Quaderno/2 FOCUS CORRUZIONE E LEGALITÀ DEBOLE

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Focus Corruzione e legalitĂ debole

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Osservatorio ambiente e legalità Venezia

Quaderno a cura dell’Osservatorio ambiente e legalità città di Venezia. L’Osservatorio ambiente e legalità è un progetto di Legambiente Veneto sostenuto e finanziato dall’Assessorato all’ambiente e alla città sostenibile del Comune di Venezia. www.osservatorioambientelegalitavenezia.it

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INDICE

4 Legalità debole e poteri forti Gianni Belloni, Osservatorio ambiente e legalità Venezia

7 Corruzione, “sostenibilità” e beni comuni Alberto Vannucci

13 La corruzione ai tempi del project financing Ivan Cicconi

18 L’area grigia della green economy Lorenzo Segato

24 Abusivismo edilizio in salsa veneta Nicola Destro

29 Contro le mafie e la corruzione a partire dal Comune Pierpaolo Romani

33 Le opere in riva alla laguna Alberto Vitucci

37 I dati del Ministero dell’Interno per regione su concussione e corruzione dal 2009 al 2012

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Legalità debole e poteri forti Gianni Belloni, Osservatorio ambiente e legalità Venezia

Qualsiasi cosa emerga dalla clamorosa inchiesta in corso sul cosiddetto sistema “Baita” e sui fondi neri accumulati grazie ad appalti e consulenze ed ad un carosello di fatture e società “cartiere”, alcune evidenze empiriche ci suggeriscono considerazioni per nulla rassicuranti sull'entità e il profilo del sistema corruttivo che alligna nel Veneto.

Oggettivamente l'attivazione di grandi opere ha garantito l'afflusso di risorse anche verso il basso: catene di subappalto che hanno garantito la sopravvivenza anche a piccole e medie aziende operanti nella filiera edilizia. Si tratta però di un sistema chiuso dove lavorano sempre i soliti perché il sistema ed è un sistema oliato e perfetto nelle sue dinamiche finanziarie, economiche e sociali. Inoltre l'immobilizzazione di grandi quantità di finanziamenti bancari nel meccanismo sicuro del project financing sono soldi sottratti all’apparato manifatturiero. Si tratta di risorse finalizzate alla rendita quando, in tempi di crisi come quelli attuali, si dovrebbero orientare le scarse risorse verso il sostegno alla innovazione e ricerca del sistema produttivo regionale.

Corruzione e devastazione ambientale Citiamo solo alcuni casi: dall'inchiesta “Acheronte” sulle escavazioni abusive nei fiumi Po, Adige e Brenta – che ha travolto i vertici del Genio civile di Padova – all'inchiesta sulla Rotmafer di Verona (traffico illecito di rifiuti) - che ha coinvolto i vertici veronesi dell'agenzia regionale per l'ambiente -, all'inchiesta “Serenissima sul traffico illecito internazionale di rifiuti – che ha visto implicati appartenenti alle forze dell'ordine -. La criminalità ambientale è spesso possibile solo attraverso i varchi che si aprono – con modalità diverse - nella pubblica amministrazione. Lo mostra bene l'articolo di Alberto Vannucci su questo quaderno: la tutela dei beni comuni è parte integrante dell'etica pubblica, gli imprenditori attraverso la corruzione prendono una scorciatoia che gli permette di scaricare sull'ambiente costi – innovazioni di processo e di prodotto, osservanza delle norme ambientali ecc.. - che non vogliono sopportare.

La mafia e la corruzione E' grazie alla corruzione di un funzionario della questura di Venezia che Angelo Pitarresi – su di lui gli inquirenti dell'antimafia veneta scrivono: “appare alquanto verosimile che Pitarresi sia inserito o, quantomeno, contiguo al clan mafioso “APARO-TRIGILA” e visti i rapporti con Granvillani e Pizzardi non si esclude che ricopra sul territorio del nordest un ben preciso ruolo per conto e nell'interesse – oltre che del clan “Aparo – Trigila” - anche per conto della mafia gelese e specificatamente della cosca mafiosa di Incolano Salvatore (emergente e in ascesa)” riusciva ad ottenere i permessi per squadre di operai di cui riforniva decine di imprese venete. Il ruolo strategico del dispositivo corruttivo per l'insediamento delle organizzazioni criminali non è solo una congettura teorica qui in Veneto. La mafia presuppone la corruzione pubblica e privata. E' questo il terreno a essa più favorevole. Cosa c'è alla base della corruzione? C'è la convinzione che ciò che è degli altri o ciò che

I circuiti chiusi della corruzione «Sono sistemi chiusi – spiegava qualche mese fa l'imprenditore mestrino alla Nuova di Venezia– nei quali è impossibile entrare: si fanno lavorare solo gli amici e gli amici degli amici». «E’ drammatico essere escluso dai pochi lavori che ci sono in giro – concludeva – e allora a questo punto è meglio pagare, una piccola tangente si può accettare». 4


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è pubblico può essere privatizzato messo cioè nella disponibilità di chi usa la corruzione per farlo. Il mafioso ritiene immorale non perseguire il suo interesse personale ed è perciò onorevole far girare la ricchezza, al di là dei metodi usati.

esteso e ha messo in crisi aziende più equilibrate – analizza Maurizio Ferron responsabile per la Cgil dell’area dell’ovest vicentino – uno spaccato da rabbrividire, qui è innato nel sistema un secondo bilancio in nero e una distribuzione capillare di questa evasione, nessuno ha il coraggio di prendere il sasso in mano. In realtà c’era una sofferenza tra gli imprenditori – ragiona Ferron -, perché la “cricca” aveva esagerato, un sistema economico funziona se ci sono rapporti di fiducia in comportamenti codificati, l’evasione e la corruzione più spinta fa aumentare i costi economici delle transazioni e nessuno si fida più. La corruzione emersa ha fatto sballare il sistema, ma pochissimi possono rivendicare l’innocenza e per questo nessuno ha denunciato anche se tutti ovviamente sapevano».

Tangentopoli ha cambiato pelle Anche se gli attori sembrerebbero gli stessi anche qui in Veneto il sistema corruttivo ha radicalmente cambiato fisionomia: descrive bene il processo Ivan Cicconi nelle prossime pagine. E ne rintracciava la dinamiche Luca Romano in un saggio di una decina di anni fa dedicato proprio al Veneto: «Sono imprenditori “amici” dei politici che si giovano di concessioni affidate con ampio potere discrezionale oppure usano l’obiettivo della Borsa per effettuare privatizzazioni con il denaro pubblico; sono gestori di servizi di pubblica utilità acquisiti senza concorrenza, senza rischio imprenditoriale, con l’ombrello della spesa “amica”; sono operatori di territorio che conoscono i modi per eludere limiti e vincoli dei piani regolatori oppure per modificare destinazioni e far lievitare i prezzi delle aree: ovvero l’ipermoderno che si incontra con l’archeologia politica della speculazione fondiaria. I beneficiari non sono più i partiti. Queste attività sull’incerto confine tra legale e illegale sono anch’esse “molecolari”. Anche il reato di corruzione diviene più sfumato e latente, perché inserito tra le pieghe di una dilatazione del diritto privato rispetto a quello amministrativo, a discapito della concorrenza, della pluralità di attori, della trasparenza delle procedure». (Luca Romano, Tangentopoli Polenta e osei, Micromega, gennaio 2001).

Le decisioni distorte La scelta delle opere necessarie è stata operata con criteri discrezionali. In caso di opzioni alternative, come nel caso del Passante, si è sempre optato per la scelta più impattante dal punto di vista ambientale e a più alto costo e margini di remunerazione più alti. Ad un più alto tasso di corruzione corrispondono politiche di sperpero del territorio e delle risorse. A tutto detrimento di opere più piccole, diffuse, più controllabili dai soggetti sociali interessati. La “nuova” imprenditoria In questi anni ha prosperato un’imprenditoria «protetta» che, grazie a contatti privilegiati con la classe politica e a procedure agevolate – la decretazione d'urgenza legata alla protezione civile nel caso del Passante, il monopolio garantito al Consorzio Venezia nuova nel caso del Mose, il project financing nel caso di molte altre grandi opere – ha potuto dribblare la crisi e scaricare sulla collettività i costi abnormi dal regime di monopolio di fatto. Obiettivo dell’imprenditore protetto, più che il profitto, è la rendita assicurata da politici e funzionari pubblici senza rischio d’impresa, al più con un rischiocorruzione. Si sviluppa così una classe imprenditoriale parassitaria, preoccupata di curare le relazioni coi decisori politici e burocratici di riferimento – e le tecniche riparate per ricambiare

L'equilibrio della corruzione Di “corruzione sistemica” parla Vannucci su queste pagine: un sistema che accontenta tutti e per cui è difficile che emerga la denuncia. Alle volte il sistema si rompe come nel impressionante caso del giro corruttivo e di evasione fiscale che ha coinvolto decine di aziende – e funzionari pubblici e politici della valle del Chiampo. «Questo sistema di malaffare non è frutto di quattro delinquenti, è 5


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a “decretazioni d'urgenza” o dispositivi dell”'urbanistica contrattata” che promuove varianti in spregio alla pianificazione. In realtà l'apparto di norme servirebbe – ed è servito - ad ostacolare “a mettere sotto controllo la natura selvaggia del dominio” come ha lucidamente scritto Marco Revelli ne “I demoni del potere” -, a porre limiti a poteri che altrimenti non troverebbero limiti nella loro bulimia. Senza alcun ragionevole dubbio, oggi, la più redditizia modalità di formazione di plus valore economico e la più efficace strategia per l’acquisizione di posizioni di potere politico e sociale è proprio quella perseguita al di fuori o apertamente contro le norme di diritto. E tale tendenza riguarda non tanto il crimine in sé, ma la società che lo produce e le istituzioni che dovrebbero occuparsene tramite le loro funzioni regolatrici e redistributrici. «La proprietà obbliga» era scritto nella costituzione della repubblica di Weimar e nella nostra Costituzione l'articolo 41 recita: «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». La cultura del limite – e quindi l'etica – dovrebbe condurci verso nuove scelte.

i favori ricevuti – più che di innovare e gestire con efficienza le attività produttive.

I “costi morali” Sempre Vannucci spiega come la corruzione sia resa possibile dall'interiorizzazione di “nuovi codici di condotta, che prescrivono l’accettazione della prassi e delle tangenti, cui paradossalmente si associa un “valore sociale” positivo: potremmo chiamarla etica nella corruzione” . Emblematico il caso di un politico bellunese che, con candore disarmante, annuncia in sede pubblica di aver dato incarico professionale per 300mila euro al consulente di una società svizzera per “fidelizzare” (sic!) la società e convincerla della bontà di un affare immobiliare in corso. Corruzione e legalità debole: una questione politica Come ha efficacemente descritto Nicola Destro nel saggio dedicato all'abusivismo edilizio, contenuto in queste pagine, più che l'effrazione della norma preoccupa il suo “addomesticamento”. Il sistema di regole è vissuto come un ostacolo alla crescita e al dispiegarsi delle attività economiche. Per questo si fa ricorso a procedure “eccezionali”,

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Corruzione, “sostenibilità” e beni comuni CORRUZIONE E DEVASTAZIONE AMBIENTALE SONO DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA: IL FRUTTO DI UNA IMPRENDITORIA CHE VIVE DELLA RENDITA DI ACCORDI E FAVORI DELLA POLITICA. LA SOSTENBILITÀ E L'ETICA NON SONO SLOGAN DA CONVEGNI MA PRATICHE DELLA SOCIETÀ CIVILE PER IMPORRE SCELTE E RESPONSABILITÀ Alberto Vannucci, Università di Pisa

Spesso si sente parlare – specie in convegni o documenti ufficiali – di etica ed economia, etica degli affari, etica e responsabilità sociale dell’impresa, sostenibilità e sviluppo sostenibile, concetti di solito accompagnati da altre belle parole e buone intenzioni. Purtroppo – soprattutto in Italia – quello dell’etica applicata all’attività d’impresa o della sostenibilità rischiano di diventare concetti “post-it”, da appiccicare dove ne capiti l’occasione, inflazionati nell’uso fino a perdere di significato, oppure declinati in modo da renderli del tutto inoffensivi, visto che si tratta di temi su cui per definizione non possono che essere tutti d’accordo.

processi di scelta pubblica. Considerare i valori e la responsabilità sociale delle imprese nel perseguire la sostenibilità dello sviluppo può avere un significato se utilizziamo questi termini per indicare una componente fondamentale dell’ambiente istituzionale, ossia di quella rete di regole non scritte, di vincoli informali – per usare la terminologia del premio Nobel per l’economia Douglass North – che orientano le imprese e gli imprenditori nelle loro scelte quotidiane, e che contribuiscono a plasmare le loro aspettative e dunque le loro scelte. Parlare di etica, sostenibilità e responsabilità sociale è un esercizio utile se utilizziamo questi termini come coordinate per orientarci nella rete di “regole del gioco” economico che orientano le scelte, le credenze, i processi di apprendimento degli operatori economici, degli imprenditori, oltre che naturalmente di tutti gli attori politici e sociali. Regole il cui rispetto – come accade per gli altri vincoli informali – si fonda su meccanismi di garanzia di adempimento che sono indipendenti, prescindono dall’azione dello stato.

Si è parlato persino della dimensione “cerimoniale” che ormai accompagnerebbe l’utilizzo del termine sostenibilità, privo di qualsiasi implicazione concreta in termini di policy. La questione metodologica – per dirla alla Sartori – è il rischio di “stiramento concettuale” nel loro utilizzo: in fondo c’è qualcuno che potrebbe farsi ragionevolmente promotore di uno sviluppo insostenibile? C’è qualcuno che potrebbe pubblicamente patrocinare le azioni di un’impresa socialmente irresponsabile, in aperto e dichiarato contrasto coi principi etici?

In sostanza, chi non rispetta queste regole non scritte subisce un costo non soltanto – e non tanto – perché è prevista una sanzione ad opera dell’apparato coercitivo dello stato, ma perché quella violazione entra in conflitto con le sue convinzioni più profonde e interiorizzate, con quella struttura di valori morali che ne definisce l’identità, e nel contempo viene condannata dalle cerchie sociali cui appartiene e che coi loro giudizi danno senso alle azioni e alle preferenze

Allora per rendere i concetti di etica e di sostenibilità utilizzabili nelle politiche pubbliche, oltre che naturalmente nei nostri giudizi morali, occorre a mio avviso sottrarli dal dominio delle dichiarazioni di principio, dei valori più o meno fumosi, e declinarli in termini che ci permettano di tradurli in indicatori coi quali sottoporli all’analisi empirica, valutandoli sotto il profilo dei 7


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individuali.

tribunale: emissioni annue di 11mila tonnellate di diossido di azoto, 11300 tonnellate di anidride solforosa, 1,3 tonnellate di benzene, 11550 morti causati negli ultimi 7 anni (circa 1650 l’anno) dalle emissioni industriali, 237 casi l’anno di tumori maligni direttamente riconducibili alle emissioni, di cui 17 tumori infantili. Come si è arrivati a tanto? A giudizio dei magistrati, anche attraverso una rete di connivenza e complicità costruita pagando somme in nero – chiamiamole pure tangenti – a una moltitudine di soggetti che con diversi profili di responsabilità, anche politica, avrebbero dovuto operare controlli e imporre vincoli.

Valori etici da intendersi dunque come vincoli istituzionali informali che assicurano un “ancoraggio” degli individui alla loro comunità e al bene comune, attraverso i gruppi sociali nei quali sono socializzati e conducono la loro esistenza, e per questa via riducono l’incertezza negli scambi economici, abbattono i costi di transazione, rendono più prevedibile l’interazione sociale. Se non le consideriamo parte di una più ampia “questione istituzionale”, allora trattare i temi dell’etica, della sostenibilità e della responsabilità dell’impresa rischia solo di farci solo riempire la bocca di belle parole. E mentre parliamo di etica e sostenibilità l’identikit dell’imprenditore italiano finisce – anche nell’immaginario collettivo – per somigliare drammaticamente a quei soggetti che invece “ridevano nel letto” alle tre di notte perché avevano appena saputo del terremoto in Abruzzo e pregustavano i profitti dei lucrosi appalti per la ricostruzione dopo il sisma. O di quell’altro industriale, secondo gli inquirenti tra i responsabili della peggiore catastrofe ambientale in Europa dal dopoguerra ad oggi, l’Ilva di Taranto, che nel commentare il rapporto favorevole dell’organismo di controllo regionale, i cui funzionari secondo gli inquirenti erano nel suo “libro paga”, commenta “Due casi di tumore in più all’anno… una minchiata”.

Drammatiche le analogie con la vicenda di Porto Marghera, nonostante il processo sulle responsabilità per il petrolchimico si sia concluso nel 2011 con un nulla di fatto. Rimangono gli almeno 157 lavoratori morti per tumore e i 103 lavoratori ammalati delle stesse patologie tra gli operai addetti alle lavorazioni del PVC, nonché il lascito di un disastro ambientale che si è concretizzato nell’immissione annuale in aria di 53.000 tonnellate di 120 diverse sostanze tossiche e nocive:550 tonnellate di composti cancerogeni di cui 98 tonnellate di acido cloridrico, 66 di acido solforico, 7,7 di CVM, 9 di cloroetano, 1.500 di idrocarburi policiclici aromatici, 5 milioni di ossido di carbonio e 2 milioni di polveri, senza contare le almeno 120 discariche abusive di rifiuti tossici nocivi localizzate, per complessivi 5 milioni di metri cubi , che produrranno i loro effetti nei decenni futuri. Secondo l’ex magistrato Felice Casson una responsabilità dei vertici di Montedison emerge dagli atti del processo, ma la logica del profitto a tutti i costi – i meglio, scaricando i costi sulla collettività – ha impedito interventi significativi per il risanamento degli impianti e la riduzione del danno di inquinamento ambientale: “Quando si trattava di spese per garantire la sicurezza degli operai e della popolazione, i cordoni della borsa sono sempre rimasti ben stretti. Non altrettanto quando si è trattato di gestire fondi societari in nero o per tangenti, come emerge dagli atti acquisiti presso l'autorità giudiziaria di Milano”.

Imprenditori che in fondo potevano reclamare – e lo hanno fatto in diverse interviste – la loro adesione al rispetto di una qualche concezione etica opportunamente riverniciata, una morale “a loro uso e consumo”, e magari persino della responsabilità sociale nei confronti dei loro dipendenti. Cartina di tornasole è precisamente la questione della corruzione nel suo rapporto con l’etica e la sostenibilità. Ci sono esempi nella cronaca recente che mostrano chiaramente il nesso tra le due. E’ il caso dell’Ilva, nel quale il disastro ambientale e la corruzione sono due facce della stessa medaglia. La catastrofe ambientale, l’insostenibilità del modello di sviluppo industriale attuato negli ultimi decenni a Taranto è nelle cifre fornite dai periti del 8


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E’ noto che la corruzione può assicurare a chi la pone in essere con abilità un profitto – o per meglio dire una rendita – spesso molto più consistente di quello realizzabile in un mercato concorrenziale. Un profitto che sicuramente viene costruito degradando i beni comuni e depredando la collettività, sui cui ricadono altissimi costi economici e sociali per la collettività. Ad esempio, secondo la Banca mondiale le tangenti gravano per il 3 per cento sul Pil globale. E infatti a 60 miliardi di euro l’anno ammonta la quantificazione fatta dalla corte dei conti, forse persino ottimistica, dei soli costi economici diretti della corruzione in Italia. Che non tengono conto di altri costi sociali diffusi, come appunto quelli derivanti dal mancato rispetto delle regole e dei vincoli in materia di tutela ambientale, del degrado degli ecosistemi, dei danni alla salute pubblica.

Qual è il ruolo degli imprenditori in questo scenario? Perché alcuni impresari italiani – in questo peraltro in buona compagnia coi loro colleghi stranieri – sembrano preoccuparsi molto poco delle responsabilità penali delle loro imprese, non denunciano quasi mai la corruzione, in alcuni casi la utilizzano come leva per violare impuniti le regole di salvaguardia ambientale? Molto semplicemente, e drammaticamente: perché dalla corruzione c’è da guadagnare, c’è da guadagnare parecchio, e si rischia molto poco. Le imprese che hanno contatti significativi, frequenti ed economicamente rilevanti con le strutture pubbliche sono artefici e beneficiarie di queste attività illegali, quasi mai le vittime (forse soltanto in quei casi scatta la loro denuncia alla magistratura). Se guardiamo alla semplice aritmetica della corruzione, sono i corruttori a guadagnarci di più. Nel caso dei contratti pubblici, l’extraprofitto generato dal ricorso alle tangenti, possiamo chiamarla la rendita della corruzione – secondo i dati della corte dei conti – risulta in media pari a circa il 40-50 per cento del valore dell’appalto (si ricordi che ogni anno poco più di cento miliardi di euro se ne vanno in appalti pubblici in Italia), in alcuni casi – vedi forniture sanitarie – si sale fino al 300 per cento, addirittura gli appalti italiani della Tav sono costati al km il 6-700 per cento in più rispetto a Spagna, Francia, Giappone. Secondo i magistrati, i profitti accumulati dall’Ilva a Taranto grazie alla sistematica violazione delle regole di tutela ambientale sono di circa 2,5 miliardi di euro negli ultimi 3 anni.

Si spiega così un apparente dilemma della corruzione, osservabile non solo in Italia. Anche quando emergono vicende di illegalità diffusa in modo capillare, protratta nel tempo, che coinvolgono una miriade di soggetti pubblici e privati – il crimine di corruzione molto difficilmente emerge a seguito della denuncia degli imprenditori. Nessuno denuncia la corruzione, nonostante in Italia – sono dati di Eurobarometro del 2012 – secondo oltre il 60 per cento degli imprenditori, la corruzione sia diffusa oggi più che ai tempi di mani pulite, il 92 per cento dei cittadini italiani ritenga la corruzione frequente nell’attività di governo e nelle istituzioni, per il 67 per cento la corruzione sia prassi normale tra i politici nazionali, il 12 per cento dei cittadini italiani si sia visto offrire o richiedere una tangente nei 12 mesi precedenti. In base all’indice di percezione della corruzione elaborato annualmente da un’associazione non governativa Transparency International, l’Italia è crollata dal 41esimo posto del 2006 al 72esimo del 2012. Nella comparazione internazionale l’Italia è considerata un paese nel quale il ricorso alle tangenti è più frequente rispetto a Lesotho, Ghana, Cuba, Turchia, Namibia, Malesia,Giordania, Botswana. Nell’Unione europea soltanto Grecia e Romania totalizzano un punteggio peggiore.

La rendita della corruzione viene poi spartita, ma a politici e funzionari va di regola la parte più piccola, in media tra il 5 e il 10 per cento, a seconda del tipo di appalto. Nel caso dell’Ilva, colpisce l’asimmetria tra i 2,5 miliardi di profitti dell’impresa e la “mancia” di 10mila euro, micro-tangente che secondo gli inquirenti sarebbe stata pagata a un perito del tribunale, nello stesso ordine di grandezza di altre tangenti che sarebbero state versate a dirigenti regionali per addomesticare i controlli ambientali. Non solo gli imprenditori guadagnano dalla corruzione, ma la fetta più grande tocca a 9


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loro. E questo può spiegare lo sgomitare di aspiranti appaltatori e faccendieri che si addensano intorno ai centri di spesa pubblica, manifestando piena disponibilità ad assecondare qualsiasi esigenza economica, familiare, immobiliare, e persino sessuale dei loro interlocutori politici e amministrativi.

che non provavo il sentimento di commettere un atto criminoso”, è il commento del manager di una grande impresa di costruzione nel momento in cui riceve dal suo predecessore il “libro mastro” della corruzione, con cifre, scadenze, destinatari delle tangenti dovute per i molti appalti in corso.

Proprio lo studio del caso italiano ci mostra infatti come la pratica della corruzione possa crescere fino a farsi sistemica, colonizzando alcuni centri di potere pubblico, diventando il motore invisibile dell’attività politica e amministrativa.

Un grande studioso della democrazia, Alexis de Toqueville, ha scritto che “non dobbiamo temere l’immoralità dei grandi, ma piuttosto la vista dell’immoralità che conduce alla grandezza”. Persino i 60 miliardi di euro l’anno stimati dalla corte di conti sono ben poca cosa di fronte al danno derivante dallo spettacolo da una classe dirigente che ha fatto delle risorse ricavate dalla corruzione la chiave per la scalata nella carriera politica, amministrativa, imprenditoriale. Mentre chi non ci sta, quelli che hanno detto no alla corruzione, in alcuni casi sono stati emarginati, costretti al silenzio o all’uscita dal mercato pubblico.

Nell’universo della corruzione sistemica entrano infatti in vigore regole precise che dettano ai protagonisti le condotte accettabili: a chi rivolgersi, quanto pagare, cosa dire – e cosa tacere – come scongiurare inconvenienti, come emarginare o punire chi non sta al gioco, come calcolare e ripartire appalti e tangenti. Spesso si manifesta persino un “governo” della corruzione, perché scendono in campo soggetti che assicurano il rispetto di quelle regole, scongiurano il rischio di denuncie, puniscono chi non sta ai patti. A seconda dei contesti garanti delle “regole del gioco” della corruzione possono diventare l’esponente di partito, il leader politico, l’alto dirigente ministeriale o il faccendiere ben introdotto, l’imprenditore dai contatti trasversali, o in alcune regioni italiane – ed è particolarmente efficace – il capofamiglia mafioso.

Gli imprenditori e i politici coinvolti nella corruzione sistemica non sono geneticamente né “antropologicamente” diversi dai loro colleghi onesti, o di quelli che hanno la fortuna di operare in paesi dove l’integrità negli affari pubblici è la regola. Come gli amministratori e gli imprenditori di altri paesi, essi rispondono alla struttura di incentivi e opportunità di profitto create dal sistema istituzionale di “regole del gioco” nel mercato. Quando però le regole del gioco politico e amministrativo segnalano che i profitti maggiori si possono ricavare tramite la corruzione, la violazione sistematica delle norme di salvaguardia ambientale, i buoni contatti e le relazioni personali coi politici, possiamo aspettarci che in quella direzione si orientino gli sforzi “creativi” di imprenditori razionali, e di conseguenza etica e sostenibilità rimangano concetti vuoti. Anche perché, di conseguenza, diventa relativamente meno conveniente investire nell’innovazione delle tecniche produttive, in ricerca e sviluppo, nella formazione di capitale umano, in una più efficiente organizzazione della loro attività d’impresa.

Soprattutto, nell’universo della corruzione sistemica le stesse preferenze etiche dei protagonisti di queste attività illecite sono plasmate dal diffondersi di “regole del gioco” alternative a quelle formalmente vigenti, che al contrario sanciscono le condotte accettabile nel dare-avere della corruzione. Al termine di questo processo un numero crescente di politici, funzionari, uomini d’affari interiorizza i nuovi codici di condotta, che prescrivono l’accettazione della prassi e delle tangenti, cui paradossalmente si associa un “valore sociale” positivo: potremmo chiamarla etica nella corruzione, intesa come adesione a una struttura di (dis)valori e regole non scritte che disciplinano e danno prevedibilità e certezza alle attività di corrotti e corruttori: “L’illegalità era così legalizzata

In altri termini, sono meno vantaggiosi proprio quegli investimenti in processi 10


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innovativi che, tra le altre cose, sono la premessa necessaria perché le nuove tecnologie abbattano le emissioni nocive, minimizzino gli impatti ambientali, perché la difficile e sfuggente nozione di sostenibilità – comunque la si declini – trovi una concreta applicazione pratica nelle politiche industriali. La devastazione ambientale prodotta da Ilva, Montedison o Enichem, in impianti nei quali i mancati investimenti tecnologici erano compensati da investimenti invisibili in “buone relazioni” coi vertici politicoistituzionali e coi controllori, sarebbe inconcepibile in altri contesti, ad esempio in Germania, dove l’impatto inquinante degli impianti siderurgici è – secondo alcune stime – inferiore di oltre il 90per cento a quello riscontrato a Taranto, a parità di tecnologie disponibili sul mercato.

rischia così a premiare i più abili a trattare sottobanco con chi decide l’assegnazione delle risorse pubbliche, oppure a lucrare su un sistema normativo caratterizzato da un’inflazione di norme oscure e astruse, a orientarsi in un labirinto di procedure inestricabili, a costruire reti di relazioni personali e rapporti fiduciari con politici e amministratori pubblici corruttibili, a rendere invisibili o indistinguibili ai radar dei magistrati le tangenti pagate – in una recente intercettazione si parla di “tangenti pulite e fatturare”; E chi “vince” porta a casa guadagni difficilmente realizzabili con mezzi leciti. Tutto questo in un contesto nel quale – nonostante i proclami – non c’è trasparenza, non c’è concorrenza, non c’è garanzia dei diritti, non c’è etica, se non nel senso distorto sopra descritto, ma vi sono opacità, rendita, incertezza. Un contesto nel quale – parole del presidente dell’associazione nazionale costruttori – alle imprese di costruzione che partecipano agli appalti conviene “investire nel contenzioso” – e dunque assumere avvocati piuttosto che tecnici e ingegneri – dove gli uffici legali delle imprese sono più popolati degli uffici tecnici, dove secondo una ricerca del 2006 su un campione di 49 paesi le imprese italiane sono tra le prime cinque per la diffusione di “connessioni politiche” a livello di proprietà – peggio dell’Italia solo Indonesia, Tailandia, Messico e Russia.

Questo dato è corroborato dalla ricerca. Esiste una correlazione molto forte e statisticamente significativa tra gli alti investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo – misurata come quota del prodotto interno lordo – e i bassi livelli di corruzione percepita. Quando è la concorrenza di mercato a dettare le opportunità di successo, in questa direzione si dirigono gli sforzi innovativi degli imprenditori. Quando invece il successo dipende invece dalla capacità di tessere reti di relazioni coi decisori pubblici, su questo tavolo si giocherà invece la partita decisiva. E saranno i più adatti a sopravvivere in questo ecosistema inquinato, in una sorta di processo di selezione darwiniana.

Perché la politica quasi sempre è il canale più diretto, rapido ed efficace per la garanzia del successo imprenditoriale. Nulla di nuovo sotto il sole, a parte gli aspetti edonistici e innovativi delle stesse tecniche corruttive, sempre più pronte a blandire vizi privati dei decisori pubblici. Lo raccontava Ernesto Rossi già negli anni ‘50: gli imprenditori vanno dove si aspettano di trovare occasioni di profitto, e se si guadagnare di più facendo anticamera nei ministeri piuttosto che passando il tempo nelle loro officine, possiamo aspettarci di vederli affollare le anticamere del potere.

Ma il risultato di questa partita giocata con le regole sbagliate, o meglio con regole del gioco socialmente inefficienti, sarà di incoraggiare l’acquisizione di competenze e conoscenze utilizzabili in attività improduttive di pressione sul potere, o in attività socialmente nocive, come la corruzione e lo sfruttamento senza vincoli dei beni comuni, tra cui le stesse risorse ambientali. In questo universo sotterraneo esiste una “meritocrazia”, solo che troppo spesso è una meritocrazia rovesciata, che premia quei talenti che favoriscono forse l’ascesa individuale, ma l’associano al disastro collettivo.

In questa prospettiva, per riempire di significato le nozioni di sostenibilità e di “etica” nelle attività economiche e occorre muovere dai processi di cambiamento

L’impegno di chi fa politica o fa impresa 11


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istituzionale, dalla riforma – non solo guidata dall’alto, ma anche frutto di pressioni dal basso – di quelle regole del gioco, che oggi incoraggiano una competizione per la ricerca di rendite, socialmente distruttiva. Per promuovere principi etici e valori di sostenibilità occorre preliminarmente rafforzare – nei mercati come nei rapporti tra imprese, politica e pubblica amministrazione – principi di trasparenza, concorrenza, e una robusta tutela dei diritti di proprietà, di fatto negata dall’inefficienza dall’apparato pubblico.

riconoscimento sociale positivo del rispetto delle leggi, innalzando i “costi morali” del coinvolgimento corruzione. Sostenere l’azione di chi denuncia richieste e pressioni indebite, emarginare ed espellere i soggetti condannati per corruzione o per gravi reati ambientali, sono atti di alto valore pratico e simbolico. Sono giudizi pubblici capaci di rafforzare le barriere morali dei propri associati nei confronti della corruzione, oltre che uno strumento di pressione della società civile nei confronti di una classe politica che ha storicamente dimostrato scarsissima sensibilità verso questi temi. Un primo passo per declinare in termini operativi una nozione, a mio avviso sempre più necessaria, di sostenibilità etica – oltre che ambientale – dell’attività di impresa.

Ma anche senza aspettare che si muova lo stato, qualcosa possono fare la società civile e le stesse associazioni di imprenditori, rafforzando al proprio interno – come già dovrebbero fare gli stessi partiti – i criteri di

E' stata aperta dalla procura di Padova un'inchiesta sulle opere fluviali del dopo alluvione. Sotto la lente dei magistrati in particolare il rifacimento di un tratto di argine del fiume Frassine, nel comune di Megliadino San Fidenzio, nella bassa padovana, dove per il rifacimento di 300 metri di argine sono stati spesi dal Genio civile 4,5 milioni di euro. L'anno seguente i lavori, nel 2011, un'ondata di piena ha provocato infiltrazioni d'acqua che hanno evidenziato come i lavori eseguiti - per altro non ancora collaudate - saranno da rifare. «Si rappresenta il timore che il sistematico ricorso a provvedimenti di natura emergenziale, celando l’assenza di adeguate strategie di intervento per la soluzione radicale del problema, si risolva in una sistematica ed allarmante disapplicazione delle norme del codice degli appalti» (l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, 2009).

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La corruzione ai tempi del project financing LA CORRUZIONE È CAMBIATA DAI TEMPI DI TANGENTOPOLI: DALLA BUSTA CHE SCIVOLA DA UNA MANO ALL'ALTRA ORA ASSISTIAMO A SCAMBI AOCCULTI PROTETTI DAI PARAVENTI DI BOARD SOCIETARI COSTRUITI AD HOC Ivan Cicconi, direttore ITACA, Istituto per l’innovazione e la trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale Che cos’è il contratto pubblico? Parliamo di contratto pubblico quando si stabilisce una relazione abbastanza particolare tra due soggetti. Con l’appalto pubblico o la concessione pubblica non si acquista un prodotto finito sul quale si è già consumata l’attività produttiva, ma si acquista la capacità di qualcuno a fare qualcosa, si acquista un processo produttivo e quindi il ruolo del committente è un ruolo fondamentale nella conclusione del contratto. Nel settore pubblico vi sono delle norme in gran parte derivanti dall’ordinamento europeo che definisce il “che cosa” si affida; nel nostro ordinamento la spesa pubblica è stata ripartita in tre categorie: lavori pubblici, servizi e forniture. Le direttive europee nel passato hanno affrontato questi progetti della contrattazione pubblica in maniera separata, ma dalla metà degli anni Duemila – in base a delle nuove direttive – le procedure, le modalità di approccio sono state unificate appunto con le direttive 17 e 18 del 2004. Le norme definiscono anche le modalità con le quali si deve scegliere un operatore economico per l’affidamento di un contratto pubblico o i requisiti soggettivi che l’operatore economico deve possedere per partecipare a una proceduta di affidamento di contratto pubblico. Le norme definiscono anche le procedure, suddivise in aperte (alle quali possono partecipare operatori economici che rispondono ai requisiti soggettivi), ristrette (alle quali vengono invitati gli operatori selezionati attraverso una pre-qualificazione degli operatori economici), negoziate o, infine, quelle definite trattative private.

momenti: abbiamo una fase preliminare della gara – o fase interna – nella quale ci sono una programmazione e una progettazione dell’oggetto del contratto con la definizione delle norme contrattuali, dei capitolati e via discorrendo; una fase di evidenza pubblica, cioè la gara che comporta la scelta della procedura; la definizione della qualificazione degli operatori e infine la modalità di scelta. Rispetto a quest’ultima, l’ordinamento definisce due modalità: il massimo ribasso, cioè l’offerta di solo prezzo da parte dell’operatore economico, oppure l’offerta più economicamente vantaggiosa che si traduce in un’offerta dell’operatore che si sostanzia in un prezzo e in altri parametri qualitativi che concorrono a definire la miglior offerta. Per inciso, l’ordinamento europeo mette sullo stesso piano queste due modalità, per un motivo molto semplice: la scelta di un criterio piuttosto che di un altro dipende dall’oggetto del contratto e da quello che ho definito. Posto che la procedura prevede la definizione dei requisiti degli operatori economici, se ho un progetto esecutivo dettagliato non chiedo all’operatore economico la retribuzione di base del progetto ma solo il prezzo. Ciò che però succede in Italia è che l’attenzione ai requisiti è molto scarsa, chiedono requisiti generici e quindi il massimo ribasso tende a favorire l’operatore economico che ha quei requisiti di carattere generale e che confida nello scarso controllo della pubblica amministrazione. Terza fase fondamentale, la fase di esecuzione o privatistica della gestione del contratto di appalto. Possiamo fare le gare più belle del mondo, fare delle scelte oculate nelle precedenti gare, ma con l’appalto non acquisto il ponte, la ferrovia o la casa ma acquisto la capacità di realizzare e quindi

In sostanza noi possiamo parlare di un ciclo del contratto pubblico che si articola in questi 13


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stabilisco le condizioni di un processo produttivo.

sul territorio a livello mondiale ed è una catena di appalti e subappalti che consente al rango più grande di scaricare verso il basso la competizione, spesso con contratti atipici vicini all’appalto ma non qualificabili come tali.

La versatilità delle mafie. In relazione a queste tre fasi vi segnalo l’ultimo lavoro fatto come Itaca, nel quale si riassume il lavoro fatto identificando i rischi delle infiltrazioni mafiose. Nello specifico, troviamo la mafia come contraente pubblico, cioè quando riesce a presidiare il mercato degli affidamenti pubblici penetrando nella fase interna, oppure la mafia come imprenditore locale, che è il rischio storico sul quale si è consolidata anche una specializzazione delle imprese mafiose che in questo modo si radicano sul territorio e ottengono un consenso locale. Non a caso le norme che regolano il settore degli appalti pubblici sono le norme sul subappalto: le norme antimafia nei lavori pubblici – avendo definito il subappalto anche in termini quantitativi – tendono ad escludere altri contratti di subcontrattazione che determinano un’infiltrazione mafiosa soprattutto nelle zone a forte controllo mafioso.

Un’impresa che vuole trasformare la relazione di rapporto a tempo indeterminato in contratto di appalto, che vuole avere non più di cento lavoratori con contratto a tempo indeterminato a fronte di diecimila appaltatori, per raggiungere questo modello devo sfuggire dalle regole storicamente determinabili in un contesto diverso, quindi la contrattazione atipica è quanto di più tipico ci sia. Praticamente è il nuovo modello imprenditoriale che cerca di scappare dal vecchio, un modello nuovo che tenta l’illegalità. Questi rischi sono sempre più evidenti e maggiori a livelli più bassi perché è un modello che permette al rango più grande di scaricare il fattore lavoro alla condizione più bassa, quindi la grande impresa non ha il rapporto diretto con il lavoro perché viene scaricato sui piccoli imprenditori.

Infine, compare la mafia come banchiere, che consente delle opportunità straordinarie di penetrazione nel settore a fronte di uno scarso controllo. Voglio premettere che il contrasto delle mafie nel sistema dei contratti pubblici può essere perseguito se c’è un’ azione forte nei confronti della prevenzione della corruzione. Infatti, anche nelle aree a forte presenza mafiosa dove è presente un controllo militare, il contrasto della criminalità organizzata ha comunque come condizione necessaria ancorché sufficiente il contrasto della corruzione. Nel mondo delle imprese c’è stato un cambiamento sostanziale negli assetti della criminalità.

I grandi marchi del commercio – Adidas, Nike, Coca-Cola – hanno un’incidenza del costo del lavoro mondiale dell’1,2 per cento. Si tratta di grandi imprese, grandi marchi che gestiscono i mercati ma non hanno più alcuna manodopera quindi scaricano verso il basso la competizione e offrono la possibilità di declinare con il lavoro nero la competizione. Tra i rischi alla luce dell’attuale crisi economica finanziaria, i soggetti che possiedono molto denaro si inseriscono in maniera più efficace.

Consentitemi una precisazione per sommi capi ma che aiuta a far comprendere certi meccanismi. Attualmente si registra una crisi sostanziale dell’organizzazione fordista dell’impresa: le grandi imprese che dominano i mercati sono delle scatole vuote che, a differenza dell’impresa del secolo scorso che concentrava tutte le attività e i cicli produttivi in un luogo fisico caratterizzando anche dal punto di vista urbanistico le nostre città, appaltano e subappaltano le grandi attività fornendo all’esterno la gestione tecnico amministrativa. Questo modello si disperde

Mani Pulite, prima e dopo. E qui vengo ad alcune considerazioni che ci possono essere utili per capire i meccanismi strutturali della corruzione nel nuovo contesto che stiamo vivendo. Il successo delle indagini di Mani Pulite è stato sicuramente determinato da uno scenario politico-economico-sociale favorevole, ma ritengo che il successo sia stato determinato soprattutto dalla contestazione del reato di corruzione così come configurato nel nostro ordinamento. La forza dirompente di quelle indagini è legata al 14


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fatto che ci si concentrava quasi esclusivamente su questo reato, mantenendo le indagini e l’azione all’interno di un’unica magistratura. Molto spesso molte indagini venivano affossate perché nella pluralità dei reati la competenza degli illeciti amministrativi spezzettava in qualche modo l’indagine con il rischio di affossarla, quindi vi era la contestazione quasi esclusiva del reato di corruzione e in alcuni casi di reati strettamente collegati come il falso in bilancio e l’abuso di ufficio. Anche se non sono un giurista ma un ingegnere, mi permetto di porre l’accento su una situazione non tanto di corruzione ma di collusione, di compromesso degli affari che oggi appare molto più devastante, pericolosa e costosa rispetto a quella di Tangentopoli.

di ufficio sono stati depenalizzati. Quindi da questo punto di vista siamo in una condizione totalmente diversa rispetto al passato, in quanto la triangolazione tipica di Tangentopoli (politico-imprenditore-tecnico) è stata sostituita da un sistema diffuso di relazioni e convenienze più immediato, nel quale gli illeciti corrono sul filo della legalità e sono meno facilmente individuabili. Ad esempio, l’attuale ordinamento non prevede il reato di corruzione tra privati. Quello che in qualche modo viene richiamato nel progetto di legge di fatto va a modificare la norma che era già stata introdotta nel codice civile (ad esempio la legge del 2002), ma non introduce in maniera efficace il reato di corruzione tra privati.

All’epoca avevamo di fronte un sistema con delle regole: c’era la cupola degli imprenditori, la cupola dei partiti (i quali nella definizione delle regole stabilivano le modalità del passaggio delle mazzette) e infine – come hanno evidenziato le varie indagini di Mani Pulite – il terzo soggetto, cioè il tecnico infedele interno o esterno all’amministrazione che validava le varianti, cioè l’aumento dei costi del contratto pubblico per consentire al corruttore di costruire appunto in nero o pagare le tangenti. La quantificazione che è stata fatta determinava un costo dei lavori pubblici delle opere pubbliche del 30-40 per cento in più, 15 per cento in tangenti ed altrettanto per costruire. La situazione odierna è molto più devastante ed è difficilmente perseguibile in relazione ad alcuni limiti del nostro ordinamento. Come è noto, la concussione è commessa dal pubblico ufficiale che, abusando dei propri poteri costringe o induce l’operatore a dare o mettere altre utilità, mentre la corruzione avviene quando un soggetto privato concorda (attraverso il passaggio di denaro) con il pubblico ufficiale che quest’ultimo compia un atto nel suo ufficio o un atto contrario ai doveri di legge. In questo contesto il reato perseguibile di corruzione non rappresenta più quello che ha significato nelle indagini di Mani Pulite poiché, essendo cambiato il contesto, è divenuto più difficilmente perseguibile, senza contare che i reati di falso in bilancio e abuso

Il dedalo normativo. I contratti pubblici tipici definiti dalle direttive europee sono l’appalto e la concessione. L’appalto è un contratto che ha per oggetto un’esecuzione di un’attività a fronte di un corrispettivo, cioè il prezzo; la concessione è un contratto analogo ma con una differenza sostanziale: il corrispettivo della prestazione consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera. Se per esempio io devo realizzare lo stadio ma non ho i soldi (nell’appalto io devo pagare subito la prestazione), posso realizzarlo con la concessione: io affido l’opera a un soggetto privato che la realizza e trasferisco all’operatore economico il diritto di gestire quest’operazione, operatore che attraverso la gestione recupera l’investimento che ha fatto.

Fino al 1994 (con la legge Merloni) di fatto si potevano stilare solo contratti tipici, nel senso che gli appalti si potevano fare solo se c’erano i soldi stanziati, un progetto esecutivo e se quell’opera era prevista nella programmazione. In questi anni però la norma è stata depotenziata e sono stati introdotti nuovi strumenti. Il contraente generale è un istituto contrattuale nuovo e anomalo rispetto alle direttive europee, ma quello che è cresciuto enormemente è ciò che viene definito il partenariato pubblico- privato contrattuale che si sostanzia nel contratto di concessione e nel cosiddetto project 15


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financing. Si tratta di un contratto di concessione che viene definito, distinto da altre concessioni perché è una concessione ad iniziativa privata. Tutti i contratti pubblici stabiliscono le modalità con le quali il committente pubblico deve definire le norme di gara e affidare i lavori; nel caso italiano però – unico in Europa – abbiamo introdotto la possibilità, per l’operatore privato, di proporre al committente pubblico l’affidamento in concessione di una determinata opera. L’ordinamento prevede che l’operatore proponga all’amministrazione pubblica un progetto preliminare, un contratto, una convenzione o un piano finanziario per il rientro dell’investimento. L’amministrazione pubblica è tenuta a esprimere una valutazione nel momento in cui approva questo contratto e dunque di fatto accetta la proposta; il project financement è quindi la realizzazione di un affidamento a una concessione.

concessione è giusto che si occupi del progetto esecutivo, che scelga l’impresa per realizzare ad esempio uno stadio e il manto erboso: avrà tutto l’interesse a svolgere bene e rapidamente i lavori poiché se lo stadio resta chiuso per un anno perderò un anno di incassi perché il mio corrispettivo è appunto il diritto di gestire l’opera. Bene, la norma stabilisce che il contraente generale è un concessionario, quindi è lui che fa il progetto esecutivo, che si occupa della direzione dei lavori. Ma la norma dice anche che il contraente generale ha tutti i poteri del concessionario ma è distinto da lui per il fatto che non gestisce l’opera, quindi non ha alcun rischio. Quindi il soggetto è un concessionario nella fase di esecuzione, poi diventa appaltatore e infine conclude il lavoro e viene pagato al 100 per cento. Non avendo alcun rischio di mercato, il soggetto in questione non ha alcun interesse a fare presto e bene l’opera. Se fa il progetto esecutivo del ponte sullo Stretto di Messina perché deve farlo costare 3 miliardi come prevede il progetto preliminare? Lo farà costare 6-7-8 miliardi, giustificando questo maggior costo con il fatto che lì è una zona sismica e via discorrendo.

L’altro partenariato è quello pubblico-privato societario, cioè la gestione di attività attraverso delle società che includono sia la presenza di privati sia della pubblica amministrazione. Quello che voglio evidenziare è che il partenariato pubblico-privato (sia quello contrattuale sia quello societario), determina una sostanziale privatizzazione delle relazioni economiche tra soggetti e quindi l’impossibilità – o comunque la difficoltà – di perseguire il reato di corruzione nel rapporto tra privati.

Per quanto riguarda la realizzazione di grandi opere pubbliche, la stessa, così come la concessione e il corrispettivo, è affidata ad una società di diritto privato però con capitale pubblico. Questa società di diritto privato con capitale pubblico ottiene quindi la concessione e affida al contraente generale l’esecuzione dell’opera (modello Tav). Il contraente fa il progetto esecutivo e si occupa della gestione dei lavori; una volta però che questi sono ultimati, l’opera viene presa in carico dal concessionario vero, che attraverso la gestione dovrebbe recuperare l’investimento. Uso il condizionale perché normalmente non si riesce a recuperare l’investimento dalla gestione; trattandosi di una società di diritto privato, si può andare dalle banche per accendere un mutuo. Quando si attiva la gestione dell’opera, gli utili derivanti dalla stessa dovrebbero ricoprire la rata del mutuo acceso presso la banca; se questo utile però non sana la rata, ovviamente chi ne risponde è il socio pubblico, facendo

In questo processo di frantumazione dell’impresa, l’amministratore che sta al vertice può tranquillamente favorire un determinato subappaltatore piuttosto che un altro, ricevendo la mazzetta dal subappaltatore come amministratore e non essendo perseguibile dal punto di vista penale. Il contraente generale è distinto dal concessionario di opere pubbliche. Il contraente generale è un concessionario e ovviamente nella tradizione di questo principio ha affidato tutti i poteri del concessionario; il concessionario, quello vero, se deve recuperare tutto attraverso la 16


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oggi, però, la legge 206 ha eliminato – oltre al limite dei trent’anni – il paletto del 50 per cento come prezzo massimo, quindi il prezzo può diventare anche il 100 per cento. Questo significa che il committente pubblico può affidare in concessione un’opera e pagare direttamente o indirettamente il 100 per cento. Dal 2002 quindi tutte le concessioni e in gran parte i project financing hanno questa caratteristica: il prezzo che paga quasi il 100% del debito. Il denaro costa, ma se vi è l’intermediazione del privato, costa ancora di più.

risultare la voce passiva in bilancio come debito pubblico, situazione che non si verifica nella società di diritto privato. C’è quindi una spesa nascosta nella contabilità di società di diritto privato con debiti pubblici nascosti; alla fine ci ritroviamo con una spesa pubblica che non viene contabilizzata. Oltre ai debiti nascosti nelle società di diritto privato, abbiamo circa 200 miliardi di debito pubblico nascosto con il project financing perché nel 2001 si è modificata la definizione della concessione data dalle legge Merloni. Essa stabiliva che il prezzo che poteva accompagnare il diritto di gestire non doveva essere superiore al 50 per cento; dal 2002 ad

(Narcomafie, febbraio 2013)

In una ricerca svolta da la Voce.info sono stati raccolti dati e informazioni relativi alla carriera politica dei sindaci italiani eletti nel periodo 1985 al 2008 e gli appalti realizzati nei loro comuni tra il 2000 e il 2005. L'aspetto innovativo che emerge dall'analisi è il tempo e il modo in cui si realizza tale rapporto. Il numero dei mandati ricoperti dai sindaci ha una relazione diretta sul funzionamento e i risultati delle aste pubbliche da loro gestite. Quando il sindaco viene rieletto per un secondo mandato, si verifica una sistematica riduzione nel numero di partecipanti alle aste, a cui corrisponde un maggior costo per la realizzazione dell'opera e un maggior aggravio per le finanze pubbliche. In tal modo, non solo si deteriora il livello della competizione, ma anche la sua stessa natura. Aumenta infatti la probabilità sia che i vincitori siano imprese locali sia che gli appalti siano vinti dalle stesse imprese.

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L'area grigia della green economy LE ENERGIE RINNOVABILI SONO BUONA COSA PER L'ECONOMIA E PER L'AMBIENTE. MA SENZA UNA PROGRAMMAZIONE E UNA POLITICA SENSATA DIVENGONO ANCHE TERRENO DI CACCIA PER SOGGETTI SPREGIUDICATI E PER GUADAGNI FACILI Lorenzo Segato, RiSSC, Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità

C'è il caso dei 5 milioni di euro raccolti dalle aziende interessate a vincere gli appalti per realizzare parchi eolici e consegnati ad un faccendiere per pagare tangenti e "orientare" gli appalti. Ci sono un assessore comunale ed un imprenditore che pagano tangenti per modificare la normativa regionale in favore delle multinazionali "amiche". C'è il "facilitatore" che si offre di velocizzare le pratiche a 10mila euro al MegaWatt. C'è l'azienda che falsifica i documenti di proprietà dei terreni ed il proprio bilancio per truffare lo stato ed ottenere contributi pubblici. Un'altra corrompe il tecnico comunale per avere accesso alla documentazione di gara della concorrente. Altre che spezzettano gli impianti - ma solo sulla carta con false dichiarazioni in atto pubblico - per rimanere sotto le soglie di legge e velocizzare le pratiche. C'è la ditta che realizza opere e strade in aree protette senza alcuna autorizzazione. C'è il boss mafioso che esercita la propria influenza sui politici locali per spostare gli impianti sui propri terreni. Da ultimo, c'è lo "sviluppatore" con decine e decine di società eoliche che per fare affari al sud cerca l'accordo con la criminalità organizzata prima che con le pubbliche amministrazioni.

L'illegalità nelle energie rinnovabili Lo sviluppo delle energie rinnovabili (FER) rappresenta - soprattutto in questi anni di crisi - un'importante opportunità economica, sociale ed ambientale per l’Italia, che negli ultimi anni ha sostenuto parti di questo settore con uno stanziamento significativo di incentivi, finanziamenti ed agevolazioni fiscali, erogati con criteri che non hanno trovato pari al mondo. La disponibilità di risorse pubbliche ha contribuito notevolmente alla crescita registrata dal settore nel periodo 2005-2010, creando una bolla speculativa che ora sta esplodendo a causa della riduzione degli incentivi, della stretta sul credito, della mutevolezza del quadro normativo che spinge gli investitori alla fuga. In passato, flussi di denaro hanno inondato le FER senza una vera strategia nazionale: i soldi disponibili, "tanti e subito", hanno solleticato gli interessi di soggetti spregiudicati, sia pubblici sia privati, che hanno saputo sfruttare le opportunità e le vulnerabilità intrinseche al sistema, per ottenere guadagni ingenti e rapidi, a discapito della legalità e della concorrenza leale tra le imprese. In questi anni, soprattutto nell’ambito del fotovoltaico e dell’eolico, hanno proliferato speculatori, imprenditori improvvisati, figure ambigue di progettisti e mediatori che occultavano interessi forti o illeciti. Attraverso meccanismi corruttivi e fraudolenti, molte società criminali sono riuscite ad operare sul mercato, aiutate spesso dalla mala gestione pubblica, dalla carenza di capacità tecniche negli enti locali e da forme diverse di abuso di potere. Anche la

Per i protagonisti di queste storie si sono aperte le porte del carcere, arrestati con accuse che vanno dalla corruzione/concussione, all'associazione mafiosa, dalla turbativa d'asta al falso in atto pubblico, dalla truffa al furto. Ma perché il settore delle energie rinnovabili è esposto agli appetiti criminali?

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criminalità organizzata tradizionale ha prontamente compreso le potenzialità offerte dalle energie rinnovabili, sia per consolidare il proprio potere politico a livello territoriale sia per ottenere vantaggi per le aziende controllate, rinforzando così un sistema criminale sempre più strutturato e radicato a livello locale, al sud come al nord. La stretta sul credito ha aiutato i mafiosi in questo compito di infiltrazione, uccidendo le aziende sane e consegnando quelle più deboli in mano agli usurai.

cultura, nella pubblica amministrazione, della tutela del bene pubblico e dell’ambiente. A livello di mercato, non mancano le imprese che hanno intrapreso consapevolmente la strada dell’illegalità, sfruttando la possibilità di utilizzare schemi societari semplici da creare ma difficili da identificare e ricostruire, la volatilità degli investimenti, la forte speculazione e lo scarso controllo delle filiere, nonché i limiti intrinseci alle attività di tracciamento del denaro contante. A questa situazione continua a fare sponda il ruolo marginale delle associazioni di categoria, non sempre determinate nella promozione della legalità tra gli associati e nell’adozione di strumenti operativi a supporto delle aziende che vogliono operare correttamente e contrastare i rischi di corruzione e frode.

Le criticità che determinano opportunità criminali Come emerso dall’analisi del fotovoltaico e dell’eolico, le criticità che causano maggiori opportunità criminali, o indeboliscono il sistema di prevenzione e contrasto, dipendono sia dalle scelte politiche e normative, sia all’assetto e alle regole del mercato.

Un ulteriore elemento di criticità va ravvisato nella presenza attiva del crimine organizzato nelle aree ad elevato interesse e potenziale energetico, che rappresenta un possibile elemento in grado di distorcere, o comunque condizionare, le dinamiche di mercato (ad esempio speculando in fase di acquisizione dei terreni destinati agli impianti FER oppure costringendo al coinvolgimento di ditte locali controllate o persone segnalate dalle cosche). Inoltre, aumenta il rischio di una crescente interdipendenza tra le attività illecite tradizionalmente gestite dalla criminalità organizzata e le nuove opportunità nel settore delle energie rinnovabili, così come in ambito ambientale (come le riqualificazioni e bonifiche del territorio o il trattamento dei rifiuti per teleriscaldamento).

In particolare, l’assenza di una pianificazione energetica nazionale e di un effettivo coordinamento centrale ha determinato un contesto incerto ed instabile, anche per l’eccessiva mutevolezza delle regole sugli incentivi, con forti disomogeneità geografiche. L’impatto sul mercato si è tradotto in una diffusa insicurezza degli operatori che, in qualche caso, hanno preferito ricercare “maggiori garanzie”, soprattutto nelle istituzioni locali, attraverso la conclusione di accordi anche elusivi, quando non illeciti, che prevedevano, nel migliore dei casi, il pagamento delle c.d. tangenti bianche.

Allo stato attuale, emerge chiaramente come non solo l’assetto normativo e sanzionatorio, ma anche gli strumenti investigativi e giudiziari, siano troppo deboli, incapaci di contrastare i rischi criminali e di avere una efficacia deterrente reale.

Il sistema delle procedure autorizzative presenta un elevato rischio di esposizione alla corruzione e alla frode, a causa delle scelte differenti a livello regionale, dell'insufficienza dei criteri di qualità che devono contraddistinguere i progetti ed i soggetti proponenti, della discrezionalità e dei potenziali conflitti di interessi in fase decisoria, delle dinamiche legate ai tempi e ai modi delle decisioni stesse. Gli strumenti di verifica ex-ante ed ex-post sono troppo deboli o assenti, a volte accompagnati da una scarsa

Un ruolo nella creazione di opportunità criminali è riscontrabile anche nel sistema degli stakeholders. Un controllo sociale sull’operato pubblico assente o incostante, una eccessiva sfiducia nelle istituzioni, l’adesione a forme di opposizione talvolta troppo intransigenti, magari basate anche su una informazione scorretta o parziale, 19


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possono favorire l’individualismo e la tutela di interessi privati o settoriali, anche attraverso condotte illecite.

istituzionali ed i flussi di denaro privato in ambito energetico, sta realizzando l'infiltrazione in tutto il settore delle energie rinnovabili, soprattutto nei nuovi settori (biomasse, riqualificazione energetica soprattutto degli edifici pubblici o ad uso pubblico)

Continua a mancare, infine, uno strumento affidabile che permetta la valutazione del reale ritorno locale di investimento derivante dalla realizzazione degli impianti FER. Il ricorso ad una valutazione ex ante, infatti, impedirebbe lo sfruttamento eccessivo (e in alcuni casi il danneggiamento) delle risorse locali da parte degli investitori, garantirebbe un adeguato corrispettivo per la sostenibilità dell'ambiente, delle comunità e del tessuto economico sociale locale. Valutando attentamente i progetti, si potrebbero anche evitare le truffe e il problema della cartolarizzazione degli incentivi, che si allontanano subito dai contesti locali locali dove si realizza l'impianto verso paesi offshore o a fiscalità agevolata, lasciando quindi solo gli impianti (ed il loro futuro smaltimento) a carico delle comunità locali.

una crescente interdipendenza tra le fattispecie illegali che contraddistinguono le FER e gli interessi criminali esistenti in altri settori che riguardano l’ambiente, anch’essi caratterizzati da significativi flussi di denaro e controlli spesso insufficienti (come nel caso delle bonifiche ambientali) un incremento significativo del ruolo della criminalità eco-finanziaria, soprattutto in una dimensione transnazionale. Si stanno verificando le condizioni per un aumento del numero e del valore dei flussi di denaro sporco, generati dalle FER così come da altri reati, verso Paesi offshore, nell’ambito di schemi di riciclaggio, sempre più complessi

Impatto e possibili conseguenze a brevemedio termine La mancanza di misure realmente idonee a contrastare il rischio di corruzione e frode, unita ad un generale radicamento dell’illegalità e del malaffare, sta comportando:

il coinvolgimento di un numero crescente di soggetti, sia criminali di professione sia soprattutto insospettabili, capaci di ottenere (sottrarre) i finanziamenti disponibili e alterare le regole della competizione libera e leale, danneggiando il tessuto delle piccole e medie aziende che operano nel mercato delle FER

il depauperamento dei fondi, sia europei sia nazionali, stanziati per la sostenibilità energetica e lo sviluppo economico (soprattutto locale), dal momento che tali risorse rischiano di essere sprecate o finire per sostenere soggetti ed attività criminali

una (ulteriore) occasione di mancate entrate per lo Stato dovuta alla corruzione ma anche all’evasione fiscale, al lavoro nero e alla fuga all’estero dei capitali derivanti dalla gestione degli impianti e dell’energia prodotta

un aumento della corruzione e della frode, così come di altri reati connessi (es. duplicazione e falsificazione documentale) sia di natura economicofinanziaria (es. riciclaggio di denaro sporco, evasione fiscale, usura, reati societari), ma anche contro le persone (es. estorsione, minacce e lesioni)

una perdurante sfiducia, soprattutto del mondo imprenditoriale, rispetto alla possibilità di superare il meccanismo degli incentivi pubblici nel mercato delle rinnovabili, per avviare un nuovo modello economico, basato ad esempio su un maggiore

un rapido ridislocamento del criminale che, seguendo le nuove scelte pubbliche di stanziamento delle risorse 20


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sostegno da parte del mondo bancario e creditizio e su forme di tassazione capaci di valorizzare le eccellenze e promuovere il sistema Paese. La conseguenza è l'allontanamento delle imprese dalle FER, con un impatto immediato sulla sopravvivenza del settore stesso

controlli. Di fatto, da quasi sette anni non esiste un sistema di controlli adeguato, con l'eccezione di alcune realtà (Piemonte, Lombardia, e le province di Trento e Bolzano). Nel frattempo, l'Unione Europea ha stabilito che per il periodo 2014-2021 i fondi strutturali per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto (2020-20) saranno indirizzati principalmente all'efficientamento energetico degli edifici.

un crescente e diffuso scetticismo tra gli investitori, sia nazionali sia internazionali, rispetto alla reale capacità e possibilità della Green Economy italiana di intraprendere un percorso di evoluzione e crescita finalizzato alla creazione di un modello industriale sano e stabile, così come di filiere tecnologicamente avanzate, in grado di fare innovazione nei settori chiave della nuova economia

Con le fonti di energia rinnovabile - solare, fotovoltaico - il sistema di controllo ex post è dato dalla misura dell'energia prodotta. Invece, il miglioramento dell'efficienza energetica di un edificio ex post è misurabile solo con strumenti sofisticati e procedure complesse e costose, per cui la mancanza di controlli efficaci sugli interventi comporta che si acquisisca il diritto ai contributi a fronte di opere dichiarate e certificate, ma che producono benefici non verificabili empiricamente in modo immediato.

un sempre più irrisorio Ritorno Economico e Sociale dell’Investimento (Lo.R.I), soprattutto a livello locale, con un danno crescente per l’occupazione e lo sviluppo delle aree cosiddette depresse, dove maggiore potrebbe essere la possibilità di investire proficuamente nelle energie rinnovabili, in considerazione delle loro caratteristiche ambientali

A questo si aggiunge il credit crunch, che soffoca le aziende - soprattutto edili - e le espone ad un rischio di infiltrazione mafiosa molto elevato. Arrivano le (bio) masse Cosa c'è di meglio di un impianto che brucia le prove del reato?

un aumento drastico dei rischi per l’ambiente e le persone, in termini di inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria, così come dei costi necessari per la bonifica dei territori e per lo smaltimento dei rifiuti e delle sostanze, anche tossico-nocive. Attività nell’ambito delle quali esiste già l’evidenza di forti interessi ed infiltrazioni criminali

La lolla, cioè lo scarto di lavorazione dei cereali, può essere bruciato per produrre energia. Per chi produce riso si tratta un'opportunità interessante, anche a fronte dei contributi pubblici previsti per l'energia prodotta da fonti green. L'interesse aumenta se Provincia e Regione autorizzano, in momenti successivi, l’incenerimento di altre tipologie di rifiuti, e diventa massimo se si riescono a bruciare ingenti quantitativi di rifiuti – anche pericolosi – non autorizzati o inquinanti, lasciando tracce poco visibili. Questi fatti sono accaduti diversi anni fa ma, come sempre, in Italia si finge di non vedere. All'epoca, l'azienda non esitò a corrompere i funzionari del G.S.E. e delle amministrazioni locali per ottenere il mantenimento degli incentivi economici che erano stati sospesi a

L'esercito di carta Il d.lgs 195/2005 ha stabilito l'obbligo della certificazione energetica per gli edifici, ed il relativo sistema di sanzioni nel caso il certificato sia assente o falso, demandando agli enti locali l'onere di istituire il sistema di 21


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seguito di una verifica ispettiva che aveva accertato tassi di inquinamento - e quindi rischi per la salute - superiori alla legge. Le tangenti, che servirono per corrompere i funzionari, arrivarono sia attraverso il pagamento di una fattura a favore di una società “off shore” per una consulenza (inesistente) in materia energetica, sia attraverso una società cartiera per creare il fondo nero necessario al pagamento delle tangenti.

soddisfare interessi individuali, con il rischio di condizionare concretamente l’intero settore, compromettendo il territorio, le sue risorse naturali, nonché l’integrità e la trasparenza del mercato, accrescendo il potere e le attività criminali, la corruzione, la malagestione e l’appropriazione indebita dei fondi pubblici. L’attenzione verso queste problematiche è ancora molto limitata, anche nell’ambito della ricerca scientifica, soprattutto per quanto riguarda l'elaborazione di strumenti pratici che supportino il governo, i ministeri, gli enti locali ed i cittadini nella funzione di analisi e controllo degli investimenti. La questione della promozione della legalità non viene considerata prioritaria ed irrinunciabile dalle strategie e proposte di sviluppo avanzate in diversi ambiti, per contribuire a tracciare una linea di evoluzione della Green Economy in Italia.

Conclusioni Esiste oggi un pericolo concreto che possano essere compromesse l'integrità e la trasparenza dell’intero mercato delle FER, minacciando soprattutto le nuove fonti energetiche emergenti, quali le biomasse. La corruzione, fenomeno endemico italiano che ogni anno arriva a costare miliardi di euro e fa lievitare i costi delle grandi opere anche fino al 40%, è trasversale all’esperienza passata e alle prospettive per il futuro delle energie rinnovabili. Si stima che nel 2011 ha consumato 2,5 milioni di Megawatt prodotti da fonti rinnovabili, oscurando 30 milioni di metri quadri di fotovoltaico, pari al fabbisogno annuo di 800mila famiglie. In termini economici, la corruzione ha sottratto alle FER 900 milioni di euro di investimenti, pari al reddito annuo di 27mila famiglie italiane.

Dal punto di vista del sistema Paese, la deriva criminale che minaccia le FER richiede invece che le opportunità criminali, in particolare per i nuovi settori dove si concentreranno gli investimenti futuri, siano contrastate attraverso scelte politiche, normative e regolamentari appropriate, il rafforzamento degli strumenti di promozione della legalità e di controllo, al fine di anticipare il rischio di abusi in danno delle risorse economiche, sociali e ambientali. In caso contrario, esiste il rischio reale che le opportunità di crescita e sviluppo offerte dalla Green Economy si traducano in opportunità di natura criminale, a favore di pochi e a discapito di tutti.

In Italia, nell’ambito delle FER, esiste una difficoltà oggettiva nell’identificare il confine reale tra legalità ed illegalità. Il ricorso a sottili meccanismi corruttivi o fraudolenti e a diverse forme di conflitto di interessi ed abuso di potere si confonde all'interno delle normali procedure in un'area grigia difficile da inquadrare. Il tutto in una logica di scelte politico-normative ed economiche che, di contro allo stanziamento di risorse ingenti, non tutelano il mercato e i suoi attori, i cittadini e l’ambiente, ma relegano la prevenzione ed il controllo ad un ruolo marginale, intrinsecamente inefficace. Lo scenario criminale che minaccia le energie rinnovabili sfrutta criticità esistenti per 22


Focus Corruzione e legalità debole

Sono le energie rinnovabili il settore al centro dell’attenzione di Cosa nostra nel Veneto. Lo sottolinea il nuovo rapporto della Dia, relativo al primo semestre del 2012. «Nel Veneto gli accertamenti e le verifiche effettuate nel periodo di riferimento fanno ritenere - scrivono gli investigatori della Dia - che elementi della criminalità organizzata di origine siciliana possano aver stretto contatti con il mondo dell’imprenditoria veneta, specialmente nel settore delle energie rinnovabili, al fine di riciclare il denaro provenienti dai traffici illeciti». Non è la prima volta che le forze dell’ordine puntano gli occhi sul business delle rinnovabili nel Veneto: anche nel penultimo rapporto, relativo al secondo semestre del 2011, venivano segnalate aziende del veronese guidate da persone gravitanti nell’orbita di Cosa nostra. Ora il rapporto segnala che, grazie agli accertamenti svolti, «sono stati emessi vari provvedimenti di esclusione da appalti pubblici delle società sospettate di collusione con la mafia». D’altronde che le organizzazioni criminali privilegino settori in qualche modo contigui alla pubblica amministrazione o comunque oggetto di finanziamenti pubblici e agevolazioni è un fatto noto da tempo.

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Abusivismo edilizio in salsa veneta PARLARE DI ABUSIVISMO NON SPIEGA L'INONDAZIONE DI CEMENTO CHE HA SOMMERSO PARTI CONSISTENTI DEL PAESE. IN VENETO SI È COSTRUITO RISPETTANDO NORME CHE SPESSO SONO STATE PIEGATE ALLE ESIGENZE DEI COSTRUTTORI Nicola Destro, Università di Padova

Occuparsi di abusivismo edilizio in Italia è un’operazione che si rivela essere complessa per più di una ragione. Da un lato richiede di saper fronteggiare una materia fortemente tecnica, all’interno di un ambito – quello urbanistico nazionale – che, oltre a risultare tradizionalmente eterogeneo, continua a scontare gravi ritardi sotto il profilo paradigmatico; dall’altra comporta la necessità di confrontarsi con un fenomeno di difficile lettura, la cui conoscenza è in gran parte legata ad un’attività di contrasto notoriamente lacunosa e poco efficace.

quel rapportarsi alla norma, vero denominatore comune tra le due differenti visioni. Dell’abusivismo edilizio sono rintracciabili numerose definizioni. Tecnicamente viene descritto attraverso un sintetico “attività edilizia svolta in difetto dei prescritti provvedimenti amministrativi”[1], passando per un altrettanto generico “violazione in ambito edificatorio di norme assistite da sanzioni amministrative e penali”[2], per giungere al più puntuale “opere prive della prescritta concessione edilizia o totalmente o parzialmente difformi o in variante essenziale rispetto ad essa od all’autorizzazione edilizia”[3].

Nel momento in cui, finalmente, si crede di essere riusciti a delinearne i contorni, ecco comparire un’ulteriore insidia: pensare di poter ricondurre l’abusivismo edilizio essenzialmente ad una presunta intolleranza alle regole che sarebbe insita nella popolazione italiana. È un preconcetto che si accompagna facilmente ad un altro, forse ancor più pericoloso: il concepire la legge e l’urbanistica come strumenti astrattamente ineccepibili e infallibili di organizzazione territoriale. Le due visioni costituiscono delle costanti nell’atteggiamento che le istituzioni hanno riservato all’intero comparto costruttivo. La prima, utilizzata come strumento di giustificazione spesso anche dalla stessa società, ha dato vita ad una diffusa rinuncia nei confronti dei modi concepiti per arginare le numerose degenerazioni nell’uso del cemento; la seconda ha distratto dal riconoscere la necessità di un’opera di autocritica del mezzo giuridico e pianificatorio.

Si tratta di enunciazioni che differiscono nella forma, ma che convergono tutte nella sostanza di attribuire ad un astratto rispetto dell’elemento normativo l’unico discrimine. La regolamentazione che è stata istituita per contrastare l’abusivismo edilizio riflette, non a caso, quella che sembra una tendenza generale nel panorama giuridico italiano: il creare fattispecie penali volte non a colpire fatti di lesione sostanziale al bene, ma a punire la disobbedienza formale al provvedimento amministrativo[4]. Un simile atteggiamento porta con sé importanti conseguenze. Innanzitutto il venir meno della graduazione dei fatti costituenti reato, un appiattimento dei diversi tipi di abusivismo verso un unico concetto di disobbedienza amministrativa. Secondariamente, il dubbio che, sul piano sociale, si sia fatto strada il concetto che la norma debba essere rispettata non perché rimanda ad altri valori assolutamente più concreti, ma perché è essa stessa l’unico

Il presente contributo è, a tutti gli effetti, il tentativo di osservare la problematica da una prospettiva intermedia: l’andare a evidenziare, senza per altro voler esaurire, alcuni aspetti di 24


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valore da garantire. Una strategia che può tuttavia risultare vincente in una realtà istituzionale forte, ma che si rivela disastrosa in uno stato che esercita l’azione di controllo in maniera non sistematica.

minore probabilità di verificarsi perché, in urbanistica, l’uso della deroga e della contingenza è divenuto meno occasionale di un tempo[9]. Non ha più senso parlare di abusivismo edilizio, nella sua accezione tradizionale, nemmeno da un punto di vista sostanziale. Concepire il fenomeno solo come violazione di una norma impedisce di contemplare situazione edificatorie ineccepibili sotto ogni profilo prescrittivo ma esteticamente, fisicamente e ambientalmente deturpanti o socialmente deleterie. Riguardo a quest’ultimo aspetto, se si analizzano gli eventi calamitosi che colpiscono sempre più spesso molte regioni d’Italia, si scopre una costante fondamentale: non è sempre possibile evitare i danni, ma è sempre possibile limitarli. A parità di condizioni (pericolosità), le conseguenze (rischio) degli eventi naturali si manifestano con maggiore intensità laddove si è praticato un uso dissennato del suolo[10].

Ad un’adesione di questo tipo manca di fatto qualsiasi riferimento alla tutela del territorio, una sensibilità che, in linea teorica, compare solo a partire dalla Legge 47[5] del 1985, quando «si passa da una concezione di urbanistica intesa come sistema di norme tese allo sviluppo e sfruttamento del territorio a una finalizzata alla conservazione del territorio»[6]. Ciò la dice lunga sulla debolezza concettuale con cui, tradizionalmente, l’abusivismo edilizio è stato avvertito in ambito istituzionale. In virtù di tali semplici osservazione diviene naturale chiedersi se abbia ancora senso continuare a parlare di abusivismo edilizio. Andando ad osservare quelle aree in cui la cronaca non documenta casi di irregolarità evidente ci si accorge, infatti, dei gravi limiti che la corrente formulazione presenta da un punto di vista formale oltre che sostanziale.

Difficoltà nella mobilità interna, senso di spaesamento, malessere sociale, impoverimento e deterioramento del territorio sono alcuni degli effetti riconosciuti come risultato di un’eccessiva cementificazione. Cementificazione di per sé regolare, ma ciò nonostante negativa.

Riguardo al primo aspetto, è sufficiente considerare il caso del Veneto[7] dove costruire significa spesso farlo laddove, per motivi di sicurezza, di bellezza paesaggistica e di convenienza pubblica, non si dovrebbe. Paradossalmente tutto avviene nel pieno rispetto delle leggi, leggi che non sempre denotano come finalità principali il territorio e il benessere della comunità. L’utilizzo del condono edilizio e del “permesso di costruire in sanatoria”, la possibilità di servirsi in maniera decontestualizzata del provvedimento denominato “piano casa”, l’abitudine sempre più frequente da parte degli enti locali a richiedere varianti di piano regolatore[8] costituiscono altrettante forme legali di superamento del vincolo normativo generale.

È evidente che se si limita a concepire l’abusivismo edilizio come una semplice violazione di norme, dimenticando che rappresenta soprattutto un grave pregiudizio contro beni tangibili, si continuerà a dare dell’abuso una connotazione riduttiva e sorpassata. In virtù di questa miopia ogni sforzo per arginarne la pratica sarà destinato a fallire. A livello di opinione pubblica, si continuerà a considerare questo tipo di illecito come una questione che riguarda unicamente il trasgressore e l’amministrazione della giustizia; sul piano politico si persevererà nel farsi scudo della sopraggiunta regolarità di certe pratiche, e non valutare la loro reale dannosità e/o inutilità[11].

Ciò che sino a poco prima, in linea di principio, era vietato diviene, nel migliore dei casi, tollerato se non addirittura incentivato. Il termine “abusivismo edilizio” viene così a perdere molto del suo significato originario. Ora rimanda a qualcosa che nella pratica ha

Cercando di elaborare ulteriormente la riflessione, è possibile individuare situazioni 25


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di criticità nell’approccio tenuto verso l’abusivismo edilizio anche ad altri livelli speculativi. Alla dicotomia semplificata e semplificante attribuita al fenomeno costruttivo, secondo cui il valore di un’attività si misura sul rispetto o meno di una norma, si è accompagnata un’altra bipartizione: una demarcazione riconosciuta all’interno della stessa concezione di abusivismo edilizio che, come una sorta di matrioska disciplinare, svela, man mano la si seziona, nuovi gradi di complessità. Si tratta di una decodificazione adottata per esplicitare abitudini più evidenti nell’Italia meridionale, utilizzata di volta in volta per dare credito all’una o all’altra tesi. Ed ecco alla trasgressione fare da contraltare la necessità, all’abusivismo lo spontaneismo[12], designazioni attorno alle quali si è sviluppato un fiorente dibattito con il fine di condannare o avallare i diversi gradi di illegalità.

rappresentano un aspetto, certo grave, ma assolutamente marginale nell’economia del problema. Nel calamitare tutta l’attenzione su di sé, gli ecomostri hanno finito per far dimenticare un’illegalità molto più diffusa e dannosa delle semplici cattedrali nel deserto.

La distanza temporale che ci separa dai primi sforzi interpretativi, ci consente oggi di leggere il mondo dell’ordine e quello del disordine come un unico contesto dal quale si dipanano, certo, un’infinità di strade, ma tutte confluenti in una stessa direzione, quella della “modernizzazione” del nostro territorio[13]. In modo analogo è opportuno cogliere nel dualismo dell’irregolarità una medesima proposizione, fatta di due parti complementari, ma non contrapposte.

Affidarsi esclusivamente al rapporto tra edificazione e diritto, senza considerare anche i modi e gli effetti della urbanizzazione si rivela un modo poco pertinente di rappresentazione della realtà. Più che provare ad allargare il contesto, serve forse abbandonare l’uso del termine abusivismo edilizio in favore di locuzioni capaci di riassumere meglio tutte le criticità sin qui evidenziate. Se si sceglie di allargare il significato di abusivismo mantenendone il termine, inevitabilmente si accetta di trasferire nella nuova accezione anche parte della vecchia, preservando così una certa centralità della norma con tutto ciò che ne consegue, soprattutto a livello di attività di verifica. E allora che fare? Non è il caso, in questa sede, di intraprendere analisi che ci porterebbero troppo lontano rispetto agli obiettivi che ci siamo imposti all’inizio. Ci limitiamo a suggerire che, tra le varie espressioni possibili, quella che forse è in grado di rendere maggior giustizia a una tale logica rimanda alla nozione di “costruire debole”[16]. Un concetto ampio, certo, ma non per questo vago, atto ad evocare, già solo a livello lessicale, nuove e più significative azioni.

L’abusivismo edilizio appare così il risultato di un preciso orientamento tecnico e culturale dell’urbanistica: una disciplina che in Italia è portata a considerare deviante ogni manifestazione che si discosta dalla norma, che si allontana cioè dal metro con cui si vorrebbe misurata la normalità. Lo riproverebbe il fatto che in altri Stati, dove esistono forme di abusivismo in qualche modo simili a quelle italiane, la diversità del contesto giuridico-disciplinare ha portato a coniare altre definizioni quali “urbanizzazione marginale”, “colonie popolari”, “lottizzazioni clandestine” etc.[15]

Occorre ammettere che ci troviamo di fronte ad un modo fuorviante di intendere la realtà, non solo perché ha impedito di guardare in faccia il problema. In entrambe le situazioni si è perso tempo ed energie che si sarebbero potuti impiegare per un approfondimento critico del costruire in generale, per una sua comprensione meno sbrigativa, per formalizzare finalmente strategie politiche più confacenti. L’esempio dei cosiddetti ecomostri mette in evidenza quanto sia fondato il rischio di mistificazioni nel momento in cui ci si documenta sull’abusivismo edilizio. Da un’indagine svolta attraverso gli articoli di quotidiani riguardanti l’edilizia abusiva[14] emerge chiaramente come l’interesse sull’argomento si sia a lungo fossilizzato su elementi che 26


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[1] De Chiara A. (1989), L’abusivismo edilizio nelle aree urbane. Il caso Napoli, CEDAM, Padova, p. 1 [2] Predieri A. (1985), Abusivismo edilizio e nuove sanzioni, Nuova Italia Scientifica, Roma, p. 15. [3] D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. [4] Comini R. e Delfini G. (a cura di) (1985), “Abusivismo edilizio”, in Atti del Convegno, Ferrara 29-30 settembre 1984, Camera Penale dell’Emilia Romagna, Bologna, pp. 22 e segg. [5] L. 28 febbraio 1985, n. 47, Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie. Testo unico dell’edilizia. [6] Centofanti N. (2006), L’abusivismo urbanistico ed edilizio, Giuffrè, Milano, p. XXII. [7] Per alcuni aspetti il Veneto è da considerarsi un vero e proprio caso emblematico: una Regione nella quale l’abusivismo, nel senso tradizionale del termine, è ufficialmente poco diffuso, tuttavia frequenti sono i segnali di malessere e disagio derivanti anche da un modo non più condiviso di produrre territorio. Nelle pagine di studiosi/autori quali Paolini, Settis, Trevisan, Turri, Vallerani, Varotto, Zamparutti, Zanzotto se ne trova ampia testimonianza. [8] Feltrin P. (2006), “Il disagio del Veneto fra tradizione e modernità”, in Atti del Convegno: Ripensare il Veneto, Regione Veneto, Venezia, pp. 232-237. [9] Cfr. Patassini D., (2007), “Urbanistica della frode”(dattiloscritto non pubblicato). [10] Con pericolosità ambientale si intende la probabilità che un certo fenomeno si verifichi in un certo qual territorio, in un determinato intervallo di tempo; per vulnerabilità territoriale si intende l’insieme complesso della popolazione, delle costruzioni, delle infrastrutture, delle attività economiche, dell’organizzazione sociale e degli eventuali programmi di espansione e di potenziamento di un certo territorio; con rischio ambientale, invece, la probabilità che le conseguenze economiche e sociali di un certo fenomeno di pericolosità superino una determinata soglia (Panizza M., 1988, Geomorfologia applicata. Metodi di applicazione alla Pianificazione territoriale e alla Valutazione d’Impatto Ambientale, la Nuova Italia Scientifica, Roma, pp. 133 e 134). [11] Destro N. (2011), “Perché i geografi non si occupano di abusivismo edilizio? Il difficile rapporto tra geografia e costruire illegale in Italia”, in Quaderni del Dottorato del Dipartimento di Geografia dell’Università degli Studi di Padova, Vol. 5, Cleup, Padova, pp. 39-47. [12] Cremaschi M. (1990), “L’abusivismo meridionale: realtà e rappresentazione”, in Meridiana n. 9, pp. 127-153. [13] Zanfi F. (2008), Città latenti. Un progetto per l’Italia abusiva, Bruno Mondadori, Milano, p. 4. [14] Destro N. (2009), Il Paese che non c’è. Logiche, geografie e percezioni dell’abusivismo edilizio in Italia, tesi di laurea in Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Padova, a.a. 20072008. [15] Clementi A. e Perego F. (a cura di) (1983), La metropoli “spontanea”/ Il caso di Roma, Edizione Dedalo, Bari, p. 29. [16] Destro N. (2013), Geografia delle case deboli. Oltre l’abusivismo edilizio, tesi di dottorato in Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità, Università degli Studi di Padova, XXV ciclo

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Nelle linee ferroviarie ad alta velocità la forbice tra i costi italiani e quelli dei principali paesi si è allargata a dismisura, fino a raggiungere in media – secondo dati ufficiali forniti dalle Ferrovie dello Stato – 32 milioni di euro al km a prezzi del 2006 per le tratte Firenze-Roma, Roma-Napoli e Torino-Novara, ben 45 milioni al km per la Novara-Milano, Milano-Bologna, Bologna-Firenze, contro i 10 milioni al km della Francia e i 9 milioni al km della Spagna42. Ma il bilancio “ufficiale”, che ci attribuisce un extra costo del 3-400 per cento, va rivisto al rialzo, perché solo in Italia il dato ignora i costi per le infrastrutture. In un calcolo più omogeneo il costo al km sale a 96,4 milioni per la Bologna Firenze, 79,5 per la Novara-Milano, 74 per la Torino-Novara, 64 per la Milano-Torino, 60,7 per a Torino-Napoli; all’estero, la linea Tokio-Osaka è costata “solo” 9,3 milioni al km, la Parigi Lione 10,2, la Madrid-Siviglia 9,8. Siamo al 7-800 per cento di extra costo italiano.

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Contro le mafie e la corruzione a partire dal Comune I POLITICI NON SONO TUTTI UGUALI: CI SONO QUELLI CHE NON SI PIEGANO ALLE MINACCE E ALLE LUSINGHE E SUL TERRITORIO LAVORANO PER AFFERMARE LEGALITÀ E GIUSTIZIA. ATTRAVERSO UN CODICE ETICO GLI AMMINISTRATORI DI AVVISO PUBBLICO TENTANO DAL BASSO UNA RISCOSSA CIVILE Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale Avviso Pubblico

Il diffondersi della corruzione, l’aumentata capacità di penetrazione delle mafie negli enti locali, l’intollerabile fardello dell’evasione fiscale, il riproporsi di scandali che investono i titolari di incarichi pubblici. Sono questi i principali fattori che contribuiscono in modo determinante ad allontanare i cittadini dalla politica. Sono queste le vicende che alimentano la cosiddetta “antipolitica”, la crisi della rappresentanza, il diffondersi del populismo, il restringersi della partecipazione, l’allargarsi della cultura della delega invocando, magari, l’arrivo dell’uomo forte che tutto può e che tutto risolve.

delle legalità costituzionale il loro punto di riferimento. Attualmente, sono quasi 230 gli enti che aderiscono ad Avviso Pubblico, di cui una ventina in Veneto. Nel 2011, gli atti intimidatori contro sindaci, assessori e consiglieri sono stati ben 270, uno ogni trentaquattro ore, il 27 per cento in più rispetto all’anno precedente. La maggior parte degli episodi si è verificata nel Mezzogiorno – in particolare in Calabria e in Sicilia – ma risultano in aumento i casi di intimidazione nel centro-nord Italia, in particolare nel Lazio, in Lombardia e in Liguria. Un caso si è verificato anche in Veneto, nel Comune di Garda, nei confronti di un consigliere di minoranza, a cui sono state tagliate le gomme dell’auto dopo che aveva denunciato come la costruzione dell’isola ecologica del paese fosse stata compiuta da un consorzio di imprese colpito da interdittiva antimafia da parte del prefetto di Reggio Emilia.

Pensare che coloro che fanno politica attiva “sono tutti uguali”, nel senso che “tutti rubano”, non è solo una semplificazione banalizzante: oltre ad essere un’offesa alla propria intelligenza, è anche un modo concreto per indebolire tutte le donne e tutti gli uomini che vivono la politica come servizio per il bene comune, che hanno la Costituzione come proprio punto di riferimento. Molte di queste persone, che molto spesso non godono di lauti stipendi, auto blindate e scorte, svolgono il loro mandato con ostinata convinzione, pagando dei prezzi altissimi in termini di minacce e di intimidazioni, sia dirette sia rivolte ai loro familiari.

Chi minaccia gli amministratori locali spesso lo fa perché non tollera certi cambiamenti che intervengono nel modo di governare la cosa pubblica. Ad esempio, nel modo in cui si redigono i piani regolatori, si assegnano gli appalti, si conduce la battaglia contro l’abusivismo; oppure la sostituzione di un’azienda addetta alla raccolta dei rifiuti con un’altra; o, ancora, ci si ribella al taglio di una serie di sussidi sociali nei confronti di certi cittadini che si è scoperto avere fornito a suo tempo delle informazioni false.

A documentare tutto questo da alcuni anni è il rapporto Amministratori sotto tiro di Avviso Pubblico, l’Associazione di comuni, province e regioni che dal 1996 mette insieme gli amministratori locali che si impegno a realizzare progetti di formazione civile contro le mafie e che hanno fatto della trasparenza e

Le minacce e le intimidazioni arrivano in genere dopo che altri “avvertimenti” non hanno sortito l’effetto voluto. Uno di questi è 29


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costituito dal tentativo di corrompere. La corruzione, infatti, per sua natura non crea allarme sociale come nel caso dell’esercizio della violenza; è segreta e difficile da scoprire – il rapporto è tra corrotto e corruttore – ; inquina il tessuto democratico mantenendo, di facciata, la veste istituzionale; crea una rete di ricatti incrociati.

partendo dal basso e in modo partecipato. Questo codice, infatti, è il frutto di un lavoro svolto da una commissione di esperti, coordinati da Alberto Vannucci (autore di un articolo all'interno di questo quaderno), e composta da docenti universitari, amministratori locali, giuristi e funzionari della pubblica amministrazione, che ha avuto la sua sede presso l’ateneo di Pisa (di qui la denominazione del codice).

La corruzione distrugge il mercato e la democrazia poiché altera sensibilmente il principio di libera concorrenza dei mercati, sottrae fraudolentemente ingenti risorse pubbliche e, in caso di elezioni, inquina il normale processo elettivo. La corruzione, infine, indebolisce e corrode la morale pubblica. I suoi costi, economici e sociali, sono elevatissimi e sono i cittadini e gli imprenditori onesti a pagarli. Più elevata è la corruzione e l’illegalità, maggiore è il livello di ineguaglianza e ingiustizia sociale. Più girano tangenti, più diffusa è la cultura della sudditanza e dell’omertà a scapito di quella basata sulla cittadinanza attiva e responsabile.

Lo scopo della Carta è quello di contribuire a garantire e a promuovere la trasparenza e la legalità nella pubblica amministrazione, contrastare la corruzione e le infiltrazioni mafiose, rendere rendicontabile e puntualmente verificabile l’impegno amministrativo, favorire la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, promuovendo, in tal modo, una cultura della corresponsabilità. La Carta, in breve, richiamandosi ai principi costituzionali della fedeltà alla Repubblica, della disciplina e dell’onore per tutti i cittadini e, in particolare per coloro che ricoprono incarichi pubblici, indica una serie di azioni specifiche, di divieti e di comportamenti che un amministratore e un funzionario pubblico deve porre in essere nello svolgimento del suo mandato e del suo ruolo.

In Italia, nonostante Tangentopoli, la corruzione non ha cessato né di essere sistemica né di espandersi. Solo due cose sono cambiate: la dinamica – meglio, le dinamiche – attraverso le quali corrotti e corruttori si scambiano reciproci favori e ricercano l’impunità. E le leggi approvate dal legislatore nazionale negli ultimi vent’anni le quali, anziché rafforzare il contrasto alla corruzione, hanno reso più complicato il lavoro di investigatori e magistrati e, in certi casi, hanno legalizzato ciò che un tempo era ritenuto illegale.

Articolata in ventidue articoli, la Carta di Pisa – che va intesa come uno strumento aperto, un punto di riferimento da cui partire, e non come un testo rigido da adottare sic et simpliciter – fornisce indicazioni precise in merito a temi come quelli del conflitto d’interessi, del finanziamento dell’attività politica, delle nomine in enti e società pubbliche, del cumulo delle cariche, dell’accettazione di incarichi da parte di imprese una volta cessato di essere amministratori; infine dei rapporti tra politica e autorità giudiziaria. In quest’ultimo caso, coloro che hanno firmato il codice eticocomportamentale promosso da Avviso Pubblico si impegnano a collaborare con i magistrati, ad avviare un’azione disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici infedeli, chiedendo loro il risarcimento del danno e, infine, se coinvolti direttamente, a dimettersi qualora siano rinviati a giudizio per i gravi reati sanciti dai codici di

Di fronte a questo scenario e ad una prolungata immobilità da parte del Parlamento che, soltanto nel novembre dello scorso anno, ha approvato una legge anticorruzione (Legge 190/2012) – un provvedimento decisamente migliorabile – nel febbraio del 2012 Avviso Pubblico ha presentato a Roma, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, un codice eticocomportamentale per gli amministratori e gli enti locali, denominato “Carta di Pisa”. La Carta può considerarsi un primo tentativo di costruire una politica anticorruzione 30


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autoregolamentazione dei partiti votati all’unanimità dalla Commissione parlamentare antimafia nel 1997 e nel 2010 (mafia, corruzione, estorsione, droga, traffico di rifiuti, ecc.).

competenza della magistratura e delle forze dell’ordine, come un problema risolvibile ricorrendo soltanto al codice penale e civile. È indispensabile che la prevenzione e il contrasto alla corruzione e alle mafie diventi una priorità per i cittadini-elettori e per tutti coloro che ricoprono un incarico politico poiché, come afferma da tempo Andrea Campinoti, Presidente di Avviso Pubblico, si deve essere consapevoli che “non può esserci mafia senza rapporti con la politica, ma ci deve essere una politica senza rapporti con le mafie”. Stessa cosa si può dire parlando di corruzione.

È questo, per Avviso Pubblico, un modo concreto per affermare il primato della responsabilità della politica rispetto a quello della responsabilità penale, un atto per testimoniare l’indispensabilità della coerenza che deve legare i valori professati con i comportamenti praticati, anche nella selezione della classe dirigente. A differenza di altri codici etici, la Carta di Pisa prevede anche delle sanzioni nei casi di eventuale inadempimento da parte di chi l’ha sottoscritta come, ad esempio, il richiamo formale e la censura pubblica, fino alla revoca della nomina o del rapporto fiduciario da parte del Sindaco nei confronti di un suo assessore o di una persona da egli nominata per ricoprire un determinato incarico.

Prendere coscienza di questo assunto e farlo proprio non è solo un atto concreto per iniziare un cammino che porti al recupero della credibilità che in questi anni la politica ha perduto. È anche un imperativo politicomorale-economico che deve indurre, in un momento di crisi come l’attuale, a mettere in campo tutti gli strumenti possibili per recuperare le risorse che il malaffare, la corruzione e le mafie hanno sottratto – e continuano a sottrarre – indebitamente ai cittadini.

La Carta di Pisa può essere adottata collegialmente con un atto del Sindaco o del Presidente della Provincia o della Regione, con una delibera di giunta o di consiglio, ma anche da un singolo amministratore.

La Carta di Pisa, sottoscritta in primis dal Comune e dalla Provincia della città della torre pendente, sta avendo una certa risonanza negli enti locali e diversi comuni e singoli amministratori hanno già cominciato ad adottarla.

Avviso Pubblico ritiene che coloro che si candidano a ricoprire, o ricoprono già un incarico pubblico, debbano essere coscienti che questo non significa essere titolari di un diritto in più ma, al contrario, di assumersi un dovere in più: quello dell’essere e dell’apparire credibili, tanto nella vita pubblica che in quella privata.

Il cammino è ancora lungo, ma ormai è partito. Gesti concreti, esempi positivi, onestà, imparzialità e coerenza. Di questo ha bisogno oggi la nostra Repubblica per rendere viva la nostra Costituzione e per liberarsi dalle mafie e dalla corruzione.

E’ necessario, infatti, che il contrasto alla corruzione e alle mafie non sia percepito e vissuto come una questione di esclusiva

«La criminalità organizzata tende ad assumere un ruolo preponderante non tanto nella fase dell’aggiudicazione, ma nella fase dell’esecuzione, privilegiando il suo inserimento, anche nel circuito economico delle grandi opere, attraverso il sub-appalto o le attività di fornitura di merci e servizi locali, e rappresentando, tra l’altro, una fonte di costo “extra”. Del resto la libertà di cui gode il soggetto esecutore [il general contractor deve assicurare l’esecuzione dell’opera 'con ogni mezzo' e non deve scegliere le imprese mediante procedure concorsuali] può trasformarsi in occasione di infiltrazione malavitosa» Corte dei conti nella relazione conclusiva sui lavori per il Passante di Mestre del 6 maggio del 2011.

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Avviso Pubblico

Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie, è un’associazione nata nel 1996 con l’intento di collegare ed organizzare gli amministratori pubblici che concretamente si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica nella politica, nella pubblica amministrazione e sui territori da essi governati. Avviso Pubblico ha collaborato con Anci, Arci, Fisu, Legambiente, Libera, SOS Impresa, Itaca, i sindacati (Cgil, Cisl, Uil) nell’elaborazione e realizzazione di progetti. Organizza corsi di formazione per amministratori locali e personale della pubblica amministrazione. La sua sede operativa è a Firenze.

Carta di Pisa

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Focus Corruzione e legalità debole

L’opinione

Le opere in riva alla Laguna PROGETTI, LAVORI E CONTROLLI VENGONO ESEGUITI DAL MEDESIMO SOGGETTO: A VENEZIA FUNZIONA LO STESSO SISTEMA INVENTATO NEGLI ANNI '80. I COSTI AUMENTANO, LA TRASPARENZA NO

Alberto Vitucci, giornalista

A Venezia porterà ancora turisti, impatti ambientali e socioeconomici pesanti, stravolgendo la laguna con piattaforme in cemento e stazioni d’arrivo. Costerà quasi un miliardo di euro, cinque volte quanto era stato previsto solo dieci anni fa, ha già provocato la mobilitazione delle associazioni e della cultura internazionale. Eppure la sublagunare, progetto futuristico di treno sotto la laguna per collegare l’aeroporto di Tessera alle Fondamente Nuove e risparmiare pochi minuti rispetto al vaporetto, va avanti. Sott’acqua - in tutti i sensi - senza clamori. C’è ancora nel Piano territoriale della Regione (Ptrc), nei master plan dell'autorità portuale e della società aeroportuale e perfino nei Piani della mobilità del Comune, che non più tardi di sei mesi fa l’aveva bocciata nel nuovo Piano di assetto del territorio (Pat).

anche economico - alle alternative. Oggi che i soldi pubblici non ci sono più e si parla con enfasi di “processi partecipati” e di diritto dei cittadini a seguire passo passo l'iter dei progetti che riguardano il loro territorio, l'epoca delle grandi opere sembra lontana anni luce. Ma grandi progetti come il terminal off shore in Adriatico e, appunto, la sublagunare, sono pronti a ripartire. Proprio quando i comuni tagliano, la crisi soffoca le imprese e i soldi per la manutenzione e i servizi non ci sono più. Negli ultimi vent'anni miliardi di euro sono arrivati al nord per finanziare opere a volte contestate, altre volte inutili. Spesso approvate - è il caso del Mose - con il voto contrario del Comune e dei rappresentanti del territorio. Il sistema mafioso e camorristico non si è mai radicato profondamente nel Veneto, dove comunque viene segnalato in molte inchieste che riguardano in particolare il traffico di rifiuti e le imprese di costruzioni con ramificazioni al sud. Non esiste qui un sistema criminale dedito al controllo degli appalti anche perché, sembra incredibile, in molte delle grandi opere gli appalti non ci sono. Concessione unica e soldi garantiti dallo stato per il Mose (quasi sei miliardi il costo finale, contro 1 e mezzo previsto dal progetto di massima del 1988) project financing per ospedali e strade, ma anche per il Passante di Mestre; assegnazione diretta per molte opere grandi e piccole della rete viaria del Veneto.

La sublagunare è soltanto l'ultimo, non ancora realizzato esempio di progetti che vanno avanti “a prescindere”. La punta di un iceberg che si sta ormai sciogliendo, che ha visto per qualche decennio il primato del “fare” su quello del “cosa fare” e del “fare bene”. Il sistema delle grandi opere in Veneto, e in particolare a Venezia, è sopravvissuto quasi a tutto. A Tangentopoli e al crollo dei partiti della Prima Repubblica, alla nuova sensibilità ambientale e alla crisi. Il segreto? La mancanza di concorrenza, l'alleanza stretta e trasversale con la politica, lo scarso interesse 33


Osservatorio Ambiente e Legalità Venezia

Scorrendo i nomi delle imprese interessate a questa messe di lavori milionari i nomi sono quasi sempre gli stessi. Fino a qualche mese fa, prima di essere arrestato con l'accusa di fatturazioni false, il deus ex machina di quasi tutte le grandi operazioni di questo tipo era Piergiorgio Baita, onnipotente presidente della Mantovani, l’azienda di Padova prima azionista del Consorzio Venezia Nuova. Prontamente sostituito dopo l'arresto con un ex questore, Baita adesso cerca di provare la sua innocenza. Gli inquirenti gli chiedono di descrivere il sistema delle grandi opere nel Veneto, per sapere se i soldi ricavati con le fatture in nero siamo serviti a corrompere qualcuno, funzionari o politici. Tutti sono innocenti finché non si sia provata la loro colpevolezza e fino alla condanna definitiva. Certo è che il gran fiume di denaro visto nel Veneto negli ultimi decenni, ma soprattutto la mancanza di regole certe e di controlli non soltanto burocratici, qualche falla l’ha aperta.

panorama veneto. Mantovani, Studio Altieri, Gemmo. Il vecchio ospedale nel centro di Mestre demolito anche se poteva essere recuperato, lasciando aree preziose agli immobiliaristi. Il pubblico non ha i soldi per costruire le opere, dunque chiede aiuto al privato. Che non essendo Babbo Natale, i soldi li mette se ci vede un consistente guadagno per il futuro. In cambio dell'anticipo per finanziare in gran parte la costruzione, la Veneta Sanitaria, presieduta da Baita, ha ora in gestione per trent'anni i servizi dell'ospedale, dai parcheggi alla lavanderia, dalla ristorazione ai bar, addirittura agli esami clinici. Un monopolio che adesso durerà fino al 2030. Il Mose e i lavori per la salvaguardia sono gestiti dal Consorzio Venezia Nuova. Concessione unica fin dal 1984, anno della seconda Legge Speciale approvata all'unanimità dal Parlamento. E dal 2005 anche la concessione dell’Arsenale e dei Bacini per farci la manutenzione del Mose.

Il monopolio può produrre corruzione. Non solo nel senso classico, ma anche corruzione... culturale. In mancanza di alternative e di seri studi comparati, si è portati a credere che quella messa sul tappeto possa essere l'unica soluzione praticabile per salvare la città o migliorare la vita dei suoi cittadini. Quasi sempre non è così, e in molti casi le opere, come recitava un fortunato manifesto di Legambiente “servono solo a chi le fa”. Spesso approvate saltando la “legge” che vale per i comuni mortali. Cioè affidandosi a commissari straordinari dai poteri illimitati, conferenze di servizi, deroghe alle norme urbanistiche applicate per le opere statali, militari e ritenute “di pubblica utilità”.

Studi, progetti, lavori e controlli vengono fatti dallo stesso soggetto. Rilievi fatti dalla Corte dei Conti qualche anno fa, rimasti lettera morta. Come sull'aumento dei costi, lievitati fino a 5 miliardi e 600 milioni nonostante l'accordo per il prezzo chiuso parlasse di “soli” 4 miliardi e 200. E qualche infiltrazione della “cricca” - quella di Balducci, per anni potente presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici - , anche nei collaudi delle grandi opere. Mose, ospedali, Passante di Mestre - qui il primo presidente è stato l'avvocato del Consorzio Venezia Nuova - ma anche depuratori (il Pif di Fusina, nato da un accordo tra Mantovani e Vesta). E poi le manutenzioni del porto e lo scavo dei canali, adesso la possibilità di realizzare la sublagunare e la grande piattaforma off shore per il terminal portuale al largo dell'Adriatico da due miliardi e mezzo di euro. Un sistema di grandi opere che ha lasciato a Mantovani insieme a Condotte e Fincosit, le altre imprese del Mose - anche lo spazio per vincere la gara per il nuovo ospedale al Mare del Lido, venduto dal Comune per ricavare i soldi per il

Molte opere in realtà sarebbero necessarie ai cittadini. Se realizzate bene cercando di utilizzare al meglio le risorse e nel rispetto dell’ambiente. Ma spesso le norme europee sulla Valutazione di Impatto ambientale (Via) vengono bypassate, sostituendo le Regioni al ministero con la buona scusa delle lotta alla burocrazia. Il nuovo ospedale di Mestre è stato costruito a Zelarino, su terreno vergine, da una cordata che comprende le “solite” imprese del 34


Focus Corruzione e legalità debole

nuovo Palacinema che non si farà più e altre operazioni immobiliari come quelle nell’area dell’ex mercato Ortofrutticolo di Mestre.

commissione di indagine sulla Mantovani e gli appalti degli ultimi anni. Tutto all’indomani dell’arresto di Baita, che adesso nessuno conosce più.

Un intreccio che produce lavoro e utili per le imprese interessate. Ma che forse avrebbe bisogno di maggiori controlli “preventivi” sulla trasparenza delle assegnazioni e sulle ricadute sul territorio. Il Consiglio comunale, forse un po’ tardivamente, ha istituito una

Grandi opere e grandi capitali possono produrre, ovunque, fenomeni corruttivi. Sta alla politica sana, prima che alla magistratura, impedirli con la trasparenza degli atti e incoraggiando la libera concorrenza.

Uno studio di Banca Intesa San Paolo del 2008 evidenzia come in Spagna un chilometro di autostrada costi 14,6 milioni di euro mentre in Italia il costo lievita a 32 milioni di euro.

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Osservatorio Ambiente e Legalità Venezia

I dati del Ministero dell’Interno per regione su concussione e corruzione dal 2009 al 2012 IL VENETO FRA I PRIMI PER LE DENUNCE DI CORRUZIONE

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Focus Corruzione e legalità debole

fonte: FastSDI – Ministero dell'Interno – Dipartimento della P.S. (estrazione dati al 07/02/2012)

“L'agire mafioso, infatti, trova nel tessuto politico-amministrativo corrotto facili spazi di penetrazione e possibilità di rapida attuazione dei propri disegni "imprenditoriali".

In Veneto le persone denunciate per corruzione sono passate da 13 nel 2010 a 74 nel 2011. A livello nazionale sempre il Veneto registra un numero di denunce per corruzione minore solo a Sicilia (176), Campania (163), Lombardia (149), Toscana (92) e Puglia (75); mentre per concussione risultano denunciate più persone solo in Campania (115), Sicilia (62) e Puglia (42).

I meccanismi di corruttela ed il sottobosco di relazioni sui quali essi si innestano, infatti, sono funzionali alle finalità delle consorterie, determinate ad infiltrarsi nella Pubblica Amministrazione, al fine di intercettare risorse pubbliche” (rapporto Dia).

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Osservatorio Ambiente e LegalitĂ Venezia

Venezia, giugno 2013

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