BABILON anno 1, n° 1 - Rivista di geopolitica bilingue italiano-inglese. Un prodotto Oltrefrontiera in collaborazione con Il Caffé Geopolitico - Numero gratuito disponibile online: www.oltrefrontieranews.it - www.paesiedizioni.it - 14/03/18
BA BIL ON MAR 2018
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
n°1
L ibya who’s AVANTI IL PROSSIMO
L’economia del Mediterraneo: prospettive Mediterrean economy
next? Haftar e le mire francesi su Bengasi
Le elezioni e l’ipotesi “due Libie”
Il Niger e i jihadisti nordafricani
Benghazi and France
Two countries?
African jihad
SOMMARIO
MAR 2018
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BA BIL ON A GEOPOLITICAL EXPERIENCE NUMERO 1
RUBRICHE
SUMMARY
FACES / / / / / / / / / / / / / / /
SOMMARIO
pag 6
EDITORIALE A geopolitical coffe break. . . . . . . . . . . . . . . pag 4
I VOLTI PIÙ SIGNIFICATIVI DEL 2018
SCENARIO After me comes the flood. . . . . . . . . . . . . . . The big unknown . . . . . . . . . . . . . . . . . . . One seat for two. . . . . . . . . . . . . . . . . . . Autumn in Libya. . . . . . . . . . . . . . . . . . . What kind of future?. . . . . . . . . . . . . . . . .
pag 8 pag 12 pag 14 pag 18 pag 24
GEOPOLITICS Italy means mediterrean . . . . . . . . . . . . . . . pag 30 Niger and the Italian strategy. . . . . . . . . . . . . pag 34 French interests in Libya. . . . . . . . . . . . . . . pag 38 CULTURE African Jihad . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 46 Things fall apart . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 50 Libyana, everything is unpredictable. . . . . . . . . pag 52
SPECIAL
PLACES / / / / / / / / / / / / / pag 28
RAGES / / / / / / / / / / / / / / pag 44
DURA LEX Libya: one, two or more? . . . . . . . . . . . . . . . pag 22 DIPLOMATIC COURIER Action, that’s what we need . . . . . . . . . . . . . pag 42 Cover Photo: Gaddafi’s portrait by Platon (revisited)
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EDITORIALE
L’EDITORIALE
A GEOPOLITICAL COFFEE BREAK UN CAFFÈ OLTREFRONTIERA by
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Luciano Tirinnanzi & Pietro Costanzo
BABILON N°1
A GEOPOLITICAL COFFEE BREAK / / / / / / / / / / / / /
Cari lettori, per troppo tempo in Italia abbiamo considerato di scarso interesse tutto ciò che avveniva “là fuori”. Ma la crisi economica prima e la perdurante destabilizzazione del Mediterraneo poi - entrambe portatrici d’incertezze e cambiamenti sociali ancora in divenire - hanno segnato un punto di non ritorno per la politica nazionale italiana. Roma sinora non ha espresso ricette stabili e convincenti per governare quei fenomeni e quelle sfide cui siamo chiamati a rispondere in qualità di paese europeo baricentro di due mondi, occidente e oriente. Per questo motivo, due tra le principali testate italiane dedicate alla geopolitica e agli affari esteri come Oltrefrontiera e Il Caffè Geopolitico hanno pensato a un’iniziativa culturale comune che sottolinei l’urgenza di cui sopra. Perciò abbiamo scelto di unire gli sforzi intellettuali e collaborare alla pubblicazione di questo nuovo magazine, Babilon, il primo in lingua inglese e italiana dedicato all’approfondimento degli scenari internazionali, alle dinamiche geoeconomiche, alle relazioni diplomatiche tra stati. Il periodico è pensato per ospitare le opinioni di chi - studiosi, decision maker, imprenditori, rappresentanti delle Istituzioni - può e vuole contribuire a creare una maggiore e diffusa consapevolezza di che cosa sia il nostro interesse nazionale, e di come si possa sviluppare e tutelare. Questo concetto, tanto fondamentale per lo sviluppo del nostro paese quanto poco trattato e compreso, d’ora in avanti farà da fil rouge per il nostro lavoro. È anche per tale ragione che per il primo numero abbiamo scelto come focus la Libia, dal cui futuro politico dipende la stabilità di un’intera regione del mondo. Certi che il nostro contributo culturale possa essere di vostro gradimento, lasciatevi accompagnare in un nuovo percorso geopolitico che, come l’informazione, non conosce confini. Dear readers, for too long in Italy we have considered everything that was happening “out there” was of little interest for us. But the big economic crisis and the persistent destabilization of the Mediterranean - both full of uncertainties and social changes still in progress - have marked a point of no return for Italian national politics. So far Rome has not expressed stable and convincing recipes to manage those phenomena and challenges that we are called to respond as a European country center of two worlds, the West and the East. This is the reason why two of the main Italian newspapers dedicated to geopolitics and to foreign affairs such as Oltrefrontiera and Il Caffè Geopolitico have thought of a common cultural initiative that underlines the issues mentioned above. Therefore, we have chosen to join the intellectual efforts and to collaborate in the publication of this new magazine, Babilon, the first in English and Italian dedicated to the deepening of the international scenarios, to the geo-economic dynamics, and to the diplomatic relations between countries. The magazine is designed to host the opinions of those - students, decision makers, entrepreneurs, representatives of the institutions - who can and want to contribute in creating a greater and widespread awareness of what our national interest is, and how we can develop and protect it. This concept, so fundamental for the development of our country but little treated and understood, from now on will be the fil rouge of our work. It is also for this reason that for the first number we have chosen Libya as focus, from whose political future depends the stability of an entire region of the world. Sure that our cultural contribution can be to your liking, let yourself be accompanied in a brand new geopolitical experience that, like the information, knows no boundaries. Luciano Tirinnanzi Direttore Responsabile Oltrefrontiera
Pietro Costanzo Segretario Generale Il Caffè Geopolitico
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FACES
RECEP TAYYIP ERDOGAN
Il cosiddetto “sultano turco” ha aperto il nuovo anno all’insegna dell’aggressività: le sue forze armate hanno invaso il nord della Siria, mentre nel Mediterraneo le sue navi militari hanno bloccato le esplorazioni petrolifere dell’ENI. Cos’altro ci aspetta? The so-called “Turkish sultan” inaugurated the new year in the name of aggressivity: its army overrun northern Syria, while in the Mediterranean its military ships block ENI’s oil explorations. What else is waiting for us?
FACES 2 ABDEL FATTAH AL SISI Il 26 marzo si torna a votare in Egitto: le elezioni presidenziali si svolgeranno per tre giorni consecutivi. Secondo le previsioni, non ci sarà neanche bisogno del ballottaggio. Il presidente Al Sisi infatti non ha rivali, visto che gli unici credibili sono rinchiusi in carcere. On March 26, Egypt will cast a vote: the presidential elections will take place for three consecutive days. According to forecasts, there will not even be a runoff. In fact, President Al Sisi has no rivals, and the only available ones are locked up in prison.
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FACES
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JULIAN ASSANGE Il fondatore di Wikileaks rimarrà all’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove vive da 6 anni per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, che lo hanno riconosciuto colpevole della pubblicazione non autorizzata di informazioni classificate. Strada in salita, amico. The founder of Wikileaks will remain at the embassy of Ecuador in London, where he lived for 6 years to avoid extradition to the United States, who found Assange guilty of unauthorized publication of classified information. Uphill road, man.
I VOLTI PIÙ SIGNIFICATIVI DEL
2018 BENJAMIN NETANYAHU
Tempi duri per il premier israeliano. Secondo la polizia, ci sono prove sufficienti per incriminarlo per frode, corruzione e violazione della fiducia. Proprio adesso che la guerra in Siria si fa più complicata per Israele… Bad times for the Israeli premier. According to police statement, there are sufficient evidences to indict him for fraud, corruption and breach of trust. Right now that the war in Syria gets more complicated for Israel…
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
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SCENARIO
AFTER ME COMES THE FLOOD DOPO DI ME IL DILUVIO by
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Alfredo Mantici, former chief of Italian Secret Service’s Analysis Department
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AFTER ME COMES THE FLOOD
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al 1911, quando l’Italia scese in guerra contro l’impero ottomano e strappò al Sultano di Costantinopoli non solo le isole del Dodecaneso ma anche i tre Wilayat (province) della Tripolitania, del Fezzan e della Cirenaica, per un secolo i rapporti tra i due paesi sono stati, per usare un eufemismo, tutt’altro che pacifici. I libici non ci hanno mai amato, anzi ci hanno combattuto e per questo hanno dovuto subire un’occupazione segnata dalla repressione e dalle stragi. Tripoli non è mai stata il «bel suol d’amore», come cantavano i bersaglieri e gli italiani che vennero fatti emigrare su quella che il regime fascista definiva la “Quarta sponda”. Se ne resero conto amaramente quando nel 1970, a pochi mesi dall’assunzione del potere, il Colonnello Gheddafi espulse in blocco tutta la colonia italiana, oltre 20mila persone che vennero costrette a lasciare il paese con un preavviso di pochi giorni e dovettero abbandonare in Libia tutti i loro averi. Durante i quarant’anni del suo regime, Gheddafi non ha mai mancato di sottolineare il suo rancore verso l’Italia, rifiutando qualsiasi compensazione per i beni confiscati agli italiani espulsi e mantenendo in vigore la festa nazionale «della vendetta» contro l’Italia, che fino al 2011 è stata celebrata ogni 7 ottobre.
“
S
ince 1911, when Italy went to war against the Ottoman Empire and seized not only Dodecanese’s islands but also the three Wilayats (provinces) of Tripolitania, Fezzan and Cyrenaica from the Sultan of Constantinople, relations between the two countries have been, to put it mildly, less than peaceful. The Libyans never loved us, but rather fought against us and for this reason they had to suffer an occupation marked by repression and massacres. Tripoli has never been the «beautiful loving land», as the soliders sang and Italians who emigrated on what the fascist regimes called the “Fourth side”. They realized this sadly when in 1970, a few months after the acquisition of power, Colonel Gaddafi expelled the entire Italian colony, and more than twenty thousand people were forced to leave the country with a few days’ notice and abandon all their possessions in Libya. During the forty years of his regime, Gaddafi never failed to make his resentment towards Italy known, rejecting to compensate for the property confiscated from expelled Italians and maintaining in force the national holiday of revenge against Italy, which was celebrated every October 7 until 2011. The engagement of Prime Minister Berlusconi, who tenaciously tried to reopen the “Fourth Bank”
Gheddafi, durante la sua visita a Roma del 2009 si vantò pubblicamente di essere riuscito a bloccare due milioni di migranti Gheddafi, durante la sua visita a Roma del 2009 si vantò pubblicamente di essere riuscito a bloccare due milioni di migranti
Il premier e il rais: Berlusconi e Gheddafi a Roma, giugno 2009 / The premier and the rais: Berlusconi and Gaddafi in Rome, june 2009
L’impegno del presidente del consiglio Berlusconi che tentò tenacemente di riaprire la “Quarta sponda” al commercio e all’industria del nostro Paese, ha portato Italia e Libia alla firma di un trattato di amicizia che prevedeva il pagamento della somma di tre miliardi di euro a titolo di risarcimento per i danni causati dall’occupazione italiana. A margine delle trattative ufficiali, si tennero colloqui riservati durante i quali le autorità di sicurezza di Tripoli s’impegnarono a bloccare con ogni mezzo, anche con la forza, la spinta migratoria verso l’Italia. Gheddafi, durante la sua visita a Roma del 2009 si vantò pubblicamente di essere riuscito a bloccare due milioni di migranti, chiudendo tutti i var-
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
to Italian trade and industry, led Italy and Libya to the signing of a treaty of friendship that provided for the payment of the sum of three billion euros as compensation for damage caused by the Italian occupation. In the margins of official negotiations, confidential talks were held during which the security authorities of Tripoli pledged to block the wave of migration towards Italy by any means, even by force. Gaddafi, during his visit to Rome in 2009, publicly and proudly boasted to have stoppeded two million migrants, closing all gates from Central Africa to the beaches of Tripolitania and Cyrenaica. Italy understood well that the colonel’s efforts
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SCENARIO
chi che dall’Africa centrale portavano verso le spiagge della Tripolitania e della Cirenaica. Che quelle del Colonnello non fossero vanterie, il nostro Paese l’ha ben compreso quando, dopo aver contribuito ad abbattere il suo regime nel 2011, ha visto crescere a dismisura i flussi migratori dalla Libia all’Italia. Quando poi, a un secolo esatto dalla prima invasione, siamo tornati a bombardare la Libia in compagnia di francesi e inglesi, non ci siamo resi conto che destabilizzare la Libia avrebbe significato aprire un vaso di Pandora i cui contenuti esplosivi hanno prodotto e producono ancora danni in tutto il sud del Mediterraneo. Il primo risultato della destabilizzazione della Libia, oltre al caos politico e amministrativo in cui è precipitato il paese, si è visto dopo il linciaggio del Colonnello e l’abbattimento del suo regime: dalle coste libiche è ripreso un flusso di migranti che in pochi anni ha portato sulle nostre coste centinaia di migliaia di africani, finalmente “liberi” dalle maglie tessute dalle forze armate libiche. I quali si sono affidati alle tante milizie nate dalla “primavera libica” (mai definizione fu più sbagliata) per affrontare nell’anarchia più totale il pericoloso viaggio verso l’Europa. Un altro effetto, tutt’altro che secondario, della rivoluzione del 2011 è stato il ritorno della Libia nelle condizioni esistenti prima dell’occupazione italiana del 1911. Il paese è tornato a dividersi a suon di cannonate nelle tre Wilayat stabilite dall’amministrazione turca: Fezzan, Tripolitania e Cirenaica. Regioni etnicamente, socialmente ed economicamente diverse che i turchi si erano ben guardati dall’unire forzosamente e che gli italiani avevano invece riunito in uno stato nazionale artificiale, che al primo serio scossone è andato in frantumi. Tutto questo, compreso lo stallo nei combattimenti che non hanno visto prevalere un’unica parte, induce a ritenere che manchi la volontà stessa di farne un solo paese. La Libia che abbiamo conosciuto è durata un secolo esatto, ma difficilmente tornerà a essere uno stato unitario. Prima ce ne rendiamo conto, prima potremo affrontare il diluvio del post Gheddafi.
were not in vain when, after having helped to break down his regime in 2011, we witnessed migration flows from Libya to Italian shores grow disproportionately. Then, when, exactly a century after the first invasion, we returned to bombing Libya in the company of the French and British, we did not realize that destabilizing Libya would mean opening a Pandora’s box whose explosive contents have caused damage throughout the southern Mediterranean. The first result of destabilizing Libya, in addition to the country’s plunge into political and administrative chaos, was seen after the lynching of Colonel Gaddafi and the destruction of his regime: a flow of migrants has resumed from the coasts of Libya, which has brought hundreds of thousands of Africans to Italian shores in only a few years, finally “free” from the meshes woven by the Libyan armed forces. They have relied on the many militias born from the “Libyan spring” (never has a definition been more wrong) to face the dangerous journey towards Europe amidst complete anarchy. Another effect, far from secondary, of the 2011 revolution was the return of Libya to the conditions that existed before Italian occupation in 1911. The country has returned to divide itself in the three Wilayats established by the Turkish administration: Fezzan, Tripolitania and Cyrenaica. Now separate, the three regions are ethnically, socially and economically diverse. While the Turks had been very careful not to forcibly unite them, the Italians had instead brought them together in an artificial national state, which was shattered at the first serious jolt. All this, including the stalemate in fighting that has not seen a single party prevail, leads us to believe that there is a lack of willingness to make one united country. The Libya we know has lasted exactly one century, but it will hardly return to being a unitary state. The sooner we realize this, the faster we will be able to deal with the post-Gaddafi flood.
Photo: Gheddafi e Fidel Castro a Tripoli, 1977 / Gaddafi and Fidel Castro in Tripoli, 1977
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MAR 2018
AFTER ME COMES THE FLOOD
2011
FEBRUARY 17, THE DAY OF REVOLT.
Violent clashes began on February 15 in Benghazi and spread throughout the country.
MARCH 19, NATO STARTS BOMBING LIBYA.
The UN Security Council votes to impose a no-fly zone over Libya.
OCTOBER 20, GADDAFI DIES.
Gaddafi’s hometown, Sirte, falls after a two-month siege. Muammar Gaddafi is found and killed in the outskirts.
2012
JANUARY. NEW RULERS AND LAWS.
The National Transitional Council (NTC), recognized as the legitimate government of Libya, adopts a new electoral law to form Libya’s first constituent assembly.
AUGUST. ELECTIONS.
The General National Congress (GNC) of Libya is elected by popular vote. NTC formally transfers power to the Congress.
2015
JUNE. ISLAMISTS ON TOP.
Jihadist group Ansar Al Sharia takes control of Derna and Benghazi.
2016
MARCH. AL SERRAJ GOES TO TRIPOLI.
A new government led by Fayez Al Serraj arrives in Tripoli by boat after opposing forces block airspace. UN staff return after nearly two years.
SEPTEMBER. HAFTAR GOES DEEP IN WAR.
Haftar’s army seizes key oil export terminals in the east and launches the assault to retake Benghazi.
DECEMBER. ENDING THE CALIPHATE.
Pro-government forces oust ISIS militants from Sirte, which they had seized 18 months earlier.
THE BATTLE FOR LIBYA: KEY MOMENTS BATTAGLIA PER LA LIBIA: MOMENTI CHIAVE
2013
DECEMBER. ISLAMISTS IN CHARGE.
After two years, Islamists parties take control of the General National Congress (GNC), that votes to extend its powers.
2014 FEBRUARY. HAFTAR’S SPEECH.
General Khalifa Haftar appears on television demanding the dissolution of the GNC, threatening a coup against “the enemies of Libya”.
MAY. SECOND CIVIL WAR.
As the GNC refuses to dismantle, Haftar’s army launches a military campaign, dividing de facto Libya in two. UN staff pulls out.
NOVEMBER. ISIS RISES.
While civil war spreads throughout the country, ISIS takes control of Derna, then Sirte and other villages.
2017 SPRINGTIME. FALL OF BENGHAZI.
In June and July, Ansar al-Sharia members are ejected from Benghazi. The group announces its dissolution.
JULY. TIME TO REARRANGE.
Khalifa Haftar and Fayez Al Serraj meet in Paris, after a previous meeting in Abu Dhabi.
2018
JANUARY. A CALL FOR ELECTIONS.
While Tripolitania and Cyrenaica still remain divided, UN envoy Ghassan Salame calls for free elections by end of the year.
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SCENARIO
THE BIG
UNKNOWN
LA GRANDE INCOGNITA by
L
Alfredo Mantici and Luciano Tirinnanzi
a diplomazia italiana, apparentemente incapace di tracciare le linee di una politica verso la “nuova Libia”, si è accodata con una mossa politicamente corretta alle Nazioni Unite, che nel marzo del 2016 hanno insediato a Tripoli un governo detto di “accordo nazionale” retto da Fayez Al Serraj, un politico esiliato da Gheddafi che da Tunisi ha tentato di formare una compagine governativa. L’impresa, negli ultimi due anni, non ha avuto successo. Al Serraj non controlla neanche la sua capitale, Tripoli, mentre i suoi avversari continuano a non riconoscerne l’autorità.
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I
talian diplomacy, apparently unable to outline policy towards the new Libya, has agreed to a politically correct move in the United Nations, which in March 2016 installed a government defined as “national agreement” in Tripoli, led by Fayez Al Serraj, a politician exiled by Gaddafi who tried to form a government from Tunis. Over the past two years, the project has not been successful. Serraj does not even control Libya’s capital, Tripoli, while his opponents continue to not to recognize his authority. In Tripolitania, militias still dominate and thrive
BABILON N°1
MAR 2018
In Tripolitania dominano le milizie che prosperano anche grazie al mercato dei migranti. Il Fezzan è retto da un consiglio delle municipalità che si richiama alle tradizioni del tribalismo nordafricano. In Cirenaica regna il generale Khalifa Haftar, militare di carriera che nel 2014 ha raccolto intorno a sé una forte milizia con la quale ha lanciato la “Operazione Dignità” contro i jihadisti ed è riuscito a stabilizzare la Cirenaica, ponendo il suo governo a Tobruk. L’Italia, come detto, si è prudentemente allineata all’ONU riconoscendo immediatamente il governo Serraj e rifiutando fino a qualche tempo fa di riconoscere il peso del generale Haftar. Né russi né francesi hanno commesso questo errore: Haftar è un personaggio di peso, determinante nella Libia di oggi e in quella di domani. Non soltanto controlla la stragrande maggioranza delle risorse e delle infrastrutture energetiche, ma anche coste e territorio. Al punto che dalla Cirenaica non è partito finora neanche un barcone di migranti. I trafficanti di uomini operano tutti nell’area teoricamente controllata dal governo Serraj, che per inconsistenza o per connivenza non è riuscito finora a smantellare le reti del traffico di esseri umani. Le cose tuttavia hanno iniziato a cambiare da quando le redini della politica estera dell’Italia verso la Libia sono state assunte de facto dal Ministro dell’Interno Minniti, che ha dialogato non solo con il governo ufficiale di Al Serraj, costringendolo ad assumere qualche iniziativa contro i trafficanti, ma anche con i capi Tribù del Fezzan, e soprattutto con il generale Haftar. Da loro ha ottenuto sostegno e informazioni utili a bloccare i flussi di clandestini verso le nostre coste. La situazione degli sbarchi negli ultimi mesi, complice anche l’inverno, è così migliorata. Gli sbarchi sono diminuiti, ma oltre 700mila disperati provenienti dall’Africa centrale sono pronti a riprendere il mare. Per governare e non subire una nuova spinta migratoria, adesso il nostro paese deve contribuire in modo razionale a stabilizzare la situazione interna libica, anche a costo di riconoscere lo status quo, senza accettare passivamente le direttive delle Nazioni Unite, il cui approccio burocratico alle tensioni internazionali non ha consentito alcun miglioramento nei drammi tanto africani quanto mediorientali. La “linea Minniti” è stata quella del pragmatismo e, quando occorre, del pugno duro. Finora si è dimostrata la soluzione migliore, con buona pace degli amanti del politically correct e dei minuetti diplomatici.
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
THE BIG UNKNOWN
thanks in part to the migrant market. Fezzan is governed by a council of townships that recall North African tribal traditions. General Khalifa Haftar reigns in Cyrenaica: a former career soldier who in 2014 gathered a strong militia to launch “Operation Dignity” against jihadists and managed to stabilize Cyrenaica, seating his government in Tobruk. Italy, as mentioned above, has prudently aligned itself with the UN, recognizing the Serraj government immediately and refusing, until some time ago, to recognize the weight of General Haftar. Neither the Russians nor the French have made this mistake: Haftar is a key player in Libya, both today and tomorrow. He controls not only the vast majority of oil resources and infrastructure, but also coasts and land. So far, not a single boat of migrants has left Cyrenaica. Human traffickers all operate in the area theoretically controlled by the Serraj government, which has not yet been able to dismantle networks of trafficking in human beings due to inconsistency or connivance. However, things have begun to change since Italian Minister of the Interior Marco Minniti took de facto reins of Italy’s foreign policy towards Libya. Minniti spoke not only with the official government of Al Serraj, forcing him to take initiative against traffickers, but also with the tribal leaders of Fezzan and, most importantly, with General Haftar. All of them have provided support and information to stop the flow of illegal immigrants to Italian coasts. The situation of landings in recent months, including winter, has thus improved. Landings have decreased, but more than 700,000 desperate people from Central Africa are ready to take to the sea. In order to govern and not to suffer a new migratory wave, Italy must now make a rational contribution to stabilizing Libya’s internal situation, possibly even recognizing the status quo without passively accepting the directives of the United Nations, whose bureaucratic approach to international tensions has not allowed any improvement in African crisis, as in the Middle East. The Minniti line seems to be pragmatic and, when necessary, hard line. So far it has proved to be the best solution, with peace of mind fans of both political correctness and diplomatic minuets.
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SCENARIO
Khalifa Haftar nell’interpretazione grafica di Valerio Romano (www.valerioromano.com)
L
’uomo forte e il primo ministro debole è il paragone più attinente fra il generale Khalifa Haftar e Fayez Al Serraj. Il primo comandante dell’autoproclamato esercito libico che controlla gran parte della Cirenaica, il secondo presidente e premier del governo di unità nazionale a Tripoli.
Haftar dopo aver conquistato Bengasi, seconda città del paese, è avanzato con qualche difficoltà anche nel sud e ha cellule pure nella capitale, dove fra gli ex seguaci di Gheddafi è visto come una speranza per il futuro. Serraj, all’inizio fortemente voluto dall’Italia, è sbarcato a Tripoli il 30 marzo 2016 grazie all’appoggio internazionale e di alcune forze islamiste come Rada, una milizia salafita oggi integrata nel ministero dell’Interno. Dopo due anni, le aspettative riposte nel nuovo governo sono crollate di fronte alla crisi economica, alla svalutazione del dinaro, ai black out elettrici, alle lunghe file davanti dalla banche. Per non parlare della precaria sicurezza e del potere delle milizie. Sia Serraj che Haftar puntano a un ruolo chiave nel futuro della Libia, a cominciare dalle fragili e incerte elezioni parlamentari e presidenziali previste entro quest’anno. L’ONU vorrebbe farli mettere d’accordo, ma i due personaggi sono uno l’opposto dell’altro. Morbido e politico Al Serraj, irruento e marziale Haftar.
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strong man and a weak prime minister is the most accurate comparison between General Khalifa Haftar and Fayez Al Serraj. The former being commander of the self-proclaimed Libyan army that controls much of Cyrenaica and the latter being president and premier of the Government of National Unity in Tripoli. Haftar, after having conquered Benghazi, the country’s second largest city, is advancing with some difficulty even in the south and has cells in the capital as well, where he is seen as a hope for the future among the former followers of Gaddafi. Serraj, initially strongly preferred by Italy, landed in Tripoli on 30 March 2016 thanks to international support and Islamist forces such as Rada, a Salafist militia now integrated in the Ministry of the Interior. After two years, expectations placed on the new government have collapsed in the face of the economic crisis and devaluation of the dinar, electric blackouts and long lines at the bank, not to mention precarious security and the power of militias. Both Serraj and Haftar are aiming for a key role in Libya’s future, starting with the fragile and uncertain parliamentary and presidential elections this year. The UN would like them to agree, but the two characters are complete opposites. Soft and political Al Serraj, compared to the violent and mili-
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MAR 2018
ONE SEAT FOR TWO
ONE SEAT
FOR TWO UNA POLTRONA PER DUE
by
Fausto Biloslavo, journalist and war correspondent
Il generale è più anziano, ha 75 anni e qualche ombra mai chiarita sul suo stato di salute. Alle spalle ha una vita avventurosa spesso vissuta sul filo del rasoio. Da giovane ufficiale, Haftar partecipò al golpe del Colonnello Gheddafi contro la monarchia di re Idris. Nasseriano d’impostazione, è stato addestrato in Unione Sovietica e in Egitto. Non a caso oggi si appoggia a Mosca e al presidente egiziano Al Sisi, che emula nel tentativo di unificare la Libia risollevando il paese dal caos come l’ex generale ha fatto in Egitto. Gheddafi lo spedì nella disastrosa guerra in Ciad nel 1987 che finì male per lo stesso Haftar, catturato con i suoi uomini. Grazie agli americani, fu liberato e in seguito si schierò contro Gheddafi che lo aveva abbandonato al suo destino. Ma la speranza di rovesciare il colonnello fu vana e Haftar insieme con i suoi nel 1990 trovarono rifugio negli Stati Uniti. A Tripoli, intanto, lo condannarono a morte. Haftar, che è sempre rimasto in contatto con l’intelligence USA in funzione anti Gheddafi, è rispuntato in Libia con la rivolta del 2011. Originario della Cirenaica, avrebbe voluto comandare le milizie ribelli, ma è stato soppiantato dalle forze più islamiste. Così, nel caos del dopo Gheddafi, è diventato ben presto l’uomo forte dell’Est del paese. Il parlamento in esilio a Tobruk, inizialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, ha nominato Haftar
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
tary Haftar. The general is older, 75 years old, with a few shadows that have never been clarified regarding his state of health. In his past lies an adventurous life often on the edge of a cliff. As a young officer, Haftar took part in Colonel Gaddafi’s coup against the monarchy of King Idris. A follower of the Nasserian approach, he was trained in the Soviet Union and Egypt. It is no coincidence that today he relies on Moscow and Egyptian President Al Sisi, who he emulates in an attempt to unify Libya by reviving the country from chaos as did former general Sisi in Egypt. Gaddafi sent him into the disastrous war in Chad in 1987, which ended badly for Haftar when he was captured alongside his men. Thanks to the Americans, he was freed and later sided with Gaddafi who had abandoned him to his fate. But the hope of overthrowing the colonel was vain and Haftar and his men found refuge in the United States in 1990. In Tripoli, in the meantime, he was sentenced to death. Haftar, who has always remained in contact with US intelligence in an anti-Gaddafi function, has returned to Libya with the 2011 revolt. Originally from Cyrenaica, he wanted to command the rebel militias, but was superceded by the most Islamist forces. Thus, in the post-Gaddafi chaos he soon became the strong man of the East of the country. The exiled parliament in Tobruk, which was initially
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SCENARIO
comandante dell’esercito nazionale libico. Da allora, il generale ha scatenato la battaglia di Bengasi contro gli estremisti islamici, che dura ormai da tre anni. Spartano e machiavellico, ha annodato alleanze locali con milizie come quella di Zintan, scontrandosi con la città stato di Misurata e con il vecchio governo islamista di Tripoli. Oggi sostiene di controllare 75mila uomini e dalla roccaforte della Cirenaica si sta espandendo al sud. Anche la Francia e gli Emirati Arabi lo appoggiano. Il generale che vuole diventare presidente sostiene che «la Libia non è pronta per la democrazia. Se le elezioni falliranno mantenendo lo stallo, le mie forze prenderanno il controllo dell’intero paese». A Tripoli, intanto, i delusi della rivoluzione e del nuovo governo di Al Serraj sono molti e aspettano con ansia un colpo di mano di Haftar o l’ardito ritorno di Seif al Islam, il figlio “intelligente” di Gheddafi, liberato lo scorso anno. Il presidente e premier quasi 58enne del governo libico riconosciuto dall’ONU, infatti, non ha alcuna esperienza militare e solo una scarsa infarinatura in campo politico, anche se è un paziente e abile mediatore. Al Serraj è nato a Tripoli da una famiglia fra le più benestanti della capitale, grazie a terreni e ne-
recognized by the international community, appointed Haftar as commander of the Libyan National Army. Since then, the general triggered the Benghazi battle against Islamic extremists, which has lasted three years. Spartan and Machiavellian, he has knit local alliances with militias such as that of Zintan, clashing with the city of Misurata and the old Islamist government of Tripoli. Today he claims to control 75 thousand men and from the stronghold of Cyrenaica he is expanding to the south. France and the Arab Emirates also support him. The general who wants to become president says that «Libya is not ready for democracy. If the elections fail and the stalemate is maintained, my forces will take control of the whole country». Meanwhile in Tripoli, there are several disappointments with the revolution and the new government of Al Serraj and many eagerly anticipate a coup on behalf of Haftar or Seif ’s bold return to Islam, the “intelligent” son of Gaddafi, released last year. The president and premier of the UN-recognized Libyan government, almost 58 years of age, has no military and very little political experience, even if he is a patient and skillful mediator. Al Serraj was born in Tripoli into one of the we-
L’incontro francese dei due leader con il presidente Marcon / The French meeting between the two leaders and President Marcon
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ONE SIT FOR TWO
Fayez Al Serraj
gozi. Il padre, Mostafa, ministro durante la monarchia, è stato uno dei fondatori della Libia moderna. Fayez Al Serraj è architetto di formazione e durante l’era di Gheddafi ha ricoperto vari incarichi come funzionario pubblico, ma fino ai cinquant’anni si è tenuto lontano dalla politica, preferendo i redditizi affari di famiglia. Dopo la rivolta scaturita dalla primavera araba, è entrato a far parte della Commissione di dialogo nazionale, che avrebbe dovuto favorire il consenso e l’unità del paese.
althiest families in the capital thanks to land and shops. His father, Mostafa, a minister during the monarchy, was one of the founders of modern Libya. Fayez Al Serraj is trained in architecture and during the Gaddafi era he held various public positions, but until the age of 50 he was kept away from politics, preferring profitable family business. After the uprising triggered by the Arab Spring, he joined the National Dialogue Commission, which aimed to have foster consensus and unity in the country.
Nel 2014 è eletto nel parlamento costretto a trasferirsi a Tobruk e diventa Ministro per le Abitazioni e Infrastrutture. In seguito, si sposta in esilio a Tunisi, dove l’inviato del Palazzo di Vetro Bernardino Leon lo tira fuori dal cappello magico dell’ONU. Grazie a un lavorio sul terreno di britannici e italiani, sbarca a sorpresa a Tripoli il 30 marzo 2016 rovesciando il governo islamista. Ma dopo due anni al potere è riuscito a consolidare ben poco del territorio al di fuori della capitale e molte aree sfuggono totalmente al suo controllo. La gente comune lo considera, al massimo, “il sindaco di Tripoli”.
In 2014 he was elected to parliament and forced to move to Tobruk, becoming Minister for housing and infrastructure. Then he moved into exile to Tunis, where UN envoy Bernardino Leon, pulled him out of a magic hat. Thanks to work on the ground by the British and Italians, he landed in Tripoli by surprise to overthrow the Islamist government. But after two years in power he managed to consolidate little control of the territory outside the capital after two years. At most, people consider him the mayor of Tripoli.
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SCENARIO
AUTUMN ELEZIONI D’AUTUNNO?
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ntro la fine del 2018 in Libia si prevede di tornare alle urne, per la quinta volta dopo il 2011 che segnò la morte di Muammar Gheddafi e la conseguente caduta della Jamahiriya. È un progetto del rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite e capo dell’UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya), Ghassan Salamé, approvato da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Secondo le statistiche pubblicate dalla Commissione, al primo febbraio sono già 2.267.000 gli elettori registratisi per le operazioni di voto. Il dato degli iscritti è di per sé superiore al numero di 1.484.723 voti espressi nelle elezioni del 2012, ma si stima che gli aventi diritto al voto siano cir-
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by
Andrea Morigi, Professional journalist
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y the end of 2018, Libya is expected to return to the ballot box for the fifth time since 2011, the year that marked the death of Muammar Gaddafi and the consequent fall of Jamahiriya. The election is a project sponsored by Ghassan Salamé, the representative of UN Secretary-General and Head of UNSMIL (United Nations Support Mission in Libya), approved by a Security Council resolution. According to statistics published by the Commission, there are already 2,267,000 citizens registered to vote on 1 February. The number of registered voters is, in itself, higher than the 1,484,723 votes cast in the 2012 elections, however, it is estimated that 4.5 million people are entitled to vote. The
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AUTUMN IN LIBYA
OLTRE 2 MILIONI DI ISCRITTI AL VOTO CHE NON C’È
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SCENARIO
ca 4,5 milioni. Ecco perché le operazioni di registrazione, iniziate il 6 dicembre 2017, sono state estese fino al 15 febbraio per «fornire la più ampia opportunità per coloro che non sono riusciti a registrarsi per partecipare a questo evento storico», come ha affermato Emad Al Sayeh, presidente dell’Alta Commissione elettorale il primo febbraio scorso, convinto che «il numero di votanti registrati finora ha rispecchiato la consapevolezza dei libici dell’importanza delle elezioni come una vera scelta democratica». Dunque, al di là delle difficili condizioni sociali e politiche, pare che vada affermandosi una tendenza dei cittadini libici a individuare una via d’uscita democratica alla crisi del loro Paese. Nemmeno l’esito incerto delle precedenti tornate elettorali impedisce di tentare nuovamente una soluzione che conduca a una maggior stabilità. Lo scenario attuale vede una divisione etnico-territoriale delle istituzioni dello Stato unitario che, benché regolarmente elette, sembrano ricevere la loro rappresentatività politica dagli equilibri fra le tribù e le milizie e la loro capacità di iniziativa da interessi economici e geopolitici esterni. È ipotizzabile, dunque, che anche le forze politiche che si candidano a governare si muovano sull’asse delle appartenenze e delle relazioni internazionali. In questo senso potrebbero essere interpretate anche le parole del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, che il 2 febbraio scorso a Tunisi, ha dichiarato che l’attacco in Libia del 2011 è stato un «grave errore» perpetrato dalle grandi potenze mondiali, e che il bombardamento «non era la giusta soluzione in quanto quest’azione militare non rientrava in una chiara tabella di marcia politica e diplomatica». Il rinnovato protagonismo del Regno Unito nella Regione e il tentativo del governo italiano di favorire il dialogo fra le parti sembrano andare nella stessa direzione. Sul fronte interno, l’attore principale si candida a essere da un lato il generale Khalifa Haftar, a capo dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) sostenuto dai governi del Cairo e di Mosca, mentre non è ancora chiaro se, nello schieramento opposto, gli interessi dei Paesi europei e occidentali che formalmente appoggiano il Governo di Unità Nazionale di Tripoli guidato dal premier Fayez Al Serraj condurranno alla convergenza su una candidatura unica oppure
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registration process, which began on 6 December 2017, was thus extended until 15 February to “provide the widest opportunity for those who failed to register to participate in this historic event”, as Emad Al Sayeh, President of the High Electoral Commission on 1 February said, convinced that «the number of voters registered so far has reflected Libyans’ awareness of the importance of elections as a true democratic choice». Thus, beyond the socially and politically difficult conditions, there seems to be a tendency for Libyan citizens to find a democratic way out of their national crisis. Even the uncertain outcome of previous rounds of elections does not prevent a solution that leads to greater stability from being attempted again. Currently the country is characterized by ethnic-territorial division of the unified state’s institutions. Although regularly elected, the institutions seem to receive their political representativeness from a balance between tribes and militias while their capacity for initiative is motivated by external economic and geopolitical interests. It is therefore possible that even the political forces that are running for election move along faction lines and international relations. It is in this sense that the words of French President Emmanuel Macron, who said on 2 February in Tunis, that the 2011 Libya attack was a «serious mistake» by the major world powers, and that the bombing «was not the right solution because this military action was not part of a clear political and diplomatic roadmap» could also be interpreted. The United Kingdom’s renewed leadership in the region and the Italian government’s attempt to promote dialogue between the parties seem to be moving in the same direction. On the domestic front, the main nominated actor is General Khalifa Haftar, head of the Libyan National Army (LNA), supported by the governments of Cairo and Moscow. It is not yet clear whether, on the other side, the interests of European and Western countries that formally support the Government of National Unity in Tripoli, led by Prime Minister Fayez Al Serraj, will lead to convergence on a single candidacy or conditional support for Haftar himself, in order to avoid a new stalemate. Also interested in playing a leading role on
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su un appoggio condizionato allo stesso Haftar, allo scopo di evitare una nuova situazione di stallo. Vorrebbe tornare a rivestire un ruolo di protagonista sulla scena nazionale perfino Saif Al Islam Gheddafi, secondogenito di Muammar. Di certo, è nell’interesse di tutti porre fine al periodo di transizione in atto da ormai sette anni. L’obiettivo è l’approvazione di una Costituzione, da sottoporre poi a referendum, che funga da cornice a un processo di pacificazione, ma non è certo che tutti gli ingredienti necessari per seguire la ricetta siano disponibili. Innanzitutto, lo svolgimento delle delicate fasi di voto potrebbe essere compromesso dall’azione di bande armate che, in assenza di un’unica forza di sicurezza a garantire il processo democratico, metterebbero a rischio i risultati delle consultazioni e la loro legittimità. L’azione di contingenti militari stranieri sul territorio, in questo contesto, potrebbe essere percepita come un’ingerenza indebita negli affari interni del Paese e contribuirebbe ad alimentare il risentimento verso le ex potenze coloniali. Ma l’alternativa a tutto ciò è che fra le diverse fazioni continui a scorrere il sangue, mentre i proventi del petrolio potrebbero accontentare tutti i partiti.
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the national stage is Saif Al Islam Gaddafi, Muammar’s second child. Of course, it is in everyone’s interest to put an end to the seven-year transitional period. The goal is to approve a constitution, which will then be put to referendums, as a framework for a peace process, but it is not certain that all the ingredients needed to follow the recipe are available. Firstly, holding delicate voting phases could be compromised by the action of armed gangs which, in the absence of a single security force to guarantee the democratic process, would threaten the results of the elections and their legitimacy. The action of foreign military contingents on the territory could be perceived as an undue interference in the country’s internal affairs and would contribute to fuel resentment towards former colonial powers. Yet, the alternative to all this is bloodshed between different factions, while oil and gas revenues could please all parties.
Photo: Momenti di vita quotidiana / Daily life moments
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DURA LEX
LIBYA: ONE, TWO OR MORE? LIBIA: UNA, DUE O PIÙ? by
Fabio Valerini, corporate lawyer
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Ma il dubbio che si annida è: c’è un governo riconosciuto internazionalmente o ci sono piuttosto più interlocutori? La domanda non è di poco conto: il tema riguarda, infatti, un capitolo fondamentale del diritto internazionale circa la successione degli Stati e ha regole del tutto particolari. Si tratta di individuare chi possa impegnare le volontà dello Stato di Libia. Per fare un esempio e rimanere a una vicenda che ha toccato l’Italia (e sulla quale è stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale di Roma), è bene sapere chi è legittimato a designare i rappresentanti diplomatici, dall’incaricato di affari sino all’ambasciatore in un certo paese. Certamente, un ruolo fondamentale è giocato dalla comunità internazionale. Quindi, ogni singolo Stato stabilisce se riconoscere o meno un soggetto nelle proprie relazioni diplomatiche. Ciò detto, non possiamo dimenticare un altro passaggio fondamentale, ossia il processo di stabi-
The issue regards who can act on behalf of the State of Libya. To give an example that has affected Italy (and on which the Court of Rome was called upon to give a ruling), we need to identify who is entitled to designate diplomatic representatives, from the national head of foreign affairs to its ambassadors. Certainly, a fundamental role is played by the international community. Therefore, each individual state decides to recognize a diplomatic representative or not. Having said that, we cannot forget another fundamental step, namely the process of stabilizing Libya devised by the United Nations: the Libyan Political Agreement signed on 17 December 2015 in Skhirat, Morocco, which provides for the birth of the national government of intent now led by
ggi la Libia si caratterizza per una situazione istituzionale, oltre che politica, complessa anche dal punto di vista normativo. Qualunque analisi e riflessione sul tema sconta un dubbio giuridico difficile a risolversi circa i due governi che sembrano essere in carica. Da una parte Tobruk, il cui parlamento è quello uscito dalle elezioni del 2014 e che dispone dell’esercito legittimo guidato dal generale Haftar; dall’altra parte Tripoli. Originariamente, con l’espressione “Governo di Tripoli” si faceva riferimento a chi aveva rifiutato il risultato delle elezioni politiche. Oggi, però, con la stessa espressione ci si riferisce al governo di Fayez Al Serraj, che è qualcosa di diverso: si tratta, infatti, del governo di unità nazionale supportato dalla comunità internazionale e dall’ONU in particolare.
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oday Libya is characterized by a complex institutional, as well as political and regulatory situation. Any analysis and reflection on this theme suffers from legal doubt that is difficult to resolve regarding the two governments that seem to be in office. On one hand we have Tobruk, whose parliament was formed with the 2014 elections and who has the legitimate army led by General Haftar; on the other hand we have the government of Tripoli. Originally, the expression “Tripoli government” referred to those who had rejected the results of the general elections. Today, however, the same expression refers to the government of Fayez Al Serraj, which is something different: it is, in fact, the Government of National Unity, supported by the international community and the UN in particular. But the lurking doubt is: is there an internationally recognized government or are there multiple? The question is not insignificant: the issue concerns a fundamental chapter of international law concerning the succession of states and has very special rules.
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lizzazione della Libia pensato dalle Nazioni Unite: si tratta del Libyan Political Agreement firmato il 17 dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco, che prevede la nascita del governo d’intesa nazionale oggi guidato da Fayez Al Serraj. Prima di quella sottoscrizione, vi era stata la dichiarazione comune di Roma sulla Libia del 13 dicembre, in base alla quale la comunità internazionale s’impegnava ad appoggiare l’Accordo Politico per la Libia e le istituzioni da esso previste, e a sostenere «il Governo di Concordia Nazionale come l’unico governo legittimo della Libia». Dichiarazione trasferita anche nella Risoluzione delle Nazioni Unite 2259 del 23 dicembre 2015, che ha fatto seguito alla sottoscrizione dell’accordo. Ma proprio perché quel governo è pensato come “d’intesa nazionale”, il testo dell’accordo prevede anche che esso dovrà ottenere la fiducia dell’unico Parlamento che viene effettivamente e giuridicamente riconosciuto. E questo è il Parlamento di Tobruk, cioè quello uscito dalle elezioni politiche del 2014 che, in base all’articolo 1 e all’articolo 13 del Libyan Political Agreement, deve concedere il voto di fiducia al governo. Sennonché, quel voto di fiducia non c’è stato e, quindi, sul piano giuridico non resta che prendere atto che il successore della Libia di Gheddafi (per intendersi) non può che essere - anche per la comunità internazionale che lo ha inteso mettere nero su
LIBYA: ONE, TWO OR MORE?
Fayez Al Serraj. Prior to that agreement, there was the Rome Joint Declaration on Libya of 13 December, according to which the international community would support the Political Agreement for Libya and its institutions, and to support “the Government of National Unity as Libya’s only legitimate government”. The declaration also transferred to UN Resolution 2259 of 23 December 2015 following the signing of the agreement. Yet, precisely because that government is thought of as “national understanding”, the text of the agreement also requires that it gains the confidence of the only parliament that is actually and legally recognized. And the only recognized parliament is that of Tobruk, that is, the parliament that resulted from the general elections of 2014, which, according to Article 1 and Article 13 of the Libyan Political Agreement, must grant the vote of confidence to the government. However, that vote of confidence has not taken place and, therefore, on a legal level, it remains to be noted that the successor to Libya of Gaddafi (to be understood) can only be - even for the international community that wanted to put it in black and white - the Tobruk Parliament. Thus, Haftar. Serraj’s authority, on the other hand, although still supported by the international community, has been clearly (and inevitably) subject to the clear
Sopra: Lungomare di Tripoli / Upside: Tripoli’s promenade A sinistra: mappa fisica della Libia e suddivisioni amministrative / On the left: the physical map of Libya and provinces.
bianco - il Parlamento di Tobruk. Dunque, Haftar. L’autorità di Serraj, invece, pur supportata ancora dalla comunità internazionale, è stata chiaramente (e inevitabilmente) sottoposta alla chiara condizione di un voto di fiducia che però, per il momento, non c’è stato. In attesa delle annunciate elezioni politiche, la situazione diplomatica resta complessa. Anche se, tecnicamente, possiamo concludere che il Parlamento che la comunità internazionale ha inteso riconoscere nell’accordo di Skhirat è unicamente quello di Tobruk.
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condition of a vote of trust which has not yet taken place. While awaiting the next parliamentary elections, the diplomatic situation remains complex. Even if, technically speaking, we can conclude that the international community intends to recognize the Tobruk parliament and the Skhirat Agreement.
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SCENARIO
WHAT KIND OF
FUTURE? LA RESPONSABILITÀ ITALIANA Lorenzo Nannetti – Scientific manager, “il caffè geopolitico”
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Quale futuro “prevedere il
attende la Libia? Per capirlo, serve fare una premessa: futuro”, in termini analitici, non significa poter dire quali eventi accadranno la prossima settimana, il prossimo mese o anche il prossimo anno. Perché il futuro, come ricorda l’urbanista Arnaldo Cecchini citando un racconto di Borges, è «il giardino dei sentieri che si biforcano». Ciò che si può fare è individuare le principali dinamiche in corso che influenzeranno il domani della Libia.
What future awaits Libya? To understand it, we need to make a premise: “predicting the future”, in analytical terms, does not mean being able to say what events will happen next week, next month or even next year. Because the future, as the urban planner Arnaldo Cecchini says quoting a story by Borges, is «the garden of the forking paths». What can be done is to identify the main dynamics under way that will influence the future of Libya.
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SCENARIO
L’INFLUENZA DELLE GRANDI POTENZE REGIONALI
THE INFLUENCE OF THE GREAT REGIONAL POWERS
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dispetto della sua retorica, il Generale Haftar non è ancora così forte militarmente da poter sconfiggere da solo i suoi avversari e riprendere il controllo del Paese. Da qui le continue richieste ai paesi europei (Italia inclusa) di finanziarlo e fornire armi. Il Generale gioca molto sull’immagine di “uomo forte”, ma l’estrema frammentazione del panorama libico fa ritenere alle cancellerie europee che siano ancora necessari accordi diplomatici condivisi che uniscano gli interessi di più fazioni. Il problema, soprattutto per l’Italia, non è banale: affidarsi ad Haftar significa proteggere i propri interessi? Il vero “tesoro” della Libia è il gas naturale e non il petrolio, e quest’ultimo è localizzato principalmente in Tripolitania dove opera l’ENI, e non in Cirenaica dove sta il Generale. In Tripolitania arrivano anche le principali rotte migratorie e sono attivi i principali accordi creati dal Ministro degli Interni italiano per ridurre questi flussi. Roma dunque è interessata sia a evitare un conflitto che non crei problemi alla produzione di gas, sia a mantenere gli accordi attuali prima di affidarli a potenziali competitors come la Francia. Saranno pertanto i rapporti di forza tra gli attori internazionali a determinare quanto il Generale e i suoi avversari combatteranno o, al contrario, riusciranno a trovare qualche accordo. Quanto reggerà il “sistema Minniti”? È evidente come la posizione italiana sia particolarmente rilevante, ancora di più da quando il Ministro degli Interni Marco Minniti ha istituito accordi con municipalità e/o gruppi locali per ridurre i flussi migratori dall’Africa Sub-sahariana verso Italia ed Europa. Il problema è che il sistema creato non è stabile, ma soggetto a un’evoluzione dei comportamenti. Da un lato, le milizie competono tra loro per ricevere i finanziamenti italiani, tanto che in alcune occasioni (ad esempio a Sabratha) due milizie hanno combattuto per prendere il controllo della zona e diventare interlocutori di Roma. Da questo non è esente lo stesso Haftar, interessato a prendere il controllo di alcune aree costiere per aumentare il proprio appeal verso l’Italia. Dall’altro mancano una serie di progetti di sviluppo sociale e infrastrutturale che possano convertire l’economia locale da una basata sui traffici a una fondata su altro. Teniamo presente che, attualmente, viene bloccata l’uscita dei migranti dalla Libia, ma non l’ingresso: le milizie guadagnano anche
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espite his rhetoric, General Haftar is not yet so militarily strong and he can’t defeat his opponents on his own to regain control of the whole country. Here’s why the European countries (including Italy) receive continuous requests to finance it and supply arms. The General use the image of “strong man”, but the extreme fragmentation of the Libyan landscape suggests that the European chancelleries still require shared diplomatic agreements that unite the interests of several factions. The problem, especially for Italy, is not trivial: to rely on Haftar means protecting one’s own interests? The real “treasure” of Libya is natural gas and not oil, and the latter is mainly located in Tripolitania where ENI operates, and not in Cyrenaica where the General is. The main migratory routes also arrive in Tripolitania and the main agreements created by the Italian Ministry of the Interior to reduce these flows are still active. Rome is therefore interested both in avoiding a conflict that does not create problems for the production of gas, and in maintaining the current agreements before entrusting them to potential competitors such as France. Therefore, the relations of force among the international actors will determine how much the General and his opponents will fight or, on the contrary, will manage to find some agreement. How much will the “Minniti system” hold up?
It is clear that the Italian position is particularly relevant, even more since the Minister of the Interior Marco Minniti has established agreements with local municipalities and/or groups to reduce migratory flows from Sub-Saharan Africa to Italy and Europe. The problem is that the system created is not stable, but subject to an evolution of behavior. On one hand, the militias are competing to receive Italian funding, so in some occasions (for example in Sabratha) two militias have fought to take control of the area and become interlocutors of Rome. Haftar himself is not exempt from this, interested in taking control of some coastal areas to increase its appeal to Italy. On the other hand, there is a lack of social and infrastructural development projects that can convert the local economy from one based on one to another. We have to keep in mind that, currently, the exit of migrants from Libya is blocked, but not the entry: the militias earn money even from migrants’ families sent under blackmail to their loved
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Marco Minniti
dai soldi che le famiglie dei migranti inviano sotto ricatto ai propri cari detenuti nei centri. Non esiste dunque un effetto di deterrenza. Il risultato è che le milizie hanno un’importante leva nei confronti di Roma: possono in qualunque momento aprire nuovamente le rotte e dunque ricattare l’Italia. L’unico modo per ridurre tale leva è lo sviluppo di nuove economie locali e di politiche per la riduzione della migrazione proveniente dal Sahara. Si tratta di una sorta di “gara” contro il tempo: maggiore è il ritardo nello sviluppo di tali programmi, maggiore rimane il rischio di ricatto o di crollo del sistema. Gli unici accordi possibili sono quelli che garantiranno privilegi e/o redditi alle varie fazioni. Di fatto, ignorare tale dinamica equivale a favorirla. Per l’Italia, fondamentale è prepararsi a tutti questi scenari e influenzarli. Ma queste sono decisioni politiche.
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ones detained in the centers. Therefore, there is no deterrent effect. The result is that the militias have an important leverage towards Rome: they can at any time open the routes again and then blackmail Italy. The only way to reduce this leverage is to develop new local economies and policies to reduce migration from the Sahara. This is a sort of “race” against time: the longer the delay in the development of such programs, the greater the risk of blackmail or the collapse of the system. The only agreements possible are those that will guarantee privileges and/or income to the various factions. In fact, ignoring this dynamic is tantamount to favoring it. Italy needs to be prepared for all these scenarios and to influence them. But these are political decisions.
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PLACES
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PLACES
PLACES Ghouta, periferia orientale di Damasco. L’imprendibile roccaforte dei ribelli anti-Assad è finita sotto attacco da parte dei governativi che, insieme alle forze aeree russe, hanno deciso di portare l’assalto finale contro le forze dell’opposizione al regime, per liberare una volta per tutte la capitale dalla minaccia ribelle. Neanche la Risoluzione ONU per una tregua umanitaria ha retto. Così, dopo Aleppo, anche Ghouta è diventata un simbolo della crudeltà di questa guerra civile: qui si sono compiute vere e proprie carneficine, tra le quali il bombardamento dell’agosto 2013 che uccise circa 1.500 civili di cui 400 bambini, e su cui pende il pesante sospetto di uso di gas al cloro da parte del regime. Ghouta, eastern suburb of Damascus. The uncatchable stronghold of the antiAssad rebels is under attack by the government which, together with the Russian air forces, have decided to bring the final assault on the opposition forces to the regime, to break the rebel threat on the capital. Not even the UN Resolution for a humanitarian truce, stood up. So, after Aleppo, Ghouta became a symbol of the cruelty of this civil war: here we’ve seen real carnages, including the bombing of August 2013 that killed about 1,500 civilians and 400 children, on which hangs the heavy suspicion of the use of chlorine gas by the regime.
FEB A GEOPOLITICAL 2018 EXPERIENCE
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GEOPOLITICS
ITALY MEANS MEDITERREAN ITALIA SIGNIFICA MEDITERRANEO and
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by Tiberio Graziani e Filippo Romeo, Chairman Senior Analyst of Vision and Global Trends
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’attuale momento storico si contraddistingue per le complesse questioni di carattere geopolitico dettate dall’emersione di nuovi protagonisti sulla scena mondiale che hanno determinato profonde mutazioni, tra cui il cambiamento della geografia dello shipping mondiale e quello dei progetti di collegamento terrestre. A tal proposito, basti pensare ai lavori di ampliamento dei Canali di Suez e di Panama, che senz’altro hanno messo maggiormente in risalto il ruolo strategico ricoperto dalle connessioni marittime, con la messa in opera di collegamenti terrestri che interessano l’Asia, e in particolare la Cina, che in questo processo sta giocando un ruolo da protagonista. Non solo. Anche Russia e India stanno provvedendo alla messa in campo di nuove mega infrastrutture di trasporto intercontinentali. La potenza economica sviluppata negli ultimi periodi dal colosso cinese è supportata da una serie di progetti infrastrutturali strategici utili ad accompagnare, tutelare e accrescere le capacità espansive del paese. Tra questi, rientra il grande progetto della “Nuova Via della Seta” di terra e di mare, ideato da Pechino con l’obiettivo di avvicinare la Cina al resto della massa continentale euroasiatica, nonché di sviluppare quelle zone dell’entroterra rimaste arretrate rispetto alla fascia costiera.
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ITALY MEANS MEDITERREAN
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he current historical moment is marked by the complex and intricate geopolitical issues generated by the emergence of new protagonists on the international scene that have led to profound changes, including that in the geography of global shipping and that of land connection projects. We need only think of the work to expand the Suez and Panama Canals, which have clearly placed greater emphasis on the strategic role played by shipping connections, and the establishment of land links that affect Asia, and China in particular, which is playing a leading role in this process. And there’s more. Russia and India are also implementing new mega-intercontinental transport facilities. The economic power developed in recent periods by the Chinese giant is supported by a series of strategic infrastructure projects to accompany, protect and increase the country’s capacity for expansion. These include the great project of the “New Silk Road” by land and sea, designed by Beijing to bring China closer to the rest of the Eurasian continental mass, as well as to develop the inland areas that are lagging behind the coastal strip.
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GEOPOLITICS
Non di meno sta facendo la Russia, anch’essa impegnata nella realizzazione del mega progetto Razvite che, oltre a riprendere la tradizione dei grandi piani che nel secolo scorso ne promossero l’industrializzazione, punta alla ricomposizione del continente euroasiatico come soggetto di primo piano sulla scena mondiale. L’India, di contro, sta sviluppando una vasta rete infrastrutturale in grado di connettersi all’Europa centro-settentrionale passando per Iran, Asia centrale e Russia. L’emergere delle nuove potenze vede in ogni caso in testa la Cina, che ha fatto del Mediterraneo la tappa finale della “Nuova Via della Seta”. Oltre a spostare l’asse geopolitico verso il sud del globo, Pechino ha determinato anche la concentrazione nel Mediterraneo dei nuovi flussi geo economici da cui è derivato l’ampliamento del Canale di Suez. In tale nuovo contesto il Mediterraneo, che nel corso dei secoli ha agevolato il contatto e l’interscambio tra le popolazioni determinando la fioritura delle grandi civiltà (di cui è stato la culla), assume nuovamente un ruolo di estrema centralità. Ciò grazie anche alla sua conformazione geografica di “mare chiuso” che lo rende simile a un vero e proprio lago, un naturale continuum geopolitico tra le tre grandi masse terrestri che lo limitano (Europa, Africa ed Asia) e delle quali è funzionale cerniera. I cambiamenti in atto impongono di considerare le opportunità che l’Italia, e in particolare la fascia meridionale del Paese, potrebbe cogliere per via dell’invidiabile posizione di centralità geografica che le consentirebbe di giocare un ruolo da protagonista nel riassetto degli equilibri internazionali, nonché di determinare importanti opportunità di sviluppo economico, sociale, culturale e umano. Per comprendere la bontà di tale analisi si consideri che, nel raggio di poche miglia dalle coste meridionali della penisola, transita oltre la metà del traffico marittimo globale diretto verso i porti del Nord Europa, senz’altro molto più efficienti. Contemporaneamente, qui si giocano le partite decisive legate alla sicurezza e agli interessi economico-sociali dell’intero pianeta: Siria, Libia, Egitto e Tunisia.
Russia has been active too, working on Razvite in order to revive the tradition of great plans that in the last century promoted the industrialization of the country and relaunch the Eurasian continent as a leading player on the world scene. India, on the other hand, is developing a vast infrastructural network to connect to Central and Northern Europe, passing through Iran, Central Asia and Russia. The emergence of these new powers, in any case, sees China in the lead, which has made the Mediterranean the final stage of the “New Silk Way”. In addition to moving the geopolitical axis to the southern hemisphere, Beijing also determined the concentration of new geo-economic flows that led to the expansion of the Suez Canal. In this new context, the Mediterranean, which over the course of the centuries has facilitated contact and exchange between populations and allowing for the flourishing of the great civilizations it cradled, once again assumes a role of extreme centrality. Thanks also in part to its geographical closed sea configuration which makes it similar to a lake, the sea is a natural geopolitical continuum between the three large land masses that limit it (Europe, Africa and Asia) and of which it is a functional hinge. The changes underway require us to consider the opportunities that Italy, and in particular the southern part of the country, could seize due to its enviable geographically central position, which would allow it to play a leading role in restructuring international balances, as well as in determining important opportunities for economic, as well as social, cultural and human development. In order to understand the value of this analysis, one should consider that within a few miles from the southern coasts of the peninsula, more than half of the global maritime traffic passes en route to highly efficient Northern Europe ports. At the same time, decisive games are being played regarding the security and economic-social interests of the entire planet in Syria, Libya, Egypt and Tunisia. The new situation could, therefore, represent an opportunity for Italy, which presents itself as a great natural landing place and, at the same time, a slid-
Il dramma dei migranti / The drama of migrants
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La nuova situazione potrebbe, dunque, rappresentare un’occasione per l’Italia che si qualifica come un grande approdo naturale e, al contempo, prevedere un piano di scorrimento che divida il Mediterraneo in due compartimenti. Affinché quest’opportunità venga sfruttata, occorre tuttavia che l’Italia, e in particolare la sua parte meridionale, superino il gap infrastrutturale che impedisce al Paese una concreta azione di sviluppo. Occorre, cioè, trovare risorse adeguate per sviluppare un processo di cooperazione e infrastrutturazione capace di coinvolgere diversi soggetti presenti nell’area. La realizzazione di un sistema infrastrutturale all’avanguardia potrebbe, infatti, permettere all’Italia di far fronte ai trend dei nuovi traffici e, soprattutto, di farle acquisire un maggiore poten-
ITALY MEANS MEDITERREAN
ing plan to cut the Mediterranean into two. But in order for this opportunity to be exploited, Italy, and in particular its southern part, must overcome the infrastructural gap that prevents the country from taking concrete development action. It is therefore necessary to find adequate resources to develop a process of cooperation and infrastructure capable of involving the various actors on the scene. The creation of a state-of-the-art infrastructural system could, in fact, allow Italy to cope with the trends of new traffic and, above all, to help it acquire a greater potential in terms of efficiency, all of which are essential conditions for giving it greater autonomy and sovereignty. This plan, while remaining within the framework of
Teatro romano di Sabratha / Sabratha’s roman theater
ziale in termini di efficienza. Tutte condizioni imprescindibili per conferirle una più ampia autonomia e sovranità. Tale piano, rimanendo all’interno del quadro delle reti TEN che permettono l’agevole collegamento con l’Europa, offrirebbe a Roma l’opportunità di seguire, intercettare e indirizzare i nuovi trend geo economici e geopolitici che traslano verso sud, per ergersi quale protagonista nel Mediterraneo. Se la geografia è un destino, per forza di cose anche la connettività lo diventa. Un adeguato sviluppo infrastrutturale dell’Italia meridionale potrebbe consentire la ripresa economica all’intera nazione e il superamento dello scompenso atavico con il quale convive sin dalla nascita.
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
the TEN networks that allow easy connection with Europe, would offer Rome the opportunity to follow, intercept and direct the new geo-economic and geopolitical trends that are shifting to the south, in order to become a protagonist in the Mediterranean. If geography is destiny, then so must be connectivity. Adequate infrastructural development of southern Italy could allow economic recovery for the entire nation and overcome the historic imbalance it has grappled with since birth.
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GEOPOLITICS
NIGER AND THE ITALIAN STRATEGY by
Giulio Giomi, Geopolitical Analyst
Dopo l’approvazione del decreto sulle missioni militari italiane all’estero da parte del Parlamento italiano avvenuta il 17 gennaio 2018, la missione militare in Niger è stata ufficialmente resa pubblica indicando obiettivi, finalità, numero di mezzi e uomini e il costo dell’operazione, che ammonta a circa 50 milioni di euro. After the approval of the decree on Italian military missions abroad by the Italian parliament on 17 January 2018, the military mission in Niger was officially made public, indicating objectives, aims, number of vehicles and men and the cost of the operation, which amounts to approximately 50 million euros.
LA MISSIONE
L
’ autorizzazione parlamentare concessa da una larga maggioranza politica che prevede la presenza italiana in Niger, dovrà fornire assistenza al comparto delle forze di sicurezza nigerine (Forze Armate, Gendarmeria Nazionale, Guardia Nazionale e Forze Speciali) sviluppandone e incrementandone le capacità operative volte a contrastare efficacemente il fenomeno dei traffici illegali di persone, di armi e sostanze stupefacenti e di tutto ciò che può costituire una minaccia alla sicurezza nazionale e internazionale. Il nostro contingente avrà, inoltre, altri due compiti da svolgere nella Repubblica del Niger quali l’attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio, da attuare congiuntamente con le forze locali, e anche lo sviluppo delle capacità aeree dell’aeronautica nigerina. È altresì chiaro che l’Italia punta a operare nell’ottica di uno sforzo congiunto con gli alleati europei e americani, impegnati in attività di counterterrorism non solo in Niger ma in tutta l’Africa Sub-Sahariana al fianco dei Paesi del G5 Sahel - Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger. Per il raggiungimento di questi importanti task, i vertici militari hanno programmato di impiegare nell’arco del 2018, un numero di effettivi che non superi le 470 unità e i primi 120 militari dovrebbe-
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THE MISSION
T
he parliamentary authorization granted by a large political majority that establishes the Italian presence in Niger, will have to provide assistance to Niger’s security forces (Armed Forces, National Gendarmerie, National Guard and Special Forces) by developing and increasing their operational capabilities aimed at effectively combating illegal trafficking of humans, weapons and drugs as well as anything else that may constitute a threat to national and international security. Our contingent will also have two other tasks to carry out in the Republic of Niger: border and territorial surveillance, to be carried out alongside local forces, in addition to the development of Niger’s aviation capabilities. It is also clear that Italy aims to work in a joint effort with European and American allies, engaged in counterterrorism not only in Niger but throughout Sub-Saharan Africa alongside the G5 Sahel countries - Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania and Niger. In order to achieve these important goals, military leaders have planned to deploy a number of personnel that does not exceed 470 units and the first 120 military personnel are expected to reach the country in June 2018. There will be a team of trainers, a medical team, a reconnaissance team,
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The Niger River di Dieter Blum / The Niger River by Dieter Blum
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GEOPOLITICS
ro raggiungere il paese a giugno. Saranno presenti un team di addestratori, un team medico, un team per ricognizione, comando e controllo, un’unità per raccolta informativa, sorveglianza e ricognizione, una di force protection e una squadra rilevazioni contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (CBRN). I mezzi messi a disposizione per tale intervento, che ancora non ha un nome ufficiale (alcune testate giornalistiche avevano paventato il nome in codice di “Deserto Rosso” ma non c’è stata nessuna conferma ufficiale) ammonterebbero a 130 veicoli e a due mezzi aerei di stanza all’aeroporto sito nei sobborghi della capitale Niamey.
command and control, an information gathering unit, surveillance and reconnaissance, a force protection unit and a team to detect chemical-biological-radiological-nuclear threats (CBRN). The means made available for this still unnamed operation (some newspapers had feared the code name of “Deserto Rosso” but there has been no official confirmation) would amount to 130 vehicles and two planes stationed at the airport located in the suburbs of the capital, Niamey.
L’OBIETTIVO
THE OBJECTIVE
La decisione di schierare un nostro contingente in un’area storicamente ritenuta di scarso interesse per l’Italia, è stata spiegata dallo stesso Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni dopo l’approvazione della Camera. Infatti, attraverso un tweet, il Capo del Governo italiano ha evidenziato come l’invio di truppe in Niger rientri in un progetto geopolitico di più ampio respiro che mira a difendere un interesse nazionale ben preciso, cioè bloccare tutte quelle attività criminali messe in piedi da gruppi oramai ben strutturati, in pieno controllo del territorio, che a seconda del business indossano i panni dei trafficanti di esseri umani, armi e sostanze stupefacenti oppure quelli dei terroristi jihadisti. In particolare lo scopo ultimo, a cui punta il governo italiano, sarebbe il blocco dei traffici illeciti all’interno dei confini nigerini evitando che si diffondano indisturbati, orientandosi verso la polveriera Libia - ancora nel pieno della “somalizzazione” territoriale - e da lì in Italia. Non vi è dubbio però che per perseguire una strategia di tale importanza è necessario che tutti gli aspetti dell’operazione siano ben chiari e al momento ancora qualche punto rimane “oscuro”.
The decision to deploy a contingent in an area historically considered of little interest to Italy, was explained by Prime Minister Paolo Gentiloni himself after the house’s approval. In fact, through a tweet, the Italian head of government has pointed out that sending troops to Niger is part of a wider geopolitical project that aims to defend a specific national interest, that is, to stop criminal activities set up by well organized groups who have full control of the territory, working in trafficking human beings, weapons and drugs as well as in jihadist terrorism. In particular, the Italian government’s ultimate objective would be to stop illegal trafficking within Niger’s borders, prevent the undisturbed spread of illegal trafficking, moving towards the powder keg that is Libya - still in the fullest of territorial “Somalization” - and from there to Italy. There is no doubt that in order to pursue such an important strategy, all aspects of the operation need to be clear, however, some points are still murky at the moment.
Soldati italiani in Niger / Italian soldiers in Niger
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NIGER AND THE ITALIAN STRATEGY
I DUBBI SULLA MISSIONE
DOUBTS ABOUT THE MISSION
In primis, molti analisti lamentano una certa opacità circa la dislocazione del contingente italiano. Se in un primo momento si credeva che le nostre forze militari sarebbero state posizionate nei pressi del “fortino” francese di Madama in prossimità del confine libico-nigerino, recentemente alcune testate giornalistiche nazionali hanno evidenziato che il quartier generale italiano si dovrebbe, invece, approntare all’interno della base aerea della capitale Niamey dove sono stanziate le forze statunitensi e da lì svolgere l’attività addestrativa delle forze nigerine. Se la sede operativa fosse circoscritta alla capitale, la portata strategica della missione si ridimensionerebbe pur rimanendo in linea con l’obiettivo no combat della missione. Proprio la scelta no combat avrebbe creato un certo attrito con i vicini francesi, sempre più desiderosi di alleggerire la propria ingente presenza di 4.000 militari nell’Africa sub-sahariana e quindi indispettiti dalla mancata volontà italiana di agire in prima linea a fianco delle truppe nigerine.
First of all, many analysts complain about a certain opacity about the dislocation of the Italian contingent. At first it was believed that our military forces would be located near the French Madama “fort” near the Libyan-Niger border. Recently, some national newspapers have pointed out that the Italian headquarters should, instead, be set up within the air base of the capital Niamey, where US forces are located and from there carry out training of Nigerian forces. If the operational headquarters were to be limited to the capital, the strategic scope of the mission would be reduced while remaining in line with the mission’s no-combat objective. Precisely, the choice of no combat seems to have created a certain friction with the French neighbors, more and more eager to lighten their huge presence of 4,000 soldiers in sub-Saharan Africa and therefore disturbed by the lack of Italian willingness to act in the front line alongside Nigerian troops.
Questo malcontento transalpino potrebbe anche essere la causa delle recenti reazioni negative da parte di fonti ritenute vicino al governo nigerino - rilasciate in esclusiva alla radio francese RFI - che contrari all’imminente arrivo dei nostri militari, avrebbero accusato l’Italia di muoversi in maniera unilaterale senza che il Niger avesse avanzato ufficiale richiesta d’intervento sul proprio territorio. Tali rimostranze sembrerebbero tuttavia poggiare su basi poco solide in quanto l’Italia negli ultimi mesi ha puntato con decisione al rafforzamento dei propri rapporti con Niamey, ad esempio dando il via a gennaio per istituire la prima e unica rappresentanza diplomatica nell’Africa sub-sahariana proprio in Niger preceduta da un ristretto gruppo di militari che, recatosi nel Paese africano alla fine del 2017, aveva effettuato un positivo sopralluogo preliminare finalizzato al successivo insediamento del contingente. Il dialogo tra l’Italia e il Niger, per definire i dettagli conclusivi circa l’operazione, è in atto (come confermato dal Ministro degli Esteri Angelino Alfano), sebbene le rimostranze nigerine e le prossime elezioni politiche nel nostro paese non abbiano favorito la completa definizione della questione in tempi rapidi. In conclusione, alla luce di tali considerazioni, la tesi per cui l’Italia si appresterebbe a intervenire militarmente in Niger solo per favorire la linea politica francese è oggigiorno quantomeno più debole.
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
This trans-Alpine displeasure could also be the cause of the recent negative reactions from sources considered close to the Nigerian government - released exclusively to the French RFI radio station - which, contrary to the imminent arrival of our military, seem to have accused Italy of acting unilaterally without an official request for intervention on behalf of Niger. However, these complaints would seem to have an unsound basis, given that in recent months Italy has firmly focused on strengthening its relations with Niamey. For example, starting in January, Italy set up the first and only diplomatic representation in sub-Saharan Africa in Niger, preceded by a small group of military personnel who visited the African country at the end of 2017 and carried out a positive preliminary site visit for the subsequent establishment of the contingent. Dialog between Italy and Niger, in order to define the final details of the operation, is ongoing (as confirmed by Foreign Minister Angelino Alfano), although Niger’s grievances and the forthcoming general elections in our country have not favored the complete definition of the matter in a short time. In conclusion, in the light of these considerations, the argument that Italy is preparing to intervene militarily in Niger only to favor the French political line is, at least for now, weaker.
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GEOPOLITICS
FRENCH
INTERESTS IN LIBYA
Era il 1881 quando il governo della Terza Repubblica francese stabilì il protettorato sulla Tunisia, già obiettivo dei propositi coloniali del Regno d’Italia. Fu un attacco durissimo tanto che l’allora primo ministro, Benedetto Cairoli, dovette dimettersi e la stampa parlò di «schiaffo di Tunisi». Allora i francesi ci dissero: «prendetevi la Libia». Tuttavia, quando dallo scatolone di sabbia iniziò a zampillare il petrolio le cose cambiarono e l’Eliseo prese a guardare con un certo interesse la nostra ex colonia.
It
French Third Republic established the protectorate over Tunisia, at the time a target of Italian colonial intentions. It was such a harsh attack that then prime minister, Benedict Cairoli, had to resign and the press spoke of a “Tunis slap”. Then, the French told us to take Libya. However, when oil began to gush out of the sand, things changed and the Élysée began to view our former colony with interest. was
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1881
when the government of the
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GLI INTERESSI FRANCESI IN LIBIA Michela Mercuri, Autor and Analyst
S
i tratta di fatti consegnati alla storia, ma che riaffiorano alla memoria osservando la politica d’oltralpe in Libia che vede nel presidente Emmanuel Macron uno dei protagonisti più attivi degli ultimi anni. D’altra parte, la difesa degli interessi nazionali è da sempre il pivot della strategia estera francese e nell’ex Jamairyia questi hanno almeno tre nomi: armi, idrocarburi e protagonismo africano. Iniziamo dal primo. Nel gennaio del 1970 Parigi stipulò un contratto con il governo di Tripoli per la fornitura di un jet Mirage. Fu l’inizio di un rapporto che, tra alti e bassi, è andato avanti per molti anni. Arriviamo così al 2007, quando Gheddafi piantò la tenda davanti all’Eliseo, firmando contratti per oltre 10 miliardi di dollari per acquistare un’intera flotta aerea da combattimento, confezionata dal colosso Dassault. Gli accordi non furono mai onorati dal leader libico. Che, invece, siglò un trattato con l’Italia nel 2008, grazie al quale Tripoli avrebbe intascato assegni annuali per 250 milioni di dollari da spendere in opere infrastrutturali. La perdita dei contratti libici è stata probabilmente uno degli elementi che ha portato la Francia a desiderare la sostituzione di Gheddafi. Eppure, Sarkozy le aveva provate tutte, coinvolgendo addirittura gli Emirati Arabi Uniti, disposti ad addestrare piloti libici e a cofinanziare l’operazione (qualche anno più tardi, proprio da Abu Dhabi giungeranno
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hese are facts that have been consigned to history that, nevertheless, come back to the surface when observing French politics in Libya, which sees President Emmanuel Macron as one of the most active players in recent years. On the other hand, the defense of national interests has always been the keystone of the French foreign strategy and in former Jamairyia, these have at least three names: arms, oil and having a leading role in Africa. Let’s start with the first. In January 1970, Paris signed a contract with the government of Tripoli to supply a Mirage jet. It was the beginning of a relationship that, between ups and downs, went on for several years. We arrive, therefore, at 2007 when Gaddafi pitched his tent in front of the Élysée to sign contracts for over 10 billion dollars to buy an entire combat air fleet, packaged by the giant Dassault. The agreements were never honored by the Libyan leader. Gaddafi preferred to sign a treaty with Italy in 2008, under which he would have entered into annual checks for 250 million dollars to be spent on infrastructure works. The loss of contracts was probably one of the key elements that stoked French desire to replace Gaddafi. Sarkozy tried everything, even involving the United Arab Emirates to train Libyan pilots and co-finance the operation (a few years later, guarantees and loans for the sale of French weap-
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GEOPOLITICS
le garanzie e i prestiti per la vendita di armi francesi alle milizie di Haftar). Oggi gli Emirati sembrano il nuovo asset del presidente Macron, che ha impennato l’export di armi verso lo Stato del Golfo - secondo nell’area solo all’Arabia Saudita - arrivando a definirlo un partner essenziale nella lotta al terrorismo. A ben guardare, però, gli Emirati sono un partner essenziale per ben altri affari, compresi quelli in Libia. Arriviamo così al gas naturale, vera ricchezza libica, e al petrolio. Prima della caduta del rais, solo la produzione di greggio in Libia ammontava a quasi a un milione e 600 mila barili al giorno. Nel 2010 l’italiana ENI, con i suoi 267 mila barili al giorno,
ons to the Haftar militias came from Abu Dhabi). Today, the Emirates seem to be President Macron’s new asset, increasing arms exports to the Gulf State - second only to Saudi Arabia in the area - and defining the UAE as an essential partner in the fight against terrorism. A second look, however, reveals that the Emirates are an essential partner for other affairs, including those in Libya. This brings us to gas, Libya’s true natural wealth, and oil. Before the fall of the rais, crude oil production in Libya amounted to almost 1.6 million barrels per day. In 2010, the Italian ENI, with its 267 thousand barrels per day, excelled over the German Wintershall and the French Total. It is not surpris-
“
La difesa degli interessi nazionali è da sempre il pivot della strategia estera francese e nell’ex Jamairyia questi hanno almeno tre nomi: armi, idrocarburi e protagonismo africano. The defence of national interests has always been the pivot of the French foreign strategy and in the former Jamairyia these have at least three names: arms, oil and “African protagonism”.
Emmanuel Macron insieme al generale libico Khalifa Hafta / The president and the general
primeggiava, e di molto, sulla tedesca Wintershall e sulla francese Total. Non stupisce allora che Sarkozy, dopo avere sostenuto il Consiglio nazionale di transizione nella “guerra di liberazione” libica, non fece neppure in tempo a seppellire Gheddafi che si presentò a chiedere il conto, assieme all’amministratore delegato del gruppo Total, Christophe de Margerie. È evidente che a Parigi stiano particolarmente a cuore gli idrocarburi libici. Perciò, Macron fin dall’inizio si è speso per piazzare la bandierina francese in Libia, facendo prima incontrare all’Eliseo Serraj e Haftar senza neppure una telefonata all’Italia e poi, visto l’evidente fallimento dell’iniziativa, volando a Roma da Gentiloni per abbracciare l’idea di una partnership maggiormente integrata, promettendo addirittura aperture sul tema migranti. L’Italia nel 2016 è stato il primo investitore europeo in Africa grazie al settore energetico ed ENI, nonostante i disegni della Total, resta l’unica impresa internazionale a estrarre stabilmente in Libia. Infine, l’ultima spinosa questione. Per comprendere la strategia egemonica francese in Libia dobbiamo allargare lo sguardo all’intero continente africano, dove permangono gli echi della cosiddetta “Francafrique”. Le ex colonie regalano all’Eliseo ancora il 40% del Pil nazionale e il franco Cfa,
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ing then that Sarkozy, after having supported the National Transitional Council in the Libyan “liberation war”, did not even wait for Gaddafi to be in the ground before asking for the bill, alongside the CEO of the Total Group, Christophe de Margerie. It is clear that Libyan oil is particularly important to Paris. From the beginning, Macron has toiled to plant a French flag in Libya, first of all making Serraj and Haftar meet at the Élysée without even a phone call to Italy and then, given the obvious failure of the initiative, flying to Gentiloni in Rome, embracing the idea of a more integrated partnership and showing willingness to discuss the theme of migrants. In 2016, Italy was the leading European investor in Africa thanks to the energy sector, while ENI, despite Total’s plans, remains the only international company to permanently extract in Libya. Now on to the final thorny issue. In order to understand the French hegemonic strategy in Libya, we need to look at the whole African continent and the persistent echoes of the so-called “Francafrique”. The former colonies still account for 40% of the GDP and the CFA franc, imposed on 14 countries, still has a considerable value for Paris. So much so that, according to many, Sarkozy wanted to take out the Libyan rais because he threatened
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FRENCH INTERESTS IN LIBYA
imposto a 14 Paesi, ha ancora un valore notevole per Parigi. Tanto che, secondo molti, Sarkozy volle far fuori il rais libico perché minacciava di sostituire questa valuta con una moneta panafricana. Parigi, poi, è presente da più di quattro anni nel Sahel con circa 4.000 uomini (nel contesto della “Operazione Barkhane”) che hanno l’obiettivo di combattere gli jihadisti. Ma gli interessi sono anche altri: basti pensare che la Francia importa dal Niger il 40% dell’uranio che utilizza per i suoi reattori nucleari. Il Niger, nel frattempo, è diventato d’interesse cogente anche per l’Italia, visto che qui il Ministero della Difesa dovrà inviare a breve 470 uomini per tappare le falle sulle rotte dei migranti. Cosa c’entra la Libia in tutto questo? È il tassello mancante della proiezione africana del neo presidente. Qui arriva la più parte dei migranti che transitano dal Niger, mentre nel Fezzan sono presenti numerose organizzazioni terroristiche che, dai porosi confini libici, fanno tranquillamente la spola con i paesi del Sahel. Un problema che Parigi condivide con l’Italia. to replace the CFA franc with a pan-African currency. Paris, then, has been present for more than four years in Sahel with about 4,000 men (managing Operation Barkhane) who have the objective of fighting jihadists. But in reality, the interests are quite different: one must only consider that France imports 40% of the uranium used in its nuclear reactors from Niger. In the meantime, Niger has become a clear interest for Italy as well, with the Italian defense minister sending 470 men to cover up holes in migrants’ routes. What does Libya have to do with all this? It is the missing piece of the new president’s African plan. Most of the migrants who pass through Niger pass through Libya as well, while Fezzan is home to numerous terrorist organizations which, from the porous Libyan borders, travel safely to and from Sahel countries. A problem that Paris shares with Italy.
SARKOZY LE AVEVA PROVATE TUTTE Photo: Gheddafi in visita all’Eliseo nel 2007 / Colonel Gaddafi visiting the Elysee Palace in Paris, 2007
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DIPLOMATIC COURIER
ACTION, THAT’S WHAT WE NEED C’È BISOGNO DI AZIONE by
Rocco Bellantone, managing editor Babilon
«La Libia
deve rappresentare un interesse nazionale per l’Italia. Per troppi anni ci siamo affidati al multilateralismo, lasciandoci coprire troppo dall’azione dell’ONU. Adesso è il momento di agire in modo molto più diretto e risoluto». Secondo Giulio Terzi Sant’Agata, già Ambasciatore e Ministro degli Esteri del governo Monti tra il 2011 e il 2013, servono un rilancio dell’impegno italiano e un cambio di strategia per la risoluzione del conflitto libico.
«Libya
must represent a national interest for Italy. For too many years, we have relied on multilateralism and allowed ourselves to be covered too much by UN action. Now is the time to act much more directly and decisively». According to Giulio Terzi Sant’Agata, Foreign Minister of the Monti government between 2011 and 2013, for the resolution of the Libyan conflict we need a re-launch of Italian commitment and a change of strategy.
Dove abbiamo sbagliato?
Where did we make a mistake?
Tra il 2013 e il 2016 abbiamo deciso di affidarci unicamente alle Nazioni Unite, preoccupandoci unicamente del contenimento delle ondate migratorie sul Mediterraneo. Nel frattempo, altri si sono mossi. Russia e Francia, pur essendo membri permanenti del Consiglio di Sicurezza,
Between 2013 and 2016 we decided to rely solely on the United Nations, worrying only about containing migratory waves on the Mediterranean. Meanwhile, others have taken action. Russia and France, while being permanent members of the Security Council, have
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hanno agito in modo disinibito e talvolta cinico, puntando su canali bilaterali per affermare i loro interessi nazionali. Non avremmo mai dovuto lasciare questi spazi scoperti.
acted in an uninhibited and sometimes cynical way, relying on bilateral channels to assert their national interests. We should never have left these open spaces.
Ci sono margini per recuperare?
Is there margin for recovery?
Per troppo tempo Roma ha puntato tutto unicamente sul
For too long Rome hashas focused strictly on the govern-
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governo di Fayez Al Serraj. Il punto adesso è far ripartire un processo inclusivo che tenga conto dei reali poteri di forza. È positivo che si sia aperto un canale diretto tra il nostro governo e rappresentanti di Bengasi e dell’entourage del generale Haftar. Più in generale, però, è mancata la capacità d’interpretare bene ciò che è avvenuto in Libia dopo la caduta di Gheddafi. Vale a dire?
ACTION, THAT’S WHAT WE NEED
ment of Fayez Al Serraj. The point now is to relaunch an inclusive process that takes account of real powers. It is encouraging that a direct channel has been opened between our government and representatives of Benghazi and the entourage of General Haftar. More generally, however, there was an inability to properly interpret what happened in Libya after the fall of Gaddafi. Which is to say?
La vera destabilizzazione è avvenuta parecchi mesi dopo la sua destituzione. Nell’estate 2012, dopo elezioni libere e partecipate, il processo per la creazione di una nuova Costituzione è finito nel nulla. Questo perché in Egitto si era insediato un presidente islamista, il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, che ha dato una forte spinta a tutti i movimenti collegati alla Fratellanza in Nord Africa. Il processo di democratizzazione in Libia è morto a causa di questa spinta partita dall’Egitto.
The real destabilisation took place several months after Gaddafi’s removal. In the summer of 2012, after free and participatory elections, the process of creating a new constitution ended without conclusion. This is due to the fact that the leader of the Egyptian Muslim Brotherhood, Mohammed Morsi, became president of Egypt, giving strong boost to all the movements connected with the Brotherhood in North Africa. The Libyan democratization process has died as a result of this momentum from Egypt.
Qual è oggi il peso degli islamisti?
How much weight do Islamists have today?
Controllano molte milizie e ci sono gruppi che simpatizzano ancora per lo Stato Islamico. Bisogna avere ragione su queste realtà e portare le popolazioni, i villaggi e le tribù a collaborare con chi vuole una Li-
They control many militias and there are groups that still sympathize for the Islamic State. We must be right about these realities and bring people, villages and tribes to cooperate with those who want a more sec-
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
bia più laica e tollerante. Non è irrealistico riuscirci, è una necessità. Noi europei, però, non dobbiamo lasciare che le cose vadano come stanno andando, perché ossessionati dal principio della non interferenza e dall’idea che dobbiamo limitarci a promuovere i principi legati allo Stato di diritto e al rispetto dei diritti umani. È tempo di un accordo col generale Haftar? Bisognerà trovare un punto di equilibrio tra tutte le personalità politiche che sono in gioco in Libia. Non amo l’iperrealismo in politica. Non è però realistico pensare che nell’attuale quadro libico una figura come Haftar che è fortemente sostenuto dall’Egitto, da alcuni Paesi del Golfo, dalla Russia e dalla Francia - venga messo in ombra. Il suo ruolo va riconosciuto, ma questo riconoscimento richiede che egli rispetti un accordo politico.
ular and tolerant Libya. That is not unrealistic, it is necessary. We Europeans, however, must not let things continue in their current direction because we are obsessed with the principle of noninterference and the idea that we must limit ourselves to promoting rule of law and respect for human rights. Is it time to reach an agreement with General Haftar? A balance will have to be struck between all the political personalities involved in Libya. I do not like hyperrealism in politics. However, it is not realistic to think that in the current Libyan picture, a figure such as Haftar - who is strongly supported by Egypt, some Gulf countries, Russia and France - is overshadowed. His role must be recognized, but this recognition requires him to respect a political agreement.
Photo: Giulio Terzi di Sant’Agata
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KIRKUK,IRAQ
RAGES
Una bandiera bianca con un leone rampante nero. È il simbolo dei White Flags, una nuova milizia comparsa nel nord dell’Iraq e sotto la quale militano forze dello Stato Islamico e curde espulse dalle loro roccaforti. Nel loro mirino, la conquista di Kirkuk. A white flag with a black rampant lion. It’s the symbol of the White Flags, a new militia that appeared in northern Iraq and formed by Islamic State and Kurds warriors expelled from their strongholds. In their sight, the conquest of Kirkuk.
RAGES
RABBIA E DISSENSO IN GIRO PER IL MONDO
According to the Insight Crime survey, Maduro’s Venezuela is the most dangerous place in the world. In 2017 there were over 26,600 violent deaths: 89 per 100,000 people. Only Syria and Somalia are considered more dangerous. And new protests are already being prepared ahead of the May 20 presidential elections.
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CARACAS, VENEZUELA
Secondo il sondaggio di Insight Crime, il Venezuela di Maduro è il posto più pericoloso al mondo. Nel 2017 ci sono stati oltre 26.600 morti violente: 89 ogni 100.000 persone. Soltanto Siria e Somalia sono considerate più pericolose. E già si preparano nuove proteste in vsita delle elezioni presidenziali del 20 maggio.
BABILON N°1
MAR 2018
RAGES
KABUL,
AFGHANISTAN
La capitale afghana è tornata nuovamente nel mirino dei gruppi islamisti. Ogni settimana da gennaio si registrano nuovi attentati kamikaze, compiuti tanto dallo Stato Islamico quanto dai Talebani. Le aperture del presidente Ghani a questi ultimi per un processo di pace fermerà la carneficina? The Afghan capital has once again become the target of Islamist groups. Since january, every week there are new suicide bombings, carried out both by the Islamic State and by the Talibans. Will President Ghani’s openings to the Talibans for a peace process stop the carnage?
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
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CULTURE
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BABILON N°1
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AFRICAN JIHAD
AFRICAN
JIHAD IL JIHAD AFRICANO by
Stefano Piazza, security specialist
STA DAVVERO FINENDO LA GUERRA? A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
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CULTURE
Uno dei tristemente noti “barconi della morte” / An illegal migrants boat
L
a stabilizzazione politica della Libia e la messa in sicurezza dell’enorme territorio che la compone, è uno dei temi più discussi tra i tavoli dei governanti europei, con l’Italia in prima fila. Poche sono le certezze sul destino della Libia, ma sul fatto che l’intervento militare si aggiunga ad altre folli avventure occidentali nessuno ha più dubbi. Con il crollo dello Stato libico è emerso il fenomeno della presenza dei gruppi armati salafiti, maestri a inserirsi nelle dinamiche dei paesi che vivono momenti di crisi politico-istituzionale, e i cui leader pseudo-religiosi sanno come intercettare il malcontento e la rabbia che cova in molti cittadini traditi dai regimi corrotti. In ogni caso, sull’intervento militare del marzo 2011 il politologo ed esperto di strategia militare americano Edward Luttwak, racconta come a far cambiare idea in una notte al presidente Obama, che aveva deciso di non intervenire contro Gheddafi, furono “le tre terribili donne”: Hillary Clinton, all’epoca Segretario di Stato; Susan Rice, Consigliere per la sicurezza nazionale; e Samantha Power, Rappresentante USA alle Nazioni Unite. Obama disse in televisione che gli americani non sarebbero intervenuti, ma già la mattina dopo ci svegliammo con la guerra in Libia. Luttwak racconta: «le agenzie di intelligence americane erano contrarie all’intervento e chiesero consiglio agli italiani, che sono gli unici che capiscono qualcosa di quel paese. Si sentirono dire che sì Gheddafi era un personaggio orribile, ma rimuoverlo con la forza avrebbe creato solo il caos. Invece di ascoltarli, il governo americano credette alla falsa teoria secondo cui se rimuovi un dittatore, si sprigiona la democrazia. L’unica cosa che accade invece è che, tolto un dittatore, c’è solo il caos. Così si spiega il disastro della Libia». Nel 2016, Obama scaricò sui partener europei la responsabilità degli eventi: «Quando mi guardo indietro e mi chiedo cosa sia stato fatto di sbagliato, mi posso criticare per avere avuto troppa fiducia nel fatto che gli europei, vista la vicinanza con la Libia, si sarebbero impegnati di più con il follow-up. Invece, dopo aver spinto per la rimozione di Gheddafi, soprat-
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T
he political stabilization of Libya and the securing of the enormous territory that it comprises is one of the most debated issues on the tables of the European leaders, with Italy in the front row. While there are few certainties about the fate of Libya, there is no doubt that military intervention is just another crazy Wester adventure. With the collapse of the Libyan state, emerged armed Salafist groups, masters of integrating with the dynamics of countries experiencing moments of political-institutional crisis, whose pseudo-religious leaders know how to intercept the discontent and anger brooding in citizens betrayed by corrupt regimes. In any case, American political scientist and military strategy expert Edward Luttwak recounts that in March 2011, President Obama, decided not to intervene against Gaddafi, changing his mind overnight due to “the three terrible women”: Secretary of State Hillary Clinton, National Security Advisor Susan Rice and US Representative to the United Nations Samantha Power. On television, Obama said that America would not intervene, but the next morning we woke up to the war in Libya. Luttwak recounts: «American intelligence agencies were opposed to the intervention and asked the Italians, who are the only ones who understand anything about that country, Agencies heard that Gaddafi was a horrible character, but removing him by force would only create chaos. Instead of listening to them, the American government believed the false theory that if you remove a dictator, democracy is being dispelled. The only thing that happens, instead, is that when you overthrow a dictator, only chaos remains. This explains the disaster in Libya». In 2016, Obama passed on responsibility for the events to European partners : «When I look back and wonder what has been done wrong, I can criticize myself for having too much confidence that Europeans, given their closeness to Libya, would be more committed to follow up. Instead, after pushing for the removal of Gaddafi, especially Cameron and Sarkozy, they somehow neglected what came after».
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AFRICAN JIHAD
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tutto Cameron e Sarkozy, in qualche modo trascurarono quello che venne dopo». Con la disgregazione, a partire dal 2012 sono emersi diversi gruppi jihadisti: Majlis Shura Shabab al-Islam (Consiglio della Shura dei giovani islamici), Ansar al-Sharia, Abu Obayda bin al-Jarah, le brigate Malik, i Martiri del 17 Febbraio. Tutti aderenti allo Stato Islamico o di obbedienza qaedista. Sono loro ad aver provato a creare tre provincie del Califfato: Wilayat Barqa (Cirenaica), Wilayat Tarabulus (Tripoli) e Wilayat Fezzan (Fezzan). Così come sono sempre loro ad aver sferrato l’attacco al consolato americano di Bengasi l’11 settembre 2012, che uccise quattro persone tra cui l’ambasciatore Chris Stevens. Il califfo Abu Bakr Al Baghdadi ci aveva visto lungo sulla Libia, tanto che fece stampare un documento dal titolo “Libia, una porta strategica di accesso per lo Stato Islamico”. Nel testo, c’era l’invito a voler far crescere l’ISIS in Nordafrica, descritta come un magazzino di armi a cielo aperto del defunto esercito libico, senza trascurare le risorse energetiche attraverso cui finanziare il Jihad. Ma il passaggio più rilevante resta quello che descrive la posizione geostrategica della Libia, come porta d’ingresso all’Europa. Con la caduta delle due capitali dell’ISIS, Mosul e Raqqa, i media ci hanno convinto che la guerra è
Following the break up in 2012, several Jihadist groups emerged: Majlis Shura Shabab al-Islam (Shura Council of Young Islamic Youth), Ansar alSharia, Abu Obayda bin al-Jarah, the Malik Martyr Brigades, the February 17th Martyrs Brigade, all adherents to the Islamic State or al-Qaeda obedience. They have tried to create three autonomous Caliphate provinces: Wilayat Barqa (Cyrenaica), Wilayat Tarabulus (Tripoli) and Wilayat Fezzan (Fezzan). It was they who attacked the American consulate in Benghazi on 11 September 2012, killing four people including Ambassador Chris Stevens. Caliph Abu Bakr Al Baghdadi had long understood the importance of Libya, so much so that he had printed a document entitled “Libya, a strategic gateway to the Islamic State”. In the text, there was an invitation to increase ISIS presence in North Africa, describing it as an open-air stockpile of the defunct Libyan army’s weapons, without neglecting the energy resources which could be used to finance jihad. But the most relevant passage remains that on Libya’s geostrategic position, seen as a gateway to Europe. With the fall of the two ISIS capitals, Mosul and Raqqa, the media has convinced us that the war is over. The reality is, however, that ISIS is still present and recovering its position in both Africa and the Middle East. Europe welcomes the fact that no
I Miliziani sono spesso molto giovani / Militiamen are often very young people
finita. La realtà invece è che lo Stato Islamico è ancora presente e sta rimontando posizioni tanto in Africa quanto in Medio Oriente. L’Europa si compiace del fatto che, per il momento, non si registrino più attentati. Ma l’emergenza non è finita. Decine di attentati sventati nel continente confermano che il fenomeno non sta scomparendo. Si respira in Europa un’aria simile a quella che precedette l’11 settembre 2001: ognuno pensa per sé mettendo in campo contro il jihadismo la strategia che preferisce, in alcuni casi nascondendo la polvere sotto il tappeto. C’è persino chi vede nei foreign fighters di ritorno dei «pentiti che una volta de-radicalizzati potranno dare un importante contributo nella lotta al terrorismo». Un altro tragico errore.
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
more attacks are taking place at the moment. But the emergency is not over. Dozens of foiled attacks on the continent confirm that the phenomenon is not disappearing. In Europe, behaviors have turned back to preSeptember 11, 2001. Everyone thinks for themselves and puts forward their own strategy against jihadism, in some cases hiding dust under the carpet. There are even those who see in foreign fighters the return of «repentants who, once de-radicalized, can make an important contribution in the fight against terrorism». Another tragic mistake.
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CULTURE
UN AFFARE SFUMATO Rocco Bellantone, managing editor Babilon by
Roma. Al primo piano del civico 192 di Viale Regina Margherita l’atmosfera è spettrale. Prima della rivoluzione del 2011 la sede capitolina della Camera di Commercio Italo-Libica era un porto sicuro per centinaia di piccole e medie imprese che investivano ed esportavano nel paese di Gheddafi. A sette anni di distanza, di quel mondo non c’è più traccia e le colpe «non sono solo della guerra civile ma anche dell’Italia», spiega il presidente Gian Franco Damiano.
Rome. On the first floor of Viale Regina Margherita number 192, the atmosphere is ghostly. Prior to the 2011 revolution, the headquarters of the Italian-Libyan Chamber of Commerce was a safe haven for hundreds of small and medium-sized companies that invested and exported to the country of Gaddafi. Seven years later, there is no trace of that world and the blame, explains President Gian Franco Damiano, «is not just civil war but Italy too».
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Quanto è diminuita la presenza delle imprese italiane in Libia?
How much has the presence of our companies in Libya decreased since 2011?
Rispetto ai tempi di Gheddafi si è ridotta del 95%. Ci sono meno di 15 aziende attive nell’area di Tripoli che si occupano di impiantistica, alimentare, energia e costruzioni. Nel frattempo, altre imprese sono saltate per i crediti che vantavano e che non hanno potuto recuperare, parliamo di circa 600 milioni di euro. Con loro è andato perso anche un enorme patrimonio di relazioni che eravamo riusciti a costruire nel tempo. Non tutto, però, si è fermato. C’è chi non hai mai smesso di investire. La Libia è l’unico Paese dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, ndr) a poter andare oltre i limiti di produzione di greggio stabiliti. Con la messa in funzione di alcuni giacimenti e pozzi, le nostre imprese potranno riprendere a lavorare come in passato.
Compared to Gaddafi’s times, Italian presence has been reduced by 95%. There are less than 15 companies active in the Tripoli area in the fields of plant engineering, food, energy and construction. In the meantime, other companies have failed for financial credits that they had occurred but could not recover, to the tune of approximately 600 million euros. With them, an enormous wealth of relationships that Italy have managed to build over time was also lost. Not everything, however, has ended, some have never stopped investing. Libya is the only country in OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) that can go beyond the established limits of crude oil production. With the commissioning of some deposits and wells, our/Italian companies will be able to resume work to previous levels.
Cosa rischia oggi un imprenditore che vuole fare affari in Libia? Le condizioni di sicurezza sono cambia-
What threatens an entrepreneur who decides to do business in Libya today?
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THINGS FALL APART
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te: è consigliabile non uscire la sera né muoversi da soli. La sicurezza dipende dalle relazioni e dai rapporti di fiducia che si hanno con i partner economici locali. Può succedere che la Farnesina o la nostra ambasciata a Tripoli non siano avvertite degli spostamenti delle imprese. Oggi osserviamo anche un nuovo aspetto della crisi, per la prima volta dall’inizio della guerra diverse famiglie stanno iniziando a emigrare. Rischiamo che la fuga della media borghesia libica privi il paese di una significativa forza per la ricostruzione. Sette anni d’incertezze hanno minato nel profondo le speranze. Quali i principali errori commessi dall’Italia? Lasciamo da parte l’aver partecipato alla missione contro Gheddafi. L’errore principale è nel non aver sostenuto la candidatura di Romano Prodi per il ruolo di mediatore della crisi. Sono stati i libici a chiedere che intervenisse. Noi invece non abbiamo saputo soddisfare né interpretare le loro richieste, per problemi di leadership interna al nostro paese. Su tutto ciò, pesa l’essersi accostati al solo governo di Fayez Al Serraj, che ci ha relegato a Tripoli. Ci siamo allontanati da Bengasi e dalla Cirenaica, ma non possiamo permettercelo. Il nostro impegno in Libia è controverso, soprattutto pesa l’inca-
The safety conditions have changed: it is advisable not to go out at night or walk alone in open areas. Security depends on the relationships and trust that Italians have with local economic partners. It is possible that the Italian Ministry of Foreign Affairs or the Italian embassy in Tripoli are not aware of the movement of businesses. Today we see a new aspect of the crisis: for the first time since the beginning of the war, several families have begun to emigrate. We risk that the escape of the Libyan middleclass bourgeoisie will deprive the country of a significant reconstruction force. Seven years of uncertainty have seriously undermined hopes. What are the main mistakes made by Italy? Let us put aside that Italy took part in the mission against Gaddafi. The main mistake made is not supporting Romano Prodi’s candidacy for the role of crisis mediator. It was the Libyans who asked him to intervene. On the other hand, Italy has not been able to satisfy or interpret their requests due to problems of leadership within Italy. All this is further burdened by having only approached the government of Fayez Al Serraj, who has only relegated us/ Italy to Tripoli. Italy has moved away from Benghazi and Cyrena-
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
pacità di non aver mai attivato un serio coinvolgimento dell’UE. La Libia di oggi è una sconfitta per la comunità internazionale e per l’Unione Europea, ma lo è soprattutto per l’Italia. Come valuta l’operato del ministro degli Interni? Marco Minniti è stato il primo a dire che la Libia rischiava di diventare una “nuova Somalia sotto casa”. Aveva ragione. Il problema, però, è che da allora non si è fatto nulla. Ci siamo fermati alla formazione delle forze di sicurezza, della guardia costiera e alla fornitura di navi e sistemi per il controllo delle coste. Ma che rendita hanno avuto i soldi inviati alle milizie di Sabratha o alle tribù del sud, quelle cioè che avrebbero dovuto fermare i flussi migratori? Che pensa delle elezioni politiche previste a fine anno? C’è Mahmud Gibril (primo ministro ad interim nel 2011, ndr), ci sarà il figlio di Gheddafi Seif al-Islam, e ovviamente il generale Haftar che pare stia preparando un posto per suo figlio Khaled. Parteciperanno anche i Fratelli Musulmani. Ma sono tutti personaggi non nuovi, che ragionano in termini di potentati locali e non di sistema-paese.
ica, and Italy can no longer afford it. Italy’s commitment to Libya is controversial, with the inability to have ever activated serious EU involvement resulting especially problematic. Today’s Libya is a defeat for the international community and the European Union, but it is a defeat especially for Italy. How does the Minister of the Interior Marco Minniti works? Minniti was the first to say that Libya was in danger of becoming a “new Somalia at home”. He was right. The problem, however, is that nothing has been done since. Italy has stopped at training security forces, the coastguard and providing ships and coastal control systems. But what has been the return on the money sent to the Sabratha militias or southern tribes, who should have stopped migratory flows? What do you think about the parliamentary elections scheduled for the end of the year? Mahmud Gibril (temporary prime minister in 2011, ed), the son of Gaddafi Seif al-Islam, General Haftar who seems to be preparing a place for his son Khaled, and the Muslim Brotherhood are all new characters, who think in terms of local potentates and not systemcountry.
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CULTURE
EVERYTHING IS UNPREDICTABLE
DUE PAROLE CON ARTURO VARVELLI by
Editorial Board
Few words with Arturo Varvelli, Senior Research Fellow Middle East and North Africa Centre
at
ISPI
and
Co-Head
of
ISPI’s
La separazione storica tra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan giocherà un ruolo anche nella definizione del futuro assetto istituzionale della Libia?
Will the historical separation between Cyrenaica, Tripolitania and Fezzan play a role in the definition of the future institutional set-up of Libya?
Le tre regioni hanno storie diverse, talvolta di rivalità aperta. Tuttavia non è affatto chiaro se questa divisione regionale avrà un peso nell’assetto istituzionale futuro. Sono trascorsi sette anni dalla rivolta del 2011, ma paradossalmente non si è ancora discusso di cosa la Libia e i libici vogliono essere, di quale peso vogliono dare ai localismi o ai regionalismi. Siamo ancora a una fase embrionale dello state-building e non paiono incoraggianti le recenti prospettive di riconciliazioni guidate da Ghassan Salamè (inviato speciale ONU), che pare essersi arenato come i suoi predecessori. Intanto, i regionalismi emergono nel fatto che la Cirenaica, in parte sotto il controllo di Haftar, appare già qualcosa di autonomo e diverso rispetto alla Tripolitania, gestita dal governo ONU e da una serie di milizie che ne garantiscono l’esistenza precaria.
The three regions have different stories, sometimes even open rivalries. However, it is not clear whether this regional division will have a bearing on the future institutional set-up. Seven years have passed since the revolt of 2011, but the paradox is that no one yet has discussed what Libya and the Libyans want to be, what weight they want to give to localisms or regionalisms. We are still at an embryonic stage of the state-building and the recent perspectives of reconciliations led by Ghassan Salamè (UN special envoy), which seems to have run aground like its predecessors, do not seem encouraging. Meanwhile, regionalisms emerge in the fact that the Cyrenaica, partly under Haftar’s control, already appears something autonomous and different from Tripolitania, managed by the UN government and by a series of militias that guarantee a precarious existence.
Qual è un attore locale poco conosciuto in Italia ed Europa ma assolutamente centrale nel Paese? Mi sento di dire che non ce n’è uno solo. Siamo in una situazione talmente frammentata che è difficile fare il nome di una sola componente. Potremmo dire le minoranze Tuareg, Tebu e berbere. Sono state ai margini del processo politico della nuova Libia, ma rimangono attori fondamentali, per esempio nel campo della sicurezza e del controllo dei confini. Andrebbero portati a bordo della nuova Libia, e non lasciati ai margini. Cosa manca nella strategia italiana in Libia? O cosa, comunque, andrebbe migliorato?
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Who is a local actor little known in Italy and Europe, but absolutely pivotal in the country? I can say there are more than one. We are in such a fragmented situation that it is difficult to name a single component. We could say the Tuareg, Tebu and Berber minorities. They have been on the margins of the political process of the new Libya, but remain key players, for example in the field of security and border control. They should be taken on board for the new Libya, and not left on the sidelines. What is missing in the Italian strategy in Libya? Or, anyway, what should be improved?
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Se con strategia intendiamo quella finalizzata al controllo dei traffici umani, ha avuto parziale successo: i flussi si sono ridotti a un terzo dallo scorso luglio. Ma la collaborazione con i libici, date le condizioni in cui versa l’amministrazione del paese, resta precaria. Il perdurare della crisi e i relativi rischi connessi impongono una visione più ampia che, pur dando al fenomeno migratorio la sua giusta rilevanza, sia mirata alla stabilizzazione del paese sul piano politico, economico e della sicurezza. Io penso che l’Italia debba prendere atto, con molto realismo, del fallimento dei negoziati ONU. Ci abbiamo provato, abbiamo messo a operare le Nazioni Unite ma, al di là dell’adesione formale, dietro il Palazzo di Vetro molte potenze hanno continuato a spingere per attori locali diversi, finendo per parcellizzare il quadro politico e militare. Bisognerebbe metterci la faccia e agire in prima linea, convocando una conferenza internazionale. Penso che sia il momento opportuno e credo ci sia anche lo spazio politico. Sempre che esista un governo italiano in grado di farlo... Le milizie di Misurata e Haftar possono trovare un accordo? Alcune milizie sembrano irriducibili, tuttavia non sono mai state coinvolte in prima persona. Tutto il processo di negoziazione è basato su una finzione, quella cioè secondo cui gli attori politici sono rappresentativi dell’intera società libica. Non è così. Bisogna mediare direttamente con le milizie, offrire loro un’alternativa credibile alla lotta armata. È verosimile un rinvio delle elezioni e una divisione del paese? La situazione è ancora troppo nebulosa per fare previsioni. Io penso che le elezioni non siano sinonimo di democrazia. Soprattutto in Libia, dove non vi sono le condizioni di base per una convivenza civile, un monopolio dell’uso della forza e un chiaro patto sociale tra i cittadini. Farle è molto rischioso, poiché vi è la possibilità di una nuova polarizzazione politica e militare, come peraltro accaduto già nel 2014. Ricostruire la legittimità del paese è un processo molto lungo, che non ammette scorciatoie e che forse passa più dal tentativo di una buona governance che non da un nuovo processo elettorale.
Photo: Arturo Varvelli
A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
EVERYTHING IS UNPREDICTABLE
If strategy means the one aimed at controlling human trafficking, it has partially succeeded: flows have been reduced to one third since last July. But the collaboration with the Libyans, given the conditions in which the administration of the country operates, remains precarious. The ongoing crisis and related risks impose a broader vision that, while giving the migratory phenomenon its fair relevance, is aimed at stabilizing the country on the political, economic and security level. I think that Italy should acknowledge, with much realism, the failure of the UN negotiations. We have tried, we have put the United Nations in condition to work but, beyond the formal adhesion, behind the UN many powers have continued to push for different local actors, parcellizing the political and military framework. Italy should act on the front line, calling for an international conference. I think it’s the right time and I think there’s also political space. As long as there is an Italian government able to do it... Can militias of Misurata and Haftar find an agreement? Some militias seem irreducible. However they have never been involved in first person. The whole negotiation process is based on a fiction, that is to say that “political actors are representative of the whole Libyan society”. This is not true. It is necessary to mediate directly with the militias, offering them a credible alternative to the armed struggle. Is it likely to expect a postponement of the elections and a division of the country? The situation is still too uncertain to make predictions. I think that elections are not synonymous with democracy. Specially in Libya, where there are no basic conditions for civil coexistence, no monopoly on the use of force and no clear social pact between citizens. To vote is very risky, because there is the possibility of a new political and military polarization, as already happened in 2014. Reconstructing the legitimacy of the country is a very long process, which does not allow shortcuts and that perhaps passes from the attempt of a good governance, and not necessarily through a new electoral process.
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LA VIGNETTA
IL PD E LE ELEZIONI POLITICHE
IN ITALIA
Vignetta a cura di Sankara
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A GEOPOLITICAL EXPERIENCE
BA BIL ON MAR 2018
Direttore Responsabile Luciano Tirinnanzi Direttore editoriale Alfredo Mantici Caporedattore Rocco Bellantone Coordinamento Editoriale Pietro Costanzo, Emiliano Battisti Hanno collaborato Giulio Terzi di Sant’Agata Arturo Varvelli Fausto Biloslavo Andrea Morigi Tiberio Graziani Filippo Romeo Stefano Piazza Michela Mercuri Giulio Giomi Lorenzo Nannetti Gian Franco Damiano Francesco Ermini Valerio Romano Progetto grafico CQ Agency www.cqagency.it Stampatore Consorzio Arti Grafiche Europa Via Vaccareccia n. 57 Pomezia, 00040 RM
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