorio organico, unitario e, non ultimo, capace di contrastare l’illegalità (Gibelli e Righini 2012). Questo è il concetto di fondo della finanza di progetto, che opera con Legge Obbiettivo e in deroga. La legge 49
Obiettivo serve per sbloccare le opere e perché si trovino soluzioni rapide per opere ritenute di interesse speciale; ma anche quando si opera in deroga tutto deve avvenire nella massima trasparenza: Si possono anche semplificare i meccanismi decisionali e ridurre il numero di pareri necessari, ma la Legge Obiettivo non può essere “decido io come voglio io e bypasso i pareri di tutti”, i pareri (magari meno e più veloci) vanno chiesti e rispettati, e se poi bisogna litigare e dare battaglia lo si fa, anche perché poi quando ho rovinato un paesaggio facendoci passare una strada è finita, non tornerà mai più come prima; questi sono i problemi e su questi problemi e contraddizioni si crea a pioggia un sistema di potere che a sua volta genera un sottobosco opaco, anche se è tutto avvenuto nella legalità. (Testimone privilegiato, Eraclea)
● QUESTIONI IMPRESCINDIBILI “A MONTE” Tre indicazioni più generali emergono infine dall’analisi svolta. La prima riguarda la necessità di prendere sul serio la questione delle infiltrazioni della criminalità organizzata in Veneto, ed in particolare in Veneto orientale. Questo innanzitutto da parte della magistratura e della politica. La prima deve, come suggerisce il giornalista Maurizio Dianese, realizzare un’indagine seria ed approfondita che metta insieme tutti i “pezzi” del puzzle, che al momento sono stati ricostruiti (seppur in maniera necessariamente incompleta e non provata) prevalentemente solo da alcuni giornalisti. La seconda deve prendere coscienza una volta per tutte del proprio ruolo di controllo e di tutela della cosa pubblica. La seconda indicazione riguarda l’importanza di investire nella spesa pubblica, per non esporre gli enti locali a logiche di scambio con privati pur di garantire ai propri cittadini alcuni beni e servizi essenziali. La casa, il lavoro, i servizi sociali non sono cose che si possono barattare o scambiare, e devono essere e restare pubbliche e garantite dal pubblico. Tra gli investimenti essenziali che dovrebbero restare sotto regia e guida pubblica, vi è la tutela del lavoro e dei lavoratori colpiti dalla crisi: è proprio in questo periodo di crisi economica, infatti, che esponenti della criminalità organizzata si avvicinano ad imprenditori in difficoltà fornendo loro denaro “sporco” per ripagare i propri debiti, incastrandoli così in un meccanismo di usura. L’ultima indicazione riguarda l’importanza di un’educazione alla legalità e alla tutela dell’ambiente, fatta già a livello di scuola dell’obbligo. Una volta appurato che le mafie attecchiscono al nord perché un sottobosco di politici, imprenditori e professionisti corrotti si legano a loro in un sodalizio criminale, infatti, è su di “noi” e sul nostro retroterra culturale che dobbiamo lavorare in primis.
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