marco colombo
PAESAGGI BESTIALI
Paesaggi bestiali
PAESAGGI BESTIALI Marco Colombo
Pur sottolineando come ogni eventuale opinione espressa, errore o imprecisione in questo volume siano da imputarsi esclusivamente all'autore, si desidera ringraziare per il supporto, i consigli, il rilascio di autorizzazioni, le indicazioni, l'assistenza sul campo o altre forme di collaborazione le seguenti persone: Elisa Canciani, Carla Castiglioni, Carlo Colombo, Giorgio Colombo, Susanna Colombo, Rossella Cominotti, Bruno D'Amicis, Matteo Di Nicola, Olivia Dondina, Pietro Formis, Matteo Gandi, Davide Grigoletto, Roberta Latini, Alice Longoni, Antonio Macioce, Bruno Manunza, Adriano Martinoli, Emiliano Mori, Chiara Pasquali, Roberto Pegolo, Agostino Pela, Marta Pracchi, Giuseppe Rossi, Roberto Rossi, Roberta Scalisi, Renato Tomasini. Ringraziamo inoltre: il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise per l'autorizzazione a pubblicare alcune immagini scattate nella relativa area di pertinenza; Adriano Martinoli (Università dell’Insubria di Varese) per la scrupolosa revisione scientifica dei testi e Bruno D’Amicis per la bella prefazione. L’autore desidera ringraziare per il supporto:
EIZO Europe
MaGear
Saal Digital
Kase Filters Italy
ESA Worldwide
Orcatorch
Isotta Housings
ACSI
Pluto
Tutte le foto su questo libro sono state realizzate in natura in Italia, nel rispetto dell'incolumità dei soggetti ripresi e dell'integrità dei luoghi esplorati. I testi scientifici sono redatti sulla base della bibliografia disponibile nella maniera più rigorosa ma divulgativa possibile. Durante l'ultimo decennio la classificazione e i nomi di molti animali e piante sono cambiati, anche per via dei nuovi approcci di studio alla natura, in particolare quelli genetici. In questo lavoro si è optato per l'utilizzo dei nomi scientifici ritenuti più idonei e riconosciuti attualmente, con la consapevolezza del fatto che nel giro di poco tempo essi potrebbero essere già obsoleti.
ISBN 978-88-86227-83-4 © Copyright 2019 Marco Colombo Fotografie e testi: © Copyright Marco Colombo Progetto grafico: Sergio Negri Elaborazione grafica ed impaginazione: Davide Niglia Prima edizione: novembre 2019 © Copyright 2019 PUBBLINOVA EDIZIONI NEGRI e-mail: info@pubblinovanegri.it www.pubblinovanegri.it Tutti i diritti riservati - Printed in Italy
Sommario Prefazione di Bruno D’Amicis .....................................................
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PAESAGGI BESTIALI Introduzione ...............................................................
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Un’espansione bestiale ..........................................
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Il declino dei fragili ...................................................
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La portanza dei minimi ..........................................
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La democratizzazione della bellezza ...............
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Paesaggi futuri ..........................................................
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Indice delle immagini ..............................................
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Bibliografia e sitografia .......................................... 101 5
Prefazione La prima volta in cui io e Marco ci siamo incontrati è stata diversi anni fa a Londra, nella sala centrale del National History Museum, durante il favoloso gala di premiazione del “Wildlife Photographer of the Year”, il più importante e prestigioso concorso di fotografia naturalistica al mondo. Marco, giovanissimo, era stato invitato per ricevere un meritato primo premio di categoria per la fotografia di una natrice dal collare, una “biscia”, acciambellata sotto la cascatella di un ruscello. Perfetta dal punto di vista compositivo, quell’immagine colpiva soprattutto per la serenità che trasmetteva: in qualche modo, il fotografo sembrava esser riuscito a cogliere un momento di intimità nella vita segreta e altra di un serpente. Con il tempo, io e quel giovane fotografo di talento siamo diventati amici, e, assieme alla nostra amicizia, anche la sua fotografia ha continuato a crescere, godendo di sempre più numerosi riconoscimenti. Ciononostante, già in quel primo scatto da premio si notava la firma di Marco, il suo marchio di fabbrica. Da quella fotografia infatti traspariva una netta predilezione o, meglio, una chiara empatia per quelli che potremmo chiamare “gli ultimi”, ovvero i soggetti meno noti, più trascurati, o, magari agli occhi dei più, poco attraenti. Empatia unita ad un grande approfondimento scientifico, che nasce dalla necessità di veicolare un messaggio rigoroso, e ad un occhio allenato nel trovare composizioni ardite ma efficaci, che mettano in risalto non solo il soggetto, ma soprattutto il contesto in cui esso si trova. Sì, perché, un po’ come scrive lo stesso Marco nella sua introduzione (da assaporare come un piccolo “manifesto d’artista”) a questo volume, anche io sono convinto che fotografare un animale da vicino, realizzarne un ritratto, spesso finisca per porre l’attenzione esclusivamente sulla specie in sé o su un individuo in particolare. Ma scattare un’immagine ambientata dello stesso significa piuttosto riuscire a collocarlo nello spazio, a raccontarne la storia naturale, spiegarne l’ecologia e, in ultimo, a stimolare maggiore consapevolezza sulle necessità di preservare gli habitat di una specie e tutti gli elementi di un’ecosistema. Insomma, dove un bel primo piano di un lupo evidenzia il carisma di un animale straordinario, lo scatto di un lupo integrato nel suo ambiente, magari con l’aiuto di un’atmosfera suggestiva, è in grado di trasformarlo in pura leggenda.
Più che fotografo naturalista, Marco è naturalista fotografo, e la distinzione sta tutta nell’ordine di questi due vocaboli. D’altronde, quando si è guidati da curiosità e amore incondizionati per le cose della Natura, la fotografia non è mai il fine ultimo, ma piuttosto un eccezionale strumento di registrazione e condivisione. Da buon divulgatore ed equilibrato fruitore dei social, Marco infatti fa un uso sapiente del mezzo fotografico, impiegando le sue immagini soprattutto come veicolo per un messaggio di conservazione e conoscenza. Nel rispetto di tali principi, anche questo volume (il terzo nella sfavillante carriera di Marco) non solo rappresenta un’avvincente collezione di immagini di animali ambientati, ma anche uno spunto di riflessione sullo status della fauna italiana e sul suo (il nostro?) possibile futuro. Con la prospettiva di un naturalista ante litteram, per anni Marco ha viaggiato su e giù per la Penisola, collezionando incontri con alcune delle specie animali più rare o elusive e registrandoli in fotografie, che trasmettono fedelmente l’emozione del momento. Parallelamente alla cronaca avvincente di un percorso di ricerca, queste fotografie offrono a Marco l’occasione per aprire con il lettore un dibattito, se vogliamo anche intellettuale, sul rapporto tra la specie umana e il selvatico. Partendo dagli animali che “ce l’hanno fatta”, ovvero tutte quelle specie che, nell’Italia degli ultimi anni, hanno mostrato un sorprendente recupero numerico o di distribuzione, Marco quindi ci conduce per mano alla scoperta di chi invece sta soccombendo al progresso, come pure dei “minimi” che, a nostra insaputa, tengono insieme il mondo, fino ad arrivare ai nuovi vicini di casa e alle minacce che incombono sul loro/nostro avvenire. E Marco fa tutto ciò con semplicità, riuscendo a spiegare concetti ecologici talvolta ostici, per quanto assolutamente imprescindibili. Ne emerge un lavoro completo, attuale e utilissimo. Un’opportunità per far meditare e rallentare un attimo un mondo, che procede sì a gran fretta, senza però sapere dove andare... Bruno D’Amicis
(Biologo, fotografo e autore)
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PAESAGGI BESTIALI
Non si può toccare un fiore senza disturbare una stella. (G. Bateson)
Introduzione Nel 1939 il geografo tedesco Carl Troll stava osservando alcune immagini aeree della savana africana, quando capì che tanti piccoli tasselli ambientali, come in un mosaico, andavano a formare delle entità superiori, i paesaggi, e coniò la dicitura “ecologia del paesaggio”: una scienza trasversale, multidisciplinare, che si occupa degli ambienti naturali e dell’azione umana su di essi. Nella mia mente, l’ecologia del paesaggio ha una rappresentazione visiva per eccellenza: gli animali ambientati. A partire dai grandi pionieri della fotografia naturalistica si è assistito ad un’inflazione di questo genere (di certo non ho inventato nulla!), e se devo dirla tutta, anche io molti degli incontri più belli li ho avuti da lontano, perché sono durati di più, mi hanno permesso di osservare dei comportamenti, magari con una bella luce o in un bel contesto. Spesso ho ruotato la ghiera del mio zoom per allontanarli virtualmente, e renderli delle piccole forme in un angolo del fotogramma. Frank Capa diceva che se la foto non è venuta bene è perché non sei andato abbastanza vicino, in quel frangente poteva essere vero, ma in questo lavoro per me è stato il contrario. Fotograficamente parlando, un ritratto è spesso più immediato: l’empatia che si crea con lo sguardo dell’animale a distanza ravvicinatissima crea un legame indissolubile tra spettatore e soggetto, rendendolo virale. Ma le fotografie ambientate hanno, a mio parere, un messaggio di conservazione più sistemico e coinvolgente. Quando alle mie conferenze mostro ritratti di animali, la gente mi dice: “Che belli gli animali, proteggiamoli!”. Quando mostro delle fotografie ambientate di animali, la gente mi dice: “Che bel luogo, che bel paesaggio, proteggiamolo!”. E lì, in quel luogo protetto, vivranno poi i cervi, gli orsi, i serpenti e i pesci. Ed è tutto qui secondo me l’insegnamento da portarsi a casa, il take-home message: proteggere singole specie ha senso, ma solo proteggendo anche il loro ambiente naturale. È un messaggio di conservazione più sottile dal punto di vista visivo, ma scientificamente non infondato. L’Italia offre un mosaico paesaggistico incredibile, che trova la sua scintilla in barriere naturali come catene montuose, laghi, fiumi e pianure, nonché bracci di mare; ciò ha portato ad una biodiversità incredibile ed invidiabile, sicuramente tra le più importanti in Europa, anche per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo. E non si parla solo di grandi animali: così come l’ecologia di paesaggio è applicata su più scale dimensionali, accanto ai grandi orizzonti di queste pagine si annidano “micropaesaggi” popolati da insetti, ragni e gamberi, altrettanto importanti (addirittura “portanti” in certi casi) dal punto di vista ecologico. Compito dell’ecologia del paesaggio è anche indagare il rapporto tra parcelle naturali e parcelle antropizzate, sempre più permeabili e intersecate. Andando in montagna spesso si pensa solo alla bellezza incontaminata, ma statisticamente quel versante che stiamo ammirando è già stato bruciato varie volte, o sovrappascolato, o disboscato, o tutte le cose insieme. Il rapporto uomo-natura è complesso: sempre di più
addirittura gli animali selvatici convivono con noi nei centri abitati, segretamente o meno. Dalle grandi città ai piccoli borghi, è possibile che un falco pellegrino nidifichi sul grattacielo, che un picchio nero trafori un albero del parco pubblico, che un colubro liscio si scaldi accanto alla ferrovia. Se le specie più esigenti e delicate continuano nel loro inesorabile declino, molti altri animali, complici l’abbandono della montagna, la maturazione dei boschi e una serie di altri fattori, sono partiti alla riconquista dell’Italia, rendendo realtà ciò che alcuni decenni fa era inimmaginabile. I paesaggi antropici sono ideali estensioni surrogate di quelli naturali, e le specie adattabili trovano qui cibo, rifugi e luoghi ideali per riprodursi. Non tutte le foto di questo libro sono frutto di ore di appostamento al gelo o lunghe camminate: in vari casi si è trattato di incontri quasi casuali, dall’auto, perché la bellezza oggi è a portata di tutti, anche se ciò non significa che tutti possano farne ciò che vogliono. La condivisione istantanea degli incontri è diventata un problema non di poco conto. D’altro canto, l’idea surreale della natura come una boccia di vetro infrangibile e intoccabile, avulsa dalle attività umane, per fortuna è antica ed è stata abbandonata. Il leit motiv di oggi, per molte specie, è la questione della convivenza. Sono questi i paesaggi dello scontro: quelli in cui aumentano i rischi per le parti, e si gioca la conservazione di molte specie, perlomeno dal punto di vista della loro reputazione, sviscerata dal grande pubblico, strumentalizzata dalla politica e dilaniata dallo sconcertante chiacchiericcio dei social network. Così come sconcertante è il contenuto di alcune immagini in questo libro. Gli appassionati di natura e fotografia, me compreso, hanno troppo spesso la nostalgica pretesa di mostrare mondi incontaminati, relitti di un tempo che fu, estratti con bisturi chirurgici ritagliando la realtà attraverso un mirino, lasciando fuori rifiuti, morti e feriti. La rappresentazione del nostro mondo risulta bellissima, paradisiaca e incantata, ma miope e fuorviante. I cambiamenti climatici, l’erosione del suolo, l’aumento della popolazione umana, l’allevamento intensivo, l’inquinamento da materie plastiche: sono solo alcuni dei fattori che stanno sottraendo diversità a ciò che ci circonda. Senza dimenticare le specie introdotte dall’uomo: il muflone che campeggia in copertina, di spalle, osserva sotto la nevicata la faggeta che lui stesso va ad alterare, inconsapevolmente, in paesaggi dove prima non era presente. Gli animali sono parte integrante e addirittura motore di trasformazione del paesaggio, nei modi più impensabili, attraverso effetti a cascata. Ma, in questo libro, gli animali non fanno niente: non predano, non si accoppiano, non fanno parate. Semplicemente, sono. Sono parte di un tutto, una bellezza danzante a un ritmo spesso troppo lento per la nostra comprensione moderna. Che ne sarà di questa convivenza “bestiale”?
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Un’espansione bestiale Ho ancora i piedi nel fiume, ma i miei occhi guardano le montagne. Esco dall’acqua scrollandomi il fango dagli scarponi, e mi incammino sul viottolo per salire lungo il versante. Sono questi i luoghi affini a Calvino, i “sentieri dei nidi di ragno”: quel libro letto da bambino mi avrebbe spronato poi per tutta la vita a cercare le botole di aracnidi elusivi, neri e lucidi, nascosti nelle viscere del sottosuolo. Continuo a camminare con passo lento e cadenzato, sotto il peso dello zaino, e arrivo ad un enorme castagno: il tronco largo e contorto è in parte ricoperto da edere, la corteccia nodosa, masticata dal tempo, è una scorza scalfita dalla sapienza del picchio in cerca di larve. Mi siedo e lo guardo, ad una buona altezza da terra c’è un buco, una sorta di finestra, che collega il mondo esterno alla sua cavità più interna. Nelle viscere dell’albero manca un midollo, e così la pianta ricorda un po’ un’enorme bottiglia. Un castagno plurisecolare, questo, un silenzioso testimone: i partigiani feriti, durante la Resistenza, si nascondevano al suo interno utilizzando una scala a pioli. Per sfuggire ai rastrellamenti quella era l’unica salvezza: rimanere per giorni nel cuore dell’albero, attendendo cure e provviste dai compaesani. Chissà quanti suoni delle tenebre avranno sentito. Gli alberi più grandi e vecchi non sono stati solo testimoni di cambiamenti storici e socioculturali, ovviamente, ma soprattutto di quelli ambientali. L’Italia, nell’ultimo secolo e in particolare negli ultimi decenni, ha subito profondi e radicali mutamenti dal punto di vista naturalistico, che possiamo intuire grazie ai racconti degli anziani, ma soprattutto grazie alla letteratura scientifica; alcuni, addirittura, sono talmente veloci da poter essere percepiti anche nel corso di una singola esistenza umana. Nonostante serpeggi un diffuso sconforto per quanto riguarda la conservazione di certe specie, in realtà il nostro Paese è in una fase in cui molti animali che prima erano rari adesso sono in espansione. Per alcuni, è il caso di dirlo, un’espansione bestiale, inaspettata e stupefacente.
Il lupo appenninico, per esempio: ridotto al lumicino, veniva eliminato a vista in quanto ritenuto nocivo, e i censimenti degli anni Settanta indicavano la presenza di un centinaio di individui al massimo, concentrati tra Abruzzo, Calabria e Toscana. Oggi, invece, il lupo è tornato a colonizzare praticamente tutta la penisola, in maniera più o meno stabile, anche grazie al regime di protezione di cui gode. Ma, e qui viene la parte interessante, le cause principali della sua espansione sono state soprattutto altre. Se da un lato la capacità di dispersione dei giovani, in grado di spostarsi centinaia di chilometri dal luogo di nascita, è un vantaggio indiscusso, dall’altro ciò che ha contribuito al ritorno del lupo sono stati i cambiamenti ambientali. La popolazione umana in montagna, in continuo aumento, aveva già subito un drastico crollo nel 1630 a causa della peste, che svuotò intere vallate; a partire dagli anni Cinquanta del Novecento poi, un cambiamento socioeconomico intervenne come una mannaia per i borghi montani. Il settore secondario e terziario, in pianura, attiravano forza lavoro verso le città, prelevandola direttamente dalle nuove generazioni rurali, che vi si trasferivano; inoltre, l’introduzione di macchine e la meccanizzazione dell’agricoltura in pianura divennero molto competitive, con produzioni più abbondanti e a buon mercato, tagliando definitivamente le gambe all’economia montana. E così, pascoli e montagne vennero in larga parte abbandonati, lasciati a se stessi, e questo portò ad una rinaturalizzazione del territorio: i boschi, prima tagliati intensivamente e gestiti, ricominciarono a crescere e diventare più “naturali”. A scopo venatorio, cinghiali, caprioli, cervi ed altri animali, virtualmente spariti, vennero reintrodotti in ogni dove, ripopolando aree dove erano assenti ormai da tempo. Ed ecco, quindi, le basi per il ritorno spontaneo del lupo: spopolamento della montagna, aumento delle aree boschive, introduzione di prede. Un mix, questo, che ha favorito la ricomparsa di un grande predatore, ma non solo. L’aumento in estensione della copertura boschiva, e soprattutto la sua maturazione in termini di numero di alberi con una certa età, hanno 13
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La democratizzazione della bellezza Mentre mi inerpico nella vallata, tra sfasciumi di pietre e macerie di legno, noto dei bei funghi commestibili. Fotograficamente sono molto interessanti, e da mangiare per quel che so lo sarebbero anche di più. Io non ne raccolgo ma è risaputo che un buon fungaiolo non svela mai i suoi posti segreti, perché ha paura ci vadano altre persone, che li rovinino, che raccolgano tutto; la stessa cosa vale per i pescatori, gelosi dei loro siti più ricchi. E le specie animali e vegetali minacciate, sensibili o localizzate? La rivoluzione della fotografia nell’era digitale è stata un cambiamento epocale. Non si tratta del banale scattare fotografie, con una riduzione di costi ed un innegabile aumento della qualità media, ma di un vero e proprio cambiamento socioculturale, con ricadute non da poco anche in termini di conservazione della natura. Quando scattavo le diapositive, nei primi dieci anni della mia attività, avevo solo 36 scatti a disposizione in ogni rullino; dovevo centellinarli, perché magari avrei trovato qualcosa di più bello o raro dopo poco, e perché costava svilupparli. Attendevo con ansia i giorni in cui quel rullo giaceva in qualche laboratorio, pronto ad essere srotolato e rivelato, con tutti gli errori e le delusioni che potevano conseguire dallo scattare “alla cieca”. Oggi, il digitale permette di scattare migliaia di fotografie, senza costi, senza limiti quasi, calibrando lo scatto successivo in base al precedente, visionando lo schermo e pregustando già il risultato finale. L’installazione di fotocamere avanzate anche sui cellulari, per le riprese foto e video, ha reso possibile la registrazione immediata pressoché di qualunque accadimento ed evento, o incontro in natura. Se da un lato questo fenomeno in totale espansione, anche grazie alla diffusione sui social network, può avere ricadute positive per la ricerca scientifica, grazie alla citizen science e alla documentazione da parte di comuni cittadini di comportamenti inusuali o specie
mai viste prima, dall’altro la democratizzazione della bellezza ha lati oscuri e imprevedibili. Non avendo spesso un filtro sull’audience che viene raggiunta dalle notizie, diventa difficile separare chi ha buone intenzioni e chi no. Postare in diretta (cioè qui ed ora) una fotografia di specie minacciata, con i riferimenti di luogo o peggio le coordinate, può davvero fare la differenza tra la vita e la morte. In certe stazioni mediterranee alcune specie di orchidee permangono con sole due o tre piante, e mettere indicazioni su internet potrebbe voler dire tornare e trovare solo i buchi della zappa di chi se le è portate via per metterle in serra: fa scuola il caso tedesco di ben 3000 ofridi rubate in un Parco. Per non parlare di specie oggetto di bracconaggio, come l’aquila del Bonelli, o comunque di specie più comuni ma in fasi delicate del loro ciclo biologico: un nido di gufo reale, per esempio, potrebbe essere abbandonato per il disturbo. È anche da dire che un nido in una parete alpina soffrirebbe più disturbo di un nido su un palazzo scandinavo, per cui è sempre bene valutare prima il comportamento da tenere, che deve essere rispettoso. Una fotografia non vale la vita di un animale. Postare immagini in diretta può richiamare folle di curiosi, fotografi, appassionati, tutti armati da buone intenzioni, ma il numero fa la differenza. E, sui grandi numeri, è sufficiente una persona che si comporta male per arrecare danni irreparabili. Questa democratizzazione della bellezza ha reso la natura più vicina ai cittadini comuni: se prima osservare un lupo, un orso o un cervo era appannaggio di pochi appassionati o fortunati escursionisti, l’espansione bestiale ha dato vita a un connubio ineguagliato tra la vita selvaggia delle montagne ed una delle aree più densamente popolate d’Europa. È anche vero che la circolazione delle fotografie dà un maggior senso di diffusione e vicinanza di certe specie, mentre una volta le voci di un 73
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Il naturalista e fotografo Marco Colombo ci accompagna in un viaggio indimenticabile alla scoperta della fauna italiana, lĂ dove le storie di umani e selvatici si intrecciano, ai piedi di un grande castagno cavo. In questo libro, gli animali non fanno niente: non predano, non si accoppiano, non fanno parate. Semplicemente, sono. Sono parte di un tutto, una bellezza danzante a un ritmo spesso troppo lento per la nostra comprensione moderna. Che ne sarĂ di questa convivenza “bestialeâ€??
ISBN 978-88-86227-83-4