Valados Usitanos n. 107

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VALADOS USITANOS N.107 Semestrale di cultura, politica, economia, edito dal Centro Studi e Iniziative "Valados Usitanos"

COMITATO DI REDAZIONE Giuliana Armand Piero Barale Ivo Beolè Silvana Cortona Marziano Di Maio Massimo Garavelli Gianpaolo Giordana Fausto Giuliano

Hanno collaborato alla redazione di questo numero: Giuliana Armand, Ivo Beolè, Marziano Di Maio, Mario Fantino Grièt, Teresa Durbano, Gianpaolo Giordana, Fausto Giuliano, Costanzo Lorenzati, Maria Rosso

Copertina di Tom Cossolo

In copertina. Roaschia (Valle Gesso) in una cartolina dell’Archivio Valados Usitanos.

Stampato da: Tipografia Baima & Ronchetti, Castellamonte, Torino Pubblicazione ammessa al parziale finanziamento della Regione Piemonte ai sensi della L.R.26/90 e successive modificazioni e integrazioni


SOMMARIO - Editoriale.......................................................................................p. 2 - GIUSEPPE PASERI NEL RICORDO DI DUE REDATTORI DI VALADOS USITANOS……...............................................................p. 3 - UN PRIMATO DELL’ALTA DORA: DIECIMILA TOPONIMI D’OC di Marziano Di Maio………………..…….............p. 7 - ERBE E TERAPIE NELLA MEDICINA POPOLARE DELL’ALTA VALLE DELLA DORA di Giuliana Armand...........................................p. 13 - FRISE: IL CICLO DELLA VITA E IL CICLO DELL’ANNO di Maria Rosso....................…………………………………….…….p. 26 - BOVES. MANERE ‘D D‚ (modi di dire popolari – 3a parte) di Fausto Giuliano…......................................................................p. 65 - Proverbi e modi di dire di ROASCHIA di Mario Fantino GriÄt....................................................................p. 88 - DISCHI: “NUOVE NOTE DAL PASSATO” di Costanzo Lorenzati....................................................................p. 97 - LIBRI: “IL CHI† NELL’ALTA VALL’ELLERO” di Fausto Giuliano.........................................................................p.100 -Direzione: Gianpaolo Giordana – Ivo Beol‚ -Direttore responsabile: Marina Verna Anno XXXIX, 2ƒ, luglio - dicembre 2015 Autorizzazione del Tribunale di Torino nƒ 3096 del 10/11/81 Redazioni: Torino, Corso XI Febbraio, 27; Paesana, Via Crissolo 9 Indirizzo e-mail: valadosusitanos@libero.it Sito web:http://valadosusitanos.weebly.com/

Un numero: 8 € ; Abbonamento annuo: 15 €; Numero arretrato: 12 € Estero: 14 € ; Abbonamento estero: 17 €; Arretrato estero: 18 € c.c.p. nˆ 10430122 intestato a "Valados Usitanos",

Corso XI Febbraio, 27 - 10152 – TORINO

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EDITORIALE “Si chiude una fase storica” La citazione rimanda all’editoriale del numero dello scorso luglio di Ousitanio Vivo (l’ultimo, prima della cessazione delle pubblicazioni: ma si parla di una prossima riapertura, pur tra molte difficolt•). ‚ un momento di crisi per i periodici occitani. Nello scorso autunno anche la “Setmana”, importante foglio occitanista dello stato francese, ha lanciato una campagna di stampa volta a raccogliere un numero considerevole di nuovi abbonamenti: … in gioco anche l† la sopravvivenza del giornale. Proviamo allora a ritornare alla situazione di crisi della cultura occitana di circa dieci anni fa, descritta da Sergio Ottonelli nell’editoriale del numero 85 di V.U. (settembre-dicembre 2006). A causa dei costi di stampa proibitivi la libera ricerca culturale occitana faticava spesso a trovare uno sbocco: i comuni, le comunit• montane, le banche ostacolavano gli autori ‘liberi’ proprio perchˆ non strumentalizzabili a logiche di potere. A distanza di anni la crisi si ripete, ma questa volta coinvolgendo senza distinzioni autori 'liberi' e non... Per quanto non abbia senso parlare di fine della ‘fase storica’ delle vacche grasse per chi, come noi di Valados Usitanos, non ha mai avuto aiuti da poteri compiacenti, si avvicina anche per la nostra rivista (ma non … ancora

giunto con questo numero) il momento della chiusura dell'edizione cartacea per mancanza di finanziamenti. Oggi per‰, a differenza di dieci anni fa, chi vuole esprimersi liberamente ha a disposizione tutta una serie di strumenti tecnologici (siti, blog, newsletter, liste di discussione, posta elettronica, tablet, smart-phone, e-book) che gli consentono di farlo senza alcun costo. E quindi, esauriti i fondi che ci permettevano di pubblicare la rivista in forma cartacea, Valados Usitanos continuer• ma solo pi‚ in edizione 'elettronica'. L'ultimo abbonamento possibile alla rivista sar• quello per i numeri 108 e 109, dopo di che non sarƒ pi‚ necessario pagare il rinnovo perchˆ il Valados Usitanos elettronico sar• inizialmente gratis, ma sarƒ inviato in formato PDF solo a chi lo richiederƒ. Rimandiamo fin da ora ai nostri indirizzi internet ufficiali: http://valadosusitanos.weebly.com e valadosusitanos@libero.it per informazioni sulla diffusione elettronica. Dopo una fase di rodaggio, … nostra intenzione ripristinare anche per la futura edizione elettronica il versamento di una quota di abbonamento, che sar• devoluta ad organizzazioni che si occupano della difesa di popoli, lingue e culture.

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GIUSEPPE PASERI nel ricordo di due redattori di Valados Usitanos

Giuseppe Paseri con la moglie Isa Bogetti

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Juz„p, lu sendi dar M„l Il mio primo incontro con Giuseppe Paseri era avvenuto a Saluzzo, in un bar da noi battezzato “dei tre scalini”, il locale in cui si tenevano le riunioni di redazione nei nostri primi anni d’attivit•, prima di trasferirci in Piazza Risorgimento, ai Perp…in. La mia prima impressione, mai cambiata nel corso degli anni, fu che l’allora sindaco di Melle fosse una persona sobria, calma e riflessiva, misurato nei suoi interventi, mai sopra le righe. Al massimo, se doveva esprimersi su persone o azioni riprovevoli (e negli anni successivi non gli sarebbero di certo mancate le occasioni) il suo giudizio poteva diventare tagliente, in certi casi ironicamente tagliente, ma senza mai alzare il tono di voce, sempre in modo privo di aggressivit•. Questa sua calma lucida sapeva diventare convincente quando c’era da smussare qualche spigolo un po’ troppo puntuto o da convincere qualcuno ad attenuare i toni di uno scritto. Un uomo prudente? Certamente s†, ma anche molto onesto e irreprensibile nel momento in cui sentiva di dover prendere posizione, come quando, si era credo nel 1980, si schier‰ senza indugi con chi, Ottonelli, chi scrive e Giacomo Garino (altra persona sempre attiva nello smussare, ma molto ferma nel difendere determinati principi) proposero di fare muro all’arroganza ed ai colpi di mano di un gruppetto fazioso che tentava di impadronirsi di Valados Usitanos con un “tiro mancino, vale a dire portando strumentalmente nell’associazione una quantit• di neo-aderenti dell’ultima ora” in quantit• tale da sovvertire qualsiasi legittima maggioranza.. Juz„p si schier‰ senza indugi contro i “falsari” della situazione e mantenne ferma la barra del suo personale timone senza allontanarsi mai dalla rotta proposta da chi aveva “inventato” la rivista e intendeva continuare un cammino irto di difficolt• ma rettilineo per ci‰ che concerne i principi del rigore nella ricerca (e nella riproposta) e della volont• conclamata di contribuire a “conservare la memoria” di un mondo che, a dispetto delle pie illusioni di rinascita, di rivitalizzazione, di ripopolamento delle Valli, stava invece andando lentamente ad esaurirsi. Quante volte ricordo di averlo sentito intervenire con la consueta pacatezza su questo o quell’articolo per suggerire maggior moderazione, per attenuare un giudizio troppo tagliente o irrispettoso? Anni dopo, la salute gi• compromessa per entrambi, ricordo le tante telefonate riguardanti la pubblicazione del piŠ amato dei suoi lavori, “I nosti post”, l’egregia raccolta dei toponimi di Melle, il suo amato paese.

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Voglio aggiungere ancora alcune cose, gi• dette certamente da altri e da altri ancora sicuramente pensate: forse, benchˆ possa sembrare un bisticcio, … possibile definire Juz„p un moderato intransigente (su determinati principi che per altri potevano diventare carta straccia, lui era davvero intransigente), ma anche un uomo buono e onesto che per tanti anni … stato anche un buon compagno di strada lungo un percorso che spesso interpretavamo con modalit• differenti, ma sempre con curiosit•, attenzione verso il pensiero altrui e con disponibilit•. Ciau Juz„p, sabu ren ent„ sies anƒ, ma siu seg†r ke te trubaras b„n. Gianpaolo Quelle riunioni di redazione ai “tre scalini”… Anch’io come Gianpaolo incontrai Giuseppe per la prima volta ai cosiddetti “tre scalini”, il bar dove si tenevano le riunioni di redazione di Valados Usitanos. Devo dire che, durante quelle riunioni, provavo invidia per Giuseppe, per due motivi. Il primo era che quando Sergio Ottonelli, dopo la lunga chiacchierata fra i redattori su argomenti di attualit• (e dopo pettegolezzi vari…), faceva il consueto giro di domande pronunciando la fatidica frase: “A proposito, cosa fai per il prossimo numero?” io mi stringevo nelle spalle e biascicavo qualche idea su un eventuale “pezzo” che spesso veniva accolta con scetticismo (non sono mai stato un grande ricercatore, lo so…). Ma a Giuseppe quella domanda Sergio non la faceva, forse perchˆ lui godeva di una rendita di posizione dovuta al fatto che era il redattore piŠ anziano, o forse perchˆ Sergio aveva piena fiducia in Giuseppe, intuiva che stava facendo sicuramente qualche ricerca importante, anche se su che cosa fosse questa ricerca io personalmente l’ho scoperto solo molto tempo dopo, quando abbiamo aiutato Giuseppe a pubblicare I nosti post, un libro molto importante, il suo capolavoro (ne ho una copia con la sua dedica in calligrafia ordinatissima, ‘da maestro’) . Il secondo motivo per cui lo invidiavo era che l’occitano era la sua lingua madre, e a quei tempi ci si sforzava molto, in ambiente occitanista, di parlare questa lingua: si sentiva il piemontese come parlata ‘coloniale’ (ovviamente anche l’italiano, ma il vero confronto era con il piemontese), imposta nel corso degli ultimi secoli alle basse valli, la cosiddetta ‘zona grigia’, da cui provengo. Parlare l’occitano non era facile, e avevo deciso di provarci proprio con lui, perchˆ contavo sulla sua comprensione e sapevo che non avrebbe riso della mia goffaggine. E cos† effettivamente era: ma io verso la met• delle nostre

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conversazioni mi rendevo regolarmente conto della mia abissale ignoranza dell’occitano e cominciavo a scivolare sull’inviso piemontese: parlata coloniale, ma che conoscevo sicuramente meglio. Allora anche lui, rispettosamente, abbandonava l’occitano per il piemontese. A quel punto io, accorgendomi dell’assurdit• della situazione, cambiavo di nuovo rotta, passando decisamente all’italiano: finiva sempre cos†. Diciamo che l’occitano alla fine lo parlo sempre malissimo, ma mi … venuta questa curiosit• per i dialetti occitani (di Francia, Italia e Spagna) che mi porto dietro tuttora: in fondo devo tutto questo anche a Giuseppe… Ivo GIUSEPPE PASERI Nato a Melle il 25 agosto 1933, da genitori contadini (il padre Chiaffredo € morto nel 2007 a 102 anni di et•), Giuseppe si spos‚ il 2 agosto 1967 con Isa Bogetti di Venasca (da questo matrimonio sono nati tre figli: Luca, Anna e Paolo). Fino al giugno del 1975, Giuseppe aveva insegnato nelle scuole elementari della Val Varaita, prima – come supplente o con incarico annuale – esclusivamente nelle frazioni di Melle (a Pieg„, ai Bert, a Bouschirol, a Nourastra). Poi dall’autunno del 1967 (ormai in ruolo e sposato con Isa) in altri paesi della valle: Lemma (Rossana), Brossasco capoluogo, di nuovo a Melle in frazione Nourastra per tre anni. Di questo periodo Giuseppe aveva molta nostalgia: gli alunni di queste scuole di montagna erano bambini – tranne rari casi – tranquilli, educati. Quelli che abitavano in borgate lontane in certi casi facevano anche un'ora di cammino a piedi per raggiungere la scuola, dove si fermavano fino alle quattro del pomeriggio, ed era necessaria la vigilanza del maestro anche durante il pranzo. Con la nascita di Luca, i coniugi Paseri si stabilirono a Saluzzo, ma Giuseppe insegn‚ ancora per tre anni a San Maurizio di Frassino. Oggi le scuole elementari delle frazioni montane di Melle, Rossana e Frassino dove lui ha insegnato sono state chiuse definitivamente. Giuseppe € anche stato, nel triennio 1969-1972 a Melle, il primo sindaco autonomista delle Valli Occitane. La raccolta dei 2.000 e pi„ toponimi che ha costituito il materiale del libro del 2008, “I nosti post”, ha avuto inizio nel 1995. Sono state coinvolte, in veste di informatori, 60 persone residenti in Melle e frazioni.

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UN PRIMATO DELL’ALTA DORA

DIECIMILA TOPONIMI D’OC

Negli ultimi vent’anni le ricerche sulla toponomastica hanno avuto un poderoso sviluppo nell’alta valle della Dora Riparia, tanto che per numero di pubblicazioni, numero di toponimi raccolti e superficie ricoperta, l’Alta Dora si pone in una posizione di assoluto primato tra tutte le valli della Regione. Da fenomeno sporadico e marginale la ricerca • divenuta fattiva e ricorrente soltanto negli ultimi lustri. Appena in tempo per raccogliere dagli 7


ultimi detentori quelle informazioni atte a tessere una tela dei nomi di luogo che fosse soddisfacente. Prima degli ultimi anni del secolo scorso in Alta Dora i toponimi affiorano solo occasionalmente, in margine ad altri filoni culturali: vedi Piero Perron (Sul ban d’la Chap•lle), Luigi Onorato Brun (Ou b‚ de Ciabartoun), Angelo Masset nella sua grammatica-vocabolario della parlata di Rochemolles, mentre Valerio Coletto sui primi numeri de La Rafanhaudo si • occupato dei significati di alcuni toponimi chiomontini. Duccio Eydallin aveva raccolto non si sa quanti nomi di luogo di Sauze d’Oulx rimasti inediti. Oreste Rey aveva iniziato a redigere una carta con i toponimi di Salbertrand. Abbiamo poi due tesi di laurea, inedite, sulla toponomastica della bassa Val Thuras (A. Vigitello) e di Sauze d’Oulx (Christine Fundone). La prima pubblicazione dedicata specificamente all’argomento • del 2000. Da anni Marziano Di Maio era andato raccogliendo toponimi di Melezet e del vecchio comune censuario di Bardonecchia. Poi a fine secolo si • presentata l’occasione favorevole per pubblicare. L’amministrazione comunale bardonecchiese a quel tempo era molto dinamica, in particolare nel miglioramento ambientale e nel rilancio culturale; assessore alla cultura attivo e appassionato era Walter Re; erano stati lanciati i Quaderni di Bardonecchia. Cogliendo la palla al balzo, con l’aiuto d’una trentina di persone pratiche dei luoghi si sono raccolti circa 850 toponimi di Bardonecchia inteso come comune censuario (cio• senza Melezet, Millaures e Rochemolles). Appunto nel 2000 essi sono stati pubblicati sotto forma di guida, seguendo linee geografiche, ogni toponimo con i dovuti riferimenti ambientali, culturali, storici eventuali, della tradizione ecc., e per quanto possibile con i significati ma senza forzature. Il tutto illustrato da foto d’epoca e da cartine. Non si • mancato di prendere visione di vecchi documenti, di catasti del passato, di carte premoderne. Un aspetto moralmente remunerativo di queste rilevazioni • stato quello di aver coinvolto gli abitanti, risvegliandone la sensibilitƒ verso i valori del passato. La gente si • appassionata e ha partecipato con entusiasmo (e con pazienza). Intanto si • iniziato a lavorare anche sugli altri ex-comuni della conca, tanto che l’anno seguente (2001) • potuto uscire il Quaderno su Melezet, Les Arnauds e la Valle Stretta. Poi nel 2002 Daniela Garibaldo ha concluso e pubblicato la sua ricerca su Millaures e infine nel 2003 ha visto la luce il libro su Rochemolles grazie a Aldo Garcin, Luciano Souberan e Marziano Di Maio. 8


Nel complesso dei quattro comuni censuari della conca si sono raccolti pi„ di 3700 toponimi. La ricerca peraltro non • conclusa perch… ogni tanto i montanari ricordano un altro nome, oppure emerge qualche altro significato. * * * * Dopo questi quaderni di Bardonecchia le ricerche in Alta Dora si sono moltiplicate. Nell’ambito dell’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano (ATPM) cui hanno dato corpo il Dipartimento di Scienze del Linguaggio dell’Universitƒ di Torino e l’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte, nel 2002 per volontƒ del Parco Naturale Regionale del Gran Bosco • uscito il volume su Salbertrand a cura di Roberto Cibonfa e Roberto Torchio. Ad esso seguiranno quelli su Exilles (2006, degli stessi ricercatori pi„ Fulvia Bernard) e su Chiomonte (2012, di Roberto Cibonfa). I toponimi raccolti nei tre comuni sono circa 2550, elencati in ogni volume per ordine alfabetico com’• nella prassi dell’ATPM, con scarne note essenziali, con gli eventuali significati suggeriti dagli informatori e con le posizioni riportate su carte di grande formato. Nel 2003 sono stati pubblicati gli 840 toponimi di Savoulx e della borgata Constans di Beaulard, a cura di Daniela Guiguet, Silvia Gallizio e Marziano Di Maio, con gli stessi collaudati criteri di guida al territorio. Nello stesso anno il Parco Naturale Regionale della Val Troncea ha riportato su bacheche varie decine di toponimi di Champlas du Col raccolti dagli scolari della Scuola elementare di Sestri•re ad illustrazione del sentiero-natura Louis XIV. Nel 2011 ha fatto il suo ingresso nel filone toponomastico R. Sibille, che tra i suoi variegati interessi si • appassionato pure a questo. La sua “Guida ai toponimi e alla storia di San Marco di Oulx” • da manuale: quasi 500 nomi di luogo emergono da ben 270 pagine illustrate e con cartine. Attraverso di essi vengono divulgati non solo geologia, morfologia, ambiente naturale e quant’altro sia degno di una vera guida, ma pure la storia locale (brevi capitoli ne approfondiscono alcune vicende, comprese quelle della resistenza), ciˆ che • accaduto a ricordo degli anziani, argomenti artistici e culturali e fatti di costume, socialitƒ e gastronomia, catastrofi, curiositƒ, significati veri o possibili dei toponimi e tanto altro. Nello stesso anno 2004 l’associazione L‰ clouchŠe ‰d l‚ s‹n bourgi‚ ha pubblicato i “Toponimi del territorio di Fenils nell’antica parlata”, a cura di Riccardo Colturi. I nomi di luogo citati sono soltanto 185, per cui • evidente che • stata operata una scelta tra tutti quelli esistenti. Con “L’Adreyt di Oulx (anno 2006) • ricomparso Renato Sibille, che con Olga FranŒos ha analizzato il territorio e la storia delle comunitƒ di 9


Amazas, Soubras e Vazon. Gli oltre 500 toponimi raccolti hanno dato occasione a una nutrita serie di informazioni su pi„ fronti, tra cui moltissimi nomi in patuƒ di erbe e piante. R. Sibille replicherƒ ancora con due contributi nel 2010, e con uno nel 2014. Il primo riguarda i territori ulciensi del Gad, di Monfol, della Beaume e delle Auberges; pubblicato come Cahier dell’Ecomuseo Colombano Romean (• il n. 13), ha analizzato anch’esso oltre 500 toponimi, presentati sulla ricca falsariga abituale per questo autore. Il secondo contributo del 2010 redatto insieme alla ricercatrice locale Franca Bernard, • un volume di ben 278 pagine in grande ed elegante formato su “Thures e la sua valle”; tutto lo scibile che fa da supporto e contorno a circa 850 toponimi ci svela l’anima del paese, inaspettatamente per chi credeva che lƒ tutto fosse ormai sommerso nell’oblio. Infine l’ultimo impegno sostenuto insieme a Rinaldo Gros, • relativo all’operazione quasi disperata di recuperare memoria dei/dai toponimi di Desertes; sono stati raccolti e localizzati circa 270 nomi di luogo, presentati con dovizia di notizie in 240 pagine sul Cahier n. 20 dell’Ecomuseo salbertrandese. Con quest’ultimo ammontano a 14, tutti negli ultimi tre lustri, i lavori pubblicati sulla toponomastica dell’Alta Dora; gli autori sono 14. Al di lƒ dei risultati culturali, i toponimi localizzati sono pi„ di 10.000, interessanti una superficie sui 42.000 ettari che • pari ai due terzi dell’intero territorio storico (cio• includendo le aree cedute alla Francia nel 1947 e quelle della Val Ripa passate a Sestriere). Si deve considerare con soddisfazione che • pi„ facile valutare ciˆ che resta da fare rispetto a quanto • stato fatto. Rimangono scoperti Cesana inteso come comune ante 1928, Sauze di Cesana, Solomiac, Claviere, buona parte di Beaulard e di Champlas du Col, aree ridotte di Oulx (Pierremenaud / Piermenao). Di Fenils non sappiamo tutto. Silvio Heritier si sta occupando di Bousson, mentre R. Cibonfa sta riordinando per l’ATPM quanto esiste di inedito su Sauze d’Oulx per poi cercare di completare.

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Questa mole di toponimi ha dato un buon contributo nel recuperare cultura, nella riscoperta delle radici, nel dare ulteriore visibilitƒ alle cose d’oc. Oltre che la ricerca, • importante la pubblicazione. Se la nostra curiositƒ • stimolata dai significati dei nomi di luogo, che spesso sono oscuri, • proprio attraverso la divulgazione delle conoscenze che puˆ accadere di trovare in altri paesi quei significati che si sono perduti nel nostro. Ad esempio a Thures una zona a pascolo si chiama Palcanhou, di ignoto significato in loco; ma ecco veniamo a sapere che a Savoulx lou parcanhou sono certe erbe graminacee dure (festuche). A San Marco abbiamo i campi di Chanpar‰lh senza conoscere lƒ il significato, ma a Melezet la samparelh‰ • quell’erba mangereccia detta porcellana (la Portulaca oleracea). Ad Amazas troviamo la Souffranher‰ e a Millaures su un vecchio catasto Souffraniera: si trattava di coltivazioni di zafferano che V. Coletto ha riscontrato presenti pure a Chiomonte secoli addietro, cosŠ come sono attestate in Maurienne nel ‘500 sino a fine ‘800 e reintrodotte nel 2009 a Saint Julien Montdenis sempre nella valle dell’Arc. Ma i casi in cui la nostra curiositƒ rimane insoddisfatta sono numerosi. Un esempio per tutti: sui monti di Rochemolles una freddissima sorgente ha nome la Funtan‰ dla Carˆ, che trova un suo pari a San Marco di Oulx nella sorgente particolarmente fredda della Funtan‰ duz Acarˆss (R. Sibille). Ma un toponimo la Caˆ esiste pure alla Prea di Roccaforte (CN) e troviamo pure una sorgente la Carˆt nel lontano Rivamonte Agordino (BL), la cui acqua bevuta dalle ragazze aveva fama di sviluppare il seno. Uno dei tredici laghi di Prali • detto Lau dla Carott‰ (italianizzato in lago della carota…). * * * * Se la pubblicazione delle ricerche si giovava in passato del sostegno dei maggiori enti pubblici, oggi la situazione • molto critica. La Regione da un lato ha impiegato cospicue risorse in opere dalla prioritƒ molto discutibile, e dall’altro ha drasticamente tagliato i contributi per esigenze come quelle culturali che sarebbero inderogabili in un paese civile. Per quasi tutte le associazioni come Valados Usitanos pi„ che di un taglio si • trattato di un azzeramento. Inoltre il patto di stabilitƒ impedisce a comuni che pure avrebbero volontƒ e mezzi per intervenire, di spendere per la cultura. Oggi per pubblicare i risultati delle ricerche si deve fare affidamento in Alta Dora su enti locali che cercano tra le pieghe dei loro risicati bilanci di racimolare all’uopo piccole disponibilitƒ, vedi l’Ente di Gestione Par 11


chi Alpi Cozie, l’Ecomuseo Colombano Romean, il CeSDoMeo, il Consorzio Forestale Alta Valle di Susa. Dobbiamo guardare con invidia alla Valle d’Aosta, dove la Regione finanzia adeguatamente valle per valle un piano sulla ricerca toponomastica, o alle valli ladine delle Dolomiti che in maggioranza hanno messo a disposizione gratuita dei turisti cartine con i toponimi nella parlata locale.

Marziano Di Maio

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Giuliana Armand

ERBE E TERAPIE NELLA MEDICINA POPOLARE DELL’ALTA VALLE DELLA DORA Parlando di erbe selvatiche nel n. 98 di Valados Usitanos, ho elencato quelle comunemente raccolte per uso medicinale. Ben lungi dall’essere una fitoterapeuta, mi sono semplicemente limitata ad esporre quanto ricordo sul loro uso e a quanto ho raccolto dai miei testimoni. Riassumo qui brevemente e sinteticamente quello che ho giƒ scritto per poi passare ad altre indicazioni terapeutiche dei tempi passati sul mio territorio cio• nell’alta Valle della Dora ( Alta Valle di Susa). Ogni massaia raccoglieva le sue erbe che legava a mazzetti ed appendeva sui pl€n, nelle grange, o deponeva in cestini ad asciugare. Qui, all’ombra e ben aerate, le foglie si accartocciavano, le corolle perdevano un po’ del loro colore, gli steli imbrunivano ma le piantine conservavano tutti i princ•pi medicamentosi e i loro profumi si spandevano intorno. Ricordo il buon odore che emanavano; si sentiva giƒ da lontano, mescolato a quello del fieno accumulato nella grongia. Le raccoglitrici conoscevano i luoghi giusti dove trovarle e l’epoca in cui raggiungevano il miglior sviluppo. I primi della stagione ad essere raccolti erano le corolle dei fiori di farfaro ( la racias•) che spuntavano sulle prode umide, sui greti dei ruscelli appena la neve scioglieva; per la melissa (la meliz•) bisognava attendere la piena fioritura dei prati, quan13


do era ora di falciare ed essa era in pieno rigoglio; per la malva e la calendula (la malv•, la carunh‚tt•) occorreva aspettare che crescessero nell’orto al bordo delle tavole di ortaggi; per altre, come il genepin e l’arnica (genepin, arnica) bisognava fare molta strada a piedi, in agosto, ed alzarsi verso le cime dove si sviluppavano all’ombra delle rocce; alcune come l’assenzio, il timo (la fƒr, ‘l s‚rpulh) spuntavano ai margini dei viottoli, delle mulattiere, nelle campagne e venivano raccolte di ritorno dai campi; per altre poi, come per la rosa canina (las argurenz•) occorreva attendere i primi freddi, quando la brina faceva cadere le foglie ed appassire i frutti. Esistevano poi delle credenze che celavano anche un po’ di magia come quella delle violette che per essere pi„ efficaci dovevano essere raccolte nel solstizio di primavera. Ogni pianta veniva raccolta per un determinato scopo ed era usata anche per curare gli animali. Alcune donne erano pi„ esperte delle altre e ad esse si ricorreva in caso di necessitƒ. Si andava dal medico solo in casi rari e gravi.

Artemisia absinthium I raffreddori e la tosse erano le indisposizioni pi„ frequenti. Il clima freddo, la brutta abitudine di passare dai locali caldi all’esterno senza 14


coprirsi e l’umiditƒ delle stalle in cui i montanari svernavano, favorivano l’insorgere di malattie bronchiali che venivano curate con tisane e sciroppi. Numerose le piante raccolte a questo scopo. Con esse si facevano profumate tisane che si addolcivano con il miele. Farfaro, violette, fiori di borraggine, lichene, tiglio (racias• , viur‚tt•, buracci•, pon’d ciabbra, tilƒlh) venivano diversamente dosate, secondo il tipo di tosse (pi„ o meno secca). Normalmente si addolcivano con il miele ma si usavano pure sciroppi appositamente preparati che ne potenziavano l’effetto emolliente od espettorante: sciroppo di tarassaco, sciroppo di pigne… Si usava soprattutto quest’ultimo, che era preparato con i germogli resinosi di pino mugo e di cembro. Le piccole pigne, raccolte ancora tenere, appena formate, di colore rosso e appiccicose di resina,venivano messe in un barattolo a chiusura ermetica e ricoperte di zucchero. Il barattolo veniva poi posto al sole estivo, nell’angolo riparato di un davanzale o di un balcone dove il calore faceva trasudare goccioline balsamiche che scioglievano lo zucchero e si trasformavano in sciroppo. A fine estate era pronto e lo si usava, in caso di necessitƒ, semplicemente sciolto in acqua calda o, come giƒ detto, in aggiunta alle tisane. In alcuni paesi, ad esempio a Desertes, si usavano pure le pigne pi„ grosse, giƒ formate. L’importante • che fossero ancora verdi. Si spaccavano in tre, quattro parti prima di ricoprirle di zucchero, per favorire l’uscita delle sostanze balsamiche. Si preparava anche lo sciroppo di rape (sir†’d rabba), ottimo rinfrescante delle vie aeree e calmante della tosse. Si affettava una rapa fresca alla sera, la si cospargeva di zucchero e, il mattino seguente, si recuperava tutto lo sciroppo che si era formato. Si beveva a cucchiai durante il giorno. Quando la tosse era particolarmente secca e stizzosa si ricorreva ai cataplasmi (lus ‚mplatr‚) di farina di lino. Si preparava una polentina con acqua e farina di lino (farin• ‘d lin) e la si rinchiudeva dentro una pezzuola, meglio se di lino. La si posizionava calda sul petto, in alto, all’altezza dei bronchi, stando attenti a non bruciarsi e la si lasciava fin quando si intiepidiva. Non bisognava lasciare che si raffreddasse. Si sostituiva allora con uno straccio di lana calda e si stava ben attenti a non prendere freddo dopo questa applicazione. Il lino • molto rinfrescante e il caldo umido che si sprigionava dalla pappetta fatta con i suoi semi aiutava il catarro a maturare e ne favoriva l’espettorazione. Ai bambini che avevano la tosse giovava pure l’applicazione sul petto e sulla schiena di grasso di gallina (gr‚is• ‘d giarin•). Si copriva poi la parte unta con un pezzo di carta dello zucchero (carta di color blu detta papie blƒ in cui si incartava lo zucchero venduto sciolto nelle botteghe 15


alimentari) Quando si ammazzava una gallina, si teneva sempre da parte un po’ del suo grasso che veniva usato come medicamento. Il raffreddore era curato con fumenti di tisane emollienti o anche solo con il vapore dell’acqua calda. Ci si chinava sulla pentola in ebollizione con il capo coperto da un asciugamano e si respirava il benefico vapore. Si potevano aggiungere all’acqua pigne resinose o erbe aromatiche. Ho conservato fino a qualche anno fa un apposito recipiente in ferro smaltato blu copiativo formato da due pezzi: una pentolina con due manici sovrastata da un imbuto rovesciato e terminante con un appoggio per la bocca. Sono pentita di non averlo conservato anche se con l’uso si era bucato e perdeva. Cercherˆ di disegnarlo perch… vi possiate fare un’idea pi„ precisa di cosa fosse. Per curare il raffreddore ho visto anche fare sciacqui nasali con acqua e sale un po’ come si fa oggi con le ben pi„ moderne e costose bombolette di acqua marina vendute in farmacia e consigliate dagli otorini. Bastava far bollire un poco di acqua salata e, una volta tiepida, tirarla su con le narici. Chi soffriva di pressione alta si curava soprattutto con una tisana di fiori di biancospino, di genzianella o con l’aglio (la flū ‘d bosu, lu d‚a, l’alh) mentre il tarassaco, i fiori di sambuco e la radice della bardana (la flū du mur‚, la flū ‘d sambuin, la rasin• ‘d las apilha) avevano un effetto purificante del sangue. Anche le minestre di erbe selvatiche preparate in primavera erano purificanti e disintossicanti. Erano preparate con ortiche, boraggine, piantaggine, barbadibecco, spinaci selvatici, (ƒrti•, buracci•, p‚r‚sin•, urelha d’ˆne, orla) e altre di cui non conosco il nome in italiano: patta’d ciat, leitasun… L’insalata di tarassaco (saradda ‘d mure), raccolto prima della fioritura, era molto consumata ed era altamente depurativa. Il rilassante pi„ usato era la melissa ( la meliz•) ma venivano usati anche la verbena e il tiglio (la verven•, ‘l tilƒlh). La melissa era l’erba delle donne per eccellenza, combatteva la malinconia tipica di certi periodi. Non per nulla in Piemontese • chiamata ‘Arlegac•r’.Essa aveva un effetto sedativo e antispasmodico. Recitava un nostro proverbio: “Se le donne sapessero quanto bene fa la melissa se ne metterebbero anche nella camicia” “ Si la f‚nna i sabeson ‘l bien k‚ fai l• meliz• i s’n‚n beter‰an fin• din l• ciamiz•” Era particolarmente raccomandata per i dolori mestruali. 16


Recipiente in ferro smaltato per fumenti di tisane emollienti Molto diffuse erano la malattie reumatiche. I dolori dovuti al freddo, al contatto con l’acqua gelida, con la neve…si pensi ad esempio cosa significava lavare a mano alla fontana, lavorare la canapa macerata nei nai, raccogliere la legna nel bosco nelle gelate d’autunno, spalare la neve… solo per ricordare alcuni dei lavoracci cui erano costretti. Per alleviare i dolori si frizionavano con unguenti, con infusi o macerati all’arnica, alla calendula, alla canfora. Ricordo vivissimo l’odore della trementina (tr‚b‚ntin•) con cui si massaggiavano le parti del corpo doloranti. Nei tempi pi„ remoti si usava pure il grasso di marmotta ma l’uso • stato abbandonato con il tempo per l’eccessiva puzza ma soprattutto per un grave inconveniente cui si andava incontro: se ci fosse stata anche una minima frattura impediva la calcificazione dell’osso. Gli unguenti preparati con metodi casalinghi venivano conservati in bottigliette di vetro scuro che si chiudevano quasi ermeticamente con tappi di vetro smerigliato oppure in barattoli di ceramica come quelli della fotografia e si tappavano con tappi di legno o di sughero. Spesso i barattoli erano riciclati, quelli fotografati ad esempio erano della Liebig, uno, e della Cirio l’altro. Secondo me in origine contenevano estratti di carne.

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Barattoli di ceramica in cui venivano conservati gli unguenti In particolare con le foglie, e i fiori di calendula (carunh‚tt•) preparavano una pomata antinfiammatoria per la gola. Tritavano la parte vegetale e la mescolavano con del grasso di maiale sciolto a bagnomaria. Lasciavano riposare il composto per due o tre giorni poi lo riscioglievano e lo filtravano. La pomata ottenuta veniva spalmata su un cotone che si applicava sulla gola e si teneva fermo tutta la notte con un fazzoletto. Ho sentito raccontare che anticamente, per far passare il mal di gola, consigliavano di legarsi una calza intorno al collo prima di andare a letto (una calza pulita o quella che indossavano? Forse era proprio quest’ultima quella consigliata perch… era calda ma lasciamo perdere…) Un ottimo antinfiammatorio era pure la canapa dell’idraulico (la rist•) imbevuta di albume sbattuto (blon d’‹o) e applicata sulla parte dolorante, ad esempio alle ginocchia. Durante i lavori agricoli o forestali spesso si era vittima di incidenti e ci si feriva. Per eliminare gli ematomi o nelle cure post-traumatiche era uso pestare del lardo rancido con prezzemolo o fiori e fogli di assenzio (for) L’impiastro applicato sulla zona favoriva l’eliminazione del sangue fermo e il riassorbimento dell’ematoma. Le ferite erano trattate con la resina. In ogni casa si trovava un contenitore con della resina morbida (p‚gura). La si raccoglieva quando si tagliavano i cembri e gli abeti; colava spontaneamente e lentamente dai tronchi feriti o segati e la si raccoglieva in una lattina o in un barattolo. Bisognava raccoglierne ogni anno perch… seccava e col tempo induriva. La si applicava direttamente sulle ferite e si copriva con uno straccetto. A18


veva un forte potere cicatrizzante e risolveva problemi di spine e di pus: estraeva le spine che ritrovavi sullo straccio, ripuliva dal pus che si era formato. Se si trattava di piccole ferite perˆ, bastava l’applicazione di una foglia di lapsana (giarin‚tta) per guarirle. La resina che a volte scorreva lungo i tronchi dei cembri e solidificava in perline era raccolta ed usata per combattere il mal di denti ma soprattutto il mal d’orecchi. Una perlina di resina solidificata (p‚r‚sin•), racchiusa in un batuffolo di cotone e messa nell’orecchio faceva passare il male. Posso garantire io stessa la veritƒ di quanto affermato perch… l’ho usata molto da piccola e ancora oggigiorno mi curo cosŠ e ne ho un buon giovamento. Un altro rimedio della mia infanzia per il mal d’orecchi era l’olio di camomilla (ƒri ‘d canamillh•). Scaldavano in un cucchiaio sopra la fiamma di una candela un poco di olio con un pizzico di camomilla. Bagnavano in quest’olio un batuffolo di cotone, lo appallottolavano e me lo mettevano nell’orecchio. Ho sentito raccontare che per calmare il mal d’orecchi nei neonati e nei bambini le mamme che allattavano strizzavano un goccio di latte materno direttamente nel padiglione auricolare. Probabilmente il tepore del latte attutiva il male e lasciava addormentare il bimbo.

Camomilla (Matricaria camomilla)

Per il mal di denti usava, oltre alla p‚r‚sin•, anche metter loro sopra un po’ di grappa, soprattutto se si trattava di un nervo scoperto. Il liquore forte addormentava un po’ il male. La resina solidificata, quella di abete bianco in particolare, chiamata bigiun era presa per bocca in caso di traumi interni. Era solamente difficile da digerire. 19


I bambini erano sottoposti ad una cura ricostituente: l’olio di fegato di merluzzo. Un ottimo prodotto ma tutti quelli che sono stati costretti a berlo ne ricordano ancora a distanza il terribile odore ed il disgustoso sapore perch… il prodotto che all’epoca si trovava in commercio, era grezzo, scuro e spesso. Non si conoscevano disturbi quali l’acetone e di alcuni malesseri venivano accusati i parassiti intestinali che i piccoli prendevano con facilitƒ viste le condizioni igieniche del passato. Per il timore che gli ossiuri (lu vŒr) potessero risalire in gola e soffocare il bambino facevano indossare loro una collana di spicchi d’aglio o applicavano un impacco di aglio pestato con assenzio (un ‚mplatr‚ d’alh e ‘d for pit•) sulla pancia, proprio sopra l’ombelico. In caso di malattie esantematiche ma soprattutto durante il morbillo (lu russen) si pensava che fosse opportuno far indossare all’ammalato abiti di colore rosso per favorire lo sfogo e la fuoriuscita delle pustoline. Ai bambini piccoli, durante il periodo della dentizione si davano pezzi di radice di malva da succhiare e masticare. Il potere rinfrescante della malva alleviava il fastidio delle gengive gonfie e doloranti. In caso di pleurite ho visto ancora io applicare sulla schiena, con lo scopo di tirare fuori l’acqua che si forma tra il polmone e la pleura, le ventose cio• dei barattolini di vetro in cui si incendiava un batuffolo di ovatta imbevuta di alcool (las ampulla). La fiammella bruciando l’ossigeno all’interno della ventosa, creava un vuoto d’aria che attirava l’umiditƒ dal corpo ed il vetro si appannava tutto. Sono ricordi lontani ma di cose viste fare ancora negli anni cinquanta. Da piccoli avevamo spesso male ad un occhio. Si trattava di un dolore forte e fastidioso che prendeva all’improvviso. Ci dicevano che era un cop d’er cio• un colpo d’aria. Penso fosse dovuto al freddo. E’ un disturbo di cui non ho mai pi„ sentito parlare e che non ho mai pi„ avuto. Lo curavano con mezzo uovo sodo caldo, privato del guscio e applicato sull’occhio con un fazzoletto legato dietro il capo. Si andava a letto cosŠ, acconciato come un pirata e l’indomani mattina era tutto passato….al massimo si trovava l’uovo nel letto. A proposito di occhi, gli orzaioli (lus arbir€) venivano guariti con l’olio d’oliva (ori d’uriva) ma in un modo assai curioso: appena ti accorgevi che si formavano dovevi guardare con l’occhio malato, per alcuni minu20


ti, nella bottiglia dell’olio. Non so per quanto tempo si dovesse fare ma ricordo che era una cosa noiosa e presumo che fosse una cura piuttosto lunga perch… io, che soffrivo spesso di questo disturbo, ero stufa di sentirmi ricordare – Giuliana, la butta ‘d l’ori! (Giuliana, la bottiglia dell’olio!) In caso di congiuntiviti o bruciore agli occhi si usava lavarli con acqua bollita e zucchero. Se si possedeva dell’eufrasia secca in casa, un bel decotto era l’ideale per dei lavaggi. Si facevano pure risciacqui antinfiammatori per le afte e le piccole ferite in bocca con un decotto di malva (malva). La malva, inoltre, con la pimpinella, l’equiseto e le bacche di rosa canina (malv•, pimpinell•, erb• cavalin•, argurenz•) era un ottimo diuretico. Dice un proverbio “La pimpinell• fai pisŽ fina las urelhi•” La pimpinella fa urinare anche le orecchie. Ho sentito recitare lo stesso proverbio con l’equiseto per soggetto.

Pimpinella Per le verruche che si formavano soprattutto sulle mani, si usava un’erba (l’erb• dla ver‹a, la celidonia) che cresceva sui muri a secco e il cui stelo secerneva un succo vischioso e bianco-giallastro. Si ricoprivano le verruche con questo liquido che, ripetendo l’operazione pi„ volte, le faceva seccare. Con lo stesso scopo e nella stessa maniera si usava il latte ricco di colostro (lai b‚t) di una mucca che aveva appena partorito.

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L’erb• dla ver‹a o celidonia (Chelidonium_majus) La radice della genziana, il genepy e la salvia (razin• ‘d g‚nsan•, genepin, salvi•) erano le erbe digestive per eccellenza. Con la radice della genziana lutea (lu n•nu) si preparava un vino aromatizzato che aveva anche il potere di dare tono e di stimolare l’appetito. Con il genepy in infusione nell’alcool si faceva un ottimo liquore che si consumava puro per il piacere di bere un liquorino ma con l’aggiunta di acqua calda o versato sopra uno zuccherino era un ottimo digestivo. Con la salvia si preparavano ottime tisane in caso di cattiva digestione: salvia e limone; salvia e zucchero caramellato. Si raccoglieva l’agarico (agarico), un fungo parassita del larice, per preparare un beverone per risolvere le coliche dei cavalli. Era perˆ anche usato in quantitƒ minime per uso umano: mettendone un pezzettino in infusione in una bottiglia di grappa si otteneva un liquore che faceva digerire ogni cosa. Per le scottature ricordo di aver applicato sulle vesciche fette di patata fredde e poi olio. Spesso ci si scottava il viso con il sole sulla neve, allora il rimedio migliore era l’albume (blon d’‹o) sbattuto con acqua e passato sulla pelle con una pezzuola vecchia di lino. Si ripeteva il trattamento pi„ volte, fino a togliere tutto il rossore. In un secondo tempo si applicava olio di iperico (milapart‹) che si preparava in casa ogni anno facendo macerare dei fiori nell’olio di oliva. Alle partorienti si consigliava di bere, durante l’ultimo mese di gravidanza, i semi di lino (grana ‘d lin) messi a bagno per una notte in una 22


tazzina di acqua. Si doveva bere tutto quell’insieme bavoso che si formava (a linusa) e che era molto antinfiammatorio. Si pensi che lo stesso trattamento si faceva con le mucche gravide. Ricordo pure che la nonna preparava per le sue bestie l’arieton, un beverone fortemente digestivo formato da acqua calda, la schiuma ricavata dalla preparazione dell’estr•, la genziana, l’assenzio, il ginepro ed altre erbe. (Per saperne di pi„ sull ’estr• vedi l’articolo di Marziano Di Maio su Valados Usitanos N. 33) Conservo tuttora in casa un attrezzo che mi ha sempre incuriosito: un piccolo torchio. Ricordo che l’ho sempre guardato con diffidenza, anche perch… lo collegavo a quanto la zia mi raccontava ed ero particolarmente colpita dal disgusto che ancora le leggevo in viso quando ne parlava. Lei era molto anemica ed era spesso sottoposta a cure (gira ancora per casa una vecchissima scatolina di cartone con l’etichetta di un medicinale che le veniva somministrato. Era stata riutilizzata per gli aghi e le spolette della macchina da cucire ) che probabilmente non bastavano o erano troppo costose, sta di fatto che le facevano bere degli estratti di fegato crudo che erano preparati in casa utilizzando quel piccolo torchio. Ecco perch… lo odiava tanto! Immagino il suo disgusto nel dover

Torchio per preparare estratti di fegato crudo trangugiare quel preparato e capisco perch…, ancora dopo tanti anni , ne conservasse un brutto ricordo.

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Scatola con etichetta medicinale per la cura dell’anemia Non mi dimentico mai, infine, di due preparazioni che non sono propriamente dei medicamenti ma che non mancavano mai quando ero influenzata e sono ‘l vin fer• e ‘l lai ‘d pulla. Il primo era un ottimo corroborante. Dava forza, energia ed era buonissimo. Si preparava con un bicchiere di buon vino in cui si spegneva un ferro arroventato nella brace della stufa. Bisognava stare attenti a non toccare il bicchiere che altrimenti si sarebbe spaccato. Il vino sfrigolava e fumava liberando l’alcool. Alla fine un bel cucchiaio di zucchero lo addolciva e si beveva ancora tiepido e profumato. Sapeva di frutta, di uva appena colta, aveva un sapore dolce ed un po’ asprigno nello stesso tempo. Era delizioso. Il secondo era invece una vera ghiottoneria. La traduzione letteraria • “latte di pollastrella”. Era una merenda o una colazione che si consumava solo quando si era convalescenti e c’era bisogno di recuperare energie. Per prepararlo si sbatteva un tuorlo con lo zucchero fin quando diventava ben spumoso; a questo punto si versava sopra, mescolando con cura per evitare la cottura dell’uovo, del latte bollente. Il risultato era una bella tazza di crema liquida in cui pucciare dei biscotti o una fetta di ciambella. Era un vera leccornia ma anche una bomba energetica e veniva preparata proprio quando si aveva bisogno di una sferzata di energia, di un surplus alimentare o dopo aver fatto una gran fatica. Veniva infatti preparata anche alle donne che avevano partorito da poco. Ad esse era solito somministrare pure una bella tazza di brodo di gallina. 24


Gli uomini quando facevano lavori pesanti avevano bisogno di recuperare le loro forze allora usavano mangiare una zuppa di pane, vino e zucchero. Mi ricordo che mio papƒ lo faceva con il moscato dopo aver falciato per molte ore. Era un vero toccasana: dissetava, rinfrescava e nutriva. Durante i rigori dell’inverno invece era uso bere una tazza di brodo bollente in cui si versava del vino. Era altamente energetica, dicevano che scaldasse molto e ne avevano proprio bisogno. Si pensi ad esempio a quando portavano a valle con gli slittoni la legna accumulata nel bosco o a quando passavano lo spazzaneve con i cavalli. A proposito di questi cavalli e muli, costretti a trascinare per tutta la notte lo slittone mentre nevicava (onde evitarne l’accumulo) che sudavano e facevano una fatica tremenda… ebbene anch’essi avevano bisogno di un corroborante, di qualcosa che li riconfortasse ed ecco allora cosa facevano i loro padroni: versavano del vino in un secchio e vi immergevano del pane secco. Quando era ben inzuppato lo davano alle bestie che lo facevano fuori in un momento. Ne erano ghiotte e forse…un po’ ubriache ripartivano con nuovo vigore per un altro giro di spazzaneve. Non sono dei medicamenti questi ultimi che ho descritto ma ho voluto comunque ricordarli qui perch… sono rimedi a situazioni di particolare stress di fatica o di astenia. Oggi giorno ricorriamo a pillole, a vitamine,a sali minerali, a barrette energetiche…nei tempi passati ci si ingegnava con quel poco che c’era in casa a disposizione e mi sa che i risultati non erano niente male almeno non si avevano gli effetti collaterali. Concludo cosŠ la mia piccola ricerca sui rimedi e la medicina naturale in uso fino ad una cinquantina di anni fa ma oggi quasi completamente dimenticata. Invito chiunque abbia ancora notizie su antichi rimedi e pratiche a contattarmi o a scrivere perch… non vada perso un vero patrimonio dei nostri avi. La nostra rivista • aperta a tutti ed • ben contenta della collaborazione di quanti vorranno contribuire a completare l’argomento.

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Maria Rosso

FRISE: IL CICLO DELLA VITA E IL CICLO DELL’ANNO Pubblichiamo la prima parte del lavoro sul Ciclo della vita e dell’anno e sulle Istituzioni comunitarie a Frise (comune di Monterosso, Val Grana), ricavato dalla nostra collaboratrice Teresa Durbano dalle interviste fatte alla madre, Maria Rosso, di cui riportiamo un richiamo dei cenni biografici pubblicati nello scorso numero. Al lavoro ha collaborato anche il padre di Teresa Durbano, Durbano Giovanni Battista. Il questionario usato • quello – storico in tutti i sensi – elaborato sul campo negli anni ’80 e pubblicato all’inizio degli anni ’90 da Valados Usitanos, che aveva come obiettivo la ricerca sistematica di testimonianze relative alle Istituzioni Comunitarie (cio• gli aspetti piƒ significativi della vita comunitaria delle Valli Occitane: ru€ides, panificazione, veglie, ciclo della vita e dell’anno). Quanto si diceva allora – che queste istituzioni comunitarie hanno comportato per secoli una 26


partecipazione collettiva alla vita del singolo, costituendo un fondamentale elemento di coesione – • poi risultato vero nelle ricerche successive: si pu„ dire anzi che senza questa coesione interna le nostre popolazioni non avrebbero saputo sostenere la sfida di un ambiente per tanti aspetti difficile e ostile. Il lavoro di Maria Rosso (la seconda parte, sulle istituzioni comunitarie propriamente dette: veglie, ru…ides e panificazione verr† pubblicata sul prossimo numero di V. U.) rappresenta quindi un ulteriore, ricchissimo tassello di questa indagine. Rosso Maria nata il 18-2-1936 a Nizza (FR), poi tornata a 3 anni con i genitori in Borgata Daniel, frazione di Frise, comune di Monterosso Grana (CN) Valle Grana

Durbano Giovann Battista Nato il 27-9-1928 in Borgata Crusas, frazione di Frise, comune di San Pietro Monterosso (CN) (accorpato al comune di Monterosso Grana l’anno successivo).

Sposati nel giugno del 1955 – Prima figlia nata nel 1957, seconda figlia nata nel 1961. La grafia usata Dall’analisi degli etnotesti in occitano che le autrici hanno allegato alle risposte del questionario risulta che le loro preferenze grafiche vanno in direzione della grafia mistraliana (con qualche incoerenza). Questa grafia • quasi ‘istituzionale’ in Valle Grana (e a Monterosso in particolare…). D’altra parte il dialetto di questa valle, privo com’• delle vocali palatalizzate €, • (grattacapo costante delle grafie occitane), si presta bene a questa ‘mistralizzazione’ senza deviare molto da una grafia piƒ fonematica. I suddetti etnotesti sono stati quindi corretti seguendo le norme della grafia mistraliana, che viene qui sotto riportata. ch sh ƒ ce ci …, † …, ‡ gue, gui gn j

c palatale come in "ciliegia" sc(i) italiana s aspra s „ s „ e, o toniche chiuse e, o toniche aperte ghe, ghi come in "gnomo" g palatale come in "fagiano" 27


lh ou que qui quou s ss u z h

l palatale come in "paglia" u italiana che „ chi „ cu „ s dolce come in “rosa”. Ma … s aspra se preceduta da consonante s aspra u francese s dolce non ha valore fonetico: indica iato derivato (in genere ma non sempre) da caduta di l palatale

Accento tonico Cade sull'ultima sillba nelle parole terminanti con consonante diversa dalla s del plurale, ma: a, i, u sono toniche se in fine di parola Accento grafico Indica un'alterazione della naturale tonicit†, ma: Šu, …u, €u corrispondono a Šou, …ou, €ou ecc. della grafia Escolo ‹u, ‡u d†u Po

IL CICLO DELLA VITA Nel caso in cui non ci sia un ricordo diretto dei testimoni ma si tratti di fatti raccontati da persone piƒ anziane, • stato scritto nella risposta. LA NASCITA E IL BATTESIMO. L'INFANZIA 1.1.1._Voti e pellegrinaggi della futura madre Non ricordo ci fossero voti o si facessero pellegrinaggi. 1.1.2. C'erano incontri che la futura madre doveva evitare (ad esempio le vedove dell'anno...)? Si credeva invece che certi incontri portassero fortuna? Non c’erano divieti nei confronti di altre persone. La futura madre non doveva incontrare un serpente perch€ altrimenti il 28


bambino poteva nascere con la “forma” del serpente sul corpo, in particolare intorno al collo. Non doveva appoggiarsi la pagnotta grossa di pane fatto in casa sulla pancia per tagliarlo perch€ Il bambino sarebbe potuto nascere col naso schiacciato. 1.1.3. Si ricordano formule destinate a favorire alla madre il parto o al bambino la salute e la fortuna? Non ricordo formule in questo senso. 1.1.4. Le spose sterili invocavano qualche santo o seguivano pratiche particolari per diventare feconde? Si andava in pellegrinaggio a S. Anna di Vinadio, sia per chiedere di poter avere il bambino, sia per ringraziare quando era nato. 1.1.5. Dove e con l'assistenza di chi avveniva il parto‘? Il parto avveniva nella casa dei genitori del bambino, (che poi in genere era la casa dei genitori del marito), nella stalla se era inverno o un periodo ancora freddo, nella camera se era estate o comunque un periodo piŒ caldo. L’assistenza era prestata da donne esperte “del settore”, anche di un’altra borgata. 1.1.6. Presagi per il neonato (ad esempio in rapporto al giorno della nascita......). Non ho ricordi in merito. 1.1.7. Con quali rintocchi di campana era annunciata la nascita? Non ricordo che si suonassero le campane per la nascita di un bambino. 1.1.8. Visita alla puerpera; regali. Si portava qualcosa al bambino appena nato (una fascia, un bavagliolo, una maglietta) e un po’ di caff… alla mamma. 1.1.9. Quanto tempo restava a letto? La mamma rimaneva a letto per sette-otto giorni. 29


1.1.10. Che aiuti riceveva dalle donne del paese? Se la donna che aveva appena partorito aveva solo il marito e non c’erano altre donne in casa che la potessero aiutare, le donne della borgata l’aiutavano un po’ a lavare i panni. 1.1.11. Il vitto riservato alla puerpera. Il vitto della puerpera consisteva in: riso al latte, tajarin al latte, “panado” (latte, acqua e un po’ di panna, fatti bollire con l’aggiunta di pane raffermo e, se c’erano, dei pezzi di grissino) perch€ si diceva che questi alimenti facessero venire il latte. 1.1.12. Da che cosa erano ricavate le fasce del bambino (dalle camicie della madre.....)? Si compravano le fasce gi‹ pronte, c’era solo piŒ da mettere i legacci da un lato (fatto a punta) e fare l’orlo dall’altro. 1.1.13. Con quali argomenti era giustificata la fasciatura stretta del bambino. Si diceva che la fasciatura stretta del bambino servisse per far crescere i bambini belli diritti, con le gambine ben dritte. Si faceva attenzione che fossero ben aperte e stirate anche le manine, che venivano pure chiuse nelle fasce. La mia seconda bambina, nata nel 1961 gi‹ in ospedale a Caraglio, era stata fasciata lasciando le manine fuori dalle fasce. 1.1.14. Divieto imposto alla puerpera di lasciare la casa prima della purificazione. Si poteva uscire, non c’erano divieti. 1.1.15. La cerimonia della purificazione. A quei tempi c’era messa tutte le mattine, per cui dopo circa un mese dal parto, una mattina qualsiasi la nuova mamma andava a messa per avere la benedizione. 1.1.16. Fino a quale et„ si protraeva l'allattamento? Se la mamma aveva latte, l’allattamento del bambino si protraeva anche per due-tre anni.

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1.1.17. Divieti diretti ad assicurare la crescita del bambino (di tagliargli le unghie prima di un anno...). Non mi pare ci fossero divieti. 1.1.18. Chi sceglieva il nome del bambino e con quali criteri? Il nome del bambino era scelto dai genitori, ma erano comunque “obbligati” a mettere il nome rispettando il seguente ordine: 1• figlio maschio: nome del nonno paterno 1a figlia femmina: nome della nonna paterna 2• figlio maschio: nome del nonno materno 2 a figlia femmina: nome della nonna materna 3• figlio maschio: nome dello zio (fratello piŒ vecchio del padre del bambino) 3 a figlia femmina: nome della zia (sorella piŒ vecchia del padre del bambino). In seguito, i nomi di padrino e madrina. 1.1.19. Il battesimo avveniva in quale data? Se il bambino stava bene, il battesimo avveniva possibilmente entro 8 giorni dalla nascita. Mi … stato raccontato che se invece si vedeva che il bambino non stava bene il battesimo si faceva appena possibile, dal parroco, e se invece la sua vita era in pericolo, veniva battezzato subito da una donna della famiglia o da una conoscente. 1.1.20. La scelta del padrino e della madrina. Anche per la scelta di padrino e madrina c’erano vie “obbligate”: 1• figlio: padrino e madrina erano parenti del padre (quasi sempre i nonni del bambino) 2• figlio: padrino e madrina erano parenti della madre (di nuovo i nonni del bambino). Successivamente non c’erano piŒ regole, se nascevano tanti bambini e non c’erano parenti a sufficienza, si chiedeva ai vicini di casa. 1.1.21. Si credeva che il bambino avrebbe somigliato al padrino o alla madrina. No, non ricordo che si dicesse qualcosa di simile. 31


1.1.22. Da chi era portato in chiesa per il battesimo? In quale ordine si svolgeva il corteo? In genere al battesimo c’erano solo padrino, madrina e pap‹ del bambino, la mamma stava a casa. Si battezzava in genere subito dopo la messa: finita la funzione la gente usciva di chiesa, intanto erano arrivati padrino, madrina, pap‹ e bambino. Il parroco andava a riceverli sulla porta della chiesa e li accompagnava al fonte battesimale. Chi aveva partecipato alla messa e voleva assistere al battesimo, rientrava in chiesa, ma non c’erano cortei e nemmeno ordini per l’ingresso in chiesa. 1.1.23. Il bambino era avvolto nello scialle o velo usati dalla madre per il matrimonio? Il bambino aveva il suo “lani” personale, in genere bianco sopra e con la fodera del lato inferiore azzurra se maschietto, rosa se femminuccia. Non si usava il velo da sposa della mamma. 1.1.24. Che cuffia aveva? Dei nastri? Differenze fra i sessi nell'abbigliamento. Il bambino aveva una cuffia, in genere bianca, sia per i maschi che per le femmine. Era fasciato e avvolto nel “lani”, che si passava in famiglia da un bambino all’altro. 1.1.25. Il battesimo era accompagnato da spari? No, non si usava sparare per il battesimo. 1.1.26. Getto di confetti ai bambini dopo la cerimonia. Non vigeva neppure l’uso di gettare confetti ai bambini dopo la cerimonia. 1.1.27. Si faceva una festa dopo il battesimo? Chi vi partecipava? Dopo il battesimo si faceva una specie di rinfresco al momento del rientro a casa, con padrino e madrina (si stappava una bottiglia di vino bianco con qualche biscotto). Non si facevano pranzi.

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1.1.28. Bambini morti senza battesimo. Venivano portati in qualche cappella miracolosa? Non ricordo personalmente altri luoghi per la sepoltura di bambini senza battesimo al di fuori del cimitero, dove c’era un angolo riservato ai bambini. Per‡ ricordo di aver letto da qualche parte che li portavano in un luogo vicino alla cappella di Madonna della Neve, vicino a Monterosso Grana. 1.1.29. Amuleti per proteggere i bambini dalle malattie e dal malocchio. Per proteggere i bambini si cuciva una medaglietta con l’immagine della Madonna o di qualche Santo sulla canottierina. 1.1.30. Le malattie dei bambini: terapie praticate. Per “lou roussari” (il morbillo): si avvolgeva il bambino in qualcosa di rosso (un panno, una copertina) perch€, si diceva, cosŠ il morbillo “veniva bene fuori”. Per la “tussesnino” (pertosse): si dava da bere al bambino latte di asina, oppure, se era estate, la rugiada raccolta sulla falce col taglio dell’erba la mattina di san Giovanni, oppure l’acqua della rugiada che rimane nelle foglie rotonde delle “coup…te” (alchemilla vulgaris), oppure ancora l’acqua dove si era fatta bollire una talpa. Per i “verm” (vermi intestinali dei bambini): si pelavano alcuni spicchi d’aglio, si infilavano su un filo per farne una collana che si metteva al collo del bambino. 1.1.31. C'erano guaritrici nel paese o nei paesi vicini? C’erano alcune donne che sapevano “segnare” i vermi e il fuoco. 1.1.32. Per quali malattie si ricorreva a loro? Si andava da loro per far segnare i vermi ai bambini oppure il fuoco se si scottavano. 1.1.33. Terapie popolari per bruciature, orzaiuoli, verruche, morsicature di serpi... Per morsicatura di serpi: si andava dal prete per “far togliere il veleno”. 33


Per orzaiuoli: si ricorreva a persone che li “segnavano” (?): toglievano un capello alla persona che aveva l’orzaiuolo, poi con quel capello facevano un nodo davanti all’occhio da guarire. Verruche: si sfregava un po’ la verruca, poi si metteva sopra il lattice della celidonia (Chelidonium majus). Bruciature: si metteva un po’ di patata grattugiata o si passava sopra un po’ di olio. 1.1.34. Ninnenanne. 1 -Dalin dalan Dalin dalan i € mort en chan ent’al € mort dareire d’l’ort qui l’ei que lou piouro l’ei Jan d’la Mouro qui l’ei que lou grigno l’ei Jan d’la vigno qui l’ei que lou manjo l’ei Jan d’la Granjo. 2 – Boutin trevin Boutin trevin lou pr€ire di Martin a begu tout lou vin al paure pichoutin. Lou pichoutin al € toumba la souo mam‹ i l’a lev‹ tra la la la la la. 1.1.35. Giochi di bambini e ragazzi. 1.1.36. Filastrocche per contarsi nei giochi. Le bambine giocavano con bambole di pezza, per‡ giocavano sovente anche alle biglie o con altri giochi dei maschi. I maschi giocavano con le biglie, con bocce in legno piccole, “tiro-bale” costruiti da loro in legno di sambuco, con la fionda, con i “pal…t” (piccoli pezzi di ardesia, si giocava piŒ o meno come alle bocce) . 34


Si giocava a “mosca cieca” (si diceva proprio in italiano!), a nascondino, a “caranto, barbo bianco” . Per quest’ultimo gioco: Un bambino prescelto si appoggiava ad un muro con un braccio davanti agli occhi per non vedere gli altri bambini che andavano a nascondersi. Contava fino a 40, poi diceva forte in modo che sentissero tutti i bambini “caranto, barbo bianco!” Da quel momento cominciava a cercarli. Se mentre ne cercava uno, un altro riusciva ad arrivare al muro dove lui aveva “contato”, li liberava tutti, per cui toccava di nuovo allo stesso bambino contare. Continuava cosŠ fino a quando li trovava tutti. 1.1.37. Altre filastrocche: in particolare quelle rivolte alla linfa per fabbricare fischietti e alla coccinella per farla volare. Filastrocca per la linfa dei fischietti: Savadin savadolo, DŠu te salve e la Madono ……………….. ……………….. Filastrocca per far volare la coccinella: Catalino volo volo, la touo maire i-€ ana a scolo, lou tŠu paire e ana a Turin e al te chato en bel par€i de stivalin. 1.1.38. Indovinelli. Non ne ricordo che avessero risposte attinenti ai bambini. 1.1.39. A partire da quale et„ i bambini assumevano responsabilit„ di lavoro? I bambini assumevano responsabilit‹ di lavoro a partite dai sei – sette anni: guardavano i fratellini piŒ piccoli, andavano al pascolo con capre e pecore, davano da mangiare ai conigli, alle galline e aiutavano gi‹ un po’ in campagna a girare il fieno. 1.1.40. La scuola. Si finiva la scuola con la 5• elementare (parlo della scuola in montagna, dove l’ho frequentata io). 35


La scuola era sempre multiclasse, in tempi piŒ remoti con una sola maestra per 40/50 bambini, quindi con doppi turni. Ultimamente c’erano due maestre: una per le classi 1•- 2• e 3• e l’altra per le classi 4• e 5•. Come punizioni si davano bacchettate sulle dita ai ragazzi discoli, con le “vers…le” (giovani rametti di nocciolo), fatti portare appositamente dai bambini stessi. Si veviva messi in ginocchio dietro la lavagna. Chi non riusciva per esempio a fare un problema, doveva rimanere in classe per risolverlo dopo l’uscita degli altri compagni per andare a pranzo. Si faceva ginnastica sulla piazzetta della chiesa una volta a settimana. In inverno tutte le mattine i bambini dovevano portare a scuola un bel pezzo di legno da mettere nella stufa per riscaldare il locale, se uno non si ricordava di portarlo una mattina, la mattina successiva doveva portare due pezzi. Nelle gite scolastiche si andava a trovare la maestra e gli alunni di una scuola nella frazione di un altro vallone, (es. S. Lucia, Scaletta), ma sempre a piedi, prendendo tutte le scorciatoie. In genere si portava pranzo al sacco e si ritornava nel pomeriggio. (Ricordo che una volta siamo andati a Scaletta, quel giorno era previsto il rientro per pranzo, ma si … messo a piovere per cui ci siamo dovuti fermare piŒ del previsto a Scaletta. Tornando ci siamo ancora presi un bel temporale attraversando prati e boschi, siamo arrivati a casa alle 16, bagnati fradici e senza pranzo perch€ non era previsto il temporale e neppure di rimanere fuori cosŠ tanto tempo. Dulcis in fundo, bella lavata di capo a casa perch€ i genitori non erano stati avvertiti della gita…….) Quando nevicava si faticava ad andare a scuola, cadeva sempre molta neve, facevano un sentierino in mezzo alla strada con le pale nella neve, ai lati c’era un muro di neve di un metro, un metro e mezzo. La neve restava attaccata sotto gli zoccoli, si camminava male ed eravamo sempre con i piedi bagnati. La primavera quando cominciavano i lavori nei campi, ci facevano stare sovente a casa per aiutare, specialmente ci facevano andare al pascolo e allora …ciao scuola. Del periodo della guerra 1940-45 ricordo che erano gli anni 1942 e 1943, frequentavo la 1• e la 2• elementare, anche se eravamo in montagna, a 1200 mt. s.l.m. la guerra era arrivata anche lassŒ. 36


I tedeschi salivano, sovente si sentiva sparare nel fondovalle, la maestra ci faceva stare in classe, ma io ero talmente spaventata di quei colpi di fucile e mitraglie (avevo visto case che bruciavano, sparavano ai cani, alle galline) che proprio non volevo stare in classe. Allora mia mamma, quando sentiva i colpi di fucile rimbombare a valle, mi veniva a prendere e mi portava a casa. Una di quelle volte mio pap‹ era stato preso come ostaggio dai tedeschi a Caraglio. Avrebbe dovuto stare solo quattro giorni, ma dopo i quattro giorni non riusciva a tornare al Daniel (borgata di Frise) perch€ c’erano i tedeschi per la strada e io che avevo solo 6 o 7 anni pensavo che lo avessero ucciso.

 LA GIOVENTˆ. IL FIDANZAMENTO E IL MATRIMONIO 1.2.1. A quale et„ si entrava a far parte della giovent‰? Si cominciava a far parte della gioventŒ verso i 15-16 anni, per‡ per le ragazze c’era poca libert‹, di sera non ci lasciavano uscire da sole. Anche solo per andare a vegliare in un’altra borgata dove c’erano altre ragazze e ragazzi, ci accompagnava qualche mamma o zia o vicina di casa. I ragazzi invece erano piŒ liberi, uscivano in gruppi, sempre alla ricerca di qualche marachella da combinare: nascondevano gli attrezzi agricoli in casolari abbandonati o sugli alberi. Nel momento in cui il proprietario ne aveva bisogno, non li trovava piŒ. Facevano scherzi alle ragazze, nascondevano la biancheria intima trovata stesa fuori, poi quando erano stufi di gironzolare si avvicinavano a qualche stalla dove c’erano ragazze che vegliavano ed entravano a vegliare pure loro. D’estate quando c’erano le feste patronali, oppure alla domenica, si ballava nella sala dell’unica osteria di Frise; c’erano due o tre ragazzi che sapevano suonare un p‡ la fisarmonica e ci si divertiva cosŠ, eravamo molto contenti, cantavamo anche molte canzoni. 37


1.2.2. L'ingresso nella giovent‰ era in qualche modo ritualizzato? No 1.2.3. C'era un'organizzazione della giovent‰? I giovani eleggevano un capo? Non c’era organizzazione della gioventŒ e nemmeno un capo, ma c’erano sempre i soliti furbetti che si inventavano qualche marachella e andavano a trovare qualche ragazza fuori vallata. 1.2.4. La giovent‰ si limitava ad organizzare i divertimenti oppure svolgeva anche funzioni assistenziali? La gioventŒ organizzava, in occasione delle feste, qualche gioco, come il tiro alla fune o la rottura delle pignatte. Per esempio la sera dell’Epifania (la sera del 5 gennaio) si radunavano tutti assieme ragazzi e ragazze: si scrivevano tanti bigliettini, ognuno col nome di una ragazza del paese e altri col nome dei ragazzi. Poi si piegavano tenendoli divisi e si sorteggiava un biglietto da una parte (fra quelli col nome delle ragazze) e uno dall’altra (fra quelli col nome dei ragazzi). Su questi biglietti si scrivevano anche il nome di qualche vedovo o vedova, delle zitelle, dei barboni. Tirando a sorte un biglietto per parte quindi si formavano coppie molto improbabili: una bella ragazza con un vedovo, un barbone oppure un bel ragazzo di 20 anni con una vedova o una zitella di 70 anni. Il tutto ci faceva ridere a crepapelle. Poi la mattina dell’Epifania, durante la Messa qualcuno si prendeva la briga di buttare fuori dalla chiesa, per terra, tanti biglietti con sopra gi‹ scritte le coppie formatesi la sera prima durante l’estrazione. La gente usciva da Messa (allora c’erano tante persone), raccoglieva i biglietti e leggevano le coppie tutti insieme con grandi risate da parte di tutti. Di funzioni assistenziali non ricordo molto, ma c’era sempre qualche ragazzo o ragazza che aiutava a volte gli anziani per qualche lavoretto.

1.2.5. I balli; frequenza, luogo e suonatori. I balli a Frise si facevano piuttosto d’estate, alla domenica pomeriggio o sera, all’osteria del paese. I suonatori erano quasi 38


sempre quei due o tre ragazzi del paese che sapevano suonare un po’ la fisarmonica. I balli piŒ frequentati erano quelli dei giorni delle feste patronali, sempre all’unica osteria del paese, ma in quell’occasione i proprietari facevano venire i suonatori da fuori, sovente quelli di Bernezzo, con fisarmonica e clarinetto. Si andava anche a ballare, sempre in occasione delle fese patronali, a Santa Lucia di Monterosso e a Pradleves. 1.2.6. Atteggiamento dell'autorit„ religiosa verso il ballo. Le autorit‹ religiose erano poco propensi al ballo, il parroco guardava un po’ di traverso le ragazze. Ho sentito raccontare che a S. Lucia una volta il parroco non aveva lasciato installare un ballo pubblico in piazza, poco lontano dalla chiesa per la festa di S. Lucia a settembre. I preti allora erano molto severi e noi ragazze li temevamo molto. 1.2.7. Chi presiedeva il ballo? Il ballo non era presieduto da nessuno. 1.2.8. Il pagamento del suonatore. Il suonatore veniva pagato dai proprietari del locale (osteria) ma solo per le feste patronali, quando lo/li facevano arrivare da fuori paese. Le altre domeniche di ballo, ogni tanto qualche ragazzo passava a fare la colletta (…) per il suonatore e ci accontentavamo cosŠ. 1.2.9. Ci si ricorda di suonatori ambulanti (in particolare, di suonatori che facevano ballare la marmotta)? Non c’erano suonatori ambulanti e neppure suonatori che facevano ballare la marmotta. 1.2.10. Rapporti e conflitti fra la giovent‰ del paese e quella dei paesi vicini. I ragazzi di una vallata non volevano che i ragazzi di un’altra vallata venissero a trovare e corteggiare le ragazze del loro paese, per paura che poi si sposassero e andassero ad abitare via, e loro restavano a bocca asciutta. Ad un mio cugino di Frise piaceva una ragazza di Scaletta: una sera … andato a trovarla, quando verso mezzanotte … uscito per tornare 39


a casa e’ stato bombardato di pietre dai ragazzi di quella borgata. Si … preso paura, … tornato indietro dalla ragazza che era andato a trovare ed e’ rimasto lŠ fino al mattino seguente, tornando a casa solo all’alba. 1.2.11. Endogamia: ci si sposava all'interno della frazione? della parrocchia o del comune? Ci si sposava in genere all’interno della frazione e delle borgate vicine (e di conseguenza nella stessa parrocchia). Poche volte fuori dal comune. Di solito si sposavano sempre nella parrocchia della sposa, pochissime volte andavano fuori comune. Ho sentito raccontare tante volte dagli anziani del paese che se una ragazza si sposava con un ragazzo di un’altra parrocchia, doveva pagare alla parrocchia che abbandonava gi‹ mezza sepoltura.

1.2.12. Le ragazze facevano pellegrinaggi o voti per trovare marito? Generalmente no, ma ricordo una ragazza del mio paese che aveva il fidanzato conosciuto in Francia. Iniziata la guerra del 40-45 lei … ritornata al paese. Tutto il periodo della guerra non si sono piŒ potuti vedere e sentire. Finita la guerra lei ha deciso di andare in pellegrinaggio a S. Anna di Vinadio se per caso l’avesse incontrato. Sant’Anna l’avr‹ aiutata, ma si sono proprio incontrati lŠ, con grande festa. Poco dopo si sono sposati, sono andati ad abitare in Francia e non sono piŒ tornati al paese. 1.2.13. Dove avveniva generalmente il corteggiamento (durante la veglia.....)? Di solito i ragazzi si trovavano d’inverno a vegliare nelle stalle , ma poi si incontravano anche alla domenica dopo la messa, o al ballo. Oppure si incontravano per strada andando a fare la spesa perch€ c’erano 4- 5 km da fare a piedi per arrivare al negozio. 1.2.14. La giovent‰ faceva la "brenado“ o “purr„" (traccia di segatura o sabbia) quando scopriva che due giovani si frequentavano? No 40


1.2.15. C'erano mediatori che organizzavano i matrimoni? I mediatori non c’erano , ma nelle famiglie si faceva attenzione che sia da una parte che dall’altra fossero bravi ragazzi, non ubriaconi o violenti i ragazzi e brave massaie le ragazze, capaci a filare, cucire, fare maglia e cucinare. In piŒ lavorare tanto in campagna. 1.2.16. C’erano formule rituali di accettazione o di rifiuto ("a m'as…tou dapŠ de vous........")? Quando un ragazzo voleva avvicinarsi ad una ragazza per corteggiarla, le si accostava dicendole “me fas ‘c‹ en pau de post dap… de tu?” (mi fai anche un po’ di posto vicino a te?). E cosi cominciava la chiacchierata, se tutto filava liscio si continuava. Questo per‡ accadeva se erano in veglia in qualche stalla. 1.2.17. Periodo preferito per i matrimoni; ci si sposava anche nel mese di maggio? Il periodo per i matrimoni era in genere la primavera o l’estate. Assolutamente non ci si sposava mai nel periodo di quaresima. 1.2.18. Che ruolo avevano i genitori nella scelta del partner? A quanto ricordo, i genitori nella scelta del partner non avevano alcun ruolo. Al massimo davano il loro consiglio. 1.2.19. L'accordo fra lo sposo e la famiglia della sposa veniva in qualche modo ritualizzato? No 1.2.20. Come avveniva il fidanzamento ("frumaies“)? Non c’erano feste di fidanzamento, ma dal momento in cui i ragazzi decidevano di sposarsi erano piŒ disinvolti a lasciarsi vedere in giro insieme. 1.2.21. I fidanzati offrivano regali ai parenti? Quali? No 1.2.22. I fidanzati si scambiavano delle arre (somme di denaro o oggetti di valore)? Nel periodo di fidanzamento i fidanzati non si scambiavano nulla perch€ mancavano sempre i soldi. 41


Quando poi decidevano di sposarsi e andavano a comprare le fedi, lo sposo comprava anche qualcosa alla sposa (orologio da polso, o catenina d’oro, oppure gli orecchini, ma non tutti se lo potevano permettere, sempre per motivi economici). 1.2.23. Dove si faceva il pranzo di fidanzamento? Il pranzo di fidanzamento non si faceva, al massimo si andava a casa dello sposo a prendere un caff… con qualche biscotto con i genitori e fratelli degli sposi. 1.2.24. Si ballava in quell'occasione? No, non si ballava. 1.2.25. Quante pubblicazioni si facevano? Le pubblicazioni si facevano in municipio, poi in chiesa durante le messe, mi pare per tre domeniche consecutive. 1.2.26. I fidanzati rendevano visita alle tombe delle due famiglie? In quale occasione? No 1.2.27. 1 fidanzati si vedevano sovente? Di nascosto? I fidanzati si vedevano abbastanza sovente: se era d’inverno si trovavano nelle stalle in veglia con altra gente, oppure alla domenica di solito dopo la messa per scambiare due parole. Tante volte anche di nascosto, in particolar modo nella bella stagione, quando si andava a ballare, per poter accompagnare la ragazza a casa e poter scambiare un bacio. 1.2.28. Offrivano una colazione d'addio ai giovani e alle ragazze del paese? No, non si offrivano colazioni d’addio. Al massimo il ragazzo offriva una volta da bere agli amici. 1.2.29. Se uno dei due fidanzati lasciava l'altro, che iniziative prendeva la giovent‰? Se uno dei due fidanzati lasciava l’altro, la gioventŒ non prendeva iniziative. Ma c’era sempre qualche burlone che li prendeva in giro, quasi ne godesse, dicendo “…eh, vi siete lasciati eh?” 42


1.2.30. Se si sposava la pi‰ giovane di due sorelle, l'altra era oggetto di qualche scherzo? SŠ, se si sposava la piŒ giovane di due sorelle, come pure tra fratelli, il giorno del matrimonio, mentre erano seduti a tavola per il pranzo, portavano al fratello o alla sorella maggiore una bella capra. Si diceva “i a chata lou bouc!” (gli ha comprato il caprone). 1.2.31. C'era un incontro ritualizzato fra la nuora e la suocera? No 1.2.32. Come si vestivano gli sposi? Chi vestiva la sposa? Gli sposi si vestivano sempre di scuro, nero o blu scuro. Era consuetudine che lo sposo pagasse lui il vestito della sposa. Invece la sposa comprava per lo sposo le calze e la cravatta. 1.2.33. La casa degli sposi era decorata con fiori, fronde...? Quasi sempre per non dire sempre, gli sposi andavano ad abitare nella famiglia dello sposo, con suoceri, fratelli e sorelle dello sposo. Perci‡ la casa non era decorata, tutt’al piŒ preparavano per gli sposi una camera pulita, con letto e armadio. Sempre se avevano delle camere, ma sovente non c’erano e allora si dormiva sul fienile. 1.2.34. Qual era l'ordine del corteo nuziale all'andata e al ritorno? Sia all’andata che al ritorno non c’era un ordine per il corteo nuziale. 1.2.35. Si faceva la barriera alla sposa che lasciava il paese? No 1.2.36. C’era l'usanza di rapire e nascondere la sposa? No 1.2.37. Regali agli sposi o degli sposi ai parenti. Agli sposi regalavano quasi sempre biancheria, di rado un servizio di tazzine da caff… o una caffettiera o sei bicchierini da liquore. 43


Siccome si andava ad abitare in casa dei suoceri, non si regalavano molti servizi . Invece gli sposi regalavano un grembiule alle zie ed una cravatta agli zii. 1.2.38. Che ruolo svolgeva la giovent‰ durante la cerimonia? La gioventŒ durante la cerimonia non svolgeva ruoli particolari, assisteva semplicemente alla messa. 1.2.39. La composizione e il trasporto del fardello. Ho sentito raccontare da mia suocera (nata in una borgata di Frise nel 1894) che in tempi piŒ remoti la sposa si preparava un bel fardello con lenzuola, federe, asciugamani, e camicie per lei, tutto fatto a mano con tela di casa che facevano tessere con la canapa. Ogni pezzo che la sposa preparava aveva le iniziali del suo nome e cognome ricamate. Ho sempre sentito raccontare che la sposa doveva pure portarsi a casa dello sposo “lou gardarobo” (l’armadio, Il guardaroba) per mettere dentro il suo fardello. 1.2.40. Si stipulava un contratto di matrimonio davanti al notaio? No 1.2.41. Si redigeva un elenco dei beni componenti il fardello? Che denominazione aveva? No 1.2.42. Scherzi agli sposi. Si facevano diversi scherzi agli sposi specialmente se gli amici riuscivano a recuperare la chiave della camera. Facevano il sacco con le lenzuola del letto, mettevano nel letto zucchero per farli grattare e anche qualche formica, se era il periodo in cui non erano interrate. 1.2.43. Dove aveva luogo il pranzo di nozze? Che cosa si mangiava? Il pranzo di nozze si faceva sempre a casa dello sposo, ma era abitudine che il mattino del matrimonio , prima della messa per gli sposi che era sempre verso le 11, lo sposo con tutti i suoi parenti e quelli della sposa, andasse a casa della sposa verso le 8,30 – 9 per 44


mangiare e bere gi‹ quasi come se fosse un vero pranzo. Poi si andava tutti assieme alla messa, dopo messa a casa dello sposo per pranzo. A quanto ricordo io si mangiava gi‹ bene: antipasto preparato in casa, uova ripiene, gi‹ qualche fettina di salame, poi ravioli, coniglio. Sempre tutta roba genuina cucinata in casa. Al massimo facevano preparare una torta dal panettiere. 1.2.44. Dopo, si ballava? Chi apriva il ballo? No, non si ballava, la gioventŒ scherzava, si tirava qualche petardo, cantavano. Qualche bambino recitava magari una poesia agli sposi, mancava sempre lo spazio per ballare e sovente anche i suonatori. 1.2.45. Il matrimonio dei vedovi. Non ricordo matrimoni di vedovi. 1.2.46. Durante la cerimonia, lo sposo cercava di mettere il ginocchio sul grembiule della sposa? No 1.2.47. Era previsto un incontro ritualizzato della sposa con la suocera? No 1.2.48. Dopo mezzanotte, i giovani cercavano gli sposi e offrivano allo sposo vino caldo? Non offrivano vino caldo allo sposo, ma se la camera degli sposi era a pianterreno orecchiavano molto volentieri. 1.2.49. La domenica successiva al matrimonio, si faceva "arn‹s"? Non ricordo nulla in merito. 1.2.50. Dopo alcuni giorni passati con lo sposo, la sposa tornava a casa per trascorrervi un breve periodo? No 1.2.51. Se lo sposo, sposandosi, lasciava il suo paese per andare ad abitare in quello della sposa, doveva offrire, qui, un nuovo pranzo? 45


No 1.2.52. Il marito che riceveva percosse dalla moglie veniva pubblicamente deriso? Dicevano che era un “bad„gou” (*), che si lasciava comandare dalla moglie. Dicevano anche “uro qu’„l „ laissa pourtar i braie a la fremo, quiel isto quiet” (adesso che ha lasciato portare i pantaloni alla moglie lui sta zitto). Qualcun lo derideva anche pubblicamente. ************************** (*)

Il “bad„gou” da noi … il Colchicum autumnale (colchico d’autunno).

 LA MORTE 1.3.1. Presagi di morte. Le persone erano molto preoccupate se sentivano cantare la civetta durante la notte nelle vicinanze di casa, dicevano che sentiva la morte di qualche familiare. Oppure se c’era da fare il funerale di qualcuno della famiglia, non avrebbero voluto celebrarlo di venerdŠ perch€ dicevano che sentiva la morte di qualche altro familiare. 1.3.2. Da chi … vestito il morto? Con quali abiti? (un tempo era sepolto in un lenzuolo cucito?) Di solito il morto era vestito da parenti o vicini di casa, se era una donna la vestivano donne, se uomo erano gli uomini a vestirlo. Se era una persona sposata la vestivano con i vestiti da sposo o sposa , se era nubile o celibe sempre con i vestiti piŒ belli che avevano. Ho sentito raccontare dagli anziani che tanto tempo fa attorno al morto veniva avvolto solo un lenzuolo. 46


1.3.3. Che cosa si fa dei vecchi vestiti del morto? Dei vestiti del morto, la roba ancora bella si dava ai parenti , fratello o sorella del defunto. La chiamavano la “despueio”, il resto veniva poi dato ai poveri. Infatti quando moriva qualcuno, c’era gi‹ sempre qualche povero che passava a chiedere qualche vestito del defunto per mettersi addosso. 1.3.4. Come … addobbata la camera dove c'… il morto? La camera dove c’era il morto non era molto addobbata. Al massimo c’era un vaso di fiori, due candele accese e, se c’era uno specchio, per piccolo che fosse, o veniva tolto o veniva coperto con un panno. D’inverno quasi sempre i morti erano tenuti nella stalla. 1.3.5. Il lutto delle persone in rapporto alla parentela. Il lutto delle persone era abbastanza lungo, se morivano i genitori, due anni. Il primo anno le donne andavano vestite di nero e gli uomini con una fascetta nera attorno al braccio, attaccata alla manica della giacca. Il secondo anno le donne andavano vestite di grigio o comunque con roba scura. Invece per fratelli, sorelle o zii il lutto era per sei mesi – un anno, sempre vestiti di scuro. 1.3.6. Il lutto degli animali (si tolgono i campanelli ai cani, anche l‘alveare porta il lutto.......) Per quanto riguarda il lutto agli animali, si toglievano tutti i campanacci alle mucche, se era periodo in cui andavano al pascolo. 1.3.7. Si accende il fuoco mentre il morto … in casa? SŠ, si accendeva il fuoco. 1.3.8. Che cosa si mette in mano al morto?” In mano al morto si metteva la corona del rosario e un piccolo crocifisso sulle mani giunte. 1.3.9. La morte … annunciata con le campane? Con rintocchi differenziati per uomo e donna? Il giorno prima del funerale si suonava “la pass‹”, con rintocchi differenziati. Se il defunto era un uomo, si suonavano i primi 9 rintocchi con la campana piŒ grande, se invece era una donna si 47


suonavano i primi 9 rintocchi con la campana piccola. Poi si continuava con entrambe le campane. 1.3.10. Chi partecipa alla veglia funebre? Di che cosa si parla durante la veglia? Dopo il rosario, che si recitava in casa del morto, i parenti e i vicini di casa che vi avevano partecipato si fermavano un po’ a vegliare il morto, poi rimanevano solo i familiari. Si parlava un po’ di tutto, dal tempo al lavoro. 1.3.11. Da chi … visitato il morto? Che cosa fanno i visitatori? Il morto era visitato innanzitutto dal dottore, poi andavano i parenti, i vicini di casa, la gente del paese. I visitatori si fermavano magari a pregare un momento, incoraggiando i parenti. Si fermavano poi per molto piŒ tempo dopo il rosario. 1.3.12. Chi fabbricava la cassa? Di che legno e con quali assi? Come era retribuito? In paese c’era quasi sempre qualcuno che si intendeva un po’ di falegnameria per cui si chiedeva a queste persone di fabbricare la cassa. Se i parenti del morto avevano assi, le portavano, in caso contrario provvedeva il falegname. Le assi erano in genere di “albro” (pioppo). Veniva retribuito in contanti. 1.3.13. Esisteva una confraternita dei penitenti? Che ruolo svolgeva in occasione dei funerali? No, non c’erano confraternite. 1.3.14. Da chi … scavata la fossa? Chi … che mette il morto nella cassa? I parenti del morto chiamavano due uomini giovani e robusti per scavare la fossa, parenti oppure uomini del paese. Ma se era d’inverno e la terra era gelata, era difficile, allora il Comune l’autunno mandava qualcuno a preparare gi‹ una o due fosse, per averle in caso di morti durante l’inverno, quando non si sarebbe potuto scavare. 1.3.15- Si faceva una “duna”, cena offerta ai poveri? Non si offrivano cene ai poveri. 48


1.3.16. Si regalava qualcosa ai figliocci del morto? No 1.3.17. Si regalava un pane al parroco? No 1.3.18. Se il morto (o la morta) era celibe (o nubile), i giovani del corteo funebre ricevevano in dono un nastro blu? No 1.3.19. Chi portava la cassa? Siccome le borgate erano abbastanza lontane dalla chiesa, per portare la cassa chiamavano sempre sei uomini, in modo da potersi dare il cambio lungo il tragitto. Chiamavano sempre giovani robusti, vicini di casa o del paese. Se era d’inverno le strade erano brutte e strette per cui certe volte facevano molta fatica. 1.3.20. Che percorso si seguiva? Dalla casa del morto si andava alla chiesa, si assisteva alla Messa funebre, poi si andava al cimitero.

1.3.21 Come era composto (e in quale ordine) il corteo funebre? Le donne vi partecipavano? Il corteo funebre era composto nel seguente modo: per prime le bambine dette le “Agnesine”, con in testa il velo bianco. La prima della fila portava una croce. Seguivano le ragazze della “CompagnŠa delle figlie di Maria” vestite col “c„mus” bianco e nastro azzurro alla vita, un medaglione appeso al collo sempre con un nastro azzurro. Anche queste portavano una croce. Seguivano poi le donne sposate, sempre con il “c‹mus” , ma giallo. In seguito il parroco con i chierichetti, gli uomini che portavano la cassa del defunto, i parenti del morto, qualche uomo della “CompagnŠa del Sacro Cuore”, anche loro con un “c‹mus” bianco, pure loro portavano una croce. Infine tutte le altre persone intervenute al funerale.

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Frise: processione per San Bartolomeo anni 60 In primo piano “figlie di Maria” (col “cƒmus” bianco) e donne sposate (con “cƒmus” giallo, in secondo piano). 1.3.22. Al funerale c'erano donne che piangevano a pagamento? No. 1.3.23. Le persone di diversa confessione (protestanti, ebrei...) in che modo partecipavano alla funzione funebre? Non c’erano ebrei o protestanti al paese. 1.3.24. D'inverno, si conservava il cadavere nel sottotetto? No, non si conservava il cadavere nel sottotetto. Se proprio non si poteva fare il funerale il giorno stabilito perch€ c’era troppa neve, si spostava al giorno successivo, per avere il tempo di aprire le strade. Ma quando ero piccola ricordo di aver sentito raccontare che tanto tempo prima, quando non c’era ancora il cimitero a Frise e portavano tutti i morti al cimitero di San Pietro Monterosso, era successo che per la troppa neve non avevano potuto fare il funerale per tre – quattro giorni, allora avevano portato la cassa del morto in chiesa. 50


1.3.25. Il funerale dei bambini. Chi portava la cassa? Al funerale dei bambini la cassa la portavano sempre quattro bambini se era un maschio, oppure quattro bambine se era una femmina. Mi ricordo bene di aver portato due piccole bare quando ero bambina. 1.3.26. Funerale e sepoltura dei suicidi. Non ricordo funerali diversi dagli altri per i suicidi.

Cimitero di Frise 2014: vecchie tombe. 1.3.27. La collocazione della tomba al cimitero era stabilita in base a quali criteri? C'erano posizioni pi‰ ambite? Siccome il cimitero di Frise … piccolo, la gente se … possibile cerca sempre di mettere i propri cari vicini, ma non sempre … fattibile. Allora lo mettono al posto di un altro parente morto piŒ di trenta – quaranta anni prima. 1.3.28. Che forma aveva la tomba? La tomba una volta aveva solo una croce, oppure una ardesia un po’ squadrata con sopra inciso nome, cognome, data di nascita e morte del defunto. 51


1.3.29. Si credeva che la prima notte il morto tornasse a dormire nel suo letto? No. 1.3.30. Dopo il funerale si faceva il bucato? SŠ, dopo il funerale si faceva sempre il bucato e, se possibile, sempre prima che ci fosse la celebrazione della messa di settima. 1.3.3I. Si bruciava il letto o la paglia del letto del defunto? Non si bruciava il letto del defunto e neppure la paglia dove c’era stato il morto. La paglia veniva usata per la lettiera delle mucche, poi si metteva paglia pulita nel letto. 1.3.32. Al bucato partecipavano i vicini o i parenti? Il bucato lo facevano sempre i familiari, ma se ci fosse stata una donna sola a farlo, c’era sempre qualche parente che la aiutava. 1.3.33. Si credeva che, in seguito, il morto tornasse in casa e lasciasse qualche segno della sua presenza? No. 1.3.34. Si credeva che il morto sollecitasse in qualche modo la celebrazione di messe o altri adempimenti? Avevo sentito raccontare mi pare da mia suocera ( Frise - classe 1894) che se uno sognava spesso una persona che se ne era andata, era perch€ aveva bisogno di messe di suffragio.

LE FESTE (Il ciclo dell’anno) 2.1. In che cosa si distingueva l'abbigliamento - soprattutto quello femminile - della festa? Nei giorni di festa e cio… la domenica, ma in special modo per Natale, Pasqua e le feste patronali, la gente indossava sempre i vestiti piŒ belli. Gli uomini “la vestimento” (il vestito) piŒ bello, le donne gli abiti migliori che avevano. Non si usava la gonna e maglia sopra, ma sempre un vestito intero e di colore sempre scuro. 52


2.2. Il divieto di lavorare nel giorno festivo era rispettato? Questo divieto riguardava soltanto i lavori agricoli o anche quelli artigianali? Si riferiva anche alle royde? In che modo era sanzionato (riprova-zione pubblica.....)? Il divieto di lavorare nei giorni di festa era abbastanza rispettato, specialmente se erano lavori agricoli non urgenti, ma se era tempo della fienagione e minacciava di piovere, si andava lo stesso a togliere il fieno. Lavori artigianali (nel senso di artigiani) da noi a Frise non ce n’erano. 2.3. Lo spazio all'interno della chiesa (o del tempio), durante le funzioni, secondo quali criteri veniva occupato (le donne a destra,..... i vecchi nel coro...)? Nella nostre chiesette di montagna durante le funzioni le donne occupavano i banchi a destra e gli uomini a sinistra. C’… ancora un po’ adesso quell’abitudine, specialmente a Frise e S. Lucia. Il coro era presente nella chiesa di San Pietro Monterosso, ma io non lo ricordo. 2.4. Accadeva che pi‰ famiglie consumassero insieme il pranzo della domenica o di altro giorno festivo? Si usava consumare il pranzo insieme, ma solo per le feste patronali e sempre tra parenti. 2.5. Accadeva che la domenica o altra festa si invitasse a pranzo un povero del paese? Oppure il parroco? Se per esempio ci fosse stata una persona sola nella borgata, c’era sempre qualche vicino che la invitava a pranzo per Natale o per le feste patronali. Non ricordo che il prete fosse invitato. 2.6. Quali erano le occupazioni tradizionali del pomeriggio della domenica? Nel pomeriggio della domenica, se era d’inverno, si andava magari in un’altra borgata a trovare qualche parente o amici. 2.7. A capodanno i bambini facevano la questua di casa in casa? Con quale formula auguravano buon anno? 53


I bambini andavano ad augurare Buon Anno a padrino o madrina, sapendo che avrebbero ricevuto probabilmente in dono il “ciciu”, un “ometto” fatto fare dal panettiere con pasta delle brioches. 2.8. Si traeva un pronostico dalla prima persona incontrata? Bisognava abbracciarla? Si diceva che il primo giorno dell’anno se una donna incontrava come prima persona un uomo, portava fortuna, cosŠ per un uomo che avesse visto per prima un a donna. Ma la persona incontrata non veniva abbracciata. 2.9. Altre tradizioni legate al capodanno (decorazione di fontane.....) Non c’erano altre tradizioni per il capodanno. 2.10. Si cucinava un dolce con la fava dentro? Si cucinava la pasta fresca fatta a mano: tajarin, lasagne, gnocchi. Non c’era l’usanza di cucinare il dolce con dentro la fava. 2.11. All'Epifania le ragazze traevano pronostici sul loro matrimonio? In che modo? Andavano a leggere i bigliettini tirati a sorte la sera prima, vegliando nelle stalle con gli altri ragazzi e ragazze, per vedere con chi erano state accoppiate. (vedere la risposta alla domanda 1.2.4. La gioventƒ si limitava ad organizzare i divertimenti oppure svolgeva anche funzioni assistenziali?) 2.12. Festa di Sant’Antonio (benedizione degli animali?) Per la festa di S. Antonio, chi poteva scendeva a Caraglio dove veniva impartita la benedizione agli animali (tradizione che si mantiene tuttora) e veniva distribuito sale benedetto da portare a casa. 2.13. 1Œ febbraio (S.Orso): proverbi relativi al lupo o all‘orso. Per S. Orso la gente era molto attenta al tempo di quel giorno in quanto il proverbio dice “Se l’ours so‰leio la paio la fai brut caranto journ e n’esmano” (se a S. Orso c’… il sole, fa brutto per quaranta giorni e una settimana). 54


2.14. La Candelora: le virt‰ del cero benedetto Il giorno della Candelora (2 febbraio) si andava a messa per ritirare il cero benedetto e appenderlo in casa. Il giorno successivo, S. Biagio, si andava in Chiesa per “fasse sbiais„r”, cio… farsi benedire la gola per prevenire il mal di gola. Il prete metteva due ceri accesi incrociati sotto la gola della persona e recitava una formula apposita. 2.15. Il Carnevale: le maschere e la questua di casa in casa. In che giorno? Nel periodo del Carnevale tanti ragazzi del paese si vestivano con maschere che si erano confezionati loro e passavano in tutte le borgate a farsi vedere, facendo un gran chiasso. Alla fine del Carnevale passavano una sera a raccogliere le uova che la gente dava loro, le portavano a vendere e col ricavato si facevano una cena all’ osteria il martedŠ grasso. 2.16. I personaggi del carnevale: arlecchino, quaresima..? I personaggi del Carnevale erano: gli sposi, gli zoppi, la vecchietta, il gatto, il prete. Ma tutti erano vestiti con abiti vecchi, maschere costruite con pelli di coniglio o pelli di gatto, carta pesta. Nulla di comperato. Ma giravano solo quando era ormai notte, la sera dopo cena. 2.17. Andavano anche nei paesi vicini? Non andavano nei paesi vicini, ma giravano in tutte le borgate di Frise, che sono una quindicina, ormai mezze disabitate. 2.18. La sera del marted• grasso si faceva un fal‹? Dove? La sera del martedŠ grasso non si faceva il fal‡, solo una festa dove tutte le maschere cenavano insieme. 2.19. Si bruciava un pupazzo? No. 2.20. Durante il fal‹ che cosa si cantava (ad•u paure carnaval....)? No. 2.21. 1 giovani scavalcavano il fuoco? PerchŠ? 55


No. 2.22. Si ballava? No. 2.23. Durante il carnevale, i bambini giravano per il paese con trecce di paglia accese? In che giorno? Durante il carnevale i bambini qualche volta si mettevano d’accordo anche loro di passare a fare le maschere, ma passavano di giorno, nelle tre – quattro borgate piŒ vicine. 2.24. C'era qualche festa durante la quaresima? Durante la quaresima c’erano le funzioni della settimana santa e tutti i venerdŠ il Via Crucis. 2.25. Domenica delle Palme: di che legno … il ramo benedetto? Che cosa gli appendevano i bambini? Adesso la domenica delle Palme i preti provvedono loro a portare in chiesa rami di ulivo. Ma da quanto ricordo, fin da quando ero piccola, si portavano a benedire rami di “bŒiss” (bosso). I rami dei bambini erano legati a volte con un bel fiocco. 2.26. La settimana santa: il silenzio delle campane (dove sono andate?) La settimana Santa le campane restavano in silenzio. 2.27. Strumenti usati per annunciare le funzioni. Da chi? Per annunciare le funzioni nel periodo che le campane restavano mute, come strumento avevano un’asse, tipo un piccolo “tabi‹t” (troccola? tanavella?) con una maniglia su un lato che serviva per tenerlo (vedi foto). Sulle due facce dell’asse erano incernierate due maniglie di ferro mobili. Tenendo l’asse per la maniglia e scuotendolo in senso rotatorio avanti e indietro, le maniglie battevano sopra l’asse, facendo uno strano rumore. In questo modo la gente sentiva che era ora di andare alle funzioni. Certo che non si poteva sentire dalle borgate piŒ lontane. 56


Erano i chierichetti che usavano quel marchingegno per suonare, sul piazzale davanti alla chiesa …e si divertivano un sacco a farlo sbattere!

Tabi†t 2.28. Funzioni del gioved• santo. Alla funzione il sacerdote lavava i piedi a 12 bambini? C'era una distribuzione di pane? No. 2.29. Le uova del venerd• santo avevano qualche virt‰? No. 2.30. Tradizioni legate al luned• di Pasqua. Non ricordo. 57


2.31. In che giorno aveva luogo la benedizione delle case? Con quale rito? Per la benedizione delle case il sacerdote iniziava sempre la settimana dopo Pasqua, ma siccome tutte le borgate erano abitate, in un solo giorno non riusciva a passare da tutti, impiegava anche due o tre giorni. E questo perch€ in ogni famiglia andava a benedire tutte le camere, la cucina, la stalla, il fienile. CosŠ impiegava molto tempo. 2.32. Le Rogazioni. Si svolgevano delle processioni? Con quale percorso? Quali altre processioni avevano luogo nel corso dell'anno? Per le Rogazioni si facevano processioni per tre mattine di seguito, in tre luoghi diversi nella campagna, ma sempre dirigendosi dove c’erano (e ci sono ancora) dei piloni. Nel corso dell’anno si svolgevano altre processioni in occasione di: Corpus Domini, San Giovanni Battista, San Bartolomeo, 8 settembre, festa della Nativit‹ di Maria Vergine, detta la processione delle figlie di Maria. 2.33. Esisteva la tradizione di piantare delle croci di legno nei campi in uno dei primi giorni di maggio? Non si piantavano croci nel mese di maggio, ma la domenica delle Palme mandavano noi bambini a e piantare un ramo di ulivo (che poi era bosso) benedetto in tutti i campi seminati di grano, segale, patate, per proteggerli dalla grandine. Davano pure a tutti gli animali (mucche , capre, pecore, asini) un rametto di bosso benedetto da mangiare per proteggerli dalle malattie. 2.34. Le feste del IŒ maggio: l'albero piantato sulla piazza No. 2.35. San Giovanni: il fal‹ (c'era l'usanza di far passare le bestie sulla cenere del fal‹?) Le virt‰ terapeutiche della rugiada del mattino di San Giovanni, i regali ai pastori. C’era una gara a chi arrivava per primo sull‘ alpeggio? 58


La rugiada del mattino di san Giovanni veniva raccolta per darla a bambini con la pertosse, dicevano la facesse passare. Non facevano passare le bestie sulla cenere del fal‡. Non c’erano gare a chi arrivava prima all’alpeggio. 2.36. Al termine della fienagione o della mietitura c'era una festa? No. 2.37. Una festa simile si faceva anche al termine della costruzione di una casa? Terminata di costruire una casa, si faceva un piccolo pranzo, tra muratori e proprietari della casa costruita. Tanti facevano solo una bicchierata. 2.38. C'era un rito particolare per il momento in cui si mietevano le ultime spighe di un campo? No. 2.39. C'era una festa per il ritorno dall'alpeggio? No. 2.40. Credenze e riti legati al giorno dei morti. Il giorno dei morti se si poteva si andava a messa al mattino, poi magari ancora una visita al cimitero, ma non ricordo riti o credenze legati al giorno dei morti. Invece il giorno di Ognissanti era usanza far cuocere castagne, “barote” o “mundai” e minestrone di verdura a cena. 2.41. Natale: la cena si faceva prima o dopo la messa di mezzanotte? Che cosa si mangiava? Aspettando la messa di mezzanotte sovente si andava a vegliare da qualche vicino o parente, ma non si facevano cene. Ci offrivano magari un pugno di castagne cotte o portavano una cesta di mele rachitiche del posto, ma genuine. 2.42. C'… il ricordo di una recita dei pastori durante la messa di mezzanotte? O di altre recite eseguite in diversa occasione? Mi ricordo che quando ero bambina ed avevo 7/8 anni una mia cugina mi aveva portata a S. Lucia di Monterosso a vedere una 59


recita di pastori durante la messa dell’Epifania. Era la prima volta che la facevano, mi era molto piaciuta e c’era tanta gente. 2.43. Riti legati al ceppo di Natale: le virt‰ del ceppo. Non ricordo nulla in proposito. 2.44. E‘ vero che gli animali della stalla si inginocchiavano durante la messa di mezzanotte? Mai visto o sentito dire. 2.45. La festa patronale. La festa patronale di Frise … quella di San Giovanni Battista, poi si festeggiano anche San Bartolomeo e sant’Agata che sono compatroni. 2.46. La festa per l'uccisione del maiale. Non ricordo che una volta a Frise la gente tenesse maiali. Solo adesso due famiglie ne tengono uno ad uso familiare, ma nessuna festa per l’uccisione. 2.47. La festa al termine della vendemmia. Non c’erano nel vallone e non ci sono tuttora viti e quindi vendemmie. 2.48. La festa di particolari categorie di lavoratori: carrettieri, tessitori.... Non c’erano feste di questo tipo. 2.49. Pellegrinaggi per invocare la pioggia o la fertilit„ delle terre..... Non c’erano pellegrinaggi per invocare pioggia, fertilit‹ ecc…. 2.50. Si ricordano pellegrinaggi a fontane che si credevano dotate di particolari virt‰ terapeutiche? No. 2.51. Feste presso cappelle campestri. Presso le cappelle campestri c’erano: 60


- tra il comune di Monterosso Grana e il comune di Valgrana si festeggiava la Madonna della Neve. - l’8 settembre la festa della madonna della Valle in un’altra Cappella. - a S. Lucia, alla borgata Tech Bosc c’… una piccola cappella dedicata alla Madonna di Fatima. Ogni anno il 13 maggio fanno una piccola festa, rosario e benedizione. Dalla parte di Pradleves c’erano pure due o tre cappelle dove facevano le feste: - la cappella di San Giuseppe alla borgata Riosecco. - la Cappella di Madonna degli Angeli. - la cappella di san Grato alla borgata Pentenera. A Frise c’era una piccola cappella vicino alla borgata Moundin, mi pare che fosse la cappella di San Costanzo, adesso … tutta diroccata, per‡ la sua piccola campana che veniva suonata per la festa e per allontanare fulmini e grandine quando minacciava temporale, l’hanno portata sul campanile della parrocchia di Frise.

Indovinello: Na fremo c’a mac na dent i fai courre touto la gent (una signora con un solo dente fa correre tutta la gente) Risposta: la campana, quando suona la messa.

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ADIU PAURE CARNAVAI... . (una bozza di Questionario per l'inchiesta sul Carnevale) 1.1 Le maschere e la questua di casa in casa: in facevano? Al nostro paese (Frise) non si faceva la questua in abitudine passare una sera dell’ultima settimana raccogliere delle uova in tutte le borgate per poi ricavato le maschere si facevano una cena.

quali giorni si denaro, ma era di carnevale a venderle e col

1.2 Quanti erano i personaggi del Carnevale? (l'Arlecchino, la Quaresima, gli Sposi, i Gendarmi, i fratelli) I personaggi del carnevale erano: gli Sposi, il Prete, la Quaresima, i vecchietti zoppicanti col bastone. 1.2.1 Esisteva il personaggio dell'Orso? Cosa faceva? Cosa significava? Come era abbigliato? Non esisteva il personaggio dell’Orso. 1.2.2 Come erano vestiti i vari personaggi? I vari personaggi erano sempre vestiti di indumenti gi‹ molto usati. 1.2.3 Di che colore era il vestito dell'Arlecchino anticamente? Quando si Š iniziato a fargli indossare l'abito a losanghe multicolori? Non c’era alcun personaggio che rappresentasse l’Arlecchino. 1.2.4 Accanto al personaggio dell'Orso c'era anche il Domatore (o figura equivalente)? Non essendoci l’Orso non c’era neppure il Domatore. 1.3 I protagonisti del Carnevale erano esclusivamente uomini, anche se dovevano interpretare ruoli femminili (ad esempio la Sposa, la Quaresima)? Si, i protagonisti del Carnevale erano solo uomini, anche se interpretavano ruoli femminili. 62


1.3.1 Quali erano i ruoli dei diversi personaggi? Cosa facevano? La Quaresima era tutta vestita di nero, il Prete fingeva di sposare gli sposi: si costruivano loro le maschere, con pelli di coniglio, di gatto, di pecora, ma quelle pelli a volte puzzavano. Era un Carnevale povero. 1.3.2 Nel secondo dopoguerra hanno cominciato a prendervi parte anche le donne? No 1.4 Il Carnevale rimaneva in paese o andava anche nei paesi vicini? IL Carnevale rimaneva sempre in paese, siccome allora c’era tanta gioventŒ facevano anche due squadre, quella degli adulti e quella dei piŒ giovani (14-15 anni). 1.5 La sera del marted• grasso si faceva un fal‹? Dove? Non si faceva il fal‡, ma baldoria tutti insieme. 1.5.1 Durante il fal‹ si cantava qualcosa (tipo "adiu paure carnaval...)? No 1.5.2 I giovani saltavano scavalcando il fuoco? PerchŠ? No 1.5.3 Veniva poi bruciato un pupazzo? Come si chiamava? Come era confezionato? No 1.6 Si ballava? Quando? Dove? Cosa si ballava? Si ballava, tra maschere, nelle stalle, da una famiglia all’altra. Se c’erano ragazze presenti, le maschere le facevano ballare magari al suono di un’armonica a bocca. 1.6.1 Da dove venivano i suonatori? Quali strumenti suonavano? Non c’erano suonatori che venivano da altri paesi. Le maschere del paese suonavano armonica a bocca e talvolta la fisarmonica. 63


1.7 Durante il Carnevale i bambini giravano per il paese con trecce di paglia accese? Quando? PerchŠ? Durante il Carnevale, in qualche borgata c’erano i bambini che giravano di giorno, anche loro vestiti con le maschere. 1.8 Si teneva un processo, si leggeva una sentenza di condanna del Carnevale (o di qualche altro personaggio)? No 1.8.1 La sentenza toccava scherzosamente tutti (poteva toccar tutti) o escludeva qualcuno (ad esempio i nobili, i benestanti, il clero)? No 1.8.2 Si conserva il testo (i testi) di qualche sentenza? In quale lingua venivano scritte le sentenze (patou„, francese, misto patou„-francese, italiano...)? No 1.8.3 Il processo finiva con la condanna o con l'assoluzione? No 1.8.4 Se l'eventuale condanna riguardava uno dei personaggi del Carnevale, questi veniva "ucciso" o graziato? No 1.8.5 Il carnevale finiva con l‘abbruciamento del Carnevale (di un pupazzo) dopo la sentenza? No 1.9 C'era poi qualche festa durante la Quaresima? No 1.10 Esistono riproduzioni fotografiche di qualche carnevale?A quando risalgono? No

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Fausto Giuliano

BOVES MANERE ‘D D• (modi di dire popolari) (3€ parte) (- segue - continua dai numeri precedenti…. )

lettera I / Y y € b•t€’ na cunsa : ci ha messo una pezza, si • salvato, si • ripreso e sta nuovamente bene y € 'd cumarsi : c’• del commercio, c'• casino, c’• confusione y € dau dƒ a la n„t : c’• dal giorno alla notte, • completamente diverso, la situazione • completamente diversa, • tutta un'altra storia y € gnanca Barabich che p€sa : non c’• neanche il Diavolo che passa, • un brutto posto, difficilmente accessibile y € gn•gn che ‘s p€re.... ! : non c’• nessuno che ci salvi, non c’• scampo, non c’• nessuno che ci ripari, • inutile • cosƒ (ad es. una cosa inevitabile come la morte) y € gn•gn sant che tene.... ! : non c’• Santo che tenga, • inutile, • cosƒ y € ‘n b†i (‘n batib†i) : c’• un frastuono, c’• rumore, c’• una confusione assordante

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y € p€’ 'd temperive ? : non ha mica delle temperive? 1, non ci sono mica dei figli in arrivo? y € p€’ gn‡nte che br•za : non c'• niente che brucia, non c’• alcuna fretta y € gi„ et... : c’• gioco che, c’• la possibilit„ di, pu… capitare che… y € u post 'd virˆ mund e pais ! : • possibile/si pu‚ girare mondo e paese, si pu… girare il mondo e non trovarne l'eguale, • raro, • una cosa unica y €s pl‡ t•ti ! : li hai pelati tutti, li hai sotterrati tutti, sei stato l’ultimo della tua leva ancora in vita…. y ‡gn arnaus€’ u b‰u : gli hanno rialzato il “b„u”,2 gli hanno dato la libert„, • cresciuto ed • ormai grande (detto dei ragazzi quando arrivavano ai 14-15 anni di et„) y era da pi€se la tripa en magn : c’era da prendersi la pancia in mano, c’era proprio da sbellicarsi dalle risate y ‡ gn‡nt gnanca la pagheises.... : non c’• neanche la pagassi, si dice di oggetto (o persona) che si • perduto e non si riesce pi† a trovare da nessuna parte y ‡ gn‡nt nƒ bianch nƒ ner! : non c’• n† bianco n† nero, non si trova in nessun modo, non c'• pi†, • sparito y endar‰a gi€’ fin chƒ y ‡ 'd gambe....! : andrei gi‡ fin che ho gambe, me ne andrei, fuggirei lontano fin tanto che le gambe mi portano

Y endar„a giˆ’ fin ch† y • 'd gambe

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variet„ di castagne il b‰u • una sorta di gabbia metallica sotto cui si riponeva la chioccia con i pulcini e per evitare che fossero predati 66 2


y endar‰a 'n pocc 'd pis gi€ri vidu : ci vorrebbe un po’ di piscio di topo vedovo, si dice di un malato che • difficile guarire, che • sempre malato nonostante le cure che si fanno, spesso un malato immaginario y endar‰a en pocc ‘d puwre ‘d sacocia: ci vorrebbe un po’ di polvere di tasca, per curare le piaghe prodotte dal freddo alle dita delle mani di chi lavora in inverno sarebbe sufficiente un po’ di polvere di tasca, cio• stare senza far niente, senza lavorare, con le mani in tasca… in tal modo si sarebbe sicuri di guarire! y era gi•st u r‡ smaravi€’ : c’era solo il re meravigliato, essere in estrema povert„, in miseria y ‡ pas€’ Sant Andreia... s€s cˆ f€’ S. Andreia? T’esc•rsa l’•z‡l et l€sa l’ideia ! : • passato S.Andrea…. sai cosa fa S.Andrea? Ti accorcia l’uccello e ti lascia l’idea!, frase scherzosa dai risvolti sessuali y ‡ pƒ p€’ mas€’ gn•gn : non ho poi mica ucciso nessuno, non ho commesso poi una cosa cosƒ grave, non sar„ mica la fine del mondo anche se ho fatto uno sbaglio… oppure, modo di dire riferito alla grande mole di lavoro che uno si trova a dover svolgere y ‡ p‰ gn•gn f€tu : non c’• nessun fato, niente pu… pi† opporsi, non c'• pi† nulla da fare y ‡ sampe encu-p‰ da fˆ che ‘d lˆ fat : c’• sempre piŠ da fare di quanto c’• di fatto, c’• moltissimo da fare.... y escumƒt lˆ sich-s‰e : scommetto qualunque cosa, sono disposto a scommetterci qualunque cosa tanto ne sono sicuro y est•d‰u 'd n„t per f€le de dƒ : le studiano di notte per farle di giorno, una ne studiano cento ne fanno, sono delle vere pesti, ne combinano di tutti i colori y isteise 'd ghiza sƒ! : stessi di ghisa qui, restassi secco sul posto se non • la pura verit„ i batar‰a la testa en na m•r€ia! : batterei la testa in un muro, sono cosƒ disperato che batterei la testa in un muro i b•tar‰a la magn su f„.... : ci metterei la mano sul fuoco, sono pronto a scommettere qualunque cosa sull'autenticit„ di quanto affermo i casar‰a f„....! : gli caccerei fuoco, si dice di qualcosa o qualcuno che si ha in odio i ciames ? : le chiedi?, te le vuoi prendere ? stai cercando le botte? 67


i ciam p‰ gn‡nte d’aut a NusgnŠ : non chiedo piŠ niente d’altro al Signore, sono contento di ci… che ho, della grazia che mi • stata fatta i crezeise (y escuteise) la vulent€’ : se credessi (se ascoltassi) la volont‡, ascoltassi quello che sento probabilmente ti distruggerei, ti insegnerei ci… che • giusto con le giuste maniere (cio• in modo violento) i dar‰a la vita per due sord : darei la vita per due soldi, sono disposto a tutto pur di ottenere la tal cosa, la vita non vale pi† nulla per me se non ottengo la tal cosa i dar‰a u c†r e l’€nima : darei il cuore e l’anima, darei tutto quello che ho, farei qualunque cosa per aiutarti e renderti felice i f€s cunt : ci faccio conto, spero che sia cosƒ, lo spero davvero, confido in questo i fuma u post a l'auta che c€la.... : facciamo il posto all’altra che scende, modo di dire usato quando si spala neve e si prevede che ne cadr„ ancora altra

I fuma u post a l'auta che cˆla i giuar‰a i b€le.... : ci scommetterei le palle, sono pronto a scommettere qualunque cosa sulla veridicit„ di quanto affermo ignurant m‹ n’esc€rpa : ignorante come una scarpa, rozzo, poco comprensivo ed intelligente ignurant m‹ na soca : ignorante come uno zoccolo, rozzo, poco comprensivo ed intelligente

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i lu far‰a cun na magn su c•l… e l’auta es la testa! : lo farei con una mano sul sedere… e l’altra sulla testa!, una cosa veramente semplice da fare, che non d„ alcun fastidio a essere fatta i lu gi•r, i vegheise p‰ u sul ! : lo giuro non vedessi piŠ il sole!, lo giuro e spergiuro, ne sono pi† che sicuro i l•m€se et sun ncŠ gn‡nt munt‡ su m€ni ‘d la p€la? : le lumache non ti sono ancora salite sul manico della pala?, stai lavorando a rilento, muoviti! i m‡nca chiy (en) gi†ves : gli manca qualche (un) gioved„, • un po' pazzo, un po' svitato im much mach pƒ i vugn : mi soffio solo poi vado, mi soffio il naso e vado im nun arcordar‡ vita chi v‰u : me ne ricorder‚ vita che vivo, me ne ricorder… per sempre i n'€ en perfund : ce n'• in gran quantit‡, ce n’• in abbondanza, ce n‡ a profusione i n'€ la m€rca : ce n'• la marca, ce n’• appena il segno, appena qualcuno, sono rari, c'• la sola presenza i n'€ na peˆ : ce n’• un’orma, • scesa solo poca neve, una spolverata che basta solo per vederci le impronte sopra i n' € na stendar‰a : ce n'• un’estensione, ce n’• tanto, ce n'• in quantit„ i n'€ sampe •na cant chi n'€ gn‡nt due ! : c'• n’• sempre una quando non ce ne sono due, c’• sempre qualche difficolt„, qualche problema da affrontare intra da n'†r‰a sort da l'auta : entra da un orecchio esce dall’altro, non ascolta, fa tutto come vuole, non segue i consigli dati i p€sa ‘nt en post : gli passa in un posto, lo patir„, ne soffrir„ in modo tale che se ne ricorder„ in futuro i pasar‰a en ch‡gn cun na ram€sa en bucca 'd travars ! : ci passerebbe un cane con una scopa in bocca di traverso, c'• un bello spazio ampio e comodo per passare i sant p€’ da che †r‰a lƒ ! : non ci sente da quell’orecchio l„, fa finta di non sentire, non vuole sentire facendo finta di niente come se fosse sordo… i sar€s pƒ tƒ, et trav€i i nun sar€’ ncŠ.... ! : non ci sarai piŠ tu e lavoro ce ne sar‡ ancora, si dice a persona estremamente operosa e attiva che non smette mai di lavorare i s‡ 'd che gamba sop‰es : so da che gamba zoppichi, conosco i tuoi punti deboli, so dove hai dei difetti e dove sei vulnerabile e sensibile 69


I s• 'd che gamba sop„es i s‡ gn‡nt che vir l'abe fat.... : non so che giro abbia fatto, si dice di cosa scomparsa, che si • persa e non si riesce pi† a trovare in nessun modo i s‡ gn‡nt m‹ b•t€i nom! : non so come mettergli nome, non so spiegarmelo, non so perch‡, non so cos’• capitato i s‡ pƒ se i sun en l'est€la o 's l'aunera.... ! : non so piŠ se sono nella stalla o sul fienile, non so quello che mi faccio, sono confuso e non so pi† cosa sto combinando

I s• p† se i sun en l'estˆla o 's l'aunera ista n‰ 'n cel n‰ 'n tara : (non) sta n† in cielo n† in terra, • una cosa insensata, che non ha nessun fondamento iste pƒ fra nate.... : resti poi fra di noi, da non divulgare, • un segreto fra noi 70


istƒss m‹ ci•ciˆ en ciˆ caut : uguale a succhiare un chiodo caldo, inutile, perfettamente inutile, come lo • succhiare un chiodo caldo istƒss m‹ c•cˆ n'†u : lo stesso che succhiare un uovo, facilissimo, estremamente facile da fare istƒss m‹ gavˆ na palˆ 'd fioca cant i n'€ tanta : uguale come togliere una palata di neve quando ce n’• tanta, fare un lavoro perfettamente inutile istƒss m‹ parlˆ (diy-lu) a na m•r€ia ! : uguale come parlare (dirlo) ad un muro, si dice di persona che non ascolta i consigli e fa tutto come vuole istƒss m‹ pisˆ ent'en cav€gn (ent'en viulƒgn) : uguale a pisciare in un cesto (in un violino), inutile, perfettamente inutile i sun partƒ cun gn‡nte e „ura- rengrasiand Nus-gnŠ - i sun cari€’ ‘d d‡bit ! : sono partito con niente ed adesso – ringraziando Iddio – sono gi‡ carico di debiti, modo scherzoso per dire: non ho fatto fortuna, sono sempre senza soldi i sur‡gn v‡gn a tucˆ i sut‡gn : i soprani vanno a toccare i sottani, avere gli occhi che si chiudono, le palpebre che non tengono pi† aperte per il sonno i t'‡ p€’ purt€’ via u toch : non ti ho mica portato via il pezzo, non ti ho mica fatto alcun male, non prendertela a male ho solo parlato, non ho fatto altro che dire quello che pensavo i tr†vu p‹-p‰ gn•gn caviun : non gli trovano piŠ nessuna estremit‡, non riescono pi† a raccapezzarsi, non ne vengono pi† a capo it b•t la testa en mes a y †r‰e ! : ti metto la testa in mezzo alle orecchie! frase scherzosa di minaccia ai bambini piccoli quando fanno i capricci it nun fich (c€s) due : te ne do ficco (caccio) due, ti rifilo due sberle it nun l€s calˆ (p€rte) •gn : te ne lascio scendere (partire) uno, ti do una sberla, te ne rifilo una it piant en papign (en tumƒgn) : ti pianto un impacco (un tomino), ti do una sberla, te ne rifilo una it ye l€s calˆ : te le lascio scendere, ti picchio, lascio cadere le sberle i v€’ 'd muiƒtta : ci va del metallo, occorrono soldi, occorre denaro i v€’ en b‡l mur : ci va una bella faccia, ci vuole una bella faccia tosta i v€’ gn‡nt tante scole a fˆ lu-lƒ : non ci vogliono tante scuole per fare quello, non • difficile da fare, si pu… fare facilmente i v€’ na m€ta p‡na ('n m€tu tamp) : ci va una pena matta (un tempo matto), bisogna fare una terribile fatica per fare una determinata cosa 71


i v†zar‰a gnanca che l’€ria lu saveise : non vorrei che neanche l’aria lo sapesse, si dice di cosa di cui si ha profonda vergogna e amarezza i vugn pƒ logn : non vado piŠ lontano, sto per morire

lettera L l'€ dat arƒe : ha dato indietro, • invecchiato, • patito, forse ha problemi di salute l'€ en nom: moto-mort ! : ha un nome: moto-morte!, modo di dire che accosta la moto alla parola morte per far capire quanto sia pericolosa la moto l'€ la p‡l 'd l'eschina c•rta.... : ha la pelle della schiena corta, • un pelandrone, che fatica a chinarsi e lavorare l'€ ncŠ da n€se cal che.... : ha ancora da nascere quello che…, non c'• ancora sulla terra colui che pu… farmela in barba, colui che riesce a fregarmi l'€ ncŠ tacunˆ : l’ha ancora rattoppata, se l'• ancora cavata, si • salvato l'€ p€’ t†t u bosch a la susta : non ha mica tutta la legna al riparo, • pazzo, • completamente folle l'€ p€’ vare 'd saut da fˆ : ha pochi salti da fare, non • che sia poi una situazione cosƒ rosea e fortunata da potersene stare tranquillamente con le mani in mano l’arba arneva : l’erba sta crescendo (in primavera), l’erba sta riprendendo forza e vigore dopo i rigori dovuti alla neve ed al gelo invernali l'€ t†t l'andi 'd fˆ lˆ : ha tutta l’apparenza di voler fare quello, sembra proprio che voglia nevicare / piovere l'€s bat†’ (pic€’) la testa da ciot ? : hai battuto (picchiato) la testa da piccolo?, sei completamente matto? non sei mica normale, sei un vero pazzoide l'€s b•t€’ u Bambƒgn en la muffa? : hai messo il Bambino nella muffa? frase scherzosa detta soprattutto durante le feste natalizie per chiedere ad un amico se ha avuto dei rapporti sessuali con qualche donna l'€s capƒ l' ura che l'‡ ? : hai capito l’ora che •?, vedi come siamo ridotti, guarda a che punto siamo arrivati, guarda quello che ci • capitato 72


l'€s gn‡nt m€l derƒ ? : non hai male di dietro? (al sedere), smettila di trovare ulteriori scuse - campate per aria - per non lavorare l'€s gn‡nt v†ia.... fica u dƒ derƒ la v†ia v‡gn ! : non hai voglia (di fare qualcosa)… ficca il dito dietro la voglia viene!, datti una mossa, la tal cosa la devi fare comunque anche se non ne hai voglia! l'€s la cua ? : hai la coda?, si dice di persona che non chiude la porta dopo essere entrata in una stanza l'€s m‡nca 'd chiycos? V€’ a cat€t-lu ! : hai bisogno di qualcosa? Va a comprartelo! cavatela da solo! sbrogliati! l'€s na l‡nga che far‰es virˆ en mulƒgn s‡nsa eva.... ! : hai una lingua che faresti girare un mulino senza acqua, non stai mai zitto, parli tantissimo, detto di persona estremamente loquace l’‡ cˆ gn‡nt ‘d farina da fˆ ostie : non • anche farina per fare ostie, anche lui ha le sue colpe, • anche lui un bel caratteraccio l'‡ cˆ mach ndat a scola au gi†ves.... : • anche solo andato a scuola al gioved„, • un analfabeta, un ignorante che non capisce niente, (un tempo le scuole rispettavano un giorno di riposo al giovedƒ) l'‡ 'd chiy che 't d‡gn mach i sord che istu nrest‡ si fiy.... : • uno di quelli che ti danno solo i soldi che stanno impigliati sui fili, • un avaro, uno che cerca di non pagare quanto • giusto l'‡ d'or 't Nisa che d'or n'€ gn‡nt n'estisa ! : • oro di Nizza che di oro non ne ha neanche una goccia, • oro fasullo, bigiotteria l’‡ d•ra aveu mol! : • dura avercelo molle, modo di dire scherzoso l'‡ en ver pec€’ u pagn che mangia! : • un vero peccato il pane che mangia!, detto di persona indolente e pelandrona che vive sulle spalle degli altri l'‡ istess m‹ b•tˆ en b•schetign (na fava) en bucca a n'€zu : • uguale come mettere un biscotto (una fava) in bocca ad un asino, • una cosa perfettamente inutile, non c'• alcuna riconoscenza l'‡ ist‡ss m‹ sante n'•z‡l a s•biˆ ! : • lo stesso come sentire un uccello fischiare, non capire assolutamente niente di un'altra lingua o un altro dialetto l'‡ istess... tant f€’ tranta m‹ vint p‰ des ! : • la stessa cosa… tanto fa trenta come venti piŠ dieci!, • la stessa cosa, il risultato non cambia l'‡ mach en gi€ri ed chei la cua plˆ ! : • solo un topo di quelli dalla coda spelacchiata, • una cosa ben misera, c'• poco da stare allegri, non se ne ricaver„ alcun utile 73


l'‡ mei cari€te che impite : • meglio caricarti che riempirti, sei insaziabile, mangi a crepapelle l'‡ mei mentene na crava a b•schetƒgn : • meglio mantenere una capra a biscottini, si dice di uno che • un gran mangione, insaziabile e ingordo, senza fondo l'‡ mei pagˆ u lat c€r che mentene la vaca ! : • meglio pagare il latte caro che mantenere la mucca, • meglio restare scapoli che sposarsi l'‡ mort... b‡le v‰u ! : • morto.... che era vivo!, frase scherzosa di commento alla morte improvvisa di qualcuno l'‡ na coza lˆ che a l’‡ b‡la : • una cosa quanto • bella, • molto bella l'‡ na vigna : • una vigna, • una vera cuccagna l'‡ ncŠ gn‡nt 't la categor‰a 'd chiy f•rb... l'‡ ncŠ 'd l'auta ! : non • ancora della categoria di quelli furbi… • ancora dell’altra, • uno scemo, non • molto furbo anche se crede di esserlo l'‡ n'estaca : • una cordicella, • un obbligo, una cosa che lega, un vincolo di cui bisogna tener conto (es. gli animali domestici) l'‡ 'n darm€ge : • un peccato, mi spiace proprio l'‡ 'n vista : • in vista, • scontato, • prevedibile, che sar„ cosƒ, • alla luce del sole e ben visibile l’‡ p€ gr€sa mach a sufiˆ u f„... : non • grassa solo per soffiare il fuoco, • veramente grassa perch‡ mangia molto l'‡ p€’ na m€rsa vergogna ! : non • mica una marcia vergogna?, non • un peccato? non • una cosa vergognosa? l'‡ p€’ 'n mar‰-diau : non • un cattivo-diavolo, • un brav' uomo, • buono l’‡ pas€’ da la portina : • passato dalla porticina..., si dice quando un boccone di cibo va “di traverso” l'‡ pƒ p€’ la mort du vescu : non • poi mica la morte del vescovo, non • poi una cosa cosƒ grave, n‡ una cosa cosƒ importante come sembra l'‡ pƒ p€’ na m•la ! : non • poi mica una mula, a forza di provare riusciremo nell'intento, riusciremo a fare quello che ci prefiggiamo (ad es. a sbullonare un dado o una vite molto stretta che oppone grande resistenza) l'‡ p‡giu 't n’estumiˆ 'd brigne varde : • peggio di una indigestione di susine verdi, • doloroso, • gravoso da sopportare l'‡ sampe l'istesa minestra : • sempre la stessa minestra, siamo alle solite, • la solita storia l'‡ t†t c€r en sima di rame... : • tutto caro sopra i rami, • molto caro 74


l'‡ turna 'd che tamp : • di nuovo quel tempo, siamo alle solite, la cosa torna a ripetersi uguale l’‡ u menu ‘d la cav€gna : • il meno della cesta, • il male minore

L’• u menu ‘d la cavˆgna l'‡gn arengi€’ chƒlla du b•r.... ! : hanno aggiustato (la faccenda) del burro, tutto si aggiusta, non • mica la fine del mondo, si trova rimedio a tutto 3 l'‡gn av†’ tanti 'd chi biz„ch.... : hanno avuto tanti di quei devoti, hanno avuto una fortuna sfacciata, sono stati miracolati come se una moltitudine di persone avesse pregato per loro l'esm€na di tre gi†ves : la settimana dei tre gioved„, mai, una cosa che capiter„ o si far„ quando verr„ la settimana di tre giovedƒ cio• mai! l'eva f€’ ciapˆ la rizu.... ! : l’acqua fa prendere la ruggine.... per cui meglio bere vino! l'It€lia l'€’ fat c•l-ausa 4 : l'Italia si • sbilanciata, • andata sottosopra a causa di tutta la gente che • venuta su al Nord

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si dice che non si riuscisse a commercializzare il burro perch‡ si squagliava sempre durante il trasporto… finch‡ si trov… la soluzione: occorreva solamente avvolgerlo per bene nelle foglie di gelso! 4 con il termine c•l-ausa (culo-alza) in dialetto si definisce quel repentino sbalzo verso l’alto che subisce il piatto dell’ eschend€i (stadera) quando viene tolta la roba da pesare che c’• sopra. A causa della brusca caduta del braccio della bilancia dalla parte opposta (trascinato in basso dal romano, il peso che scorre sull’asta) il piatto subisce un repentino sbalzo verso l’alto 75


L'Itˆlia l'ˆ’ fat c•l-ausa

la bucca faz‰a cuce : la bocca faceva “cuce”, la bocca si storceva in smorfie nel vano tentativo di mangiare una cosa repellente (ad es. i frutti “pelosi” di un cachi non ancora perfettamente maturi) la gramisia i sort da t†t i p€rt : la cattiveria gli esce da tutte le parti, • terribilmente cattivo e infido la l•na l’‡ propi na bag€sa: t†t i mes a l’‡ piena ! : la luna • veramente una baldracca : tutti i mesi • incinta! modo di dire scherzoso riferito alla luna la pasˆ di c•iƒ : il trapasso dei cucchiai, i rintocchi a morte dei cucchiai, cosƒ • definito in modo scherzoso il suono della campana a mezzogiorno perch‡ chiama la gente a raccolta attorno al tavolo per il trapasso del cibo... la tara l'‡ b€sa.... e i coste sun drite! : la terra • bassa e le costole sono diritte!, avere poca voglia di lavorare, di chinarsi verso la terra la tara l'‡ b€sa.... e la p‡l 'd l'eschina c•rta ! : la terra • bassa e la pelle della schiena corta, avere poca voglia di lavorare, di abbassarsi verso la terra

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La tara l'• bˆsa.... e la p•l 'd l'eschina c•rta lament€se 'd gamba s€na : lamentarsi di gamba sana, lamentarsi senza una vera ragione, senza un motivo las€i la ghirba : lasciarci la ghirba 5, rimetterci la vita l€s€se mengiˆ i cuiƒtte en testa : lasciarsi mangiare gli gnocchi in testa, lasciarsi sorpassare, lasciarsi turlupinare, farsi infinocchiare lasˆ p€’ calˆ gn‡nte en tara : non lasciar cadere niente in terra, non passare sopra a niente, attaccarsi a tutto, trovare da ridire su tutto lasˆ pasˆ l'eva suta i punt : lasciar passare l'acqua sotto i ponti, aspettare, non aver fretta la t†s a l’‡ buna... l’‡ i pulm•n che sun m€rs! : la tosse • buona... sono i polmoni che sono marci! detto scherzoso dopo un bell’attacco di tosse lˆ che p€re bƒu per f€se cur€ge cura m€re l'‡ malavia : quello che il padre beve per farsi coraggio quando madre • malata, bere vino (buono!)

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ghirba s.f (dall’arabo qirba Šotre di pelle‹) – otre di pelle usato da trib† dell’Africa per trasportare l’acqua: la parola, portata in Italia dai soldati italiani della guerra d’Africa del 1895-96 e di quella libica del 1911-13, • rimasta nell’uso di reparti militari, soprattutto alpini, per indicare l’otre di pelle per il rifornimento di acqua, e presso i campeggiatori… (www.Treccani.it) 77


L‚ che pˆre b†u per fˆse curˆge cura mˆre l'• malavia lu s€s da 't vei.... : lo sai da dei vecchi, lo sapevi, lo sai da sempre lungh m‹ la fam : lungo come la fame, lento, mogio e tranquillo oppure molto alto di statura

lettera M m‹ resta 'd sˆ? : come rimane di questo?, com'•?, come la mettiamo?, che succede? m‹ sit di-cche : ma “se ti dico”, ma pensa, ma guarda un po' m‹ sich-s‰e : come sia che sia, in ogni caso, sia come si vuole m‹ v€’ la vita? ...en pˆ storta en pˆ drita! : come va la vita? ...un po’ storta un po’ diritta! m‹ v†s fˆ, en mes a ten€ia e mart‡l… : come vuoi fare, in mezzo a tenaglia e martello, non c'• via di scampo, non c'• alternativa mach da fˆ vene Tita Br•n‡ta.... ! : solo da far venire Tita Br•n•ta 6, • da abbattere, • una catapecchia, va bene solo per far venire le ruspe e demolirla malavi d'emmaginasi•n : malato di immaginazione, essere malato immaginario mar empic€’ : magro impiccato, molto magro marezˆ m‹ 'd tola (marezant m‹ la tola) : “amareggiare” come latta, molto amaro 6

Tita Br•n‡ta : noto camionista-escavatorista bovesano 78


mari€’ en n'€rbi d'eva : sposato in un abbeveratoio d’acqua, convivente, non sposato legalmente mari‡ m‹ i culumb : sposati come i colombi, conviventi, non legalmente sposati m€rs m‹ la dr•gia : marcio come letame, marcio, andato a male masau sar‰a mach gi•sta fau grignˆ na vota....! : ammazzarlo sarebbe appena farlo ridere una volta, non si pu… dire cosa bisognerebbe fargli per dargli quello che si merita, solamente a ucciderlo sarebbe niente per lui mƒ it gau da l’•mid ! : io ti tolgo dall’umido, ti levo da qui a rompermi le scatole, ti faccio correre mƒ it lu ciam a tƒ! : io te lo chiedo a te!, lo chiedo a te, cosa vuoi che ne sappia io, • veramente un mistero mƒ it vir s€s.... ! : io ti giro sai!, ti aggiusto io!, ti metto a posto io! mƒ it v†i tantu b‡gn che it bevar‰a ent’en bicer d’eva! …e m‰ it mengiar‰a ent’en bucun ‘d pagn! : io ti voglio tanto bene che ti berrei in un bicchiere d’acqua! …ed io ti mangerei in un boccone di pane! (frase romantica di due innamorati di San Giacomo) mei a menu ma p‰ sig•r : meglio a meno ma piŠ sicuro!, meglio ad un tasso di interesse minore ma con condizioni maggiori di sicurezza (riguarda i soldi da impegnare in banca) menc€i disn„u sold a fˆ na lira : mancare diciannove soldi per fare una lira, mancare del denaro, mancare quel poco che per… non permette di fare ci… che si vorrebbe mengi€se chi c€t : mangiarsi quei “quattro”, mangiarsi il patrimonio, sperperare i beni che si hanno ancora a disposizione mengi€se enc•e e dumagn : mangiarsi l’oggi e il domani, delapidare tutto quanto si ha a disposizione mengi€se la parola : mangiarsi la parola, non rispettare un impegno preso o la parola data, rimangiarsi la parola mengiˆ cun y †i : mangiare con gli occhi, avere una gran voglia di qualcosa (dolci soprattutto) mengiˆ da f€s-la acˆl : mangiare da farsela addosso, mangiare a crepapelle mengiˆ figna che sort da y †r‰e (da y †y) : mangiare finch† esce dalle orecchie (dagli occhi), mangiare a crepapelle mengiˆ i b‡gn 'd s‡t gezie : mangiare i beni di sette chiese, sperperare le sostanze proprie o di altri, dilapidare tutto il patrimonio che si ha a disposizione, avere le mani bucate 79


mengiˆ m‹ 'n gavagƒgn : mangiare come un ?, mangiare molto, essere estremamente ingordo e vorace mengiˆ m‹ 'n gavot : mangiare come un “gavot”7, mangiare molto, essere insaziabile mengiˆ m‹ 'n p‰u (m‹ 'n pulign, m‹ 'n pulezƒgn) : mangiare come un pulcino, mangiare pochissimo mengiˆ m‹ na f•rm‰a : mangiare come una formica, mangiare molto poco mengiˆ m‹ na tr†va : mangiare come un scrofa, mangiare a crepapelle mengiˆ m‹ na vaca : mangiare come una vacca, mangiare molto, in gran quantit„ mengiˆ 'ncŠ pƒ cun y †i che cun la bucca : mangiare piŠ con gli occhi che con la bocca, essere goloso, non essere mai sazio, voler ingurgitare pi† di quanto si riesca mengiˆ pagn e p•gn : mangiare pane e pugni, fare la fame, non aver nulla da mangiare mengiˆ pagn e tupunign : mangiare pane e pagnotte, fare la fame, non avere da mangiare mengiˆ pagn e vurp : mangiare pane e volpe, essere un tonto ed aver bisogno di un po' pi† di intelligenza e di furbizia (per essere alla pari di tutte le altre persone) mengiˆ s†t : mangiare asciutto, mangiare solo il companatico senza il pane mengiˆ tantu 'd che nervus : mangiare tanto di quel nervoso, non potersi ribellare, essere costretti a sopportare e mandare gi† bocconi amari in silenzio mengiˆ u pagn a tradimant : mangiare il pane a tradimento, essere un profittatore, farsi mantenere, essere un peso morto merendˆ b‡gn chiyc†gn : “merendare” bene qualcuno, conciare per le feste, ripagare per bene qualcuno, dare il benservito (una bella “merenda” per paga) mpic€se a na pianta 'd meola : impiccarsi ad una pianta di fragolina di bosco, mandare a quel paese, togliersi di torno, usata anche come espressione di finta disperazione mol a tara : molle a terra, completamente sgonfio, floscio (es.: la ruota di una bicicletta) mol m‹ ‘n fiarƒ: molle come un “fiar†” 8, molle, floscio 7

gavot • un termine dialettale che indica una persona rozza e grossolana, probabilmente collegato in origine ai montanari - soprattutto della regione di Gap – ritenuti grossolani, cafoni e affetti dal gozzo…. 8 straccio usato per filtrare l’acqua della les‰a (il bucato casalingo fatto usando la cenere quale detergente) 80


mol m‹ 'n pat : molle come una scorreggia, molle e taciturno o non sonoro, silenzioso mol m‹ 't dr•gia : molle come letame, fangoso, melmoso mol m‹ 't put‰a : molle come poltiglia (pappetta), fangoso, melmoso m†re cume st•pe en l†m : morire come lo spegnersi di un lume, morire tranquillamente, spegnersi dolcemente consumandosi un po' per volta morde m‹ 'n ch‡gn enrabi€’ : mordere come un cane rabbioso, mordere, addentare con ferocia

Morde m‡ 'n ch•gn enrabiˆ’ mort 't pˆu : morto di paura, terribilmente spaventato, con una fifa da morire m†t m‹ ‘n pas : muto come un pesce, silenzioso, riservato mustˆ i d‡nt : mostrare i denti, rivoltarsi, essere pronto a contrattaccare mustˆ y unge : mostrare le unghie, ribellarsi, farsi rispettare mustˆ la vergogna : mostrare la vergogna, mostrare parti intime del proprio corpo

lettera N na caplˆ 't sort : una “cappellata” di soldi, un mucchio di denaro, un bel gruzzolo quanto un cappello pieno na coza che met€’ b€sta : una cosa che met‡ basta, pi† che sufficiente, in abbondanza, a volont„ 81


na vota dis-che... : una volta a quanto si dice..., si dice che una volta.... n€se cun la camiza : nascere con la camicia, essere molto fortunati, fortunato dalla nascita ncŠ cal desg•st.... : ancora quel disgusto, avere ancora un'incombenza da assolvere, ancora una scocciatura ncŠ m€i av†’ u piaz‰i : ancora mai avuto il piacere, non l'ho ancora mai conosciuto, mai avuto il piacere di fare la sua conoscenza ncŠ-p‰ n'agn encŠ-p‰ nun v†lu : ancor piŠ ne hanno ancor piŠ ne vogliono, non sono mai contenti, non ne hanno mai abbastanza ncŠ prŠ ! : ancora abbastanza, …e ancor grazie!, …e ringrazia! nderƒ m‹ la cua du dr‡e : indietro come la coda del drago, tonto, poco sveglio, poco intelligente ndˆ a Bologna : andare a Bologna, cadere, ruzzolare ndˆ a c€’ du diau : andare a casa del diavolo, andare molto lontano, fuggire lontano ndˆ a c€rte carant„t : andare a carte quarantotto, andare tutto in malora, andare tutto storto, tutto a male ndˆ a cat€se la mort : andare a comprarsi la morte, comprarsi una moto o un'auto veloce ndˆ a chentˆ en n'auta curt : andare a cantare in un altro cortile, spostarsi, andare da un'altra parte, andare a pavoneggiarsi da un’altra parte, andare a raccontare fandonie a qualcun altro

Nd‚ a chent‚ en n'auta curt ndˆ a cugiˆ la sogn : andare a coricare il sonno, andare a dormire ndˆ a cuntˆ i broche a y †s : andare a contare le brocche agli usci, mendicare, andare a chiedere l'elemosina 82


ndˆ a d€i u bianch ai moru... : andare a dare il bianco ai negri, fare un lavoro inutile e che non finir„ mai ndˆ a drisˆ ban€ne : andare a raddrizzare banane, fare un lavoro inutile che non avr„ mai fine ndˆ a f€i la riga ai gr€ne 'd caf‡ : andare a fare la riga ai grani di caff•, fare un lavoro inutile e assurdo e che non finir„ mai ndˆ a f€se benez‰ : andare a farsi benedire, andare a farsi friggere, andare a farsi furbi ndˆ a giuch : andare al trespolo 9, andare a letto, andare a dormire ndˆ a la mica : andare alla pagnotta, andare a pranzo, fare la pausa pranzo, lasciare il lavoro per l'intervallo di pranzo ndˆ a m†i : andare a mollo, andare a bagno o finire in prigione, oppure andare in rovina, essere pieno di debiti ndˆ a na bila (a na b‡la bila) : andare a gran velocit‡, andare velocissimi ndˆ a porta inferi : andare alla porta dell’Inferno, andare lƒ lƒ per morire, essere stato in punto di morte ndˆ a rab‡l : andare in sfacelo, andare in malora, fallire, perdere tutto quanto

Nd‚ a rab•l ndˆ a ranze : andare a lance (?), andare a gran velocit„, a tutta birra ndˆ a renfresc€se u caiat : andare a rinfrescarsi (la gola?), andare a bere una volta 9

il giuch • il trespolo, il dormitorio in legno su cui vanno a dormire le galline di notte 83


ndˆ a scriu-ye na lettera au Papa : andare a scrivergli una lettera al Papa, andare al gabinetto a fare i propri bisogni ndˆ a sercˆ pere a la Cola : andare a cercare pietre al Colla, cercare qualcosa di molto comune, di usuale, avere solo l'imbarazzo della scelta ndˆ a stim : andare a caso, andare a tentoni, provando a caso ndˆ a trab•cat : andare a ruzzoloni, finire a terra, cadere, finire a gambe levate ndˆ a tucˆ ai porte : andare a toccare le porte, essere arrivato in punto di morte ndˆ a tucˆ unda che cuta : andare a toccare dove bisogna, smuovere le persone giuste, saper da chi farsi raccomandare ndˆ a t•ta c€na : andare a tutta velocit‡, andare velocissimo, a gran velocit„ ndˆ a y ule : andare cavalcioni, salire a cavalcioni di qualcuno ndˆ au cure : andare di corsa ndˆ au diau : andare al diavolo, andare / mandare alla malora ndˆ au f„ : andare al fuoco, il versarsi del latte fuori della casseruola durante la sua ebollizione ndˆ au tuch : andare al tocco (?), procedere a tentoni, a caso, approssimando ndˆ au v‡es : andare al cane / andare in calore, l’andare in calore della cagna, essere nel periodo fecondo ndˆ che l'€ria lu br•za : andare che l’aria lo brucia, andare / procedere a gran velocit„ ndˆ cugn u cav€l 'd Sƒn Frensasch : andare col cavallo di San Francesco, andare a piedi ndˆ dˆu dˆu : andare mollemente / lentamente, procedere o avere un incedere lento ed abbacchiato ndˆ drƒe ('d l€’) 'd Sƒn Roch 10: andare dietro (di l‡) di san Rocco, finire al cimitero, morire ndˆ en boita : andare in scatola (?), finire in galera ndˆ en br„ 'd faz†i : andare in brodo di fagioli, andare in visibilio, essere contentissimo, andare in brodo di giuggiole ndˆ en bulƒtta : andare in bolletta, finire le risorse economiche a propria disposizione ndˆ fin chƒ l'€ 'd rue : andare finch† si hanno ruote, andare il pi† lontano possibile, fuggire lontano 10

la chiesa di San Rocco • una chiesa di Boves che sorge ad un centinaio di metri dal cimitero comunale 84


Nd‚ en boita ndˆ fora di f†i : andare fuori dai fogli, andare su tutte le furie, fuori dai gangheri ndˆ m‹ na frandia (m‹ na frƒnda) : andare come una fionda (cio•: come essere stato lanciato da una fionda), andare a tutta velocit„, velocissimo ndˆ m‹ na f•zƒtta : andare come un razzo, andare velocissimo, a gran velocit„ ndˆ m‹ n'esl•si : andare come un fulmine, andare molto velocemente, rapidissimamente ndˆ m‹ n'esp‰a : andare come una spia (?), andare molto velocemente, rapidissimamente ndˆ m‹ n'ƒs-ciupat : andare come uno scoppietto 11(cio•: come una pallina lanciata da uno s-ciupat), andare velocissimo, rapidissimamente ndˆ 'ntu tirat et la gr€sa : andare nel cassetto del grasso, andare in prigione ndˆ pagn ciamand : andare chiedendo il pane, andare a chiedere l’elemosina, essere povero in canna

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lo s-ciupat • una sorta di cerbottana che lancia palline - costruita artigianalmente dai ragazzi - ottenuta svuotando dal midollo un pezzo di legno di sambuco 85


Nd‚ pagn ciamand nduma pƒ a mƒssa : non andiamo piŠ a messa, arriveremo in ritardo, non possiamo essere puntuali a causa di qualche improvvisa contrariet„ nƒ canta nƒ s•b‰a : non canta n† fischia, silenzioso, imbronciato, taciturno nƒ mangia nƒ bƒu.... ! : non mangia n† beve, un bene che non rende niente ma non fa neanche perdere niente (ad es. un terreno agricolo) negusiant da fumne : commerciante di femmine, donnaiolo ner m‹ na mura : nero come una mora, ubriaco fradicio ner m‹ 'n magnign : nero come uno spazzacamino, zozzo, lurido

Ner m‡ 'n magnign ner m‹ 'n par†l : nero come un paiuolo, ubriaco o scuro, nero ner m‹ 'n taiap‡ : nero come un millepiedi, scuro, nero o ubriaco fradicio ner m‹ u pec€’ : nero come il peccato, peccaminoso, con la coscienza sporca 86


nervus m‹ 'n taiap‡ : nervoso come un bruco, agitato come un millepiedi, permaloso, inquieto n„t bend€’ : buio pesto, notte fonda n„t tarabu : buio pesto, buio, scuro nfrendi€’ m‹ u tr‡nu : lanciato come il treno, di corsa, spedito, veloce n†u fiamant : nuovo fiammante, nuovo di zecca, mai usato n†u n†v‰s : nuovo di zecca, nuovo fiammante 'n pˆ v‡ghe cˆ l'‡ 'd sˆ ! : voglio proprio vedere cos’• questo, voglio verificare personalmente nuius m‹ ‘n tav‡gn : noioso come un tafano, estremamente noioso nun f€s et b‡l et... : te ne fai “di bello” di…, a cosa ti serve, non ti d„ alcun vantaggio, non ti serve a nulla NusgnŠ y € gav€’ la magn da 'n sima.... : il Signore gli ha levato la mano da sopra, non ha pi† fortuna, Dio non lo protegge pi†

lettera O occh‡ b€le : altro ch† balle!, storie ! fandonie! ohh gi†zi ! chi scr•s.... ! : oh GesŠ! che botti!, che rumori assordanti †hh, y ‡ pƒ p€’ mort u Papa ! : oh, non • mica morto il Papa!, non • mica successo nulla di irrimediabile! †hh, i n'‡ pƒ p€’ mas€’ gn•gn ! : oh, non ne ho poi mica ammazzato nessuno!, calmati! non • mica successo nulla di irreparabile ohh per carit€’ 'd NusgnŠ.... : oh per carit‡ del Signore!, esclamazione di rammarico e stupore ohh s‰-v†l : (intraducibile) • comodo cosƒ, cosƒ son capaci tutti oh stuma frasch.... : oh stiamo freschi!, siamo ben messi! siamo in una bella situazione, stiamo freschi! oh suma bei.... : oh siamo belli!, siamo ben messi! siamo in una bella situazione, c’• da stare allegri! †gn l’auternˆ : uno alternato, uno sƒ e uno no †gn gavava u p‡ l'aut lu b•tava.... : uno levava il piede l'altro lo metteva, erano sempre assieme, erano inseparabili, affiatati come fratelli ogni mort 'd Papa : ogni morte di Papa, molto raramente, che si verifica eccezionalmente o riff o raff : in un modo o nell'altro, in qualunque caso.

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Mario Fantino Gri‡t

Proverbi e modi di dire di ROASCHIA

Una nuova rassegna di proverbi e modi di dire della parlata di Roaschia (valle Gesso) a integrazione di quanto gi• pubblicato in precedenza sulle pagine di questa rivista. La grafia adottata si basa sulle convenzioni valide per l’italiano, con la precisazione che: - z va letta come s dell’italiano rosa - y va letta come i dell’italiano ieri (o come in mai, vai, sai) - € va letta come eu francese - •, ‚ corrispondono a e muta e u francesi. 88


- A boci€s f•rm€s (a bocce ferme… aspettare, attendere per vedere alla fine cosa accadr„…) - A cun•ssi an genuv•s i v• stant’ann e an m•s! (per conoscere un genovese occorrono settant’anni e un mese!) - Ad n’an placu ƒn €nt’ar murri che la mƒraia i na d„ n’auti…. (te ne rifilo uno sul viso che il muro te ne ribatte un altro….) - Adc† lu silensi ar l’a na vus…. (anche il silenzia ha una voce…) - A far lu fol ad vir€s y a da gagnar…. (a fare il tonto a volte c’• da guadagnare…) - A tripa piena as razuna mei… (a pancia piena si ragiona meglio…) - An catri e catri ƒ•t ar m’a piant„ ich‡…. (in quattro e quattr’otto mi ha lasciato qui, se ne • andato lasciando la compagnia…) - Andar dar cƒl…. (andare del culo…. andare in rovina…) -Ar y’a barb„ as gh€t€s.... (gli ha divorato le ghette, lo ha ucciso…) - Ar y’a bƒt„ lu bastun €nt’€s rov€s.... (gli ha messo il bastone fra le ruote… detto di operazione fatta per ostacolare un contratto, per ostacolare una persona) - Ar y’a dun„ lu bl€ (gli ha dato il blu…. si dice di un fidanzato lasciato dalla fidanzata) -Ar l’a ciap„ lu cian…. (ha preso il cane… detto di persona- un giovanotto solitamente che va ad un appuntamento galante ma la controparte non si fa vedere e l’appuntamento va a vuoto….!) - Ar l’a lu fi„ cƒrt: pr•st ar paluca! (ha il fiato corto: presto tira le cuoia!) - Ar l’a lu murri cuma lu cƒl… (ha una faccia come il sedere… detto di persona con una gran faccia tosta….) - Ar l’a lu murri cuma an pum brƒsch•t… 89


(ha una faccia come una mela acidula … detto di persona con una faccia piena di rughe….) - Ar l’a mangi„ la fˆia… (ha mangiato la foglia … si • accorto dell’inganno….) - Ar l’a pendƒ’ lu ciapel ar ci†…. (ha appeso il cappello al chiodo, si usa per un uomo sposato con una donna facoltosa che pu… permettersi di non lavorare….) - Ar l’a pic„ la testa da ciot… (ha picchiato la testa da piccolo… • un po’ pazzerello, • un tipo strano e bizzarro….) - Ar l’a pres an l•mbu… (ha preso un capitombolo… • caduto, • ruzzolato al suolo….) - Ar l’a truv„ i cius•y per i s•y p‰…. (ha trovato le scarpe per i suoi piedi… ha trovato pane per i suoi denti)

- Ar l’€s ciorgn mach cura ar vol… (• sordo solo quando vuole…. fa finta di non sentire solo quando la cosa gli conviene, quando ne trae un vantaggio….) - Ar l’€s mach an cuva-f€mn€s! (• solo un cova-femmine…. • solo un frequentatore di donne, come una comare pettegola che parlotta e frequenta solo le donne…) 90


- Ar n’a f•t adm• che Carlu en Fransa…. (ne ha combinate piŠ di Carlo in Francia….) - Ar drˆm m„ na marmota.... (dorme come una marmotta… detto di un dormiglione) - Ar na sa ƒna m• dar diau! (ne sa una piŠ del diavolo… detto di un tipo furbo e smaliziato) - Ar pol pisar nt’ar l•it e dop dir che ar l’a sƒd„…. (pu‚ pisciare nel letto e poi dire che ha sudato! • un gran bugiardo…) - Ar s’€s bƒt„ vendi ciaplin€s, ar l’a f•t fƒ‡‡ lu sul•y! (si • messo a vendere cappelli di paglia, ha fatto sparire il sole! • una persona perseguitata dalla sfortuna, oppure • un vero incapace tutto quello che fa • un fallimento…) - Ar l’€s n„ cun la camiza…. (• nato con la camicia…. • un tipo fortunato) - As lamenta ‘d ciamba sana…. (si lamenta di gamba sana…. si lamenta a torto, non ha nessuna ragione di lagnarsi) - As mai vist n’azi cun la testa pl„.... (non hai mai visto un asino con la testa pelata, modo di dire usato per sottolinaere una cosa ovvia, che • sotto gli occhi di tutti) - Bƒziard m„ na vacia tƒrgia…. (bugiardo come una mucca infeconda… essere un gran bugiardo) - Cambiar l’•iga a lu canarin…. (cambiare l’acqua al canarino…. cio• urinare) - Ciantar da gal… (cantare da gallo… fare la voce grossa, darsi arie di essere superiore e di aver vinto….) Cun i pruv•rbi di vei i giui mˆr€n ‘d fam! (con i proverbi dei vecchi i giovani muoiono di fame!) - Cura sˆs cunvint ‘d sav•r tutt l’€s cura sas gn‰nti! (quando sei convinto di sapere tutto • quando non sai niente!) - Dalli na trabƒc„ (stimare, piŠ o meno, all’incirca...) - Dest€r-ti p€rzƒra! (svegliati babbeo!) - Dest€r-ti unfi! 91


(svegliati pallone gonfiato!) - Du€s femn€s fan an merc„, tr•y fan na fera… (due donne fanno un mercato, tre fanno una fiera….) - Dui p•s, dua mizƒr€s! (due pesi, due misure, tenere un comportamento ingiusto nei confronti di qualcuno) - Dunar lu br€ d’unz’ur€s (dare il brodo delle undici… conciare per le feste, ripagare per bene, dare l’ultimo brodino al moribondo prima del trapasso) - ‹si cƒl e camiza… (essere culo e camicia… essere inseparabili)

- ‹ssi m• ar•i che la cua dar crin… (essere piŠ indietro della coda del maiale… essere ignorante) - ‹si mol m„ na put‡a… (essere molle come una pappetta… detto di una cosa molto molle) - Far amnir lu l•t ai gumi… (far venire il latte ai gomiti…. detto di qualcuno che • lento e svogliato nel lavorare) - Far fˆch cun la l€gn-na €d y •iti…. (far fuoco con la legna altrui…. non contare sulle proprie reali capacit„) - Far lu bai•t …. 92


(fare il servizio militare) - Far lu borgn cura venta…. (fare il cieco quando occorre… saper far finta di non vedere quando • il momento opportuno, quando • necessario) - Far lu fol per n€nt pagar dasi…. (fare il tonto per non pagare dazio… fare finta di essere un po’ sempliciotto solo quando se ne ha una convenienza) - Ferv•i l’€s lu m• cƒrt ma l’€s mar‡ m„ ‘n tƒrch! (febbraio • il piŠ corto ma • cattivo come un turco!) - Fin na gialina borgna i trova la sua grana! (perfino una gallina cieca trova la sua grana….) - Grat-ti dar•y, la vˆia i ven! (grattati dietro, la voglia viene!...lo dicevano una volta i vecchi quando qualcuno non aveva voglia di fare un lavoro….) - I bƒziard v‰nta che abi€n na bona memoria…. (i bugiardi bisogna che abbiano una buona memoria….) - Y amis dƒr€n fin che li port€s an crota…. (gli amici durano fin tanto che li porti in cantina…) - Y €s pass„ San Giƒz•p cun la pialla… (• passato San Giuseppe con la pialla, si dice di donna non prosperosa, senza seno) - L’amur i f• n€nt bƒ‡r lu pirol…. (l’amore non fa bollire il paiolo, non si pu‚ vivere di solo amore) - L’amur y €s cuma la mnestra ‘d fizˆl: vol d’asfogh! (l’amore • come la minestra di fagioli: vuole sfogo!) - L’amur l’€s an bel fiur che as cˆy a la brua d’an precipisi! (l’amore • un bel fiore che si coglie sull’orlo di un precipizio!) - L’azi ‘d t‰nti padrun ar mˆr ‘d la fam… (l’asino propriet‡ di due padroni muore di fame…) - L’avar ar l’€s cuma lu crin: ar ven a tay dop mort! (l’avaro • come il maiale: viene a taglio dopo morto!) - L’€s cuma cƒccar n’ˆu… (• come bere un uovo …. detto di cosa estremamente facile da fare…) - L’€s mei perd-lu che truvarlu…. (• meglio perderlo che trovarlo… detto di persona poco affidabile, da cui • meglio tenersi alla larga…) 93


- L’€s pƒ lu t‰mp che B•rta filava! (non • piŠ il tempo in cui Berta filava…. non • pi† il tempo in cui tutto andava bene e non c’erano problemi e preoccupazioni di sorta….) - L’uspidal ar f• la carit„ a la gh•iza! (l’ospedale fa la carit‡ alla chiesa, il denaro resta sempre fra coloro che gi„ ne hanno!) - La ciaura y a mangi„ lu libri…. (la capra gli ha mangiato il libro…. detto di persona che a scuola non impara niente, poco o niente studiosa e intelligente…) - La neva an muntagna, la f• fr•id a la Villa, as f€mn€s sensa lana an fr•id a la tana! (nevica in montagna, fa freddo nel concentrico del paese, le donne senza lana hanno freddo alla tana!) - La preput‰nsa y Œ n€nt ‘d valur…. (la prepotenza non ha valore…) - La smana di tr•y giˆves… (la settimana dei tre gioved„… cio• mai!) - Lu cagli•y ar l’a s‰mpi i cius•y rut.... (il calzolaio ha sempre le scarpe rotte….) - Lu destin ar mes-cia ‘s cart€s, dop la st„ a nuz•iti giugarl€s! (il destino mischia le carte, poi sta a noi giocarle!) - Lu destin ar s’angana n€nt…. (il destino non si inganna…. al proprio destino non si sfugge!) - Lu t‰mp ar marca patel€s…. (il tempo segna brutto tempo….) - M• m€s-c€s m• la fi•ra! (piŠ rimescoli piŠ puzza, si dice di una cosa o di una situazione che • meglio lasciar stare cosƒ com’•, senza stare a farsi troppe domande o a cercare di cambiarla in qualche modo…) - M•ri madona ista b‰n per cƒrnis e la nora €nt’ar cadri! (la suocera sta bene nella cornice e la nuora nel quadro!) - M‡ sˆi vei cura mˆru! (io sono vecchio quando muoio!) - Mordi la fˆia…. (mordere la foglia… accorgersi di un raggiro, accorgersi di una possibile fregatura) 94


- Na bona ciuca i dƒra tr•y d‡! (una buona sbronza dura tre giorni ….) - Na bona gr€pia i f• na bona bestia…. (una buona mangiatoia fa una buona bestia….) - Ogni ƒs ar l’a lu s‰ tambƒs! (ogni uscio ha il suo suono, ogni porta ha il proprio cruccio!) - Ommi e f€mna van s‰mpi d’acordi fin che cre€n as propri€s bƒziardari€s! (marito e moglie vanno sempre d’accordo fin quando credono alle proprie menzogne!)

- Pagar e murir y a s‰mpi t‰mp…. (a pagare e a morire c’• sempre tempo….) - Parla cuma i t’a must„ t• m•ri! (parla come ti ha insegnato tua madre!) - Parla mach cura lu gal ar pisa…. (parla solo quando il gallo piscia… • meglio che stai zitto e non dire tante fesserie….) - P•rri l’anciua…. (prendere l’acciuga… arrivare o essere ultimi) - Prima ‘d Natal as br•es ‘d pata van n€nt mal, dop Natal i v‰n lu bel t‰mp as br•es ‘d pata van turna ben... 95


(prima di Natale i pantaloni di panno non vanno male, dopo Natale viene il bel tempo i pantaloni di pata vanno nuovamente bene….) - Ramadanas brƒtt… (brutto ramadan… brutto scemo, babbeo, anche disordinato e sciatto nel vestire….) - ‘S ciapa m• pr•st an sop che an bƒziard…. (si prende piŠ presto uno zoppo che un bugiardo) - Scapa travai che m‡ arrivu… (fuggi lavoroche io arrivo…. detto di persona che ha poca voglia di lavorare) - Sˆs mach an badola…. (sei solamente un babbeo….) - Sˆs mach an gilindu…. (sei solamente un tonto….) - Sˆs mach an sbrincia-ciuend€s…. (sei solamente uno spruzza-recinti… sei solo capace a urinare dietro le siepi) - Soud f• soud, piuy f• piuy! (soldo fa soldo, pidocchio fa pidocchio!) - Th‰ tum•ra…. as fin‡ ‘d far l’•rlu? (ehi babbeo…. hai finito di fare il gradasso?) - V• lestu, f• lestu, ven lestu che m‡ t’asp•itu! (vai veloce, fai veloce, vieni veloce che io t’aspetto!) - V‰nta n€nt bƒtar lu ciarri adnant ai b€ …. (non si deve mettere il carro davanti ai buoi….) - V‰nta n€nt s‰mpi far lu tor, ma cay vir€s v‰nta adc† far la vacia! (non bisogna sempre fare il toro, ma qualche volta bisogna anche fare la vacca!) - Vei m„ an cruas (vecchio come un corvo, molto vecchio) Mario Fantino ‘Griƒt’ ha pubblicato con Valados Usitanos il libro “N’arciam d’anima”, sulle tradizioni e la lingua dei pastori e dei contadini di Roaschia.

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DISCHI

NUOVE NOTE DAL PASSATO La tradizione continua in Val Varaita Autori vari, CD - 2015, euro 10

Nell’estate del 1985 a San Peyre s'inaugurava "lu Cianto Viol", manifestazione itinerante dedicata al canto popolare e alla musica delle valli occitane. 97


Sostanzialmente si riproponeva in versione aggiornata un modo semplice di fare festa, incamminandosi su antichi sentieri tornati praticabili dopo un abbandono pluriennale; la marcia dei gruppi partecipanti era allietata da canti, musiche tradizionali e soste di ristoro dislocate lungo i percorsi. Le varie comitive, provenienti soprattutto da borgate di San Peyre, confluivano a Becetto, gi• luogo di antichi pellegrinaggi al santuario della Madonna Nera. Dopo il pranzo all'aperto si dedicava l'intero pomeriggio all'ascolto di gruppi musicali e canori pi‚ o meno noti, all'eventuale lotteria e naturalmente ai balli tradizionali; era anche un' occasione per ritrovarsi fra amici vecchi e nuovi e unirsi ai cori spontanei che si alzavano qua e l•, propiziati da merende innaffiate da cordiali bevute. La formula organizzativa del "Cianto Viol" si rivelƒ azzeccata e durevole, tanto da raggiungere nel 2015 la veneranda et• del trentunesimo anno. Nell' edizione del 2014, per dare risalto alla continuit• fra i suonatori locali del passato e le nuove leve che stavano emergendo, s'iniziƒ a parlare del progetto "Nuove note dal passato": sostenitore convinto delle capacit• compositive dei giovani partecipanti alla grande festa popolare del Bes„ era stato Celeste Ru•, eccellente organettista e ricercatore di vecchi strumenti musicali, di cui possiede una ricca collezione che documenta assai bene l'etnofonia alpina, ma non solo quella. L' invito a creare qualcosa di nuovo ebbe successo e cos… il comitato organizzatore si trovƒ fra le mani sedici melodie nuove adattabili alle danze di San Peyre, con l'aggiunta di altrettanti balet, com'† nella consuetudine di questo paese occitano che annovera – anche grazie a chi ha svolto meticolose ricerche e registrazioni di anziani suonatori – una straordinaria variet• di musiche da ballo tradizionali. All' inizio dell' estate 2015 si † giunti alla pubblicazione di un CD con opuscolo nel quale Cristina Levet, autrice della presentazione, afferma giustamente che † bello creare, ma pure recuperare ciƒ che pareva perso e ripresentarlo sotto forme nuove, senza rinnegare il passato. Sono riportati inoltre foto e dati biografici dei compositori, i titoli assegnati alle melodie e una riflessione personale sulle emozioni provate suonando musica popolare: le risposte, mai banali, mettono in luce i momenti festosi o malinconici, l'atmosfera quasi magica fra suonatori che ritrovano radici antiche, il dialogo fra generazioni diverse, la condivisione e il senso di libert•, la musica che diviene mezzo di comunicazione e linguaggio universale... Nelle nuove composizioni come tipologia di danze troviamo ben otto curente, tre gighe, due tresse, una sola cuntrodanso, bureo vieio, bureo de San Martin. Tra gli esecutori primeggiano i suonatori di organetto e fisarmonica a 98


tastiera, che in val Varaita rimane lo strumento preferito dei musicanti pi‚ fedeli alla tradizione valligiana. Una discreta presenza † quella dei violinisti, continuatori dei leggendari "viulunaire" della media e alta valle; a rendere pi‚ armonico il suono collaborano anche chitarristi, ghirondisti, organettisti. Il ligure Davide Baglietto con le modulazioni del low whistle (flauto di latta basso) imprime ai propri brani suggestioni derivanti dalla cultura musicale irlandese, pi‚ evidenti nel balet. Graziano Grua invece canta due testi in lingua franco-provenzale, riprendendo l'abitudine popolare di ballare anche senza il suonatore. I brani incisi risultano assai soddisfacenti dal lato creativo e nel contempo si constata con piacere che parecchi giovani hanno fatto tesoro delle modalit• stilistiche dei suonatori precedenti, partendo in genere da uno spunto melodico gi• conosciuto e inserendo variazioni che sviluppano il tema in modo armonico e originale. Alcuni esempi: i brani introduttivi di Alex Godano riprendono il tocco fluido e arioso che caratterizzava i suonatori di fisarmonica a tastiera del Bes„ e della zona circostante, mentre la tresso di Celeste Ru• si dimostra una versione ricca di abbellimenti e padroneggiata con un trascinante senso del ritmo. Le innovazioni stilistiche risaltano maggiormente nei musicisti di lunga esperienza come Silvio Peron e Gabriele Ferrero, ad esempio con l'adozione di tonalit• meno acute, l'uso del sincopato, un tipo particolare di scansione ritmica. Tutti i partecipanti al progetto "Nuove note dal passato" hanno contribuito ad arrichire il repertorio sonoro della val Varaita, sia pure con differenti sfumature: alcune musiche si adattano bene al ballo, altre pi‚ riflessive si prestano maggiormente all' ascolto. Il grande merito degli organizzatori comunque † stato quello di non aver discriminato tra artisti affermati ed esordienti, evitando trite classifiche ed offrendo invece a ciascuno la possibilit• di esprimersi tramite una valida esperienza collettiva. C. Lorenzati

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LIBRI

IL CHI€ NELL’ALTA VALL’ELLERO

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Un splendido libro, uscito un po’ di anni fa (nell’estate del 2011) a cura dell’Associazione di Promozione Sociale “ Nuž•č dƒř Chi… ” di Prea (Roccaforte Mondovƒ) pieno di contenuti autentici ed originali – quelli della vera cultura locale della gente – che va a riempire un vuoto editoriale e di conoscenze su di una zona culturalmente e linguisticamente molto particolare quale … quella del chi€ dell’alta val Ellero. Il libro offre un esaustivo panorama di questa parlata, il chi€ (o ky€ come si usava scrivere nei decenni passati) nella variante della valle di Roccaforte Mondovƒ. Questo idioma fa parte dell’area linguistica occitana ed … ancora in uso in alcune alte valli dell’arco alpino nell’area monregalese (oltre alla valle Ellero sono interessate anche le alte valli Maudagna e Corsaglia). Il libro … una testimonianza fedele di quello che … il dialetto del chi€ di questa valle (ancora in uso nelle frazioni di Prea, Baracco, Rastello e Norea) e contiene interessanti note su vocalismo, fonologia e caratteristiche di questa parlata, sulla toponomastica locale (anche qui quella autentica), sull’antroponomastica (cognomi locali, soprannomi), oltre ad una serie di poesie dialettali in chi€ scritte da due poeti locali (il medico Giovanni Battista Basso – Titin ed il poeta/margaro Sebastiano Unia – Bastianilu - i cui testi abbiamo ospitato anche sulle pagine di questa rivista). Leggendo le parti dialettali di questo libro inoltre, si rafforza sempre pi† dentro di me la convinzione che l’area del chi€ in antichit‡ (come gi‡ ipotizzava anni fa Gianpaolo Giordana) si potesse estendere ben oltre i ristretti confini attuali, ma andasse a permeare anche le nostre valli (Pesio e le cosiddette “valli della Bisalta” cio… Iosina e Colla) giungendo fino alla valle Gesso (nel dialetto di Valdieri difatti si ritrova l’uso del chi€ per indicare io, il pronome personale soggetto della prima persona singolare, mentre nella vicina Entracque il pronome suona ch€). Si verrebbe cosƒ a delineare un unicum dialettale che dall’area monregalese del chi€ va fino alla bassa valle Gesso… cosa che, scorrendo le pagine di questo libro, mi pare potrebbe essere assai attendibile. Infatti leggendo le cose che vi sono riportate non posso non constatare come una gran parte di esse sembrino quasi scritte nel 101


nostro dialetto (bovesano): molte caratteristiche e particolarit‡ di quella parlata - tralasciando le inflessioni dialettali tipicamente monregalesi comunque presenti – ci accomunano e sono sostanzialmente identiche alle nostre.  penso alle terminazioni in • dei verbi della prima coniugazione aventi l’infinito in –are quali travai•, scut•, perdun•, mangi•, parl•, ecc… e di sostantivi femminili (in –ata) quali giurn•, cai•, munt•, frit•, altern• perfettamente uguali alle corrispondenti forme bovesane (ma non riscontrabili in altri dialetti della zona se non in alcuni comuni dell’alta valle Tanaro)  la particella negativa non che diventa gn•nt sia nel chi€ che nel bovesano 1  a dittongazioni di parole quali fuart, muart, puarta (nella parlata antica delle frazioni pi† alte di Boves erano fuort, muort, puorta…. cosƒ come, mi pare, sopravvivano ancora nel dialetto vernantino) mentre a Valdieri in valle Gesso sono ancora del tutto simili a quelle in uso nel chi€ L’insieme di questi residui fonetici e di queste particolarit‡ sopravvissute a macchia di leopardo 2 nell’area interessata sembrerebbero avvalorare l’ipotesi di un antico legame fra tutte queste diverse parlate…. legami che nel corso dei secoli si sono allentati per le diverse vicende storiche, umane, culturali, produttive che hanno interessato le varie comunit‡, oltre che per la distanza che fisicamente intercorre fra le valli. Certo il chi€ … stato maggiormente conservativo rispetto ai dialetti della Bisalta mantenendo una serie di particolarit‡ grammaticali da noi ormai residuali, quali il fenomeno della palatizzazione dei gruppi ca e ga latini (che si ritrova ancora in una serie di termini anche nel bovesano – ciƒt, ciamp, ciafƒlch, mƒs-cia, ) o le trasformazioni delle p – pr latine intervocaliche in b (ancora in alcune nostre parole „bƒy, ciabra, …sbl„e,….), anche se questo non … sempre vero… in alcuni casi Boves … stata pi† conservativa di altri dialetti (penso soprattutto 1

Ed anche nel dialetto dell’alta valle Pesio ricordo anche una particolarit‡ fonetica (simile a quella del chi€) usata nel dialetto dell’alta Valle Pesio in parole quali: mon (mano), pion (piano), servon (silvano), sont (cento), dumon (domani), sonte (sentire), lamontase (lamentarsi), ecc…. 102 2


ma non solo - alla conservazione degli esiti in aire del bovesano ancora usati comunemente dai buoni parlanti per indicare professioni/tipi umani/animali tipo: ramasƒire per spazzino, calatƒire per posatore di pietre del calat†, resiƒire per segantino (e /o Chironomo anulato, un insetto che vola soprattutto in primavera con un veloce movimento verticale che ricorda una sega). In molti casi queste parole hanno assunto (scontrandosi con forme importate, pi† nuove e vitali) una accezione pi† negativa, cosƒ accanto a casƒire =cacciatore di scarso valore, di poco conto vi … il pi† ordinario casad‡, pescƒire idem, associato a pescad‡, blagƒire idem, associato a blagˆr, chentƒire idem assieme a cantante, ecc… Molti altri esiti simili sono ancora presenti - anche se non pi† molto comuni - nell’uso quotidiano (tipo buciƒire = bocciatore del gioco a bocce alla lunga, tr„fƒire = persona ridicola e scherzosa, sgherƒire = scialaquatore, spendaccione, calignƒire = fidanzato, ecc….). Per finire il libro riporta una veloce rassegna di …mpropeři (insulti, improperi), imprecazioni locali e vari modi di dire che la saggezza popolare ha coniato nel corso dei secoli per definire situazioni e comportamenti umani e sociali. Anche qui, proprio all’ultima pagina del libro, una grande corrispondenza col bovesano dove si elencano le varie forme che traducono i verbi italiani picchiare e malmenare in uso in val Ellero: śgiafl•, patl•, śclin•, fait•, …ngiac•, …nlard•, …nsavun•, …nlasagn• (forme usate nel chi€) sgiafl•, patl•, …ngiac•, …nlard•, …nsavun•, savat•, merend•, bimb•, patun•, pic•, sacagn•, tavl•, …ngras•, vugne (forme usate nel bovesano) Fra le righe dei vari capitoli si ritrova inoltre, in diverse occasioni, una pi† che condivisibile denuncia delle assurdit‡ foneticogrammaticali dovute al posizionamento – alcuni anni fa - di una serie di cartelli segnaletici che dovrebbero uniformare la toponomastica locale (scritti nella grafia cosiddetta normalizzata). La prima volta che li ho visti anch’io mi sono chiesto chi avesse dato il consenso per la loro apposizione… sicuramente non la gente del luogo, come mi conferma la lettura di questo libro, vista l’indignazione che provocano 103


in tutti coloro che sono i cultori di quel dialetto, quelli che ancora lo usano e lo praticano giustamente risentiti dello stravolgimento della loro parlata che essi comportano!

La segnaletica incriminata in Val Ellero Fausto Giuliano

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