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otoneurologia 2000 Serie editoriale: CLINICAL CASE MANAGEMENT
Aggiornamento periodico: OTONEUROLOGIA 2000 Settembre-Dicembre 2003 / n.15 Coordinamento Scientifico:
otoneurologia 2000 Settembre-Dicembre 2003 / n.15
SOMMARIO 1. Attuali acquisizioni sulla sindrome da compressione del nervo cocleovestibolare . . . 1 D.A. Giuliano
Dr. Giorgio Guidetti Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale dell’Università di Modena e Reggio Emilia Sezione di Clinica Otorinolaringoiatrica Modulo di Vestibologia e Rieducazione vestibolare Policlinico di Modena e-mail: guidetti.g@policlinico.mo.it
Coordinamento editoriale: Mediserve
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2. La deiscenza del canale semicircolare superiore: una nuova entità clinica . . . . . . . . . 12 N. Civiero 3. La “fisiologia” dell’acufene . . . . . . . . . . . . . . . 20 L. Manzari 4. Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 F. Scoppa
OTONEUROLOGIA
otoneurologia 2000 | numero 15 | settembre-dicembre 2003
ATTUALI ACQUISIZIONI SULLA SINDROME DA COMPRESSIONE DEL NERVO COCLEOVESTIBOLARE Davide Antonio Giuliano Dipartimento di Medicina Sperimentale - Università degli Studi di Palermo E-mail: davideantonio.giuliano@tin.it
Introduzione La sindrome da compressione del nervo cocleovestibolare (SCNC) può essere definita come quell’affezione della sfera otoneurologica i cui sintomi derivano dall’azione compressiva esercitata da uno o più vasi sanguiferi sulle fibre dell’ottavo paio di nervi cranici. Il concetto in base al quale la disfunzione di un dato nervo cranico possa essere indotta dalla compressione pulsante di un vaso sanguifero dilatato, a decorso tortuoso o dislocato in posizione abnorme, non è nuovo. Infatti, già nella prima metà degli anni Trenta, Dandy aveva riconosciuto tale meccanismo fisiopatologico quale causa principale di nevralgia del trigemino. Ulteriori studi, condotti nei decenni successivi da Gardner, Sava, Jannetta, Moller e Bertrand, individuarono nel cosiddetto “conflitto neurovascolare” uno dei fondamentali fattori eziologici di un gruppo eterogeneo di patologie che includeva lo spasmo del facciale, la nevralgia del glosso-faringeo, l’ipertensione essenziale, la vertigine posizionale invalidante. Quest’ultima era un’entità nosologica, identificata da Moller, contrassegnata dall’insorgenza improvvisa di vertigini oggettive di notevole intensità, associate a palesi manifestazioni neurovegetative, elicitate dall’assunzione di una specifica
posizione del soma rispetto al campo gravitazionale, alla cui remissione seguiva una condizione pressoché continua di instabilità posturale e disorientamento spaziale. L’esperienza maturata in seguito permise di appurare che le manifestazioni cliniche otoneurologiche ascrivibili al conflitto neurovascolare non solo erano passibili di variazione da individuo a individuo, ma si accompagnavano sovente a disturbi di chiara matrice cocleare. Fu così coniata la definizione di SCNC al fine di accogliere in tale accezione tutti i sintomi cocleari e vestibolari indotti dalla compressione dell’ottavo paio di nervi cranici, indipendentemente dalle modalità di insorgenza e di presentazione clinica.
Anatomia Come è noto, il nervo cocleovestibolare deriva dalla confluenza di due tronchi nervosi: il nervo cocleare ed il nervo vestibolare. Il nervo cocleare sorge dal ganglio spirale del Corti e si porta nel ponte, dove contrae sinapsi con i neuroni dei nuclei cocleari dorsale e ventrale (Figura 1). Il nervo vestibolare, invece, emerge dal ganglio dello Scarpa e raggiunge il bulbo, dove si distribuisce nei nuclei grigi del complesso vestibolare bulbare (Figura 2).
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1 = Organo del Corti; 2 = Ganglio del Corti; 3 = Nervo cocleare; 4 = Nucleo cocleare dorsale; 5 = Nucleo cocleare ventrale; 6 = Corpo Restiforme; 7 = Complesso olivare superiore; 8 = Fibre del Lemnisco Laterale; 9 = Nucleo del Lemnisco Laterale; 10 = Tubercoli quadrigemini inferiori; 11 = Corpi genicolati mediali; 12 = Area acustica primaria; 13 e 14 = Aree acustiche associative
Figura 1. Origine del nervo cocleare dal ganglio spirale del Corti e via sensoriale acustica (mod. da: Rossi, 1994).
Entrambi i nervi presentano anche fibre efferenti. Il nervo vestibolare può essere ulteriormente suddiviso in due componenti: una branca superiore, che innerva le creste ampollari dei canali semicircolari superiore
e laterale, la macula acustica dell’utricolo e la parte anterosuperiore del sacculo, ed una branca inferiore, destinata alla cresta ampollare del canale semicircolare posteriore e alla parte rimanente del sacculo.
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1 = Labirinto posteriore; 2 = Nervo vestibolare; 3 = Ganglio dello Scarpa; 4 = Nucleo vestibolare superiore di Bechterew; 5 = Nucleo vestibolare mediale di Schwalbe; 6 = Nucleo vestibolare laterale di Deiters; 7 = Nucleo vestibolare inferiore di Roller; 8 = Nucleo dell’Abducente; 8’ = Nervo Abducente; 9 = Nucleo del Trocleare; 9’ = Nervo Trocleare; 10 = Nucleo dell’Oculomotore Comune; 10’ = Nervo Oculomotore Comune; 11 = Fascicolo Longitudinale Mediale; 12 = Fascio Vestibolo-Spinale; 13 = Nucleo di origine delle fibre della radice spinale del nervo accessorio; 14 = Midollo Spinale; 15 = Branca afferente del nervo spinale; 16 = Branca efferente del nervo spinale
Figura 2. Origine del nervo vestibolare dal ganglio dello Scarpa e via sensoriale vestibolare (mod. da: Rossi, 1994).
Il nervo cocleovestibolare, insieme al nervo facciale, decorre nel condotto uditivo interno, ovvero in un condotto osseo, scavato nel contesto della rocca petrosa del temporale, la cui estremità mediale si apre nell’angolo
pontocerebellare mentre l’estremità laterale è chiusa da una sottile lamina ossea denominata lamina cribrosa. La lamina cribrosa è suddivisa da due creste ossee, cresta falciforme e “Bill’s bar”, in
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quattro quadranti contenenti tanti piccoli fori attraverso i quali passano le fibre nervose del settimo e ottavo paio di nervi cranici. In particolare, il nervo facciale occupa il quadrante anterosuperiore, il nervo cocleare quello anteroinferiore, mentre il nervo vestibolare, con le sue due branche, occupa i quadranti posteriori (Figura 3). La compressione vascolare del nervo cocleovestibolare può verificarsi generalmente in corrispondenza della zona di emergenza delle radici nervose dal tronco dell’encefalo (REZ: Root Entry Zone), dove il nervo risulta essere molto sensibile allo stimolo irritativo cronico legato all’iperpulsatilità vascolare, per via del trapasso del rivestimento mielinico dalla conformazione intranevrassiale a quella extranevrassiale, o in prossimità del condotto udi-
Nervo facciale
tivo interno, dove possono dislocarsi anse vascolari a decorso anomalo originatesi da tronchi arteriosi endocranici. L’effetto compressivo esercitato dalla formazione vascolare su quella nervosa può essere “diretto”, se dovuto alla presenza di una sacca aneurismatica del vaso principale, o “indiretto”, se imputabile ad un’abnorme dislocazione delle anse del vaso afferente. I vasi maggiormente implicati nella patogenesi della SCNC sono rappresentati dai rami del circolo vertebrobasilare, quali l’arteria cerebellare anteroinferiore (AICA), l’arteria cerebellare posteroinferiore (PICA) e talora il tronco dell’arteria basilare o l’arteria vertebrale, nonché da alcuni rami venosi ectasici afferenti ai seni venosi della dura madre (Figura 4).
Anteriore Nervo cocleare
Cresta verticale (Bill’s bar)
Superiore
Inferiore
Nervo vestibolare superiore
Nervo vestibolare inferiore
Posteriore Cresta orizzontale
Figura 3. Schema anatomico del fondo del meato acustico interno (mod. da: Dufour, 1984).
Attuali acquisizioni sulla sindrome da compressione del nervo cocleovestibolare
a. communicans anterior a. cerebri anterior area subcallosa
aa. cerebri ant. bulbus olfactorius tractus olfactorius chiasma opticum n. opticus a. carotidis interna
a. cerebri media a. communicans posterior insula
n. oculomotorius a. cerebri posterior
lobus temporalis
a. cerebelli superior n. trigeminus a. labyrinthi n. facialis n. vestibulocochlearis n. glossopharyngeus n. vagus
a. chorioidea substantia perforata posterior a. cerebri posterior a. cerebelli superior a. basilaris n. abducens n. hypoglossus
plexus chorioideus ventriculi IV a. cerebelli inferior anterior hemisphaerium cerebelli a. vertebralis a. cerebelli inferior posterior n. accessorius a. spinalis anterior medulla spinalis
Figura 4. Vasi arteriosi preposti all’irrorazione della base dell’encefalo. A destra sono stati asportati l’apice del lobo temporale, l’emisfero cerebellare ed il nervo ottico. Le definizioni in rosso indicano i vasi maggiormente implicati nella genesi della SCNC.
L’AICA, in particolare, in circa il 26% degli esseri umani, emette delle anse che si portano a ridosso del condotto uditivo interno, dove entrano in intimo contatto con il pacchetto acustico-facciale (Figura 5). Abnormi anse vascolari possono anche originarsi da un’arteria vertebrale notevolmente allungata. Il coinvolgimento della PICA e del tronco della basilare nella genesi della SCNC, invece, si verifica prevalentemente in caso di degenerazione aneurismatica delle pareti del vaso.
Fisiopatologia e clinica L’ipotesi attualmente più accreditata, in merito al meccanismo fisiopatologico che induce la disfunzione del nervo in corso di conflitto neurovascolare, ritiene che la compressione pulsante cronica del nervo da parte di uno o più vasi sanguiferi sia in grado di esercitare uno stimolo irritativo subcontinuo sulle fibre nervose, al quale seguirebbe il graduale instaurarsi di una reazione proliferativa delle guaine mieliniche e del neurilemma delle stesse.
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Nervo facciale
Ramo superiore del nervo vestibolare Condotto uditivo interno
Ansa della AICA
AICA Dura madre
Figura 5. Immagine in sezione della regione del condotto uditivo interno di una paziente affetta da SCNC. Si noti l’abnorme dislocazione delle anse dell’AICA in prossimità del condotto uditivo interno.
L’esito ultimo di tale processo consisterebbe in una sorta di degenerazione fibrotica delle guaine di rivestimento degli assoni neuronali, i quali verrebbero compressi e stirati con conseguente alterazione della trasmissione degli impulsi nervosi da essi veicolati. La sintomatologia della SCNC, come dimostrano gli studi di Jannetta, è passibile di variazioni subordinate alla sede e all’entità della compressione. In genere i disturbi di natura cocleare sono rappresentati da: a. Acufeni, solitamente continui, a timbro grave o acuto, talora pulsanti. b. Ipoacusia neurosensoriale, ad esordio ingravescente, la quale,nella maggior parte dei casi, interessa prevalentemente le frequenze acute, poiché le fibre che si dipartono dal giro basale della coclea, preposto alla recezione di tali frequenze,sono le più esterne del nervo e quindi le prime a risentire degli effetti compressivi.
I segni di compromissione vestibolare, invece, consistono prevalentemente in: a. Crisi vertiginose oggettive ricorrenti, talora ad insorgenza improvvisa, associate a manifestazioni neurovegetative, la cui durata varia da pochi minuti ad alcune ore. b. Instabilità posturale, spesso evidente al momento della remissione della crisi vertiginosa, riferita dal paziente come sensazione di “barcollamento” o di “sprofondamento nel vuoto”. c. Intolleranza al movimento, intesa come insicurezza all’inizio della marcia o dell’esecuzione di un movimento che modifica la posizione del soma nel campo gravitazionale. I disturbi vestibolari possono presentarsi variamente associati tra loro e non sempre si accompagnano a segni di disfunzione cocleare.
Attuali acquisizioni sulla sindrome da compressione del nervo cocleovestibolare
A volte, il quadro clinico della SCNC si manifesta in concomitanza con uno spasmo del facciale o, probabilmente a causa di reclutamento di altre strutture nervose, con nevralgia del trigemino.
Diagnosi In fase di esordio, l’inquadramento diagnostico della SCNC offre evidenti difficoltà. Infatti, non esistono segni patognomonici di tale affezione e, a volte, la sua presentazione clinica è facilmente assimilabile a quella di altre più comuni patologie otoneurologiche, quali neuroniti vestibolari; labirintopatie vascolari, tossiche o virali; malattia di Ménière o neurinoma dell’acustico. Pertanto, visto lo scarso supporto fornito dai reperti clinico-anamnestici, è opportuno basare l’iter diagnostico sull’esecuzione di alcuni specifici esami strumentali. Tra di essi, l’esame audiometrico tonale liminare, lo studio del riflesso stapediale con test di Metz e di Anderson e l’elettronistagmografia sono poco dirimenti, in quanto non sono in grado di fornire reperti altamente suggestivi per SCNC.
Di maggiore ausilio risulta essere, invece, la valutazione dei potenziali evocati del tronco encefalico (Audiometry brainstem response, ABR), poiché essa permette di suffragare l’ipotesi di disfunzione di una o più componenti della via sensoriale acustica. Secondo Moller, l’esame ABR fornirebbe addirittura dei criteri diagnostici di grande ausilio per il riconoscimento della malattia (Tabella 1). In realtà, studi condotti recentemente hanno dimostrato la scarsa validità dei criteri di Moller, anche se è doveroso riconoscere che l’aumento della latenza interpicco tra la I e la III onda è un reperto di pressoché costante riscontro nei pazienti affetti da SCNC. La diagnosi di certezza è, comunque, tuttora affidata alle indagini radiologiche. Se l’angiografia, palesando la presenza di vasi ectasici o allungati, consente di porre solo una diagnosi presuntiva, la risonanza magnetica nucleare (RMN) o, meglio ancora, l’angio-RMN, garantendo l’isocronicità di visualizzazione delle strutture nervose e vascolari endocraniche, consente di identificare con assoluta certezza l’esistenza del conflitto neurovascolare a carico dell’ottavo paio di nervi cranici (Figura 6 A, B).
TABELLA 1. Criteri ABR per la diagnosi di SCNC (Moller) Intervallo I-III onda ≥ 0,2 msec Intervallo I-III onda ≥ 0,16 msec in caso di onda II assente Ampiezza dell’onda II < 33% del lato opposto Intervallo III-V onda del lato non patologico ≥ 0,2 msec Intervallo III-V onda del lato non patologico ≥ 0,16 msec in caso di onda II assente Intervallo I-III onda > 2,3 msec Intervallo III-V onda del lato non patologico > 2,2 msec
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Terapia L’approccio terapeutico alla SCNC è prevalentemente chirurgico. Infatti, finora, i trattamenti farmacologici hanno consentito il conseguimento di risultati del tutto trascurabili.
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La somministrazione di benzodiazepine, istaminosimili, fenotiazine, benzamidi sostituite, anticolinergici, antidopaminergici ed alfaadrenolitici, per periodi più o meno prolungati di tempo, può indurre solamente la remissione temporanea dei disturbi. Attualmente, le opzioni chirurgiche sono sostanzialmente due: 1. La neurectomia vestibolare, consistente nella sezione del nervo vestibolare per via craniotomica sotto-occipitale. 2. La decompressione microvascolare, la quale prevede la dissezione e l’allontanamento dei vasi che esercitano azione compressiva sul nervo cocleovestibolare. L’esperienza maturata negli ultimi decenni ha dimostrato che la sezione del nervo vestibolare determina la risoluzione completa delle crisi vertiginose ricorrenti, ma non ha alcuna influenza sull’instabilità posturale o l’intolleranza al movimento. La decompressione microvascolare, invece, a volte, ha arrecato un significativo beneficio al paziente anche se, ancora oggi, non è possibile stabilire se questo sia da attribuire alla cessazione degli effetti irritativi espletati dai vasi comprimenti sulle fibre nervose, alla parziale denervazione subita dal nervo cocleovestibolare come esito del trauma chirurgico, o semplicemente ad un vero e proprio “effetto placebo”.
Bibliografia
Figure 6. Immagini RMN di pazienti affetti da SCNC. Si noti nelle scansioni trasversale (A) e coronale (B) la presenza di un’ansa vascolare (freccia) dovuta ad anomalo allungamento dell’arteria vertebrale destra, con marcata impronta sul tronco dell’encefalo in corrispondenza dell’ingresso dell’ottavo paio di nervi cranici (testa di freccia).
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LA DEISCENZA DEL CANALE SEMICIRCOLARE SUPERIORE: UNA NUOVA ENTITÀ CLINICA Nicola Civiero Clinica San Camillo - Brescia E-mail: nicola.civiero@tiscali.it
Introduzione
Meccanismo patogenetico
Studi sperimentali condotti, all’inizio del secolo scorso, da Tullio (1) e Huizinga (2) confermano la stretta relazione esistente tra movimenti nistagmici e variazioni di pressione nell’orecchio interno (3).
L’associazione costante tra pressione e vertigine rotatoria trova la sua spiegazione nelle alterazioni dinamiche dei flussi endolinfatici prodotte dalla “finestra labirintica” (la terza dopo quella ovale e rotonda) che patologicamente si struttura sulla superficie ossea del canale semicircolare superiore (Figure 1-3). Pressioni positive esercitate lungo il canale uditivo esterno – manovre di Valsalva o suoni ad alta intensità – provocando un movimento elastico della parete canalare compromessa, generano moti ampullifughi, con conseguente deflessione eccitatoria della cupola (vedi Figura 3A). Il risultato è un movimento oculare verticale con componente torsionale lenta diretta verso il lato opposto a quello stimolato (Figura 4). L’opposto si ottiene invece con pressioni negative o manovre di Valsalva a glottide chiusa, piuttosto che compressione venosa giugulare (vedi Figura 3B). Un pattern vestibolare simile si ritrova anche in patologie come la fistola perilinfatica e la disfunzione otolitica maculo-utricolare, anche se la divergenza tra l’orientamento del piano canalare e il vettore nistagmico, l’asimmetria del movimento oculare nella componente verticale e il riflesso di tilt laterale del capo allo stimolo sonoro, piuttosto che la lenta torsione sul perno verticale, ne sottolineano la differenza.
L’osservazione del movimento oculare conseguente a stimoli uditivi intensi, in piccioni dapprima sottoposti a lesione canalare e poi a deafferentazione farmacologica del labirinto, permette di confermare la validità delle leggi di Ewald e di approfondire criticamente la fisiologia del vestibolo (4). Nel corso del tempo, alla iniziale osservazione delle lesioni osteomielitiche tipiche delle fasi avanzate della malattia sifilitica (5), si affianca lo studio di altre patologie in grado di scatenare sintomi e segni clinici coerenti con lo stesso meccanismo patogenetico – fistola perilinfatica (6), malformazioni congenite (7), traumi cranici (8), malattia di Lyme (9), colesteatoma erosivo (10), malattia di Menière (11) – fino a giungere, in anni recenti, all’identificazione di una nuova entità nosologica, definita “Deiscenza del Canale Semicircolare Superiore”, nota anche some Sindrome di Minor, dove l’interruzione o la riduzione drastica di spessore della superficie ossea danno origine al meccanismo responsabile di sintomi clinici spesso invalidanti.
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La deiscenza del canale semicircolare superiore: una nuova entità clinica
Utricolo e sacculo vestibolari
Nervo vestibolare
Canali semicircolari Canali semicircolari
Coclea
Figura 1. Il labirinto osseo dell’orecchio interno.
Canale semicircolare superiore Nervo Membrana vestibolare tettoria Nervo auricolare
Canale cocleare (scala media) Canale vestibolare
Ganglio spirale
Finestra ovale
Canale timpanico (scala tympani)
Finestra rotonda Coclea
Cellule sensoriali dell’epitelio interno Membrana basale
Figura 2. Struttura dell’orecchio interno.
Cellule sensoriali dell’epitelio esterno
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A
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Deiscenza
Deiscenza Meato acustico interno
Ampolla del canale semicircolare superiore
Canale uditivo esterno Finestra rotonda
Tuba di Eustachio
Acquedotto cocleare
Sistema del fluido cerebrale spinale
Dotto endolinfatico
Figura 3. Disegno schematico del comportamento della deiscenza del canale semicircolare superiore, a seguito delle variazioni di pressione nell’orecchio medio e interno. A: una pressione POSITIVA esercitata lungo il condotto uditivo esterno, o per mezzo di un impulso sonoro o di una manovra di Valsalva, provoca un’espansione della compagine membranosa con conseguente moto endolinfatico ampullifugo ed eccitazione del nervo vestibolare; B: una pressione negativa esercitata con l’impiego di click di rarefazione o per mezzo di una manovra di Valsalva a glottide chiusa, il moto endolinfatico risulta opposto al precedente con conseguente riduzione del firing del nervo (da Minor LB, e coll., Acta Otolaryngol Head and Neck Surg 1998, modificata).
Canale orizzontale destro
Canale superiore destro
Canale posteriore destro
Figura 4. Movimenti oculari indotti dalla stimolazione individuale dei canali semicircolari. Nel caso di stimolazione del canale semicircolare superiore, la fase lenta è diretta in senso contrario rispetto al lato di stimolazione (da Minor LB et al. Acta Otolaryngol Head and Neck Surg 1998, modificata).
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Sintomi Nel 94% dei casi studiati da Minor nel corso del 2000 (12), i sintomi maggiormente riportati sono stati la vertigine rotatoria e l’oscillopsia, scatenati da una stimolazione sonora intensa. La percentuale diminuisce sensibilmente (47%) se l’evento scatenante è una variazione della pressione intracranica o delle cavità dell’orecchio interno. In accordo con Brantberg e coll. (13), nessuno dei pazienti ha riferito l’insorgenza di vertigini oggettive in assenza degli stimoli menzionati. Ma il sintomo decisamente invalidante risulta essere la condizione di insicurezza e l’instabilità deambulatoria che accompagna il 76% della popolazione valutata da Minor. Ipoacusia e acufeni a tonalità elevata di tipo continuo o pulsante accompagnano spesso quadri audiometrici che vanno dalla modesta ipoacusia di conduzione (con air-bone gap di 5-10 dB), fino alla sordità neurosensoriale zonale (di solito 2-3 frequenze) di media gravità lateralizzata all’orecchio affetto. Recentemente, in alcuni pazienti la soglia di conduzione ossea alle basse frequenze risulta migliore di 5-10 dB rispetto allo 0 assoluto (12) (con air-bone gap complessivo dai 5 ai 15 dB). La timpanometria e la reflessometria stapediale risultano invece normali in tutti i pazienti studiati. Bradicardia e ipotensione conseguenti alla stimolazione sonoro-pressoria, fanno da corollario ai sintomi labirintici appena descritti per via della stretta relazione che il vestibolo intrattiene con il sistema cardiovascolare deputato al controllo ortostatico (14).
In alcuni casi, l’impiego di impulsi sonori di minor intensità genera nistagmi puramente orizzontali con fase lenta consensuale ai precedenti. Alcune scosse di nistagmo spontaneo senza rilevanza patologica sono state osservate in alcuni pazienti e non incluse tra le caratteristiche peculiari della sindrome da deiscenza del canale semicircolare superiore. Sebbene questi fenomeni siano osservabili con semplici lenti di Frenzel, è solo con la video-oculoscopia ad infrarossi che si raggiunge un grado elevato di affidabilità diagnostica e non solo perché in assenza di riferimenti visivi il sistema vestibolo-oculomotore è libero di esprimersi senza interferenze, ma perché è anche possibile effettuare test di soppressione visiva attraverso l’impiego dei led luminosi incorporati nell’apparecchiatura indossata dal paziente. A tale proposito, si può così notare una soppressione completa del movimento oculare, eccetto nelle fasi di on/off-set dell’impulso sonoro (12), dove persiste per pochi istanti la sola componente torsionale (Figura 5).
T V H
LED on 500 Hz 110dB 11s
Segni clinici Uno stimolo sonoro perpetuato per 10-20 secondi ad un’intensità compresa tra i 70 e i 110 dB, nella scala frequenziale 0.125-6 KHz (15), provoca un nistagmo verticale con componente rotatoria, la cui fase lenta è diretta verso il lato opposto a quello stimolato.
Figura 5. Orientamento spaziale del globo oculare registrato con la tecnica di scleral search coil: l’accensione del LED (freccia grande) provoca un movimento torsionale di modesta entità, che si inverte allo spegnimento dello stesso (freccia piccola). Si noti per tutta la durata del test l’assenza della componente verticale (V) e orizzontale (H) (da Minor LB, et al. Acta Otolaryngol Head and Neck Surg 1998, modificata).
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L’orientamento finale del vettore nistagmico viene determinato impiegando i dati ottenuti dalle rilevazioni videonistagmografiche e dalle misurazioni tridimensionali del movimento oculare fornite dalla metodica nota come Magnetic Field Search-Coil. Non essendo gli impulsi rotoacceleratori in grado di evocare una risposta vestibolo-oculomotoria nei pazienti affetti da deiscenza del canale semicircolare superiore, la rilevazione elettronistagmografica non fornisce dati particolarmente utili per la diagnosi, eccetto nel caso in cui l’ampiezza della lesione sia superiore ai 5 millimetri. In questo caso si conferma una riduzione del gain del riflesso vestibolo-oculomotorio scatenato da movimenti angolari, quando seguono il piano anatomico del canale stesso (15).
alla diagnosi, nei pazienti che presentano segni e sintomi soggettivi di deiscenza del canale semicircolare superiore. La metodica impiegata prevede la realizzazione di scansioni coronali di spessore non superiore agli 0.1 millimetri rispetto ai tradizionali 0.5/1 mm usati nello screening delle rocche (Figura 6). Tale raffinatezza è giustificata dal fatto che sezioni di spessore maggiore anche solo di 0.1-0.2 mm possono generare serie difficoltà nella discriminazione tra semplice assottigliamento osseo della teca canalare e deiscenza pura (12, 17).
Potenziali miogenetici (VEMP’s) Un capitolo a parte meritano i potenziali miogenici (VEMP) scatenati da stimoli acustici del labirinto. La contrazione dei muscoli sternocleidomastoidei è alla base del riflesso vestibolo-collico, che nei soggetti normali è scatenato da click di rarefazione con intensità maggiore agli 85 dB o da tapping della superficie cranica con risposte di ampiezza maggiore per forza e velocità di contrazione. Nei pazienti affetti da deiscenza del canale semicircolare superiore, questa soglia appare notevolmente abbassata sino a raggiungere i 70 dB (16). In alcuni casi la contrazione muscolare è stata registrata per valori di intensità (espressa in dB HL) minore di 0 quando lo stimolo è stato condotto per via ossea, espressione indiretta dell’aumento patologico della sensibilità del recettore labirintico e cocleare indotto dalla deiscenza.
Valutazione neuroradiologica La tomografia computerizzata dell’osso temporale contribuisce in modo determinante
Figura 6. TC in proiezione coronale dell’osso temporale destro. La freccia indica la deiscenza del canale semicircolare superiore. Quale reperto secondario si può apprezzare una protesi stapediale (da Streubell SO, et al. 2001, modificata).
Terapia Non tutti i pazienti affetti da deiscenza del canale semicircolare superiore necessitano di trattamento chirurgico.
La deiscenza del canale semicircolare superiore: una nuova entità clinica
Tuttavia, a distanza di tempo si può assistere ad una progressiva perdita della reflettività labirintica omolaterale alla lesione e in qualche caso ad un’ipoacusia neurosensoriale di modesta entità. Un accesso trans-mastoideo simile a quello impiegato per il plugging del canale semicircolare posteriore nel caso di vertigine parossistica posizionale invalidante (18) è stato proposto come alternativa alle tecniche operatorie precedenti, anche se il follow-up piuttosto limitato impedisce di formulare conclusioni definitive. Il risultato operatorio, oltre che dal rapporto fornito dal paziente, può essere valutato oggettivamente attraverso lo studio dei VEMP che rivelano una normalizzazione della soglia di attivazione in tutti i casi trattati chirurgicamente (Figura 8).
Ad esempio, nel 58% dei casi studiati da Minor (12) è stato sufficiente raccomandare ai pazienti di evitare le condizioni che sono più facilmente causa dei disturbi. Per i rimanenti (eccetto un caso in cui l’approccio operatorio si è limitato all’applicazione di drenaggi trans-timpanici per il ripristino della pressione nell’orecchio medio) il trattamento chirurgico è risultato più complesso dovendo prevedere un accesso all’area attraverso la fossa media. Due sono state le tecniche adottate per il ripristino della parete deiscente: il resurfacing e il plugging del canale (Figura 7). In entrambi i casi, il dominio sui sintomi debilitanti è stato completo con una preferenza per la prima metodica, se non altro per il rispetto della fisiologia canalare.
OSSO DEISCENZA
A
CANALE Innesto osseo
Lamina fasciale
B CANALE
Occlusione
Innesto osseo
COMPRESSO
Lamina fasciale
C CANALE INTEGRO
Figura 7. Descrizione grafica della deiscenza del canale semicircolare superiore e delle principali tecniche operatorie mirate al dominio sintomatologico. A: deiscenza ossea che domina sulla componente membranosa del labirinto; B: occlusione del canale semicircolare superiore ad opera di polvere d’osso e lamina fasciale; C: ricostituzione della parete canalare per mezzo di un innesto osseo protetto da lamine fasciali (da Minor LB, et al., Acta Otolaryngol Head and Neck Surg 1998, modificata).
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h23 100 dB 95 dB
100 dB 95 dB
p 12
90 dB
90 dB
85 dB
85 dB
5 ms
B
50 µV
50 µV
A
h23 p 13
5 ms
Figura 8. Tracciati VEMP in paziente sottoposto a plugging del canale semicircolare superiore. A: il tracciato rivela un’abnorme sensibilità del vestibolo agli stimoli sonori; B: a seguito dell’intervento chirurgico, gli stessi appaiono normalizzati (da Brantberg K, et al. Acta Otolaryngol 2001, modificata).
Conclusioni Da questo lavoro emergono alcune implicazioni. 1. Si conferma la validità della prima legge di Ewald, che si esprime come piena concordanza tra l’orientamento spaziale del canale semicircolare superiore e il piano di movimento oculare durante l’eccesso nistagmico. 2. L’osservazione semeiologica del nistagmo risulta essere ancora l’arma per eccellenza nell’identificazione del canale semicircolare affetto dalla patologia, sebbene l’indagine tomografica computerizzata possa ricostruire visivamente le caratteristiche anatomiche della lesione ossea, e lo studio dei potenziali miogenici arricchisca di contenuti la diagnosi. 3. L’osservazione corretta del movimento oculare dovrebbe avvenire in assenza di fissazione; e questo è possibile unicamente attraverso l’impiego della videooculoscopia ad infrarosso.
4. Pazienti con lesioni ossee superiori a 5 millimetri presentano di fatto, anche in periodi di quiescenza, un deficit periferico di lato, il cui meccanismo sembra imputabile alla compressione della porzione membranosa del labirinto ad opera della dura madre, con conseguente ostacolo al normale deflusso dell’endolinfa. Informazioni ulteriori a questo proposito, potranno emergere solo dai follow-up, che attualmente risultano troppo brevi per fornire dati definitivi, specialmente riguardo al trattamento chirurgico.
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La deiscenza del canale semicircolare superiore: una nuova entitĂ clinica
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otoneurologia 2000 | numero 15 | settembre-dicembre 2003
LA “FISIOLOGIA” DELL’ACUFENE Leonardo Manzari Specialista ORL, Socio A.I.O.L.P - Cassino (FR) E-mail: vestibologia@libero.it
Introduzione L’acufene (dal greco ακουσισ: cosa udita e ϕαινειν: apparire) è una sensazione uditiva reale la cui origine non ha riscontro in una sorgente sonora proveniente dall’ambiente esterno. Vengono definiti acufeni oggettivi quelli che avendo origine al di fuori dell’orecchio, possono essere percepiti anche dall’esaminatore; i soggettivi sono invece percepiti esclusivamente dal soggetto che si sta valutando. Statisticamente, l’1% degli acufeni è rappresentato dagli oggettivi, mentre il restante è costituito dai soggettivi. Gli acufeni oggettivi sono per lo più dei rumori di origine vascolare, tubarica, muscolare e articolare trasmessi al recettore uditivo per via ossea, e quindi in grado di stimolarlo fisiologicamente. Sono in effetti rumori che il soggetto avverte con carattere pulsante e tonalità grave. Gli acufeni soggettivi sono invece percezione sonora in assenza di stimolazione, appunto, fisiologica dei recettori cocleari. Sono in effetti provocati dall’attivazione abnorme di un tratto delle vie acustiche, hanno per lo più tonalità acuta e sono quasi sempre (93%) accompagnati da ipoacusia. L’acufene è una sensazione sonora che può risolversi spontaneamente: acufene acuto; oppure persistere nel tempo: acufene cronico.
Il sintomo “acufene” è clinicamente difficile da classificare, difficile da riferire a sicuri criteri etiopatogenetici e risente sicuramente di fattori emotivi e dello stato psichico del paziente. Nella fattispecie, risulta manifesto come la risposta da parte del soggetto dal punto di vista “emotivo” risulti spesso esagerata, anche in relazione all’intensità dell’acufene determinata con metodiche acufenometriche. Notevoli limitazioni per il ricercatore e per il clinico attualmente risiedono nella difficoltà, se non nell’impossibilità, di ottenere una misurazione oggettiva affidabile. Una registrazione di acufeni soggettivi sotto forma di otoemissioni acustiche si può ottenere, infatti, solo nel 4% dei casi. Si possono così ben comprendere quali siano le difficoltà nel monitoraggio dell’evoluzione del sintomo, sia essa spontanea che farmacologica, ma anche nel costruire protocolli di ricerca e di gestione delle risorse terapeutiche. L’8° paio di nervi cranici possiede all’incirca 30.000 fibre, ciascuna delle quali esplica un’attività elettrica quasi continua, in simbiosi con quella delle altre fibre che costituiscono la corteccia uditiva detta anche memoria uditiva. La coclea, parte integrante dell’orecchio interno, adegua le onde sonore che riceve in questo pattern elettrico, in maniera continua e in effetti la coclea è un “luogo” dove sorprendentemente c’è rumore continuo!
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La “fisiologia” dell’Acufene
Tuttavia, tale attività meccanica ed elettrica svolta dalle sue 17.000 hair cells è monitorabile mediante le otoemissioni acustiche. La maggior parte di quello che noi sentiamo giornalmente è una sequenza di suoni diversi, come, ad esempio: parole e musica. Durante la prima infanzia, le nuove esperienze sonore sono stoccate nella memoria uditiva in una crescente sete di informazione da parte della corteccia uditiva. Più tardi esordisce un processo continuo di comparazione tra i modelli mnesici e quelli che provengono dall’orecchio. Di volta in volta, il modello uditivo che proviene dall’orecchio è comparato con il modello corrispondente presente nella “memoria uditiva”. In tal modo noi abbiamo coscienza dell’udito e riconosciamo il suono. In buona sostanza, comparando queste esperienze tra loro, comincia una sorta di processo di valutazione. Un’altra parte del cervello, invece, differente dall’iniziale centro dell’udito, è coinvolto nella comprensione di quello che noi sentiamo ed è altresì coinvolta nell’interpretazione del linguaggio. In altre parole, se noi sentiamo parlare uno straniero, udiamo il suono delle sue parole ma non ne comprendiamo il significato.
Suono: che significato riveste nella nostra vita? Il suono è di enorme importanza nel monitoraggio del nostro comportamento. Udire per gli animali (che vivono in costante pericolo di vita temendo gli attacchi dei predatori) costituisce una peculiarità specifica e molto raffinata. La peculiarità degli animali di sviluppare un raffinato sistema uditivo, dal quale dipende in larga misura come detto la loro esistenza, contribuisce alla sopravvivenza della specie. Questi segnali di paura producono elevati livelli di stress, determinando come rea-
zione la messa in moto di comportamenti atti ad evitare gli attacchi, il cosiddetto “riflesso di sopravvivenza”. Ebbene noi ci comportiamo allo stesso modo degli animali se, durante una passeggiata, udiamo all’improvviso il clacson di un grosso camion. Immediatamente, anche senza vederlo, provvediamo a raggiungere il primo marciapiede. Molti suoni, possono essere identificati come segnali di pericolo; altri, di contro, possono evocare un sentimento di sicurezza e/o piacere. Noi sperimentiamo queste sensazioni ogni giorno, con i suoni che ci allarmano o con quelli che ci procurano sensazioni piacevoli, come la musica o il suono della natura. Molti suoni, naturalmente, ci rievocano forti emozioni di un tipo o di un altro.
Riflessi condizionati Allorquando un suono riveste per noi un significato critico oppure speciale, come il pianto di un bambino di notte, oppure il rumore di passi nella nostra camera da letto, oppure il suono della pronuncia del nostro nome, noi mettiamo in atto una serie di risposte automatiche, anche se il livello sonoro di quello che udiamo è molto basso. Non c’è bisogno in realtà che quello che noi udiamo sia un segnale di lunga durata, la risposta è la stessa per tutta la durata della nostra esistenza. Durante il sonno, invece, la parte “cosciente” del nostro cervello è “staccata” in maniera tale, da non permetterci di sentire, di vedere o provocare alcunché. Tuttavia, la madre, anche se è nel sonno più profondo, può accorrere al capezzale del neonato che piange disperato (in effetti, è ciò che vuole il piccolo!). Questo sta a significare che in realtà ella ha udito il pianto del figlio.
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Dunque un piccolo campione di suoni, se di grande importanza per la nostra esistenza, può essere trasportato da fibre che occupano un livello subconscio nei percorsi del suono verso la corteccia uditiva, tra il recettore periferico (l’orecchio) e il cervello (corteccia uditiva). Le risposte condizionate stimolano altresì l’attività “al di sotto” della corteccia uditiva, laddove esiste un gran numero di connessioni tra l’orecchio e il sistema limbico che, come sappiamo, riveste una grande importanza nel determinare il livello di coscienza dell’apprendimento e dell’emotività. È chiaro altresì, come risulti attivato anche il sistema nervoso autonomo che mira a condizionare le risposte del corpo, preparandolo ad ogni eventualità! Significa, perciò, che vengono messi in moto tutta una serie di risposte involontarie – tensione della muscolatura, aumento del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, sudorazione, ecc. – che rappresentano l’esatto opposto di un comportamento che si tiene in una vita di relazione. Infatti, gran parte della nostra attività quotidiana prevede un adattarsi continuo ad una serie sempre diversa di risposte condizionate o comportamenti appresi come, ad esempio, leggere, scrivere, guidare la macchina… In tal modo, ogni singolo suono che noi udiamo e di cui comprendiamo il significato, come se fosse contrassegnato da un’etichetta, può modificare di volta in volta il nostro comportamento, a seconda di come ci sentiamo e del contesto in cui sentiamo e percepiamo questi suoni.
Il significato dell’acufene Nel 1953 Heller e Bergman dimostrarono un semplice e classico esperimento. Essi riunirono 80 individui che non presentavano acu-
feni né oggettivi né tantomeno soggettivi (erano tutti dipendenti universitari). Successivamente li invitarono ad entrare, uno alla volta, in una stanza acusticamente isolata per cinque minuti, chiedendo loro di riferire di eventuali suoni che avessero percepito. I soggetti subito pensarono di essere sottoposti ad un test audiometrico, ma in effetti sperimentarono cinque minuti di assoluto silenzio. Il 93% dei soggetti riportò di aver percepito rumori e suoni ronzanti, pulsanti e sussurrati nella testa o nelle orecchie, allo stesso modo dei soggetti sofferenti di acufeni. Questo semplice esperimento dimostra come ognuno dei soggetti non sofferenti di acufeni potesse in realtà avere una sorta di background di attività elettrica presente in ogni singolo neurone del pattern uditivo come un suono. Quantunque molte aree della corteccia uditiva possano essere più attive rispetto ad altre, ogni neurone contribuirà in qualche modo alla percezione definitiva dell’acufene. Questi segnali elettrici non sono in realtà l’evidenza di una lesione, ma rappresentano un’attività che definiremo compensatoria, che interviene in ogni momento nella corteccia uditiva di ognuno di noi. Il compenso può intervenire come una risposta alle variazioni nel nostro ambiente sonoro (ad es. il silenzio) fino alla situazione di perdita uditiva che rientra in un normale processo di invecchiamento del nostro organismo (ad es. presbiacusia) o all’esposizione ad una forte sorgente sonora fonte di rumore. È suggestivo pensare che i “suoni” (acufeni) prodotti da questa attività compensatoria altro non siano che la “musica del cervello”. Studi che coinvolgono gruppi di soggetti che abbiano sperimentato un acufene persistente hanno dimostrato come circa l’85% degli stessi non trovano il sintomo disabilitante, disturbante nelle attività quotidiane o potenzialmente fonte di un disturbo ansioso. La ragione di ciò in realtà non è
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La “fisiologia” dell’Acufene
molto chiara, dal momento che la qualità o l’intensità dell’acufene è differente da soggetto a soggetto! Le differenze principali consistono nel fatto che i pazienti descrivono l’acufene come un fastidio, lo percepiscono e lo valutano come una minaccia oppure una “seccatura”, piuttosto che qualcosa di poco conto o di nessuna conseguenza. In questa condizione, l’acufene è classificato come un segnale di pericolo, correlato con una pessima esperienza (classico condizionamento di Pavlov) o con pensieri negativi circa il significato e la proiezione futura del sintomo acufene. E in effetti, il paziente si comporta come l’animale che si allarma per un rumore provocato dal passo di un predatore che si avvicina. Egli associa a quel rumore e alla sua percezione la propria sopravvivenza; così coloro i quali considerano e ritengono l’acufene un pericolo oppure un segnale di pericolo sono incapaci di fare qualunque cosa, se non di rimanere ad ascoltarlo!
L’acufene non è altro che un riflesso condizionato In caso di acufene persistente, il paziente mette in atto una risposta condizionata: proprio come la risposta condizionata che è relativa alla parte del cervello deputata alle reazioni di livello subconscio e automatiche. Quello che possiamo pensare riguardo l’acufene è assolutamente irrilevante, ai fini della risposta che si produce. È la reazione del soggetto all’acufene che provoca disagio, non l’acufene in quanto tale. La severità dell’acufene è determinata dal livello al quale vengono prodotte sensazioni spiacevoli (sistema limbico) e da quello al quale la tensione emotiva si accresce (sistema nervoso autonomo). L’intensità e la qualità del suono udito sono irrilevanti! Quando compare l’acufene esso è un nuovo segnale, non esiste memoria, e non ci sono
modelli mnesici per classificarlo. Ogni nuova esperienza produce una “risposta di orientamento”, quando siamo costretti a porvi attenzione, fino a che il nuovo segnale non venga classificato e decodificato. Fintanto che non sia stata effettuata una giusta valutazione di ciò che l’acufene rappresenta, quest’ultimo sarà visto con grande sospetto. Molti pazienti presentano come risultato di questo meccanismo di orientamento un blando fastidio, ma è necessario per promuovere la necessità di richiesta d’aiuto. Una tipica risposta ansiosa è “potrà peggiorare?” oppure “che cosa accade se rimane per sempre?”. Per molti pazienti l’acufene è poco minaccioso. Alcuni invece temono che l’acufene significhi in qualche modo l’esordio di una grave malattia. Altri ancora sono convinti che l’acufene rappresenti un danno permanente per l’orecchio interno, piuttosto che una temporanea messa a riposo di un’attività. Ci sono infine pazienti che sono preoccupati circa la possibilità di poter sviluppare un tumore cerebrale, un ictus cerebri oppure qualche seria malattia mentale (“mi farà diventare matto!!!”). Molti pazienti invece giungono all’osservazione riferendo che temono che l’acufene divenga più intenso, oppure che continui per sempre e che non possa essere curato. Insomma, il concetto che l’acufene stia invadendo il proprio diritto al silenzio costituisce una minaccia proprio come quello che accade agli animali che subiscono l’invasione del proprio territorio. Si ha spesso paura che l’acufene continuerà ad interferire con la pace e la quiete, che possa interferire con la concentrazione sul posto di lavoro, con il proprio tempo libero e con la capacità di addormentarsi la sera. Sfortunatamente, queste paure possono essere amplificate da una consulenza specialistica o dalle credenze ampliamente diffuse tra i pazienti. Molti medici e/o altre figure professionali purtroppo ancora “sentenziano” che non ci sono rimedi contro l’a-
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otoneurologia 2000
cufene e che esso, quando insorge, purtroppo accompagnerà il paziente per tutta la vita. Altri pazienti invece temono che l’acufene non abbia altro significato se non che il proprio udito stia diminuendo. L’acufene può essere la conseguenza di una grave perdita dell’udito, ma può anche coesistere con una buona capacità uditiva. In ogni caso, la qualità di trattamento dell’acufene dipende, non tanto paradossalmente, dalle modificazioni strutturali che possono o non possono intervenire.
Acufene come stato fobico In alcuni pazienti, che sono terrorizzati dall’aver sperimentato la percezione del sintomo acufene, si evidenzia un vero e proprio stato fobico molto simile alla aracnofobia oppure alla paura per gli spazi angusti o alla paura del volo… Tale stato fobico influenza anche le capacità lavorative del soggetto.
Attualmente, molti pazienti che lamentano acufeni sono molto insoddisfatti circa le terapie loro proposte, riferiscono carenze terapeutiche oppure lamentano risposte insufficienti dopo una consulenza specialistica!
Con tali presupposti teorici si è imposto di recente il trattamento desensibilizzante della Tinnitus Retraining Therapy (TRT) (Figura 1). In realtà il paziente viene portato ad affrontare l’oggetto che incute timore, imparando prima a tollerarlo e poi ad accettarlo, come se fosse un fenomeno del tutto normale che non può e non deve in nessun modo minacciarlo.
Il circolo vizioso dell’acufene e livelli di interferenza della TRT
Disagio, dolore e stress
Tensione Terapia del rilassamento
Insonnia
PAZIENTE CON ACUFENE
Intolleranza e ansia
Stanchezza Peggioramento dell’acufene Eccessiva attività fisica e mentale
Stress
Acufene
Figura 1. Il trattamento desensibilizzante della Tinnitus Retraining Therapy (TRT) può intervenire a vario livello nel determinismo del circolo vizioso che si instaura in pazienti con acufene (adatt. da Sirimanna e Stephens, 1992).
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La “fisiologia” dell’Acufene
Fino ad oggi l’approccio terapeutico al soggetto con acufeni è stato affrontato spesso in modo separato da otoiatri, audiologi, protesisti, medici di base, psichiatri e altri specialisti, con esiti giudicati come detto dai
pazienti insoddisfacenti, ma riconosciuti tali anche dalla classe medica. Data l’eterogeineità della patogenesi (Tabella 1 e 2) sarebbe ingenuo e semplicistico ricercare una terapia che possa essere efficace
TABELLA 1. Cause di acufene soggettivo
Acufene soggettivo CAUSE RICONOSCIUTE DI ACUFENE SOGGETTIVO Congenite: atresia del CUE , malattie genetiche Infettive: otiteesterna, versamento endotimpanico Neoplastiche benigne: colesteatoma, tumori APC, ecc Cause otologiche di varia natura: esposizione al rumore, MdM, fistola perilinfatica Internistiche: anemia, ipertiroidismo, iperlipidemia, deficit Zn, ecc. Cause vascolari Turbe neurologiche: SM, emicrania, epilessia, etc. Traumi diretti e indiretti dell’orecchio e del cranio Neoplastiche maligne: orecchio e cranio (adatt. da Seidman e Jacobson 1996)
TABELLA 2. Cause di acufene oggettivo
Acufene oggettivo CAUSE RICONOSCIUTE DI ACUFENE OGGETTIVO Neoplasie orecchio medio Ipertensione Arteriosclerosi Aneurisma, loop vascolari Disordini cranio mandibolari? Cervicoartrosi? Mioclono palatale Ipertensione intracranica benigna Mioclono dell’orecchio medio (adatt. da Seidman e Jacobson,1996).
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otoneurologia 2000
nella maggior parte dei casi. Tale terapia a nostro avviso va semplificata e adattata al singolo paziente. Da quanto detto finora, una terapia troppo aggressiva ma anche una sottovalutazione dei problemi presentati dal paziente possono imprigionare quest’ultimo in un circolo vizioso (vedi Figura 1) e, alla
fine, renderlo un malato cronico con tutti i problemi che ne conseguono. Concludendo, nel ricordare i numerosi farmaci utilizzati nelle varie terapie farmacologiche proposte (Tabella 3), vorremmo sottolineare il ruolo svolto dal SNC nel meccanismo di “adattamento” al sintomo acufene proprio per il
TABELLA 3. Farmacoterapia dell’acufene Simpaticolitici
6 acetossi-timoxil-etil-amina
Calcio-Antagonisti
Nimodipina - Flunarizina - Cinnarizina
Ginkgo-Biloba Eparansolfato Ciclandelato Colinergici DMSO Acido nicotinico Antistaminici
Terfenadina
Agonisti istaminici
Betaistina
Anestetici locali
Lidocaina - Tocainide
Anticonvulsivanti
Carbamazepina - Fenitoina - Acidi ammino ossacetico
Ipnotici e sedativi (benzodiazepine)
Alprazolam
Agonisti del GABA
Baclofene
Agonisti glutaminergici
Acido glutammico
Antidepressivi (triciclici)
Memantina - Nortriptilina - Trimipramina
Diuretici osmotici
Glicerolo - Mannitolo
Prostagladine sintetiche
Misoprostol
FANS
Azapropazone - Aspirina
Terapia sostitutiva
Zinco - Vitamina B12
Omeopatia
D60
Nootropi
Piracetam (adatt. da Ottaviani et al. 2000)
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La “fisiologia” dell’Acufene
ruolo di “compensatore” che esso gioca. A tal fine, l’azione di farmaci nootropi (ad es. piracetam) che abbiano attività facilitante i meccanismi di plasticità e di adattamento neuronale, sarà senz’altro di ausilio nella personalizzazione della terapia. A tal proposito, ricordiamo il gruppo dei farmaci neurotrofici ad azione varia: citicolina, estratto di gingko biloba, glicerofosforilserina, liposomi di fosfolipidi, idebenone, L-acetil-carnitina, oxiracetam, piracetam.
Bibliografia – Hazell JWP. Models of tinnitus. Generation, Perception: Clinical Implications. In: Tinnitus Mechanism. J Vermont J.& A Moller (eds), Publ Allyn & Bacon, Boston 1995; 57-72. – Hazell JWP. Tinnitus as the manifestation of a survival-style reflex – an anthropological approach. Proceeedings of the 5th International Tinnitus Seminar Portland Oregon USA July 12-15. 1995; pp 579-582
– Hazell JWP. Support for a neurophysiological model of tinnitus: Research data and clinical experience. Proceedings of the 5th International Tinnitus Seminar. Portland Oregon USA July 12-15 1995; pp 51-57 – Jastreboff PJ. Phantom auditory perception (tinnitus): mechanism of generation and perception1990 – Mihail RC, Crowley JM, Walden BE, Fishburne J, Reinwall JE, Zajtchuk JT. The tricyclic trimipramine in the treatment of subjective tinnitus. Ann Otol Rhinol Laryngol 1988;97:120-3. – Motta G, Iengo M, Cassandro G, Motta G jr, Salzano F, Sequino L Gli anestetici locali. In: Gli acufeni. Relazione Ufficiale al LXX Congresso Nazionale do Otorinolaringoiatria e Chirurgia CervicoFacciale, 1983:248-76. – Motta G, Iengo M, Motta G jr, D’Angelo L, de Maio V, Salzano F. I Farmaci vasoattivi. In: Gli acufeni. Relazione Ufficiale al LXX Congresso Nazionale di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale, 1983:285-94. – Motta G, Iengo M, de Maio V, Motta G jr, Tranchino G. I Farmaci anticonvulsivanti. In: Gli acufeni. Relazione Ufficiale al LXX Congresso Nazionale di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale, 1983:277-84.
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POSTUROLOGIA: DALLA DINAMICA NON LINEARE ALLA TRANSDISCIPLINARIETÀ Fabio Scoppa Docente di Riabilitazione post-chirurgica, Corso di Laurea in Fisioterapia Coordinatore Scientifico e Didattico, Master in Posturologia I Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza” di Roma www.chinesis.org
Introduzione La posturologia, le cui origini vengono fatte risalire da Gagey al 1865 con “L’introduction à l’Etude de la Médecine Expérimentale” di Claude Bernard, vanta ormai una rimarcabile operatività clinica (1). Lungi dall’aver raggiunto una reale maturità scientifica, la posturologia ha comunque messo a frutto anni di esperienze cliniche e sperimentali, ricavando uno spazio significativo nella medicina attuale. Durante questo percorso evolutivo la posturologia è incorsa in errori epistemologici, concettuali, metodologici. Allo stato attuale della conoscenze è ormai possibile rilevare tali errori, che potranno da noi essere utilizzati come spunti di riflessione. Cos’è la postura Per postura possiamo intendere la posizione del corpo nello spazio e la relazione spaziale tra i segmenti scheletrici, il cui fine è il mantenimento dell’equilibrio (funzione antigravitaria), sia in condizioni statiche che dinamiche, cui concorrono fattori neurofisiologici, biomeccanici, psicoemotivi e relazionali, legati anche all’evoluzione della specie (2). Cos’è la posturologia La disciplina che si occupa dello studio scientifico e clinico della postura è la posturologia.
La posturologia può essere intesa come lo studio di un sistema dinamico non lineare effettuato in modo transdisciplinare. Il sistema tonico posturale Il controllo posturale è regolato da un sistema complesso paragonabile ad una scatola nera (black box), in quanto le funzioni di ingresso e di uscita sono note ma non ci è dato di conoscere con precisione i processi e le strutture neuroanatomiche che determinano la relazione input-output. Il sistema tonico posturale può essere inteso come un sistema cibernetico che rappresenti la funzione di questa scatola nera, non potendone conoscere le operazioni e le strutture al suo interno. Il funzionamento di sistemi complessi di questo genere è determinato in generale da: a. Caratteristiche dei componenti e dei sottosistemi (es. la soglia di stimolazione dei fusi neuromuscolari, la gamma di sensibilità dei recettori articolari, le caratteristiche del vestibolo). b. Modalità di interazione tra i componenti e quindi struttura delle connessioni (Figura 1) (3,4). c. Segnali di ingresso a livello delle entrate del sistema (piede, occhio, apparato muscolo-scheletrico…). Il sistema che sottende i meccanismi di controllo della postura e dell’equilibrio presenta alcune caratteristiche e alcune leggi (5,6,7,8).
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Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà
RECETTORI VESTIBOLARI
RECETTORI VISIVI
RECETTORI SOMATICI
NUCLEI VESTIBOLARI
FORMAZIONE RETICOLARE
Periferia
CERVELLETTO
CONTROLLO OCULO-MOTORIO
CONTROLLO MOTORIO-SPINALE
Tronco cerebrale
PERCEZIONE Corteccia
Figura 1. Connessioni a feed-back nel tronco cerebrale e nella corteccia (Scoppa, 1998, mod. da Herman et al., 1985).
Esso è: • complesso e circolare, in quanto formato da differenti sottosistemi non indipendenti ma interconnessi; • aperto, in quanto interagisce con l’ambiente; • causale, cioè necessita di un input per fornire un output; • tempo variante, in quanto le sue componenti cambiano valore nel tempo. Inoltre, i sistemi di questo tipo rispondono alle leggi che regolano i sistemi complessi: • Totalità: ogni componente il sistema è in stretta interconnessione con gli altri componenti; pertanto una modificazione di uno dei componenti, o sottosistema, comporta una modificazione di tutto il sistema. Ad esempio, una modificazione dell’ingresso propriocettivo podalico è in grado di modificare le forie oculari e l’equilibrio
occlusale, l’attività delle catene muscolari antigravitarie, le coordinate del centro di gravità, nonché la precisione e l’economia del sistema. A questa legge della totalità consegue la non sommatività (semplice somma delle attività dei singoli sottosistemi): la funzionalità del sistema tonico posturale è altro e di più della semplice somma delle funzioni dei singoli sottosistemi, per cui non è possibile ricavare informazioni sul tutto analizzando soltanto una singola funzione. • Equifinalità: in un sistema circolare e interconnesso, ciò che importa non è lo stato dei singoli sottosistemi, ma la modalità di comunicazione e di interazione tra gli stessi. Lo stesso risultato funzionale può essere ottenuto per mezzo di differenti modalità di interazione e di stato dei singoli sottosistemi. L’equilibrio posturale viene mantenuto usando differenti strategie sensoriali e motorie in differenti situazioni ambientali e in differenti soggetti.
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• Retroazione: per poter funzionare in modo efficiente, il sistema deve essere costantemente informato sul valore dei suoi output e dei suoi sottosistemi. In altri termini le stesse uscite del sistema ne rappresentano anche delle entrate. Gli effettori del sistema posturale, i muscoli antigravitari, sono al tempo stesso recettori che producono un input propriocettivo per controllarne l’adeguatezza e l’efficienza, mediante un processo di reafferentazione (vedi oltre). • Calibrazione: un sistema è stabile rispetto alle sue variabili (input) se queste si mantengono entro determinati valori. La legge della calibrazione esprime la tollerabilità del sistema alle variazioni ambientali a alle variazioni di stato dei suoi sottosistemi. È la calibrazione che ci spiega la variazione sintomatologica intra e interindividuale che spesso si osserva ad apparente parità di situazione fisiopatologica.
Il controllo posturale si compenetra in alcuni suoi aspetti al controllo motorio, nel senso che le reazioni statiche antigravitarie sono comunque una forma di comportamento motorio. D’altronde, l’intimo rapporto tra tono posturale e movimento è documentato dal fatto che non c’è alcun caso di coordinazione motoria patologica nel quale non si manifesti contemporaneamente una patologia del tono e che le strutture nervose implicate sono le stesse (es. cervelletto, nucleo rosso, nucleo pallido). In definitiva, ci si trova così di fronte al problema riguardante le modalità con cui il sistema nervoso centrale regola un atto motorio, sia esso tonico antigravitario sia esso fasico, oculomotorio o muscolo-scheletrico.
• Ridondanza: il sistema tonico posturale è un sistema polisensoriale (visivo, propriocettivo, esterocettivo…), in cui le informazioni sensoriali hanno frequentemente lo stesso significato informazionale. Il sistema è efficiente quando è in grado di selezionare, in ogni situazione, la/le informazione/i sensoriali più idonee a mantenere l’equilibrio posturale nel modo più corretto ed ergonomico. • Preferenzialità: il sistema tonico posturale è un sistema polisensoriale che integra informazioni visive, propriocettive, labirintiche: in ogni individuo, e ancora più specificatamente in ogni età dell’individuo, esiste una strategia sensoriale preferenziale. Ciascun individuo, in situazioni analoghe, utilizza questi canali sensoriali in modo differente. Avremo così individui che utilizzano soprattutto le informazioni visive, altri quello propriocettive, altri quelle labirintiche. È la prefenzialità che ci consente di capire la nota variazione sintomatologica interindividuale in rapporto con simili condizioni fisiopatologiche.
Figura 2. La stabilizzazione dell’arto portante avviene in senso disto-prossimale e ad essa sono essenziali i momenti rotatori su piano orizzontale che avvengono successivamente a livello articolare (Pisani, 1990).
Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà
Un primo fondamentale aspetto comune riguarda il processo di controllo dei numerosi gradi di libertà in eccesso, per cui la coordinazione motoria è stata definita l’organizzazione della controllabilità dell’apparato motorio (9). Il controllo posturale è un processo più di “tipo statico”, cioè con limiti di oscillazione molto ristretti, e pertanto la controllabilità dei gradi di libertà è molto più fine. La finezza delle oscillazioni posturali fisiologiche le pone teoricamente al di sotto della soglia di attivazione dei canali semicircolari, per cui nel sistema tonico posturale più che il vestibolo giocano un ruolo di primo piano l’oculomotricità e l’attività dei fusi neuromuscolari, in particolare di quelli plantari. Questa considerazione non deve lasciar intendere che esista una gerarchia dei recettori del sistema posturale. Sicuramente il piede svolge un ruolo di primo piano, in quanto rappresenta l’interfaccia del sistema con il suolo e dal quale, ad ogni appoggio, origina l’attivazione delle catene cinetiche in senso disto-prossimale (10) (Figura 2). Detto ciò, un modello teorico che preveda una classificazione tassonomica dei recettori posturali (piede, occhio…) a nostro avviso non può essere accettato (11). Le caratteristiche del sistema (totalità, equifinalità, preferenzialità…) e la sua non linearità, da un punto di vista concettuale, escludono un elenco gerarchico delle entrate posturali, cioè una classificazione in recettori primari e recettori secondari del sistema tonico posturale.
La dinamica non lineare La postura, nella sua essenza neurofisiologica, non è altro che una modulazione del tono. Tutte le alterazioni e le asimmetrie indotte da uno squilibrio posturale possono essere riconducibili ad una modificazione del tono posturale, cui corrisponde una modificazione degli equilibri biomeccanici.
Ma la sola lettura in chiave neurofisiologica e biomeccanica non può dare una reale visione d’insieme del controllo posturale: “…ridurre l’uomo a semplice gioco meccanico è condannarsi a non comprendere nulla di colui che ha difficoltà a mantenersi eretto…” (12). Accanto al modello interpretativo neurofisiologico e a quello biomeccanico, riteniamo pertanto necessario affiancare il modello psicosomatico, essendo la postura intrinsecamente legata alla vita emotiva del soggetto, al punto da esserne la più autentica espressione stessa per il mondo esterno (11,13,14,15). Questa chiave di lettura è sostenuta non soltanto in ambiente psicologico e psichiatrico, ma anche da autorevoli esponenti della medicina organicistica e dell’ortopedia, come testimoniano le parole di Cailliet (1991): “La postura è, in larga misura, espressione somatica immediata di emozioni, impulsi, regressioni. Noi stiamo in piedi e ci muoviamo come ci sentiamo, riflettendo consciamente o inconsciamente nell’atteggiamento esteriore la nostra condizione interiore, la nostra personalità, l’ambiente stesso in cui viviamo. La postura, insomma, è una vera e propria forma di linguaggio, una manifestazione autentica della natura umana e dell’Io individuale” (16). In definitiva, da cosa è condizionato il tono posturale? Storicamente, la posturologia ha messo in relazione una serie di input sensoriali con l’output, costituito appunto dall’equilibrio tonico posturale (Figura 3). Questa rappresentazione è essenzialmente di tipo lineare, secondo un modello di tipo associazionista input-output. I rapporti lineari possono essere rappresentati da una linea retta su un grafico e prevedono una proporzionalità tra i fattori. Contrariamente ai sistemi non lineari, che non possono essere sommati, i sistemi lineari possono essere scomposti e ricomposti: le componenti si sommano.
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INPUT
BLACK BOX
OUTPUT
SNC
Equilibrio tonico posturale
Afferenze – visive – podaliche – vestibolari – muscolo-scheletriche, ecc.
Figura 3. Il modello associazionista interpreta la postura come la risposta prodotta dal sistema nervoso centrale rispetto alle informazioni in entrata.
A nostro avviso, questo modello lineare deve essere definitivamente abbandonato, a favore di un modello che tenga conto delle interazioni neuropsicofisiologiche all’interno di un sistema complesso quale quello posturale.
La Figura 4 esemplifica questo modello sistemico. In questo tipo di modellistica i fattori psicoemotivi non sono considerati come uno dei recettori primari o secondari del sistema posturale, ma come il comune denomina-
Fattori psico-emotivi
input sensoriale Recettori del sistema posturale recettore podalico recettore oculare apparato stomatognatico recettore cutaneo apparato muscolo-scheletrico eccetera
– Programmazione centrale – Schema corporeo
output tonico posturale
• • • • • •
COMPUTER CENTRALE
reafferentazione
riadattamento sensoriale
Effettori del sistema posturale: muscoli Figura 4. Il sistema tonico posturale è un sistema di tipo cibernetico basato su complessi meccanismi di feedback e di feed-forward; i fattori psico-emotivi sono il comune denominatore che condiziona nel suo insieme questo sistema e che sottende l’atteggiamento posturale del soggetto nella sua globalità.
Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà
tore che sottende e condiziona l’atteggiamento posturale del soggetto nella sua globalità (2,11). Il sistema tonico posturale è un sistema di tipo cibernetico, autoregolato e autoadattato, capace di compensi e adattamenti anche a distanza, seguendo i principi dell’equilibrio, dell’economia, del confort. Un sistema cibernetico è un sistema di flussi di informazioni (17). Come accennato nel paragrafo precedente, questo sistema è formato da sottosistemi interdipendenti e regolato da servomeccanismi secondo una modalità olistica: il valore finale di un sistema dinamico è diverso e superiore rispetto alla somma delle sue componenti di base; quindi è altro e di più della somma delle sue componenti. Questa complessità non autorizza pertanto semplificazioni e parcellizzazioni arbitrarie: il sistema tonico posturale è un sistema complesso, ove ogni modificazione di una delle sue componenti implica una variazione delle altre ed un riadattamento del sistema nel suo insieme, secondo la legge della totalità. Pertanto in posturologia non siamo autorizzati a mettere in relazione diretta input e output: il rapporto tra stimolo e risposta si configura di tipo non lineare. Uno degli esempi clinici più eclatanti per capire questo principio ci viene offerto dall’auricoloterapia posturale (18). L’auricoloterapia posturale è la stimolazione a scopo terapeutico di uno o più punti auricolari altamente reflessogeni per il sistema tonico posturale. Un’informazione debole, subliminale, a livello dei punti riflessi auricolari del sistema tonico posturale può dare una risposta molto importante in termini di riequilibrio posturale e di riprogrammazione della strategia posturale adottata, assolutamente non proporzionale all’intensità dello stimolo somministrato (Figura 5 e 6).
Una piccola informazione può dare una risposta molto grande, in grado di modificare radicalmente la strategia posturale del soggetto. Ciò avviene non soltanto con l’auricoloterapia posturale; ad esempio, apponendo piccolissimi elementi di stimolo propriocettivo di 1-2 millimetri di spessore a livello plantare, possiamo assistere ad una importante modificazione degli equilibri posturali nel loro complesso. Per contro, una massiccia stimolazione può non dare un’altrettanto marcata risposta a livello tonico posturale, oppure non darne alcuna. Questi fenomeni trovano una loro spiegazione in quanto il sistema posturale è un sistema dinamico non lineare (1,19); lo stesso sistema nervoso centrale è un sistema non lineare per eccellenza (20). Nei sistemi non lineari gli effetti non sono mai proporzionali in modo lineare alle cause. Il sistema contiene delle interazioni che modificano i rapporti delle proporzioni. L’effetto di una certa causa è così il riflesso di queste interazioni. In un sistema non lineare, le interazioni appaiono pertanto più importanti delle cause stesse: da un punto di vista cibernetico, la postura può essere intesa come il frutto di una serie di interazioni polisensoriali, il cui fine è il mantenimento della posizione eretta antigravitaria nel modo più stabile, economico e confortevole. Pertanto nel malato posturale “è l’integrazione sensoriale di tutte le afferenze che concorrono al controllo della postura ortostatica che risulta deficitaria” (12). In altre parole, le interazioni e quindi l’integrazione centrale a livello della “black box” appaiono come il grande segreto del sistema posturale: sono le interazioni stesse ad essere causative. Alla luce di queste considerazioni, sembra opportuno dare avvio ad una riflessione critica e costruttiva sul problema dello schema corporeo (21) e dell’integrazione centrale delle afferente posturali.
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STABILOMETRIA AD OCCHI APERTI A. Prima di auricoloterapia posturale
RIASSUNTO DELLE GRANDEZZE CALCOLATE –5.4__20.2
Xmin Xmax Ymin Ymax FFTx
= = = = =
2.18 28.5 –35.9 –12.6 0.02
mm mm** mm mm Hz
Xmed D.S. Ymed D.S. FFTy
Lunghezza tot. traccia . . . . . Velocità mdia . . . . . . . . . . . D.S. velocità . . . . . . . . . . . . Superficie dell’ellisse 90% . Pendenza asse maggiore . . Asse minore . . . . . . . . . . . . Asse maggiore . . . . . . . . . . LFSaa = 0.55 LFSac = 0.45
= = = = =
12.38 mm 0.58 –26.32 mm 0.43 0.08 Hz
= = = = = = =
288.04 5.67 3.63 355.72 2.07 9.15 12.37
mm mm/s mmq** 0.0__280.0 grad mm mm
LFSba = 0.28 LFSbc = 0.25
I valori indicati con doppio asterisco sono fuori range. Range: Adulti - occhi aperti
Figura 5. Esame comparativo alla stabilometria ad occhi aperti prima (A) e dopo (B) trattamento di auricoloterapia posturale.
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Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà
STABILOMETRIA AD OCCHI APERTI B. Dopo auricoloterapia posturale
RIASSUNTO DELLE GRANDEZZE CALCOLATE Xmin Xmax Ymin Ymax FFTx
= = = = =
2.95 12.4 –56. –42.8 0.02
mm mm mm mm Hz
Xmed D.S. Ymed D.S. FFTy
Lunghezza tot. traccia . . . . . Velocità mdia . . . . . . . . . . . D.S. velocità . . . . . . . . . . . . Superficie dell’ellisse 90% . Pendenza asse maggiore . . Asse minore . . . . . . . . . . . . Asse maggiore . . . . . . . . . . LFSaa = 0.52 LFSac = 0.42
= = = = =
6.45 mm 0.18 –49.18 mm 0.27 0.08 Hz
= = = = = = =
217.07 4.27 3.63 69.47 85.69 3.87 5.71
mm mm/s mmq grad mm mm
LFSba = 0.25 LFSbc = 0.22
I valori indicati con doppio asterisco sono fuori range. Range: Adulti - occhi aperti
segue Figura 5. All’esame stabilometrico ad occhi aperti dopo trattamento di auricoloterapia posturale (B), si evidenzia un netto miglioramento dell’atteggiamento posturale globale, con variazione molto significativa delle coordinate del centro di pressione, con un recupero sia della precisione (riduzione della superficie) che del consumo energetico (riduzione della lunghezza).
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STABILOMETRIA AD OCCHI CHIUSI A. Prima di auricoloterapia posturale
RIASSUNTO DELLE GRANDEZZE CALCOLATE –22.3__5.9 –8.1__24.6
Xmin Xmax Ymin Ymax FFTx
= = = = =
–22.9 50. –59.6 –20. 0.02
mm** mm** mm mm Hz
Xmed D.S. Ymed D.S. FFTy
Lunghezza tot. traccia . . . . . Velocità mdia . . . . . . . . . . . D.S. velocità . . . . . . . . . . . . Superficie dell’ellisse 90% . Pendenza asse maggiore . . Asse minore . . . . . . . . . . . . Asse maggiore . . . . . . . . . . LFSaa = 0.45 LFSac = 0.37
= = = = =
8.59 mm 1.42 –37.49 mm 0.73 0.04 Hz
= = = = = = =
634.54 mm 12.49 mm/s 8.67 1592.64 mmq** 0.0__426.4 15.62 grad 17.16 mm 29.53 mm
LFSba = 0.29 LFSbc = 0.29
I valori indicati con doppio asterisco sono fuori range. Range: Adulti - occhi chiusi
Figura 6. Esame comparativo alla stabilometria ad occhi chiusi prima (A) e dopo (B) trattamento di auricoloterapia posturale.
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Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà
STABILOMETRIA AD OCCHI CHIUSI B. Dopo auricoloterapia posturale
RIASSUNTO DELLE GRANDEZZE CALCOLATE Xmin Xmax Ymin Ymax FFTx
= = = = =
1.31 8.91 –59.6 –38.2 0.02
mm mm mm mm Hz
Xmed D.S. Ymed D.S. FFTy
Lunghezza tot. traccia . . . . . Velocità mdia . . . . . . . . . . . D.S. velocità . . . . . . . . . . . . Superficie dell’ellisse 90% . Pendenza asse maggiore . . Asse minore . . . . . . . . . . . . Asse maggiore . . . . . . . . . . LFSaa = 0.55 LFSac = 0.45
= = = = =
5.11 mm 0.16 –48.94 mm 0.54 0.02 Hz
= = = = = = =
241.46 4.75 3.20 127.58 89.17 3.51 11.59
mm mm/s mmq grad mm mm
LFSba = 0.27 LFSbc = 0.23
I valori indicati con doppio asterisco sono fuori range. Range: Adulti - occhi aperti
segue Figura 6. Esame stabilometrico ad occhi chiusi dopo trattamento di auricoloterapia posturale (B). Le variazioni della stabilità posturale sono evidenti ad occhi chiusi come ad occhi aperti. Appare evidente che il paziente ha adottato una nuova strategia posturale, grazie ad una riprogrammazione a livello centrale.
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La dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali Nei sistemi dinamici non lineari, basati su queste interazioni, assistiamo ad un fenomeno chiamato dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali: piccole differenze in ingresso possono provocare rapidamente grandissime differenze in uscita; quindi, da piccole cause a grandi effetti (22). Questo fenomeno è stato documentato grazie allo storico studio “Deterministic Nonperiodic Flow” di Lorenz (1963): “Per quanto riguarda questi sistemi con soluzioni limitate si è riscontrato che le soluzioni non periodiche sono ordinariamente instabili rispetto alle piccole variazioni, percui stati iniziali leggermente differenti possono evolversi in stati considerevolmente diversi” (23). L’attinenza con i fenomeni osservati in posturologia è evidente. Una lieve exoforia di un occhio, un minimo precontatto occlusale, una piccola disfunzione articolare sono in grado di modificare considerevolmente l’equilibrio tonico posturale del soggetto. In auricoloterapia posturale una debolissima informazione elettrica o elettromagnetica dell’ordine di pochi ma a livello di un punto riflesso auricolare è in grado di produrre grandissimi effetti sull’equilibrio posturale, visibile sia all’esame clinico che stabilimetrico (vedi Figura 5 e 6). La dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali si traduce in quello che in meteorologia è noto come “effetto farfalla”: “può un battito di ali di una farfalla in Brasile determinare un tornado nel Texas?” (Lorenz, 1979) (24). In posturologia questa nozione “piccole cause-grandi effetti” è di importanza capitale. D’altronde, non è forse questo che ci ha insegnato Baron con la sua fissazione sulla finezza del controllo posturale, e quindi sull’effetto di alcune stimolazioni sul sistema posturale solo quando queste si mantengono al di sotto di una certa soglia?
Emblematica, al riguardo, la scoperta di Baron (1955) che una deviazione dell’asse visivo nei pesci e nei topi aveva un effetto sul tono posturale solo se questa restava inferiore ai 4°. Valori maggiori di 4° non producevano tali effetti (25). La dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali è una nozione che possiamo ritrovare nel folklore: Per colpa di un chiodo si perse lo zoccolo;/per colpa di uno zoccolo si perse il cavallo;/per colpa di un cavallo si perse il cavaliere;/per colpa di un cavaliere si perse la battaglia;/per colpa di una battaglia si perse il regno! (26). La dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali implica limiti evidenti di predizione e di prevedibilità a lungo termine. Già nel 1876 Maxell scriveva: “Quando lo stato delle cose è tale che una variazione infinitamente piccola dello stato attuale altera soltanto una quantità infinitamente piccola di quello futuro, lo stato del sistema a riposo o in movimento si dice stabile. Ma quando una variazione infinitamente piccola dello stato attuale può causare una differenza determinata in un arco di tempo determinato, la condizione del sistema è detta instabile. È evidente che l’esistenza di condizioni instabili rende impossibile la previsione di avvenimenti futuri se la nostra conoscenza dello stato attuale è solamente approssimativa e non esatta”. Il sogno newtoniano sembra non aver posto nei sistemi dinamici, come aveva intuito Poincaré (1908): “Una causa così piccola da sfuggire alla nostra attenzione può determinare un effetto considerevole che non possiamo ignorare; in una tale situazione noi diciamo che l’effetto è dovuto al caos. Se noi conoscessimo esattamente le leggi della natura e la situazione dell’universo nel momento iniziale, potremmo predire esattamente la situazione di quello stesso universo in un momento successivo. Ma quand’anche le leggi naturali non avessero più alcun segreto per noi, potremmo ancora conoscere la situazione solo in modo approssimativo. Se una tale conoscenza ci
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permettesse di predire la situazione successiva con la stessa approssimazione, questo è tutto ciò che chiediamo e diremmo che il fenomeno è stato predetto e che è governato dalle leggi. Ma non sempre è così; può infatti accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali producano un errore enorme in quelle successive. La predizione diventa impossibile…” (27). La difficoltà di prevedere a lungo termine è ben chiara se si pensa alla meteorologia: mentre può essere abbastanza attendibile una previsione atmosferica entro due o tre
giorni, diventa molto difficile fare una previsione precisa a lungo termine; quale metereologo saprebbe dirci con esattezza che tempo farà un certo giorno, in una certa città, tra un mese? La nozione di prevedibilità viene cosi abbandonata, ma non lascia il posto al puro caso. Il caos è ben altro della semplice casualità. L’intuizione di Lorenz è stata quella di identificare una struttura geometrica fine, una nuova sorta di ordine “camuffato da casualità” (23) (Figura 7).
Figura 7. L’attrattore di Lorenz: questa immagine magica, che assomiglia alla maschera di un barbagianni o alle ali di una farfalla, divenne un emblema per i primi esploratori del caos. Essa rivelava la struttura fine celata in un corso disordinato di dati.Tradizionalmente i valori mutevoli di una variabile potevano essere visualizzati nella cosiddetta serie temporale (in alto). Per mostrare graficamente i rapporti mutevoli fra tre variabili si richiedeva una tecnica diversa. In ogni istante nel tempo, le tre variabili fissano la posizione di un punto nello spazio tridimensionale; al mutare del sistema, il movimento del punto rappresenta le variabili che mutano in modo continuo. Poiché il sistema non si ripete mai in modo esatto, la traiettoria non interseca mai se stessa. Essa disegna invece di continuo nuove spire. Il moto sull’attrattore è astratto, ma dà il senso del moto del sistema reale (Gleick, 1987).
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Dalla superspecializzazione alla transdisciplinarietà Alla luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti, possiamo capire quanto siano inefficaci in posturologia quelle forme di riduzionismo tipiche della medicina moderna, in cui l’interesse principale è rivolto allo studio del sintomo e della malattia. In questo contesto la tendenza è stata quella della superspecializzazione in branche sempre più circoscritte del sapere medico, fortemente orientate agli aspetti strutturali e anatomo-patologici. In un sistema complesso, dove le interazioni giocano un ruolo di primaria importanza, questa modalità di indagine superspecialistica ha mostrato tutti i suoi limiti. La superspecializzazione, se da un lato ci ha permesso di sapere sempre di più di organi, apparati e parti del corpo sempre più piccoli e circoscritti, dall’altra ci ha fatto perdere la visione d’insieme, la visione del “tutto”, la visione olistica. Tale visione olistica può essere concretizzata con un approccio transdisciplinare, tipico della moderna posturologia. Il pensiero transdisciplinare si colloca nella grande mutazione del nostro tempo; esso rappresenta il ritorno ad un pensiero dove il reale ci appare come dei “livelli di realtà” (28). Un sistema complesso, non lineare, quale il sistema tonico posturale, non può essere scomposto e i singoli fattori non possono essere sommati, operazioni possibili invece nei sistemi lineari. Pertanto l’atteggiamento “analitico-sommatorio” tipico delle scienze mediche e biologiche, ossia scomporre e analizzare i fenomeni dividendoli in costituenti primari, ha messo in evidenza tutta la sua inadeguatezza in questo ambito. Del resto anche approcci pluri-disciplinari o inter-disciplinari non si sono rivelati del tutto adeguati.
È necessario dunque intraprendere la via della conoscenza unitaria attraverso la transdisciplinarietà. Infatti, rispetto al pensiero scientista e riduzionista, la transdisciplinarietà combatte la chiusura di una scienza senza coscienza, attraverso la convergenza delle conoscenze e delle discipline e le interazioni dei saperi che ritrovano la loro unione profonda (Camus, 1995) (29). Di fronte alla complessità del sistema posturale, la relazione tra le discipline deve esser tale che ciascuno specialista operi uno sforzo massimo per muoversi attraverso le discipline e al di là delle discipline, pur basandosi sulla propria competenza disciplinare. Le discipline stesse, una volta che si sono incontrate, non restano più uguali a sé stesse, ma modificano la propria struttura: “il reale atto della scoperta non consiste nello scoprire nuove terre ma nel vedere con occhi nuovi” (Marcel Proust). È la stessa teoria del caos che valica le linee di demarcazione fra le varie discipline scientifiche, essendo una scienza concernente la natura globale dei sistemi: “Il caos pone problemi che sfidano i modi accettati di lavorare della scienza. Esso avanza tesi forti sul comportamento universale della complessità” (26). Anche l’importanza che viene data alla funzione piuttosto che al dato anatomo-patologico, tipica della posturologia, trova una sua logica nella dinamica non lineare: il caos appare come una scienza di processo anziché di stato, di divenire anziché di essere.
L’approccio olistico Giova ricordare che “ogni atto medico è il risultato di una cascata di decisioni probabilistiche prese in una situazione di incertezza” (B. Grenier, 1989). Questa affermazione è molto pertinente anche in posturologia. Se poi teniamo a mente quanto detto nei paragrafi precedenti circa la non linearità e l’instabilità del
Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà
sistema posturale, possiamo renderci conto di quanto siano aleatorie alcune posizioni per così dire “integraliste” sull’argomento. A nostro avviso, più che offrire sicurezze effimere siamo piuttosto portati a fare alcune considerazioni che possono guidare la pratica clinica. Innanzitutto, ribadiamo la necessità di una posturologia clinica. La valutazione clinica resta la base fondamentale delle procedure diagnostiche e terapeutiche: “studiare la postura significa osservarla, la postura è una scienza di osservazione” (1). In secondo luogo, rileviamo come un sistema non lineare con grandi limiti di predittibilità dovrebbe suggerire un approccio clinico altamente prudente, nel rispetto del “primum non nocere”: “low-tech, high prudence therapeutic approach” (30,31) Il concetto, descritto in ambito odontoiatrico per il trattamento dei disordini temporo-mandibolari, può essere esteso a tutto l’ampio ambito della posturologia. In posturologia non abbiamo bisogno di alta tecnologia, ma di un atteggiamento terapeutico altamente prudente.
patia, il trattamento fasciale e connettivale. Tecniche di questo tipo sono inserite in programmi terapeutici integrati, quali: – Auricoloterapia e Terapia Manuale (32,33).
Il sistema tonico posturale, grazie a complessi meccanismi di feed-back e di feedforward, è un sistema auto-regolato e auto-adattato che entro certi limiti può correggersi da solo. Su questi principi si basano gli approcci terapeutici minimamente aggressivi e minimamente interventisti, quale l’approccio olistico. L’approccio olistico privilegia terapie agenti sulla globalità del sistema e sulle sue interazioni, rispetto alla semplice correzione localizzata dell’entrata posturale. Esso adotta criteri di prudenza nell’ortesizzazione, ne monitorizza costantemente gli esiti fin dopo lo svezzamento, e la inserisce in ogni caso in una terapia integrata.
• La terapia è una presa di coscienza (il livello corticale) La coscienza è la realtà primaria (E. Wigner, premio nobel per la Fisica), è il cuore dell’essere: come possiamo manipolare il sistema posturale dimenticandoci di ciò? Stiamo raddrizzando un trave di ferro che non è più dritto o stiamo interagendo con un essere umano, vivente e cosciente? A nostro avviso la presa di coscienza corporea rappresenta un punto fondamentale da non sottovalutare mai in un lavoro di riprogrammazione posturale (3).
L’approccio olistico utilizza terapie globali, reflessogene, sistemiche, quali l’auricoloterapia, la rieducazione posturale, l’osteo-
– Auricoloterapia e Kinesiterapia (18,34). – Solette propriocettive e Normalizzazione delle catene muscolari (35). – Biomeccanica e Bioenergetica (13, 36, 37). In ogni caso, la posturologia non può esaurirsi nello studio e nella correzione delle entrate posturali. Alcuni squilibri posturali evolvono, dopo la rieducazione, in recuperi impressionanti, il che presuppone una notevole plasticità neuronale. Il trattamento posturale cerca di consentire simili recuperi giocando sulla plasticità neuronale e sul fatto che le mappe corticali vanno incontro a modificazioni secondo l’uso che viene fatto delle vie sensitive periferiche (38). La terapia posturale non è quindi soltanto l’adozione di un bite o di una soletta propriocettiva, è molto di più.
• La terapia è un allenamento (il livello sottocorticale) I muscoli antigravitari e quelli a forte valenza protettiva, come i suboccipitali che vigilano sull’integrità del circolo vertebrobasilare, sono a comando sottocorticale. Sono di norma muscoli profondi monoar-
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ticolari responsabili di micromovimenti perlopiù involontari e automatici; è prevalentemente a questo livello che si hanno le reazioni toniche antigravitarie di origine sottocorticale. Un’alterazione posturale disfunzionale è in grado di cambiare l’attività del muscolo: in caso di dolore, di squilibrio posturale, di sindrome disfunzionale i muscoli responsabili di questi movimenti automatici vengono inibiti o il loro timing di attivazione viene ritardato.
soriale e la ridondanza sensoriale possono modificarsi ed evolvere grazie a processi di adattamento e di apprendimento.
Nella terapia posturale è pertanto importante prevedere un paziente lavoro di recupero di questi automatismi sottocorticali per ristabilire il corretto equilibrio tra muscoli agonisti, sinergici e antagonisti con preziosi effetti di stabilizzazione a livello articolare (34,39).
Il processo terapeutico può aiutare il paziente ad apprendere nuove attitudini e comportamenti e quindi nuove strutture cognitive, avvalendosi della capacità di riorganizzare le informazioni per individuare i percorsi alternativi più adeguati alla sua condizione patologica e di disagio: “Non ci sono nella mente umana strutture innate che semplicemente vengono ad esistere: tutte le nostre strutture mentali devono essere costruite” (44).
• La terapia è un apprendimento L’attitudine ad apprendere è una delle più singolari caratteristiche della specie umana. L’apprendimento è così profondamente insito nell’uomo da sembrare quasi involontario (40). Per apprendimento possiamo intendere “il processo con cui si modifica un’attività, reagendo ad una situazione incontrata” (41). In questa definizione possiamo individuare tre aspetti inerenti l’apprendimento: la processualità, la modificabilità, la reattività (42). Si ha un apprendimento quando si realizza un processo; tale processo origina in base alla reazione a delle informazioni o a degli stimoli e comporta una modificazione degli atteggiamenti e dei comportamenti. Il sistema che regola la postura e l’equilibrio può essere inteso come un sistema aperto di comunicazione e di apprendimento. Così come nel corso della vita si modificano e si evolvono le modalità di comunicare con l’ambiente e di apprendere dall’ambiente, così la preferenzialità sen-
In ambito terapeutico i processi di apprendimento possono giocare un ruolo non indifferente. La relazione tra riabilitazione e apprendimento è tale che, in definitiva, la riabilitazione può essere intesa come un “processo di apprendimento in condizioni patologiche” (43).
• La terapia è un approccio attivo Il movimento è vita, la vita è movimento. Il movimento nasce con l’uomo e ne caratterizza tutto il suo percorso fino alla morte. Spesso condizioni patologiche, dolorose, traumatiche comportano una riduzione del movimento, ma al contempo dobbiamo aver chiaro quante volte una riduzione o assenza di movimento favorisca l’instaurarsi di una condizione patologica. Ci riferiamo non solo ai macromovimenti, ma anche ai micromovimenti che avvengono in ogni parte del corpo: cellula, organo, tessuto, circolazione. La terapia deve mirare al recupero del movimento, ed utilizzare il movimento a scopo terapeutico: il movimento come mezzo e come fine, secondo i principi classici della cultura riabilitativa. Le tecniche terapeutiche devono mirare sia al recupero dei micromovimenti (terapia manuale, osteopatia), che dei macromovimenti (kinesiterapia).
Posturologia: dalla dinamica non lineare alla transdisciplinarietà
Un approccio attivo è testimonianza dell’importanza attribuita agli aspetti funzionali e al movimento. Il concetto chiave è che la percezione del dolore diminuisce quando la funzione fisica migliora (3).
Un esempio classico è quello del trattamento della lombalgia, ove il nucleo centrale nella gestione del paziente è passato dal riposo a letto alla riabilitazione e al recupero funzionale: un approccio attivo è essenziale per tutti i pazienti, compresi coloro per i quali è indicato l’intervento chirurgico. Al riguardo è sempre attuale il messaggio di Tissot: “Il movimento è spesso in grado di sostituirsi alle medicine, mentre qualsiasi medicina non potrà mai sostituirsi al movimento”. • La terapia è ristabilire un flusso di energia L’uso del termine energia nella medicina occidentale evoca facilmente atteggiamenti di scetticismo o di ostracismo. In effetti noi non siamo in grado di definire esattamente cosa sia l’energia; certamente sappiamo che è la capacità che possiede un sistema nel produrre un lavoro, e che il nostro organismo assorbe energia dal sole e dagli alimenti e la mobilizza con il movimento e le attività espressive. Un organismo sano è un organismo in cui vi è una buona circolazione di energia. Una persona affetta da depressione si riconosce per lo svuotamento energetico che caratterizza l’intero organismo: poca energia nella respirazione, nella mobilità, nell’espressività, nella sensorialità. Quando l’energia si concentra e si stabilizza in alcuni distretti corporei si parla di “blocco di energia” (45,46) o di “ritenzione di energia” (47). Sia che si voglia osservare il fenomeno da un punto di vista psicoemotivo o da un punto di vista biomeccanico, a livello cor-
poreo un blocco enrgetico corrisponde ad un anomalo stato di tensione cronica con tendenza alla retrazione dei tessuti ed inevitabili ripercussioni a livello microcircolatorio, con predisposizione alla stasi ematica e linfatica locoregionale. A livello psicologico un blocco energetico è una manifestazione difensiva dell’Io espressa a livello corporeo, ed è evidenziabile mediante un attento esame posturale e psicodiagnostico. Esso può essere trattato a diversi livelli: con tecniche manuali, quali l’osteopatia fasciale, che mirano ad una riarmonizzazione meccanica e ad una ripresa del funzionamento fisiologico; con terapie psico-corporee, quali l’Analisi Bioenergetica, che implicano un lavoro più profondo di presa di coscienza da parte del soggetto delle tensioni a livello corporeo e dei sottostanti vissuti emotivi che caratterizzano i blocchi energetici (13,14 45,46). • La terapia è una riarmonizzazione dei tessuti Questo aspetto della terapia è intimamente legato ai precedenti. Il movimento è l’espressione finale di micromovimenti che avvengono a livello cellulare, muscolo-fasciale, articolare. Il processo patologico è innescato o fortemente favorito nel momento in cui questo movimento viene ridotto, alterato, modificato o interrotto. A questa riduzione di movimento nel corpo corrisponde una modificazione tissutale in particolare a carico di quella sorta di “membrana vivente” che connette e integra il corpo intero: il tessuto connettivale. Il tessuto connettivale, che ricopre quasi il 70% dei nostri organi e apparati, per la sua modesta estensibilità è sede delle deformazioni più tenaci. È a questo livello fasciale che prende corpo il concetto di globalità funzionale, sequenzialità e consequenzialità, nel senso che anche una modesta alterazione si ripercuote sull’intera struttura.
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“L’energia è un’informazione in movimento e null’altro”. Questa affermazione, utilizzata da Tricot (47) per spiegare come nei fenomeni di retrazione tissutali sia presente un difetto di comunicazione e una ritenzione di energia, ci permette di collegarci al paragrafo precedente. La retrazione crea un fulcro non fisiologico, un “punto fisso” in rapporto al quale si organizza il sistema fasciale, che perturba la meccanica corporea nel suo insieme. Tale fulcro retraendosi attrae a sé i tessuti con cui è connessa, obbligando l’organismo a creare adattamenti e compensazioni (Figura 8). Si tratta di zone rigide e silenti in quanto caratterizzate da una propriocettività alterata e da una diminuzione della coscienza. Queste deformazioni, queste alterazioni, queste rigidità per certi aspetti possono essere intese come l’espressione di esperienze passate, traumi, stress, shock, sia di natura fisica che emotiva. Nel nostro corpo è inscritto il nostro passato: i tessuti hanno una loro memoria.
In particolare il tessuto connettivale rappresenta una forma di comunicazione per l’organismo, con una sua memoria psico-emotiva, morfo-funzionale, metabolica, vascolare. La memoria dei tessuti acquista importanza con la storicità e quindi con la cronicità del disturbo. Un’alterazione posturale che si è strutturata in decenni è di norma inscritta nella memoria dei tessuti in modo molto più radicale rispetto ad un disturbo comparso da pochi mesi. Una riprogrammazione posturale, che conduca ad un riequilibrio del sistema tonico posturale senza contemplare un lavoro sulla memoria dei tessuti, troverà inesorabilmente delle grandi resistenze meccaniche che rallenteranno od ostacoleranno il processo di recupero funzionale. • La terapia è un approccio integrato La logica transdisciplinare si traduce a livello operativo in un approccio diagnostico e terapeutico integrato. Pensiamo ad uno dei sintomi più comunemente presenti in caso di squilibrio posturale: il dolore.
Figura 8. Una zona che trattiene energia retraendosi attrae a sé altri tessuti (Tricot, 2002).
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Il dolore non è solo la percezione di un’afferenza nocicettiva; il dolore è un’esperienza olistica, altamente personale, che investe numerosi sistemi, dai tessuti periferici, al sistema nervoso, agli aspetti emotivi e cognitivi, ai processi di apprendimento. La tradizionale teoria della specificità, secondo cui l’intensità del dolore è proporzionale all’intensità del danno organico, appare del tutto inadeguata per capire questo fenomeno. Alla multifattorialità ed alla complessità delle interazioni che contraddistinguono il controllo posturale, l’approccio integrato tenta di dare una risposta con una terapia multifattoriale in un’ottica transdisciplinare; esso rappresenta una visione olistica sia della sofferenza del paziente che della strategia terapeutica per porvi rimedio (3). • La terapia è responsabilizzare il paziente Spesso i pazienti con affezioni croniche vedono il loro problema esclusivamente di natura organica e richiedono in genere una terapia antalgica, farmacologica o fisioterapica, oppure vedono in un ipotetico intervento chirurgico la speranza, spesso tragicamente delusa, della risoluzione sic et sempliciter del loro lungo travaglio. Di fronte a questo atteggiamento di deresponsabilità del paziente, che tende a delegare al farmaco, alla fisioterapia o alla chirurgia le sorti del proprio benessere, possiamo porre in essere una presa in carico globale della persona ed un processo di responsabilizzazione individuale. In questo senso, il paziente può essere sollecitato ad abbandonare il proprio atteggiamento di passività e di dipendenza a favore di un coinvolgimento sempre più attivo, responsabile ed autonomo nella dialettica terapeutica. Possiamo responsabilizzare il paziente mediante un lavoro attivo e cosciente sul
proprio corpo, stimolando la capacità di comprendere il proprio problema e favorendo altresì significativi cambiamenti comportamentali, a cominciare dalle abitudini motorie e posturali quotidiane e dalle reazioni al dolore ed allo stress (3). • La terapia è una relazione Ancora una volta, vogliamo sottolineare il ruolo primario della relazione terapeutica nel processo di recupero e di guarigione. La relazione terapeutica, e quindi il legame privilegiato di fiducia tra paziente e terapeuta, sono alla base del processo di adesione e coinvolgimento del paziente nel processo terapeutico. Senza patient’s compliance è molto difficile fare una buona terapia. In quest’ottica, nel processo terapeutico entra prepotentemente in gioco il terapeuta come persona, con le sue qualità umane, e non solo con l’adeguatezza delle tecniche che utilizza, e con le proprie capacità di accoglienza, accettazione, comprensione e sostegno di colui che soffre. Al riguardo è sempre attuale l’insegnamento di Balint (1957): il medico come medicina; non è tanto la terapia che guarisce, ma il terapeuta, non solo con la sua competenza tecnica ma piuttosto con le sue qualità umane e la sua energia profusa a favore del processo terapeutico (48).
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