SAN GIUSEPPE MARIA TOMASI TEATINO (03.01.13 Palma di Montechiaro) Nella presentazione del libro di P. Giovanni Mattoni, Nei Sentieri della Sapienza (1986), il Cardinale Salvatore Pappalardo sintetizza così la figura del Tomasi: “Uomo di preghiera contemplativa e profondo studioso …, trovava nella sua stanza povera e disadorna quello che da sempre aveva desiderato: povertà, solitudine, tanto silenzio, molto spazio per lo studio, la riflessione e la preghiera” (c.s. pag. 7). Questo è “… l’uomo di Dio, che visse con fedeltà esemplare la vita di religioso e fu ricercatore colto e appassionato… Il suo amore per la Sacra Scrittura, per la Chiesa, e quindi per Cristo… possono… metterci, come lui, nell’umile atteggiamento del discepolo che scruta con attenzione la parola di Dio” (Ibidem). In questa breve scheda del Cardinale Pappalardo, noi incontriamo il “teatino” autentico. In Los Teatinos di p. Antonio Oliver, da pag. 22 a pag. 25, viene trattato, specificamente, l’origine di questo nome, la sua evoluzione e le implicanze nella storia della spiritualità. L’autore, citando il P. Veny, S. Cayetano, p. 309, dice: “Lo spirito dei teatini disegnava un profilo dai contorni ben definiti, che li distingueva tra tutti per il loro amore al raccoglimento, il loro atteggiamento tranquillo, ed un alone di sereno ottimismo, proprio di chi vive confidando nella tutela amorosa della Provvidenza di Dio. La diffusione di questo spirito fu così rapida e universale che, presto, in Italia e al di fuori di essa, la parola teatino fu sinonimo di devoto, pio, riformato … A chi fa professione di vita spirituale gli si da’ il nome di teatino”. Fu così con San Carlo Borromeo, fu così con Santa Teresa d’Avila. Riguardo al primo, lo stesso zio, il Papa Pio IV, se ne lamentava poiché riteneva che le cose che faceva il nipote nella nuova vita intrapresa erano “cose di teatini e fantasie malinconiche”; mentre la santa spagnola, scrivendo a donna Luisa de La Celda (maggio 1568) le diceva: “siamo d’accordo che venga una donna molto teatina e che la casa le dia da mangiare, e che insegni alle ragazze a lavorare gratis”. C’era, ovviamente, e non poteva essere diversamente, chi disprezzava questo modo di vivere e di essere. Pietro l’Aretino, per esempio, ha parole durissime a riguardo: “La cosa peggiore che ad una persona possa accadere è quella di farsi chietino… che il premio che ci si aspetta da Dio non dipende né dal poco parlare, né dall’andare con gli occhi tristi, né dal trascinare un abito logoro” (Vedi Paschini, San Gaetano, p. 150-151). E aveva ragione l’Aretino: quello non è il teatino. Il teatino ha un’altra statura. Quella dei suoi santi. Compreso il nostro san Giuseppe Maria Tomasi. Il “teatino” non è apparenza. In questo caso tradirebbe la sua vocazione e il suo carisma: Cercare “prima di tutto il Regno di Dio” (Mt. 6,33), “vivendo in communi et de communi” in sintonia integrante gli uni con gli altri. Anche il nostro santo, forse con qualche forzatura, si è portato, e forse ancora ne rimangono residui, la nomea di uomo “malinconico”, “chiuso”, “schivo”. La realtà l’aveva sicuramente centrata la sorella Suor Maria Crocifissa che avrebbe voluto stanarlo dalla sua stanza perché si dedicasse di più alla “predicazione” e alle “confessioni”. La santa suora registrava, in lui, un eccesso di “scrupolosità” che, a volte, lo frenava nel proporsi agli altri. Ma quando l’ubbidienza lo chiama, lo vedremo più avanti, Giuseppe Maria risponde alla grande. Egli non si proponeva, non si faceva avanti, non esibiva i suoi titoli: era un uomo serio, che faceva le cose seriamente, che non si perdeva in inutili fronzoli; egli andava al cuore delle cose. Era, certamente, malaticcio, fragile fisicamente; ma refrattario a quelle perdite di tempo che lo distraevano dalla preghiera o dallo studio. A lui si addiceva alla perfezione, e lo viveva quotidianamente, l’adagio latino “age quod agis” – “fai bene quello che fai”. Lo aveva imparato fin