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Gemme del nord brillano tra le alpi e i monti pallidi
Tradizioni celtiche, venete, retiche e germaniche sono sopravvissute nelle nostre alte terre. Il confine di grandi tradizioni nordiche si trova nelle Alpi e nelle Dolomiti.
di Auro Wild
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Il confine di grandi tradizioni nordiche si trova nelle Alpi e nelle Dolomiti. I Pre celti vivevano già nel cuore dell’Europa prima che la Cultura di Hallstatt definisse i Celti come tali e a sud della vicina Hallstatt per irradiazione e per assorbimento gli stessi popoli vivevano tra i profili montuosi alpini e dolomitici.
Nei secoli successivi, oltre ai popoli già insediati vennero forti influssi barbarici e di provenienza germanofona. I Romani hanno attraversato le valli alpine per spingersi nelle loro conquiste, lasciando tracce di urbanizzazione e centri sulle profonde valli, ma non hanno mai dominato sulle vette né sulle tribù delle alte terre, le quali hanno prosperato quasi ignorate, conservando antiche leggende che di secolo in secolo si sono arricchite di elementi leggendari tipicamente nordici.
Nel nord est ciò che è retico, veneto, celtico e germanico si è fuso ed è rimasto nei racconti e nel folklore delle minoranze etniche come Ladini, Cimbri, Camuni e Mocheni. Queste gemme del nord quasi incontaminate, si sono isolate e distinte dal mondo classico dei popoli italici, e schermate dal modello mediterraneo e levantino.
La terra fresca e boscosa della barriera alpina ha alimentato la genia adatta al suo habitat, che contrasta con quello più secco e arido del bacino Mediterraneo, producendo una sua cultura distinta, quasi estranea.
Restando nel mondo trentino-veneto e dei Monti Pallidi le leggende salvate da Karl Felix Wolff sono chiaro esempio della forte matrice germanica ma anche di un retaggio primitivo con sciamani stregoni ed eroi filtrati poi, attraverso il tramandarsi di racconti nel tessuto retico, veneto e celtico, tutti nomi tribali di indoeuropei imparentati e sopravvissuti nelle montagne.
Di questo impareggiabile autore non perdete le sue tre principali opere: L’anima delle Dolomiti, I Monti Pallidi e Rododendri bianchi delle Dolomiti. Io possiedo le vecchie edizioni della Cappelli Editore.
Le leggende del regno di Fanes sembrano affondare fin nelle profondità della preistoria, così come le leggende dell’Aurona, del demone stregone Spina de Mul e dell’eroe Ey De Net “occhio di notte”.
Numerose figure odiniche e di streghe che sembrano uscite dai racconti del Mabinogion e delle fiabe irlandesi, sembrano rivivere in personaggi tipici del folclore dolomitico e delle Alpi in genere, forse anche più antichi di quel che si crede.
Consiglio a tutti di leggere il saggio meraviglioso I REGNI DEI MONTI PALLIDI di Giuliano e Marco Palmieri, senza dimenticare scrittori come Giovanna Zangrandi “Leggende delle Dolomiti”, Gari Monfosco “Dolomiti Storie e Leggende”, Ulrike Kindl “Le Dolomiti nella Leggenda”, Armando Scandellari
“Leggende della Valsugana e del Canal di Brenta” e molti altri.
Re Laurino e il suo roseto di Karl F. Wolff è un racconto di chiara derivazione germanica che si rifà a racconti vetusti. Miguel Serrano sosteneva che questo racconto fosse portato dai Germani venuti dall’Asgard sul Caucaso, la terra da dove fu portato il culto di Odino e degli Asi nottetempo.
Non è mistero il fatto che i Monti chiamati in italiano Spalti di Toro in realtà si chiamino montagne di Thor ed esiste il racconto del campanile di Thor che parla del dio, figlio degli dei scandinavi.Leggende di nani, draghi e folletti abbondano e non li menziono, altrimenti ci vorrebbero numerose pagine per arricchire questo articolo di curiosità.
Dalla leggenda degli Arimanni, a quella delle anguane della fonte de Sennes, dai giganti come quello del monte Tudaio, di donne magiche come le Vivene e le Bregostane, di maghi odinici come il Vцgl dla Velme, o demoni e draghi come quello del lago della Croda da Lago; di popoli antichissimi che si combattevano tra le valli e dai nomi evocativi come Fanes, Bedoyères “popolo delle betulle”, Landrines, Catubrènes, Peleghètes, Lastojères e Cajutès, senza dimenticare i Duranni, la tribù dell’eroe Ey De Net e del ciclo epico dedicato.
Con questi racconti ci sono cresciuto e non posso non vedere in molte divinità femminili delle Dolomiti la figura della somma dea veneta Reitia, una sorta di atavica Freya, così come nei 05 - Paganesimo Nordico – Novembre 2023 personaggi maschili diversi volti di divinità celtiche e germaniche nella variante alpina, tuttavia la forza di questi racconti non lascia dubbio sulla loro natura nordica e sul fatto che le Alpi Orientali, senza escludere tutto il resto dell’arco alpino, siano non solo una barriera naturale con il suo clima più fresco, ma anche il regno e lo scrigno di tradizioni che non hanno conosciuto rovina. Il tesoro dei nostri Antenati, le gemme del Nord.
Fonte https://hyperboreaveneta.wordpress.com/
L’Irminsul: tracce dell’albero sacro di Odino in terra lombarda
L’Irminsul, l’albero sacro di Odino per le popolazioni nordiche e le genti germaniche è scolpito negli antichissimi capitelli della pieve di San Zeno a Lonato. Traducibile con “grande pilastro”, (in sassone antico "grande/universale pilastro”, "grande/universale albero”, "possente albero” o ancora "albero ell'elevazione") aveva un ruolo centrale nella tradizione del paganesimo nordeuropeo. Il suo nome derivava da Irmin, uno dei nomi di Wotan.
di Redazione
Nei pressi dell’abitato di Lonato sul Garda, in provincia di Brescia, sorge l’antichissima pieve di San Zeno. Una chiesa edificata su resti romani e antica più di mille anni. L’esterno dell’abside di questo vetusto edificio rivela una vera sorpresa.
Nei capitelli è infatti presente un elemento di origine pre cristiana, probabilmente inserito da scalpellini di ascendenza longobarda con reminiscenza delle loro antiche tradizioni. Si può ammirare l’Irminsul, pilastro della terra e dell’antica mitologia nordica.
Un simbolo talmente radicato che è giusto fino a noi: pensiamo all’albero di Natale come sua traslitterazione moderna, la cui vera origine è sconosciuta a molti. Un simbolo che ai tempi della costruzione della pieve doveva essere ancora molto sentito per le popolazioni longobarde ormai stanziate in Italia da secoli ma pur sempre di forte ascendenza germanica.
Nella versione poi traslata nell’albero di Natale, esso rappresenta l’Axis Mundi, il fondamento dell’universo, ciò che porta ordine nel caos. Tra le sue radici sgorga una fonte che dà la conoscenza di ogni cosa. Essa è vigilata da draghi. Lo stesso Odino rinunciò ad un occhio pur di potersene abbeverare.
Interessante notare come Irmin (o Armin, Arminius) sia un altro dei nomi di Ordino Per questo motivo Irminsul significa proprio “albero di Odino” il cui culto, da padre degli Dei, è legato al culto del sole il cui giorno più importante è il solstizio d’inverno, dove la luce trionfa sulle tenebre.
Ecco dunque che un altro esempio di sincretismo religioso appare dagli annali della storia d’Europa, simboli sacri della vecchia religione si fondono negli edifici della nuova.
Cenni storici sulla Pieve di San Zeno a Lonato
La Pieve sorge sull'area sommitale di un cucuzzolo isolato e mostra una struttura architettonica del XIV secolo, ad aula unica con abside semi-circolare e prospetto a capanna. Le murature rivelano una complessa stratificazione riconoscibile dalle differenti apparecchiature murarie che conducono a due fasi costruttive in età romanica. Nell'abside e nella maggior parte dei particolari è impiegata pietra arenaria di colore grigio ferro, tagliata e levigata.
Fonte: il baronenero
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